Archivio del Tag ‘segreto militare’
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Segreti da 5.000 euro: i padrini del Covid contro Mosca
Qualcuno (come Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia) può trovare quasi comico il fatto che si esibisca come super-traditore un ufficiale pronto a vendere ai russi “segreti strategici” dal valore di ben 5.000 euro, cioè pari alla multa prevista per la famiglia Rossi se violasse il lockdown di Pasqua? Crosetto non è il solo a sentire puzza di bruciato: parlando all’agenzia “Adn Kronos”, lo stesso generale Mario Mori, già a capo del Ros e del Sisde, conferma: «Di Maio ha parlato di “atto ostile”, ma gli atti ostili li fanno tutti, anche gli americani, gli inglesi, i cinesi. Si fa attività di spionaggio, la fanno i russi, la fa tutto il mondo». Piuttosto: il caso dell’arresto del capitano di fregata Walter Biot, “sorpreso” a passare documenti a un agente russo, sembra chiaramente ingigantito dai media, «perché tutto sommato quell’ufficiale, un tenente colonnello con quella collocazione – dice Mori – non è che potesse detenere grandissimi segreti militari della Nato». L’altra notizia – quella vera – parla invece della risposta russa in arrivo: Mosca ha “tirato fuori dai silos” i suoi missili nucleari, in previsione di un eventuale attacco, a guida Usa, nell’Est dell’Ucraina.
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Rivoluzione e nausea, nell’oceano delle fake news ufficiali
Il 14 luglio 1789 venne presa d’assalto la Bastiglia, simbolo della tirannide assolutistica dell’Ancien Régime, mentre il 14 luglio 2016 fece 86 morti e oltre 300 feriti il camion bianco del franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, lanciato come una bomba sulla folla dopo esser stato distrattamente “dimenticato” per giorni sulla Promenade des Anglais, il lungomare accuratamente sgomberato per accogliere l’anniversario nel migliore dei modi, coi fuochi d’artificio scintillanti sulle onde notturne della Costa Azzurra. Gli specialisti in oscuri presagi potrebbero almanaccare decine di indizi, per illuminare l’opacissima vigilia di questo indimenticabile 2020. In Italia lo spettacolo si declina in modo più casereccio, coi giornali che sparano in prima pagina il grido di un infermiere di Cremona che annuncia il ritorno dell’inferno; poi l’ospedale lo smentisce all’istante, ma per i narratori la notizia della direzione sanitaria (nessun allarme in corso, a Cremona) è del tutto trascurabile. Non fanno eccezione i colleghi francesi che nel 2015 archiviarono come suicidio la morte del commissario Helric Fredou, all’indomani della strage di Charlie Hebdo, su cui il poliziotto indagava. Silenzio anche sull’esito delle indagini, “tombate” dal segreto di Stato dopo la scoperta della manina della Dgse, i servizi segreti parigini, nella fornitura di armi ai terroristi, subito uccisi, non senza prima aver aver lasciato un passaporto in bella vista sull’auto usata per raggiungere la redazione del giornale satirico.Viviamo nel migliore dei mondi possibili, del resto. Wikipedia racconta ancora che a sparare a John Kennedy fu Lee Harvey Oswald, con un vecchio fucile Mannlicher-Carcano. L’arma rinvenuta nella stanza di Oswald era invece un Mauser 7,65: lo disse alla “Cnn” il vice-sceriffo di Dallas, Roger Dean Craig, presente nel corso della perquisizione. A beneficio del pubblico, magicamente, il fucile cambiò identità nei giorni seguenti, quando chi pilotava le indagini si accorse che il Mauser non avrebbe potuto esplodere i proiettili del Carcano, ritrovati sulla scena del crimine. A sparare a Kennedy – da una palazzina attigua a quella di Oswald – fu il mafioso Charles “Chuck” Nicoletti, coordinato da ganster trasportati a Dallas con un volo della Cia: lo racconta il pilota, Tosh Plumlee. A vuotare il sacco, in punto di morte, fu Howard Hunt, allora numero due dell’agenzia di intelligence: Jfk fu liquidato da loro, in complicità con l’Fbi, usando manovalanza mafiosa. La sera prima, a Dallas, il via libera definitivo scaturì da un summit a cui parteciparono il vicepresidente Lyndon Johnson e due futuri presidenti americani, Richard Nixon e George Bush senior. Anni dopo, l’agente Zack Shelton (Fbi) passò a un investigatore privato, Joe West, il nome di un secondo possibile killer: James Files. Il killer ha confermato di aver sparato a Kennedy il colpo letale con un fucile Fireball, facendogli esplodere il cranio.Detenuto fino al 2016 per altri reati, James Files attende ancora che qualcuno si degni di interrogarlo sulla vicenda, dopo quello che ha detto. Ovvero: se riesumerete il corpo di Kennedy gli troverete nella testa evidenti tracce di mercurio, minerale di cui era stato imbottito il proiettile del Fireball. Di Kennedy ha riparlato Bob Dylan il 27 marzo 2020 pubblicando sul web la canzone “Murder Most Foul”, che rievoca l’omicidio di Dallas. Il brano appartiene all’album “Rough and Rowdy Ways”, uscito il 19 giugno dopo altre anticipazioni, tra cui “False Prophet”, presentato da un’immagine eloquente: la morte vestita a festa sta bussando alla porta, con sottobraccio un pacco regalo e nell’altra mano una siringa. «Mettetevi al riparo», ha scritto Dylan accompagnando il brano su Kennedy: un modo per mettere il coronavirus in relazione diretta con il complotto che decretò la morte del presidente della New Frontier. Come dire: gli eredi di quella gente sono ancora in giro, e ora pensano di minacciare e terrorizzare il mondo, confiscando la libertà grazie a “falsi profeti” che si affrettano a somministrare ricette inquietanti e trattamenti sanitari obbligatori, dopo averci spiegato che non torneremo mai più alla vita di prima.I rumeni ricordano ancora il pallore di Nicolae Ceaușescu, travolto dalle proteste di piazza che il 21 dicembre 1989 interruppero il suo discorso dal palazzo presidenziale di Bucarest, tanto da spingerlo a scappare come un ladro, in elicottero. Nove anni prima, in una situazione analoga, il dittatore somalo Siad Barre fece sparare sulla folla che lo contestava. Non pochi dietrologi oggi considerano la tempesta Covid una sorta di colpo di coda, sferrato da un regime imparuito e forte morente, esteso da Wall Street a Pechino, infinitamente pervasivo e protetto dal grande mainstream che ancora oggi racconta che la colpa di ogni disgrazia è sempre da imputare ai cittadini comuni, incorreggibili. Non importa se persino il governo francese ha accreditato la versione del professor Jean-Luc Montagnier, scopritore del virus Hiv, secondo cui il Sars-CoV-2 uscito dal laboratorio di Wuhan era chiaramente un Rna modificato da mani umane, come quelle che da trent’anni tentano inutilmente di fabbricare un vaccino contro l’Aids. Fredde, in Italia, le reazioni alle parole di Montagnier: notoriamente, il Premio Nobel per la Medicina viene conferito a emeriti imbecilli.Non importa nemmeno che il laboratorio di Wuhan fosse strettamente controllato dall’Oms, il cui primo finanziatore privato è il “falso profeta” Bill Gates. Non importa che il primo farmaco impiegato con successo contro il Covid, l’idrossiclorochina, sia stato messo all’indice da “The Lancet” (e a ruota, da svariati governi), salvo poi assistere all’incresciosa ritrattazione degli autori dello studio, costretti ad ammettere che quell’antimalarico impedisce effettivamente che un malato di Covid si possa aggravare. E non importa neppure che trenta medici e scienziati italiani abbiano segnalato inutilmente al ministero della sanità l’efficacia decisiva di un altro farmaco, a base di normalissimo cortisone, senza aver avuto il minimo riscontro né da parte del ministro, né da funzionari del ministero. Due mesi dopo, la notizia del cortisone – la cui efficacia è stata certificata addirittura dall’Oms – ha fatto il giro del mondo, ripresa da medici inglesi che sono giunti alle stesse conclusioni dei colleghi italiani. Non importa nemmeno questo, ai padroni del discorso: l’unica cosa che pare interessi è mantenere l’allarme attorno a un fenomeno che sembra sia stato creato appositamente per scatenare il panico, nonostante le stesse statistiche – Istat, Iss – dimostrino che nei primi mesi del 2020 in Italia sono morte meno persone, per esempio, di quelle decedute negli anni precedenti, durante inverni caratterizzati da virulente epidemie influenzali.Non fa notizia neppure il fatto che il super-speculatore George Soros – fonte, il “Guardian” – abbia appena richiesto all’Unione Europea “una stretta sui social network”, che sarebbero ormai “una minaccia pubblica”. Lo sanno benissimo anche i giornalisti reclutati a Palazzo Chigi dal sottosegretario Andrea Martella, Pd, che dal suo Ministero della Verità monitora con attenzione le voci sgradite, in modo che poi i social media e i motori di ricerca – da YouTube a Google – trovino il modo di rimuovere o almeno rendere invisibili le voci più scomode. Inutile aggiungere che nemmeno questo fa notizia, nemmeno la nausea che milioni di italiani ormai provano per il disprezzo reiterato della verità, per la facilità con cui ogni possibile indizio finisce alla velocità della luce tra la cosiddetta spazzatura complottista, la discarica delle fake news, il paradiso delle bufale. E tutto questo, mentre il governo più sconcertante della storia – Conte e Di Maio, il fido Gualtieri, l’incredibile Azzolina, il grottesco Speranza (coi loro accessori Ricciardi, Arcuri e Colao) – ora si attrezza per blindare il paese ed eventualmente barricarlo in casa un’altra volta, dopo averlo lasciato senza assistenza economica. Gli spari sulla folla, nella storia italiana, risalgono a Portella della Ginestra (le cannonate, mezzo secolo prima, a Bava Beccaris). Memorabile lo spettacolo recente dei droni che inseguono pensionati, a spasso col cane. Per qualcosa che assomigli a una rivoluzione, invece, in Italia bisogna risalire agli anni che precedettero le gesta di Garibaldi.(Giorgio Cattaneo, “Rivoluzione”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 luglio 2020).Il 14 luglio 1789 venne presa d’assalto la Bastiglia, simbolo della tirannide assolutistica dell’Ancien Régime, mentre il 14 luglio 2016 fece 86 morti e oltre 300 feriti il camion bianco del franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, lanciato come una bomba sulla folla dopo esser stato distrattamente “dimenticato” per giorni sulla Promenade des Anglais, il lungomare di Nizza accuratamente sgomberato per accogliere l’anniversario nel migliore dei modi, coi fuochi d’artificio scintillanti sulle onde notturne della Costa Azzurra. Gli specialisti in oscuri presagi potrebbero almanaccare decine di indizi, per illuminare l’opacissima vigilia di questo indimenticabile 2020. In Italia lo spettacolo si declina in modo più casereccio, coi giornali che sparano in prima pagina il grido di un infermiere di Cremona che annuncia il ritorno dell’inferno; poi l’ospedale lo smentisce all’istante, ma per i narratori la notizia della direzione sanitaria (nessun allarme in corso, a Cremona) è del tutto trascurabile. Non fanno eccezione i colleghi francesi che nel 2015 archiviarono come suicidio la morte del commissario Helric Fredou, all’indomani della strage di Charlie Hebdo, su cui il poliziotto indagava. Silenzio anche sull’esito delle indagini, “tombate” dal segreto di Stato dopo la scoperta della manina della Dgse, i servizi segreti parigini, nella fornitura di armi ai terroristi, subito uccisi, non senza prima aver aver lasciato un passaporto in bella vista sull’auto usata per raggiungere la redazione del giornale satirico.
