Archivio del Tag ‘sovragestione’
-
Grillo blinda Di Maio e avverte la base: vietato protestare
Chi fossero davvero, i 5 Stelle, il giornalista Paolo Barnard l’aveva capito (e scritto) ben prima dell’exploit elettorale del 2013. Un tragico abbaglio di massa: milioni di pesciolini pronti ad abboccare all’amo dei pescatori Grillo e Casaleggio. Per Federico Dezzani, l’analista geopolitico che ha ricostruito i legami di Casaleggio con Enrico Sassoon e gli ambienti più esclusivi del potere Usa, si è trattato di una colossale operazione di manipolazione di massa, concepita per dirottare il dissenso popolare verso lidi innocui. La tecnica: alzare il volume della protesta toccando i temi più svariati, ma senza mai prospettare soluzioni precise, chiaramente espresse. Oggi, gettata la maschera e disattese tutte le promesse del 2018, si tocca il fondo con uno spettacolo incredibile: lo spaurito Di Maio tenuto al guinzaglio da Grillo, in un video su Facebook in cui l’ex comico dice, testualmente: «Non siamo più quello che eravamo dieci anni fa, mettetevelo bene in testa: ed è meraviglioso». Poi, alludendo al fantasma Di Maio, muto e immobile al suo fianco, Grillo aggiunge: «Il capo politico è lui. Io gli starò un po’ più vicino, quindi per cortesia non rompete i coglioni».Messaggio esplicito ai militanti: se qualcuno di loro non ha ancora capito che il Movimento 5 Stelle è una caserma, sarà meglio che si sbrighi ad afferrare il concetto. “Uno vale uno”, si ripeteva un tempo: ma solo per scherzo, evidentemente. «Non è più il tempo dei primi MeetUp, adesso il mondo è diverso», cinguetta Grillo. «Siamo in un cambiamento mondiale, è sbagliato essere gli stessi». Senza ridere, e sempre con accanto l’impietrito Di Maio (contestato dalla base e smentito dalla piattaforma Rousseau, che ha respinto la sua proposta di rinunciare a candidare il MoVimento alle regionali emiliane) il Beppe nazionale si trasforma in filosofo: «Tutto tende al caos, all’entropia: è l’entropia la nostra matrice, oggi. Dal caos vengono idee meravigliose, e ci saranno». Visibilmente teso, Grillo si dichiara addirittura «euforico». E di cosa? Dell’alleanza con «la sinistra», pare, pensata per volare alto e immaginare il futuro in chiave ecologica, nientemeno. Ma senza trascurare la piccola bottega elettorale: «Magari facciamo da tramite tra una destra che arriva, un po’ pericolosetta, e una sinistra che si deve formare».A Grillo risponde a distanza Massimo Mazzucco, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Non siete più quelli di una volta? Benissimo, non vi voteremo più». Aggiunge Mazzucco, regista e video-reporter: «Che non foste più quelli di una volta l’avevamo capito tutti. Peccato che non ci abbiate spiegato cosa siete diventati: un niente, che cerca di stare a galla, nel caos. E invece di dare ascolto alla base, che protesta, ai militanti ora si dice: non rompete i coglioni, testualmente». Dai sondaggi, i 5 Stelle (ormai in caduta libera, al 7% in Umbria e addirittura al 4% in Emilia) a livello nazionale sono ancora accreditati di un consenso superiore al 15%. Restano fondamentali – prima forza in Parlamento – per sostenere il Conte-bis, e qualunque altro governo (magari guidato da Mario Draghi) che eviti la catastrofe delle elezioni anticipate. Nel 2018, i grillini ottennero quasi il 33%. In un anno, al governo con Salvini, hanno dimezzato i loro voti dopo aver tradito tutti gli impegni presi con gli elettori. Oggi pagano dazio, costretti a convivere con Zingaretti e l’odiato Renzi, che peraltro la scorsa primavera firmò (insieme a Grillo) il “Patto per la Scienza”, pro-vax, lanciato da Burioni.Il tentativo di tenere in vita politicamente Di Maio, da parte di Grillo, rivela l’intenzione di utilizzare ancora il Movimento 5 Stelle come massa di manovra, in vista delle prossime operazioni di potere. Missione evidente: impedire che l’Italia alzi la posta con Bruxelles, pretendendo di uscire dal paradigma del rigore. I gialloverdi sembrarono provarci nel 2018, candidando Paolo Savona all’economia: di fronte al “niet” di Mattarella, Di Maio arrivò a evocare l’impeachment per il capo dello Stato. Oggi è ridotto al ruolo di docile burattino nelle mani di Grillo, che vieta alla base di scegliersi un leader più efficace. Chiunque osservi la scena da fuori non può fare di domandarsi come si possa ancora votare una compagine del genere. La risposta è nei numeri: il Movimento 5 Stelle sta per estinguersi, anche se la “sovragestione” userà fino all’ultimo i suoi voti residui e la sua attuale, enorme rappresentanza parlamentare. Poi, neppure Di Maio servirà più. Tutto già scritto, comunque, per uno come Barnard: quasi dieci anni fa tentò inutilmente di investire i grillini del problema-economia (sovranità, moneta) per poi scoprire che, già allora, a nessuno di loro era consentito avanzare proposte che non fossero prima validate da Grillo e Casaleggio, privati cittadini ma padroni assoluti del marchio 5 Stelle.Chi fossero davvero, i 5 Stelle, il giornalista Paolo Barnard l’aveva capito (e scritto) ben prima dell’exploit elettorale del 2013. Un tragico abbaglio di massa: milioni di pesciolini pronti ad abboccare all’amo dei pescatori Grillo e Casaleggio. Per Federico Dezzani, l’analista geopolitico che ha ricostruito i legami di Casaleggio con Enrico Sassoon e gli ambienti più esclusivi del potere Usa, si è trattato di una colossale operazione di manipolazione di massa, concepita per dirottare il dissenso popolare verso lidi innocui. La tecnica: alzare il volume della protesta toccando i temi più svariati, ma senza mai prospettare soluzioni precise, chiaramente espresse. Oggi, gettata la maschera e disattese tutte le promesse del 2018, si tocca il fondo con uno spettacolo incredibile: lo spaurito Di Maio tenuto al guinzaglio da Grillo, in un video su Facebook in cui l’ex comico dice, testualmente: «Non siamo più quello che eravamo dieci anni fa, mettetevelo bene in testa: ed è meraviglioso». Poi, alludendo al fantasma Di Maio, muto e immobile al suo fianco, Grillo aggiunge: «Il capo politico è lui. Io gli starò un po’ più vicino, quindi per cortesia non rompete i coglioni».
