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Archivio del Tag ‘Stati Uniti’

  • Kraken: il Dark Web fotografa la maxi-frode contro Trump?

    Scritto il 25/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Il Kraken dei patrioti americani ha lasciato il Dark Web ed è uscito allo scoperto, manifestando tutta la sua possanza. Con i suoi tentacoli informatici il mostro liberato dai legali di Trump si è avvinghiato al potente Leviatano dei globalisti, e così si è dato avvio allo stritolamento». La svolta, scrive Gianmarco Landi su “Notizie dal Parlamento”, sarebbe avvenuta «il giorno dopo il rilascio del Kraken», cioè alla presentazione dei ricorsi alla Corte Suprema giovedì 19, quando Rudolph Giuliani, Sidney Powell e Jena Ellis hanno tenuto una conferenza stampa «comunicando che il mostro era stato rilasciato». L’indomani,  venerdì 20 novembre alle ore 10 della East Coast, il comitato governativo della Pennsylvania ha convocato i dirigenti della Dominion, la società che aveva contato i voti in 30 dei 50 Stati americani (tutti quelli significativi). «I tecnici della Dominion avrebbero dovuto relazionare sul funzionamento dei macchinari utilizzati per la raccolta dei voti, ma non lo hanno fatto: nessuno della Dominion si è presentato alla convocazione, ed essendo tutti loro tecnici molto esperti (hacker), evidentemente in questi giorni avranno avuto modo di riflettere e prendere contezza del burrone in cui sono precipitati».
    Quella che Landi definisce «la latitanza dei tecnici della Dominion» renderebbe evidente il fatto che «nessuno possa mai spiegare legalmente il funzionamento della raccolta dei voti, cioè i “glitch” (scambi di voti a favore di Biden) e i “salti in perpendicolare” (cioè interi blocchi di centinaia di migliaia di voti che compaiono solo per un candidato)». Sempre secondo Landi, questo «la dice lunga su come andrà a finire la vittoria mediatica di Biden, cioè la classica vittoria di Pirro, per lui, e la Waterloo di tutti i ‘campioni’ della globalizzazione». Molti, aggiunge Landi, ancora non sanno che, sotto la superficie del web, esiste l’universo del cosiddetto Deep Web, il “web profondo”, in cui «politici, banchieri o miliardari delle élite veicolano informazioni tra di loro». Nel Deep Web, ad esempio, «si muovono gli asset bank security, con cui le banche fanno i bilanci reali». Solo una minima parte delle forze nel Deep Web emerge nel Surface Web e ai nostri occhi, assumendo il carattere di ufficialità. «La reale situazione economico-finanziaria delle banche, così come quella degli Stati, non è quella raccontata ed evidente nel Surface Web, ma quella non visibile alla maggior parte delle persone, cioè nel Deep Web».
    Nel web profondo «si trovano certe dinamiche “swift” attraverso cui le banche si scambiano miliardi di euro in asset e liquidità, talvolta tenendo all’oscuro gli amministratori della banca, gli Stati e qualsiasi stakeholder della banca, perchè il Deep Web ha relazioni con un Deep Web ancora più profondo ed elitario, chiamato Dark Web». In quel “web oscuro”, continua Landi, vari faccendieri «realizzano speculazioni illecite colossali, a scapito dei cittadini ignari». In pratica, operazioni Off Ledger (fuori bilancio) senza coinvolgimento ufficiale del bank officer, «cioè con il banchiere che si volta dall’altra parte quando qualcuno dal Dark Web mette le mani su alcuni conti». Nel Dark Web, «i protagonisti si muovono in forme di totale anonimato, e per poterlo fare bisogna essere entità di grande forza internazionale, come ad esempio l’intelligence dell’esercito degli Stati Uniti (che ha inventato Internet e l’ha data al mondo), o di servizi segreti di Stati importanti». Come nei film, hackeraggi dal Dark Web «avvengono anche su iniziativa di ragazzi genialoidi, che prima o poi finiscono per farsi arrestare, ma subito dopo andranno a lavorare in questi ambiti di intelligence informatica molto particolari».