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I militari Usa: è vero, gli Ufo esistono. Cosa non ci dicono?
New York, 20 settembre 2019: nel mirino dei caccia F-18 Usa sembrano oggetti lunghi e velocissimi che cambiano improvvisamente direzione con un’accelerazione fortissima. «Nei filmati che i top gun americani sono riusciti a catturare e che adesso anche la Us Navy ha reso pubblici togliendo il segreto militare, sembrano dei grandi ragni supersonici dalla forma indefinita che vorrebbero quasi danzare con i cacciabombardieri Usa, prima di sparire nel nulla». Se non sono Ufo cosa sono? «Il Pentagono – scrive “Quotidiano.net” – non li chiama con questo nome ma si sta interrogando, da anni e in segreto, su questo Unidentified Aerial Phenomena che, più che incuriosire, ormai turba i voli dei pattugliatori dei cieli, i quali non sanno come comportarsi, non essendo né droni né missili». La messa in rete, inoltre, di tre filmati girati tra il 2017 e il 2018 e la comparazione con un altro video del 2014 sta scatenando adesso un nuovo dibattito proprio nel momento in cui i cieli diventano sempre più affollati. Che ci fanno tutti quei “dischi volanti” lassù, sopra le nostre teste, a poca distanza dai jet militari?Joe Gradisher, il portavoce della marina statunitense, sostiene che i filmati girati da militari Usa sono autentici e che i fenomeni sono reali. Aggiunge: gli avvistamenti sono tutt’altro che inusuali e rari. E incoraggia tutti i piloti a riportarne la durata e l’esatta posizione in cui avvengono per creare una vera e propria mappatura degli oggetti misteriosi. «Abbiamo notato incursioni frequenti nei nostri campi di addestramento – spiega Gradisher – e questo rischia di mettere in pericolo l’incolumità dei piloti. Per lungo tempo – aggiunge – ci siamo anche accorti che molti di loro non li riportavano la notizia degli avvistamenti per paura di venir ridicolizzati, ma adesso siamo ad incoraggiare i top gun affinché siano tempestivi nelle segnalazioni, per poter studiare in profondità il fenomeno». Dichiarazioni piuttosto clamorose, da parte del funzionario militare: come se l’amministrazione volesse preparare il pubblico a imminenti rivelazioni? Fino a ieri, il tema Ufo era relegato alla fantascienza, o poco più. Ora è un continuo rincorrersi di voci. Compresa quest’ultima, dove addirittura si dichiara alla stampa che i piloti militari vengono “incoraggiati a riferire”, in modo da poter “studiare meglio il fenomeno”.«C’è chi pensa che la minaccia non appartenga al mondo della fantasia, ma possa diventare reale se non si riuscirà a stabilirne l’origine», scrive “Quotidiano.net”. «Anche se tra le grandi potenze c’è una sorta accordo non scritto che bandisce per ora la militarizzazione dello spazio, la comparsa di questi “Uap”, oggetti non identificati, sembra andare nella direzione opposta». In realtà, c’è il fondato sospetto che le autorità – non solo statunitensi – si stiano preparando ad ammettere di essere giunte ben oltre la semplice osservazione del fenomeno. Roberto Pinotti, autorevole presidente del Cun (Centro Ufologico Nazionale) e storico collaboratore dell’aeronautica italiana, ricorda che sono ormai oltre un milione gli avvistamenti registrati, di cui il 40% convalidati da militari. Secondo Pinotti, il vero problema – ormai alle porte – sarebbe di portata epocale: e cioè ammettere l’imminenza del “contatto” con entità aliene, non terrestri, che la fantascienza ci ha lentamente abituato a prendere ormai in considerazione come un evento ineluttabile e probabilmente già accaduto, ovviamente a nostra insaputa. «Storicamente – dice Pinotti – nell’incontro tra civiltà diverse, quella meno evoluta ha sempre avuto la peggio».Gli scienziati ammettono che tutto è teoricamente possibile: «Certo non siamo soli, nello spazio», ha detto il grande fisico Stephen Hawking. I militari confemano: il cielo è pieno di velivoli sconosciuti (o almeno, così definiti dai piloti). Padre Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco e direttore della Specola Vaticana, osservatorio astronomico di Mount Graham in Arizona vocato allo studio dell’esobiologia (vita extraterrestre), si è premurato di farci sapere che non esiterebbe a battezzare eventuali “fratelli dello spazio”. L’ex candidato democratico alle primarie americane, Bernie Sanders, ha appena dichiarato che, se venisse eletto presidente, andrebbe a scartabellare tra i dossier sugli Ufo per poi informare la popolazione. In realtà gli alieni sono già tra noi, ebbe a dire – un po’ scherzando e un po’ no – l’allora premier russo Dmitrij Medvedev. Non ha per niente scherzato, invece, il canadese Paul Hellyer, già ministro della difesa, secondo cui «alcuni alieni siedono addirittura nel Congresso Usa». Secondo il biblista Mauro Biglino, l’Antico Testamento racconta in realtà le gesta di “antichi astronauti”, come Yahwè, poi interpretato come “Dio” dalle successive religioni.«Nella misteriosa “Area 51”, considerata una delle più segrete basi di addestramento per l’aeronautica militare americana che sorge in Nevada, da anni i ricercatori stanno approfondendo la presenza in cielo di corpi estranei», scrive “Quotidiano.net”, a corredo delle clamorose rivelazioni della Us Navy. «I piccoli filmati rilasciati in questi giorni hanno riaperto la finestra sugli Ufo con l’intenzione di non chiuderla tanto presto», aggiunge il newsmagazine. Nel frattempo, la zona chiamata “Area 51” sembra diventata sempre più off-limits, da tenere al riparo da sguardi indiscreti. «La no-fly zone è totale e sia militari che civili non possono attraversarla». Una specie di “invasione pacifica” di cittadini curiosi, annunciata via Internet, è stata rimandata. Ma la vera domanda è: quante altre Aree 51 esistono nel mondo, dall’Antartide alla Russia? «Se un giorno si scoprisse che gli “alieni” come Yahwè sono ancora qui e dominano la Terra attraverso i loro rappresentanti, non me ne stupirei», dice Biglino. Già: ma in quel caso il potere terrestre, se si rivelasse affidato a semplici prestanome, come se la caverebbe? Molte voci, sul web, cestinano l’argomento: tutte chiacchiere, per depistare l’attenzione dalle vere responsabilità dei nostri cattivi governanti. A smentire gli scettici, però, ora si aggiungono i militari americani, con i loro sconcertanti video mostrati al pubblico.New York, 20 settembre 2019: nel mirino dei caccia F-18 Usa sembrano oggetti lunghi e velocissimi che cambiano improvvisamente direzione con un’accelerazione fortissima. «Nei filmati che i top gun americani sono riusciti a catturare e che adesso anche la Us Navy ha reso pubblici togliendo il segreto militare, sembrano dei grandi ragni supersonici dalla forma indefinita che vorrebbero quasi danzare con i cacciabombardieri Usa, prima di sparire nel nulla». Se non sono Ufo cosa sono? «Il Pentagono – scrive “Quotidiano.net” – non li chiama con questo nome ma si sta interrogando, da anni e in segreto, su questi Unidentified Aerial Phenomena che, più che incuriosire, ormai turbano i voli dei pattugliatori dei cieli, i quali non sanno come comportarsi, non essendo né droni né missili». La messa in rete, inoltre, di tre filmati girati tra il 2017 e il 2018 e la comparazione con un altro video del 2014 sta scatenando adesso un nuovo dibattito proprio nel momento in cui i cieli diventano sempre più affollati. Che ci fanno tutti quei “dischi volanti” lassù, sopra le nostre teste, a poca distanza dai jet militari?
