Archivio del Tag ‘seconda guerra mondiale’
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Luciano Canfora: attacco alla Costituzione, una lunga storia
L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952). Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).Come si vede, sin da allora l’attacco alla Costituzione e alla legge elettorale proporzionale (la sola che rispetti l’articolo 48 della Costituzione, che sancisce il «voto uguale») andavano di pari passo. Pochi mesi dopo, alla ripresa dell’attività parlamentare fu posto in essere il progetto di legge elettorale (scritta da Scelba e dall’ex-fascista Tesauro, rettore a Napoli e ormai parlamentare democristiano) che è passata alla storia come «legge truffa». Imposta, contro l’ostruzionismo parlamentare, da un colpo di mano del presidente del senato Meuccio Ruini, quella legge fu bocciata dagli elettori, il cui voto (il 7 giugno 1953) non fece scattare il cospicuo «premio di maggioranza» previsto per i partiti «apparentati». L’istanza di cambiare la Costituzione al fine di dare più potere all’esecutivo divenne poi, per molto tempo, la parola d’ordine della destra, interna ed esterna alla Dc, spalleggiata dal movimento per la «Nuova Repubblica» guidato da Randolfo Pacciardi (repubblicano poi espulso da Pri), postosi in pericolosa vicinanza – nonostante il suo passato antifascista – con i vari movimenti neofascisti, che una «nuova Repubblica» appunto domandavano.La sconfitta della «legge truffa» alle elezioni del 1953 mise per molto tempo fuori gioco le spinte governative in direzione delle due riforme care alla destra: cambiare la Costituzione e cambiare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale. Che infatti resse per altri 40 anni. Quando, all’inizio degli anni Novanta, la sinistra, ansiosa di cancellare il proprio passato, capeggiò il movimento – ormai agevolmente vittorioso – volto ad instaurare una legge elettorale maggioritaria, il colpo principale alla Costituzione era ormai sferrato. Ammoniva allora, inascoltato, Raniero La Valle che cambiare legge elettorale abrogando il principio proporzionale significava già di per sé cambiare la Costituzione. (Basti pensare, del resto, che, con una rappresentanza parlamentare truccata grazie alle leggi maggioritarie, gli articoli della Costituzione che prevedono una maggioranza qualificata per decisioni cruciali perdono significato). Ma la speranza della nuova leadership di sinistra (affossatasi più tardi nella scelta suicida di assumere la generica veste di partito democratico) era di vincere le elezioni al tavolo da gioco. Oggi è il peggior governo che l’ex-sinistra sia stata capace di esprimere a varare, a tappe forzate e a colpi di voti di fiducia, entrambe le riforme: quella della legge elettorale, finalmente resa conforme ad un tavolo da poker, e quella della Costituzione.Ma perché, e in che cosa, la Costituzione varata alla fine del 1947 dà fastidio? Si sa che la destra non l’ha mai deglutita, non solo per principi fondamentali (e in particolare per l’articolo 3) ma anche, e non meno, per quanto essa sancisce sulla prevalenza dell’«utilità sociale» rispetto al diritto di proprietà (agli articoli 41 e 42). Più spiccio di altri, Berlusconi parlava – al tempo suo – della nostra Costituzione come di tipo «sovietico»; il 19 agosto 2010 il “Corriere della Sera” pubblicò un inedito dell’appena scomparso Cossiga in cui il presidente-gladiatore definiva la nostra costituzione come «la nostra Yalta». E sullo stesso giornale il 12 agosto 2003 il solerte Ostellino aveva richiesto la riforma dell’articolo 1 a causa dell’intollerabile – a suo avviso – definizione della Repubblica come «fondata sul lavoro». E dieci anni dopo (23 ottobre 2013) tornava alla carica (ma rimbeccato) chiedendo ancora una volta la modifica del nostro ordinamento: questa volta argomentando «che nella stesura della prima parte della Costituzione – quella sui diritti – ebbe un grande ruolo Palmiro Togliatti, l’uomo che avrebbe voluto fare dell’Italia una democrazia popolare sul modello dell’Urss». Di tali parole non è tanto rimarchevole l’incultura storico-giuridica quanto commovente è il pathos, sia pure mal riposto.Dà fastidio il nesso che la Costituzione, in ogni sua parte, stabilisce tra libertà e giustizia. Dà fastidio – e lo lamentano a voce spiegata i cosiddetti «liberali puri» convinti che finalmente sia giunta la volta buona per il taglio col passato – che la nostra Costituzione sancisca oltre ai diritti politici i diritti sociali. Vorrebbero che questi ultimi venissero confinati nella legislazione ordinaria, onde potersene all’occorrenza sbarazzare a proprio piacimento, come è accaduto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La coniugazione di libertà e giustizia era già nei principi generali della Costituzione della prima Repubblica francese (1793): «La libertà ha la sua regola nella giustizia». Ed è stata poi presente nelle costituzioni – italiana, francese della IV Repubblica, tedesca – sorte dopo la fine del predominio fascista sull’Europa: fine sanguinosa, cui i movimenti di resistenza diedero un contributo che non solo giovò all’azione degli eserciti (alleati e sovietico) ma che connotò politicamente quella vittoria. Nel caso del nostro paese, è ben noto che l’azione politico-militare della Resistenza fu decisiva per impedire che – secondo l’auspicio ad esempio di Churchill – il dopofascismo si risolvesse nel mero ripristino dell’Italia prefascista magari serbando l’istituto monarchico.La grande sfida fu, allora, di attuare un ordinamento, e preparare una prassi, che andassero oltre il fascismo: che cioè tenessero nel debito conto le istanze sociali che il fascismo, pur recependole, aveva però ingabbiato, d’intesa coi ceti proprietari, nel controllo autoritario dello Stato di polizia, e sterilizzato con l’addomesticamento dei sindacati. La sfida che ebbe il fulcro politico-militare nell’insurrezione dell’aprile ‘45 e trovò forma sapiente e durevole nella Costituzione consisteva dunque – andando oltre il fascismo – nel coniugare rivoluzione sociale e democrazia politica. Perciò Calamandrei parlò, plaudendo, di «Costituzione eversiva» (1955), e perciò la vita contrastata di essa fu regolata dai variabili rapporti di forza della lunga «guerra fredda» oltre che dalle capacità soggettive dei protagonisti. C’è un abisso tra Palmiro Togliatti e il clan di Banca Etruria. Va da sé che l’estinguersi dei «socialismi» con la conseguente deriva in senso irrazionalistico-religioso delle periferie interne ed esterne all’Occidente illusoriamente vittorioso hanno travolto il quadro che s’è qui voluto sommariamente delineare. La carenza di statisti capaci e la autoflagellazione della fu sinistra non costituiscono certo il terreno più favorevole alla pur doverosa prosecuzione della lotta.(Luciano Canfora, “Attacco alla Costituzione, una lunga storia”, da “Il Manifesto” del 24 aprile 2015).L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952). Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).