-
Carpeoro: grillini ko, governo Draghi o elezioni anticipate
«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».Mentre il governo annaspa tra Ilva, Mes ed emergenza-Venezia, i 5 Stelle (umiliati in Umbria) ora vengono dati al 5% in Emilia, ma sulla piattaforma Rousseau sconfessano Di Maio, che proponeva di non partecipare alle regionali emiliane, per evitare l’ennesima débacle. La scadenza dei “90 giorni” per il Conte-bis, insediato a inizio settembre, ormai è vicinissima. Superata la manovra finanziaria (riallineata all’Ue), si accettano scommesse sulla longevità politica di Conte: che cada prima o dopo Natale, poco cambia. A spaventare i “giallorossi” è il voto regionale in Emilia, il 26 gennaio, col rischio che la Lega possa strappare la Pd la storica roccaforte “rossa”. In ogni caso, i grillini si avvicinano alla meta sconfitti in partenza: sondaggi impietosi, per loro, a prescindere dal nome del futuro presidente della Regione. Dal quasi 33% ottenuto alle politiche del 2018, un anno dopo i penstellati erano precipitati al 17% alle europee, dimezzando i voti. E ora, dopo soli tre mesi al governo col Pd, stanno letteralmente sparendo insieme al loro portavoce, Di Maio.Colpa essenzialmente di un colossale flop politico: il reddito di cittadinanza ridotto a parodia di welfare, e il tradimento (spettacolare) di tutte le promesse elettorali. Ilva e Tap, trivelle in Adriatico, Muos e F-35, Tav Torino-Lione. Capitolo pietoso, i vaccini: confermato l’obbligo vaccinale istituito da Beatrice Lorenzin. Peggio: in primavera, lo stesso Grillo firmò (con Renzi) il “patto per la scienza” redatto dal vaccinista Claudio Burioni, per tagliare le gambe alla libera ricerca sui danni da vaccino. Sempre da Grillo, in agosto, il via libera all’accordo col nemico storico dei 5 Stelle, il Pd, siglato con la benedizione di Renzi. All’ex rottamatore, secondo Carpeoro, i grandi poteri hanno proposto un accordo: se ci aiuti a mettere in piedi il Conte-bis, ti faremo finalmente entrare nel salotto buono. Indizio: l’invito al meeting 2019 del Bilderberg, che pure resta una semplice vetrina. «In realtà – afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” – Renzi aveva ripetutamente bussato, ma senza esito, alla superloggia internazionale Maat, quella di Barack Obama». Sul suo rientro in campo, prudenza: Italia Viva è ferma al 5%. «Improbabile che i grandi gestori supermassonici del consenso intendano investire davvero su di lui», dice Magaldi.Altro attore in primo piano sulla scacchiera italiana, il premier Conte: non è affatto “venuto dal nulla”, ma «è l’espressione dello stesso potere vaticano a lungo incarnato dal cardinale Achille Silvestrini», sostiene Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligence Nato: «E’ il network che garantì per decenni il potere di Giulio Andreotti». Ma il vero convitato di pietra è Mario Draghi, più che controverso protagonista della storia italiana recente: tecnocrate di prima grandezza, già dirigente della Goldman Sachs e poi di Bankitalia, prima ancora che della Bce. Da direttore generale del Tesoro, dopo la visita al panfilo Britannia il 2 giugno 1992 (dove il gotha della finanza anglosassone progettò la svendita di un’Italia terremotata da Mani Pulite e minata dallo smembramento dell’Iri affidato a Prodi), Draghi “lubrificò” la grande privatizzazione del paese, che raggiunse il suo culmine col governo D’Alema. Nel suo saggio, Magaldi presenta il super-banchiere come affiliato a 5 influenti Ur-Lodges, tutte di stampo reazionario: punta di lancia del potere neoliberista, post-democratico e neo-feudale che ha varato la spietata austerity europea.Ora, la sorpresa: insieme a Christine Lagarde, che ne ha preso il posto alla Bce (invocando il ritorno alla “moneta del popolo”), lo stesso Draghi ha evocato la Modern Money Theory, cioè il ritiorno alla piena sovranità monetaria, senza più vincoli al deficit. Per Magaldi si tratterebbe di un segnale preciso: Draghi e Lagarde, «già massoni neoaristicratici», avrebbero addirittura «chiesto di entrare nei circuiti della massoneria progressista, rooseveltiana e post-keynesiana, che preme per la riconquista della democrazia sostanziale», anche restituendo agli Stati il loro potere illimitato di spesa a beneficio di cittadini e aziende. Sarà questo il “modo giusto” in cui potrebbe “profilarsi” l’eventuale candidatura di Draghi, cui allude Carpeoro? Un Draghi “pentito” del rigore finora inflitto, dal massacro sociale impartito alla Grecia fino al pareggio di bilancio rifilato all’Italia, tramite Monti e Napolitano? Un Super-Mario dalle mille vite, capace di convincere persino gli smarriti grillini a evitare le elezioni anticipate, di cui peraltro hanno il terrore?Un conto però è profilare ipotesi, un altro è schematizzare impropriamente un quadro che resta fluido e contraddittorio. Sulla carta, l’alternativa è rappresentata dalla Lega di Salvini, che però – tramite Giorgetti – avrebbe fatto sapere di essere pronta ad appoggiare Draghi al Quirinale, dopo Mattarella, se l’ex capo della Bce (pezzo da novanta dell’establishment che “sovragestisce” l’Italia) non si opponesse a un governo Salvini, nel caso in cui la situazuione, magari dopo il voto emiliano, precipitasse verso le elezioni anticipate. Fabio Frabetti annota: Salvini, come un tempo Berlusconi, ha presenziato al rito della presentazione ufficiale dell’ultimo libro di Bruno Vespa. Carpeoro invita a non enfatizzare l’episodio: è vero, «Vespa è il cerimoniere di un certo establishment, che sfrutta il cavallo che più gli conviene al momento, per poi buttarlo via». Ma intanto «è interessato innanzitutto a vendere i suoi libri, utilizzando allo scopo il politico più à la page». Se proprio c’è da spendere un nome, per il futuro immediato, non c’è storia: Carpeoro indica Mario Draghi.«Se la candidatura Draghi si profila nel modo giusto, spacca i 5 Stelle e nasce il governo Draghi». Se invece l’ex presidente della Bce non riuscirà a “profilarsi nel modo giusto”, a quel punto «si andrà alle elezioni». E Draghi è più probabile che faccia il presidente del Consiglio o della Repubblica? «Prima l’uno e poi l’altro, direi». Parola di Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto osservatore della politica italiana. Era stato il primo, l’8 settembre scorso, a scommettere sulla vita brevissima del Conte-bis, destinato a cadere «entro 90 giorni». Sostituito da un altro esecutivo, dominato da una figura di garanzia per l’establishment? Già allora, Carpeoro non escludeva neppure il voto anticipato: a certe condizioni, disse, «lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Ci siamo? «La fibrillazione dei 5 Stelle è molto importante, per cui non so se reggono: credo che la mia previsione sui 90 giorni si avvererà», conferma oggi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in web-streaming su YouTube. «Col tipo di contrapposizione che ha avuto col Pd in tutti questi anni, il Movimento 5 Stelle non poteva reggere un’alleanza».
-
Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
-
Giorni contati per il Conte-bis, Mario Draghi a Palazzo Chigi?
Campane a morto per Giuseppe Conte, ormai in rotta con Di Maio e incalzato ogni giorno dall’abile manovratore Renzi. Occhio, avverte Zingaretti: se il Vietnam contro il premier e il governo giallorosso non si arresta, il Pd potrebbe rompere e tornare al voto, ricandidando come primo ministro proprio il professor-avvocato di Volturara Appula, l’unico – secondo l’impalpabile “fratello di Montalbano” – ad avere chance elettorali. Non la pensano così personaggi televisivi come Alan Friedman, secondo cui Conte sarebbe «un uomo vuoto», e lo stesso Paolo Mieli, per il quale “l’avvocato degli italiani” avrebbe ormai i giorni contati, non disponendo di un reale peso parlamentare da opporre alle intemperanze dei renziani e al crescente malpancismo di un Di Maio emarginato da Grillo e contestato dai suoi. Lo scrittore Gianfranco Carpeoro l’aveva vaticinato a settembre: qui si rischia di tornare a votare entro tre mesi, al più tardi a gennaio. Ora Carpeoro rilancia: il governo traballa, e le elezioni anticipate potrebbero essere evitate solo dall’eventuale piano-Draghi, cioè l’ipotesi di potere che vorrebbe insediato a Palazzo Chigi il presidente uscente della Bce, il cui ruolo dietro le quinte potrebbe essere destinato a crescere, incidendo direttamente sull’Italia ex gialloverde, delusa dal modestissimo Conte-bis e spiazzata dalla fulminea alleanza tra Renzi e Grillo.
