Archivio del Tag ‘sanità’
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Uomini e topi, le cavie greche e la sinistra che tifa Draghi
Attenti a Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».L’esperimento non funzionò: il golpe classico suscitava troppa opposizione interna e internazionale, i più intraprendenti fuggivano e l’economia diventava insostenibile. «Negli anni successivi, in Italia, appresa la lezione greca, si dimostrò che funzionava meglio un condizionamento di tipo piduista, che faceva sentire la minaccia della violenza, ma usava un approccio più graduale e tentacolare», scrive Cabras su “Megachip”. Il prezzo del test militare? Lo avevano già pagato i greci. Poi, nel nuovo secolo, «dall’instancabile cantiere oligarchico è partito un ulteriore “esperimento greco”, proprio negli anni in cui si è via via instaurato un nuovo tipo di regime europeo: cioè un regime che ha portato alle estreme conseguenze i difetti sempre più odiosi e antidemocratici della costruzione comunitaria e ha imposto le disfunzioni permanenti dell’euro, una moneta “che non dovrebbe esistere”, (come ha scritto finanche il servizio studi del colosso bancario svizzero Ubs), e che impone anche notevoli costi per un’eventuale uscita». La Grecia «sarebbe stata sufficientemente piccola da poter disinnescare il suo debito sovrano senza spargimenti di sangue, senza imporre fiscalità assassine, senza deprimere l’economia». E invece «le sono state imposte regole rigidissime», partorite da «un mondo intellettualmente fallito di pseudo-economisti traditori e ben pasciuti».Morale: «Si è abusato impunemente di un intero popolo, quello greco, che aveva la colpa di non essere numeroso e di avere un Pil che incideva sull’Europa quanto quello della provincia di Treviso sul Pil italiano». La spirale del debito non è stata interrotta, ma sovralimentata. Persino il Trattato di Maastricht citava la “solidarietà fra gli Stati membri”? I padroni del laboratorio, aggiunge Cabras, hanno invece deciso che quell’ingrediente doveva restare lettera morta: sulla pelle dei greci, hanno così potuto misurare in scala ridotta «quanto può crescere la disoccupazione in un paese e fino a che punto si deprezzano i beni, quand’è che un sistema sanitario crolla, qual è il punto di ebollizione da cui partono le rivolte violente e gli assalti ai fornai, come si dosa il monopolio della violenza affidato alla polizia, in che proporzione crescono i voti ai nazisti e quanto questi siano utilizzabili per dividere il popolo, quale livello di passività politica può raggiungere chi non ha più tempo per un proprio ruolo sociale e deve pensare solo a sopravvivere mentre evaporano stipendi e pensioni». E ancora: «Fino a che punto i partiti che reggono il sacco alle banche straniere resistono ancora all’erosione dei voti perché offrono ancora in cambio briciole residue per tenersi in vita? Qual è la chimica di una nazione disperata? Esplode, si evolve o implode?».La Troika Ue ha proseguito impassibile, recitando le sue orazioni neoliberiste. «Naturalmente il messaggio mafioso arrivava agli altri Piigs, maledetti maiali-cicala: avete vissuto troppo al disopra dei vostri mezzi, siete nati per soffrire e per “fare le riforme strutturali”, con una svalutazione del lavoro in favore del capitale finanziario». Nel “Laboratorio Grecia” si esagerava, fino a volerlo trasformare in una Zona Economica Speciale alla cinese, con salari da poche centinaia di euro, non senza aver distrutto quasi un milione di posti di lavoro. «Questo calvario è richiesto ai greci ancora una volta dalla comare secca che guida il Fmi, Christine Lagarde, che ha rilasciato una tempestiva intervista su “Le Monde” e “La Repubblica”, il 27 gennaio 2015». Aggiunge Cabras: «Sarebbe stato interessante chiedere alla Lagarde se è vero quel che dice su di lei il Gran Maestro Gioele Magaldi nel suo libro “Massoni”, cioè se appartenga a ben due logge massoniche ultraoligarchiche transnazionali, la “Pan Europa” e la “Three Eyes”, alla quale ultima – sostiene Magaldi – sarà possibile rivelare l’affiliazione anche di Giorgio Napolitano e Mario Draghi».E’ evidente che i padroni d’Europa la pensano allo stesso modo. A caldo, Draghi ha persino fatto notare che la pressione fiscale in Grecia resterebbe «ben inferiore sia alla media dell’area euro, sia a quella di tutta l’Unione europea a 28» Ossia: «C’è ancora un po’ di carne da staccare dall’osso». Fabio Scacciavillani twitta: «Un popolo di parassiti elegge una banda di ferrivecchi falliti». Scacciavillani, per chi non lo sapesse, è “chief economist” del Fondo d’investimenti dell’Oman, spiega Cabras: «Per la sua ideologia, un insegnante greco è dunque un parassita, laddove il Sultano dell’Oman è un adorabile filantropo e i grandi fondi speculativi sono immacolati agenti del Bene, purché ogni tanto li si foraggi con pubblico denaro: insomma, il solito neoliberista con il mercato degli altri, con proiezioni freudiane sul parassitismo». L’ascesa di Syriza è nata dunque in reazione a questo esperimento «crudele e interminabile, perpetuato da tanti reggicoda e ideologi in seno all’establishment». Tsipras ha dovuto «individuare il nemico sin da subito». Non come Vendola, che nel 2011 – intervistato da “L’Espresso” – credette di riconoscere «l’impegno di due grandi cattedre: quella di Papa Ratzinger e quella del papa laico, Mario Draghi».«Vendola – continua Cabras – associava uno dei più venerabili maestri della prassi oligarchica, Draghi il “papa laico”, nientemeno che a un nuovo “formidabile processo di critica verso le oligarchie” fra i giovani e i movimenti». Ecco perché la sinistra italiana non capirà mai la “lingua” della sinistra greca. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella (Pd), ha invitato Tsipras ad avviare negoziati «con le forze progressiste ed europeiste greche». Ma le “forze progressiste europeiste”, dice Cabras, sono «i complici più ipocriti dell’austerity». Tsipras si è guardato bene dal dargli retta, e un minuto dopo ha invece concluso un accordo di governo con un altro partito: «Un partito di destra, ma con la faccia al posto della faccia, a differenza di Pittella. Il quale continua il comunicato invitando il buon Alexis ad affrontare insieme le “sfide enormi come la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e alla disoccupazione”, cioè gli effetti secondari delle cause che Pittella e sodali hanno favorito, ad esempio promuovendo i Mario Monti e i Papademos, i Jobs Act e le iniquità strutturali dell’attuale moneta».Un economista anti-euro come Alberto Bagnai si è affrettato a dire che Tsipras è solo uno specchietto per le allodole che serve ad anestetizzare il dissenso? Giuseppe Masala riconosce che le armi in mano al nuovo primo ministro greco sono poche e spuntate, mentre tante armi potenti sono in mano straniera: Tsipras potrà fare politica e trovarsi alleati in Europa, ma l’esperimento (e anche l’incendio del laboratorio) è ancora in corso. «In troppi dimenticano che il primo partito greco, Syriza, ha ottenuto solo il 36,3% dei voti validi, i quali a loro volta sono da calcolare su appena il 64% del corpo elettorale». Attualissimo il monito di Enrico Berlinguer: sarebbe illusorio sperare in una svolta politica radicale, quand’anche si ottenesse il 51% dei voti. «La frase è del 1973: in Cile è appena andato al potere il generale golpista Pinochet che ha rovesciato Allende, mentre i colonnelli governano ancora Atene. Il dollaro da due anni non è più convertibile in oro, e la domanda di dollari esplode con il boom del prezzo del petrolio. In Italia settori rilevanti delle classi dirigenti atlantiste fanno sentire “tintinnio di sciabole”, in piena strategia della tensione». Finché in Italia ci furono partiti forti e di massa, continua Cabras, questi esercitarono una semi-sovranità in grado di correggere e contenere l’esercizio di poteri sovrani esterni che limitavano la sovranità italiana. Ma c’era evidentemente un limite invalicabile, oltre il quale la semi-sovranità soccombeva ai rapporti di forza opachi del sistema atlantico.Similmente, Tsipras ha massimizzato la forza politica ottenibile con il voto degli elettori in presenza di una proposta di governo riformatrice, consapevole di muoversi all’interno di vincoli letteralmente incontrollabili. Come quella di Berlinguer, «anche la scommessa di Alexis Tsipras è estremamente difficile, perché è condizionata da un campo internazionale molto maldisposto verso spinte contrarie al vento neoliberista, nel momento in cui sul piano militare si moltiplicano i focolai di guerra lungo i confini sempre più larghi della Nato, e sul piano economico si va a grandi passi verso una “Nato economica” da regolare con i nuovi trattati atlantici sul commercio e la finanza, con l’obiettivo di abbattere il ruolo della Russia e consolidare un’Europa più debole». In quel contesto «avremmo una Germania gendarme, circondata da un immenso Mezzogiorno europeo impoverito: la versione upgraded del “Laboratorio Greco”. Un incubo reale». Eppure, forse le strade non sono state tutte percorse, e il futuro può riservare «quote di imprevedibilità in grado di scottare gli scienziati pazzi». Cabras cita il nuovo ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, «un comunista determinato e molto preparato» che «parla l’inglese meglio dei maggiordomi europei che biascicano un misero anglofinanziese». E’ amico di James Galbraith, figlio del grande economista John Kenneth, a sua volta primo consigliere economico di Jfk e indimenticato autore di “L’economia della truffa”, «un libro che faceva già anni fa il ritratto dei nemici della Grecia, i nemici di tutti noi».Oggi è cresciuto il caos sistemico: c’è sempre chi scommette «sulla controllabilità di questo caos per ottenere nuovi vantaggi», ma non è detto che ci riesca. Troppe variabili in corso: dall’Ucraina, dove è in corso un nuovo laboratorio diretto da «plenipotenziari neocoloniali dell’élite oligarchica e finanziaria», con il Donbass «percorso da milizie nazistoidi e da mercenari», alla Spagna, dove un fenomeno elettorale nuovo, “Podemos”, con il vento in poppa come Syriza, individua già un tema chiave: uscire dalla Nato. «È perciò significativo che uno dei primissimi pronunciamenti del governo Tsipras sia stato quello di sconfessare il comunicato dei leader europei che prefigurava nuove sanzioni contro la Russia, con tanto di telefonata di Tsipras all’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini per esprimerle solennemente “il suo malcontento”». La Grecia diventerà un soggetto combattivo, avverte Cabras: «L’Europa che ha affossato il gasdotto South Stream ma non vuole rinunciare al gas dovrà passare proprio dalla Grecia, visto che le pipelines convergeranno in Turchia». Certo, l’Italia resta lontana dai germi di intelligenza che stanno sbocciando in Europa: non se esce né con i tirapiedi di Vendola, né con «le tristi derive del M5S».Non sparate su Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».
