Archivio del Tag ‘Spagna’
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La Cina il mondo lo compra: in Europa, 10 Piani Marshall
Da quando ho approfondito il pensiero di Vladimir Putin cercando di “entrargli nella testa” attraverso l’analisi dei suoi discorsi e delle sue letture personali, non sono pochi quelli che mi scrivono per chiedermi consigli di lettura su libri di strategia. Io rispondo sempre che ne basterebbe solo uno, l’Arte della Guerra di Sun Tzu. Il guaio di questo trattato militare non è solo che è composto di aforismi, ma che la maggior parte delle persone fatica molto ad “adattarlo” alle situazioni contemporanee, alla propria vita quotidiana, all’economia. La richiesta di capirne di più però rimane forte, perchè il compendio del vecchio generale cinese è certificato dagli esperti di strategia che lo avvicinano alla matematica della teoria dei giochi e della ricerca operativa. La chiave più efficace per entrare nel metodo di Sun Tzu però la si trova nella conoscenza della storia, più che nella matematica, e mai andrebbe dimenticato che Sun Tzu era cinese. Proverò a chiarire questi due aspetti, con un unico esempio. Com’è noto, il Novecento è stato il secolo americano e l’attuale establishment aspira a mantenere l’impero a stelle e strisce anche nel nuovo millennio. A minare questi progetti ci sono la Russia, l’India, la Cina, qualcuno dice anche la Germania. Molti commentatori aggiungono però che la Cina, anche se ne ha tutte le potenzialità demografiche e produttive, non è interessata a fare il Capo.Ed è in gran parte vero, l’idea di una leadership mondiale non sembra interessare alla politica cinese. Semplicemente, la Cina sta conquistando il mondo attraverso parametri che non sono di facile comprensione a noi occidentali. La Cina si sta prendendo il mondo, e basta; non è che c’è un piano d’assalto, un muro contro muro o una sfida all’Ok Corral. E lo fa molto lentamente, quasi in modo impercettibile, occupando tutti gli spazi. In questo caso il go e la dama ci aiutano più dei tradizionali giochi con le carte o degli scacchi. Con le carte e con gli scacchi, il più delle volte si usurpa il posto di qualcun altro attraverso un percorso. Nel go – gioco nato proprio in Cina – non accade nulla di tutto questo. Vince chi mette l’avversario nelle condizioni di abbandonare il campo, perché non ha più spazio e tutto è stato occupato. Ecco allora che si spiega molto meglio l’acquisto da parte di compagnie cinesi di terreni in Africa, di luoghi attrezzati per la logistica nelle grandi città europee e di energia. I cinesi arrivano in questi mercati dopo essersi messi d’accordo con i rispettivi governi locali, che riempiono di soldi. Le garanzie sono a prova di bomba, visto che ogni compangia cinese che si muove ha la copertura dello Stato e del partito comunista cinese.Ecco cosa scriveva poche settimane fa il “Sole 24 Ore” sull’argomento: «La Belt & Road Initiative (Bri), ossia la strategia lanciata dalla Cina per la crescita commerciale, che crea una nuova Via della Seta tra Far East ed Europa fa impallidire l’European recovery program ideato negli anni 40 da George Marshall». Con una differenza impressionante, aggiungerei: mentre il Piano Marshall per l’Europa, attualizzato, varrebbe 100 miliardi di dollari, quello cinese supererà i mille miliardi di investimenti. Solo tra il 2015 e il 2017, la Cina ha investito in 8 porti (Haifa, Ashdod, Ambarli, Pireo, Rotterdam, Vado Ligure, Bilbao e Valencia), oltre 3,1 miliardi di euro. E, per quanto riguarda l’Italia, a essere interessati al progetto sono soprattutto gli scali di Genova-Savona e Trieste, indicati come punti d’arrivo privilegiati dei traffici dalla Cina al Mediterraneo, attraverso Suez. E stiamo parlando solo dei porti… Il settore d’investimento privilegiato resta l’energia, con gli interscambi con la Russia. In Africa la Cina non si limita, come scrivono in molti, a comprare terreni, ma realizza opere pubbliche in cambio di favori di tipo politico. In Kenya, ad esempio, i cinesi hanno appena realizzato una ferrovia ad alta velocità. Il punto non è però capire qual è la lista della spesa dei cinesi nel mondo – per quello ci pensa appunto il “Sole 24 Ore” – bensì capire come questa operazione viene effettuata.Avete presente quei film western americani dove i cattivi vogliono comprare il terreno di un’allegra famigliola di cowboys perchè il sottosuolo è pieno di petrolio? I cattivi arrivano, violentano le donne e uccidono il padre di famiglia per costringere i figli, impauriti e oramai in miseria, a svendere quel terreno per una pipa di tabacco. Bene. Questo fanno gli americani, anche al di fuori delle sceneggiature hollywoodiane. Minacciano la Corea del Nord (che vuol dire minacciare la Cina); creano false flag in Ucraina (che equivale ad attaccare la Russia); intervengono in Afganhistan, Iraq e Siria per sottomettere l’area musulmana. I cinesi no. I cinesi si mettono d’accordo con i governatori locali e applicano una politica economica win-win. Si prendono quel che di buono c’è da prendere, ma offrono sempre qualcosa in cambio: soldoni, infrastrutture, know how, eccetera. Lo scopo finale, tuttavia, è sempre quello di vincere la guerra economica, cioè la guerra con gli Stati Uniti. Ci riusciranno? La domanda è mal posta, perché ci sono già riusciti: e senza mostrare stelle da sceriffo, fucili winchester e un inutile ghigno da Mike Tyson. Steve Bannon queste cose le aveva capite alla perfezione, ma gli ordoliberisti no, coi risultati che già si vedono e che si vedranno sempre di più in futuro.(Massimo Bordin, “La Cina non conquisterà il mondo, se lo comprerà – sulla scia di Sun Tzu”, da “Micidial” dell’11 settembre 2017, articolo riproposto alla luce dello sviluppo del protagonismo cinese in Europa. Bordin è autore del saggio “Putin e la filosofia”, acquistabile sempre su “Micidial”).Da quando ho approfondito il pensiero di Vladimir Putin cercando di “entrargli nella testa” attraverso l’analisi dei suoi discorsi e delle sue letture personali, non sono pochi quelli che mi scrivono per chiedermi consigli di lettura su libri di strategia. Io rispondo sempre che ne basterebbe solo uno, l’Arte della Guerra di Sun Tzu. Il guaio di questo trattato militare non è solo che è composto di aforismi, ma che la maggior parte delle persone fatica molto ad “adattarlo” alle situazioni contemporanee, alla propria vita quotidiana, all’economia. La richiesta di capirne di più però rimane forte, perchè il compendio del vecchio generale cinese è certificato dagli esperti di strategia che lo avvicinano alla matematica della teoria dei giochi e della ricerca operativa. La chiave più efficace per entrare nel metodo di Sun Tzu però la si trova nella conoscenza della storia, più che nella matematica, e mai andrebbe dimenticato che Sun Tzu era cinese. Proverò a chiarire questi due aspetti, con un unico esempio. Com’è noto, il Novecento è stato il secolo americano e l’attuale establishment aspira a mantenere l’impero a stelle e strisce anche nel nuovo millennio. A minare questi progetti ci sono la Russia, l’India, la Cina, qualcuno dice anche la Germania. Molti commentatori aggiungono però che la Cina, anche se ne ha tutte le potenzialità demografiche e produttive, non è interessata a fare il Capo.
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Femminicidio, prove tecniche di criminalizzazione di massa
Sabato scorso si è svolta a Roma una manifestazione contro la “violenza di genere”, cioè la violenza maschile contro le donne. I media hanno evocato a riguardo una sorta di emergenza “femminicidio” in Italia. L’anno più recente in cui la statistica sugli omicidi in Italia risulta pienamente aggiornata è il 2017. In base a questi dati, si registrerebbe in Italia un calo costante degli omicidi, che collocherebbe il nostro paese ai gradi più bassi della graduatoria europea per reati di sangue. Non solo in paesi comparabili al nostro, come Francia, Germania e Regno Unito, il tasso di omicidi risulta superiore all’Italia, ma persino in paesi considerati “modello”, come Svezia e Danimarca, da cui non te lo aspetteresti proprio. Meno violenti dell’Italia sono invece paesi come la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna, a smentita del luogo comune del “sangre caliente”. Il costante calo degli omicidi in Italia può essere in parte spiegato con l’invecchiamento medio della popolazione, dato che è difficile fare agguati quando si è afflitti da artrosi e prostatite. La maggioranza delle vittime di omicidi è ancora costituita da uomini. La diminuzione degli omicidi legati ad attività criminali fa statisticamente risaltare la quota degli omicidi in ambito familiare, nei quali è piuttosto consistente la quota di donne uccise.Mentre la criminalità comune sposta i reati in ambiti meno cruenti, da colletti bianchi, come le frodi informatiche e il riciclaggio, la famiglia rimane invece un luogo di violenza fisica e morale nei termini tradizionali. D’altra parte se vi fosse davvero una “violenza di genere”, questa dovrebbe proiettarsi ben oltre la famiglia, ma di ciò, almeno statisticamente, non c’è ancora nessuna traccia. Le oligarchie finanziarie e industriali sono rigorosamente costituite da maschi bianchi, in maggioranza di origine anglosassone o germanica, quindi in quel caso la criminalizzazione preventiva del genere maschile non attecchisce per niente. Funziona invece benissimo in altri ambiti, come la scuola. Secondo i dati Ocse, tende ovunque a diminuire la quota maschile di insegnanti, ma il fenomeno sembrerebbe molto più significativo in Italia, dove i maschi sono stati di fatto estromessi dalla scuola elementare. Visto che non siamo più ai tempi del Maestro di Vigevano, che lasciava la scuola per inseguire sogni di arricchimento nell’industria, la causa va probabilmente ricercata in un’opinione pubblica sempre più sospettosa e ostile alla presenza di maschi a contatto con bambini.D’altra parte, gli stessi metodi utilizzati per criminalizzare preventivamente il genere maschile potranno essere reimpiegati per criminalizzare anche il genere femminile; infatti l’Ocse presenta la femminilizzazione della scuola come un problema per il processo educativo. Nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia la criminalizzazione degli insegnanti maschi è servita per aprire la strada alla criminalizzazione della categoria degli insegnanti nel suo complesso. Siamo già alle condanne nei confronti di maestre per la generica accusa di aver “urlato”. L’Uomo Ragno diceva che ad un grande potere corrisponde una grande responsabilità. L’Uomo Ragno è una fiaba e infatti la realtà funziona nel modo esattamente opposto: maggiore è il potere che si esercita, maggiore è la capacità di deresponsabilizzarsi e di colpevolizzare invece i deboli per ogni cosa. Il moralismo è un linguaggio del potere che ritorce l’ansia di giustizia degli oppressi contro di loro. La criminalizzazione preventiva di chi non deteneva e non detiene i mezzi per nuocere, è quindi diventata una costante dell’attuale “governance”. Si può infatti riscontrare che non colpisce solo i generi ma anche le generazioni.Mentre le oligarchie mondialiste rimangono in gran parte felicemente gerontocratiche, in ambito sociale invece gli anziani sono additati dai media come nemici e parassiti delle giovani generazioni. Viene addebitato alla responsabilità della vecchia generazione sia il debito pubblico italiano, sia il riscaldamento globale. Non a caso la propaganda ha bollato anche un’inezia come la “Quota 100” nei termini di un furto ai danni dei giovani. A ciò si aggiunge la criminalizzazione preventiva delle categorie, in particolare i lavoratori del pubblico impiego, invariabilmente catalogati come “fannulloni” e “furbetti”. La ministra delle pubblica amministrazione del passato governo, Giulia Bongiorno, aveva introdotto un sistema di rilevamento biometrico delle impronte digitali dei dipendenti pubblici per evitare le presunte frodi dei cartellini scambiati. I ministri sono solo passacarte, perciò la Bongiorno non aveva fatto altro che adeguarsi al trend imposto dalle lobby che contano.L’attuale governo sembra aver abolito la norma, riconoscendo che aveva un carattere di criminalizzazione preventiva di un’intera categoria. La sensazione però è che il provvedimento firmato dalla Bongiorno sia stato solo rimandato poiché non sono ancora a disposizione della pubblica amministrazione le infrastrutture tecnologiche per attuarla. Di fatto il concetto era passato senza che vi fossero reazioni significative da parte di una pubblica opinione ormai addestrata all’odio di categoria. È banale e forse riduttivo evocare in questo caso il “divide et impera”, poiché c’è di peggio: si educa una società ad invocare catene dai suoi carnefici. Per i prossimi anni si apre quindi uno scenario in cui la crescente criminalizzazione di ogni settore sociale andrà a legittimare forme di controllo sempre più invasive. Si prepara una “biometrizzazione” di massa?