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Francia, strage di poliziotti: un “suicidio” ogni quattro giorni
Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.I numeri sono impressionanti, fa notare Mazzucco: «Di fatto nel 2018 vi erano stati 68 fra poliziotti e gendarmi che si erano tolti la vita in Francia. E sono già 44 i loro colleghi che hanno fatto la stessa fine nei primi 6 mesi del 2019. Praticamente uno ogni 4 giorni». Per Mazzucco «sono cifre chiaramente fuori dalla norma, al punto che i due sindacati francesi dei poliziotti hanno chiesto al governo “misure urgenti per fermare questo massacro”». Tra i motivi dei suicidi, i sindacati citano «la fatica accumulata che continua ad affliggere quelli fra noi che sono più vulnerabili in termini di disponibilità di fronte ad un lavoro difficile». Sulla settimana nera delle forze di polizia francesi, “Le Figaro” scrive: il sindacato Alternative Police-Cfdt chiede «azioni concrete» per arginare questo «flagello». “Le Parisien” avverte: alcuni casi sono “sospetti suicidi”, la certezza sulle cause della morte degli agenti arriverà solo con le autopsie. L’associazione Mpc (Mobilitazione di Poliziotti Arrabbiati) scrive su Twitter che è come se fossero state eliminate, da inizio anno, «due brigate di polizia».Ma basta davvero la “fatica accumulata” per un “lavoro difficile” a portate tutte queste persone ad una scelta così drastica? Si domanda Mazzucco: se uno non ce la fa più, non può semplicemente dare le dimissioni e cercarsi un altro lavoro? E quindi: quale può essere la vera causa di un malessere così diffuso e così drammatico nelle forze di polizia francesi? Il primo presunto suicidio (eccellente) tra le forze di polizia francesi fu quello di Helric Fredou, commissario a Limoges, incaricato di indagare sulla strage di Charlie Hebdo. Aveva scoperto che la fidanzata di uno degli attentatori aveva stretti rapporti con un funzionario della Dgse, il servizio segreto nazionale. Il governo Hollande “seppellì” le indagini su Charlie Hebdo – apponendo il segreto di Stato (segreto militare, in questo caso) – quando un magistrato di Parigi, poco convinto del “suicidio” del commissario Fredou, aveva scoperto che il commando terrorista aveva usato dei Kalashnikov di fabbricazione slovacca appena acquistati da funzionari della Dgse presso un mercante d’armi, in Belgio.Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.
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Francia terrorista: fa strage a Strasburgo e protegge Battisti
Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «All’epoca degli anni di piombo, sospetto che Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.Giornalista e scrittore, studioso di simbologia e già a capo della più tradizionale obbedienza massonica italiana del Rito Scozzese, non è la prima volta che Carpeoro fornisce clamorose rivelazioni. Di recente, tramite suoi rapporti con logge tedesche, ha svelato l’imbarazzante retroscena dietro alla prima bocciatura di Marcello Foa alla guida della Rai, ottenuta su pressione di Jacques Attali, “king maker” di Macron, che si sarebbe rivolto a Giorgio Napolitano e quindi ad Antonio Tajani per premere su Berlusconi affinché revocasse il consenso sulla nomina di Foa che in prima battuta il Cavaliere aveva già assicurato a Salvini. Non è escluso che la retromarcia di Berlusconi, grazie a cui oggi Foa ha raggiunto la presidenza Rai, sia dovuta anche alle scomode rivelazioni di Carpeoro. Fuoriuscito dalla massoneria, nel 2016 l’avvocato ha pubblicato il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia occidentale (non islamica) del “neoterrorismo” europeo targato Isis: opera di manovalanza islamista reclutata da servizi segreti Nato al soldo della “sovragestione” di potere, che interseca trasversalmente governi e apparti di polizia tramite superlogge internazionali come la “Hathor Pentalpha”. Schema classico: strategia della tensione, alimentata da attentati “false flag”, sotto falsa bandiera (attribuiti all’Isis). «Così come già Al-Qaeda, anche l’Isis è il prodotto della medesima sovragestione occidentale», sottolinea Carpeoro. «E l’ultimo attentato, quello di Strasburgo, ne è un esempio perfetto». Obiettivo? «Politico: aiutare Macron a resistere all’assedio dei Gilet Gialli, depistando l’opinione pubblica e indirizzandola verso un nemico esterno».Mai come nel caso di Strasburgo, dichiara Carpeoro in video-chat con Frabetti, è apparso chiaro il carattere artificioso della strage, progettata dai servizi segreti a poche ore dalla clamorosa “resa” televisiva di Macron, messo in croce dai Gilet Gialli. L’attentatore è stato presentato come “islamico radicalizzato”, ma testimoni raccontano di averlo visto ubriaco fradicio, qualche sera prima, in una birreria. «Il sindaco di Strasburgo ha dichiarato di non riuscire a spiegarsi come Cherif Chekatt, pregiudicato e schedato dalla polizia come sospetto terrorista islamico, possa essere riuscito a inoltrarsi – armato – nel perimetro super-vigilato del centro di Strasburgo, giungendo indisturbato fino al mercatino di Natale dove poi ha compiuto la strage». Ma peggio: «Poco prima – aggiunge Carpeoro – Chekatt era sfuggito all’arresto. Strano, che qualcuno compia una strage (anziché sparire) poco dopo esser sfuggito all’arresto. E ancora più strano è che la polizia non si attivi per braccarlo, non diffonda foto segnaletiche, non disponga posti di blocco». Attenzione: «Chi c’era, a proteggere il centro di Strasburgo? Le forze speciali antiterrorismo». In altre parole: qualcuno che, il killer, “doveva” lasciarlo passare – armato – evitando di perquisirlo?Il tentato arresto, aggiunge Carpeoro, è chiaramente un alibi per allontanare i sospetti dalle forze di sicurezza. E non è tutto: «Da una perquisizione domiciliare, il killer è risultato essere in possesso di un’altra pistola, diversa da quella usata per la strage, e addirittura di una granata». Domanda: «Se voleva fare una carneficina, perché non ha portato con sé anche le altre armi?». E soprattutto: «Perché ancora oggi non sappiamo che tipo di pistola fosse, quella usata per sparare sulla folla?». Stranezze su stranezze: subito, era corsa voce che Chekatt si fosse rifugiato in Germania. Invece, stranamente, non si era allontanato da Strasburgo. Nessuno si stupisce più che sia stato ucciso, alla fine, come tutti gli altri killer che negli ultimi anni hanno insanguinato l’Europa: nessun magistrato ha mai potuto interrogarli, sono tutti stati messi a tacere dai cecchini. Carpeoro insiste sull’arma della strage: «Dato che non è stata fatta circolare nessuna informazione, su quella pistola, è altamente probabile che sia di importanza decisiva per risalire alla verità». Un’arma fornita al killer direttamente dai servizi segreti francesi?Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo, l’Eliseo insabbiò le indagini – apponendo il segreto di Stato (segreto militare) – nel momento in cui un magistrato aveva scoperto che le armi del commando kamizake erano state acquistate, in Belgio, da agenti della Dgse, l’intelligence di Parigi. Uno degli 007 era in contatto con la fidanzata di uno dei giovani attentatori (anch’essi poi freddati dai cecchini, esattamente come Cherif Chekatt). Per Carpeoro, ormai il gioco è spudorato: non si era mai vista tanta tempestività nel fare ricorso al terrorismo per motivi di stringente necessità politica. «Temo che all’attentato di Strasburgo ne possano seguire altri», aggiunge Carpeoro, secondo cui – intanto – un risultato è stato ottenuto: è vero che il Gilet Gialli sono tornati in piazza, ma intanto si sono divisi politicamente. «L’attentato ha prodotto questo effetto: ha costretto i manifestanti a dividersi». Da una parte quelli intenzionati a protestare a oltranza, e dall’altra chi pensa sia meglio una pausa di riflessione, un gesto di solidarietà nazionale. Carpeoro è indignato: i cittadini francesi, dice, dovrebbero sapere che il loro governo protegge in Siria le milizie terroristiche di Al-Nusra, asserragliate a Idlib. «Al-Nusra è la filiazione diretta di Al-Qaeda, e il governo di Damasco vorrebbe cacciarla da Idlib. Ma non ci riesce, perché Al-Nusra è protetta dalla Francia».Non è un caso che il killer di Strasburgo abbia rivendicato la strage facendo riferimento ai “caduti siriani”. E, dato che tra le vittime c’è anche un italiano, si rivolge direttamente agli inquirenti italiani: proprio la pistola “fantasma” di Chekatt, sparita nel nulla, potrebbe essere la chiave per collegare l’esecutore ai mandanti. Servizi-colabrodo, alle prese con relazioni pericolose? Dipende: «E’ normale che i servizi segreti infiltrino loro uomini anche nelle strutture terroristiche, è il loro mestiere. L’importante è il fine: un conto è se collaborano per evitarli, gli attentati (come avvenuto in Italia in questi anni), e un altro è se invece collaborano per farli». Quanto all’Italia, appunto, forse è giunta l’ora di ribellarsi ai soprusi dell’intelligence “sovragestita” di Parigi: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Insiste, Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia».Francia terrorista: i servizi segreti di Parigi hanno organizzato la strage di Strasburgo per aiutare Macron, messo in difficoltà dai Gilet Gialli, mentre in Brasile hanno reso improvvisamente irreperibile Cesare Battisti, un attimo prima che venisse arrestato. Perché la Francia dovrebbe proteggere Battisti, evitandogli di essere estradato in Italia, dove lo attenderebbe l’ergastolo per omicidio? Semplice: «Sono convinto che, all’epoca degli anni di piombo, Battisti sia stato infiltrato dai francesi nel sottobosco dell’eversione italiana». Sono di questo tenore le dichiarazioni rilasciate il 16 dicembre dall’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Adesso basta», si sfoga Carpeoro: «Se qualcuno a Roma ha le palle, convochi l’ambasciatore francese e gli chieda conto dell’operato dei servizi segreti di Parigi. L’Italia ne ha titolo, anche perché a Strasburgo è morto un ragazzo italiano di 28 anni», Antonio Megalizzi, colpito dai proiettili esplosi all’impazzata, l’11 dicembre, dal giovane Cherif Chekatt, noto pregiudicato, con 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi. Classificato “islamico radicalizzato” dalla polizia francese, Chekatt ha ucciso sul colpo 3 persone (salite a 4, con Megalizzi) ferendone altre 16. Carpeoro accusa Parigi: il killer è stato appositamente reclutato attraverso le brigate Al-Nusra, eredi di Al-Qaeda in Siria, stanziate a Idlib e segretamente protette dalla Francia.