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Ministro della sanità: chi non può pagarsi le cure va ucciso
I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».Alla fine, continua il blog, si arriva a constatare che la ricerca su una malattia considerata rara non è sostenuta dai fondi pubblici, «il cui unico scopo è risparmiare per far contenta la finanza», quella tedesca, che impone all’Unione Europea la tortura della disciplina di bilancio, a sua volta prodotta dalla colossale mistificazione dell’euro, la non-moneta che gli Stati non possono utilizzare per le loro necessità. E addio solidarietà sociale, compreso il diritto alla salute: ormai anch’esso in via di estinzione, «nell’evanescente e terribile Europa delle banche». Mostruosa, dunque, ma anche drammaticamente corente con il clima di questi anni, la sortita della lituana Salaseviciute, «personaggio tra i più progressisti della piccola repubblica baltica sulla quale sventola la bandiera delle 12 stelle». Dichiarazione rilasciata alla radio nazionale: «L’eutanasia è una buona soluzione per gli strati deboli della società, per i poveri che non hanno i mezzi per pagare le cure sanitarie». Per la ministra, inoltre, è impensabile che la Lituania sviluppi uno stato sociale dove la sanità e le cure siano accessibili a tutti.«Evidentemente – scrive “Il Simplicissimus” – gli accorati appelli della Lagarde sull’allarmante aumento dell’età media e sulla incredibile tracotanza dei ceti popolari che pretenderebbero di usufruire dei progressi delle conoscenze mediche, fanno scuola». Vengono i brividi, aggiunge il blog, pensando che la Salaseviciute è stata promossa ministro della sanità per sostituire il compagno di partito e di governo Vytenis Andriukaitis, chiamato a far parte della nuova Commissione Europea guidata dall’impresentabile Jean-Claude Juncker, da più di trent’anni al servizio di multinazionali, élite finanziaria, servizi segreti e grandi evasori mondiali. Si comincia con le secchiate d’acqua in testa e poi si arriva alle pratiche di sterminio sociale auspicate in Lituania? «Sono due facce della stessa medaglia», se cominci a tagliare deficit e posti letto negli ospedali. Morale: il pubblico non deve più garantire l’accesso alla sanità di tutti i cittadini. «Buffoni e canaglie – conclude “Il Simplicissius” – compaiono sullo stesso piano ideologico come le figure speculari su una carta da gioco: quella del baro che ci sta portando via la posta accumulata in tanti anni di lotte e di speranze».I poveri? Crepino pure: curarli costa troppo. Ci vorrebbe l’eutanasia, per sopprimere chi non può permettersi cure sanitarie private. La frase non è di Hilter, ma della ministra lituana della salute, Rimante Salaseviciute, secondo cui il denaro ovviamente conta molto più della vita umana. Se i paesi baltici si segnalano periodicamente per gaffe imbarazzanti – come l’arresto di Giulietto Chiesa in Estonia solo per impedirgli di esprimersi sulla relazione tra Europa e Russia – l’uscita della Salaseviciute è perfettamente consonante con il trattamento che la Germania, tramite la Troika Ue, ha imposto ai bambini greci, lasciati senza cibo sufficiente e senza assistenza medica. Tragedie che in Italia diventano commedia, come lo spettacolo della gente che si rovescia in testa secchiate d’acqua, ufficialmente per aiutare la raccolta fondi contro la Sla. Scena che dovrebbe «suscitare pena e indignazione», protesta il blog “Il Simplicissimus”, visto che era una trovata «sostanzialmente per fare i fresconi e richiamare servizi televisivi». Tanto più che «dopo le secchiate, compresa quella di Renzi irresistibilmente attratto dalle stupidaggini come l’ago della bussola lo è dal nord, non arrivano soldi o ne arrivano pochini: in tutto l’Occidente finora non si è raccolto nemmeno ciò che serve a comprare un F-35».
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Grazie alla crisi, l’1% sta per superare in ricchezza il 99%
La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.L’1% dei super-ricchi possiede oggi il 48% della ricchezza globale e lascia al restante 99% il 52% delle risorse. Questo 52% è, a sua volta, posseduto da 20% di “ricchi”. Il restante 80% si deve arrangiare con il 5,5% delle risorse. Dal 2010, spiega il rapporto, gli 80 ultra-miliardari della lista stilata da “Forbes” (primo Bill Gates, secondo Warren Buffett, terzo Carlos Slim, quindicesimo Mark Zuckerberg; primo tra gli italiani Michele Ferrero e famiglia) hanno visto le loro ricchezze moltiplicarsi con l’esplosione della crisi globale. Cinque anni fa detenevano una ricchezza netta pari a 1.300 miliardi di dollari. Oggi contano su 1.900 miliardi di dollari. Un aumento di 600 miliardi di dollari, il 50% in termini nominali. Oxfam segnala inoltre una lotta tra i ricchi, visto che il loro numero è diminuito dai 388 del 2010 agli attuali 92 che detengono il volume equivalente alla ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. Tre miliardi e mezzo di persone si dividono dunque il totale della ricchezza posseduta da queste persone.Nell’élite elencata da “Forbes” c’erano 1645 miliardari nel 2014. Il 30% (492 persone) sono cittadini statunitensi, oligarchi russi, nuovi ricchi cinesi, finanzieri come George Soros e i principi sauditi. Più di un terzo di queste persone ha ereditato, e non prodotto, la ricchezza che detiene, segno che il capitale di produce verso l’alto e non allarga la base della piramide. Il 20% di questi ricchi ha interessi nei settori finanziario o assicurativo dove la ricchezza è aumentata da 1.010 miliardi di dollari a 1.160 miliardi in un solo anno. Nel frattempo sono cresciuti i miliardari che operano nel settore farmaceutico e sanitario. Nel club sono entrati in 29 con un aumento del 47% della ricchezza collettiva, passata da 170 miliardi a 250 miliardi di dollari. I campi biopolitici della cura o della prevenzione delle malattia, così come quello dell’assicurazione contro i rischi, costituiscono uno dei principali fattori dell’accumulazione.Lo strumento principale per ottenere tale risultato è il lobbismo, una modalità alla quale la finanza e le imprese ricorrono per ottenere benefici dalla politica e dagli Stati. Nel 2013, solo negli Usa, il settore finanziario ha speso oltre 400 milioni di dollari per fare lobby. Nell’Unione Europea la stima è di 150 milioni di dollari. Nel vecchio continente, tra il 2013 e il 2014, i super-ricchi sono aumentati da 31 a 39 con una ricchezza pari a 128 miliardi. Un’élite di oligarchi globali contro un mondo di working poors e poverissimi. Sono dati che smentiscono, una volta in più, la pseudo-teoria neoliberista del “trickle-down” (lo “sgocciolamento”). La ricchezza di pochi non traina lo sviluppo capitalistico né la redistribuzione delle ricchezze. Anzi, aumenta le diseguaglianze. Sono sette le proposte di Oxfam per invertire questa tendenza: contrasto all’elusione fiscale, investimenti in salute e istruzione pubblica e gratuita; redistribuzione equa del peso fiscale; introduzione del salario minimo e di salari dignitosi per tutti; parità di retribuzione, reti di protezione sociale per i poveri, lotta globale contro la diseguaglianza. Un’agenda in fondo minimalista per provare a rovesciare la direzione della lotta di classe dal basso verso l’alto.(Roberto Ciccarelli, “La lotta di classe dell’1% ha vinto, ed è insaziabile”, dal “Manifesto” del 20 gennaio 2015, articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).La ricchezza oggi è insaziabile. Premia sempre di più coloro che hanno già tutto, e toglie ancora di più a coloro che non hanno quasi niente. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, la Ong Oxfam ha pubblicato il rapporto annuale “Grandi disuguaglianze crescono”, che aggrava lo scenario tracciato solo un anno fa. All’inizio del 2014 Oxfam aveva calcolato che 85 persone possedevano la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, un dato choc che è stato ultra-citato in questi mesi a controprova del livello di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e che oggi la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi. Le nuove stime, effettuate sui dati del Credit Suisse, ricalcolano il numero dei miliardari che nel 2013 possedevano la stessa ricchezza del 50% più povero, e attesta che oggi il loro numero esatto è 92 e non più 85. Oxfam fa una previsione: nel 2016 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale supererà quella del 99%, rendendo obsoleto persino lo slogan del movimento di Occupy Wall Street.