    Nel Dark Web c’è l’infrastruttura ad 8kun, che permette l’accesso e la scrittura di contenuti in modo del tutto anonimo: ed è questo il luogo dove «l’incubo delle élite globaliste si è manifestato», secondo Landi, che dà credito all’entità chiamata “Q”, che definisce composta da «personale di intelligence militare», il cui obiettivo sarebbe «far emergere nel Surface Web molte verità nascoste negli ultimi 50 anni». Gianmarco Landi ipotizza che “Q” sia capeggiato dal generale Michal Flynn, «che fu il primo a parlare nel 2016 di certe storie agghiaccianti su Twitter, come ad esempio il pedosatanismo e la corruzione della Fondazione Clinton, per poi essere poco dopo letteralmente massacrato dall’Fbi, nonostante Trump fosse stato appena eletto presidente degli Stati Uniti». Sempre secondo Landi, «su 8kun è comunque possibile, tramite l’Id che compare a destra della data di pubblicazione, essere sicuri che due post diversi siano stati scritti dalla stessa persona (postazione)». Ed è per questo motivo, aggiunge, che è possibile fare delle supposioni congetturali seguendo i post di “Q”, «scorgendo in certe sue comunicazioni finanche messaggi di chiaro ancoraggio presidenziale, evidentemente propalati dal Dark Web affinché arrivassero nella superficie della Rete e quindi a tutti noi».
    Molte iniziative attuate dall’amministrazione Trump sono state effettivamente anticipate da “Q”, sostiene Landi: quindi, deduce, «questa modalità è stata messa in atto per far attaccare il presidente e non solo per difenderlo, diffondendo informazioni e controinformazioni sicuramente lette avidamente soprattutto dai nemici dell’amministrazione Trump». Sempre Landi mette in evidenza un recente scambio tra due soggetti, ovvero due Id elettronici: il primo è “17ac60″, che Landi decide di chiamare «hacker di Dominion», e l’altro è “8f656a”, che sempre Landi chiama «Generale Flynn». Lo scambio inizia con un insulto a Flynn, definito “looser”, cioè perdente, ma dopo cinque minuti il presunto hacker riceve la seguente risposta dall’ipotetico Flynn: «Guarda che non ho ancora iniziato a combattere». Visto che il presunto hacker rincara la dose e seguita a insultare, ecco che «spunta fuori il tentacolo del Kraken», ovvero: l’ipotetico Flynn pubblica sulla chat «la foto di un uomo ben preciso, e improvvisamente la conversazione si blocca». Scrive Landi: «E’ plausibile ritenere che l’hacker di Dominion abbia avuto una botta di panico, vedendo che colui che riteneva il ‘loser’ (perdente) solo pochi istanti prima, gli aveva appena spiattellato una sua foto, a cui corrisponde quella di un dirigente della Dominion».
    Cosa è successo? Sempre secondo Landi, l’ipotetico Flynn avrebbe «dato a intendere all’hacker di Dominion, così palesandosi alla catena di comando a cui questa struttura risponde, che tutto quanto fatto dai server di Francoforte in questo ultimo mese, è stato osservato ed evidentemente registrato», anche se gli autori del presunto complotto informatico si credevano al sicuro, grazie all’anonimato teoricamente garantito dal Dark Web. Landi sostiene di aver riconosciuto l’hacker: risulta essere Aleksander Lazarevic, della Dominion. Come faceva, l’ipotetico Flynn, a conoscere la sua identità, disponendo solo dell’Id 8f656a? E visto che questo scambio è arrivato un attimo dopo che il team legale di Trump aveva portato in Corte Suprema le prove dei brogli, potrebbe significare che il vero generale Flynn, e quindi i legali di Trump, «avessero alle spalle un livello di forza tecnologica nel Dark Web superiore a quello di Dominion e Smartmatic controllate dai Dem, da Soros, da Bill Gates e dai grandi banchieri?». Queste due realtà aziendali estere, stando alle accuse dei legali trumpiani, avrebbero eterodiretto i colossali brogli da Francoforte.
    Lo avrebbero fatto «penetrando il software di Dominion installato nei 30 Stati Usa, in modo da truccare i dati elettorali». Come? Manipolandoli a posteriori, «essendo forti della connivenza di funzionari statali che si sarebbero voltati dall’altra parte quando l’algoritmo agiva». Landi tende a pensare che i cospiratori siano stati colti di sorpresa, e oggi «risultino come i topi caduti in trappola, con il generale Flynn che ha chiuso lo sportellino». La storia diventa molto interessante e concreta, secondo Landi, «perché è proprio questo Lazarevic colui che ha scritto l’algoritmo in grado di modificare i risultati elettorali». Si tratterebbe di un algoritmo di manipolazione di dati che, nell’intento originale, «potenziava alla bisogna i voti di Biden in modo che gli osservatori esperti di politica non avrebbero mai potuto accorgersene». Queste incursioni, verificandosi in anonimato, «non avrebbero mai dovuto lasciare prove dell’accaduto». Il problema sarebbe stato amplificato «dai settaggi dell’algoritmo e dai parametri fissati su affluenze troppo basse, supponendo una massa di voti in favore di Trump molto inferiore a quella che il 3 novembre si è registrata mediante espressioni in presenza fisica».