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La Stampa: lampi sul ponte prima del crollo, video oscurato
Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?Non sono in pochi, nei mesi scorsi, ad aver parlato di massima allerta: come se ci fosse il fondato timore di un “Big One”, un maxi-attentato per colpire finalmente anche l’Italia, finora rimasta al riparo dalle stragi dolose grazie a quello che viene considerato il miglior dispositivo antiterrorismo del mondo. «Al posto di Salvini mi guarderei bene dal sostituire gli attuali vertici dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza che hanno finora sventato decine di attentati, nel nostro paese», ha dichiarato tempo fa l’avvocato Gianfranco Pecoraro, meglio noto con lo pseudonimo di Carpeoro, con il quale ha firmato romanzi e saggi come “Dalla massoneria al terrorismo”. Nel libro, l’autore svela gli inquietanti retroscena degli attentati compiuti in Francia e in Belgio: manovalanza islamista, ma simbologia tipicamente massonica e di ispirazione templare. Più volte, specie dopo l’orrenda strage di Nizza del 14 luglio 2016, lo stesso Carpeoro ha ammonito: c’è il rischio che le stesse “menti raffinatissime” possano colpire anche l’Italia, paese a cui sembra alludere scelta di organizzare proprio a Nizza il massacro compiuto nel giorno dell’anniversario della Presa della Bastiglia, data-simbolo per la massoneria progressista impegnata a contrastare la supermassoneria reazionaria responsabile dell’austerity europea.C’entra qualcosa, tutto questo, anche con la sciagura di Genova? Lo stesso Carpeoro ne parlerà domenica 19 agosto in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” insieme a un altro analista non-allineato come Massimo Mazzucco, autore di documentari che hanno fatto epoca, nei quali si dimostra completamene infondata la verità ufficiale sul maxi-attentato dell’11 Settembre negli Usa. A gettare acqua sul fuoco dei possibili complottismi, per ora, provvedono siti come “Next”, secondo cui i due bagliori ben visibili nel filmato circolato sul web «in tutta evidenza sono lampi, visto che prima del crollo su Genova si era scatenato un nubifragio di grandi dimensioni (c’era l’allerta arancione della protezione civile)». Il primo ad adombrare l’ipotetica presenza di circostanze anomale è stato Valerio Staffelli, uno dei mattatori di “Striscia la notizia”, autore del seguente tweet: «Scusate, ho visto immagini crollo ponte a Genova, per caso avete notato due bagliori prima del crollo? Ero lontano dal monitor ma sembravano una coppia di bagliori». Fa effetto, ovviamente, a neanche due settimane dal disastro sull’A14 a Bologna.Alcuni degli automobilisti che appena dopo il crollo erano corsi al riparo nella vicina galleria, aggiunge “Next”, hanno raccontato di aver visto cedere uno degli “stralli”, i tiranti che reggevano il viadotto. Altri testimoni che si trovavano in auto nelle vicinanze hanno invece visto «un fulmine colpire il ponte». L’ipotesi che il viadotto Morandi sia crollato a causa di un fulmine «non è stata confermata né accertata», spiega Angelo Borrelli, dirigente della protezione civile. “Next” aggiunge che l’ingegner Antonio Brencich, professore associato di costruzioni in cemento armato all’università di Genova, esclude la possibilità che un fulmine abbia causato il crollo del ponte. Per contro, è il quotidiano “La Stampa” a scrivere che un altro video, quello delle telecamere di sicurezza dell’autostrada A10, è stato stranamente rimosso appena dopo il disastro. Il giornale lo ripropone. Ore 11, 36 minuti e 28 secondi: quei lampi, sotto la pioggia battente, sono evidentissimi, proprio al momento del crollo. Inutile affrettare conclusioni, ovviamente, così come sarebbe demenziale scartare pregiudizialmente le ipotesi più scomode.Basti ricordare che la verità su Charlie Hebdo non si saprà mai, avendo la Francia seppellito l’inchiesta col segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura di Parigi aveva scoperto un’imbarazzante triangolazione: i Kalashnikov impiegati dal commando dell’Isis erano stati acquistati da un armaiolo belga grazie ai buoni uffici di un funzionario dei servizi segreti francesi, risultato in contatto con la fidanzata di uno degli attentatori. «A volte il complottismo raggiunge l’idiozia pura», avverte Carpeoro: «C’è chi è arrivato a dire che nel teatro Bataclan non sia morto nessuno: e questo genere di “sport” è utilissimo per screditare chiunque si impegni a cercare una verità diversa da quella ufficiale». E’ noto che il terrorismo è un abominevole strumento politico: in Francia, ad esempio, è servito a intimidire Hollande spianando la strada a Macron, già banchiere Rothschild e pupillo dell’oligarchia supermassonica più pericolosamente reazionaria. E’ lo stesso Macron che oggi ha dichiarato guerra all’Italia, definendo “vomitevole” la politica di Salvini e del governo gialloverde, sostenuto da oltre il 60% degli italiani ma fermamente osteggiato dall’élite europeista artefice del rigore (e, secondo Carpeoro, anche della strategia della tensione a colpi di attentati stragistici “false flag”, comodamente targati Isis).Attentato, sì – ma “alla sicurezza dei trasporti”. Niente terrorismo, dunque, ma “solo” negligenza, per quanto criminale. E’ una delle ipotesi di reato che, secondo “Rai News”, la procura di Genova sarebbe pronta a contestare per il drammatico crollo del viadotto Morandi il 14 agosto. Attentato alla sicurezza dei trasporti, oltre a omicidio colposo plurimo e disastro colposo, per una strage costata 41 morti, 8 feriti e (per ora) una decina di dispersi, insieme a oltre 600 sfollati. «Non è stata una fatalità, ma un errore umano», sottolinea il procuratore genovese Francesco Cozzi, che coordina le indagini con i pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. E quegli strani lampi? Milioni di italiani hanno visionato, sul web, le drammatiche immagini del crollo, riprese in diretta con lo smartphone da Davide Di Giorgio: mostrano due bagliori che illuminano il ponte un istante prima del rombo che annuncia il collasso della mastodontica infrastruttura autostradale. “La Stampa” pubblica addirittura un video poi rimosso da Autostrade: quei lampi si vedono benissimo. Tanto basta per dare fiato anche agli immancabili sospetti: e se la catastrofe di Genova fosse stata causata da un oscuro attentato terroristico di tipo stragista, come quelli che hanno insanguinato il resto d’Europa a partire dalla mattanza di Charlie Hebdo?