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Mervyn King: uscite dall’euro, è l’Ue che ha fabbricato la crisi
Il profondo malessere economico dell’Europa è il risultato di scelte politiche “deliberate” fatte dalle élite europee, secondo l’ex governatore della Banca d’Inghilterra. Lord Mervyn King ha continuato il suo caustico attacco all’Unione economica e monetaria dell’Europa, dopo aver predetto che l’Eurozona afflitta dai problemi dovrà essere smantellata per liberare i suoi membri più deboli da austerità incessante e livelli record di disoccupazione. Parlando in occasione del lancio del suo nuovo libro, Lord King ha detto che non avrebbe mai potuto immaginare che un collasso economico dell’intensità degli anni ’30 sarebbe ritornato sui lidi europei in età moderna. Ma il destino della Grecia – che ha subito una contrazione che eclissa la depressione degli Stati Uniti negli anni tra le due guerre – dal 2009 è stato un esempio “spaventoso” del fallimento della politica economica, ha detto al pubblico presso la London School of Economics. «Nell’area dell’euro, i paesi della periferia non possono fare assolutamente nulla per compensare l’austerità. E’ stato semplicemente chiesto loro di tagliare la spesa totale, senza alcuna forma di compensazione per la domanda. Credo che sia un problema serio».«Non avrei mai immaginato che avremmo di nuovo avuto una depressione più profonda di quella che gli Stati Uniti hanno sperimentato negli anni ’30 in un paese industrializzato e questo è quello che è successo in Grecia. E ‘spaventoso ed è successo quasi come fosse un atto deliberato di politica, cosa che lo rende ancora peggiore». Lord King – che ha trascorso un decennio nella Banca d’Inghilterra a combattere la peggiore crisi finanziaria della storia – ha detto che i membri più deboli della zona euro non hanno altra scelta che tornare alle loro monete nazionali come «l’unico modo per tracciare un percorso di ritorno alla crescita economica e alla piena occupazione». “I benefici a lungo termine contano più dei costi a breve termine”, scrive in “The End of Alchemy”, il suo ultimo libro. L’ex governatore della banca ha detto che è probabile che la disillusione popolare sulle politiche economiche dell’Ue porti alla disintegrazione della moneta unica, piuttosto che ad un altro passo per “completare” l’unione monetaria.Due delle nazioni debitrici della zona euro – Irlanda e Spagna – sono attualmente bloccate in una fase di stallo elettorale dopo che i loro governi pro-salvataggi non sono riusciti ad ottenere l’appoggio degli elettori. Ma la Commissione Europea si è difesa dalle accuse secondo le quali le punitive misure di austerità hanno reso ineleggibili i governi europei in carica, sostenendo che la politica economica di Bruxelles rappresenta un “triangolo virtuoso” di austerità, riforme strutturali e investimenti. Al di fuori dell’Eurozona, Lord King ha messo in guardia contro l’eccessivo pessimismo sulle prospettive a lungo termine per l’economia mondiale, respingendo la tesi della “stagnazione secolare” resa popolare negli ultimi anni da economisti del calibro del segretario al Tesoro degli Usa Larry Summers. Ha detto che è stato un “grave errore” credere che la produttività – che è rimasta piatta in tutto il mondo sviluppato dall’inizio della crisi – non tornerà a crescere perché lo sviluppo tecnologico si è esaurito: al contrario, l’attuale ondata di nuove ricerche e di innovazione significa che il 21° secolo sarà il «secolo d’oro della scoperta scientifica».«Non vedo assolutamente alcuna ragione per supporre che poiché abbiamo avuto una crisi bancaria e una recessione [le idee, l’innovazione e l’imprenditorialità] sono definitivamente scomparse. Non lo sono e sono in attesa di riprendersi. Il pensiero che tutte queste idee non riusciranno ad avere influssi pratici nel migliorare i nostri standard di vita sembra straordinariamente pessimista, qualcosa che non ha di fatto alcun fondamento nel corso degli ultimi 250 anni di crescita economica». Il libro di Lord King delinea una critica degli squilibri endemici che hanno afflitto l’economia globale negli ultimi decenni. Il fallimento nell’affrontare le disparità tra alti tassi di risparmio e alti tassi di spesa in parti diverse del mondo potrebbe portare i decisori politici a camminare come sonnambuli verso un’altra crisi, ha avvertito. Nel frattempo, le politiche delle banche centrali tese ad aumentare i livelli di domanda e ad incoraggiare la spesa sono state risposte necessarie ma non sufficienti al malessere della crescita del mondo, «guadagnando soltanto tempo» per i decisori politici. «Dobbiamo usare questo tempo per muovere le economie dal loro attuale disequilibrio in un nuovo equilibrio in cui vi è un giusto bilanciamento tra spesa e risparmio, esportazioni e consumo», ha detto. «Solo allora potremo raggiungere una rapida crescita, e l’inflazione stabile. Questo è il premio. Credo che ce la possiamo fare».(Mehreen Khan, “L’euro-depressione è una scelta intenzionale della Ue, secondo l’ex governatore della Bank of England”, dal “Telegraph” del 1° marzo 2016, ripreso da “Voci dall’Estero”).Il profondo malessere economico dell’Europa è il risultato di scelte politiche “deliberate” fatte dalle élite europee, secondo l’ex governatore della Banca d’Inghilterra. Lord Mervyn King ha continuato il suo caustico attacco all’Unione economica e monetaria dell’Europa, dopo aver predetto che l’Eurozona afflitta dai problemi dovrà essere smantellata per liberare i suoi membri più deboli da austerità incessante e livelli record di disoccupazione. Parlando in occasione del lancio del suo nuovo libro, Lord King ha detto che non avrebbe mai potuto immaginare che un collasso economico dell’intensità degli anni ’30 sarebbe ritornato sui lidi europei in età moderna. Ma il destino della Grecia – che ha subito una contrazione che eclissa la depressione degli Stati Uniti negli anni tra le due guerre – dal 2009 è stato un esempio “spaventoso” del fallimento della politica economica, ha detto al pubblico presso la London School of Economics. «Nell’area dell’euro, i paesi della periferia non possono fare assolutamente nulla per compensare l’austerità. E’ stato semplicemente chiesto loro di tagliare la spesa totale, senza alcuna forma di compensazione per la domanda. Credo che sia un problema serio».
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Pilger: Terza Guerra Mondiale, solo Trump non la vuole
Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.Al mio ritorno, fermandomi all’aeroporto di Honolulu notai una rivista americana chiamata “Women’s Health”. Sulla copertina c’era una donna sorridente in bikini, e il titolo: “Anche voi, potete avere un corpo da bikini”. Pochi giorni prima, nelle Isole Marshall, avevo intervistato donne che hanno avuto “corpi da bikini” molto diversi; ognuna di loro soffriva di cancro alla tiroide e di altri tumori mortali. A differenza della donna sorridente sulla rivista, tutte erano povere: vittime e cavie umane di una superpotenza rapace che oggi è più pericolosa che mai. Racconto questa mia esperienza come avvertimento e per interrompere una confusione che ha stremato tanti di noi. Il fondatore della propaganda moderna, Edward Bernays, descrisse questo fenomeno come «la manipolazione consapevole e intelligente di abitudini e opinioni» delle società democratiche. Lo chiamò un «governo invisibile». Quante sono le persone consapevoli del fatto che una guerra mondiale è cominciata? Per il momento si tratta di una guerra di propaganda, di menzogne, di distrazione, ma tutto ciò può cambiare istantaneamente con il primo ordine sbagliato, con il primo missile.Nel 2009, il presidente Obama si trovava davanti ad una folla adorante nel centro di Praga, nel cuore dell’Europa. Lì si impegnò a rendere il mondo «libero da armi nucleari». La gente lo applaudì e alcuni piansero. Un torrente di banalità fluì da parte dei media. Successivamente, ad Obama fu assegnato il premio Nobel per la Pace. Era tutto falso. Stava mentendo. L’amministrazione Obama ha costruito più armi nucleari, più testate nucleari, più sistemi di distribuzione nucleari, più fabbriche nucleari. La sola spesa per le testate nucleari è cresciuta di più sotto Obama che sotto ogni altro presidente americano. Spalmato