-
Magaldi: Di Maio neopiduista, taglia le Camere come Gelli
Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”, uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier». La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?I numeri non depongono certo a favore di una riforma che, secondo i calcoli, comporterebbe per lo Stato un risparmio irrisorio: solo lo 0,007% della spesa pubblica. Già oggi, l’Italia è penultima in Europa per rappresentanza democratica: ha un solo parlamentare ogni centomila abitanti. Ben 23 paesi hanno più parlamentari, in relazione al numero dei cittadini. Con il piano del “neo-piduista” grillino, il Palazzo si allontanerebbe ancora di più. «Ho sempre difeso i 5 Stelle dall’accusa di gatekeeping», premette Magaldi: «Non ho mai creduto che il movimento fondato da Grillo e Casaleggio sia nato solo per depistare il dissenso, convogliando la protesta verso esiti innocui per il potere». Certo però che il risultato è lo stesso: i grillini hanno praticamente rinunciato a tutte le promesse di trasparenza sbandierate in campagna elettorale. Sono persino stati determinanti a Strasburgo nel far eleggere alla Commissione Europea la tedesca Ursula von der Leyen, emblema vivente del massimo rigore Ue. E ora, con l’ultra-demagogico taglio dei parlamentari (spacciato per riforma anti-casta) secondo Magaldi si apprestano a indebolire ulteriormente la democrazia italiana, già pesantemente condizionata dai diktat dell’eurocrazia che adesso vezzeggia Giuseppe Conte, docilissimo con Macron e la Merkel.E’ irriconoscibile, oggi, il Di Maio che agita il taglio dei parlamentari per tentare di far dimenticare agli elettori i clamorosi “tradimenti” a catena dei grillini: Tap e Tav, Ilva, Muos, vaccini, spese militari e trivelle in Adriatico. Un anno e mezzo fa, Di Maio evocava l’impeachment per Mattarella, che aveva impedito a Paolo Savona di accedere al ministero dell’economia. Motivo: il professore, già ministro con Ciampi (e assai temuto da Draghi) sarebbe stato “sgradito ai mercati”. Secondo il presidente della Repubblica, il parere degli “investitori” e dei “signori dello spread” contava ben più di quello degli elettori. Di fronte all’iniziale entusiasmo per il successo delle forze gialloverdi, provvide il tedesco Günther Oettinger a ribadire brutalmente il concetto: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare». Oggi, il cerchio si è chiuso: Grillo va a braccetto con Renzi, mentre il Conte-bis ha ricominciato a garantire piena sottomissione agli eurocrati. All’ormai quasi irrilevante Di Maio, contestato dalla fronda interna e “giubilato” al ministero degli esteri, resta la battaglia sulla riduzione dei seggi parlamentari: riforma peraltro già approvata anche dalla Lega, e ora appoggiata da Pd e renziani. Più che trame cospirative, Magaldi vede insipienza e catastrofica incapacità politica: piccole pedine, probabilmente inconsapevoli del grande disegno antidemocratico che le manovra.E’ mai possibile che chiunque esordisca con propositi rivoluzionari poi finisca sempre per annacquare le proprie idee, fino agli esiti decisamente incresciosi dei grillini? E non è tutto: a insospettire Magaldi è anche la generosa visibilità offerta dai media mainstream al filosofo torinese Diego Fusaro e alla sua iniziativa politica, “Vox Italia”, che promuove il comunista Gramsci e al tempo stesso l’ideologo fascista Gentile. «Un rossobrunismo sostanzialmente fasciocomunista», che propone «l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea», riesumando anche i “valori” dell’antico tradizionalismo provinciale (Dio, patria e famiglia). «Fusaro – dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è l’antagonista perfetto per l’eurocrazia: stravagante e ampolloso, Fusaro è divertente e soprattutto innocuo, dato che avanza proposte irrealizzabili». Non è un caso, aggiunge Magaldi, che i grandi media non diano spazio al Movimento Roosevelt, da lui fondato e presieduto: «Cosa potrebbero rispondere, i signori dell’Ue e i loro partner mediatici, di fronte a richieste ragionevoli ma scomode come le nostre? Esempio: una Costituzione Europea finalmente democratica, bilanci flessibili (con investimenti non più computati nei deficit) e una Bce pronta a emettere eurobond per sostenere l’economia reale e cancellare lo spettro dello spread».Non si corrono pericoli, invece, con il rassicurante “sovranismo rossobruno” di Fusaro, «chiamato spesso in televisione a fare da sparring partner ai politici e ai giornalisti del circo mainstream». Non solo: «Noto che anche Claudio Messora, animatore di “ByoBlu”, si sta spendendo massicciamente per “Vox Italia”, divenendone quasi il megafono». In questi anni, “ByoBlu” ha ospitato regolarmente voci alternative, svolgendo un ottimo servizio di informazione e ospitando ripetutamente lo stesso Magaldi. «Poi, su di noi è sceso il silenzio», insiste il presidente del Movimento Roosevelt, quasi evocando una sorta di ostracismo “suggerito” dall’alto. «Sono interrogativi che mi pongo, in attesa di risposte», precisa. Messora, peraltro, aveva aderito al Movimento 5 Stelle, svolgendo anche la funzione di comunicatore parlamentare. «Non vorrei che, svanita l’esperienza gialloverde, qualcuno avesse deciso di puntare proprio su “Vox Italia” per sostituire, in qualche modo, il populismo dei 5 Stelle, ormai sbiadito». L’interrogativo di Magaldi lascia aperta la possibilità che lo stesso (benemerito) video-blog di Messora possa trasformarsi, a sua volta, in uno strumento di gatekeeping. Sovragestione? Tanta improvvisa enfasi su Fusaro – che ha possibilità pari a zero di impensierire il potere che domina l’Italia – non può che lasciare perplessi, almeno secondo il presidente del Movimento Roosevelt.Con il taglio delle poltrone voluto da Di Maio (600 seggi in tutto, 400 alla Camera e 200 al Senato) il Belpaese diverrebbe il fanalino di coda, in Europa: quello con meno parlamentari in assoluto rispetto alla popolazione. Un’idea originale? Niente affatto: «Era scritta nero su bianco nel famigerato Piano di Rinascita Democratica redatto dalla Loggia P2 di Licio Gelli. Ed è strano che a caldeggiarlo, oggi, sia proprio il Movimento 5 Stelle, nato con l’intento dichiarato di ridare la parola ai cittadini». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato la regia occulta di 36 superlogge nel retrobottega del potere mondiale. Spiega Magaldi: «L’iniziativa di Gelli era solo il riflesso casareccio dell’input partito dalla Ur-Lodge reazionaria “Three Eyes”, che affidò alla Commissione Trilaterale il compito di dare un segnale globale con il saggio “La crisi della democrazia”», uscito nel 1975 a firma di Samuel Huntington, Joji Watanuki e Michel Crozier. La tesi: di troppa democrazia si muore. «Curare l’eccesso di democrazia con dosi ancora maggiori di democrazia sarebbe come tentare di spegnere un incendio gettando benzina sul fuoco». Ergo: si facciano dimagrire i Parlamenti, per togliere punti di riferimento ai cittadini. «In questo, Di Maio si comporta come un neo-piduista», accusa Magaldi. Un sospetto: siamo di fronte a un caso palese di gatekeeping, dietro a tanto populismo inutilmente gridato?
-
Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta
Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.