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Vogliono acqua, luce e gas: soldi a palate, e il Pd obbedirà
Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.Dopo le “limature” di Prodi e D’Alema alla fine degli anni ’90, continua Barnard, oggi Renzi «vuole portare la stoccata finale alla privatizzazione dei servizi enti locali». Domanda: «Ma perché tutta ’sta furia del Pd (coccige di Wall Street) a fare ’ste “riforme”?». La risposta è persino banale: «Gli investitori sanno da tempo che investire in un servizio “utility” rende molto di più e si rischia molto di meno che investire nelle banche». Per la precisione, «significa che uno speculatore/investitore americano o russo o cinese guadagna molto di più, e rischia 9 volte di meno!, a investire nell’acqua o nel gas di un Comune che li privatizza piuttosto che a investire in Unicredit o Intesa o Bank of America o Bnp Paribas o Deutsche Bank». Non ci credete? «Non credete che mettere 1 milione di dollari sull’acqua sia mooolto meglio che metterli nelle super-potenti banche?». Il modello, continua Barnard, viene ovviamente dall’America: «Le “utility”, cioè proprio i servizi locali di acqua, luce e gas, hanno garantito agli investitori americani degli utili dall’80% al 50% di media!».Rendimenti stellari, se paragonati ai settori finanziari classici, le mega-banche: ai suoi investitori, Jp Morgan ha garantito il 30%, mentre Bank of America «un miserabile 4%», e un colosso come Citigoup «un’agonia dello 0,9%». Senza contare i debiti, naturalmente: «Imparate che il rapporto fra i debiti di una banca e il suo capitale (azioni) si chiama “leverage ratio”. Più alto è il debito e più basso è il capitale, più c’è “leverage” (rischio). Gli investitori hanno sempre guardato a questo rapporto debiti-capitale quando hanno messo soldi in banche o in “utility”. Oggi – aggiunge Barnard – la realtà che gli Stati Uniti hanno insegnato all’Europa è che chi investe in banca si becca in media un “leverage” di 1 di capitale contro 10 di debiti, mentre, e qui sta il punto dei punti, chi investe in “utilities” si becca un rischio 9 volte inferiore, oltre che molti più utili». Il nostro problema? «Il rapido Renzi scondinzola», quindi «noi cittadini siamo fottuti», visto che «qui si chiude il cerchio maledetto: la finanza ordina, il Pd obbedisce». Disposizione chiara: via il Titolo V, per poter privatizzare le “utility”. Coi più sentiti ringraziamenti, da parte degli speculatori, agli italiani che hanno votato Pd.Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.
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Di Battista, aprite gli occhi sull’euro o sparirete dalla storia
Qualcuno spieghi ad Alessandro Di Battista che l’Italia non sta morendo di corruzione, né di evasione fiscale, né di mafia. L’Italia sta morendo di euro. Corruzione, evasione e mafia esistevano già prima, ma c’era lavoro per tutti. C’erano benessere, risparmi, economia, aziende. In una parola: c’era la lira sovrana, la moneta che lo Stato poteva “fabbricare dal nulla”, senza limiti. Oggi, lo Stato è in bolletta perché la moneta non ce l’ha più, la deve elemosinare a caro prezzo sui mercati finanziari e prelevare direttamente dai cittadini, sotto forma di tasse. Tragedia nella tragedia? In Parlamento, l’opposizione non se n’è ancora accorta. Lo scrive Giulio Betti in una lettera aperta a Di Battista, reduce da un retorico intervento sullo scandalo “Mafia Capitale”, completamente fuori bersaglio: «Quando in una scuola manca la carta igienica, pensate alla corruzione», raccomanda Di Battista. «Quando vostro figlio cerca lavoro in un call center in India, pensate alla corruzione. Quando manca un posto letto in ospedale, pensate alla corruzione. Quando vedete strade distrutte, mondezza dovunque, infrastrutture ferme da anni, pensate alla corruzione».«No, Di Battista, non ci siamo», replica Betti sul sito “MeMmt”. «Ok, la corruzione è sicuramente un problema molto importante, da cercare di combattere con tutti i mezzi in nostro possesso. Ma tutto ciò che lei ha descritto non dipende dalla corruzione». E poi, c’è corruzione e corruzione: in regime di moneta sovrana, il denaro “rubato” non crea problemi di bilancio, perché tutto è sempre ripianabile. Se invece la corruzione colpisce un paese dell’Eurozona, che non ha più strumenti democratici di bilancio, allora il “furto” diventa una tragedia sociale. Possibile che il brillante Di Battista non lo afferri? E’ come se lui, Grillo e Casaleggio non avessero ancora capito cos’è la moneta sovrana, ovvero una valuta «di proprietà dello Stato, che la emette in regime di monopolio», senza convertirla in oro o altri metalli preziosi. Una moneta il cui tasso di cambio è fluttuante, ovvero: «Viene scambiata con le altre valute in base alla legge della domanda e dell’offerta». Esempi di Stati con moneta sovrana? Praticamente tutti, tranne quelli dell’Eurozona. «Lo Stato a moneta sovrana non può, e non potrà mai, finire i soldi», ribadisce Betti.Lo Stato che dispone della propria moneta «la spende semplicemente creandola dal nulla, accreditando conti correnti», e così «fa crescere la ricchezza finanziaria di quei conti semplicemente pigiando dei tasti nei computer della banca centrale». Oggi, del resto, la maggior parte della moneta circolante è elettronica. Punto nodale, che forse a Di Battista sfugge: «Nel fare questa operazione, lo Stato non ha necessità di procurarsi prima quel denaro guadagnandolo con le tasse, perché lo crea da sé senza problemi». E’ esattamente il tipo di potere sovrano a cui gli archietti dell’Eurozona volevano mettere fine. E ci sono riusciti. La fine della sovranità democratica garantita dalla moneta. «Esempio, un vigile del fuoco che a fine mese ottiene il suo stipendio: per lui è logicamente un attivo, e non dovrà mai ripagare quell’esborso di denaro pubblico. In quel momento lo Stato ha aumentato la sua spesa pubblica, ma ha aumentato la ricchezza finanziaria di un suo cittadino. Una volta capito questo, la domanda che dovrebbe scattare subito dopo è: com’è possibile che in Italia allora scarseggino i beni di prima necessità nelle scuole, non si trovi lavoro, le infrastrutture siano ferme da anni? Semplice e terribile allo stesso tempo: l’Italia non ha più la possibilità di fare quell’operazione di creazione di moneta dal nulla».Una tragedia chiamata euro, non corruzione: «Con l’ingresso nell’unione monetaria, l’Italia si è