(”Prove tecniche di criminalizzazione preventiva”, da “Comidad” del 28 novembre 2019).Sabato scorso si è svolta a Roma una manifestazione contro la “violenza di genere”, cioè la violenza maschile contro le donne. I media hanno evocato a riguardo una sorta di emergenza “femminicidio” in Italia. L’anno più recente in cui la statistica sugli omicidi in Italia risulta pienamente aggiornata è il 2017. In base a questi dati, si registrerebbe in Italia un calo costante degli omicidi, che collocherebbe il nostro paese ai gradi più bassi della graduatoria europea per reati di sangue. Non solo in paesi comparabili al nostro, come Francia, Germania e Regno Unito, il tasso di omicidi risulta superiore all’Italia, ma persino in paesi considerati “modello”, come Svezia e Danimarca, da cui non te lo aspetteresti proprio. Meno violenti dell’Italia sono invece paesi come la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna, a smentita del luogo comune del “sangre caliente”. Il costante calo degli omicidi in Italia può essere in parte spiegato con l’invecchiamento medio della popolazione, dato che è difficile fare agguati quando si è afflitti da artrosi e prostatite. La maggioranza delle vittime di omicidi è ancora costituita da uomini. La diminuzione degli omicidi legati ad attività criminali fa statisticamente risaltare la quota degli omicidi in ambito familiare, nei quali è piuttosto consistente la quota di donne uccise.
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Rizzo: senza l’euro stavamo meglio, l’Ue opprime gli italiani
«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.Non può essere un singolo paese, da solo, a ribellarsi alla dittatura dei mercati. L’Italia non ha mai avuto una sovranità effettiva, e non appena le personalità importanti sono uscite dalla falsariga di ciò che era determinato per il paese, sono state fatte fuori (Mattei, Craxi per Sigonella, Berlusconi per le vicende di Gheddafi e Putin). In Italia abbiamo centinaia di bombe atomiche e non sappiamo dove sono, anche andando al governo non potremmo farci niente. Bisogna riunire i popoli. Non bisogna contrapporre gli italiani ai tedeschi o agli spagnoli, ma unificare la maggioranza dei popoli. Potremmo lavorare meno e lavorare tutti. La ricchezza potrebbe essere redistribuita, visto che il progresso tecnologico ci permetterebbe di vivere meglio. La moneta è un accordo tecnico. L’euro è stato costruito a tavolino: gli italiani l’hanno provato sulla loro pelle. Quello che costava mille lire costa un euro, ma gli stipendi non sono raddoppiati. Da quando c’è l’euro le cose vanno peggio, nel nostro paese. C’è chi dice: sarebbero andate ancora peggio, senza la moneta unica, ma non c’è la prova di questo. Quando un lavoratore prendeva due milioni di euro stava bene, oggi con mille euro è al palo.Arriveremo al 2030 dove l’1% della popolazione avrà la ricchezza dei due terzi del mondo: stiamo andando verso una società neomedievale. A New York si stanno costruendo dei grattacieli antimissile. Larga parte del pianeta sarà disastrato dal punto di vista ambientale e della sicurezza, ma allo stesso tempo ci saranno delle isole felici blindate. Già oggi ci sono appartamenti venduti a 100 milioni di dollari per 100 metri quadrati, cifre mostruose. Nel resto del mondo moriremo tutti di fame. Lo Stato è forte: ogni anno ha 850 miliardi da spendere. La crisi del governo gialloverde con l’Ue era relativa a circa 15 miliardi, tra “quota 100″ e reddito di cittadinanza (una piccola parte). Possiamo decidere cosa spendere. Serve un piano nazionale di messa a punto del nostro territorio. Potremmo assumere giovani geometri, ingegneri, architetti per evitare di pagare i danni da alluvioni e calamità naturali. Questa società è basata solo sul profitto, ma sulla salute non si può guadagnare. La sanità privata serve a chi la fa, non all’utenza. L’istruzione e i trasporti dovrebbero essere pubblici: hanno fatto apposta, a distruggerli, per favorire la loro privatizzazione. L’Europa dei popoli purtroppo oggi non esiste, esiste solo l’Europa dell’euro e delle grandi banche. Non dobbiamo essere dipendenti da Bruxelles, per fare una riforma. Bisogna uscire dall’Ue in un processo collettivo, rivoluzionario, che coinvolga i popoli. Quello italiano non è mai stato troppo avvezzo alle rivoluzioni, ma potrebbe anche imparare molto presto.(Marco Rizzo, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella video-intervista “Una rivoluzione dei popoli per uscire dall’euro”, pubblicata sul canale video di “Money.it” il 23 gennaio 2019).«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.
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Mes, cambio di regime: fine dell’Italia, banchieri al governo
Il Mes è peggio di un capestro, è la sostituzione della Troika: con, al posto del Fondo Monetario Internazionale, una specie di Fondo Monetario Europeo, che però sarà svincolato dalla Commissione Europea. Il Mes diventa una specie di super-Commissione, che dovrebbe decidere qual è il livello di sicurezza dei debiti degli Stati, valutando la loro situazione finanziaria, in modo tale da consentire a questi Stati di avere accesso al credito internazionale sulla base del giudizio che viene formulato da un gruppo di tecnocrati, non eletti da nessuno. In altre parole, una specie di “super-governo delle banche” (perché di questo si tratta), che viene nominato comunque da uomini delle banche, i quali decidono se l’Italia, la Spagna, il Portogallo sono degni di ricevere questo prestito. Ma non è solo questo, il discorso: è molto peggio. Perché, una volta deciso se sono degni di ricevere il prestito, si decide anche che, a seconda del loro livello di sicurezza, saranno più o meno indipendenti. Se hanno un livello di sicurezza basso, di fatto vengono commissariati da una struttura monetaria che avrà il potere di decidere sul bilancio dello Stato: sulle spese, sulle entrate, sulle tasse.In poche parole, saremmo messi nelle mani di un gruppo di tecnocrati, che in realtà sono dei banchieri, che decideranno tutto ciò che riguarda la nostra politica economica. Tra l’altro, questo è del tutto anticostituzionale, perché significa trasferire all’esterno del paese le specifiche condizioni per la sovranità, cioè a dire: qual è la nostra politica, qual è il livello delle nostre spese sociali e delle strutture scolastiche, ospedaliere, eccetera. Praticamente, significa che noi abbandoniamo la Costituzione e mettiamo questo nostro paese nelle mani di una struttura esterna, non soggetta a nessun vincolo democratico. Nel frattempo continuiamo a versare i soldi per il fondo comune, ma li riceviamo solo se ce li meritiamo? Se non vado errato, per quest’operazione noi abbiamo già versato 750 miliardi. Ma nel caso dovessimo accedere al credito, dovremmo pagare l’interesse sul credito che ci verrà dato (a prescindere dal fatto che noi, insieme agli altri, abbiamo già pagato una enorme somma per tenere in piedi questa struttura).La sostanza è questa: prestiamo i soldi nostri, mettiamo in piedi una struttura che dovrà finanziare gli Stati pericolanti, ma nello stesso tempo saremo costretti, noi stessi, a pagare gli interessi sull’eventuale credito che ci venisse fatto (sulla base, tra l’altro, di criteri determinati dalle grandi banche internazionali private). Se passa questa cosa, finisce ogni baluardo di democrazia, e persino ogni straccio rimasto a coprire questo tipo di rinuncia alla democrazia. Nella Costituzione, che dovrebbe essere il nostro punto di partenza, c’è scritto che la sovranità delle nostre istituzioni decide il livello di vita dei cittadini italiani. Non c’è nessun altro che può prendere queste decisioni. Noi invece le trasferiamo nientemeno che nelle mani di una struttura la cui fisionomia non è decisa da noi, i cui uomini non sono in nessun modo scelti da noi, e i cui interessi sono nient’affatto trasparenti, perché sono composti da persone che non sono il prodotto della volontà popolare. Né meraviglia che la stampa parli del Mes ignorando le cose che ho appena detto.Negli ultimi 15 anni siamo passati per un colpo di Stato, sia pure senza carri armati. Ci sono norme che vengono decise a monte e portate davanti a un Parlamento che non sa nulla, non capisce nulla e non è competente su nulla – ma le approva, e di fatto si modificano le leggi dello Stato. Da quel momento in poi, ciò che prima non esisteva diventa una norma, alla quale bisogna sottostare. Come diceva Napolitano, “pacta sunt servanda”: i patti si devono rispettare. Ma se i patti vengono fatti così, tu di trovi di fronte a un nuovo Stato, a nuove istituzioni che hanno completamente rovesciato l’intera struttura della Costituzione italiana. E quindi questo patto non solo non va rispettato: non si deve accettare, non si deve approvare. Non a caso, la stampa tace sulla struttura, sul significato politico di questa cosa, che è gravissima: è un cambio di regime.(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate nella conversazione con Massimo Mazzucco in web-streaming su “Contro Tv” il 22 novembre 2019. La puntata è stata ripresa sul blog “Luogo Comune”. Le trasmissioni di “Contro Tv” tornano in diretta ogni venerdì sera alle ore 21).Il Mes è peggio di un capestro, è la sostituzione della Troika: con, al posto del Fondo Monetario Internazionale, una specie di Fondo Monetario Europeo, che però sarà svincolato dalla Commissione Europea. Il Mes diventa una specie di super-Commissione, che dovrebbe decidere qual è il livello di sicurezza dei debiti degli Stati, valutando la loro situazione finanziaria, in modo tale da consentire a questi Stati di avere accesso al credito internazionale sulla base del giudizio che viene formulato da un gruppo di tecnocrati, non eletti da nessuno. In altre parole, una specie di “super-governo delle banche” (perché di questo si tratta), che viene nominato comunque da uomini delle banche, i quali decidono se l’Italia, la Spagna, il Portogallo sono degni di ricevere questo prestito. Ma non è solo questo, il discorso: è molto peggio. Perché, una volta deciso se sono degni di ricevere il prestito, si decide anche che, a seconda del loro livello di sicurezza, saranno più o meno indipendenti. Se hanno un livello di sicurezza basso, di fatto vengono commissariati da una struttura monetaria che avrà il potere di decidere sul bilancio dello Stato: sulle spese, sulle entrate, sulle tasse.