-
Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
-
Magaldi: gli azionisti del Conte-bis temono che non durerà
Vi siete mai domandati perché le formazioni “sovraniste” che sfidano il truce potere eurocratico sono sempre costruite in modo da perdere le elezioni? Vale per l’ex Front National di Marine Le Pen in Francia, fino – in piccolo – alla nostrana Vox Italia di Diego Fusaro. Slogan bellicosi e assetti ideologici tutt’altro che rassicuranti: un profilo che sembra fatto apposta per non farcela, né ora né mai, a impensierire i padroni del vapore. Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché esponente del network progressista della massoneria internazionale. Che sintetizza: «Non avremo la speranza di alcun cambiamento, fino a quando ci sarà da una parte chi spera nel fronte “sovranista”, e dall’altra chi ancora si aspetta qualcosa di buono da governi come il Conte-bis, che incarna la continuità dell’austerity inagurata da Monti e proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni». Nient’altro che maggiordomi, magari in guanti bianchi, pronti a seguire i “consigli” del Quirinale e di Bankitalia, a loro volta succursali, nel Belpaese, del potere finanziario privatistico che si è impossessato delle istituzioni europee, manovrandole a piacimento per imporre il neoliberismo di regime che impoverisce la maggioranza della popolazione.Quanto ai “mandanti” dei maggiordomi, i veri padrini del patetico governicchio messo insieme incollando alla poltrona i 5 Stelle e i fantasmi del Pd, Magaldi avverte: lorsignori «sono parecchio nervosi, perché sanno che l’esperimento non è destinato a durare». Il motivo è semplice: lo scontro con la dura realtà. Riassume Magaldi, in diretta video su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Il Conte-bis sconterà gli stessi problemi che avevano indotto Salvini a staccare la spina. Se non riesci a combinare niente, i cittadini non ti faranno sconti. E i soldi per fare qualcosa di utile per il paese, esattamente come nel primo governo Conte, continuano a non esserci, grazie ai vincoli di bilancio imposti da Bruxelles». Chiarisce Magaldi: «E’ stato Salvini a lasciare il governo, non aveva scelta: sapeva che avrebbe finito col deludere i suoi elettori». Semmai, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, il tempismo del leader leghista ha spiazzato gli avversari, cioè il super-potere (massonico e reazionario) che ricatta l’Italia. «Speravano di cuocerlo a fuoco lento, Salvini, facendolo cadere nel corso dell’autunno, quando Conte e Tria (legati a Mattarella e al banchiere centrale Visco) gli avrebbero negato i fondi richiesti per firmare una manovra espansiva, dalla parte degli italiani».In altre parole, continua Magaldi, il capo della Lega ha capito che non avrebbe avuto i soldi per tagliare le tasse e dare più servizi. A quel punto, vistosi circondato, ha anticipato i tempi decidendo di tagliare il cordone ombelicale già ad agosto. Si sarebbe potuto andare a elezioni anticipate, certo. Invece, il fronte opposto è riuscito nell’impresa bislacca di abborracciare il Conte-bis, imposto da Grillo a un Di Maio ridotto a ombra di se stesso. Idem sul fronte “dem”: grandi pressioni per guadagnare alla causa dell’inciucio il recalcitrante Zingaretti, salvo poi infliggergli la beffa della scissione renziana, che lo priva ulteriormente del controllo sui gruppi parlamentari. «L’euforia per i nuovi ministeri e le nuove cariche è già finita», annuncia Magaldi, facendo eco alla voce profonda del back-office del vero potere: gli azionisti del Conte-bis sono estremamente preoccupati, osservando l’estrema fragilità della neonata compagine, lacerata da divergenze interne e spaventata dalle imminenti elezioni regionali che vedono la Lega in pole position. Ma soprattutto: nemmeno al Conte-due sarà concessa la flessibilità negata al Conte-uno, indispensabile per far dare ossigeno all’economia rassicurando gli elettori.Ecco perché nessuno, da Berlino a Parigi, si fa illusioni sul governo “giallorosso”: il rigore europeo (presidiato formalmente anche da Gentiloni e incarnato da Ursula von der Leyen, eletta grazie al voto determinante dei grillini) resta il terreno minato su cui Giuseppe Conte cadrà, come temono i suoi stessi azionisti occulti, cioè i circuiti della massoneria neo-oligarchica. «Sul fronte opposto – dice Magaldi – la massoneria progressista è disponibile ad affiancare chiunque (Salvini o altri) sia pronto a dare battaglia per far nascere, un giorno, qualcosa che assomigli davvero a un’Unione Europea: cioè un’entità democratica capace di sviluppare una politica finalmente condivisa, con una banca centrale che (al contrario della Bce) faccia il suo lavoro e supporti in modo adeguato le finanze degli Stati». Ecco perché, conclude Magaldi, il cosiddetto sovranismo non è che un abbaglio, in realtà comodissimo per i sovragestori: non saranno certo gli untorelli alla Fusaro a impensierire il poderoso blocco di potere che da decenni racconta che, per crescere, bisogna prima tagliare.La prima a farlo fu l’indimentica Margaret Thatcher: paragonò lo Stato al buon padre di famiglia, che non può permettersi di indebitarsi. Affermazione integralmente falsa: a differenza dello Stato, infatti, famiglie e aziende non possono emettere moneta; e il denaro preso a prestito devono restituirlo (non così il governo, che si limita a inscrivere la spesa sotto la voce “deficit”). Eppure, quella famosa fandonia ha fatto strada, «al punto che oggi è considerata verità di fede, a reti unificate». Per colpa della Thatcher è stato criticato anche Salvini, che ha esibito la “Strega del Nord” nel pantheon leghista di Pontida. «Ma attenzione», precisa Magaldi: «Della Thatcher, Salvini ha solo citato una frase, che peraltro sottolinea una verità sacrosanta: e cioè che, senza libero mercato, non c’è neppure libertà politica». Verissimo: è la lezione fornita dall’autentico pensiero liberal-progressista. Magaldi ricorda che il maggiore economista del Novecento, l’inglese John Maynard Keynes (spesso preso a modello degli stessi “sovranisti”) non era un socialista, ma un “liberal”, così come l’inventore del welfare europeo, il connazionale William Beveridge.Vero, libertà e democrazia oggi sono fortemente conculcate dal regime Ue, che calpesta la sovranità popolare degli elettori costringendo i governi a disattendere le promesse elettorali. «Ma se si vuole più democrazia – si domanda Magaldi – come fanno i sovranisti a evocare come modelli alternativi paesi come la Russia, che non ha una democrazia compiuta, e la Cina, dove la vera democrazia non è mai esistita?». E a proposito di democraticità: «Che lezioni può dare, Vox Italia, che propone una leadership preconfezionata cooptando dall’alto una cinquantina di dirigenti? Immagino che nell’area siano presenti anche gli aderenti della Lista del Popolo messa in piedi un anno fa, con gli stessi metodi, da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia. Che fine ha fatto, quell’esperienza?». Magaldi è tra i fautori del Psai, “Partito che serve all’Italia”: un cantiere politico rimasto finora sottotraccia. Spiega: «Preferiamo lavorare in silenzio, ai programmi: un partito realmente alternativo può nascere e agire efficacemente solo se supportato da migliaia di italiani, sin dalla sua fondazione». Nel frattempo, tanti auguri a Vox Italia: «A chi ha simpatia per Fusaro consiglio di iscriversi, toccherà con mano quella realtà». E intanto, piena solidarietà per la nuova formazione rossobruna: «E’ stata oscurata da Facebook, che ha sicuramente violato la legge: il social network non può abusare in questo modo del servizio pubblico web, danneggiando ingiustamente una voce poltitica che ha piena dignità di espressione».Vi siete mai domandati perché le formazioni “sovraniste” che sfidano il truce potere eurocratico sono sempre costruite in modo da perdere le elezioni? Vale per l’ex Front National di Marine Le Pen in Francia, fino – in piccolo – alla nostrana Vox Italia di Diego Fusaro. Slogan bellicosi e assetti ideologici tutt’altro che rassicuranti: un profilo che sembra fatto apposta per non farcela, né ora né mai, a impensierire i padroni del vapore. Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché esponente del network progressista della massoneria internazionale. Che sintetizza: «Non avremo la speranza di alcun cambiamento, fino a quando ci sarà da una parte chi spera nel fronte “sovranista”, e dall’altra chi ancora si aspetta qualcosa di buono da governi come il Conte-bis, che incarna la continuità dell’austerity inaugurata da Monti e proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni». Nient’altro che maggiordomi, magari in guanti bianchi, pronti a seguire i “consigli” del Quirinale e di Bankitalia, a loro volta succursali, nel Belpaese, del potere finanziario privatistico che si è impossessato delle istituzioni europee, manovrandole a piacimento per imporre il neoliberismo di regime che impoverisce la maggioranza della popolazione.