ridotta a dover chiedere in prestito dai mercati dei capitali tutti i soldi necessari per poter comprare la carta igienica nelle scuole, pagare i posti letto negli ospedali, costruire o fare la manutenzione delle infrastrutture». Il tutto, continua Betti, è aggravato dal “patto di stabilità” che impedisce ai Comuni di garantire, come prima, i servizi basilari per la comunità. Perché lo Stato italiano, al pari di tutti gli altri dell’Eurozona, oggi – a differenza di ieri – deve restituire i capitali che gli sono stati prestati dai mercati finanziari per le sue attività fondamentali, maggiorati del tasso d’interesse sempre deciso dagli stessi attori della grande finanza privata. E dove li rastrella, quei soldi? «Dalle tasche degli italiani, ovviamente. Ecco che mentre prima, con la sovranità monetaria, il governo non aveva alcuna necessità di tassare a morte i cittadini e le aziende (anzi, poteva tranquillamente decidere di abbassare le imposte), oggi il governo deve necessariamente attuare politiche di austerity, andando ad abbassare la spesa pubblica e contemporaneamente strangolare l’economia con la tassazione, la dismissione e privatizzazione di aziende statali che forniscono beni e servizi pubblici essenziali».Caro Di Battista, ancora convinto dello strapotere negativo dell’italica corruzione? Certo, si tratta di un crimine odioso che devasta la società e il territorio. Ma, in regime di moneta sovrana, la peggiore corruzione «non sottrae soldi ai settori vitali della gestione statale». Idem per l’altra piaga nazionale, l’evasione fiscale, «perché lo Stato può creare tutti i fondi che vuole per i servizi pubblici, tecnicamente senza limiti». Nell’Eurozona, invece, la musica cambia: la corruzione è molto più dannosa, «poiché sottrae fondi che lo Stato ha dovuto faticosamente ottenere, con i prestiti di euro da parte dei mercati finanziari, e non può permettersi di sprecarli, al pari del cittadino che ha un mutuo». Di Battista, scrive Betti, non ha capito che il problema è a monte: «Poniamo che da domani, per magia, la corruzione e gli sprechi spariscano (un improbabile paradiso terrestre), ma l’Italia rimanga comunque nell’Eurozona: il problema della scarsità di denaro sarebbe risolto? Sarebbe risolto il problema dell’approvvigionamento dei fondi necessari al funzionamento dei servizi pubblici? Lo Stato potrebbe forse abbassare le tasse e far ripartire l’economia con la spesa pubblica? Assolutamente no».Sveglia, Di Battista: «Anche in assenza di corruzione e sprechi, l’Italia dovrebbe comunque approvvigionarsi dai mercati finanziari di ogni singolo euro necessario al funzionamento dell’apparato pubblico. E come detto in precedenza, i mercati non ti regalano di certo i soldi, devi poi restituirglieli con gli interessi, come un normale cittadino in banca. E quindi tasse sempre più alte, taglio dei servizi e della spesa pubblica, povertà e distruzione economica sempre maggiore. Sarebbe un disastro comunque». Un appello accorato: «Queste cose deve capirle, Di Battista, ne va della vita di 60 milioni di italiani». Chi fa politica dovrebbe imparare a stabilire precise priorità, come durante la Resistenza: nel ‘43, scrive Betti, la priorità era liberare il paese dal nazifascismo, poi si sarebbe pensato a ricostruirlo. «Allo stesso modo, oggi la priorità è abbattere il mostro dell’Eurozona, riprenderci la sovranità monetaria, chiedere al governo di spendere in deficit fino al raggiungimento della piena occupazione, di ottimi servizi pubblici e di un’ottima qualità della vita. E’ necessario tornare ad essere una nazione nella quale vivere bene, senza ansia per il presente e il futuro, riaffermare la nostra sovranità e tornare ad essere Italia, un paese stupendo distrutto dall’Eurozona, come gli altri».Di Battista, aggiunge Betti, conosce benissimo il programma della Mmt, la “Modern Money Theory”, elaborato da Warren Mosler per far uscire l’Italia dall’incubo della crisi, puntando innanzitutto alla piena occupazione. Quella della Mmt «è una delle proposte più votate nel vostro portale», quello di Beppe Grillo, «ma stranamente non è mai stata presa in considerazione per l’inserimento nel vostro programma. Perchè?». Insiste Betti, nel suo appello a Di Battista: «Perchè non volete comprendere come l’euro distrugge l’Italia, ma vi trincerate dietro i discorsi da bar, “meno sprechi, no corruzione, debito pubblico brutto”? Così facendo voi indirizzate tutta l’attenzione su problematiche secondarie, non primarie, capisce?». Distrazione di massa. «Sappiamo che il vostro movimento è impegnato in una raccolta firme sul tema della permanenza dell’euro». Però nelle filippiche di Di Battista il tema-euro «non compare, non ve n’è traccia». Il campione grillino non utilizza la sua vasta platea per la giusta causa. Al contrario, «raccoglie la rabbia diffusa nel paese e la convoglia tutta verso l’obiettivo sbagliato: questo è gravissimo e non giustificabile. Sta trattando l’euro come un dettaglio, anzi meno». Pensaci, Di Battista. Tu e i tuoi colleghi. Decitedevi a dire finalmente la verità e ad afferrare il toro per le corna, «altrimenti non potrete fare nulla per risollevare le sorti dell’Italia, nemmeno se andrete al governo, e verrete inesorabilmente spazzati via dalla storia».Qualcuno spieghi ad Alessandro Di Battista che l’Italia non sta morendo di corruzione, né di evasione fiscale, né di mafia. L’Italia sta morendo di euro. Corruzione, evasione e mafia esistevano già prima, ma c’era lavoro per tutti. C’erano benessere, risparmi, economia, aziende. In una parola: c’era la lira sovrana, la moneta che lo Stato poteva “fabbricare dal nulla”, senza limiti. Oggi, lo Stato è in bolletta perché la moneta non ce l’ha più, la deve elemosinare a caro prezzo sui mercati finanziari e prelevare direttamente dai cittadini, sotto forma di tasse. Tragedia nella tragedia? In Parlamento, l’opposizione non se n’è ancora accorta. Lo scrive Giulio Betti in una lettera aperta a Di Battista, reduce da un retorico intervento sullo scandalo “Mafia Capitale”, completamente fuori bersaglio: «Quando in una scuola manca la carta igienica, pensate alla corruzione», raccomanda Di Battista. «Quando vostro figlio cerca lavoro in un call center in India, pensate alla corruzione. Quando manca un posto letto in ospedale, pensate alla corruzione. Quando vedete strade distrutte, mondezza dovunque, infrastrutture ferme da anni, pensate alla corruzione».