su trent’anni, il costo supera il trilione di dollari. Si sta pianificando la fabbricazione di una mini-bomba nucleare. È conosciuta come la B61 Modello 12. Non c’è mai stato nulla di simile. Il generale James Cartwright, un ex vice presidente del Joint Chiefs of Staff, ha detto: «Facendolo più piccolo [rende l'utilizzo di questo ordigno nucleare] un’arma più plausibile».Negli ultimi diciotto mesi, il più grande accumulo di forze militari dalla Seconda Guerra Mondiale – pianificato dagli Stati Uniti – si sta attuando lungo la frontiera occidentale della Russia. È dai tempi dell’invasione di Hitler all’Unione Sovietica che la Russia non subisce una minaccia tanto evidente da parte di truppe straniere. L’Ucraina – un tempo parte dell’Unione Sovietica – è diventata un parco a tema della Cia. Dopo aver orchestrato un colpo di stato a Kiev, Washington controlla effettivamente un regime che è vicino e ostile alla Russia: un regime letteralmente infestato da nazisti. Parlamentari ucraini di spicco sono i diretti discendenti politici dei famigerati fascisti dell’Oun e dell’Upa. Inneggiano apertamente a Hitler e chiedono l’oppressione e l’espulsione della minoranza di lingua russa. Raramente questo fa notizia in Occidente, o la si inverte per sopprimere la verità. In Lettonia, Lituania ed Estonia – alle porte della Russia – l’esercito americano sta schierando truppe da combattimento, carri armati, armi pesanti. Di questa estrema provocazione alla seconda potenza nucleare del mondo non si parla in Occidente.Quello che rende la prospettiva di una guerra nucleare ancora più pericolosa è una campagna parallela contro la Cina. Sono rari i giorni in cui la Cina non raggiunge il rango di “minaccia”. Secondo l’ammiraglio Harry Harris, comandante della flotta statunitense nel Pacifico, la Cina sta «costruendo un grande muro di sabbia nel Mar Cinese Meridionale». Ciò a cui fa riferimento è che la Cina sta approntando piste di atterraggio nelle Isole Spratly, che sono oggetto di un contenzioso con le Filippine – una controversia senza priorità fino a quando Washington non fece pressioni corrompendo il governo di Manila, mentre il Pentagono ha lanciato una campagna di propaganda chiamata “libertà di navigazione”. Cosa significa tutto ciò, in realtà? Significa che le navi da guerra americane hanno la libertà di pattugliare e dominare le acque costiere della Cina. Provate ad immaginare la reazione americana se navi da guerra cinesi facessero la stessa cosa al largo della costa della California.Ho girato un film intitolato “La Guerra che non vedete”, in cui ho intervistato illustri giornalisti in America e in Gran Bretagna: reporter del calibro di Dan Rather della “Cbs”, Rageh Omaar della “Bbc”, David Rose dell’“Observer”. Tutti hanno detto che se i giornalisti e le emittenti mediatiche avessero fatto il loro dovere e messo in discussione la propaganda che asseriva che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa, e se le bugie di George W. Bush e Tony Blair non fossero state amplificate e riportate dai giornalisti, l’invasione dell’Iraq nel 2003 non sarebbe avvenuta, e centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sarebbero ancora vivi, oggi. In linea di principio la propaganda che sta preparando il terreno per una guerra contro la Russia e/o la Cina non è diversa. Per quanto ne so io, nessun giornalista occidentale tra i più quotati – uno come Dan Rather, per dire – chiede perché la Cina sta costruendo piste di atterraggio nel Mar Cinese Meridionale.La risposta dovrebbe essere palesamente ovvia. Gli Stati Uniti stanno circondando la Cina con una rete di basi con missili balistici, gruppi d’assalto, bombardieri armati di testate nucleari. Questo arco letale si estende dall’Australia alle isole del Pacifico, le Marianne e le Marshall e Guam nelle Filippine, quindi in Thailandia, a Okinawa, in Corea e in tutta l’Eurasia, in Afghanistan e in India. L’America ha appeso un cappio intorno al collo della Cina. Ma questo non fa notizia. Il silenzio dei media è guerra tramite i media. In tutta segretezza, nel 2015, gli Stati Uniti e l’Australia hanno inscenato la più grande esercitazione militare “aria-mare” della storia recente, chiamata “Talisman Sabre”. Lo scopo era quello di collaudare un piano di battaglia “aria-mare”, bloccando arterie marittime, come lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Lombok, che tagliano l’accesso della Cina al petrolio, gas e altre materie prime vitali che arrivano dal Medio Oriente e dall’Africa.Nel circo noto come la campagna presidenziale americana, Donald Trump è stato presentato come un pazzo, un fascista. Certamente odioso lo è; ma è anche una figura di odio mediatico. Questo da solo dovrebbe suscitare il nostro scetticismo. Il punto di vista di Trump sulla migrazione è grottesco, ma non più grottesco di quello di David Cameron. Non è Trump il “grande deportatore” dagli Stati Uniti, ma il vincitore del Premio Nobel per la Pace, Barack Obama. Secondo un geniale commentatore liberale, Trump sta «scatenando le forze oscure della violenza» negli Stati Uniti. Sta scatenando? Questo è il paese dove i poco più che lattanti sparano alle loro madri e dove la polizia ha dichiarato una guerra assassina contro i neri americani. Questo è il paese che ha attaccato e cercato di rovesciare più di 50 governi, molti dei quali democrazie, e bombardato dall’Asia al Medio Oriente, causando morte e privazioni a milioni di persone. Nessun paese può uguagliare questo sistematico record di violenza. La maggior parte delle guerre americane (quasi tutte contro paesi indifesi) sono stati lanciate non da presidenti repubblicani, ma da democratici liberali: Truman, Kennedy, Johnson, Carter, Clinton, Obama.Una serie di direttive del Consiglio di Sicurezza Nazionale, nel 1947, determinava che l’obiettivo primario della politica estera americana fosse “un mondo sostanzialmente fatto a propria [dell'America] immagine”. L’ideologia era l’americanismo messianico. Eravamo tutti americani. Altrimenti…. gli eretici sarebbero stati convertiti, sovvertiti, corrotti, macchiati o schiacciati. Donald Trump è un sintomo di tutto ciò, ma è anche un anticonformista. Dice che è stato un crimine invadere l’Iraq; lui non vuole andare in guerra contro la Russia e la Cina. Il pericolo per il resto di noi non è Trump, ma Hillary Clinton. Lei non è anticonformista. Lei incarna la resilienza e la violenza di un sistema il cui decantato “eccezionalismo” è totalitario, con un occasionale volto liberale. Mentre il giorno delle elezioni presidenziali si avvicina, la Clinton sarà salutata come il primo presidente donna, a prescindere dai suoi crimini e menzogne – proprio come Barack Obama è stato osannato come il primo presidente nero e i liberali si bevvero le sue sciocchezze sulla “speranza”. E lo sbavare continua.Descritto dal giornalista del “Guardian” Owen Jones come «divertente, affascinante, con un’impassibilità che sfugge praticamente ad ogni altro politico», l’altro giorno Obama ha inviato droni a macellare 150 persone in Somalia. Di solito lui uccide la gente il martedì, secondo quanto scrive il “New York Times”, quando gli viene consegnato un elenco di candidati per la morte da drone. Molto cool. Nella campagna presidenziale del 2008, Hillary Clinton minacciò di «annientare totalmente» l’Iran con armi nucleari. Come segretario di Stato sotto Obama, ha partecipato al rovesciamento del governo democratico dell’Honduras. Il suo contributo alla distruzione della Libia nel 2011 è stato quasi allegro. Quando il leader libico, il colonnello Gheddafi, fu pubblicamente sodomizzato con un coltello – un omicidio reso possibile dalla logistica americana – la Clinton gongolava per la sua morte: «Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto».Uno dei più stretti alleati della Clinton è Madeleine Albright, l’ex segretario di Stato, che ha attaccato le giovani donne che non sostengono “Hillary”. Questa è la stessa Madeleine Albright, tristemente ricordata per aver detto in tv che la morte di mezzo milione di bambini iracheni era «valsa la pena». Tra i più grandi sostenitori della Clinton troviamo la lobby israeliana e le società di armi che alimentano la violenza in Medio Oriente. Lei e suo marito hanno ricevuto una fortuna da Wall Street, e lei