    «I correttivi nella notte tra il 3 e il 4 novembre hanno aggravato i pasticci», scrive ancora Landi, «perchè è stato necessario intervenire con alcune postazioni dal Dark Web lasciando ulteriori ‘impronte’». Landi riferisce che esiste «un paper a carattere scientifico firmato proprio dallo stesso Lazarevic, dove viene documentata l’invenzione di questi tipi di algoritmi per corrompere gli esiti delle elezioni democratiche». Avendo Trump in mano pure i server di Francoforte, secondo Landi la sua vittoria è scontata. E non solo: c’è anche la seria eventualità che l’intera filiera dei brogli possa andare incontro a guai serissimi, inclusa addirittura «una condanna a morte». Anche per questo, forse – aggiunge Landi – si capisce come mai nessuno della Dominion, il giorno dopo la conferenza stampa di Powell, Giuliani ed Ellis, abbia avuto il coraggio di presentarsi in Pennsylvania a chiarire cosa fosse successo nei conteggi. «Si capisce anche per quale motivo la mafia della Pennsylvania, capeggiata da Skinny Joe, si sia fatta avanti autoaccusandosi della esecuzione materiale dei brogli cartacei sul voto postale, la cui ingegneria criminale è ovviamente ascrivibile ad altre entità». Sarà per questo motivo – continua Landi – che Biden sarebbe stato «colto dal panico» e avrebbe «manifestato la disponibilità a ritirarsi in cambio di qualche salvacondotto giudiziario», così come risulterebbe da alcuni “spifferi” provenienti proprio dal Dark Web?
    Tuttavia – ammette lo stesso Landi – questa notizia potrebbe essere stata messa in circolazione da “Q” per diffondere il panico tra le file avversarie. Sempre Landi parla di «alcune decine di dipendenti scomparsi», dagli uffici di Dominion e Smartmatic, «sicuramente atteriti da una situazione giudiziaria e personale che per loro potrebbe diventare drammatica». L’aria che tira è leggibile dalla determinazione di Trump, che nei giorni scorsi «ha avviato al Pentagono una serie di purghe senza precedenti, ha messo la Cia sotto il comando della Difesa riducendo Gina Haspel ad una ‘bambolina’, e ha silurato tutti gli uomini “dem” dalla Cisa», l’agenzia per la cyber-sicurezza «che in realtà aveva commissariato di fatto con una struttura parallela artefice del Watermark (il marcamento occultato alla vista umana dello schede postali)». Lo stesso Landi accenna a «notizie di confessioni di alti funzionari statali che dichiarano di aver sabotato per anni i politici antiglobalizzazione, evidentemente folgorati sulla via di Damasco per il timore di essere sospettati di aver coperto i boicottaggi e i complotti per rovesciare il presidente Trump». Le secondo e terze file dei “dem” sarebbero «in procinto di essere ghigliottinate».
    Il nuovo direttore della Difesa, l’ex generale di brigata Anthony Tata, in questi giorni «ha accusato il presidente Obama e i Clinton di essere stati a capo delle reti terroristiche jihadiste». Il nuovo sottosegretario alla Difesa per l’intelligence e la sicurezza, Ezra Watnick, «ha fatto parte dell’équipe del generale Michael Flynn all’intelligence militare che ha combattuto il terrorismo jihadista». “Renovatio 21″ racconta che, per quattro anni, i responsabili del Pentagono vicini a Obama e Hillary avrebbero «fatto di tutto per non mettere in atto le disposizioni di Trump e far proseguire i conflitti dove c’erano», seguendo direttive-ombra di Obama, «tutte cose che hanno fatto ‘imbestialire’ le alte gerarchie dell’esercito, e non solo l’amministrazione Trump». In ultimo, Gianmarco Landi segnala uno stranissimo tweet di Huma Abedin, fedelissima di Hillary (era vice di Jonh Podesta nella campagna 2016): la Abedine «sembra perorare un contenuto pro-Trump e contro i media». Giallo: «E’ forse un messaggio in codice che annuncia il “si salvi chi può”, oppure il “nascondetevi”?». I personaggi come Huma Abedin, chiosa Landi, comunicano nel Dark Web con meccanismi criptati dai servizi segreti: se non lo fanno più, e saltano fuori «strani tweet e numeri enigmatici», forse «significa che i tentacoli del Kraken sono arrivati fin lì: il Dark Web non è più un posto sicuro per i ‘losers’».