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Autostrade, l’indecente segreto di Stato sulle concessioni
Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al ministero delle infrastrutture i testi dei contratti di concessione autostradale. Sembrava una richiesta di routine, e invece i funzionari ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati. Nemmeno all’organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della creazione dell’Autorità. L’Aiscat, l’associazione dei gestori, era riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri: contrariamente a quello che accade in altri paesi, l’Autorità deve ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di Autostrade. Non meraviglia dunque che “Phastidio”, il sito dell’economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni «un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In questo caso, però, a essere protetta non è la collettività, ma le società che incassano i pedaggi.Il muro di gomma ha fino ad ora sempre tenuto, sventando ogni pericolo; l’esempio più recente risale all’inizio di quest’anno: mantenendo all’apparenza le ripetute promesse di trasparenza, Graziano Delrio, ministro dei trasporti del governo Gentiloni, ha fatto pubblicare su Internet i testi incriminati. Peccato però che siano state escluse le parti più importanti, quelle davvero utili per farsi un’idea della sensatezza economica degli accordi. Le concessioni, in tutto una ventina o poco più, sono i contratti con cui lo Stato (attraverso il ministero delle infrastrutture) affida a una società la gestione di un tronco autostradale, i rispettivi obblighi e diritti, i ricavi che l’operatore privato ne potrà trarre e gli investimenti a cui si impegna. Nella maggior parte dei casi risalgono alla fine degli anni Novanta, il periodo delle grandi privatizzazioni. Quella di Autostrade per l’Italia, siglata nel 1997, scadeva nel 2038; ma di recente, in cambio dei lavori sulla nuova super-tangenziale di Genova, la cosiddetta Gronda, è stata prorogata al 2042.Proprio le proroghe sono uno dei tasti più delicati. La legge europea prevede che, una volta scadute, le convenzioni vengano messe a gara, nel nome di una sana competizione. Peccato che in Italia non succeda praticamente mai. Il cavallo di Troia sono di solito i nuovi investimenti: il gestore si impegna a costruire un nuovo tronco, una terza (o quarta) corsia, opere considerate indispensabili, e come remunerazione finisce con l’ottenere dal governo un aumento dei pedaggi o una proroga del contratto (talvolta entrambi). Spesso, tra l’altro, l’investimento provoca un aumento del traffico e il gestore ci guadagna due volte. Atlantia dei Benetton (con Autostrade primo gestore italiano) o il gruppo Gavio (secondo) hanno un altro vantaggio: possiedono delle società di costruzioni interne a cui, almeno in parte, affidano i lavori. L’incasso tende così a triplicarsi.Uno dei dominus del sistema è Fabrizio Palenzona, tra i più formidabili uomini di potere dell’Italia degli ultimi decenni. Ai tempi della Prima Repubblica era già un democristiano in carriera (è stato sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria). Poi è diventato banchiere (vicepresidente di Unicredit) e proconsole dei Benetton nel settore infrastrutture. In questa veste è presidente di Aiscat (come detto l’associazione dei gestori autostradali) e di Assoaeroporti (i Benetton controllano lo scalo di Fiumicino). La famiglia di Ponzano Veneto, oggi in difficoltà di fronte all’accanita competizione nel settore dei maglioncini (dove da anni perde soldi) è entrata nel più redditizio comparto dei servizi in concessione già dalla prima privatizzazione nel 1998. Più o meno nello stesso periodo sono entrati i Gavio. Le società della famiglia di Tortona sono state coinvolte qualche anno fa in una grottesca vicenda che rende bene la scarsa trasparenza del settore. La cosiddetta legge sblocca-Italia del 2015 prevedeva a loro vantaggio la solita proroga (con relativi incassi) in cambio di lavori per 10 miliardi. Arrivata a Bruxelles la norma fu bocciata tra mille imbarazzi: i «nuovi» lavori, dissero i funzionari Ue, sono gli stessi che ci avete presentato negli anni precedenti. Quante volte volete farveli pagare?(Angelo Allegri, “L’indecente segreto di Stato sui contratti di concessione”, dal “Giornale” del 17 agosto 2018).Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al ministero delle infrastrutture i testi dei contratti di concessione autostradale. Sembrava una richiesta di routine, e invece i funzionari ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati. Nemmeno all’organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della creazione dell’Autorità. L’Aiscat, l’associazione dei gestori, era riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri: contrariamente a quello che accade in altri paesi, l’Autorità deve ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di Autostrade. Non meraviglia dunque che “Phastidio”, il sito dell’economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni «un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In questo caso, però, a essere protetta non è la collettività, ma le società che incassano i pedaggi.
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La rivoluzione della verità: Marcello Foa alla guida della Rai
Che succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfino Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?Ha un che di destabilizzante e rivoluzionario, la decisione di Salvini e Di Maio. Obiettivo evidente: coprire le spalle al governo gialloverde, sottoposto al fuoco di sbarramento del sistema televisivo, pilotato dal vecchio establishment per il quale la verità è solo una variabile del copione. La nomina di Foa piomba come un ordigno nucleare su una palude maleodorante di telegiornali bugiardi e reticenti, di talkshow orwelliani infestati di testimonial unilaterali del calibro di Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, presentati come marziani super-partes paracadutati, loro malgrado, fra le disgrazie “neo-sovraniste” dell’Italietta gialloverde. Lo stesso Mentana – piazzato da Craxi al Tg2 e poi approdato a Mediaset prima di finire a La7 – liquida con irridente sarcasmo i poveri fessi che ancora non credono alla versione ufficiale dell’11 Settembre, cioè la madre di tutte le “fake news” – la peggiore e più sanguinosa, la più gravida di orrori per il resto dell’umanità, letteralmente travolta da un quindicennio di guerre devastanti, organizzate da una propaganda che ha presentato il massone Osama Bin Laden, socio dei Bush e giù uomo Cia in Afghanistan, come una specie di cavernicolo anti-Usa. Da Al-Qaeda all’Isis, dall’Iraq alla Siria fino alla catena di spaventosi attentati “false flag” in Europa: mai un brandello di verità, da Mentana e soci, sulla strategia della tensione finto-islamista che ha indotto la Francia a sigillare col segreto di Stato (segreto militare) le indagini su Charlie Hebdo, dopo la “triangolazione delle armi” emersa a collegare il commando Isis ai servizi segreti.Dal 2001, il pubblico occidentale è stato sistematicamente inondato di menzogne e “fake news” di regime, propagandate dai governi, senza che i giornalisti delle principali testate abbiano opposto la minima resistenza civile, professionale e intellettuale. Se i reporter avessero fatto il loro lavoro, accusa un grande del giornalismo anglosassone come Seymour Hersh, Premio Pulitzer, non avremmo dovuto seppellire così tante vittime innocenti. Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: non grazie ai giornalisti, ma malgrado loro. Gli inglesi hanno votato la Brexit e gli americani hanno eletto Trump nonostante i media fossero tutti schierati per il Remain e per la Clinton. Nel suo piccolo, l’Italia si è sbarazzata di Renzi con il referendum sulla riforma costituzionale, supportata a reti unificate da giornali e televisioni. Peggio ancora: contro il sistema mainstream ancora allineato al vecchio ordine politico (Obama e Merkel, Draghi e Mattarella) gli elettori italiani hanno scelto i 5 Stelle e la Lega, che infine hanno trovato il coraggio di un compromesso di governo. Fino al punto, oggi, di insediare alla guida della Rai un cavallo di razza come Foa, alle prese con una missione incredibile: rompere il muro di omertà mediatica, spezzare il coro delle finte notizie e cominciare a raccontare, finalmente, la verità.Che succede, se diventa presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? E’ semplicemente favolosa, infatti, la nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle. Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il grande giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa. Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili) alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfido Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi dal Tg1?
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Macron insulta l’Italia. E’ una minaccia: rischio terrorismo
Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.In altre parole: è il panico, non appena l’Italia esce dal letargo nel quale era sprofondata, rinunciando alla politica estera. «La sfrontatezza di Macron è un segnale pericoloso», rileva Maurizio Blondet. A inquietare Parigi sul caso Aquarius, anche la mossa della “ribelle” Corsica: l’isola, da sempre indipendentista, ha sfidato Parigi candidandosi ad affiancare l’Italia nell’accoglienza in mare, attraverso i propri porti. Da qui, probabilmente, anche l’inaudita reazione di Macron, apparentemente scomposta. In realtà, secondo Dolcino, si sta palesando un disegno eversivo: «L’Italia oggi diventa ad altissimo rischio attentati, probabilmente per colpire Salvini e il governo». Il motivo? Sintetizzato in una foto: la bandiera italiana data alle fiamme insieme a quella americana, in una dimostrazione a margine del G7. «Salvini deve fare estrema attenzione», scrive Dolcino su “Scenari Economici”: il nuovo governo «verrà presto messo in discussione, probabilmente anche mettendo sotto attacco l’Italia con accuse al ministero degli interni». In che modo? «Con il terrorismo (esterno), leggasi attentati in Italia».Dolcino propone una lettura geopolitica: ai francesi risulta indigesto l’allineamento strategico dell’Italia con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche in tema economico, sulla «cancellazione dei dazi per tutti». Una proposta trumpiana che Dolcino definisce «geniale e pacificatoria», ma chiaramente contraria agli interessi di Cina, Francia e Germania, «che invece prosperano ad esempio coi loro prodotti sui mercati Usa anche grazie a tariffe e dazi contro le importazioni Usa 4 o 10 volte superiori a quelli statunitensi per gli omologhi prodotti, come le automobili». Dunque, «con un tempismo incredibile», ecco che «vediamo bruciare la bandiera americana, italiana e inglese in piazza da parte dei dimostranti, addirittura durante lo svolgimento dello stesso G7». Dolcino insiste: «Salvini deve fare molta attenzione, perché quella bandiera italiana in fiamme rappresenta molto più di quanto può apparire: l’Italia diventa ufficialmente un problema di grado superiore, da risolvere da parte di coloro che volevano un fronte comune anti-Usa, fronte che può essere sommariamente condensato nei poteri che mirano a sostituirsi agli Usa al comando del Vecchio Continente».Terrorismo, dunque? Segnalando le recenti intercettazioni di armi alle frontiere terrestri del Belpaese, Dolcino ritiene che, da oggi, l’Italia sia a massimo rischio attentati sul proprio suolo. «Immagino che le forze dell’ordine sappiano bene di cosa sto parlando», aggiunge. «Faccio presente che, a prescindere dall’etichetta che potrebbe essere data a tali ipotetici – e speriamo mai attuati – attacchi (Isis, anarchici, immigrati) nel caso dovessero essere perpetrati molto probabilmente non bisognerebbe guardare molto lontano, ad est o in Medio Oriente, ma vicino, a nord e a nord-ovest». Impossibile dimenticare chi è Emmanuel Macron, incredibilmente presentato dai media come outsider della politica transalpina. Già dirigente della Banca Rothschild, Macron ha collaborato con i vari governi della presidenza Hollande, arrivando a fare il ministro dell’economia nella peggior stagione democratica della Francia, con il paese scosso dal terrorismo targato Isis. Stragi e attentati “false flag”, secondo la logica criminale della strategia della tensione: le indagini sul massacro di Charlie Hebdo, ad esempio, sono state bloccate dal segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura aveva scoperto un imbarazzante legame tra le armi del commando terrorista e un dirigente dei servizi segreti francesi, che le aveva acquistate in Belgio.Definendo “vomitevole” la nuova politica italiana – promossa a furor di popolo il 4 marzo dal 55% degli elettori – Macron svela il suo vero volto di pericoloso oligarca: è il pupillo di Jacques Attali, il supermassone reazionario che irrise la «plebaglia europa», testualmente, per essersi illusa sull’euro, credendo davvero che la moneta unica fosse stata creata per la «felicità» del popolo. Proprio Attali è uno dei maggiori architetti dell’Europa del rigore, ben incarnata dall’allievo Macron: l’attuale presidente francese, altissimo esponente dell’élite finanziaria che ha fatto praticamente sparire la democrazia in Europa insieme ai diritti del lavoro, ha infatti annunciato tagli colossali nel welfare transalpino e la riduzione drastica del pubblico impiego. Più ancora della Merkel, il supermassone neo-aristocratico Macron è il vero campione dell’eurocrazia banditesca contro la quale gli italiani hanno appena votato. Peggio: è il capo politico di un paese devastato da attentati attribuiti alla manovalanza islamista, ma tutti sinistramente contrassegnati da eloquenti simbologie massoniche, dall’epopea dei Templari sanguinosamente riproposta – in codice – nella mattanza del Bataclan, fino alla strage di Nizza del 2016 attuata il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista che – anche dalla nuova trincea italiana – sarebbe impegnata a contrastare la cupola del potere “nero” che si è impadronito dell’Europa, schiacciando i popoli nella morsa dell’austerity.Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.