sta per essere nominata come candidato delle donne, per sbarazzarsi del malvagio Trump, il demone ufficiale. I suoi sostenitori includono femministe illustri: gente del calibro di Gloria Steinem negli Stati Uniti e Anne Summers in Australia. Una generazione fa, un culto post-moderno ora conosciuto come “politica dell’identità” ha fatto sì che molte persone intelligenti e dalla mentalità liberale smettessero di esaminare le cause e gli individui che sostenevano – come le falsità di Obama e della Clinton, o come i fasulli movimenti progressisti tipo “Syriza” in Grecia, che hanno tradito il popolo di quel paese e si sono alleati con i loro nemici. L’essere assorbiti da se stessi, una sorta di “me-ismo”, è diventato il nuovo spirito del tempo nelle società occidentali privilegiate ed ha siglato la fine dei grandi movimenti collettivi contro la guerra, l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza, il razzismo e il sessismo.Oggi, il lungo sonno potrebbe essere terminato. I giovani si stanno scuotendo di nuovo, gradualmente. Le migliaia in Gran Bretagna che hanno sostenuto Jeremy Corbyn come leader laburista fanno parte di questo risveglio – come lo sono quelli che si sono radunati per sostenere il senatore Bernie Sanders. La settimana scorsa in Gran Bretagna, il più stretto alleato di Jeremy Corbyn, John McDonnell, ha impegnato un prossimo governo laburista a pagare i debiti delle banche piratesche, cioè a continuare di conseguenza, la cosiddetta austerità. Negli Stati Uniti, Bernie Sanders ha promesso di sostenere la Clinton se e quando sarà nominata come candidato presidenziale. Anche lui ha votato perché l’America usi la violenza contro altri paesi quando pensa che sia «giusto». Dice che Obama ha fatto «un ottimo lavoro».In Australia, c’è una sorta di politica mortuaria, in cui i noiosi giochi parlamentari vengono riproposti nei media, mentre i rifugiati e gli indigeni sono perseguitati e la disuguaglianza cresce, insieme al pericolo di guerra. Il governo di Malcolm Turnbull ha appena annunciato un cosiddetto bilancio per la difesa di 195 miliardi di dollari che avvicina alla guerra. Non c’è stato alcun dibattito. Silenzio. Dov’è andata a finire la grande tradizione di azione diretta popolare, slegata dai partiti? Dove sono il coraggio, la fantasia e l’impegno necessari per iniziare il lungo viaggio verso un migliore, giusto e pacifico mondo? Dove sono i dissidenti dell’arte, del cinema, del teatro, della letteratura? Dove sono quelli che romperanno il silenzio? O aspettiamo che venga sparato il primo missile nucleare?(John Pilger, riassunto di una recente lezione tenuta all’Università di Sydney, dal titolo “Una Guerra Mondiale è cominciata”; post ripreso dal sito “Counterpunch” del 23 marzo 2016 e tradotto da Gianni Ellena per “Come Don Chisciotte”. Di origine australiana, tra i più noti e prestigiosi giornalisti internazionali, Pilger ha ricevuto numerosi premi e dottorati per le sue battaglie per i diritti umani ed è stato nominato per ben due volte “Giornalista dell’anno” in Inghilterra).Ho filmato nelle Isole Marshall, a nord dell’Australia, nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ogni volta che dico alla gente dove sono stato, mi chiedono: «Dove si trovano?». Se come indizio faccio riferimento a “Bikini”, dicono: «Vuoi dire il costume da bagno». Pochi si rendono conto del fatto che il costume da bagno bikini è stato chiamato così per celebrare le esplosioni nucleari che hanno distrutto l’isola di Bikini. Sessantasei dispositivi nucleari furono fatti brillare dagli Stati Uniti nelle Isole Marshall tra il 1946 e il 1958 – l’equivalente di 1,6 bombe [della potenza di quella che colpì] Hiroshima – ogni giorno, per dodici anni. Oggi Bikini tace, trasformata e contaminata. Le palme crescono in una strana disposizione a griglia. Nulla si muove. Non ci sono uccelli. Le lapidi nel vecchio cimitero sono tuttora radioattive. Le mie scarpe registrano un “pericoloso” sul contatore Geiger. Sulla spiaggia, ho visto il verde smeraldo del Pacifico sprofondare in un grande buco nero. È il cratere causato dalla bomba all’idrogeno che chiamavano “Bravo”. L’esplosione avvelenò la gente e l’ecosistema per centinaia di chilometri, forse per sempre.
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Cremaschi: terrorismo, per puntellare quest’infame Europa
È insopportabile la retorica europeista che accompagna le stragi che colpiscono le città europee, ultima Bruxelles. Il dolore per le persone uccise del terrorismo jihadista, la paura di esserne prima o poi vittime, vengono oramai stravolti e sottomessi al dominio ideologico della casa comune europea assediata. Cento e più anni fa il nazionalismo era amministrato paese per paese, oggi viene diffuso in una dimensione continentale, ma con gli stessi scopi e non facendo meno danni. Ricordate l’immagine della manifestazione dei governanti a Parigi, poco più di un anno fa dopo il massacro di Charlie Hebdo? Un clamoroso falso mediatico (dietro i capi di governo non c’era nessuno) che voleva mostrare che i governi europei uniti guidavano il corteo dei loro popoli. Ma di quale Europa stiamo parlando? Di quella che ha fatto mercato dei migranti con la Turchia, organizzando la più grande deportazione di massa dalla fine della seconda guerra mondiale? Quale Europa, quella che con le politiche di austerità sta da anni colpendo le conquiste sociali dei suoi popoli?Quale Europa, quella che nelle periferie delle sue città più ricche accumula il rancore dei suoi cittadini figli di migranti, fascinati dal fanatismo assassino dei kamikaze? Quale Europa, quella che da 25 anni viene trascinata in guerre sempre più vaste che hanno fatto milioni di morti, guerre promosse dai governi di Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, che non sono europei ma comandano? Abbiamo appreso che l’Italia ha soldati persino in Mali solo perché, nelle stesse ore di Bruxelles, sono sfuggiti ad un attentato. Quale Europa ha deciso di mandarceli? La solidarietà verso le vittime del terrorismo è sentimento ben diverso da quello che la propaganda ci vuole imporre. C’è un potere che usa le stragi per convincere i popoli della bontà della costruzione europea e della necessità di difenderla con le armi. Così chi mette in discussione l’euro è anti patriottico, come lo è chi non vuole che si vada a bombardare, o a invadere, la Libia.Bisogna fermare la guerra proprio nel nome delle vittime innocenti delle stragi che si susseguono. La guerra non è la soluzione, è il problema e dopo 25 anni di interventi militari che han solo provocato altri interventi militari e stragi, dovrebbe essere persino scontato. Invece non lo è, perché l’Europa è imprigionata nella spirale guerra-terrorismo e non riesce a muoversi dal vicolo cieco in cui l’hanno portata i suoi governi e il sistema di potere della sua Unione. E il vicolo cieco della guerra è la stessa strada ove la barriera delle politiche di austerità fa dilagare l’ingiustizia sociale e la rottura delle solidarietà. Bisogna uscire da questa costruzione europea e dalle sue guerre prima che sia troppo tardi per tutti i suoi popoli.(Giorgio Cremaschi, “Basta con questa Europa e le sue guerre”, da “Micromega” del 22 marzo 2016).È insopportabile la retorica europeista che accompagna le stragi che colpiscono le città europee, ultima Bruxelles. Il dolore per le persone uccise del terrorismo jihadista, la paura di esserne prima o poi vittime, vengono oramai stravolti e sottomessi al dominio ideologico della casa comune europea assediata. Cento e più anni fa il nazionalismo era amministrato paese per paese, oggi viene diffuso in una dimensione continentale, ma con gli stessi scopi e non facendo meno danni. Ricordate l’immagine della manifestazione dei governanti a Parigi, poco più di un anno fa dopo il massacro di Charlie Hebdo? Un clamoroso falso mediatico (dietro i capi di governo non c’era nessuno) che voleva mostrare che i governi europei uniti guidavano il corteo dei loro popoli. Ma di quale Europa stiamo parlando? Di quella che ha fatto mercato dei migranti con la Turchia, organizzando la più grande deportazione di massa dalla fine della seconda guerra mondiale? Quale Europa, quella che con le politiche di austerità sta da anni colpendo le conquiste sociali dei suoi popoli?