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Cretini di sinistra, la “mafia” ipocrita che rimpiange Sciascia
Ah, Leonardo Sciascia, il letterato, il polemista, il siculo acuto e scontento, arabo e illuminista. Quanto ci manca l’intellettuale non conformista fuori dal coro, ripetono in coro i conformisti a trent’anni dalla sua morte, il 20 novembre del 1989. Per accontentarli, vorrei ricordare cinque spunti di Sciascia che non si ricordano volentieri. Il primo fu la sua polemica aperta col catto-comunismo, contro il compromesso storico e in polemica con gli intellettuali organici che reggevano la coda. Sciascia lasciò nel 1977 il Pci, di cui era consigliere comunale a Palermo. Giorgio Amendola, che rappresentava la destra comunista ma ortodossa, accusò Sciascia di disfattismo e nicodemismo, e subito un codazzo d’intellettuali plaudì alla scomunica. Sciascia non si lasciò intimidire e paragonò Amendola al famigerato ministro Liborio Romano, che era passato dai Borboni ai Savoia senza lasciare la sua poltrona di ministro (un Conte ante litteram). Con disinvoltura i comunisti passavano da avversari a consociati della Dc, che avevano criticato per una vita accusandola pure di mafia e corruzione. Il secondo spunto, famoso, riguardò le Brigate Rosse.Oggi prevale la favoletta della neutralità di Sciascia tra lo Stato e le Br, il famoso né né. In realtà Sciascia riteneva poco credibile la linea della fermezza dopo decenni di connivenza, di zona grigia e di cedimento dello Stato a ogni livello. E denunciava la rete larga di complicità intorno al terrorismo rilevando che «è in atto un’espansione del partito armato che sta trovando insediamenti sociali», mentre si continuava a negare la matrice comunista. «Le Brigate Rosse – scrisse Sciascia – erano rosse e non nere come tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale desideravano che fossero». Anzi, notava Sciascia, le Br si appellavano alla stessa fonte di legittimazione dello Stato democratico e antifascista: «La Resistenza è un valore indistruttibile anche per le Brigate Rosse: credono di esserne i figli». Le azioni terroristiche delle Br per lui saldarono il sistema, non lo fecero saltare. Il terzo spunto, connesso al precedente, fu il suo giudizio sul potere democristiano e su Aldo Moro. Le sue interpretazioni furono espresse già nel ’76 in “Todo Modo” e poi ne “L’Affaire Moro” e dispiacquero non solo alla Dc, ma anche al Pci e ai grandi giornali. Berlinguer arrivò a querelarlo. Scalfari lo stroncò prima che il suo libro sul caso Moro uscisse.Sciascia denunciò in Moro lo scarso senso dello Stato. Per lui Moro non era uno statista ma «un grande politicante». A Moro rimproverò pure di non aver speso una parola nelle sue tante lettere dal carcere per la sua scorta trucidata in via Fani. E come Pasolini, anche Sciascia ritenne che Moro avesse inventato un linguaggio incomprensibile, di cui fu detentore ma anche vittima (perché nessuno colse i messaggi cifrati delle sue lettere dal carcere delle Br), che secondo Sciascia serviva a tenere oscura e impenetrabile la chiave del potere. La lingua di Moro era per lo scrittore siciliano come il latino usato dalla Chiesa per rendersi incomprensibile al volgo e così alimentarne l’ossequio devoto. La lingua morotea a suo dire corrompeva la democrazia perché rendeva i percorsi del potere politico inaccessibili e arcani al popolo sovrano. Il quarto spunto di Sciascia è sulla sinistra antifascista. Mi limito a due citazioni riassuntive, tratte da “Nero su nero”: «Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è».E poi: «Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero solo a destra e perciò l’evento non ha trovato registrazione». Ecco l’antifascista di sinistra, intollerante ma cretino. Mirabile sintesi, assai attuale. Infine, in tema di Sicilia e di malgoverno, Sciascia dette una lezione di non conformismo, paragonando l’inefficacia e la corruttela che aveva accompagnato i terremoti avvenuti durante la repubblica italiana con quel che invece era accaduto ai tempi “nefasti” della controriforma e della vituperata dominazione spagnola. Nel 1693, nella Sicilia sotto la prepotenza spagnola, un terremoto colpì una cinquantina di Comuni, tra cui Catania, Avola, Lentini e Noto. Si recò sul luogo del disastro il duca di Camastra, vicario del vicerè, con pieni poteri e con la benedizione della Chiesa. Il signorotto, la Chiesa, i fondi da gestire: il triangolo perfetto del malaffare meridionale.E invece quel duca brusco, altero e devoto, che passava a cavallo tra le macerie, in pochi mesi ricostruì al meglio quei paesi. Il duca, scrisse Sciascia, temperava il rigore cattolico con il culto della bellezza; non si dirà lo stesso dei democratici che gestirono i terremoti più recenti e i loro fondi. Sono riusciti a far rimpiangere la dominazione spagnola. E Sciascia, volterriano laico, onestamente lo riconosceva. Quanti dei signorini che oggi lo invocano e lo rimpiangono avrebbero fatto altrettanto? Certo, Sciascia ha scritto ben altro, non si può ridurre la sua opera a queste polemiche. Ma ogni volta che comincia la messa cantata su Pasolini e Sciascia che ci mancano (a noi mancano anche tanti altri scrittori rimossi perché dalla parte sbagliata), allora vorrei far notare che per questo loro non conformismo subirono in vita linciaggi verbali e peggior sorte avrebbero avuto oggi. Magari anche dalle mafie culturali che ne piangono la scomparsa.(Marcello Veneziani, “Sciascia, rimpianto con ipocrisia”, da “La Verità” del 19 novembre 2019).Ah, Leonardo Sciascia, il letterato, il polemista, il siculo acuto e scontento, arabo e illuminista. Quanto ci manca l’intellettuale non conformista fuori dal coro, ripetono in coro i conformisti a trent’anni dalla sua morte, il 20 novembre del 1989. Per accontentarli, vorrei ricordare cinque spunti di Sciascia che non si ricordano volentieri. Il primo fu la sua polemica aperta col catto-comunismo, contro il compromesso storico e in polemica con gli intellettuali organici che reggevano la coda. Sciascia lasciò nel 1977 il Pci, di cui era consigliere comunale a Palermo. Giorgio Amendola, che rappresentava la destra comunista ma ortodossa, accusò Sciascia di disfattismo e nicodemismo, e subito un codazzo d’intellettuali plaudì alla scomunica. Sciascia non si lasciò intimidire e paragonò Amendola al famigerato ministro Liborio Romano, che era passato dai Borboni ai Savoia senza lasciare la sua poltrona di ministro (un Conte ante litteram). Con disinvoltura i comunisti passavano da avversari a consociati della Dc, che avevano criticato per una vita accusandola pure di mafia e corruzione. Il secondo spunto, famoso, riguardò le Brigate Rosse.
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Cina: primi ibridi scimmia-uomo, Ogm. La storia si ripete?