-
Carpeoro: Fusaro (oscurato da Fb) mi ricorda Franco Freda
«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.Decisamemte ardito, il parallelismo tra Fusaro – brillante intellettuale-contro, spesso coccolato dai media mainstraim – e il neofascista Freda, condannato per gli attentati dinamitardi del 1969 e indagato per la strage di piazza Fontana insieme al terrorista Giovanni Ventura e al giornalista Guido Giannettini, agente dei servizi segreti e militante dell’estrema destra negli anni di piombo. Cosa accomunerebbe l’editore Freda, fondatore di Ordine Nuovo, all’antagonista salottiero Fusaro? Forse, par di capire – ascoltando la diretta web-streaming del 22 settembre su YouTube – l’avvocato milanese, nonché saggista e massone progressista, allude al pericolo cui Fusaro potrebbe esporsi: un certo estremismo ideologico, in Italia, è stato puntualmente manipolato dai poteri che orchestrano la sovragestione del consenso, in altri tempi anche alimentando le nebulose ideologiche da cui, nel peggiore dei casi, scaturì anche il terrorismo, spesso controllatro dai servizi deviati. In video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro sembra domandarsi a chi possa essere utile, davvero, il “socialismo nazionale sovranista” agitato da Fusaro, messo in campo formalmente – con Vox Italia – dopo l’uscita di Salvini dal governo.Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, Fusaro è solo uno specchietto per allodole: comodo perché innocuo, come il suo intellettualismo presentato dai media come stravagante e quasi divertente, perfetto per mettere in burletta il tema, serissimo, della perdita di sovranità democratica imposta dall’euro-sistema. Carpeoro invece non esita a scomodare il fantasma di Freda, autore della collana editoriale Ar, che Wikipedia definisce “di ispirazione neofascista, tradizionalista e neonazista”. Strano, poi, che Facebook abbia chiuso le pagine di Vox Italia, poco dopo aver cancellato quelle di CasaPound: un movimento, quello neofascista Simone Di Stefano, che secondo il socialista Carpeoro, «pur essendo politicamente impalpabile, quanto a consistenza numerica, è stato regolarmente strumentalizzato, a prescindere dalle iniziative sociali anche valide che porta avanti». Probabilmente, aggiunge l’avvocato, il quadro si fa meno misterioso se si collega il network di Zuckerberg agli ambienti dell’intelligence. «Quella del giovane fenomeno che si è fatto da sé grazie a un’idea geniale è solo una leggenda», ricorda Carpeoro: «Facebook è una creazione della Cia, spiazzata di fronte all’opinione pubblica americana traumatizzata dall’11 Settembre».Di fronte alla necessità di schedare milioni di americani, il servizio di sicurezza partorì l’escamotage: fare in modo che fossero i cittadini stessi ad auto-schedarsi, con tanto di foto e “amici”. E’ un fatto: Zuckerberg, il manovale dell’operazione, ricevette 30 milioni di dollari da una consociata della holding Cia. «Ci sono passato anch’io, in questa commistione tra Facebook e i servizi segreti», racconta Carpeoro, che nel 2010 si vide chiudere la sua pagina col pretesto di una vignetta sul Papa. Chiese di riavere almeno i contenuti pubblicati, ma glielo negarono: scoprì a sue spese, allora, che il social network è l’unico proprietario dei testi, delle foro e dei video presenti nelle pagine personali. «Denunciai la cosa alla Procura di Milano, ma – scaduti i sei mesi di rito – scoprii che della mia denuncia non c’era giù traccia: era stata fatta sparire». L’avvocato racconta di aver ricevuto ben tre visite, da parte dei servizi italiani: «Mi fecero capire che processare Facebook “non era cosa”». Lui passò al contrattacco: «Come farete – disse – a far sparire 365 denunce, se sporgessi una querela al giorno in tutte le sedi giudiziarie italiane?». Alla fine, ricorda, gli proposero un accordo: avrebbe avuto una nuova pagina, nella quale gli sarebbero stati restituiti tutti i contenuti sottratti. «Accettai, anche se non è giusto».«C’è qualcosa di non democratico, in tutto questo, di non perfettamente legale», ribadisce Carpeoro. In altre parole, «lo Stato protegge precise aree di illegalità, perché fanno comodo al potere». La riprova? «Per aprire il suo locale, il pizzaiolo sotto casa deve firmare scartoffie per sei mesi e poi riceverà la visita della Guardia di Finanza. E invece Amazon, Google e affini aprono mega-servizi dalla sera alla mattina, facendo milioni a palate, e poi non pagano neppure le tasse in Italia». Come se ne esce? «Pretendendo il rispetto della piena legalità». Esempio: «Va bene sgomberare la palazzina illegalmente occupata da CasaPound a Roma, ma perché tollerare che i centri sociali di Milano continuino a occupare analogamente i loro spazi, cioè senza pagare affitto e bollette?». Di fronte al bavaglio imposto da Fecebook, in ogni caso, Carpeoro difende sia CasaPound che Vox Italia: «E’ vero che Facebook è un’azienda privata, ma lo spazio che usa – il web – è pubblico. Ed è ora che questo spazio venga legalmente regolamentato, mettendo fine a questa vergogna».«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.