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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L’Isis in Kosovo, come volevano gli Usa (complice l’Italia)
Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.Una terra non appartiene solo a chi la abita in quel momento, ma è anche frutto delle generazioni che l’hanno vissuta e lavorata in precedenza facendone ciò che è. Era quindi una questione che indipendentisti kosovari e Serbia avrebbero dovuto risolversi fra loro. Che c’entravano gli Usa che stanno a 10mila chilometri di distanza? Ma siccome essi hanno interessi geopolitici dappertutto, anche sul più sperduto atollo, convocarono sotto la loro guida una Conferenza di pace a Rambouillet. Le condizioni poste alla Serbia (molto invisa anche perché era rimasto l’ultimo paese paracomunista in Europa) erano tali che Belgrado non avrebbe dovuto rinunciare solo alla sovranità sul Kosovo, ma anche su se stessa. E i serbi, già defraudati della vittoria conquistata sul campo di battaglia in Bosnia (perché, sul terreno, sono i migliori combattenti del mondo e si deve alla loro resistenza alla Wermacht quel ritardo di tre mesi che fu fatale a Hitler, perché ritardò il suo attacco all’Urss e così le truppe di Von Paulus si scontrarono col Generale Inverno che aveva già sconfitto Napoleone – questo merito storico bisognerebbe riconoscerglielo, qualche volta) dissero di no.Allora gli americani, con alcuni servi fedeli fra cui l’Italia (gli aerei partivano da Aviano), violando il principio del diritto internazionale – fino ad allora mai messo in discussione – della non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano (e con questo precedente è ora difficile bacchettare la Russia perché si è intromessa in Ucraina a difesa degli indipendentisti russi di Crimea e di altre zone russofone), bombardarono per 72 giorni una grande e colta capitale europea come Belgrado facendo 5500 morti, fra cui molti di quegli albanesi che pretendevano di difendere. E, poiché da sempre bombardano “’ndo cojo cojo”, colpirono anche l’ambasciata cinese. Princìpi a parte, abbiamo finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quella che oggi provoca le isterie Fallaci-style.Gli Usa però almeno un piano ce l’avevano: costituire una striscia di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) in appoggio a quella che allora (oggi molto meno) era la loro grande alleata nella regione, la Turchia. Ma sbagliarono anche quella volta i calcoli: oggi i musulmani dei Balcani sono assai meno moderati, molti stingono nello jihadismo e la Turchia sta via via abbandonando l’assetto laico di Ataturk per un regime sempre più confessionale. Ma particolarmente stolida fu la partecipazione dell’Italia a quell’aggressione. Perché noi con i serbi non abbiamo mai avuto alcun contenzioso (l’abbiamo avuto semmai con i croati che fascisti erano e fascisti sono rimasti). Abbiamo anzi un legame storico che risale ai primi del Novecento. A quell’epoca si pubblicava a Belgrado un quotidiano che si chiamava Piemonte, perché i serbi vedevano nell’Unità d’Italia un modello per raggiungere la loro. Inoltre il ‘gendarme’ Milosevic, checché se ne sia detto e scritto, era, almeno dopo la pace di Dayton, un fattore di stabilizzazione nei Balcani. Ridotta ora la Serbia ai minimi termini, in Kosovo, Bosnia, Macedonia, Montenegro e Albania sono concresciute grandi organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari sporchi nel paese ricco più vicino, l’Italia.Quando a “Ballarò”, presente Massimo D’Alema, dissi che la guerra alla Serbia oltre che illegittima era stata cogliona, l’ex premier – che guidava il governo all’epoca dell’intervento non fiatò. Ma io a “Ballarò” non ci ho più rimesso piede. Ma l’avventurismo yankee nei Balcani ci ha lasciato un altro regalo, il più gravido di conseguenze: ora, per i contraccolpi dell’aggressione alla Serbia del ‘99, gli uomini del Califfo li abbiamo sull’uscio di casa, mentre gli Usa se ne possono fregare perché c’è l’oceano di mezzo. Eppoi almeno qualcosa hanno ottenuto: oggi in Kosovo c’è la loro più grande base militare. Non è poco visto che, in giro per il mondo, ne hanno una settantina.(Massimo Fini, “Il Califfo in Kosovo, grazie a Usa e Italia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 febbraio 2016).Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.
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Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire
L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:- L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.- L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!- La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.- L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.- La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.- La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.(Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
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Privatizzare la Russia: assalto a Putin, da Usa e oligarchi
Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.Nel frattempo, scrivono Hudson e Craig Robert in un’analisi su “Counterpunch” tradotta da “Come Don Chisciotte”, la combinazione fra debito in crescita e deficit della bilancia dei pagamenti ha fornito ai sostenitori delle privatizzazioni un ulteriore argomento per insistere con le dismissioni. Motivo addotto: la Russia non potrebbe monetizzare il proprio deficit, ma deve vendere le sue risorse migliori per sopravvivere. «Noi vogliamo mettere in guardia la Russia dall’accettare questa nefasta argomentazione neoliberista», scrivono i due economisti. «Le privatizzazioni non aiuteranno a re-industrializzare la Russia, ma ne aggraverebbero la trasformazione in una “economia di rendita” nella quale i profitti vanno a beneficio di proprietari stranieri». Per cautelarsi, Putin ha posto una serie di condizioni per scongiurare che le nuove privatizzazioni avvengano come le disastrose svendite dell’era Eltsin: stavolta gli asset non verrebbero venduti a prezzo di saldo, ma rispecchierebbero l’eventuale valore reale. E le aziende cedute resterebbero sotto la giurisdizione russa: gli investitori stranieri potranno partecipare, ma non scavalcare le regole russe, tra cui i vincoli per mantenere i capitali nel paese.«Putin ha saggiamente evitato la vendita della maggiore banca russa, la Sberbank, che detiene gran parte dei depositi privati nazionali: l’attività bancaria evidentemente resta un servizio principalmente pubblico – come dovrebbe – vista la capacità di creare moneta-credito, che la rende un monopolio naturale e intrinsecamente pubblica nel carattere». Nonostante queste precauzioni, però, «vi sono serie ragioni per non procedere con le privatizzazioni appena annunciate», che avverrebbero «in condizioni di recessione economica dovuta ai bassi prezzi del petrolio e alle sanzioni occidentali». L’alibi sarebbe la copertura del deficit di bilancio nazionale? «Questa scusa mostra come la Russia non si sia ancora ripresa dal disastroso mito, occidentale e atlanticista, che essa debba dipendere dalle banche estere e dai detentori di bond per creare moneta, come se la banca centrale russa non possa fare ciò da sé, tramite la monetizzazione del disavanzo di bilancio», obiettano Hudson e Craig Roberts. «La monetizzazione del deficit di bilancio è esattamente quello che ha fatto il governo degli Stati Uniti e ciò che si faceva presso le banche centrali occidentali nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale».La monetizzazione del debito è una pratica comune in Occidente: i governi possono agevolare la ripresa economica creando moneta. Molto meglio che far indebitare il paese verso creditori privati, che poi «prosciugano il finanziamento del settore pubblico attraverso l’emorragia del pagamento di interessi a creditori privati». Perché mai ricorrere alla finanza privata, quando può essere la banca centrale a creare finanziamento pubblico? «Gli economisti russi, tuttavia, sono stati indottrinati dal credo occidentale che solo le banche commerciali possano creare denaro, e che i governi per procurarsi le risorse debbano emettere dei buoni sui quali alla scadenza pagheranno degli interessi». Questa deformazione della finanza pubblica “privatizzata” «sta portando la Russia sullo stesso sentiero che ha portato l’Europa ad un’economia in stato comatoso». Attraverso la privatizzazione della creazione del credito, infatti, «l’Europa ha trasferito la propria pianificazione economica dai governi democraticamente eletti al settore bancario». La Russia? «Non ha bisogno di accettare questa filosofia economica orientata alla rendita, che può mandare in dissesto le finanze pubbliche di una nazione». Infatti, i neoliberisti non la promuovono certo per aiutare la Russia, «ma per metterla in ginocchio».Essenzialmente, spiegano i due analisti, quei russi cosiddetti “integrazionisti atlantici”, cioè alleati dell’Occidente, «puntano a sacrificare la sovranità della Russia per integrarla nell’impero occidentale», e così «utilizzano il neoliberismo per “intrappolare” Putin e annientare il controllo della Russia sulla propria economia, un elemento che Putin aveva ripristinato dopo gli anni di Eltsin nei quali la Russia era stata depredata da interessi stranieri». Nonostante il Cremlino sia riuscito a ridurre il potere degli oligarchi creato dalle privatizzazioni di Eltsin, il governo ha comunque bisogno di mantenere importanti imprese statali, proprio per controbilanciare il potere economico degli oligarchi. «La ragione per cui i governi costruiscono ferrovie e altre infrastrutture di base è quella di abbassare i costi basilari per vivere e lavorare. Lo scopo delle “corporation private” – di contro – è invece quello di aumentare tali costi quanto più possibile». Questa viene definita “estrazione di rendita”: «I proprietari privati impongono dazi per aumentare il costo del servizio di