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Ida Magli: governati da servi ignoranti che ci disprezzano
C’è un’indifferenza a qualsiasi fatto che possa far ripensare a quello che hanno progettato. Sento citare di nuovo Romano Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica: il responsabile del nostro ingresso nella moneta unica. Oggi, con l’euro, siamo tutti più poveri. Ci arrabattiamo. L’Europa unita? Era un progetto sbagliato. L’Europa è giunta a essere quella che è per la storia delle varie nazioni che la compongono, che è storia di civiltà, di arte, di lingua. C’è un itinerario di identità dei singoli popoli e non si può sommare l’Italia con la Francia, l’Inghilterra con il Belgio. Ogni popolo la propria letteratura, la propria arte, la propria lingua. E che facciamo? Buttiamo Goethe? Perché Goethe non è europeo, è tedesco! Scrive in tedesco! Il punto è che non esisteva un’idea di Europa. Ho fatto tante ricerche ma non ho mai trovato il delinearsi di un popolo europeo. Fin dalle origini. Nemmeno nell’Impero Romano che era lo stesso a Parigi, a Londra, a Francoforte come a Roma, c’era questa idea. Semmai, appunto, potrebbe essere l’Italia a rivendicare qualcosa in questo senso. È che siamo governati da gente che ci disprezza e che è veramente fuori dalla storia.Unificare è stato un errore. Non era possibile farlo se non perdendo tutte le ricchezze europee. Quale lingua parleremo negli Stati Uniti d’Europa? Nella testa dei politici sarà l’inglese, cioè l’americano. E allora perderemo la ricchezza delle letterature nelle varie lingue del Vecchio continente, da Voltaire a Cervantes, da Kafka a Pirandello. Si pensa di poter fare l’unità così. Così come si è pensato di fare lo stesso con la moneta unica, dimenticando che la moneta è lo strumento di un popolo e non la si può imporre fuori dall’economia dei singoli Stati. Lo dicevo da antropologa ma l’hanno detto anche molti economisti. L’obiezione è che questo processo lo hanno fatto gli americani, certo con meno storia sulle spalle? Gli americani non avevano storia letteralmente, erano tutti immigrati e gli indigeni sono stati annientati quasi subito. Annientati con la violenza di chi conquista. E poi avevano un territorio immenso. Ho spesso detto che quello dell’unificazione è un progetto massonico. E ora c’è un libro di un massone, Gioele Magaldi, che lo conferma (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, Chiarelettere). L’ho letto e riletto.E’ anche un’operazione intrigante. La tesi è la seguente: la massoniera ha vinto, tutti i suoi progetti sono stati realizzati, ora esca allo scoperto e lavori con trasparenza. Secondo quel libro, tutti sarebbero massoni. Certo fa dei nomi: Romano Prodi, Enrico Letta, Mario Monti. Che non hanno neppure sentito il bisogno di replicare. Si saranno messi d’accordo per non reagire in alcun modo. Comunque, prescindendo da questo, noto che Prodi torna in un momento in cui lo si dava per politicamente finito. E Matteo Renzi è al servizio della Commissione. Le sue riforme, come ammette Pier Carlo Padoan, sono dettate dai commissari. Un esempio, tratto dalla Legge di Stabilità: la depenalizzazione di alcuni reati. Il reato di omissione di soccorso in Congo non c’è. La coscienza individuale sta anche in un codice. Avere valori significa avere un codice. Depenalizzare i piccoli furti che opprimono le persone, rubare la borsetta dove ci sono gli affetti più cari sarebbe un limpida conquista? Se la giustizia è intasata, che si aumenti il numero dei magistrati. Depenalizzare, amnistiare non è una giustificazione delle civiltà ma mancanza dello Stato. Si vuole l’imbarbarimento degli italiani, dei belgi, degli inglesi.Uno Stato non ha l’obbligo di essere umanitario. Deve difendere i cittadini, il territorio, l’indipendenza. Sono convinta che gli Italiani siano all’ultima fase. Perché nessuno li difende. Silvio Berlusconi vuol salvare se stesso e s’è messo a praticare le larghe intese, che sono la fine della democrazia. Ha portato alla fine del suo partito, benché all’interno di Forza Italia ci fosse chi lo metteva sull’avviso. Beppe Grillo? All’inizio ci contavo, e invece… si barcamena pure lui: oggi dice una cosa, domani un’altra. Ecco, su di lui mi sono sbagliata. La selezione fatta sul web: errore clamoroso, mettendo insieme gente che non sa quello che fa, trapiantati dal nulla si trovano serviti e riveriti, con stipendi incredibili. Matteo Salvini? Forse ha delle idee, forse. Ma ha anche una presunzione tale che ralizzarle sarà difficile. Qui non si sono fatte le elezioni e, come ha dimostrato la Consulta, sono tutti illegittimi, compreso Giorgio Napolitano, che è stato eletto da quel Parlamento. E invece di preoccuparsi di legittimare, hanno tutti approfittato dello sgangheramento delle democrazia per cambiare la Costituzione a quattro mani.La riforma del Senato e del Titolo V: è fatta da un governo ignorante, nel senso che nessuno dei ministri di Renzi ha una competenze specifica per quello che è chiamato a fare. I politici di una volta venivano fuori dalle scuole della Dc e del Pci, facevano anni di commissioni interne e di governi ombra. Ora abbiamo un ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, che non è laureata: è umiliante per medici, ricercatori, biologi. Renzi è una persona furba, non intelligente. Che butta lì ogni tanto delle battute, un po’ sbruffone. E dicono che è il suo stile. Ma nessun capo di Stato fa cose simili. Per stare nel mondo di Bruxelles devi essere stupido, nel senso di essere obbediente alla lettera. Il progetto europeo punta a tenere al guinzaglio la Germania e quei paesi che sono il serbatoio della civiltà. Anche Renzi finge di essere indipendente. E non c’è nessun complotto, è tutto alla luce del sole.(Ida Magli, dichiarazioni rilasciate a Goffredo Pistelli per l’intervista “L’Europa è un continente inventato”, pubblicata da “Italia Oggi” il 27 dicembre 2014).C’è un’indifferenza a qualsiasi fatto che possa far ripensare a quello che hanno progettato. Sento citare di nuovo Romano Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica: il responsabile del nostro ingresso nella moneta unica. Oggi, con l’euro, siamo tutti più poveri. Ci arrabattiamo. L’Europa unita? Era un progetto sbagliato. L’Europa è giunta a essere quella che è per la storia delle varie nazioni che la compongono, che è storia di civiltà, di arte, di lingua. C’è un itinerario di identità dei singoli popoli e non si può sommare l’Italia con la Francia, l’Inghilterra con il Belgio. Ogni popolo la propria letteratura, la propria arte, la propria lingua. E che facciamo? Buttiamo Goethe? Perché Goethe non è europeo, è tedesco! Scrive in tedesco! Il punto è che non esisteva un’idea di Europa. Ho fatto tante ricerche ma non ho mai trovato il delinearsi di un popolo europeo. Fin dalle origini. Nemmeno nell’Impero Romano che era lo stesso a Parigi, a Londra, a Francoforte come a Roma, c’era questa idea. Semmai, appunto, potrebbe essere l’Italia a rivendicare qualcosa in questo senso. È che siamo governati da gente che ci disprezza e che è veramente fuori dalla storia.
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Tsipras come Monti: curare la Grecia col pareggio di bilancio
La Troika va trascinata in tribunale, perché i popoli europei – a partire da quello greco – siano finalmente risarciti delle atroci sofferenze loro inflitte dai “nani” tecnocratici di Bruxelles, la feroce casta filo-tedesca, neoliberista e mercantilista che ha trasformato l’Europa nel regno neo-feudale della crisi, minacciando l’intera economia mondiale. Aberrazioni spacciate per dogmi, da funzionari mediocri: gentaglia che in un’azienda sarebbe in grado, al massimo, di accendere e spegnere i computer. Si esprime in questi termini Alexis Tsipras, in vista del voto greco forse decisivo per il futuro dell’euro, senza però annunciare la chiara volontà di uscire dall’orrore della moneta unica che ha ridotto alla fame la Grecia e terremotato mezza Europa. Di più: a parole, il leader di Syriza si scaglia contro l’austerity. Ma non intende rinunciare neppure al più micidiale strumento di austerity imposto dall’Ue, il pareggio di bilancio. Incongruenze incomprensibili o ambigui tatticismi pre-elettorali, nel timore che i “mercati” facciano a pezzi la sinistra greca dopo il voto?Tspiras, scrive l’“Huffington Post”, ha sintetizzato il suo pensiero in un libro-intervista del giornalista Teodoro Andreadis Synghellakis, “Alexis Tsipras, La mia Sinistra”, stampato dalle edizioni Bordeaux con prefazione di Stefano Rodotà. Prima incoerenza: Tsipras annuncia che Syriza non intende tornare a una politica democratica basata sul deficit positivo, l’investimento dello Stato per i cittadini. Intoccabile, quindi, la mostruosità economica del pareggio di bilancio. «Il riuscire a proseguire tenendo come punto fermo il pareggio di bilancio è realmente un punto nodale della nostra strategia, perché ci dà la possibilità di trattare da una posizione di forza», sostiene Tsipras, secondo cui «pareggio di bilancio non significa, per forza, dover ricorrere all’austerità». Il leader della sinistra greca preferisce parlare di «giusta divisione dei vari pesi» e «redistribuzione vera, nel sostegno ai più deboli». Tradotto: la cintura resta stretta, ma le torture sociali andranno estese anche ai meno poveri. «La sinistra – dice Tsipras – non è arrivata sul proscenio per servire gli interessi dei potenti, ma per essere