-
Giannuli: Renzi (e Cairo) per creare un’alternativa a Salvini
Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.«Gli hanno promesso di farlo entrare finalmente nel salotto che conta, se fosse riuscito a fermare i gialloverdi», sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista, legato a importanti ambienti massonici europei. Stando a Carpeoro – progressista, da sempre socialista – oggi Renzi può vantare una grande vittoria da esibire sui tavoli dei suoi veri mandanti: e potrebbe quindi anche alzare la posta, per chiedere per sé qualcosa di importante, con la minaccia di far cadere il Conte-bis. Semplici indiscrezioni, ma preziose: perché concorrono a delineare un quadro coerente, ben ancorato allo scenario internazionale da cui – come tutti hanno capito – dipendono le crisi italiane, compresa quella in corso. Giannuli invece preferisce attenersi al panorama di casa, articolando un’analisi ravvicinata sulle possibili mosse dei vari attori sul terreno. Renzi? Per ora è accreditato di pochi voti: dal 3 al 5% al massimo. «Ma sono convinto che si tratti solo di una base di partenza che, se il fiorentino ci saprà fare, è destinata a crescere, e non di poco», scrive Giannuli sul suo blog. Inutile negarlo: «Il sistema dei partiti esistente è tutto in crisi e c’è un diffuso malcontento dei cittadini per l’offerta politica: Forza Italia si sta liquefacendo, il M5S ha avuto una batosta alle europee dalla quale è difficile che si rimetta».Quanto al Pd, «la batosta l’ha presa alle politiche, e alle europee ha recuperato percentualmente solo per l’altissimo numero di astenuti, ma ha perso altri 100.000 voti reali)». Sinistra, +Europa e Fratelli d’Italia «non riescono a sfondare» e, di fatto, «galleggiano». Solo la Lega era esplosa: al 34% delle europee erano seguiti sondaggi che la davano prossima al 40%. «Ma la gestione scellerata della crisi di governo ha fatto crollare la credibilità di Salvini», sostiene Giannuli. «E se ancora questo non si riflette pienamente nei sondaggi, è lecito aspettarsi un calo lento ma costante, a meno che i giallorossi non ne facciano talmente tante da resuscitare la Lega e andare al voto in primavera». Dunque Renzi non sbaglia, quando dice che “c’è spazio”. La sua formazione, in primo luogo, «ha ancora da risucchiare al Pd: ci sono ancora renziani che non sono usciti, parecchi indecisi, e poi Zingaretti praticamente non esiste: Renzi non avrà difficoltà ad oscurarlo». Poi, se dovessse ingranare, «avrebbe da beccare molto nel pollaio di centro (da +Europa a Calenda, fino ai rimasugli di Dc»).Ma è soprattutto Forza Italia, col suo striminzito 6% residuo, che può dare un po’ di sangue alla neonata creatura renziana: anzi, non è neppure da escludere che i berlusconiani possano confluire nel nuovo soggetto renziano. «Insomma, un traguardo dell’11-12% potrebbe essere a portata di mano». E a quel punto, continua Giannuli, «potrebbe funzionare la sirena del fiorentino sia sul fianco della Lega che su quello dell’astensionismo». In concreto: «Non sono immaginabili particolari sfracelli, ma l’elettorato potenziale del nuovo partito potrebbe crescere sino al 15-18%», addirittura. Tornando alla realtà: «Bisognerà vedere molte cose: che farà il governo, che mosse farà Renzi, quali Salvini». Soprattutto, occorrerà valutare «se la mossa renziana di oggi sarà imitata da altri». In quel caso, alla fine ci sarebbe «un gran rimescolamento di carte che cambierà il volto del sistema dei partiti». Prima tappa, scontata, il pallido Pd: potrebbero rientrare quelli di Leu (Bersani e compagni), inducendo le ultime “sentinelle” renziane ad uscirne. Poi c’è il caso particolare di Conte: i sondaggi danno un modestissimo recupero al M5S dopo la soluzione della crisi di governo, ma un altissimo indice di consenso personale per il presidente del Consiglio. E c’è chi si spinge a ipotizzare che un suo partito possa raccogliere sino al 21%.«Certo i sondaggi vanno presi con le molle», premette Giannuli, però vanno monitorati con attenzione. «E qui la domanda sorge spontanea: che farà “Giuseppi” alle elezioni? Potrebbe ritirarsi a vita privata, come ha ripetutamente assicurato (e questo è una conferma che non si ritirerà affatto: tutti quelli che vogliono restare in campo dicono di star facendo le valide per ritirarsi). Oppure potrebbe presentarsi con il M5S, magari come candidato presidente del Consiglio». O ancora – terza opzione – potrebbe fare una sua lista, «più o meno apparentata coi 5 Stelle: dipenderà dal sistema elettorale». Secondo Giannuli, una “lista Conte” potrebbe attingere voti tanto al M5S quanto al Pd e persino all’area di centro (e quindi sottrarre voti a Renzi), ma potrebbe anche dare credibilità al partito di Renzi come possibile alleato. Altri sconvolgimenti, sempre secondo Giannuli, potrebbero investire la Lega: se si votasse tra un anno, il monte voti del Carroccio «potrebbe precipitare anche verso il 20%, e a quel punto non è detto che il partito resti integro». Ad esempio, Maroni «potrebbe uscire per fare altro». Oppure i maggiorenti della Lega (Giorgetti in testa) potrebbero «pensare a una qualche congiura per cacciare il “rais”».Se questo è lo scenario dell’attuale palazzo, poi ci sono quelli che premono da fuori: in primo luogo i Verdi, che «senza aver attaccato un solo manifesto, con pochissime apparizioni televisive e con una manciata di euro per la campagna elettorale, hanno preso il 2%», ovvero «un po’ di più della “Sinistra”, che pure aveva parlamentari, più spazi televisivi e decisamente più soldi». I Verdi avrebbero dalla loro «la simpatia dei giovani “gretisti”, il mutamento climatico che ormai non è più una previsione ma una realtà in atto, e di conseguenza una certa attenzione dei mass media». Gli ultimi eredi del “Sole che ride” potrebbero anche «fare liste comuni con quel che resta della sinistra o assorbirne un po’ di voti». Giannuli non prende nemmeno in considerazione il piccolo fronte rosso-bruno apertosi con “Vox Italia”, il sovranismo “socialista” capitanato da Diego Fusaro (che sembra autoemarginarsi da subito, peraltro, chiedendo l’uscita dall’euro, dall’Ue e dalla Nato). Una galassia, quella del voto-contro, che nel 2018 diede largamente fiducia ai 5 Stelle: milioni di voti che poi, di fronte al fallimento gialloverde incarnato da Di Maio, sono tornati a gonfiare l’oceano dell’astensionismo già alle europee, tornata in cui ha votato poco più di un italiano su due (un elettore su tre, invece, ha scommesso ancora su Salvini).Tornando a Renzi, Giannuli punta i riflettori sul grande centro: l’altra grande incognita esterna è l’editore Urbano Cairo, che recentemente ha concesso «un’intervista di due ettari» al “Foglio” «per spiegare che non ha intenzione di candidarsi», e che però, «se fosse costretto a farlo, avrebbe un programma fatto così e così». Tradotto: «La smentita, al solito, vale la conferma delle intenzioni di esserci». Su che seguito elettorale potrebbe contare, Cairo? «Impossibile a dirsi, allo stato attuale», che è quello di una intenzione «molto futura». E poi, candidarsi per fare che? «Un partito suo? Entrare in Forza Italia e rivitalizzarla? Fare il presidente di una qualche confederazione di centro con Renzi e lo stesso Cavaliere? Tutto possibile». Urbano Cairo possiede “La7” e il “Corriere della Sera”, «ma non sono più i tempi della discesa in campo del Cavaliere». Inoltre, «l’appporto dei suoi media è realisticamente molto più ridotto». Secondo Giannuli, poi, «un appoggio troppo sfacciato, soprattutto da parte del blasonatissimo “Corriere”, potrebbe costare molto in termini di audience e di lettori». Lo si è visto con il mitico “fate presto” con cui la grande stampa italiana accolse il finto salvatore Mario Monti nel 2011, salvo poi “scoprire” – fuori tempo massimo – che non si trattava esattamente di un benefattore della nazione.Resta virtualmente da spendere la carta del classico partito personale, a meno che Cairo non abbia già nella manica «un parterre da far paura» fatto di grandi nomi, «presidenti di associazioni», e magari la benedizione del Papa. Viceversa, avrebbe «qualche possibilità di successo in più la sua adesione a Forza Italia», che di fatto «potrebbe dare qualche goccia di sangue fresco alla moribonda creatura berlusconiama». Ma la cosa più ragionevole, per Giannuli, sarebbe «la confederazione con il fiorentino e il Cavaliere». Poi ci sono una serie di personaggi singoli molto noti (Tremonti, Sgarbi, Monti, Rutelli, magari anche Fini), che forse hanno «solo un po’ di seguito d’opinione», eppure «possono regalare visibilità a una forza politica nuova», anche perché «la