un’infrastruttura che viene privatizzata». Di fatto, «è l’opposto di quello che gli economisti classici definiscono come “libero mercato”».In base a un accordo di cui si parla, gli oligarchi «acquisiranno delle quote di compagnie statali con il denaro delle precedenti privatizzazioni nascosto all’estero, e faranno un altro “affare del secolo” quando l’economia russa si riprenderà abbastanza da consentire profitti corposi». Problema: «Quanto più potere economico si sposta dalle mani pubbliche al privato, minore è il potere del governo di controbilanciare gli interessi privati». Per questo, «nessuna privatizzazione dovrebbe essere consentita, in questa fase», e ancor meno si dovrebbe consentire «l’acquisizione di asset nazionali russi da parte di stranieri». Ma il rischio esiste: «Al fine di guadagnare un pagamento immediato in valuta estera, il governo russo cederà agli stranieri il flusso dei futuri guadagni che verranno ricavati in Russia e mandati all’estero». Attenzione: «Vendere degli asset pubblici in cambio di un pagamento in un’unica soluzione è quello che ha fatto l’amministrazione della città di Chicago quando ha ceduto per 75 anni la gestione dei parcheggi pubblici in cambio di una cifra corrisposta immediatamente. Sacrificando le entrate pubbliche, l’amministrazione di Chicago ha risparmiato le proprietà immobiliari e le ricchezze private dalla tassazione e ha inoltre consentito alle banche di investimento di Wall Street di fare una fortuna», spingendo però la città verso la bancarotta.«Nessuna sorpresa che gli atlantisti auspichino una sorte simile alla Russia», scrivono Hudson e Craig Roberts. «Usare le privatizzazioni per coprire un problema di bilancio di breve termine, ne porta invece uno di lungo termine. I profitti delle compagnie russe fluirebbero fuori dal paese, riducendo il tasso di cambio del rublo. Se i profitti vengono generati in rubli, questi possono essere cambiati in dollari nel mercato dei cambi. Ciò deprimerà il tasso di cambio del rublo aumentando il valore relativo del dollaro. In sostanza, consentire a degli stranieri di acquisire delle risorse statali della Russia, li aiuterebbe a speculare contro il rublo». Inoltre, anche i nuovi proprietari russi degli asset privatizzati potrebbero mandare all’estero i loro profitti. «Almeno, il governo russo si rende conto che dei proprietari soggetti alla giurisdizione russa vengono disciplinati più facilmente rispetto a dei proprietari in grado di controllare le aziende dall’estero e di tenere il loro capitale attivo a Londra o in altri centri finanziari (tutti soggetti alla pressione diplomatica Usa e alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda)».A monte, comunque, il governo russo dovrebbe finanziare i propri deficit di bilancio semplicemente attraverso «la banca centrale che crea il denaro necessario, così come fanno gli Usa e la Gran Bretagna». Al contrario, «alienare per sempre dei flussi di ricavi futuri per coprire solo il deficit di un anno», secondo Hudson e Craig Roberts, «è la strada per l’impoverimento e la perdita dell’indipendenza politica ed economica». La globalizzazione? «E’ stata inventata come uno strumento dell’impero americano». La Russia se ne dovrebbe difendere, piuttosto che aprirvisi. E le privatizzazioni «sono il mezzo per minare la sovranità economica e accrescere i profitti tramite l’aumento delle tariffe». Che se ne rendano conto o meno, concludono i due analisti, gli economisti neoliberisti di Mosca si comportano «come le Ong finanziate dall’Occidente», che «agiscono in Russia come una quinta colonna contro l’interesse nazionale». In altre parole, «la Russia non sarà al riparo dalla manipolazione occidentale fino a quando la propria economia non sarà impermeabile ai tentativi da parte dell’Occidente di piegarla ai propri interessi piuttosto che a quelli nazionali».Assalto al Cremlino, usando il grimaldello delle privatizzazioni per ingolosire gli oligarchi: domani, quando l’economia russa dovesse riprendersi (archiviate le sanzioni Usa-Ue), i ricchi saranno ricchissimi, e lo Stato avrà perso il suo potere. E’ la tesi avanzata dall’economista democratico statunitense Michael Hudson e da Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. La notizia: alcuni funzionari russi stanno discutendo, da ormai due anni, un piano per la maxi-privatizzazione di grandi imprese strategiche statali, tra cui la compagnia petrolifera Rosneft, la Vtb Bank, le Ferrovie Russe e la compagnia aerea di bandiera, l’Aeroflot. Obiettivo dichiarato: ottimizzare il management, oltre che indurre gli oligarchi a invertire la ventennale emorragia di capitali dal paese per tornare a investire nell’economia di Mosca. Ma le prospettive economiche russe sono peggiorate dal momento in cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Occidente a imporre sanzioni economiche contro il paese, e anche per il crollo del prezzo del petrolio. Ciò ha reso l’economia russa meno attraente per gli investitori esteri. Così, la vendita di queste compagnie avverrà oggi a prezzi verosimilmente molto più bassi rispetto a quelli che sarebbero stati nel 2014.
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L’agenda news e i figli del Capitano Merryl, fedeli a Londra
Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.Rispetto al primo quesito le anime candide sono propense a ritenere che la scelta delle notizie da valorizzare rientri nei poteri di indirizzo esercitati da un qualsiasi direttore responsabile posto a capo di un giornale o di una rete televisiva; sul “taglio” da dare alle notizie, poi, i più pensano altrettanto ingenuamente che dipenda in larga misura dalla specifica sensibilità del singolo giornalista che scrive il pezzo. Entrambe le risposte sono sbagliate. Avete mai notato come i grandi giornali, con sfumature minime, propongano sempre le stesse notizie nonostante la varietà pressoché infinita di fatti ipoteticamente raccontabili? Avete mai notato come l’operato di alcune figure, vedi Mario Draghi, non venga mai criticato neppure per sbaglio da nessuno dei tanti “giornali liberi” che affollano inutilmente le nostre edicole?Di fronte a due premesse certe come quelle appena evidenziate, esistono solo due risposte possibili. Una, irrazionale, così sfacciata da voler far credere ai cittadini che la sostanziale omogeneità di scelte e vedute che accomuna tutta l’informazione sia frutto del caso o del libero convincimento stranamente coincidente dei diversi direttori; la seconda, più verosimile e razionale, spiega come dietro il paravento di un pluralismo informativo che serve solo ad ingannare i tonti, si muovano con perizia alcune note centrali di intelligence che “imboccano” gli editorialisti più prestigiosi, sempre felici di farsi teleguidare dall’esterno nella certezza di ricevere in prospettiva sicuri vantaggi in termini di denaro o di carriera. Fantasie? Calunnie complottiste? Non direi. Se avete la pazienza di leggere l’ottimo libro “Colonia Italia”, scritto da Cereghino e Fasanella per Chiarelettere editore, troverete nomi, cognomi, prassi e documenti che finiranno per insinuare un sacrosanto dubbio perfino nel piddino più incallito.Scoprirete un mondo, fatto di spie e penne compiacenti, che non lascia nulla al caso; un mondo popolato da uomini spregiudicati e senza scrupoli, pronti a scrivere senza pudore che “il bianco è nero” e “il nero è bianco” per difendere i padroni. Fasanella e Cereghino, avendo avuto la bontà di leggere e studiare una serie di documenti di recente desecretati dal governo inglese, si sono imbattuti in una sfilza di nomi, fatti e storie del passato che, rivalutati alla luce di una consapevolezza finalmente matura, assumono ora un significato diverso. Ma le storie di ieri ci parlano dell’Italia e dell’Europa di oggi. Nulla induce a ritenere che le atmosfere e i compromessi raccontati nel libro di Cereghino e Fasanella, precisi nello spiegare ratio e genesi di alcune campagna di stampa così aggressive da deviare dolosamente il corso degli eventi politici (si pensi al “caso Montesi” o alla violenza strumentale e fasulla di alcune inchieste pensate per colpire Enrico Mattei), riguardino soltanto il passato. Perché oggi le cose dovrebbero funzionare diversamente? Magari tra trenta o quaranta anni, spulciando le carte immagazzinate dai diversi servizi di intelligence, capiremo come mai alcuni “illuminati” intellettuali nostrani continuino con sommo sprezzo del ridicolo a proporre analisi già smentite dalla realtà fattuale e dal buon senso.Ieri, in conclusione, ho casualmente ascoltato Mario Monti e Paolo Mieli ospiti negli studi de la7. Paolo Mieli, giorni fa, pubblicò un editoriale sulle pagine del “Corriere della Sera” titolato “Le accuse di troppo all’Europa”. Mieli propone alcune chiavi di lettura palesemente sgangherate che non meriterebbero troppa attenzione. Infatti, alla luce di quanto premesso,più che entrare nel merito delle cose dette e scritte, sarebbe forse più importante capire quali siano i mondi di riferimento di personaggi alla Paolo Mieli, figlio del leggendario “capitano Meryll”– al secolo Renato Mieli – già “press officer” dello “Psychological Warfare Branch” (Divisione per la guerra psicologica, ndm), allestito al tempo della seconda guerra mondiale dal “Comando generale delle forze alleate” per deviare, condizionare e indirizzare le scelte italiane in direzione del raggiungimento degli interessi inglesi. Chi può escludere che anche oggi predominino, mutatis mutandis, le stesse identiche dinamiche? Nessuno onesto intellettualmente, ritengo. E’ arrivato quindi il momento di ricostruire carte alla mano vicende che, pur sembrando antiche, sono quanto mai attuali.(Francesco Maria Toscano, “Ascoltando il figlio Capitano Merryl si capisce come la Divisione per la Guerra Psicologica non abbia mai levato le tende dall’Italia”, dal blog “Il Moralista” del 17 febbraio 2016).Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.