    «Il Kraken dei patrioti americani ha lasciato il Dark Web ed è uscito allo scoperto, manifestando tutta la sua possanza. Con i suoi tentacoli informatici il mostro liberato dai legali di Trump si è avvinghiato al potente Leviatano dei globalisti, e così si è dato avvio allo stritolamento». La svolta, scrive Gianmarco Landi su “Notizie dal Parlamento“, sarebbe avvenuta «il giorno dopo il rilascio del Kraken», cioè alla presentazione dei ricorsi alla Corte Suprema giovedì 19, quando Rudolph Giuliani, Sidney Powell e Jena Ellis hanno tenuto una conferenza stampa «comunicando che il mostro era stato rilasciato». L’indomani,  venerdì 20 novembre alle ore 10 della East Coast, il comitato governativo della Pennsylvania ha convocato i dirigenti della Dominion, la società che aveva contato i voti in 30 dei 50 Stati americani (tutti quelli significativi). «I tecnici della Dominion avrebbero dovuto relazionare sul funzionamento dei macchinari utilizzati per la raccolta dei voti, ma non lo hanno fatto: nessuno della Dominion si è presentato alla convocazione, ed essendo tutti loro tecnici molto esperti (hacker), evidentemente in questi giorni avranno avuto modo di riflettere e prendere contezza del burrone in cui sono precipitati».