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Lo 007 del Papa che fece affondare due corazzate italiane
E se Ratzinger avesse scelto quel nome pontificale, Benedetto, per alludere al pericolo del nuovo ordine mondiale che incombe sul pianeta? Ipotesi suggestiva, lanciata da una ricercatrice indipendente come Lara Pavanetto, intervenuta nella tramissione web-radio “Forme d’Onda”. Il predecessore omonimo del Papa tedesco, Benedettto XV, eletto al soglio pontificio nel fatidico 1914, passò alla storia come fermo oppositore della Grande Guerra, che di lì a poco avrebbe “rottamato” lo statico assetto europeo incarnato dagli imperi centrali. C’è la paura di un cambiamento teoricamente rovinoso, nel ricorrere dello stesso nome che – a distanza di quasi un secolo – due pontefici decidono di adottare, alla vigilia dello sconvolgimento epocale del mondo in cui vivono? Citando il saggio di Annibale Paloscia “Benedetto fra le spie”, pubblicato nel 2007 da Editori Riuniti, Lara Pavanetto mette a fuoco il ruolo anti-italiano del Vaticano, preoccupatissimo – all’alba del primo conflitto mondiale – che Roma potesse dichiarare guerra all’Austria-Ungheria. Non solo politica: gli studiosi svelano una vera propria “guerra delle spie”, che portò al clamoroso affondamento delle due corazzate Benedetto Brin e Leonardo Da Vinci, vanto della nostra marina militare. Bilancio: oltre 600 marinai uccisi. Presunto regista del doppio sabotaggio: il prelato bavarese Rudolph Gerlach, “cameriere segreto” del Papa e vero e proprio 007 vaticano.L’imponente nave da battaglia Benedetto Brin, lunga 130 metri e dotata di 44 cannoni, cola a picco il 27 settembre 1915 dopo essere esplosa in rada, a Brindisi, trasformandosi in una tomba per 456 uomini, tra marinai e ufficiali. Il referto delle autorità: semplice incidente, causato da uno scoppio nella santabarbara stipata di munizioni. «Si può capire la prudenza del governo», spiega Lara Pavanetto: «Mezza Italia, nel 1915, non aveva ancora digerito la decisione di rompere la neutralità con l’Austria. E tra gli stessi militari, molti ufficiali di alto livello non erano stati così contenti dell’abbandono della Triplice Alleanza». L’immancabile commissione d’inchiesta si affretta ad escludere che l’affondamento della Brin sia dovuto a un attentato. La marina militare rassicura il ministero dell’interno: non c’è stato alcun sabotaggio. Ma il capo della polizia, Giacomo Vigliani, non ci crede. E infiltra agenti segreti nelle reti dello spionaggio austriaco a Zurigo e Lucerna. Uno di questi è un avvocato tarantino, Archita Valente: si dichiara “socialista rivoluzionario” ma in realtà lavora per l’Ufficio Affari Riservati. L’altro infiltrato è un fruttivendolo napoletano, Enea Vincenzi, esperto di controspionaggio con alle spalle attività nell’intelligence della marina militare. In Svizzera, Vincenzi farà il doppio gioco: verrà coperto di soldi e incaricato dagli austriaci di sabotare la flotta italiana. Detto fatto: Vincenzi fa sapere ai tedeschi che l’esplosivo sarà introdotto a bordo dell’altra corazzata, la Leonardo, nascosto in un carico di frutta.La grande nave (quasi 170 metri, armata con 52 cannoni) è in servizio da appena due anni quando salta in aria, il 2 agosto 2016, alla fonda nel Mare Piccolo di Taranto. Altra catastrofe: 249 militari uccisi. Di nuovo, il governo minimizza il disastro e impone la censura alla stampa: «Nessun giornale parlerà del disastro della Leonardo». Nuova commissione d’inchiesta: le conclusioni sono “riservatissime” e firmate da Augusto Righi, maestro di Marconi, formulate solo nel 1917: «Un’azione delittuosa, favorita da un deplorevole stato di abbandono in conseguenza del quale, a bordo, non si vegliava». Al che, polizia e servizi italiani capiscono che Vincenzi ha fatto il doppio gioco. Da allora, l’ex “fruttivendolo” sparisce dalla faccia della terra: forse eliminato dagli italiani come traditore, o liquidato dagli stessi tedeschi (in un campo di detenzione in Boemia?) per non lasciare in vita un testimone scomodo. Affondata anche la seconda corazzata, l’intelligence della marina militare cambia politica e passa al contrattacco, impossessandosi della cassaforte dei servizi austro-tedeschi a Zurigo. Le carte sull’affondamento della Leonardo arrivano nelle mani del futuro diplomatico fascista Pompeo Aloisi: i fratelli Nello e Carlo Rosselli sospetteranno che abbia tenuto per sé la vera storia dell’affondamento della corazzata – realizzato con la complicità di alti gradi della Regia Marina, contrari (come il Vaticano) alla guerra contro l’Austria?A complicare l’intreccio, aggiunge Lara Pavanetto, provvede la vicenda – parallela – dell’altra spia, l’avvocato Archita Valente, «un avventuriero affamato di soldi», sul quale il capo della polizia puntava per scoprire il ruolo del Vaticano, tramite Rudolph Gerlach, nell’organizzazione spionistica che aveva portato all’affondamento delle due corazzate. «Vigliani era convinto che le notizie sulla flotta italiana arrivassero ai tedeschi tramite Gerlach», cioè il dignitario pontificio più vicino al Papa. Giacomo della Chiesa, in arte Benedetto XV, non vuole la guerra contro Vienna. Il capo della Chiesa teme che, crollando l’Impero Austro-Ungarico (grande finanziatore di un Vaticano ancora gelido col governo italiano, dai tempi della Breccia di Porta Pia) possa preludere all’ulteriore indebolimento del potere cattolico. Il diletto Gerlach, tedesco, è il suo uomo di fiducia. Secondo la polizia italiana, è anche un abilissimo uomo di intelligence: “merito” suo se i servizi austro-germanici sono riusciti a colare a picco le due ammiraglie della marina militare. «Va fermato, quel Gerlach». Come? «Usando l’avvocato Valente», pensa Vigliani. «L’avvocato viene spedito a Lucerna per spiare i servizi tedeschi, ma anche lui – sempre a corto di soldi – diventa un doppiogiochista, fino a rivelarsi un anello importantissimo nel caso Gerlarch».Archita Valente, riassume Lara Pavanetto, dovrà foraggiare politici e giornalisti italiani con soldi tedeschi, per amorbidire le loro posizioni verso la Germania e l’Austria: e lo farà tramite i buoni uffici del potentissimo Rudolph Gerlach, l’uomo del Papa, di fatto un decisivo operatore dell’intelligence. Anche stavolta il capo della polizia, Vigliani, intuisce il doppio gioco della spia italiana, ma lascia correre: spera di avvicinarsi il più possibile a Gerlach, scoprendolo “cassiere occulto” di Archita Valente per conto dei tedeschi. Poi però i tedeschi bombardano Venezia, e l’Italia – per rappresaglia – il 25 agosto 1916 occupa e confisca Palazzo Venezia, sede dell’ambasciata austriaca, dichiarando guerra anche alla Germania. «La situazione politica precipita: ma mentre il socialista Leonida Bissolati insulta i cattolici accusandoli di collaborazionismo, di fronte alle vibranti proteste del Papa il governo guidato da Paolo Boselli – al culmine della crisi diplomatica con l’Oltretevere – decide di rivelare segreti militari alla Santa Sede». Pazzesco, ma molto “italiano”: «A Gerlach, uomo dei tedeschi, viene inviato un dossier segretissimo che rivela i feroci contrasti, sulla conduzione della guerra, tra