La Cina esibisce scimmie modificate con geni umani: macachi super-intelligenti. La storia si ripete? Secondo i sumeri, i misteriosi Anunnaki venuti dallo spazio ottennero l’homo sapiens clonando gli ominidi. La tesi, avanzata da Zecharia Zitchin, è stata richiamata dal biblista Mauro Biglino, secondo cui la Genesi svela che gli altrettanto misteriosi Elohim, come Yahwè (trasformati poi nel Dio unico del monoteismo) fabbricarono gli Adamiti geneticamente, impiantando sugli uomini primitivi il loro Tselem (Dna). Si sarebbe trattato, in sostanza, di una potente “accelerazione evolutiva”, oggi ritenuta teoricamente possibile da biologi molecolari come Pietro Buffa, già in forza al King’s College di Londra. A far discutere è un nuovo esperimento, che la “Stampa” definisce «ben oltre i limiti dell’etica, tanto per cambiare effettuato in Cina». I ricercatori del Kunming Institute of Zoology hanno annunciato di aver ottenuto delle scimmie transgeniche, nel cui Dna sono stati trasferiti geni che controllano lo sviluppo del cervello umano. Gli animali, riporta la rivista del “Mit Technology Review”, hanno riportato risultati brillanti in alcuni test. L’esperimento, che ha già suscitato diversi dubbi etici, è stato descritto sulla rivista cinese “National Science Review” e sui media locali. Secondo i ricercatori cinesi, i macachi modificati hanno eseguito test cognitivi di memoria con risultati superiori alla media delle scimmie non transgeniche.I loro cervelli si sono sviluppati in tempi più lunghi, raggiungendo però le stesse dimensioni delle scimmie non-Ogm, contrariamente alle previsioni dei ricercatori che pensavano che sarebbero stati più grandi. Per il genetista che ha eseguito l’esperimento, il dottor Bing Su, «questo è stato il primo tentativo di capire l’evoluzione della cognizione umana con un modello di scimmia transgenica». Lo studio è stato però criticato in Occidente, dove gli esperimenti sui primati sono sempre più difficili da condurre per motivi etici. «L’uso di scimmie transgeniche per studiare i geni umani è una strada rischiosa da prendere: è la classica china scivolosa», afferma il genetista James Sikela, dell’Università del Colorado. Attualmente – ricorda sempre la “Stampa” – solo la Cina ha ottenuto scimmie transgeniche, utilizzando la tecnica Crispr che “copia e incolla” il Dna. Lo scorso gennaio un altro istituto cinese aveva annunciato di aver prodotto alcuni cloni di scimmia con un gene che nell’uomo è legato all’autismo. Questi esperimenti, sottolinea Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di Pavia, sono vietati in tutto il mondo occidentale. Redi li considera «esperimenti che qui sono inaccettabili dal punto di vista etico», visto che «non si possono umanizzare i primati». E se invece la scienza occidentale usasse proprio la Cina per aggirare le nostre barriere etiche?E’ quello che hanno fatto scienziati spagnoli: hanno confermato di avere collaborato alla creazione in un laboratorio cinese del primo ibrido umano-scimmia, nell’ambito di una ricerca il cui scopo è quello di realizzare organi umani adatti al trapianto. Lo scrive, sempre sulla “Stampa”, Vittorio Sabadin. «Gli scienziati guidati dal professor Juan Carlos Izpisúa hanno disattivato da embrioni di scimmia i geni essenziali per la formazione di organi, iniettandovi poi cellule staminali umane in grado di creare qualsiasi tipo di tessuto». L’esperimento, promosso dalla Universidad Catòlica San Antonio de Murcia, è nato «da una collaborazione tra il Salk Institute americano», ed è stato condotto in Cina «per evitare complicazioni legali». I risultati sono molto promettenti, ha detto a “El Pais” Estrella Núñez, biologa che ha partecipato alla ricerca, senza fornire altri dettagli in attesa della pubblicazione del lavoro su una rivista scientifica internazionale. «Nell’Ucam e al Salk Institute stiamo provando non solo a sperimentare l’unione di cellule umane con cellule di roditori e suini, ma anche con primati non umani», ha aggiunto Izpisúa. «Il nostro paese è un pioniere e un leader mondiale in queste indagini».Già nel 2017 – ricorda Sabadin – il team di Izpisúa aveva condotto un esperimento per la creazione di “chimere” umane e suine che non aveva avuto successo. Con i primati, il cui Dna è molto più vicino a quello degli esseri umani, l’innesto sembra invece riuscito.La creazione di chimere uomo-animale pone problemi etici sui quali la comunità scientifica si interroga da tempo. «Cosa succede se le cellule staminali sfuggono al controllo e formano neuroni umani nel cervello dell’animale?», si domanda Ángel Raya, direttore del Centro di medicina rigenerativa di Barcellona: «L’animale avrebbe coscienza? E cosa succede se queste cellule staminali si trasformano in spermatozoi»? Estrella Núñez assicura che il team di ricerca di Izpisuá ha creato meccanismi di controllo tali che, se le cellule umane migrano nel cervello, si autodistruggono. «L’embrione cinese sarebbe stato comunque soppresso – scrive “La Stampa” – seguendo la regola imposta dalla comunità scientifica che nessuna chimera può sopravvivere per più di 14 giorni, il tempo necessario a sviluppare un primo sistema nervoso». Il timore di molti scienziati, osserva Sabadin, è che invece queste regole «non vengano seguite in laboratori situati in paesi che sfuggono a ogni controllo, come ad esempio quelli della Cina e della Corea del Nord».La Chimera, ricorda Sabadin, era un animale mitologico presente nella tradizione di molte civiltà, da quella greca e romana a quella hittita, etrusca ed egizia. Nell’Iliade, Omero la descrive in questo modo: “Era il mostro di origine divina, leone la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco”. «Gli uomini ne avevano terrore, e ora che hanno imparato a crearla – chiosa Sabadin – dovrebbero temerla ancora di più». E se fossimo noi, in realtà, la prima “chimera” apparsa sul pianeta? Secondo alcuni traduttori dei testi antichi, il sapiens potrebbe essere a sua volta una specie di Ogm, un organismo geneticamente modificato. Magari ottenuto clonando ominidi come l’homo habilis, evolutivamente assai progredito, apparso nel Pleistocene quasi due milioni e mezzo di anni fa. Se in Germania è stato appena scoperto lo scheletro del Danuvius Guggenmosi, ipotetico uomo-scimmia forse progenitore dei primissimi ominidi come l’australopiteco, il vero “salto quantico” (il famoso “missing link”) si sarebbe verificato successivamente: a causa di un intervento esterno, e magari non terrestre? E nel caso, operato da chi?Suggestioni: la Us Navy ha appena ammesso l’esistenza degli Uap, Unidentified Aerial Phenomena. Ma attenzione, i “fenomeni aerei non identificati” sono sempre loro, i cari vecchi Ufo, Unidentified Flying Objects. Curiosità: il Vaticano ha da poco aggiornato il suo vocabolario latino introducendo un curioso neologismo, Rex Inxeplicata Volans. Secondo l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, è sciocco pensare di essere soli, nello spazio. Per anni, padre Funes ha diretto la Specola Vaticana, avveniristico osservatorio astronomico sul Mount Grahanm, in Arizona, vocato allo studio dell’esobiologia, cioè la vita extraterrestre. Il suo successore, Guy Consolmagno, ha dichiarato che troverebbe perfettamente normale veder “battezzare”, un giorno, eventuali “fratelli dello spazio”. Quelli che oggi il neo-latino ecclesiastico chiama “oggetti volanti inesplicati”, lo storico greco-romano Giuseppe Flavio li definiva “carri celesti”, esattamente come nell’Antico Testamento il Libro di Ezechiele. Giuseppe Flavio descrive il cielo di Gerusalemme affollato di “carri volanti” quando in Palestina irruppero le truppe del generale Tito, di lì a poco imperatore. E Plino il Vecchio parla di una “battaglia di carri volanti” nei cieli dell’Umbria. Chi c’era, a bordo di quegli Uap-Ufo-Rev? Gli antenati dei misteriosi personaggi che fecero allora quello che oggi si tenta di ripetere in Cina, tra la riprovazione dell’Occidente, salvo quella degli scienziati occidentali che usano proprio la Cina per i loro esperimenti?La Cina esibisce scimmie modificate con geni umani: macachi super-intelligenti. La storia si ripete? Secondo i sumeri, i misteriosi Anunnaki venuti dallo spazio ottennero l’homo sapiens clonando gli ominidi. La tesi, avanzata da Zecharia Zitchin, è stata richiamata dal biblista Mauro Biglino, secondo cui la Genesi svela che gli altrettanto misteriosi Elohim, come Yahwè (trasformati poi nel Dio unico del monoteismo) fabbricarono gli Adamiti geneticamente, impiantando sugli uomini primitivi il loro Tselem (Dna). Si sarebbe trattato, in sostanza, di una potente “accelerazione evolutiva”, oggi ritenuta teoricamente possibile da biologi molecolari come Pietro Buffa, già in forza al King’s College di Londra. A far discutere è un nuovo esperimento, che la “Stampa” definisce «ben oltre i limiti dell’etica, tanto per cambiare effettuato in Cina». I ricercatori del Kunming Institute of Zoology hanno annunciato di aver ottenuto delle scimmie transgeniche, nel cui Dna sono stati trasferiti geni che controllano lo sviluppo del cervello umano. Gli animali, riporta la rivista del “Mit Technology Review”, hanno riportato risultati brillanti in alcuni test. L’esperimento, che ha già suscitato diversi dubbi etici, è stato descritto sulla rivista cinese “National Science Review” e sui media locali. Secondo i ricercatori cinesi, i macachi modificati hanno eseguito test cognitivi di memoria con risultati superiori alla media delle scimmie non transgeniche.
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Addio Taranto, Mittal si porta via i clienti Ilva: era scontato
Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.Nel 2003, infatti – continua Hechich – Arcelor aveva cominciato a contrattare con le parti sociali un piano di ristrutturazione di sei impianti in Europa e la cessazione di alcune attività. Nel 2006, Mittal firmò l’acquisto impegnandosi a non chiudere gli altoforni di Liegi (Belgio) e Florange (Francia). Obiettivo dichiarato: metterli a norma immediatamente per rinforzarne la competitività e assicurare l’ambientalizzazione. «La posta in gioco era molto alta, perché gli stabilimenti della Lorena fornivano l’acciaio alle case automobilistiche Bmw e Mercedes». E invece «non avvenne nulla di quanto stabilito, e nel 2009 lo stabilimento di Grandrange (Francia) chiuse senza mai aver beneficiato di quel piano che Mittal aveva promesso allo Stato francese». Aggiunge Hechich: «Buona parte degli stabilimenti sono stati acquistati al solo fine di distruggere la concorrenza europea, acquisire i contratti per poi lasciare gli impianti abbandonati». Non ci voleva un genio per capire che consegnare Taranto nelle mani del gruppo ArcelorMittal avrebbe voluto dire la fine della città: «La sola ragione per la quale un imprenditore spregiudicato come Mittal potrebbe accollarsi uno stabilimento obsoleto e al centro di una questione giudiziaria come l’Ilva di Taranto sarebbe il voler acquisire le commesse Ilva e chiudere, così come ha fatto nel resto d’Europa, senza bonifiche e senza alcun reimpiego degli operai».Nessuno si sorprenda, se oggi siamo ai titoli di coda: bastava consultare il web per vedere come avesse operato, la multinazionale, in giro per il mondo. E se anche avessimo voluto vendere Taranto ai tedeschi «sarebbe stata la stessa cosa, probabilmente». Infatti, «se gli indiani vogliono far fuori la concorrenza europea, i tedeschi avrebbero voluto far fuori la concorrenza italiana, visto che l’Ilva è il più grande stabilimento d’acciaio d’Europa ed è fondamentale per l’industria manufatturiera italiana, che poi dovrebbe rifornirsi dalla Germania a prezzi maggiori». Lo Stato italiano riuscirà nel miracolo di tirar fuori gli attributi, facendosi carico della questione e risolvendola una volta per tutte? «Certo, Di Maio farebbe una malinconica tenerezza, se non fosse per il fatto che ci va di mezzo la vita lavorativa ed economica di migliaia di famiglie». L’esponente 5 Stelle, allora ministro del lavoro, aveva annunciato di aver «risolto la questione in meno di tre mesi». Chiosa Hechich: in realtà bastava ancora meno – 5 minuti – per scoprire, consultando Google, dove sarebbe andato a parare, il gruppo ArcelorMittal.Nato nel 2006 dalla fusione tra il colosso europeo Arcelor (Spagna, Francia e Lussemburgo) e l’indiana Mittal Steel Company, il gruppo – basato in Lussemburgo – è il maggior produttore d’acciaio al mondo: con oltre 200.000 dipendenti, di cui metà in Europa, rifornisce l’industria automobilistica e i settori delle costruzioni, degli elettrodomestici e degli imballaggi. Opera in Lussemburgo, Spagna, Italia, Polonia, Romania, Bosnia-Erzegovina e Repubblica Ceca. Tanti gli stabilimenti nel resto del