  • Il virus massacra solo l’Occidente, e regala l’Italia alla Cina

    Scritto il 21/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Con 45mila morti, più di un milione di contagiati e medici che dicono che gli ospedali sono al collasso, non crediamo che esista davvero un “modello Italia”. Dal quadro internazionale emerge però che la pandemia ha colpito in modo molto più forte l’Occidente nel suo complesso, mentre c’è stato il rafforzamento proprio di chi l’ha provocata, cioè della Cina» Ma non solo: al di là della realtà cinese, c’è un andamento molto diverso per quello che riguarda l’Asia e i paesi dell’Occidente: il virus, in pratica, sta “massacrando” solo noi. Lo afferma Fabrizio Cicchitto su “Libero”, mettendo mano alle cifre. Quelle cinesi, che vanno prese con beneficio d’inventario, parlano di appena 86.346 contagiati e solo 4.634 morti. Anche il Vietnam è un’incognita: vengono denunciati solo 35 morti. Più attendibili (ma molto simili) i dati riguardanti le altre nazioni, «che sono Stati democratici o comunque, come Singapore, sottoposti a un controllo internazionale». Esempio: il Giappone ha avuto solo 19.000 contagiati e 1.874 morti, la Corea del Sud 28.000 contagiati e appena 494 vittime. Dati ancora più confortanti quelli di Taiwan (603 contagiati e 7 morti) e quelli di Singapore (58.124 contagiati e 28 deceduti). Attenzione: «Nessuna di queste nazioni ha effettuato il lockdown».
    Al tempo stesso, «conoscendo la Cina e non fidandosi dell’Oms», i paesi asiatici hanno comunque adottato misure rigorose di contenimento del coronavirus. «Il confronto con le nazioni dell’Occidente – scrive Cicchitto – dà il senso del disastro che sta avvenendo in quest’area del mondo, che pure è decisiva ai fini delle sorti della libertà e della democrazia». Snocciolare le cifre propone un confronto imbarazzante. Usa: 11 milioni e 300.000 contagiati e 247.000 deceduti. Italia: 1 milione e 180.000 contagiati, con 45.000 vittime. Germania: 803.000 contagi e 12.000 deceduti. Spagna: un milione e 460.000 contagiati, di cui 40.769 morti. Austria: 204.000 contagiati e 1.829 morti. Gran Bretagna: un milione e 370.000 contagiati, di cui 51.000 morti. In Svezia, paese che ha rifiutato di effettuare il lockdown, i contagi sono 177.000 e i decessi 6.164 decessi. La questione di fondo, secondo Cicchitto, è stata posta da uno studioso dei rapporti fra l’Occidente e l’Asia, Parag Khanna: a suo parere, i governi e i popoli dell’Asia si sono dimostrati molto più capaci di affrontare la pandemia, rispetto a quelli dell’Occidente. La prima ragione? «Sta nel fatto che hanno avuto l’esperienza Sars: da allora hanno imparato quanto sia importante avere sistemi sanitari solidi e rispondere con rapidità a questi focolai».
    In quei paesi, aggiunge Khanna, il livello di preparazione sociale e politica è più alto: intanto «mai dibattuto sull’utilità delle mascherine: tutti le portavano fin dall’inizio». Ma a pesare, in realtà, è «la fiducia dei cittadini nei governi: credono nella loro competenza e nel fatto che vogliono proteggere la vita e il benessere». Al di là delle nostre beghe, scrive Cicchitto, esistono questioni di fondo che – partendo dalla pandemia – possono mutare gli equilibri mondiali. La crisi politica tuttora aperta negli Stati Uniti e lo scontro al Parlamento Europeo con il voto di Polonia e Ungheria, paesi contrari all’allentamento del rigore finanziairo, «aprono interrogativi sul fatto che la pandemia può mettere alle corde l’Occidente sul piano politico, economico e culturale». Per quello che ci riguarda, «il problema lo abbiamo in casa: perché fino a qualche tempo fa il M5S è stato molto legato alla Cina». Per questo, il precedente governo «ha fatto aderire l’Italia, unico paese del G7, alla Nuova Via della Seta, operazione a suo tempo celebrata dal leader Xi Jinping venuto in Italia». Tutto ciò «si è verificato nella disattenzione generale», senza che Pd, Forza Italia e Lega si opponessero. «Nel frattempo, dobbiamo anche pensare a che fine stanno facendo i porti di Trieste e di Taranto, mentre il Copasir si sta occupando delle implicazioni riguardanti Huawei», sulle quali il governo «deve fare realmente i conti».

    «Con 45mila morti, più di un milione di contagiati e medici che dicono che gli ospedali sono al collasso, non crediamo che esista davvero un “modello Italia”. Dal quadro internazionale emerge però che la pandemia ha colpito in modo molto più forte l’Occidente nel suo complesso, mentre c’è stato il rafforzamento proprio di chi l’ha provocata, cioè della Cina» Ma non solo: al di là della realtà cinese, c’è un andamento molto diverso per quello che riguarda l’Asia e i paesi dell’Occidente: il virus, in pratica, sta “massacrando” solo noi. Lo afferma Fabrizio Cicchitto su “Libero“, mettendo mano alle cifre. Quelle cinesi, che vanno prese con beneficio d’inventario, parlano di appena 86.346 contagiati e solo 4.634 morti. Anche il Vietnam è un’incognita: vengono denunciati solo 35 morti. Più attendibili (ma molto simili) i dati riguardanti le altre nazioni, «che sono Stati democratici o comunque, come Singapore, sottoposti a un controllo internazionale». Esempio: il Giappone ha avuto solo 19.000 contagiati e 1.874 morti, la Corea del Sud 28.000 contagiati e appena 494 vittime. Dati ancora più confortanti quelli di Taiwan (603 contagiati e 7 morti) e quelli di Singapore (58.124 contagiati e 28 deceduti). Attenzione: «Nessuna di queste nazioni ha effettuato il lockdown».