capace di attuare una politica socialmente giusta».Retorica a parte, Tsipras si dichiara fedele al suicidio economico programmato: col bilancio inchiodato al pareggio, lo Stato non spende un euro in più di quelli che riceve sotto forma di tasse, con un saldo per i cittadini pari a zero, quindi catastrofico. Tutto questo, per tenere a bada i mercati e disinnescare il ricatto dello spread. Non spendere per i cittadini, secondo Tsipras significa «limitare fortemente i bisogni di contrarre prestiti». Austerity pura, dunque, come Mario Monti? Tsipras ripete che la priorità è «rimettere in moto l’economia». Già, ma come? Più tasse o più spesa pubblica? Visto che Syriza non intende espandere la spesa per paura di Bruxelles e della Bce, non resta che una redistribuzione fiscale, destinata forse a incidere sulla società ma non certo sull’economia, che è al collasso. L’Europa teme il voto greco, e la prudenza di Tsipras è dichiarata: «Non intendiamo ricattare nessuno e non intendiamo neanche presentarci alla trattativa indossando una cintura esplosiva», dice il leader della sinistra ellenica, alludendo al negoziato per l’unica proposta – molto modesta – per la quale Syriza si candida: dilazionare semplicemente la liquidazione del debito.Eppure, nonostante il bassissimo profilo di Tsipras, secondo il filosofo Slavoj Zizek una vittoria di Syriza «darebbe la sveglia all’Europa». Tsipras conferma: «L’Europa è come un sonnambulo che sta procedendo verso il dirupo, e noi saremo la sveglia del sonnambulo». E come? Confermando il pareggio di bilancio? Tsipras resta ben incollato al grande diktat di Bruxelles, anche se sa benissimo che conduce alla rovina: «Credo che il modello “Sud in deficit e Nord in surplus” non costituisca un esempio attraente neanche per i popoli del Nord Europa. Presuppone, infatti, che gli stipendi debbano smettere di crescere per un tempo piuttosto lungo. Allo stesso tempo, questa logica di iper-accumulo della ricchezza (che viene accumulata nei risparmi ma non investita) costituisce un pericolo enorme per l’economia europea e per quella di tutto il mondo. Accumulando la ricchezza, si accumula la crisi che sarà destinata a scoppiare domani». Con questa strategia, aggiunge Tsipras, «l’Europa è destinata a non sfuggire al suo cammino recessivo: la recessione tornerà presto, e questo vuol dire che viene avvelenata l’acqua dell’economia di tutto il mondo. Vediamo, infatti, che l’Europa esporta recessione nel resto dell’economia mondiale e credo che sia proprio ciò che fa innervosire enormemente gli americani».Non dobbiamo scordarci, aggiunge il leader di Syriza, che «per riuscire ad affrontare la crisi, gli americani hanno seguito una politica economica totalmente diversa, una politica espansiva», cioè basata sull’incremento della massa monetaria e del deficit. E’ il tabù europeo che Syriza non osa infrangere, ben sapendo che a imporlo sono stati proprio i tecnocrati di Bruxelles: «La Grecia l’hanno rovinata e insistono nell’applicare le loro ricette distruttive». In altre parole: anche se Syriza non propone ricette per uscire dalla crisi e neppure dal cappio del rigore, limitandosi solo a una più equa ripartizione del peso sociale del disastro, secondo Tsipras la sola vittoria della sua sinistra in Grecia basterebbe a mettere paura ai padroni tedeschi dell’Europa, gli inventori dell’austerity, generando uno smottamento virtuoso in senso democratico. Tutto questo, senza osare alcunché: Syriza annuncia che non farà nulla per mettere in discussione l’impianto economico di Bruxelles, basato sui falsi dogmi di chi ha ideato e imposto la tragedia europea. Per contro, finora la sinistra greca non è stata “complice” dell’euro-sistema. Basta dunque questa sua estraneità a farne il salutare spauracchio di cui parla Zizek?La Troika va trascinata in tribunale, perché i popoli europei – a partire da quello greco – siano finalmente risarciti delle atroci sofferenze loro inflitte dai “nani” tecnocratici di Bruxelles, la feroce casta filo-tedesca, neoliberista e mercantilista che ha trasformato l’Europa nel regno neo-feudale della crisi, minacciando l’intera economia mondiale. Aberrazioni spacciate per dogmi, da funzionari mediocri: gentaglia che in un’azienda sarebbe in grado, al massimo, di accendere e spegnere i computer. Si esprime in questi termini Alexis Tsipras, in vista del voto greco forse decisivo per il futuro dell’euro, senza però annunciare la chiara volontà di uscire dall’orrore della moneta unica che ha ridotto alla fame la Grecia e terremotato mezza Europa. Di più: a parole, il leader di Syriza si scaglia contro l’austerity. Ma non intende rinunciare neppure al più micidiale strumento di austerity imposto dall’Ue, il pareggio di bilancio. Incongruenze incomprensibili o ambigui tatticismi pre-elettorali, nel timore che i “mercati” facciano a pezzi la sinistra greca dopo il voto?
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Jobs Act, fine del lavoro e di cent’anni di progresso in Italia
Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta. Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli Usa, la “seniority list”. Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori.In Italia non siamo così rigidi, ma il senso della regola è lo stesso. La 223 stabilisce che solo con un accordo sindacale controfirmato da una pubblica autorità si possa derogare ai criteri dell’anzianità e dei carichi familiari. Così son state definite con le aziende, da ultimo con Meridiana, le uscite dei più anziani, in grado di raggiungere la pensione con la indennità di mobilità. Se un’azienda prima del decreto Renzi avesse voluto fare licenziamenti indiscriminati di massa, avrebbe subìto un doppio danno. Avrebbe dovuto pagare consistenti penali e avrebbe rischiato la reintegra da parte di un giudice di tutti i dipendenti licenziati senza il rispetto di regole e procedure. Questo vincolo ha frenato i licenziamenti di massa, anche in una crisi senza precedenti come quella attuale. Ora viene tolto e le aziende potranno liberamente sbarazzarsi, per crisi e ragioni economiche, di lavoratrici e lavoratori che hanno l’articolo 18 e sostituirli con dipendenti precari a vita, pagati molto meno e per la cui assunzione riceveranno anche un consistente finanziamento pubblico.La portata reazionaria di questo decreto mostra tutta la malafede di un governo che sa perfettamente che la liberalizzazione dei licenziamenti non ha mai prodotto né mai produrrà un solo posto di lavoro aggiuntivo a quelli esistenti. Nessuno assume in più se non ha lavoro in più da far fare. Ma se viene offerta la possibilità di realizzare, a condizioni più che favorevoli, quello che le imprese chiamano il ricambio organico del personale, perché rifiutarla? Questo è lo scopo vero del Jobact: un gigantesco scambio di manodopera tra chi ha più e chi ha meno diritti e salario. Come più di cento anni fa, quando i braccianti venivano cacciati dalla terra che avevano coltivato, perché agrari e baroni reclutavano gente più povera disposta a subire condizioni peggiori. Non solo il Jobact non fa nulla contro la disoccupazione, ma anzi proprio per funzionare ha bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro, senza i quali le sue norme resterebbero lettera morta.Alla fine l’occupazione complessiva sarà ancora minore, come già sapientemente prevede la Confindustria, ma quella rimasta somiglierà molto di più a quella che lavora oggi in Cina rispetto a quella che aveva conquistato diritti e dignità in Italia. Le imprese rimaste festeggeranno per i maggiori profitti, mentre il lavoro sarà sottoposto alla schiavitù di un Medio Evo tecnologico. A questo punto non serve aggiungere altre parole. Ogni atto del governo Renzi rappresenta una coerente azione di restaurazione sociale. Non si colpisce solo il lavoro, ma la scuola, la sanità, i servizi pubblici, mentre si rafforzano le spese militari. Quando si interviene, come all’Ilva, lo si fa per permettere alle multinazionali cui verrà ceduta di risparmiare i costi del risanamento e degli investimenti. Tutte le riforme politiche proposte stravolgono principi e libertà costituzionali.Ma a questo punto continuare a rimproverare a Renzi e a Giorgio Napolitano, che ne è il primo sostegno, di fare quello che dichiarano di voler fare non serve a niente. Il governo Renzi è la personalizzazione della distruzione della Costituzione Repubblicana, è nato e opera per questo. Rappresenta una classe dirigente italiana che ha deciso che il sistema sociale e democratico del dopoguerra non possa più essere mantenuto, di fronte ai vincoli della Troika e della finanza globale. O si contestano quei vincoli, euro compreso, o si insegue il modello del capitalismo selvaggio senza vincoli. Renzi e Napolitano hanno scelto di essere fino in fondo fedeli esecutori di quei vincoli, per questo oggi son avversari di tutto ciò che nella storia italiana ha significato progresso sociale e democratico. Renzi e Napolitano hanno scelto e chi si oppone a questa loro scelta deve essere altrettanto intransigente e rigoroso. Altrimenti la coerenza reazionaria del governo sarà la sola devastante forza in campo.(Giorgio Cremaschi, “Il Jobs Act e la coerenza reazionaria del governo Renzi”, da “Micromega” del 30 dicembre 2014).Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta. Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli Usa, la “seniority list”. Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori.