mondo: Sudafrica, Messico, Canada, Brasile, Algeria, Indonesia e Kazakhstan. Il gigante ArcelorMittal è quotato in Borsa a Parigi, Amsterdam, New York, Bruxelles, Lussemburgo e Madrid, e le sue azioni sono incluse in più di 120 indici borsistici. L’acquisizione di Arcelor da parte di Mittal (per 33 miliardi di dollari) venne effettuata attraverso un’offerta pubblica di acquisto ostile, lanciata dopo il fallimento di una precedente fusione pianificata da Arcelor. Oggi il gruppo produce il 10% dell’acciaio mondiale, cosa che lo rende la più grande azienda siderurgica del pianeta: già nel 2007, i ricavi ammontavano a 105 miliardi di dollari. Nel 2016 la società è stata multata dal Sudafrica per aver “fatto cartello”, fissando i prezzi attraverso informazioni aziendali riservate (la sanzione inflitta all’azienda: 110 milioni di dollari).La produzione è arrivata a 114 milioni di tonnellate di acciaio ogni anno. Con la crisi del comparto i numeri sono calati, ma il fatturato 2016 superava i 50 miliardi di euro (fruttando alla proprietà un miliardo e mezzo di utili). Cifre peraltro facilmente reperibili, anche su Wikipedia: nel 2018 i ricavi hanno superato i 76 miliardi di dollari (8 miliardi più dell’anno precedente), con un utile netto di oltre 5 miliardi. Tradotto: il profitto cresce, tagliando il lavoro, anche se si contrae il fatturato. Oggi, avverte il “Fatto Quotidiano”, il colosso dell’acciaio è in fuga, e non solo da Taranto: ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa, sostenendo che il mercato si starebbe deteriorando, data la contrazione della domanda. Dal 23 novembre, stop a tre altoforni tra Cracovia e Dabrowa Gornicza. Spente anche una fornace vicino a Chicago e l’acciaieria sudafricana di Baia di Saldanha. Oltre a Taranto, ArcelorMittal ha centri di servizio e sedi operative a Monza, Rieti, Avellino, Milano, Torino e Saronno (Varese). Gli stabilimenti ex Ilva, a parte quello pugliese, sono dislocati a Genova e Novi Ligure (Alessandria), Racconigi (Cuneo), Marghera (Venezia) e Salerno. Se si mette il naso fuori dall’Italia, si scopre che lo stabilimento di Zenica, in Bosnia, acquisito da ArcelorMittal con 22.000 dipendenti, oggi ha appena 3.000 operai.Uomo chiave dell’azienda è il multimiliardario indiano Lakshmi Mittal: presidente e amministratore delegato, detiene il 37.4% del gruppo. Nato in un villaggio indiano del Rajasthan, vive a Kensington, Londra, dove nel 2004 ha acquistato dal magnate britannico Bernie Ecclestone, allora patron della Formula 1, una sontuosa residenza da 70 milioni di sterline, costruita con uno stile che ricorda il Taj Mahal. Il “Financial Times” lo ha nominato uomo dell’anno nel 2006, e nel 2010 il “Sunday Times” lo ha eletto uomo più ricco del Regno Unito con un patrimonio netto superiore a 22 miliardi di sterline. Per “Forbes”, Lakshmi Mittal è stato nel 2015 l’82°uomo più ricco del mondo (e il quinto più ricco dell’India) con un patrimonio di 13,5 miliardi di dollari. Sempre secondo “Forbes”, tra le persone più potenti del pianeta, nel 2014 si è piazzato al 57º posto. Nel 2007, ricorda ancora Wikipedia, ha donato circa 3 milioni di sterline al Partito Laburista. Personaggio poliedrico e azionista anche nel calcio (Queens Park Rangers), per i suoi due figli Mittal ha organizzato matrimoni sfarzosi, spendendo rispettivamente 30 e 65 milioni di dollari. Questo è l’uomo che Luigi Di Maio avrebbe “messo in riga”, un anno fa, e contro cui oggi tentano di fare la voce grossa l’avvocato Conte, il ministro Patuanelli e il sindacalista Landini.Il controllo sulla società, ha raccontato il “Sole 24 Ore”, viene esercitato dai Mittal attraverso sei “trust”, un particolare tipo di società utilizzato da imprese e individui molto ricchi per pagare meno tasse. I sei trust hanno sede nell’isola di Jersey, paradiso fiscale del Regno Unito nel Canale della Manica. Queste società – riassume “Il Post” – sono l’ultimo anello di una lunga catena dove, dopo un lungo giro tra fiduciarie e holding con sede a Gibilterra e in altri paradisi fiscali, arrivano i soldi della famiglia Mittal. All’altro capo della catena rispetto ai trust si trova ArcelorMittal, la multinazionale vera e propria (con sede in Lussemburgo, altro paese con un regime fiscale molto vantaggioso per le imprese). «Grazie a queste complicate strutture, ArcelorMittal è in grado di pagare pochissime tasse», aggiunge il “Post”. «Le sue pratiche di elusione fiscale sono state raccontate in un’inchiesta del sito francese “MediaPart”. La società ha ricevuto accuse di evasione fiscale anche da diversi governi, come quelli di Ucraina e Bosnia, oltre che accuse di aver compiuto violazioni ambientali e aver agito con mano pesante sulle comunità locali in molti dei paesi dove opera».Nel 2018, ArcelorMittal si era presentata alla gara per acquistare l’Ilva di Taranto e gli altri due impianti espropriati alla famiglia Riva, accusata di aver violato per anni le leggi di sicurezza e quelle ambientali. «Nonostante la sua reputazione, la sua offerta è stata giudicata migliore di quella della cordata rivale, Acciaitalia, capeggiata da un’altra società indiana, Jindal». L’assegnazione della vittoria ad ArcelorMittal, avvenuta ufficialmente il primo novembre 2018, è stata piuttosto controversa, ricorda sempre il “Post”: «Già all’epoca, diversi osservatori accusavano la multinazionale di non avere intenzione di rilanciare gli impianti italiani, ma di avere come unico obiettivo sottrarli a un potenziale concorrente». Altri invece hanno difeso la società, sostenendo che era l’unica disposta ad investire le cifre necessarie (circa 2 miliardi di euro) a mettere in sicurezza l’impianto di Taranto, e in particolare i suoi estesi parchi dove sono depositati i minerali di ferro, attualmente esposti al maltempo che spesso ne soffia le polveri sulla città di Taranto. A condurre la gara e le trattative con ArcelorMittal fu prima l’allora ministro Carlo Calenda, con il governo Gentiloni, e poi Luigi Di Maio, durante il primo governo Conte.Di Maio era contrario all’accordo, ma alla fine ha accettato l’offerta della multinazionale. «Con il contratto raggiunto con il governo italiano, ArcelorMittal si è impegnata a investire più di 4 miliardi di euro nella società, ha promesso di occuparsi delle bonifiche dell’impianto di Taranto e di mantenere al lavoro tutti i diecimila dipendenti della società». Da allora però il mercato dell’acciaio è peggiorato. «Anche se nell’ultimo trimestre i conti di ArcelorMittal si sono rivelati migliori del previsto – scrive il “Post” – il 2019 dovrebbe chiudersi con un bilancio molto peggiore rispetto all’anno precedente». Inoltre, alcuni altoforni dell’impianto di Taranto rischiano di dover essere spenti per ordine della magistratura, mentre il governo ha cambiato spesso idea sul cosiddetto “scudo penale” che, in teoria, serve a proteggere manager e dirigenti dell’azienda dal rischio di cause legali per le violazioni commesse dalle gestioni precedenti. Ora siamo al capolinea: ArcelorMittal lascia Taranto a annuncia lo spegimento degli impianti. Secondo Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano, se ne va il 30% della siderurgia italiana. Da sola, l’Ilva vale l’1,5% del Pil.Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.
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Petizione: Sos curdi, via subito i missili italiani dalla Turchia
«Le forze di invasione turche possono contare su missili italiani: chiediamo che il governo li ritiri». Di fronte alla devastante avanzata della Turchia nel nord della Siria, dopo il tacito via libera di Trump, soccombono le milizie curde che per prime si erano battute per fermare l’Isis, la formazione terroristica appoggiata sottobanco da Erdogan. E mentre l’Europa sta a guardare, l’Italia «mantiene ancora nel Sud della Turchia una batteria di missili contraerei Aster 30, con 130 militari italiani assegnati». Lo ricorda il Movimento Roosevelt, che in una petizione su “Change.org” chiede al governo di ritirare il contingente. «Gli Aster 30 sono tra i missili più sofisticati in dotazione alla Nato», si legge nel testo dell’appello. «Questi missili sono stati posizionati durante il conflitto siriano per difendere la Turchia da eventuali attacchi aerei esterni». Oggi, spiega il Movimento Roosevelt, gli Aster «potrebbero attivarsi in caso di intervento siriano a difesa delle truppe curde», tenendo conto anche del fatto che accanto a Damasco è schierata la Russia, con l’appoggio dell’Iran e delle milizie libanesi di Hezbollah. Per il presidente del Movimento Roosevelt, Gioele Magaldi, «è vergognosa l’offensiva di Erdogan contro i curdi, ed è altrettanto ignobile la decisione degli Usa di abbandonare i curdi al loro destino».Secondo Magaldi, Trump sta giocando sporco: il tradimento inflitto ai curdi è un ricatto «nei confronti della massoneria progressista che l’aveva appoggiato alle presidenziali contro la Clinton». Temendo di non essere più sostenuto in vista delle prossime elezioni, ora mostra di cosa sarebbe capace se quel sostegno non gli venisse più confermato, «ben sapendo che il massone reazionario Erdogan, membro della superloggia “Hathor Pentalpha”, è uno dei massimi artefici della nascita dell’Isis, contro cui i curdi si sono battuti eroicamente». Nella petizione su “Change.org” si afferma che l’Italia «non deve appoggiare le mire espansionistiche turche nei confronti del popolo curdo in nessun modo». L’invasione delle aree curde nel nord della Siria «è un attacco proditorio a una popolazione che ha sconfitto il terrorismo dell’Isis con un grandissimo costo di vite umane e con un eroismo che ricorda i combattenti democratici durante la guerra di Spagna». Secondo il Movimento Roosevelt, i curdi «sono il più grande popolo rimasto ancora senza una propria nazione», e in quel territorio «intendono proporre un confederalismo democratico, autonomo e rispettoso dei diritti di genere: una eccezione nella deriva integralista ed autocratica della regione».Le recenti e timide critiche che il ministero degli esteri Luigi Di Maio ha espresso all’ambasciatore turco in Italia «non sono assolutamente sufficienti per rimarcare la netta contrarietà del governo e del popolo italiano a questa invasione». Il Movimento Roosevelt chiede al governo italiano di fare «il minimo e simbolico indispensabile per rimarcare la distanza dell’Italia dall’aggressione turca», ovvero: «Rtirare con effetto immediato la batteria di missili Aster 30 e riportarla in patria insieme al personale italiano». Al dramma che si sta consumando in Siria si aggiunge anche l’imbarazzo atlantico: la Turchia è a tutti gli effetti un paese Nato, e sta invadendo – senza motivo – il territorio di un paese non in guerra con Ankara, la Siria. «Ci aspettiamo anche sanzioni economiche da parte dei paesi della Nato nei confronti della Turchia», sostengono i promotori della petizione. Per parte sua, Magaldi augura a Erdogan di uscire di scena al più presto, visto che ha trasformato la Turchia in una dittatura. E nei confronti dei curdi si fa ambasciatore di una promessa: «Il network internazionale della massoneria progressista, cui appartengo – dice, in un video su YouTube – si adopererà per favorire sviluppi geopolitici che portino, in tempi celeri, a creare finalmente lo Stato autonomo che i curdi meritano di avere».(Su “Change.org” la petizione promossa dal Movimento Roosevelt).«Le forze di invasione turche possono contare su missili italiani: chiediamo che il governo li ritiri». Di fronte alla devastante avanzata della Turchia nel nord della Siria, dopo il tacito via libera di Trump, soccombono le milizie curde che per prime si erano battute per fermare l’Isis, la formazione terroristica appoggiata sottobanco da Erdogan. E mentre l’Europa sta a guardare, l’Italia «mantiene ancora nel Sud della Turchia una batteria di missili contraerei Aster 30, con 130 militari italiani assegnati». Lo ricorda il Movimento Roosevelt, che in una petizione su “Change.org” chiede al governo di ritirare il contingente. «Gli Aster 30 sono tra i missili più sofisticati in dotazione alla Nato», si legge nel testo dell’appello. «Questi missili sono stati posizionati durante il conflitto siriano per difendere la Turchia da eventuali attacchi aerei esterni». Oggi, spiega il Movimento Roosevelt, gli Aster «potrebbero attivarsi in caso di intervento siriano a difesa delle truppe curde», tenendo conto anche del fatto che accanto a Damasco è schierata la Russia, con l’appoggio dell’Iran e delle milizie libanesi di Hezbollah. Per il presidente del Movimento Roosevelt, Gioele Magaldi, «è vergognosa l’offensiva di Erdogan contro i curdi, ed è altrettanto ignobile la decisione degli Usa di abbandonare i curdi al loro destino».