  • Craig Roberts: Covid, una guerra per ridurci a bestiame

    Scritto il 20/11/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Negli Stati Uniti il Grande Inganno del Covid-19 è stato utilizzato per giustificare un fraudolento voto postale volto ad impedire la rielezione del presidente Trump. Il prossimo utilizzo del Covid-19 sarà quello di attaccare le libertà civili. Se lo scippo elettorale dei democratici sarà coronato da successo, avremo probabilmente quel lockdown nazionale che tanto piace ai consulenti di Biden sul coronavirus. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la vaccinazione obbligatoria sarà presentata come l’unico mezzo per uscire dal lockdown». Così si esprime Paul Craig Roberts, autorevole analista statunitense, già viceministro dell’economia con Reagan. «Il film “V per Vendetta” si era rivelato predittivo. Nel film, che era stato l’ispiratore delle famose maschere di Guy Fawkes, viene progettata una pandemia per facilitare l’instaurazione di una dittatura. Sembra che un maggiore controllo sulle persone, sulle loro possibilità lavorative e sui loro movimenti sia il futuro verso cui ci stiamo indirizzando». Ancora: «Con il pretesto del coronavirus e tramite un’operazione terroristica e propagandistica senza precedenti, i governi stanno conducendo con successo il più grande esperimento umano della storia».
    Le conseguenze, spaventose, diventeranno ancora più tangibili nel corso dei prossimi mesi e anni. «Finora, con un tratto di penna, i governi (non il virus) hanno ridotto gli esseri umani al rango di ovini e bovini: miliardi di persone sono state costrette agli arresti domiciliari o al confino, le attività non essenziali sono state chiuse e milioni di individui hanno perso di colpo le loro possibilità di sostentamento. La capacità di muoversi e di viaggiare liberamente è stata eliminata e l’economia globale è andata in picchiata, provocando indicibili sofferenze nei paesi del primo e, soprattutto, del terzo mondo». Come se non bastasse, sono stati lanciati spyware distopici ed estremamente intrusivi per tracciare e monitorare la popolazione (ma non i funzionari governativi)». Lo stress derivante dal blocco globale, dalla disoccupazione e dalla propaganda ha scatenato una vera e propria pandemia di suicidi e di overdose. In Inghilterra e nel Galles, il tasso dei suicidi ha toccato il massimo degli ultimi vent’anni. Nel frattempo si stima che oltre 75.000 americani potrebbero morire per suicidio e overdose a causa del peggioramento delle loro condizioni di vita. Le leggi speciali ora in vigore «fanno impallidire quelle, liberticide, adottate dopo l’11 Settembre».
    Un esempio? L’Australia: i cittadini «sono stati completamente privati dei loro diritti civili». Nello stato di Victoria è stato imposto uno lockdown di tipo 4: all’aperto si deve sempre indossare la mascherina (e in caso di inadempienza è prevista una multa di circa 1.000 dollari). «I cittadini possono fare attività fisica all’esterno solo per un’ora al giorno, non possono allontanarsi da casa per più di 5 chilometri, devono uscire da soli per fare la spesa o per motivi medici ed è previsto il coprifuoco dalle 8 di sera alle 5 del mattino. Chi lo infrange è sanzionato con 5.000 dollari. Se questa non è una prigione, allora vuol dire che non ne è mai esistita una». In Danimarca è pronto per essere approvato un disegno di legge di 227 pagine molto