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Katherine Frisk: il Diavolo veste Prada e siede in Vaticano
Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.Non crede nella democrazia e certamente non nelle strutture democratiche di una Repubblica. Sostiene il monopolio, la tirannia politica, l’egemonia e le strutture di tipo gerarchico. I suoi Tribunali sono delle ordalie [il ‘giudizio di Dio’] e non dei luoghi dove i testimoni, sotto la propria responsabilità, possono parlare liberamente. Negli ultimi 1.000 anni il Vaticano si è sempre posto l’obiettivo di fagocitare la Russia, che invece è rimasta cristiano-ortodossa – a dispetto dell’invasione comunista finanziata dai banchieri di Wall Street – e non ha ceduto alla dittatura del Papa né alla sua pretesa di possedere tutto il pianeta, con tutti i suoi corpi e tutte le sue anime. Una Chiesa Apostolica basata su tutti i suoi dodici discepoli – e non del solo Pietro, che è l’unica persona che la Bibbia considera al livello di Satana – è più in linea con il concetto di Federazione di Stati, di Repubblica e di democrazia.Gli spagnoli, ai tempi dell’Inquisizione e dell’ascesa dei Gesuiti, hanno esplorato e colonizzato il Nuovo Mondo, in particolare il Sud America. Nel 20° secolo, in tutto il Continente, abbiamo regolarmente assistito alla soppressione della volontà popolare per mezzo delle violente dittature fasciste, con la ‘mano nascosta’ della Cia, forzata dal Vaticano, a svolgere un ruolo di primo piano. C’è ancora chi sta cercando di divorarsi la Russia – oggi come negli ultimi 1.000 anni – ma c’è anche chi ha preferito trasferirsi, poco a poco, nei paesi del Sud America, portando con sé le sue ricchezze. Queste persone hanno anche generato – utilizzando le ampie risorse del Vaticano – un Nuovo Ordine Mondiale, prototipo del fascismo corporativo, sotto l’egida degli accordi per il Tpp [Trans Pacific Partnership] e per il Ttip [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Il Vaticano, che una volta era il loro ‘pane-e-burro’, si è ora ampliato trasformandosi in quello che è conosciuto come il ‘Vampire Squid’. Una piovra costituita da multinazionali i cui tentacoli abbracciano tutto il mondo.Sotto il regime del Tpp e del Ttip le multinazionali diventeranno esse stesse, analogamente al Vaticano, una specie di Stato, con i loro Tribunali segreti, le loro immunità diplomatiche ed il loro status di aziende esentasse. Avranno gli stessi diritti e gli stessi poteri dei governi. Potranno anche citarli in giudizio per le perdite di reddito conseguenza di Leggi da loro emanate sulla remunerazione del lavoro, sulla sanità e sull’ambiente …. in realtà su qualsiasi Legge governativa che le multinazionali vedessero come un ostacolo alla loro redditività. La Nobiltà Nera, i Gesuiti, gli Illuminati ed i Banchieri Sionisti cambieranno come camaleonti … anzi, lo hanno già fatto. Sono diventati gli Amministratori Delegati delle multinazionali e si sono liberati con successo degli stati-nazione, dei troni sui quali una volta erano seduti, degli altari che una volta servivano come sacerdoti ed infine delle Banche Centrali che un tempo controllavano. Scusate ragazzi, ma il cavallo è già scappato dalla stalla.Negli ultimi 500 anni hanno rubato tutto l’oro che potevano e l’hanno immagazzinato in impianti privati di cui non si sa nulla, lasciando i paesi di tutto il mondo con ‘sistemi bancari centrali’ ormai pressoché defunti, in bancarotta. Il Vaticano diventerà una ‘chiesa povera’ semplicemente perché tutta la sua ricchezza ha già da tempo lasciato l’Italia, insieme a tutto l’oro che era nelle sue catacombe, alle sue opere d’arte e alla sua biblioteca. Oggi, tutto ciò che si vede in Vaticano è una replica. Il ‘vero potere’ del Vaticano ha da tempo lasciato libero l’edificio. Ora siede nei Consigli d’Amministrazione, traccia e pianifica la piena attuazione del Tpp e del Ttip e, se incontra delle difficoltà lungo la strada, scatena ‘rivoluzioni colorate’, tsunami, terremoti e siccità, per convincere le varie nazioni a rientrare nei ranghi. Si tratta, fra l’altro, di crimini contro l’umanità che dovrebbero essere affrontati in un ‘Tribunale di Diritto Internazionale’. I suoi responsabili dovrebbero essere indagati, processati e condannati.Avendo fallito in almeno tre occasioni di prendersi la Russia – Napoleone e le due Guerre Mondiali, ma anche la guerra in Ucraina del 2014 e i patetici tentativi degli anni ’90, attuati attraverso delle guerre economiche – [il vero potere] ha ora deciso di scaricare l’Europa nel suo complesso, per approdare nei più salubri climi del sud del mondo. E, come al solito, farà in modo che tutto questo sembri colpa di qualcun altro. In ogni caso è questo il loro piano. Da qui il finanziamento di Soros ai ‘profughi’ diretti in Europa e la promessa fatta ai wahabiti [sauditi] che la fallita invasione [a suo tempo tentata] dall’Impero Ottomano potrà ora aver luogo. I musulmani saranno chiamati invasori, colonizzatori … e saranno la causa principale della distruzione della società europea per come la conosciamo. Ma le cose potrebbero risultare del tutto diverse da come [il vero potere] se le aspetta.Per gli europei la soluzione migliore, se vogliono sopravvivere, è di chiudere le frontiere, rifiutare di firmare il Ttip e poi andare verso Est unendosi all’Aiib [Asian Infrastructure Investment Bank] e ai Brics. Si tratta di un ‘caval donato’, non stiano a ‘guardare in bocca’. Dovrebbe tenere la Monsanto fuori dall’Europa e rimandare i ‘profughi’ da Soros con un biglietto di sola andata! Egli è così ricco che potrà senz’altro accoglierli, nutrirli e vestirli. Egli li ha finanziati, in primo luogo, perché potessero andare in Europa …. ed allora rimandateglieli indietro. Dopo secoli di tirannia del Vaticano gli europei diventeranno liberi. Dite ciao alla Nobiltà Nera, ai Gesuiti ed ai banchieri sionisti perché stanno imbarcandosi su aerei diretti in Sud America. Vi siete liberati di loro. Mille anni di persone inviate al rogo sono stati veramente troppi. Papa Francesco ha fondamentalmente chiuso bottega e il Vaticano è ormai un guscio vuoto. Lui non calza scarpe Prada e sta dando una rappresentazione del ruolo che contrasta con quella di Papa Benedetto, che sedeva su un Wc dal coperchio d’oro. Ma il suo è solo fumo negli occhi, baby!Polonia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono già svegliate. Si muovono verso Est ed hanno gettato nella discarica le politiche di Bruxelles. Questi paesi sono stanchi di essere usati ed abusati, di essere scaraventati in mezzo a guerre che hanno attraversato e distrutto il Continente, mentre coloro che le hanno istigate se ne vanno via con le tasche piene, dopo aver devastato le popolazioni. L’Ungheria, nella sua saggezza, ha bruciato i campi Ogm della Monsanto e ha sradicato questa multinazionale dal paese. Seguirà presto il resto dell’Europa. L’Ucraina Orientale diventerà uno Stato indipendente. La Polonia e l’Ungheria reclameranno quello che originariamente era il loro territorio e la giunta nazi-sionista di Kiev resterà isolata in un piccolo Stato. Chi è che ha bisogno di quei mostri? Il mondo intero, nel 2014, ha visto i loro barbari stupri, le loro ruberie ed i loro saccheggi. La Germania andrà presto verso Est, così come la Francia.Per quanto riguarda la Spagna, il paese è ancora legato al Sud America da un cordone ombelicale, analogamente alla Nobiltà Nera e a quello che una volta era il Vaticano, ma ora solo il grande ‘Vampire Squid’. Chissà come andrà a finire? La Turchia sta scavandosi la tomba con le proprie mani, minacciando la Russia nel nord della Siria. Dovesse persistere, il paese sarà suddiviso tra Armeni, Curdi e Cristiani Ortodossi d’Occidente. Quello che sarà lasciato alla Turchia sarà solo un territorio di lieve entità. Mi aspetto anche che Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia siano restituite alla Grecia, paese cui appartengono. E così l’Apocalisse sarà compiuta. Questo è quello che, a torto o a ragione, son riuscita a capire. Io sono solo una donna [nel senso di ‘essere umano’] e mi riservo di conseguenza il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento. Il tempo dirà se ho avuto o meno ragione.(Katherine Frisk, “Il diavolo veste Prada – il fascismo, il Vaticano e il 21° secolo”, da “Veterans Today” del 23 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte).Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.