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Erdogan spietato con i curdi. Invece gli altri sono meglio?
Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.Dunque, i distinguo servono eccome, altrimenti si rischia di non capirci nulla e di fare, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio. In queste ore il presidente turco Erdogan ha ordinato un’operazione militare nel nord della Siria al fine di annullare l’operatività dei militanti curdi. Erdogan maschera questo intervento con la solita manfrina della lotta al terrorismo. Questo tema (il terrorismo), viene usato da tutti, senza eccezioni, per reprimere gli oppositori internazionali. I Bush contro Iraq e Afghanistan, Sarkozy contro la Libia, Umberto I e Bava Beccaris contro i manifestanti a Milano, l’austriaco Cecco Beppe contro i serbi e giù giù fino a Metternich contro Mazzini. Dunque, l’argomentazione di Erdogan non regge così come non reggevano quelle di Obama, di Clinton e financo di James Brooke contro Sandokan. C’è però almeno un aspetto per il quale faccio seriamente fatica a criticare l’intervento di Erdogan. Ed è la consapevolezza che il Medioriente è la polveriera del mondo. I turchi hanno dominato, amministrato e costruito infrastrutture in Medioriente per più di 500 anni di storia moderna. Le aree confinanti con l’attuale Turchia erano dentro la Turchia stessa (alias Impero Ottomano) fino al 1922 e lo erano per l’appunto, da oltre mezzo millennio. Gli stati mediorientali attuali: Siria, Libano, Israele, Giordania, Arabia Saudita sono un’invenzione geometrica anglofrancese, realizzata a tavolino dopo la Prima Guerra Mondiale attraverso il trattato Sykes-Picot.Quel trattato ha conferito potere alla tribù più retriva dell’area, i wahabiti (oggi “sauditi”) ed è una divisione innaturale, che non tiene conto delle culture delle varie altre tribù. Detto diversamente, il caos che regna in Medioriente da quasi un secolo a questa parte è interamente imputabile alle proiezioni coloniali anglofrancesi, non ai turchi che furono storicamente più tolleranti in quelle aree di quanto non lo sono oggi le tribù autoctone eterodirette (e lo ripeto: eterodirette prima da francesi e inglesi; poi da americani ed israeliani). Com’è logico che sia, dal 1922 – anno della dissoluzione dell’Impero Ottomano – ad oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e non è posssibile far finta di nulla. I turchi si sono macchiati di crimini orrendi, in primis il genocidio degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale, avvenuto per opera di un gruppo di fanatici ottomani ai danni delle popolazioni storicamente più vicine ai russi in quel periodo: gli armeni, appunto.Non si trattò affatto però, come Hollywood vorrebbe far credere, della natura malvagia dei turchi: poco prima i coloni inglesi avevano perseguitato e sterminato fino all’estinzione la stragrande maggioranza delle tribù pellerossa in Nord America e costretto i neri africani a fare da schiavi. I belgi avevano pochi anni prima massacrato milioni di congolesi ed i tedeschi di lì a poco si sarebbero interessati agli ebrei in un modo a dir poco maniacale e demoniaco. Sì, insomma, se i turchi sono cattivi, trovatemi quelli buoni, che io ancora non ne ho conosciuti. Venendo in modo più stringente alla questione curda, al separatismo della regione del Kurdistan, ecc, la vicenda è solo apparentemente complessa. Quand’è che – storicamente – una regione separatista realizza il suo progetto e diventa uno Stato nazionale? La risposta è duplice: da un lato, ciò avviene quando quella regione riesce a farsi riconoscere come Stato dalla stragrande maggioranza degli altri paesi. In subordine, ma neanche tanto, quando un’altra nazione la aiuta in questo tortuoso e rischioso percorso. In Iraq, in Siria ed in Turchia – cioè nei paesi ove alla faccia del trattato Sykes-Picot vivono i curdi – la comunità ha fatto una scelta precisa e inequivocabile dicendo che “ad aiutarci in questa impresa saranno gli Stati Uniti d’America! Non importa se siamo comunisti, non importa se siamo antimperialisti! Sarà l’America a liberarci dai turchi e da Assad”.Al netto di tale ingenuità (fidarsi degli americani in geopolitica è come fidarsi di un promotore finanziario in banca), i siriani lealisti hanno teso una mano ai curdi in diverse occasioni. Com’è noto, date le vicende in Siria e la chiamata del leader Assad dei russi in suo soccorso, cercare una collaborazione con Assad per i curdi avrebbe significato anche cercare una collaborazione con Putin. I curdi hanno declinato gentilmente l’invito preferendo gli americani e, ora, tutti ad allargarsi la bocca e stracciarsi le vesti perchè gli americani li hanno mollati. Ma dire che i curdi hanno avuto sfortuna puntando sul cavallo sbagliato non basta. C’è dell’altro. Anche se gli americani tramite milizie ribelli l’avessero spuntata contro i siriani lealisti, che ne sarebbe stato del Kurdistan? L’ipotesi più probabile è che avrebbero realizzato una microscopica autonomia in perenne contrasto con la Turchia. Io non trascurerei tanto facilmente il fatto che Erdogan, appena tre anni or sono, ha represso un colpo di Stato militare contro di lui. Non se ne parla più, ma che gli americani non sapessero nulla di quel colpo di stato, per cortesia, lo andate a raccontare ai vostri bambini, la sera, prima di addormentarsi e dopo avergli letto quella di Biancaneve.Ora, immaginatevi questo scenario: una Turchia sempre più vassalla dell’America dopo la fine di Erdogan. Una Siria inesistente ed in mano all’Isis. Che ne sarebbe stato del laico e comunista Kurdistan? Non sarebbe forse diventato un Israele dei poveri, ulteriore elemento di destabilizzazione e di attentati? Gli islamisti vittoriosi non se lo sarebbero pappato in un attimo? Conclusione: i curdi sono stati pagati per anni dagli americani per destabilizzare l’area nella speranza che i vari gruppi di ribelli rovesciassero la Siria con la guerriglia e la Turchia con il colpo di stato. Le cose non sono andate così ed ora Erdogan fa quello che tutti farebbero: riportare la stabilità con le cattive col tacito consenso di Putin, Assad e Trump. In cambio, Erdogan acquista armi dai russi, non metterà in discussione il ruolo di Assad a Damasco e custodirà gli jihadisti catturati dagli americani per fare un piacere anche a Trump, che ha dato il via libera. E’ sempre difficile giustificare umanamente un intervento militare. Ma a comprendere Erdogan non ci vuole niente.(Massimo Bordin, “La versione di Erdogan”, dal blog “Micidial” del 10 ottobre 2019).Ci sono approfondimenti talmente contrari al comune sentire che scontentano tutti: destra, sinistra, moderati, massimalisti, patrioti, nazionalisti, sovranisti ed iperliberisti. Ebbene, l’approfondimento che segue appartiene proprio alla categoria degli “inaccettabili”. Tuttavia, come diceva Franz Kafka, bisogna anche sforzarsi di leggere testi che sono un pugno nello stomaco. Se vi siete abituati a leggere solo le informazioni che vengono dai media tradizionali, sconsiglio dunque la lettura di quel che segue. Da appassionato di storia, ho sempre nutrito una certa simpatia per le cause separatiste. Che si tratti della causa basca o catalana in Spagna, di quella irlandese nel Nord dell’isola o di quella del Donbass in Ucraina, a mio modo di vedere le comunità hanno il diritto di autodeterminarsi. Ci sono molte importanti eccezioni, però, perchè in alcuni casi il separatismo è solo anticamera di guerre civili, e quelle che a prima vista possono sembrare cause separatiste, nascondono lotte di potere interne alle comunità, oppure torbide relazioni con paesi del tutto estranei. Il caso della Cecenia è in tal senso illuminante: non si trattò affatto di guerre per l’autodetermianzione del popolo ceceno, ma di una guerra civile sponsorizzzata.
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Magaldi: i supermassoni Draghi e Lagarde pentiti del rigore?