il capo di stato maggiore Luigi Cadorna e una parte del governo».Tensione allentata fino a quando, a novembre, muore l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Il Papa osa piangerlo e augurare prosperità all’Austria? Per rappreseglia, la polizia di Vigliani arresta Giuseppe Ambrogetti, strettissimo collaboratore di Benedetto XV, che lo chiama “Peppino carissimo”. «Alla notizia, pare che il Papa abbia pianto per giorni, chiuso nei suoi appartamenti». Nel frattempo è stato arrestato (senza clamore, però) lo stesso Archita Valente. E dopo quello di Ambrogetti, il Vaticano teme che si arrivi all’arresto di Gerlach: per evitarlo, aggiunge Lara Pavanetto, «si avviano trattative segrete tra governo italiano, Vaticano e forse anche casa Savoia». Gerlach riuscirà infatti a mettersi al sicuro, riparando in Svizzera. Finirà sotto processo nel gennaio 1917, ma sarà giudicato soltanto in contumacia. E il doppiogiochista Archita Valente? «E’ riconosciuto colpevole di tradimento – scrive Lara Pavanetto nel suo blog – ma scampa alla fucilazione: gli sono riconosciute le attenuanti di non aver provocato gravi danni alle forze armate, e di aver manifestato sintomi di alterazioni psicopatiche». Viene rinchiuso nelle carceri di Avellino, dove ufficialmente muore nel novembre del 1918. «Tuttavia, quando nel settembre 1935 il vice capo della polizia Carmine Senise trasmette nota alla prefettura di Taranto, dove Valente era nato, con la richiesta di fare accertamenti sulla sua morte, la prefettura risponde al Viminale che nessuna comunicazione era giunta al Comune nel 1918».E come mai Archita Valente era finito nel carcere di Avellino, considerato un luogo infernale? In prigione, scrive Pavanetto, «Archita riceveva giornalmente la visita della bella moglie Elvira Pesapane, che ogni mese riceveva un assegno mensile di 250 lire dal Vaticano: un sussidio illimitato». Ovvero: «Il Vaticano pagava ad Archita Valente il suo silenzio sul coinvolgimento di alti prelati della Santa Sede nelle operazioni di spionaggio condotte da Gerlach?». Il suo decesso – che per il Comune di Avellino è avvenuto il 6 novembre 1918 – non è stato comunicato al tribunale né procura, cui spettava anche di disporre l’eventuale autopsia. «Nemmeno la locale questura comunica la morte della spia alla direzione generale della Ps, che pure l’aveva avuta alle sue dipendenze». Le circostanze di quella morte sono tutt’oggi oscure, aggiunge Lara Pavanetto, anche perché la documentazione del carcere di Avellino anteriore agli anni Venti è andata perduta. «Sappiamo però che la morte di Archita Valente generò una particolare attenzione nelle autorità ecclesiastiche, dalle quali ricevette un trattamento speciale». Il corpo di Archita Valente, infatti, «sarà seppellito non in terra comune, ma nella cappella del Carmine, tra i marmi di uno dei più antichi monumenti sepolcrali del cimitero di Avellino».Il sepolcro apparteneva alla parrocchia del Carmine, la più importante di Avellino, «per l’altissima devozione con cui era venerata dagli avellinesi la Madonna del Carmine». Accoglieva tombe con i resti di alti prelati o di laici che si erano distinti per opere di carità e per donazioni alla Chiesa. Altra anomalia: «Nei registri della parrocchia si conservano i dati sui lasciti dei cittadini che hanno avuto il privilegio di una tomba nella chiesa madre o nella cappella del Carmine, ma non c’è alcun riferimento all’inumazione di Archita Valente». Qualcuno dal Vaticano «doveva essere per forza intervenuto direttamente, perché era un caso eccezionale che fosse stata concessa a un condannato la sepoltura in una cappella parrocchiale tra i benemeriti della Chiesa». Un caso che ricorda da vicinissimo quello di Enrico De Pedis, il “Renatino” della Banda della Magliana, ritenuto responsabile di sequestri di persona, traffico di droga e affari con Cosa Nostra: assassinato in un regolamento di conti e poi sepolto nella basilica di Sant’Apollinare in Classe a Roma, a fianco della tomba di un cardinale. «Nel caso di De Pedis, l’autorizzazione fu data dal cardinale Poletti, in considerazione delle opere di bene fatte dal bandito. Il che conferma che in questi casi assai rari, le scelte sono fatte dall’alto».Allo stesso modo, continua Lara Pavanetto, «si può presumere che la Santa Sede avesse riconosciuto ad Archita Valente la benemerenza di non aver tradito». Ma non è tutto: «C’è anche chi pensa che in realtà fosse stata orchestrata una finta morte della spia, vista la strana destinazione di un ‘nevrastenico’ in un carcere durissimo». In effetti, dal carcere di Avellino c’era stato qualche caso di evasione, con la complicità di agenti di custodia. «Certo è che ancora nel 1943, vi fu qualcuno al ministero dell’interno che si chiese che fine avesse fatto realmente Archita Valente: uno scrupoloso funzionario si era forse accorto che il fascicolo della spia non era mai stato aggiornato con la data della morte». Il Viminale chiese notizie alla prefettura di Taranto e alla questura di Roma. Ad oggi il mistero non è stato risolto. E si può comunque osservare che «determinati accadimenti nella storia italiana si ripetono, significativamente», conclude Lara Pavanetto, illuminando la vicenda della “doppia spia” che lavorò con Gerlach, lo 007 del Vaticano, coinvolto nella rete di spionaggio che portò all’affondamento di due corazzate italiane. Tifava per l’Austria, il Papa, mentre i soldati italiani morivano come mosche sul Piave e sul Carso. Temeva che, con Vienna, crollasse anche la Santa Sede e il mondo che rappresentava. Aveva paura che si instaurasse un nuovo ordine mondiale, Papa Benedetto. Dimostrava di temerlo anche Ratzinger, quasi cent’anni dopo, nell’adottare il suo stesso nome?E se Ratzinger avesse scelto quel nome pontificale, Benedetto, per alludere al pericolo del nuovo ordine mondiale che incombe sul pianeta? Ipotesi suggestiva, lanciata da una ricercatrice indipendente come Lara Pavanetto, intervenuta nella tramissione web-radio “Forme d’Onda”. Il predecessore omonimo del Papa tedesco, Benedettto XV, eletto al soglio pontificio nel fatidico 1914, passò alla storia come fermo oppositore della Grande Guerra, che di lì a poco avrebbe “rottamato” lo statico assetto europeo incarnato dagli imperi centrali. C’è la paura di un cambiamento teoricamente rovinoso, nel ricorrere dello stesso nome che – a distanza di quasi un secolo – due pontefici decidono di adottare, alla vigilia dello sconvolgimento epocale del mondo in cui vivono? Citando il saggio di Annibale Paloscia “Benedetto fra le spie”, pubblicato nel 2007 da Editori Riuniti, Lara Pavanetto mette a fuoco il ruolo anti-italiano del Vaticano, preoccupatissimo – all’alba del primo conflitto mondiale – che Roma potesse dichiarare guerra all’Austria-Ungheria. Non solo politica: gli studiosi svelano una vera propria “guerra delle spie”, che portò al clamoroso affondamento delle due corazzate Benedetto Brin e Leonardo Da Vinci, vanto della nostra marina militare. Bilancio: oltre 600 marinai uccisi. Presunto regista del doppio sabotaggio: il prelato bavarese Rudolph Gerlach, “cameriere segreto” del Papa e vero e proprio 007 vaticano.