parata di vecchie stelle del varietà funziona sempre», fino a un certo punto. L’unica vera notizia è che «le bocce sono in movimento, e altre – completamente nuove, che oggi neanche immaginiamo – possono entrare in campo». Molte cose cambieranno, conclude Giannuli, sempre senza tener conto del quadro internazionale, europeo e non solo, così determinante – finora – per la crisi italiana (dalla Via della Seta al decreto Golden Power contro Huawei, dal Russiagate anti-Salvini alla guerriglia con Macron e il voltafaccia dei 5 Stelle, fino all’elezione di Ursula von der Leyen).L’analisi di Giannuli, apprezzabile per i riflessi immediati sull’agenda di Palazzo Chigi e dintorni, non legge le ricadute italiane dei grandi giochi in corso, dalla Hard Brexit alla crociata contro Trump. Clamoroso il guanto di sfida lanciato dal governatore della Bank of England, uomo Rothschild: Mark Joseph Carney è stato applaudito a Wall Street, nientemeno, per aver annunciato la necessità di una valuta internazionale alternativa al dollaro. Corretto il focus di Giannuli su Cairo: ma come si schiererebbe, l’editore, rispetto allo scacchiere che conta, cioè quello dei veri poteri che telecomandano l’Italia? E poi: sicuri che Salvini sia sul viale del tramonto? Cosa c’è nella testa di quei milioni di italiani che tuttora fanno della Lega il primo partito? Salvini non è certo ostile a Putin, che peraltro non è un campione di democrazia. A sua volta, Putin non è assolutamente lontano da Trump, che pure sembra aver cessato di sostenere Salvini. Quello che si legge è un caos, nel quale sembra precipitata l’oligarchia di ieri. L’Italia gialloverde era vista – da fuori, forse a torto – come un “pericoloso” banco di prova per sperimentare un’alternativa al paradigma ordoliberista. Il pallottoliere di Giannuli, per ora, non ne fa cenno. Ma sarebbe ingenuo non cercare di mettere a fuoco la vera domanda: per chi sta lavorando, oggi, Matteo Renzi? Per se stesso, come al solito? Certo, anche. Ma si sa, le cose accadono a più livelli. I giochi sono tanti, così come i giocatori. E quelli italiani, visibili, sono solo la vetta dell’iceberg.Renzi, Berlusconi e Cairo? «La cosa complicata è mettere insieme tre pavoni come quelli: con la ruota che si ritrovano, non entrano in un solo ascensore». Aldo Giannuli però li vedrebbe bene, insieme, almeno stando agli elettorati potenziali di riferimento: il neo-rottamatore del Pd, nonno Silvio e il suo quasi-erede, patron de “La7” e della corazzata cartacea italiana, il “Corriere della Sera”. La notizia? Tutto è in movimento. Anche se il politologo dell’ateneo milanese non lo dice (considera uno scivolone la rottura estiva di Salvini), a terremotare la palude italiana – dopo il congelamento del governo gialloverde, commissariato dall’Ue tramite Conte, Tria e Mattarella – è stato proprio lo strappo del leader della Lega, con il suo “a queste condizioni non ci sto più”. Solo a quel punto, Renzi ha deciso di giocare la sua nuova partita, inducendo Zingaretti a ingoiare l’accordo-horror coi 5 Stelle, a loro volta “sinistrati” dall’inciucio. Obiettivo del fiorentino: oggi controllare il Conte-bis, ricattandolo, e domani gestire la partita delle super-nomine, fino alla rielezione del presidente della Repubblica nel 2022. Giannuli si limita a un’analisi tattico-elettorale senza tener conto delle voci sui contatti tra Renzi e il super-potere massonico, resi evidenti dalla passerella al meeting 2019 del Bilderberg.
-
Carpeoro: Salvini cala? Entro 90 giorni si torna a votare
«Il Conte-bis durerà appena tre mesi: entro 90 giorni lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, attento osservatore dei retroscena italiani. L’indizio: l’erosione del consenso di Salvini, ora che non è più sovraesposto, sui media, come ministro dell’interno impegnato nello stop agli sbarchi dei migranti. Il ragionamento: non appena i sondaggi confermeranno il trend – sfavorevole alla Lega, e con piccoli segnali di ripresa per la concorrenza – Pd e 5 Stelle romperanno il patto per tornare alle urne. Se questo accadrà «a fine anno, o al più tardi a gennaio», sullo sfondo sarà presente un convitato di pietra, Mario Draghi, che a novembre si sarà disimpegnato dalla guida della Bce. Già nei mesi scorsi, Carpeoro aveva segnalato l’esistenza di un piano-Draghi: forti pressioni sul super-banchiere, da parte delle superlogge più reazionarie, per spingerlo verso Palazzo Chigi. Ipotesi che secondo alcune fonti Draghi non gradirebbe, mirando il realtà al Quirinale, dopo Mattarella (e un uomo accorto come Draghi sa benissimo che la guida del governo potrebbe renderlo impopolare, fino a precludergli il Colle). Per contro, con le elezioni antcipate Zingaretti si libererebbe di Renzi.Più che le trame della sovragestione internazionale – dice Carpeoro, in streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – potrebbero pesare molto, nella partita italiana, gli interessi di bottega dei partiti in lizza. «Nessuno di questi, nemmeno la Lega, ha una visione strategica della situazione: nessuno dice come vorrebbe l’Italia tra dieci anni, e il peggio è che a non chiederglielo sono proprio gli italiani, in primis, che si accontentano di aspetti superficiali e irrilevanti». Esempio: «Può spostare voti il solo fatto che Di Maio si faccia fotografare mano nella mano con la fidanzata». Idem, ieri, le “barricate” di Salvini contro gli sbarchi: «E’ semplicemente da coglioni – dice Carpeoro, letteralmente – pensare che un problema come l’immigrazione si possa risolvere solo proibendo ai migranti di sbarcare: da che mondo è mondo l’uomo si sposta, e il Sacro Romano Impero nacque dalle invasioni barbariche, che altro non erano che forme – anche violente – di immigrazione». Il problema? «Non è stata mai creata un’agenzia per gestire l’immigrazione, capendo da cosa è originata, da quali paesi, per quali motivi. I problemi vanno governati: il non-governo è la soluzione peggiore, quella che danneggia tutti, migranti e italiani».Con mesi di anticipo sui recenti sviluppi della crisi di governo, Carpeoro aveva avvertito: «C’è un piano di origine supermassonica, che coinvolge Renzi e Grillo, per far fuori Salvini». Di fronte alla rottura decisa dal leader leghista, Carpeoro non ha avuto esitazioni nell’interpretarla come una scelta obbligata: «Salvini ha capito che, se fosse rimasto al governo, l’avrebbero cucinato a fuoco lento entro la fine dell’anno». Indagini a tappeto, Russiagate, stop alla Flat Tax, niente autonomia per Lombardia e Veneto: sarebbe stato costretto a deludere i suoi elettori. Ora, Pd e M5S si sono “attovagliati” con un programma ridicolo, inconsistente, e quindi applaudito da tutti i grandi poteri europei, che fingono di scambiare Giuseppe Conte per uno statista. Prima spettacolare mossa, ampiamente sbandierata: il taglio dei parlamentari. «Quel provvedimento – ricorda Carpeoro – era incluso nel famoso Piano di Rinascita Democratica della P2 di Licio Gelli. Ma quello che non si dice – aggiunge l’avvocato – è che la riduzione dei parlamentari fu ripresa pari pari dal piano di Gelli nella proposta di riforma avanzata dai magistrati di Mani Pulite. Era stato uno di loro, Gherardo Colombo, a scoprire quel piano a Villa Wanda: e il bello è che Colombo spedì a fare la perquisizione un capitano della Guardia della Finanza, che poi risultò lui stesso membro della P2».«Il Conte-bis durerà appena tre mesi: entro 90 giorni lo scenario-elezioni diventerà probabile al 99%». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, attento osservatore dei retroscena italiani. L’indizio: l’erosione del consenso di Salvini, ora che non è più sovraesposto, sui media, come ministro dell’interno impegnato nello stop agli sbarchi dei migranti. Il ragionamento: non appena i sondaggi confermeranno il trend – sfavorevole alla Lega, e con piccoli segnali di ripresa per la concorrenza – Pd e 5 Stelle romperanno il patto per tornare alle urne. Se questo accadrà «a fine anno, o al più tardi a gennaio», sullo sfondo sarà presente un convitato di pietra, Mario Draghi, che a novembre si sarà disimpegnato dalla guida della Bce. Già nei mesi scorsi, Carpeoro aveva segnalato l’esistenza di un piano-Draghi: forti pressioni sul super-banchiere, da parte delle superlogge più reazionarie, per spingerlo verso Palazzo Chigi. Ipotesi che secondo alcune fonti Draghi non gradirebbe, mirando il realtà al Quirinale, dopo Mattarella (e un uomo accorto come Draghi sa benissimo che la guida del governo potrebbe renderlo impopolare, fino a precludergli il Colle). Per contro, con le elezioni antcipate Zingaretti si libererebbe di Renzi.