Suona paradossale che il governatore della Bce parli della Modern Money Theory nel momento in cui sta uscendo del suo incarico. Se l’avesse fatto uno o due anni fa, nella sua veste autorevolissima, avrebbe potuto trarne debite conseguenze. Credo che occorra rimanere cauti. A meno che non si finga di credere che avere italiani in certe istituzioni sia un aiuto per il paese. Spesso si pensa infatti che Draghi abbia aiutato l’Italia, o che avere un commissario italiano all’economia possa esserci utile. Non è così. Se sei un credente di una religione economica di un certo tipo (perché di questo si tratta, di religiosità economica), difficilmente smentirai quella fede in favore del tuo popolo. Oltretutto, parliamo di persone educate a ragionare in termini sovranazionali. Peraltro, anche in un modo diverso e migliore, perché un italiano all’Ue dovrebbe aiutare l’Italia e non anche gli altri paesi? Se si è rappresentanti dell’Europa ci si prende cura di tutti i popoli europei. Quindi, se si fanno politche diverse dalle attuali, le si fa non solo a favore dell’Italia, ma anche della Grecia, della Spagna, della Germania, della Francia. Detto questo, Draghi se ne esce con questa valutazione possibilista sulla Mmt a fine mandato, mentre Christine Lagarde non solo fa un’affermazione clamorosa, dicendo che la moneta “appartiene al popolo e al suo interesse”, ma parla addirittura della necessità di emettere gli eurobond.Sappiamo che adottare gli eurobond (titoli di Stato europei, unificati) significherebbe la fine dello spauracchio dello spread: dunque gli eurobond sarebbero un servizio efficacissimo al servizio dei popoli europei e dello sviluppo dell’economia reale. Però ricordo lo stesso Juncker, che – in vista del suo insediamento alla Commissione Europea – disse di capire il disagio socio-economico in Europa, tanto da ritenere che avessero fondamento persino alcune tesi di Marx. Affermazioni ancora più impegnative, quindi, per un neoliberista puro come Juncker. Ma cosa ne è seguito? Nulla. Anzi: insieme agli altri, Juncker è stato uno dei cani da guardia dell’austerità europea, che tuttora perdura. Ora, trattandosi di massoni di altissimo rango (ma di segno neoaristocratico, reazionario, post-democratico e neoliberista), molto difficilmente queste affermazioni del “fratello” Mario Draghi e della “sorella” Christine Lagarde significano che ci sarà un cambio di passo. Sono specchietti per le allodole: è questa la valutazione più razionale che è possibile fare oggi. Per contro, è successo tante volte che qualche pezzo grosso di una fazione lanciasse messaggi all’altra fazione, perché magari intendeva fare un cambio di casacca.Anche in questo caso, quindi, non escludo a priori che Draghi e la Lagarde stiano lanciando messaggi in questo senso, visto che il potere neoaristocratico sta perdendo la sua presa sull’Europa. La sua presa scricchiola, così come scricchiola il governo Conte-bis: era partito con grandi aspirazioni socialdemocratiche di rigenerazione del tessuto sociale ed economico italiano, e adesso sta pensando di tassare le merendine per avere quattro baiocchi in più per finanziare la scuola, che invece avrebbe bisogno di ben altro: edifici che non crollino e insegnanti pagati dignitosamente. L’insegnamento e l’educazione civica, ricordiamolo, sono tratti qualificanti di una nazione, di una collettività. Tornando a Draghi e Lagarde: vediamo cosa succederà. Certo, bisogna che alle parole seguano i fatti. Ma poi: chiediamoci come l’informazione ha gestito le notizie riguardanti le esternazioni dei due tecnocrati. Se ci si limita a registrare le loro battute, senza poi inviare giornalisti a chieder conto di quelle affermazioni, incalzando Draghi e Lagarde per sapere come contano di agire concretamente, dall’indomani, è chiaro che non succede niente.Anzi, mi immagino la Lagarde, intenta a ridacchiare coi suoi collaboratori: ecco, ho detto la mia bella cosa e i media l’hanno messa in risalto, ma nel frattempo in Europa tutto continua come prima. E tuttavia insisto: aspettiamo e vediamo. D’accordo, queste non sono posizioni concretizzabili immediatamente. Ma potrebbe anche darsi (e lo verificheremo, in sede massonica) che questo sia un segnale, verso noi progressisti, per dirci: guardate che il governo Conte scricchiola, il governo dell’Europa scricchiola, le aspettative dei popoli sono sempre più urgenti, e forse – in quest’ultima fase della nostra vita, politica e massonica – noi siamo pronti a fare il salto della quaglia. In una guerra come quella che si combatte a livello globale, direi che la miglior vittoria si verifica quando i nemici passano dalla tua parte. E’ un po’ come il pentitismo: grazie ai pentiti si sono sconfitte e ridimensionate alcune organizzazioni mafiose. Io quindi non direi di no ad un eventuale, sincero passaggio di casacca: bisogna però vedere se questo è reale.Fino ad oggi, Draghi e la Lagarde, la Merkel, Juncker e tutti i personaggi di questo circo di pseudo-governanti delle tecnocrazie e delle istituzioni pseudo-europee, hanno scientemente fatto questo gioco illusionistico: la Bce tiene bassissimi i tassi del costo del denaro e immette quantità importanti di liquidità, ma questa emissione non si vuole che arrivi direttamente alle politiche governative. Si è consentito a banche e ad entità finanziarie di ricevere denaro a bassissimo costo e di usarne una parte per l’acquisto di titoli di Stato, così da abbassare lo spread. Ma, in questa filiera, il denaro che è arrivato all’economia reale è scarsissimo. Questo però non è stato fatto per incapacità: non è che adesso si rendano conto che il sistema non funzionava. No, tutto questo è stato fatto in modo consapevole, pervicace e anche subdolo. Se poi – nella coscienza individuale di Mario Draghi e di Christine Lagarde – c’è un ripensamento sulla loro posizione nello scacchiere di potere, e quindi stando lanciando un messaggio alle reti della massoneria progressista che attende il loro crollo (perché il crollo ci sarà, dal momento che certe menzogne non tengono più), ebbene, questo lo scopriremo solo vivendo.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Marco Moiso nel colloquio in diretta web-streaming su YouTube del 24 settembre 2019).Suona paradossale che il governatore della Bce parli della Modern Money Theory nel momento in cui sta uscendo dal suo incarico. Se l’avesse fatto uno o due anni fa, nella sua veste autorevolissima, avrebbe potuto trarne debite conseguenze. Credo che occorra rimanere cauti. A meno che non si finga di credere che avere italiani in certe istituzioni sia un aiuto per il paese. Spesso si pensa infatti che Draghi abbia aiutato l’Italia, o che avere un commissario italiano all’economia possa esserci utile. Non è così. Se sei un credente di una religione economica di un certo tipo (perché di questo si tratta, di religiosità economica), difficilmente smentirai quella fede in favore del tuo popolo. Oltretutto, parliamo di persone educate a ragionare in termini sovranazionali. Peraltro, anche in un modo diverso e migliore, perché un italiano all’Ue dovrebbe aiutare l’Italia e non anche gli altri paesi? Se si è rappresentanti dell’Europa ci si prende cura di tutti i popoli europei. Quindi, se si fanno politiche diverse dalle attuali, le si fa non solo a favore dell’Italia, ma anche della Grecia, della Spagna, della Germania, della Francia. Detto questo, Draghi se ne esce con questa valutazione possibilista sulla Mmt a fine mandato, mentre Christine Lagarde non solo fa un’affermazione clamorosa, dicendo che la moneta “appartiene al popolo e al suo interesse”, ma parla addirittura della necessità di emettere gli eurobond.
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Tribuni della Plebe, per completare la Democrazia Mafiosa
“Democrazie mafiose”: mezzo secolo fa, il giurista Panfilo Gentile (che aveva aderito al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce) pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie. I partiti? Progressivamente ridotti a «circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso». Volume pubblicato nel 1969 dall’editore Volpe, nella ristretta cerchia dei lettori di destra, ma poi “sdoganato” da Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”. Lo ricorda Marcello Veneziani su “Panorama”: «Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie». Sua, tra l’altro, l’invenzione dell’espressione “sottogoverno”. Ma Gentile, aggiunge Veneziani, non aveva ancora visto l’Italia (e l’Europa) dei nostri anni, cioè «la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali». Osserva Veneziani: con la nascita del grottesco Conte-bis, «è la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne». Dopo l’orrore del governo Monti-Fornero, costato carissimo al paese (disastro sociale e perdita del 25% del potenziale industriale italiano) si sono succeduti Letta, Renzi e Gentiloni, senza mai la convalida delle urne. E ora il Conte-bis, «nato con lo scopo evidente di evitarle».«Per adeguarsi al tono e al livello delle accuse che lancia la sinistra a chiunque governi senza il suo benestare – dittatura, ritorno al nazismo e al fascismo, leader anti-sinistra trattati tutti come delinquenti comuni – si potrebbe dire che la sinistra è un’associazione politico-culturale di stampo mafioso che elimina gli avversari con sistemi non democratici, mette a tacere i dissidenti con forme di omertà e discriminazione, s’impossessa del potere con metodi non democratici e impone un protettorato antipopolare funzionale ai codici ideologici e politici della cosca», accusa Veneziani su “Panorama”. Tralasciando per un attimo «il terreno melmoso» delle polemiche italiane, sosa sta succedendo alle democrazie europee? «Le classi dirigenti si sentono assediate a nord dal modello Brexit, a sud dal modello Salvini, a est dal modello Orban e a ovest dal modello Le Pen». Secondo Veneziani «sono i quattro punti cardinali del sovranismo, ma sono anche quattro forze maggioritarie nei loro paesi, tutte criminalizzate». Dietro di loro «vengono esorcizzati gli spettri di Trump, di Putin, di Bolsonaro, di Modi, di Abe, e si potrebbe continuare: forme diverse di primato nazionale e identitario rispetto al modello liberal-radical-dem della sinistra».Per trovare un modello diverso di rifermento, continua Veneziani, si ricorre al modello cinese. Recensioni entusiastiche del “Corriere della Sera” e della “Repubblica” hanno accompagnato la traduzione del libro di Daniel Bell “Il modello Cina”, che ha un sottotitolo indicativo: “Meritocrazia politica e limiti della democrazia” (Luiss, prefazione di Sebastiano Maffettone). «Il modello cinese non è una democrazia, ma è un regime liberista, oligarchico e comunista, col doppio primato del mercato e del partito. È un sistema capitalistico ma illiberale, in cui la sovranità popolare è in realtà un feticcio ereditato dai tempi di Mao, che elogiava il popolo ma poi lo rieducava con la forza, instaurando una sanguinaria dittatura». Ora quel tempo è passato, la Cina ha fatto passi da gigante e si espande nel mondo tra tecnica e finanza, dall’Africa all’Occidente, eppure «il turbo-comunismo resta catechismo di Stato», e il capitalismo «assume in Cina il ruolo che aveva la tecnologia per Lenin: la sua formula fu “socialismo + elettrificazione”, oggi la formula cinese è “comunismo + mercato”».Bell, canadese che guida una facoltà di scienze politiche e pubblica amministrazione in Cina, non sposa il regime cinese nei suoi tratti più repressivi, corrotti e totalitari o l’autocrazia di Xi Jinping ma lo addita come modello per la formazione di classi politiche competenti, per il controllo del consenso popolare e la nascita di una tecnocrazia vigilata sotto il profilo etico (l’ultimo travestimento dell’ideologia e del politically correct). La Cina diventa per l’Europa e in particolare per l’Italia (che coi grillini ha già sposato la Via della Seta) il paese di riferimento per uscire dalla morsa Usa-Russia-India-Brasile più sovranisti nostrani e per limitare la democrazia. «Un modello che ruota intorno all’Intellettuale Collettivo che è poi il Partito, la Setta, la Casta; è la Cupola a rilasciare o revocare patenti di legittimazione, a vigilare sulla democrazia e a stabilirne i filtri, i limiti e a deciderne gli assetti», prosegue Veneziani, che aggiunge: «Resta però irrisolto un molesto interlocutore, il popolo sovrano. Come aggirarne la volontà e come impedire – oltre che con le inchieste giudiziarie e le criminalizzazioni mediatiche – l’avvento di leader sovranisti?».In modo non del tutto ironico, Veneziani suggerisce di prendere esempio «non dalla lontana Cina ma dalla lontana Roma del quinto secolo avanti Cristo: istituire i Tribuni della Plebe». Ovvero: «Incanalare il consenso popolare, gli umori, e legare i capi populisti verso quei ruoli d’alta magistratura». I tribuni della plebe, scrive Veneziani, erano difensori civici che rappresentavano i sentimenti popolari, legittimamente nominati e ascoltati; ma poi a governare ci pensavano i consoli e i patrizi («ora provvisoriamente consociati a un altro clan prodotto dalla piattaforma Rousseau»). Quella tribunizia, per Veneziani, sarebbe forse «la soluzione più equilibrata e meno truffaldina di limitare la democrazia: il popolo non esercita più la sovranità, ma solo il controllo tramite i tribuni». Così, come anticipato da Panfilo Gentile, «il potere resta saldamente nelle mani del patriziato, delle oligarchie, delle cupole». Tribuni della plebe? «Un compromesso, una divisione dei poteri, una regolamentazione “costituzionale” del potere mafioso vigente in Italia e per certi versi in Europa, dove governano leader di minoranza quasi ovunque, dalla Francia alla Germania, alla Spagna». Conclude Veneziani: «Pensateci, è una soluzione per aggirare la democrazia e frenare i populisti».“Democrazie mafiose”: mezzo secolo fa, il giurista Panfilo Gentile (che aveva aderito al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce) pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie. I partiti? Progressivamente ridotti a «circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso». Volume pubblicato nel 1969 dall’editore Volpe, nella ristretta cerchia dei lettori di destra, ma poi “sdoganato” da Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”. Lo ricorda Marcello Veneziani su “Panorama”: «Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie». Sua, tra l’altro, l’invenzione dell’espressione “sottogoverno”. Ma Gentile, aggiunge Veneziani, non aveva ancora visto l’Italia (e l’Europa) dei nostri anni, cioè «la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali». Osserva Veneziani: con la nascita del grottesco Conte-bis, «è la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne». Dopo l’orrore del governo Monti-Fornero, costato carissimo al paese (disastro sociale e perdita del 25% del potenziale industriale italiano) si sono succeduti Letta, Renzi e Gentiloni, senza mai la convalida delle urne. E ora il Conte-bis, «nato con lo scopo evidente di evitarle».