dettagliato e complesso. Obiettivo dichiarato: proteggere la popolazione da “malattie infettive, malattie generalmente pericolose e malattie socialmente critiche”. Per “malattia socialmente critica” si intende una malattia generalmente pericolosa, la cui diffusione rischia di causare gravi disturbi a importanti funzioni della società. «Traduzione: tutti quelli che contesteranno le spiegazioni ufficiali o andranno contro la versione degli eventi dell’establishment saranno considerati malati e ridotti al silenzio».
    La definizione estremamente ampia di “malattia socialmente critica”, si legge sempre sul blog di Craig Roberts, significa che l’élite può definire qualsiasi comportamento problematico come “una malattia”, di cui occorre immediatamente arrestare la diffusione. «Per anni, una delle massime priorità dell’élite è stata quella di vietare le versioni dei fatti contrarie alla narrativa ufficiale, etichettandole come ‘fake news’ e ‘teorie del complotto.’ Il concetto orwelliano di fake news comprende tutto ciò che minaccia gli interessi del potere centrale, ma non, ad esempio, le bugie sulle guerre di Washington, come le ‘armi di distruzione di massa di Saddam’, la ‘bomba atomica iraniana, ‘l’utilizzo delle armi chimiche da parte di Assad’, eccetera». Di fatto, sfruttando la crisi del coronavirus, in tutto il mondo «sono state rapidamente proposte e promulgate leggi totalitarie con un alto grado di coordinamento e con pochissime varianti».
    In diversi paesi, ora è un crimine diffondere informazioni contrarie alle torie ufficiali: nello Zimbabwe, chi diffonde informazioni scomode rischia fino a 20 anni di carcere. In Thailandia, il governo ha avvertito che «chiunque farà battute sul virus potrebbe rischiare fino a cinque anni di prigione». Negli Stati Uniti, i social media e gli organi di informazione censurano le notizie che mettono in dubbio l’utilità delle mascherine e i dati secondo cui il test per il Covid-19 produrrebbe un alto tasso di falsi positivi. Attraverso i media, «abbiano condizionato le masse ad accettare il totalitarismo come unica soluzione al problema». Le persone «sono sono state terrorizzate, represse, isolate, sottomesse, impoverite e demoralizzate». Il Covid-19 viene utilizzato «per rimodellare e risocializzare le masse, allo scopo di prepararle a cambiamenti massicci, come una dittatura digitale transnazionale». I media occidentali non ammettono discussioni, su questi argomenti.
    La presunta pandemia viene utilizzata anche dal World Economic Forum, per assumere il controllo dell’agricoltura e della produzione alimentare globale. Obiettivo: promuovere gli Ogm e gli alimenti prodotti in laboratorio, e trasfomare le agricolture diversificate in monocolture da esportazione. «Le nazioni ora autosufficienti dal punto di vista alimentare dovranno dipendere dalle importazioni. Il controllo dei generi alementari da parte delle multinazionali aumenterà il potere centrale sulle persone ed eliminerà la biodiversità geografica». Conclude Craig Roberts: «La paura è un mezzo efficace per distruggere la libertà e trasformare la società. L’11 Settembre e il Covid-19 sono entrambi serviti a ridurre la libertà, comprometterne la difesa e ampliare i poteri del governo e delle multinazionali sulle popolazioni. Di conseguenza, sta scomparendo la possibilità di obbligare i governi a rispondere del loro operato e, con essa, la democrazia».