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Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti
Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.«I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».«Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
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Crisi e terrore, ma il Nuovo Ordine Mondiale lo farà la Cina
Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.«Il destino profetizzato dai consulenti del Club di Roma è stato previsto anche da altri ricercatori, che hanno puntato in particolare sulla forza economica e finanziaria della Cina che negli ultimi anni si sta accaparrando le risorse naturali, dall’energia ai minerali, dalle foreste alle derrate agricole, insidiando così le zone d’influenza che appartenevano all’Occidente», afferma Enrica Perucchietti in un’intervista su “Letture.org” in occasione dell’uscita dell’edizione aggiornata dal saggio “Governo globale, la storia segreta del nuovo ordine mondiale” (Arianna), scritto insime a Gianluca Marletta. «Credo che nonostante gli sforzi dell’imperialismo mondialista di portare avanti i propri progetti, nel giro di qualche anno lo scettro passerà di mano e probabilmente il centro del potere si sposterà in Cina», ribadisce la Perucchietti, pur ammettendo che le variabili imprevedibili sono comunque molte, «così come sono da prendere in considerazione delle anomalie che si sono registrate come l’elezione Trump e la Brexit, che sono state evidentemente sottostimate». Tuttavia, come segnala lo stesso Paolo Barnard, colpisce l’arma segreta di Pechino: il suo “capitalismo di Stato” con moneta sovrana mette il governo al riparo dallo strapotere della finanza mondialista non allineata agli oligarchi del partito unico.La riflessione sul futuro “cinese” del mondo conclude un’analisi che la giornalista affronta partendo dallo studio del Nwo, inizialmente liquidato come fiaba cospirazionista. «Oggi la sensazione che sia in atto un progetto di mondialismo (seguente alla globalizzazione delle merci) è comunemente accettato: pensiamo per esempio a Henry Kissinger che ha dato un’opera dal titolo altisonante come “World Order”». Sempre più politici, ministri, capi di Stato e pontefici, aggiunge Perucchietti, negli ultimi decenni hanno parlato pubblicamente dell’esigenza di costituire un “nuovo ordine mondiale”. Lei e Marletta, nel libro, ricostruiscono la storia (documentata) di questo progetto, e le tappe che arrivano fino a noi. «Al di là delle confusioni generate dalla cultura web, lungi dall’essere il delirio di una manciata di paranoici, il nuovo ordine mondiale è al contrario un argomento serissimo, che merita di essere indagato». L’elezione di Trump? «Ha illuso alcuni di poter condurre a una battuta d’arresto del progetto mondialista, ma nei mesi abbiamo assistito a una “normalizzazione” del neo-presidente e l’anacronistico ritorno alla guerra fredda, che ha portato anche alla comparsa di un nuovo nemico sullo scacchiere geopolitico, la Corea del Nord».Se Pyongyang è solo l’ultimo apparente “nemico pubblico” da gettare in pasto alla società per distrarla dalla crisi e «compattarla rispetto a una emergenza esterna», visto che ormai «la Russia non poteva più rispecchiare quel ruolo, dato che la figura di Putin desta sempre maggior consenso o comunque meno diffidenza», posto che un conflitto contro la Corea del Nord «sarebbe non solo inutile, ma svantaggioso e pericoloso», dato che «non apporterebbe nemmeno benefici da un punto di vista geopolitico», vale la pena inquadrare anche questo capitolo («solo teatrale», anche secondo Gioele Magaldi) come parte dello stesso copione mondialista che sta tenendo in scacco il pianeta da ormai moltissimo tempo. Per comprendere che cosa sia il nuovo ordine mondiale, secondo Enrica Perucchietti, è necessario ricostruire le tappe storiche che hanno portato, attraverso i secoli, allo sviluppo dell’ideologia globalista, riscoprendone le radici e i presupposti filosofici, spirituali e teologici. «L’ideologia del Nwo, infatti, attinge la sua linfa vitale da un preciso contesto storico, identificabile con il mondo protestante dei secoli XVII e XVIII. È a partire dall’Inghilterra protestante che l’idea di una Nuova Era di “trasformazione del mondo”, di un progetto prima utopistico e poi politico di “rinnovamento” dell’umanità trova adesione, sostegno e suoi primi “profeti”».Un progetto, rileva la giornalista, che è nato inizialmente come contraltare all’universalismo della nemica Chiesa cattolica e dell’Impero Asburgico e fusosi, successivamente, con analoghe correnti fiorite nello stesso periodo in Nord Europa. L’ideologia mondialista ha recepito e rielaborato nei secoli anche altri tipi di influssi: sull’originario substrato protestante-anglosassone, infatti, si innestano successivamente almeno altre due correnti politico-spirituali: l’ideologia universalistica di matrice massonica (su cui si innestano alcune derive occultistiche) e un certo neo-messianismo di matrice sionista. «Queste correnti così diverse tra loro troveranno una convergenza fondata sull’elitismo di chi (gli Usa in primis) si sente in diritto e in dovere di promuovere anche con la forza il proprio imperialismo e assoggettare il resto del mondo ai propri interessi». L’autrice respinge la tesi del Grande Complotto Universale: è storicamente indimostrabile e serve solo a screditare chi indaga seriamente sul mondialismo. Però, «se è impossibile affermare l’esistenza di una “continuità programmatica” nello sviluppo del Nwo, è legittimo tuttavia parlare di un’evidente continuità ideale che lega, attraverso i decenni e persino i secoli, una serie di “forze” e “poteri” in una complicità di interessi e di azioni».Non esiste un Grande Complotto unico, monolitico? «Esiste però una dottrina di base e una “confluenza di interessi” che spingono verso la costituzione del mondialismo, così come esistono i suoi profeti e “architetti” che ne hanno scritto e parlato anche pubblicamente». Ovvero: «Dalla rete inestricabile dei poteri occulti, delle logge e delle sette, dei potentati economici e dei gruppi di pressione impegnati da tempo a promuovere il progetto del nuovo ordine mondiale, emergono con una frequenza non casuale, nomi, realtà e concreti gruppi di potere che nel nostro “Governo Globale” definivamo il “volto visibile del Nwo” di cui trattiamo ampiamente nella prima parte del saggio». Il progetto mondialista? «Nasce in ambito anglosassone ed è quindi naturale che esso abbia avuto, nella potenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, il perno della sua potenza (a cui si è aggiunto, a partire dal secondo dopoguerra, il fattore geopolitico costituito dallo Stato di Israele). Quando parliamo del potere di queste nazioni, tuttavia, ci riferiamo a certe strutture di potere che rimangono invariate nel tempo». Nel suo saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi le chiama Ur-Lodges, superlogge: sarebbero la chiave segreta del back-office del potere mondiale, ormai esteso anche alla Cina nel disegno condiviso della globalizzazione autoritaria.Fatte salve le differenze che contraddistinguono le diverse correnti, osserva Perucchietti, esistono alcune costanti fondamentali alla base del progetto mondialista, e alcuni interessi specifici: per esempio, l’aspirazione a costituire una res-pubblica universale e sovranazionale controllata più o meno direttamente da un’autoselezionata élite. «Quindi la creazione di un governo elitario, di pochi». Inoltre, si registra «la diffusione o imposizione di un pensiero omologato, tendente a dissolvere le identità e le particolarità culturali, politiche e religiose in una sorta di pensiero unico globale». Il progetto di costituzione di un mondo nuovo, infatti, richiede anche «un uomo nuovo, che sia omologato e omologabile, facilmente controllabile», magari anche attraverso l’ideologia gender, di cui la Perucchietti ha parlato in libri come “La fabbrica della manipolazione” e “Unisex”. A cascata, pesano «la conseguente lotta contro le “identità forti” difficilmente omologabili alla cultura mondialista e l’abbattimento dei valori tradizionali». Non solo: ci sono anche «censura e psicoreato, ossia il controllo della comunicazione, dei mass media ma anche delle menti e dell’espressione dei cittadini, di cui la recente battaglia contro le “fake news” è un lampante esempio».E’ all’opera una strategia d’azione che privilegia «l’utilizzo strumentale della politica (una sorta di vera e propria criptopolitica basata su ricatti e complotti per lo più sotterranei)», di cui – come vetta dell’iceberg – abbiamo vaghe notizie, attraverso sigle come la Trilaterale o il Bilderberg, cenacoli «i cui membri si riuniscono a porte chiuse per discutere del destino dell’umanità». Alcuni aspetti ideologici restano imprescindibili, «come il neomalthusianesimo che considera l’eccesso delle nascite nelle classi povere come un problema per la qualità di vita». E infatti «gli architetti del Nwo sono ossessionati dal contenimento/riduzione della popolazione». Nell’immaginario collettivo, il Nwo «ha finito per identificarsi con il potere dei colossi bancari e delle multinazionali che ne sono, per certi versi, l’espressione più visibile». E non è tutto: c’è anche «una visione prometeica e luciferina che convoglia nel Transumanesimo e nelle sue applicazioni cibernetiche, virtuali e tecnologiche: l’idea di fondo è che l’uomo può farsi Dio e abbattere la natura, arrivando a derive post-umane finora impensabili». Nel frattempo, le masse occidentali (e mediorientali, manipolate anch’esse) possono “godersi” l’orrore del terrorismo, una macchina infernale che genera paura, «e la paura è un potente strumento di controllo».Riflette Enrica Perucchietti: «Manipolando le persone in fase di shock, sull’ondata emotiva degli eventi, è possibile introdurre misure liberticide fino a quel momento impensabili, lasciando credere ai cittadini che i provvedimenti scelti siano per il loro bene e la loro sicurezza». Terrorismo ed estremismo «vengono sfruttati abilmente, evocati quotidianamente, politicizzati per poterne sfruttare l’ondata d’urto emotiva». Citando Orwell, la sensazione è che la “guerra al terrore” sia stata concepita come perenne per «poter mantenere intatta la struttura della società» e introdurre uno Stato di polizia. «La guerra non deve cioè aver fine, ma deve servire per poter legittimare misure estreme». Per questo, aggiunge l’analista, «non si può distruggere Al-Qaeda senza pensare che spunti un altro pericolo, Isis o altra organizzazione terroristica che sia». E il terrore «doveva finire per divampare anche in Europa», perché «si stava affievolendo la tolleranza del popolo ad accettare sacrifici per “esportare” la democrazia in paesi lontani». Sicché, «l’unico modo per poterlo spingere a continuare a oliare la macchina da guerra era far assaggiare all’Occidente quel genere di “paura” che noi italiani conosciamo bene: gli anni di piombo».Gli artefici del mondialismo, conclude Perucchietti, «hanno sfruttato con cura occasioni tragiche e non si sono fatti problemi a inscenare od ordire attentati, o comunque a strumentalizzarli per creare i presupposti per poi poter raccogliere e sfruttare delle opportunità calcolate con cura». In questo contesto «rientrano anche le cosiddette “false flag”», ovvero le operazioni “sotto falsa bandiera” come quelle che hanno funestato la Francia con sinistra, cronometrica precisione. Lo rileva Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, secondo cui – nella Francia che ha imposto il silenzio alle indagini su Charlie Hebdo (segreto militare, dopo la scoperta del possibile ruolo dell’intelligence nell’armamento del commando), l’opaco neo-terrorismo ha colpito Nizza il 14 luglio, giorno “sacro” per i massoni progressisti anti-oligarchici, e Parigi il 13 novembre (Bataclan), nell’anniversario di una giornata infausta per i Templari perseguitati nel ‘300, a cui evidentemente i mandanti dell’Isis, mondialisti e atlantici, vorrebbero richiamarsi, firmando il loro sanguinoso delirio. Dove finiremo, di questo passo? A Pechino, risponde Enrica Perucchietti: sarà probabilmente a Cina a mandare in fumo i giochi “illuminati” dell’élite nera, insediando sul trono del pianeta – diversamente mondializzato, ma sempre senza democrazia – da una futura élite “gialla”.Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.