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Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello
Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.“Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.(“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
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Praticamente mezzo paese, un noir sull’Italia che affonda
L’assassino non è il maggiordomo, è il sindaco. O il braccio destro dell’ex vicesindaco. O la moglie, l’amante, l’ex prostituta, la figlia che non studia e non lavora. L’assassino è il figliolo trascurato, il becchino mezzo matto, il barista di uno qualsiasi dei 41 bar che affollano il centro storico. La lista dei sospettati è sterminata. “Praticamente mezzo paese”, per dirla con Elisa Bevilacqua, che – al suo libro d’esordio – tratteggia una provincia italiana molto riconoscibile, a tratti opulenta, sfigurata dal cemento ma non ancora dalla crisi, nella perdurante illusione che il futuro possa dipendere davvero da un piano regolatore, dai favori elargiti in modo clientelare, da una licenza frettolosamente accordata a una inquinante “fabbrica” di polli in batteria. C’è anche il morto, naturalmente. Agiato, mediamente colto e politicamente moderato, piccolo campione di una middle class piemontese periferica e residuale, quella che convive da anni coi “marziani” NoTav della valle di Susa senza ancora aver capito veramente chi sono, per cosa lottano, in nome di quale universo civile tentano di battersi, con l’anima offesa di chi si sente tradito nella sua semplice vocazione di cittadino.Di altri analoghi tradimenti racconta “Praticamente mezzo paese”, che in 160 pagine dipana una trama avvolgente, senza cadute di ritmo, che attorno all’indagine strapaesana sulla tragica dipartita dell’ex vicesindaco, ucciso alla vigilia delle elezioni, mette in scena la strana alleanza tra un solitario capitano dei carabinieri, laconico per indole e per ufficio, e una giovane giornalista precaria e chiacchierona, in possesso del vasto background sul malaffare che regna nella cittadina, così prezioso per illuminare il terreno di caccia in tempo utile. Si tenta infatti di risolvere il caso in extremis, prima del voto, per restituire al rito elettorale il suo sacro potere democratico, quello del microcosmo che si autogoverna scegliendo direttamente i propri rappresentanti. E qui la narrazione si inoltra in una galleria di piccoli orrori tristemente casalinghi, fatta di lusinghe e minacce, ritorsioni, prebende e tangenti, nel grigio orizzonte dell’assalto edilizio che ha ridotto il verde territorio prealpino a un labirinto di villette a schiera “color giallo Paperopoli”, arricchendo una casta di privilegiati quasi mai in regola con la legge.Se ne accorge ben presto il capitano, che cerca un assassino e invece inciampa di continuo in nient’altro che piccoli predatori, occupati soltanto a mettere in salvo il proprio conto corrente e non l’ospedale, declassato per colpa di quella che ancora non si chiamava “spending review” ma già minava la sopravvivenza di una provincia fino a ieri prospera, e oggi presidiata quasi solo da palazzinari e baristi, senza trascurare le parrucchiere a cui le signore ricorrono per “essere in quadro” nei giorni di festa. Un Piemonte italianissimo e sfregiato da una modernità farlocca, dalla caricatura del marketing territoriale tenuto in piedi dalle ricette della nonna, mentre qualcuno uccide un candidato alle elezioni – non un eroe, un italiano normale – sulla cui morte si scatena l’ignobile speculazione dei concorrenti. Brutto spettacolo: ai veterani, con alle spalle anni di malversazioni alla corte del Feudatario, il “sindaco sempiterno”, si oppongono esordienti già accecati dall’ambizione e dalla presunzione.Il sistema è marcio, dice Elisa Bevilacqua, che provvede a irrigare di abbondante ironia il suo noir patriottico sullo stato delle cose, senza mai allontanarsi dalle procedure di un’indagine che mette a nudo la fragilità inconfessabile dietro alla quale si nasconde la normalità quotidiana dei discorsi ufficiali, quelli a cui tutti fingono ancora di credere, danzando su un Titanic in tricolore. Il sistema è marcio, quindi è debole: chiunque potrà farne un sol boccone. Ed è esattamente quello che sta accadendo, all’Italia tutta. Per fortuna, il poco che resta vale molto: l’affetto, i sentimenti, i legami familiari. La dedizione alla verità, che la giovane giornalista ha pagato di persona, anche con la perdita del posto di lavoro. E l’integrità di uomini silenziosi come l’ufficiale dei carabinieri. Si cercano, si trovano. In fondo, li accomuna la stessa nostalgia per un’Italia migliore: che entrambi hanno conosciuto, almeno per sentito dire.(Il libro: Elisa Bevilacqua, “Praticamente mezzo paese”, edizioni Graffio, 160 pagine, euro 13,50).L’assassino non è il maggiordomo, è il sindaco. O il braccio destro dell’ex vicesindaco. O la moglie, l’amante, l’ex prostituta, la figlia che non studia e non lavora. L’assassino è il figliolo trascurato, il becchino mezzo matto, il barista di uno qualsiasi dei 41 bar che affollano il centro storico. La lista dei sospettati è sterminata. “Praticamente mezzo paese”, per dirla con Elisa Bevilacqua, che – al suo giallo d’esordio – tratteggia una provincia italiana molto riconoscibile, a tratti opulenta, persino comica, sfigurata dal cemento ma non ancora dalla crisi, nella perdurante illusione che il futuro possa dipendere davvero da un piano regolatore, dai favori elargiti in modo clientelare, da una licenza frettolosamente accordata a una inquinante “fabbrica” di polli in batteria. C’è anche il morto, naturalmente. Agiato, mediamente colto e politicamente moderato, piccolo campione di una middle class piemontese periferica e residuale, come quella che convive da anni coi “marziani” NoTav della valle di Susa senza ancora aver capito veramente chi sono, per cosa lottano, in nome di quale universo civile tentano di battersi, con l’anima offesa di chi si sente tradito nella sua semplice vocazione di cittadino.
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Il paradiso di Severgnini, questo falso Occidente criminale
È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).E poco importa se questi movimenti hanno storie e radici socioculturali diverse nelle diverse situazioni, tanto ormai si può giocare sul luogo comune di un Islam radicale globalizzato e omologato che esiste solo nell’imaginario dei media del “mondo libero” (salvo poi dover fare i salti mortali come in Siria, dove il mostro Bashar al-Assad e i “terroristi” del Pkk curdo vengono ora considerati alleati nella lotta contro i super mostri dell’Isis). Subito dopo la “cleptocrazia” di Putin che tenta di “riesumare la Grande Russia” aggredendo l’Ucraina; e qui – a parte la faccia tosta di definire cleptocrazia il regime russo quando si è cittadini della nazione più corrotta del mondo, come hanno appena dimostrato gli scandali Mose, Expo e Roma Mafia – c’è una palese inversione della realtà storica, visto che ad assediare la Russia e a tentare di colonizzare i paesi ex comunisti dell’Est Europa è stato semmai, dopo il 1989, proprio il “mondo libero” occidentale.Infine l’eterno, ridicolo (per la sua irrilevanza geopolitica) bersaglio di Pyongyang, un regime da operetta che viene presentato come una terribile minaccia per la libertà, solo per avere orchestrato alcuni attacchi informatici contro la Sony, che ha prodotto un film satirico in cui si dileggia il regime nordcoreano (nel mondo libero non si censura: ci si limita a nascondere al pubblico la verità, come hanno dimostrato le rivelazioni di Assange e Snowden, i quali, per avere rovinato l’immacolata immagine dei campioni della libera informazione, sono ora costretti a vivere in esilio). Questi “nuovi Erode” possono farci paura, tuona Severgnini, ma non si illudano: essi non possono vincere; a vincere saremo noi, il mondo libero occidentale, e lo faremo con la forza delle idee e non con la violenza (peccato che sulla testa delle centinaia di migliaia di civili massacrati in Iraq e in Afghanistan, per tacere delle tante altre guerre combattute in nome della libertà, siano piovute bombe e non idee). Ma vediamo quali sono queste idee vincenti.Pace (abbiamo appena accennato ai virtuosi massacri spacciati per guerre umanitarie); benessere (la crisi iniziata nel 2008 ha svelato la realtà di un mondo in cui le disuguaglianze sono tornate ai livelli dell’800 e dove all’arricchimento smisurato di un pugno di esponenti dell’alta finanza corrisponde l’immiserimento di milioni di cittadini comuni); istruzione (vogliamo parlare dei costi di un’istruzione superiore che torna ad essere appannaggio di ristrette élite?); tolleranza (quella di un paese “libero” come gli Stati Uniti, dove