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Come blindare un segreto, da Hiroshima all’uomo sulla Luna
Nei giorni scorsi “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un articolo intitolato “Cospirazioni, l’equazione matematica che smentisce i complottisti”, nel quale si racconta che il fisico inglese David Grimes «ha elaborato una formula con cui si può ipotizzare la possibile durata nel tempo di una cospirazione: dovrebbero essere meno di mille gli individui coinvolti affinché il segreto resista per più di dieci anni. E così, viene dimostrato – prosegue l’articolo – che il “finto” sbarco degli americani sulla Luna è una delle tante infondate teorie di complotti che circolano su Internet. Lo studio di Grimes dell’Università di Oxford confuta questa e le altre presunte cospirazioni ricorrendo a una formula matematica. Si è scoperto infatti che sarebbe impossibile mantenere all’oscuro il mondo intero, anche per pochi anni, riguardo a fatti che hanno visto coinvolte migliaia di persone, qualcuna delle quali prima o poi avrebbe denunciato l’inganno. Nel progetto per la conquista della Luna, ad esempio, la Nasa aveva oltre 410mila addetti. Prima o poi qualcuno avrebbe parlato se ci fosse stata una messa in scena dello sbarco».Il nostro Grimes sarà certamente un ottimo fisico, ma forse conosce poco la storia (specialmente quella americana). Se la conoscesse, infatti, saprebbe come queste complesse operazioni – specialmente quelle segrete – vengano compartimentalizzate in modo tale da evitare proprio che i segreti più preziosi si diffondano involontariamente. L’esempio più classico è quello del Manhattan Project, il progetto militare segreto che portò, fra il 1942 e il 1945, alla costruzione delle prime bombe atomiche, poi utilizzate su Hiroshima e Nagasaki. Come è noto, il Manhattan Project coinvolse circa 130.000 persone, sparpagliate in tutta la nazione. Eppure… Da Wikipedia leggiamo: «In un articolo di “Life” del 1945 si stimava che prima del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki “probabilmente non più di poche dozzine di persone in tutta la nazione conoscessero il significato reale del Manhattan Project, e forse al massimo un migliaio di loro erano appena a conoscenza del fatto che il lavoro svolto riguardasse la ricerca sugli atomi”. La rivista ha scritto che gli altri 100.000 ed oltre impiegati del progetto “lavoravano come topi al buio”. Avvisati che la rivelazione di qualunque segreto sarebbe stata punita con 10 anni di prigione o una multa di $ 10.000 ($ 130.000 di oggi), costoro vedevano delle enormi quantità di materiale grezzo entrare nelle fabbriche da cui non usciva nulla, e manovravano leve e comandi protetti da spesse mura, dietro alle quali avvenivano delle reazioni misteriose” senza conoscere lo scopo ultimo del loro lavoro».Dopo la guerra, uno dei manager del progetto Manhattan dichiarò: «Nessuno sapeva che cosa accadesse a Oak Ridge [il quartier generale del Progetto Manhattan, ndr], nemmeno io lo sapevo, e molta gente pensava semplicemente di stare sprecando il proprio tempo in quel posto. Era mio compito dire a questi impiegati insoddisfatti che stavano svolgendo un lavoro molto importante, e quando loro mi chiedevano cosa fosse, io dovevo dirgli che era un segreto. Ma io stesso sono quasi diventato pazzo nel cercare di capire che cosa stesse accadendo lì dentro». Quindi, caro Grimes: se vogliamo usare una logica da supermercato, nella quale “siccome 400.000 persone lavorarono al progetto Apollo, allora vuol dire che 400.000 persone sapevano dell’inganno” facciamolo pure, ma intratterremo al massimo le platee più stupide di persone che vogliono sentirsi raccontare che i complotti non esistono. Se invece vogliamo affrontare seriamente questi problemi cominciamo a studiare la storia, lasciando da parte per un attimo le ridicole formulette matematiche.(Massimo Mazzucco, “Complottismo e numeri da circo”, dal blo “Luogo Comune del 3 febbraio 2016).Nei giorni scorsi “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un articolo intitolato “Cospirazioni, l’equazione matematica che smentisce i complottisti”, nel quale si racconta che il fisico inglese David Grimes «ha elaborato una formula con cui si può ipotizzare la possibile durata nel tempo di una cospirazione: dovrebbero essere meno di mille gli individui coinvolti affinché il segreto resista per più di dieci anni. E così, viene dimostrato – prosegue l’articolo – che il “finto” sbarco degli americani sulla Luna è una delle tante infondate teorie di complotti che circolano su Internet. Lo studio di Grimes dell’Università di Oxford confuta questa e le altre presunte cospirazioni ricorrendo a una formula matematica. Si è scoperto infatti che sarebbe impossibile mantenere all’oscuro il mondo intero, anche per pochi anni, riguardo a fatti che hanno visto coinvolte migliaia di persone, qualcuna delle quali prima o poi avrebbe denunciato l’inganno. Nel progetto per la conquista della Luna, ad esempio, la Nasa aveva oltre 410mila addetti. Prima o poi qualcuno avrebbe parlato se ci fosse stata una messa in scena dello sbarco».
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Guerra: l’Italia torna nella Libia che abbiamo ceduto all’Isis
La nuova guerra di Libia della Nato è già iniziata con le azioni di commando e i voli sotto copertura. Tra breve l’intervento militare esplicito verrà dichiarato e l’Italia sarà in prima fila. Le pressioni di questi giorni del governo Usa e di quello della Francia servono a superare dubbi tattici ed elettorali, non a imporre una scelta che il governo italiano ha già preso. Il coinvolgimento militare del nostro paese in tutti gli scenari e gli impegni di guerra della Nato è sempre più esteso, in Asia, Africa, Europa. Come ha vantato Renzi l’Italia è tra i primi paesi al mondo per truppe all’estero. Ultimo annuncio quello dell’invio di centinaia di soldati in Iraq per difendere affari privati nella costruzione di una diga. Più cresce l’impegno militare all’estero, più il territorio del paese è militarizzato. Dal Muos al Trident, dalle servitù militari antiche a quelle modernissime, dalla Sicilia e dalla Sardegna a tutta la penisola, l’inquinamento militare dilaga. Fino alla terribile decisione di installare bombe nucleari di nuova generazione nel Friuli e nel bresciano. Bombe nuove perché studiate per essere davvero usate in qualche guerra umanitaria, invece che essere conservate per pura deterrenza.