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Della Luna: siamo in trappola, e la politica non conta nulla
Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.Davvero nulla che conti davvero, sostiene l’avvocato Della Luna, brillante saggista euroscettico, sia che si tratti di migranti o di «diritti civili consolatori come l’eutanasia, la droga, il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali, l’affitto di utero e la fecondazione eterologa». Al livello più profondo «si trovano fattori strutturalmente molto più potenti, come gli effetti recessivi e deindustrializzanti dell’euro». Effetti «visibili a tutti, e dei quali i partiti nostrani, erroneamente ritenuti sovranisti, populisti e antisistema, parlavano prima di andare al governo contemplando la possibilità di uscire dall’euro, mentre subito dopo hanno dichiarato fedeltà ad esso senza condizioni, rivelandosi non sovranisti né populisti, ma sottomessi ai gestori dell’Ue». Del resto, «quando si hanno incarichi istituzionali, certi principi e certi dati di realtà bisogna rinnegarli: così è avvenuto con Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: si sono omologati», a differenza – secondo Della Luna – dello Ukip di Nigel Farage e del Brexit Party. Ma c’è un livello ancora più profondo, e quindi «mai o quasi mai proposto al pubblico dalla politica», dove affiorano «tematiche quali la intenzionale, dolosa pianificazione dell’uso dell’euro e dei suoi effetti nocivi per alcuni paesi a vantaggio della Germania, e l’analisi della stessa costruzione europeista come concepita per questo fine».In quel livello decisionale, inaccessibile alla politica ordinaria, «si trovano pure fatti come l’imperialismo e il neocolonialismo cinese, francese e statunitense, con il land grabbing e la rimozione dei popoli locali, come causa della marea migratoria dall’Africa verso l’Europa, della quale noi dovremmo farci carico». Si trovano inoltre temi come “l’inestinguibilità” del debito pubblico di quasi tutti i paesi, la tendenza nazionale italiana (dopo 27 anni di declino) ad almeno altri 25 anni di perdita di efficienza comparata. Ci sono «la sostituzione etnica (afro-islamizzazione) congiunta alla fuga di cervelli, capitali e imprese», nonché «gli ingravescenti effetti di una coesione nazionale mantenuta e mantenibile solo spogliando Veneto e Lombardia del loro reddito (quindi della capacità di investimento e innovazione) per integrare il reddito di una Roma e di un Meridione storicamente dimostratisi incapaci di crescere nonostante gli aiuti». A una maggior profondità, quindi a una maggior lontananza dalla “notiziabilità” popolare e dalla pubblica “dibattibilità” politica nelle istituzioni, c’è poi «il problema dei rapporti gerarchici tra le potenze (Stati, ma anche potentati bancario-finanziari)», che è «il problema delle sovranità limitate».Quanta libertà di autodeterminazione politica resta, all’Italia, “colonia” statunitense com 130 basi militari sul suo territorio? Cosa resta, di un’Italia vincolata all’Eurosistema a guida franco-tedesca, che dopo l’equivoco gialloverde torna pienamente sottomessa grazie al Conte-bis? «E’ divenuto manifesto, ma non se ne parla in Parlamento, il fatto che un paese che non controlla la propria moneta è diretto politicamente da chi gliela fornisce, cioè dai banchieri». Nel frattempo, «si è constatata la capacità di Ue, Bce e agenzie di rating di prescrivere coercitivamente (con la minaccia di impedire il finanziamento del debito pubblico) all’Italia e ad altri paesi deboli politiche e riforme socio-economiche favorevoli al grande capitale finanziario di tipo liberista, recessivo, sperequante, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione». Questo potere di ricatto manifesta «l’illusorietà dei principi fondamentali della Costituzione italiana, alla luce del reale ordinamento e funzionamento gerarchico internazionale: niente governo del popolo (democrazia) ma dei capitali; niente sovranità nazionale; niente primato del lavoro; niente perseguimento dell’eguaglianza sostanziale». Ancora: «Niente equa e dignitosa retribuzione; niente subordinazione dell’impresa privata all’interesse collettivo; niente intervento pubblico keynesiano per uscire dalla depressione e dalla disoccupazione». E quindi «mancano i presupposti per la legittimazione del potere politico delle istituzioni».Queste sono le tematiche della post-democrazia, ampiamente analizzate e illuminate da giuristi come Luciano Barra Caracciolo, da valenti sociologi come Luciano Gallino. Secondo Della Luna, al filosofo Diego Fusaro, onnipresente sui media, sarebbe «riuscita l’unica impresa rivoluzionaria del dopoguerra, ossia sfondare la muraglia di censura culturale (costruita dalla falsa sinistra) portando davanti al naso del grande pubblico la spiegazione cristallina di che cosa è e che cosa fa il sistema liberal-finanziario». Fusaro avrebbe anche smascherato «l’ipocrisia delle forze presentate e presentantisi come di sinistra o progressiste, cioè in Italia soprattutto del Pd», traditrici del socialismo (cioè della difesa dei lavoratori contro lo sfruttamento) e al servizio dell’élite bancaria. Per contro, c’è chi guarda con sospetto a Fusaro: non sarà che il suo presenzialismo mediatico in fondo è comodo, al potere, perché appare stravagante e quasi cariturale, dunque innocuo? Ma a parte il giudizio su Fusaro (positivo, per Della Luna), l’autore di “Euroschiavi” e “Cimiteuro”, “Traditori al governo”, “Sbankitalia” e “I signori della catastrofe” punta il dito contro «livelli ancora più profondi» nella ricerca delle vere cause delle nostre sciagure socio-economiche.La moneta, per esempio: domina un monopolio «privato e irresponsabile della creazione dei mezzi monetari, della loro distribuzione, della fissazione del loro ‘costo’ (tasso di interesse)». E questo monopolio abusivo grava sulla politica e sulla società, soprattutto in relazione precisi fattori. Primo: quella imposta «è una moneta indebitante, che dà luogo a un indebitamento pubblico e privato che, per ragioni matematiche, non può essere estinto e continua a crescere, anche perché il reddito da creazione monetaria non viene contabilizzato e sfugge così alla tassazione». Secondo punto: questo tipo di moneta, nel lungo termine, «grazie all’indebitamento inarrestabile sta portando tutto e tutti, come debitori insolventi, nel dominio dei monopolisti monetari, azzerando la dimensione pubblica della politica e dello Stato». E infine: scontiamo «i falsi dogmi» con cui questi monopolisti «nascondono o legittimano» il loro potere abusivo, dogmi come «quello della scarsità e costosità della moneta». Pura invenzione: la moneta è illimitata, e la sua emissione è ormai a costo zero. «Portare tali temi nel pubblico dibattito non è fattibile – scrive Della Luna – perché la gente non li capirebbe, ma soprattutto perché renderebbero manifesta l’impotenza della politica bassa, palese, e dello stesso Stato».Un dibattito del genere, oltretutto, demolirebbe «la fede popolare (e il consenso) verso la falsa narrazione economica che legittima tutte le scelte di fondo finalizzate agli interessi dell’oligarchia che le formula a suo beneficio». Della Luna ha espresso lo stesso concetto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui”: «Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflui (quindi impotenti poiché prive di potere negoziale, ma anche ridondanti, eliminabili) per effetto della concentrazione globale del potere e della smaterializzazione-automazione dei processi produttivi e bellici». E ora la possibilità tecnologica di gestirli in modo zootecnico, ossia non più semplicemente attraverso leve economiche e psicologiche «ma entrando nei loro corpi, nel loro Dna, e modificandoli biologicamente e geneticamente, soprattutto attraverso una manipolazione attuata per via legislativa (somministrazione forzata a generazioni di bambini di sostanze dagli effetti non chiari e non garantiti), avvia la decostruzione ontologica dell’essere umano, della specie homo, e la sua completa riduzione a strumento, merce, cosa illimitatamente formattabile, disponibile, fungibile». “Tecnoschiavi”, appunto: e senza scampo, almeno secondo Della Luna.Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.