migliaia di cittadini di colore disarmati vengono assassinati da poliziotti che non solo non rischiano di essere incriminati ma conservano anche il posto?), rispetto per le donne (anche se dietro la retorica del politically correct si nasconde la realtà di un lavoro femminile che continua a essere sottopagato, per tacere dei femminicidi perpetrati nelle normali famiglie borghesi).Che dire poi della presunta superiorità del mercato garante di libertà e democrazia: finché dovremo ancora ascoltare questa baggianata? È vero che è passato molto tempo da quando i regimi nazifascisti si sono dimostrati del tutto compatibili con il libero mercato, ma oggi, con la Cina totalitaria che si avvia a diventare la maggiore potenza capitalistica mondiale, siamo di fronte a una smentita ancora più clamorosa. Insomma, se questi sono i suoi “valori”, allora non solo è possibile che l’Occidente perda, ma si può dire che ha già perso, perché di quei valori non ne è rimasto in piedi nemmeno uno: a combattere i “nuovi Erode” non c’è Gesù, ma un vecchio Erode non meno feroce dei suoi nemici. Eppure, scrive Severgnini, i migranti rischiano ancora la vita in mare «per un pasto, un letto, un ospedale, una strada in cui non bisogna tremare di paura davanti a un poliziotto». Rischiano la vita perché a casa loro crepano di fame, ma qui, più che pasti, letti e ospedali, trovano squallidi ghetti assediati da folle razziste (do you remember Tor Sapienza?) e, se non subiscono passivamente qualsiasi angheria, o se sono “irregolari”, tremano eccome davanti a un poliziotto.Alla fine, quasi prevedendo le sarcastiche obiezioni avanzate in questo articolo, Severgnini le rintuzza con il solito refrain: «Eppure il mondo ci riconosce che, per adesso, non s’è inventato niente di meglio della democrazia e del mercato». È l’argomento con cui il pensiero unico neoliberista cerca di legittimare, sia pure con argomenti di basso profilo (“in fondo non abbiamo niente di meglio”), la propria egemonia culturale. Ed è proprio sul piano culturale, prima ancora che su quello politico, che occorre lavorare per smontarlo, come alcuni (non moltissimi purtroppo) cercano di fare. Uno di questi era Hosea Jaffe, un economista sudafricano morto qualche giorno fa in Italia, dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita. Marxista eretico (i marxisti ufficiali non gli perdonavano di avere rinfacciato alle sinistre occidentali la loro complicità con il colonialismo), iconoclasta fino ad accusare gli stessi Marx ed Engels di eurocentrismo non senza venature razziste, Jaffe è stato in prima fila nelle lotte contro diversi regimi coloniali e neocoloniali africani, e si è battuto perché partiti e sindacati occidentali riconoscessero che parte delle loro conquiste salariali e sociali erano finanziate dal supersfruttamento dei popoli del Terzo Mondo.Oggi le sue idee trovano una sia pure parziale applicazione nelle lotte di quei movimenti sudamericani, africani e asiatici che hanno cominciato a capire di doversi inventare un’alternativa globale al “mondo libero”. Possiamo solo sperare che lavorino abbastanza in fretta per impedire che la rabbia dei milioni di disperati esclusi dai nostri “paradisi” trovi rappresentanza solo da parte dei nuovi Erode di cui sopra. Senza dimenticare che quella rabbia inizia a montare anche qui e, in assenza di un’alternativa di sinistra credibile, rischia di imboccare la strada che aveva imboccato negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, una strada in fondo alla quale ci aspetterebbero orrori peggiori di quelli che oggi inquietano i sogni dei pacifici borghesi occidentali.(Carlo Formenti, “Severgnini e la vecchia retorica del mondo libero contro l’impero del male”, da “Micromega” del 22 dicembre 2014).È ancora possibile, a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino, ridurre i conflitti che agitano il mondo globale a una contrapposizione bipolare fra “il mondo libero” (appellativo classicamente riferito – ça va sans dire – all’Occidente) e un “impero del male” che (venuto a mancare lo spettro del comunismo) viene ora identificato con un variegato schieramento di “mostri” cui si tenta di attribuire un’improbabile identità comune? Sembrerebbe un’azzardata operazione retrò, ma ciò non ha impedito a Beppe Severgnini di provarci sulle pagine del “Corriere della Sera”. Vediamo in primo luogo come Severgnini – emulo del Dottor Frankenstein – cerca di costruire la figura di un grande Nemico assemblando pezzi eterogenei di movimenti e Stati “canaglia” (“i nuovi Erode”). In cima alla lista, prevedibilmente, i movimenti integralisti islamici sparsi per il mondo (Iraq, Siria, Nigeria, Pakistan, stranamente manca l’Afghanistan).
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Galloni: nuova Norimberga, per punire i criminali della crisi
Mentre la situazione economica e politica internazionale va deteriorandosi, nonostante le ottime prospettive di crescita di importanza dei Brics, si stanno prospettando soluzioni e proposte pericolose, nel senso del conflitto con l’interesse all’evoluzione positiva e pacifica del genere umano (oggi e ieri minacciata dalle follie di eliminazione della spesa pubblica e di privatizzazione anche di ciò che è bene non dipenda dalla condizione finanziaria dei singoli, come la sanità, la formazione, la sicurezza, l’acqua, l’aria e via dicendo): c’è chi prospetta un ritorno all’oro dopo che il dollaro tracollasse o chi propone una riserva del 100% per le banche; ma stanno emergendo anche i nuovi “gattopardi” che – persino in nome dell’abbattimento dell’euro – propugnano tesi che, nel recente passato, non hanno mai condiviso. Sia chiaro: quello che è stato compiuto o avallato in questi ultimi trentacinque anni (indebolimento degli Stai nazionali, macelleria sociale, impoverimento e depredamento della popolazione) sono crimini contro l’umanità che, come tali, dovranno essere affrontati.Una nuova Norimberga, in altri termini, appare proponibile, onde evitare che in un domani sempre più prossimo, ognuno dei responsabili di questi crimini possa dire quanto condivide il cambiamento e quanto è lontano dal presente e dal passato recente. Oggi, in Italia, ad esempio, siamo 60 milioni (dove sono i demografi che pochi decenni fa prevedevano, per il presente, una popolazione sotto i 55 milioni?); di questi, circa 20 milioni versano in miseria, altri 20 milioni arrivano con difficoltà a fine mese ed il restante – pur tendendo a diminuire – riesce a riempire cinema e ristoranti, col risultato di far sottovalutare la gravità dell’attuale crisi. Più si taglia la spesa pubblica per ridurre le tasse (la cui pressione è eccessiva, per chi le paga) e più si riduce il Pil; col risultato che, poi, mancano le risorse per tagliare le tasse: si bloccano i contratti dei pubblici dipendenti ed il loro turn over col risultato che peggiorano e diminuiscono i servizi essenziali e, quindi, la gente – oltre le tasse – deve spendere di più, impoverendosi, per mandare i figli a scuola o curarsi o viaggiare.Però, se si tagliano le spese per ridurre le tasse e si ottiene l’esatto contrario, una ragione forse c’è: i debitori (famiglie, imprese e Stati) devono stare sempre peggio, perché l’attuale modello economico si basa non sulla redditività finanziaria, ma sul numero delle emissioni dei titoli (derivati, derivati su derivati, titoli tossici di tutti i tipi) e, quindi, meno i debitori potranno ripagare i loro impegni e maggiore sarà l’accelerazione delle emissioni derivate. In tutto, ciò la gente muore, le imprese muoiono, gli Stati muoiono… cosa si aspetta?(Antonino Galloni, “Perché è necessaria una nuova Norimberga”, da “Formiche.net” del 2 dicembre 2014).Mentre la situazione economica e politica internazionale va deteriorandosi, nonostante le ottime prospettive di crescita di importanza dei Brics, si stanno prospettando soluzioni e proposte pericolose, nel senso del conflitto con l’interesse all’evoluzione positiva e pacifica del genere umano (oggi e ieri minacciata dalle follie di eliminazione della spesa pubblica e di privatizzazione anche di ciò che è bene non dipenda dalla condizione finanziaria dei singoli, come la sanità, la formazione, la sicurezza, l’acqua, l’aria e via dicendo): c’è chi prospetta un ritorno all’oro dopo che il dollaro tracollasse o chi propone una riserva del 100% per le banche; ma stanno emergendo anche i nuovi “gattopardi” che – persino in nome dell’abbattimento dell’euro – propugnano tesi che, nel recente passato, non hanno mai condiviso. Sia chiaro: quello che è stato compiuto o avallato in questi ultimi trentacinque anni (indebolimento degli Stai nazionali, macelleria sociale, impoverimento e depredamento della popolazione) sono crimini contro l’umanità che, come tali, dovranno essere affrontati.