-
Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta, anzi, il sistema si è parato il culo e ha fatto credere si trattasse della solita mela marcia da dare in pasto ai media e agli indignati di ogni dove, affinché le persone ingenuamente pensassero che l’autorità, lo status quo, li difende come un buon padre di famiglia è solito fare, rimuovendo, come nella sindrome di Stoccolma, il vero padre padrone pedofilo.Cambiare tutto per non cambiare nulla: Trump prova a colpire il Deep State per proteggersi dagli attacchi dei nemici e dal “fuoco amico”, c’è una guerra in atto fatta a suon di scandali sessuali; ma lo stesso Stato Parallelo lo controlla, nel senso che si aspetta proprio questo dal suo operato, essendo in qualche modo un suo prodotto o sottoprodotto. Il presidente Usa, essendo da sempre uomo di quel sistema, conoscendolo ed avendolo frequentato assiduamente in passato, ha piazzato trappole e uomini chiave in molte stanze dei bottoni, per salvarsi e difendersi dalle minacce di morte che riguardano la sua persona e anche i suoi figli. A sua volta, però, Trump è stato costretto, “convinto”, a scendere in campo, come successe in piccolo in Italia per Berlusconi, proprio perché è un prodotto di questo sistema, restituendo in questo modo favori all’entità, che sono stati parte della sua fortuna imprenditoriale. Tutti gli attori sono coinvolti loro malgrado nella stessa sceneggiatura; anche se talvolta se lo scordano o fingono di non saperlo, sono manipolabili dallo stesso network di potere.Esiste una sovrastruttura che attende in silenzio si “faccia un po’ di apparente pulizia”, tramite araldi come Trump, tramite inchieste come quella contro Epstein e altri personaggi, per aggiornare il sistema. Un po’ come per Mani Pulite, lo schema è identico; i giudici furono occultamente protetti e spinti nella loro opera di destrutturazione della 1° Repubblica dai servizi Usa, utilizzati come cavalli di Troia, strumentalmente per poter aggiornare il nostro sistema in termini più liberisti, creando i presupposti di una nuova Italia che rispondesse maggiormente ai bisogni della globalizzazione in atto. Una sovragestione “permette” si colpiscano alcuni attori, alcune comparse, alcuni più noti (per rendere credibile l’operazione), altri meno, 4 mosche in croce in una palude immensa di insetti, per cambiare alcuni vertici nelle posizioni chiave dello Stato Parallelo, per spostare in termini reazionari e sempre più antidemocratici il sistema e magari giustificare nuovi Patriot Act, leggi liberticide, implementare lo stato marziale, ove questo ancora non ci fosse.Tre sono i livelli di potere in campo. 1- Il primo livello è quello del backstage di certi poteri massonici che hanno favorito strumentalmente l’ascesa di Trump, proprio per cercare di produrre discontinuità positiva e costruttiva nel sistema, in modo da poter impostare in futuro nuove politiche keynesiane che ribaltino l’attuale paradigma neocon, ma che rischiano di aver creato un mostro che si ribella al proprio creatore e che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, la fazione dei poteri forti avversari. Una trappola rischiosa che, a mio avviso, si sta rivelando una fregatura. 2- Il secondo livello è quello che riguarda il Deep State, quello che controlla il traffico di bambini, la vendita illegale di organi, si occupa della gestione e delle controversie riguardo la guerra per il controllo del narcotraffico, produce conflitti e colpi di Stato, invisibili e meno invisibili, nel terzo mondo, e di cui spesso ignoriamo l’esistenza, con i relativi indotti bellici, ma anche come agenzia criminale di omicidi mediatici, politici, rituali; una sovragestione assolutamente apolitica, anche se, nel metodo, conservatrice e reazionaria.3- Infine, esiste un terzo livello che riguarda la sovragestione complessiva che “contiene” tutte le fazioni in campo e le guerre fratricide interne in atto, che permette possa accadere qualcosa, per poi raccoglierne i frutti. Questo processo occulto e magico servirà a favorire una trasformazione più dispotica e distopica dell’intera globalizzazione, colpendo il cuore delle democrazie mondiali, facendola accettare alla popolazione, attraverso i vari capri espiatori o pesci piccoli sbattuti in prima pagina, veicolandosi sistema buono e saggio dalla parte della gente. I social giocano un ruolo importante, ovvero: far credere ci sia un vero cambiamento, per far accettare nuove visioni totalitarie e incanalare il pensiero e la psicologia di massa verso altri lidi. L’avallo politico, energetico e religioso dei sudditi è fondamentale per la riuscita del progetto. L’accettazione dal basso di certe dinamiche è di primaria importanza. Ogni attore in campo lavora per il suo livello di appartenenza, spesso non conosce e non ha interesse a comprendere il progetto e la sua visione complessiva.Il 3° livello, che oltre ad essere incarnato da uomini, è anche un modello astratto e concettuale, potrebbe coincidere con tutto ciò che incarna lo schema del potere attuale e che, a mio modesto avviso, sta ben sopra le massonerie, le Ur-logge, le Corporation, l’apparato militare, i servizi segreti e ovviamente la politica, che conta poco più di zero. Vive come “idea del potere”, questa è la sua linfa vitale. Anche all’interno di questo livello di potere “arcontico” esistono scissioni dell’atomo infinite e contrapposizioni fratricide, perché esse fanno parte della natura di tutti gli esseri viventi. Questo permettere di scorgere gli scheletri nei vari armadi, di capire le contraddizioni e le dinamiche del potere al suo interno, e ci consente di sopravvivere in questo inferno. Quando non sarà più così, se un giorno mai ci sarà solo un grande vecchio al timone dell’arca – e la visione generale del progetto tende proprio a questo modello unico – saremo in pieno transumanesimo realizzato e potremo candidamente implodere. “Snowpiercer”, capolavoro del sud-coreano Bong Joon-ho, è un film che parla in termini metaforici di come la testa del serpente caldeggi e prepari il terreno per colui che lo sostituirà; con la sua morte favorirà una rinascita, nuova vita e nuova linfa allo schema del potere: quello che, in altri termini, chiamo “aggiornamento di sistema”.(“Epstein sacrificato in nome della Rosa”, post pubblicato il 29 agosto 2019 dal blog “Maestro di Dietrologia”, curato da Simone Galgano).La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.