    «Negli Stati Uniti il Grande Inganno del Covid-19 è stato utilizzato per giustificare un fraudolento voto postale volto ad impedire la rielezione del presidente Trump. Il prossimo utilizzo del Covid-19 sarà quello di attaccare le libertà civili. Se lo scippo elettorale dei democratici sarà coronato da successo, avremo probabilmente quel lockdown nazionale che tanto piace ai consulenti di Biden sul coronavirus. Ci sono pochi dubbi sul fatto che la vaccinazione obbligatoria sarà presentata come l’unico mezzo per uscire dal lockdown». Così si esprime Paul Craig Roberts, autorevole analista statunitense, già viceministro dell’economia con Reagan. «Il film “V per Vendetta” si era rivelato predittivo. Nel film, che era stato l’ispiratore delle famose maschere di Guy Fawkes, viene progettata una pandemia per facilitare l’instaurazione di una dittatura. Sembra che un maggiore controllo sulle persone, sulle loro possibilità lavorative e sui loro movimenti sia il futuro verso cui ci stiamo indirizzando». Ancora: «Con il pretesto del coronavirus e tramite un’operazione terroristica e propagandistica senza precedenti, i governi stanno conducendo con successo il più grande esperimento umano della storia».

  • Brogli, l’élite trema: crolla il sistema, se la spunta Trump

    Scritto il 19/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Il canale YouTube “Investire da zero” ipotizza sviluppi potenzialmente sconvolgenti, per le presidenziali americane del 3 novembre. Al termine della notte elettorale, Trump era in vantaggio in tutti gli Stati-chiave, e quindi poteva contare su un numero sufficiente di grandi elettori per essere riconfermato alla Casa Bianca. Poi, il voto per posta e il prosieguo dei conteggi (che si erano interrotti) ha invece capovolto la situazione, a favore di Biden, proprio in quegli Stati. Tra il 5 e il 6 novembre, Trump ha presentato ricorso in 6 Stati (Pennsylvania, Nevada, Georgia, Michigan, Wisconsin e Arizona) denunciando brogli e irregolarità tali da invalidare i risultati. In realtà, secondo Trump, si sarebbe alterato il voto anche in diversi altri Stati, anche se in modo non determinante. Gli Stati-chiave hanno rigettato la revisione richiesta di Trump, con la sola eccezione della Georgia (dove il distacco tra i due candidati era risultato millimetrico). Sembrava quindi una pessima notizia, per Trump: come se si dovesse rassegnare a vedere Biden alla Casa Bianca. Invece, le cose potrebbero stare in maniera diametralmente opposta. E cioè: è possibile che Trump avesse tutto l’interesse a veder rifiutate le sue richieste di riconteggio nei singoli Stati, perché solo così è possibile accedere alla Corte Suprema.

  • Usa, brogli informatici: milioni di voti taroccati da Dominion

    Scritto il 16/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Le evidenze stanno arrivando così velocemente che non riesco neanche a processarle: non posso rivelarvi cosa so, ma non farei mai affermazioni che non posso provare». Lo afferma l’avvocato Sidney Powell il 15 novembre: la donna fa parte dello staff legale di Trump, che sta analizzando i volumi (impensabili: 3,8 milioni di voti) della frode elettorale che sarebbe stata commessa per via elettronica. «Trump ha vinto con milioni di voti in più rispetto a Biden», dice l’avvocatessa, in una dichiarazione ripresa da “Fox News” e rimbalzata su Facebook. Parla dei voti che «sono stato spostati a Biden grazie al software Dominion, che era stato concepito esattamente per quello scopo». Aggiunge Powell: «Abbiamo prove che risalgono anche al 2016, che ci stanno arrivando come fossero sparate con un idrante. Ho un sacco di prove per dimostrarvi questo, ma non posso dirle sulla Tv nazionale. Vi dico solo che potevano prendere tutti i voti di Trump e, con quel software buttarli, essenzialmente nel cestino». Precisa la donna: «Abbiamo identificato matematicamente l’algoritmo esatto per modificare i voti. Più “backdoor”, “patch usb”, monitoraggio di Internet e anche tangenti ai funzionari corrotti per l’adozione del software Dominion. Tutto comincia a sembrare un “Major Cyber Attack” contro gli Stati Uniti».

  • Sapelli: soldi, la ricetta-Draghi vale più di tutti i lockdown

    Scritto il 15/11/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «La politica monetaria resterà accomodante fino a quando i vaccini saranno ben sviluppati e la ripresa potrà guadagnare slancio». Lo ha affermato Christine Lagarde, anticipando probabilmente le scelte che saranno annunciate dalla Bce a dicembre. Per Giulio Sapelli, storico dell’economia, il rapporto tra finanza ed economia reale oggi «ha bisogno di fondamentali innovazioni, rispetto alla vulgata ordoliberista dolorosa e infausta». E aggiunge: «I dogmi teutonici inscritti nello statuto della Bce si sono solo fatti dimenticare dall’azione di marca Usa propugnata grazie a Mario Draghi». In altre parole: stop al rigore, come richiesto da Super-Mario anche nel famoso editoriale sul “Financial Times”, a marzo. “La ricetta-Draghi vale più di tutti i lockdown”, sintetizza il “Sussidiario” nel presentare l’analisi di Sapelli, secondo cui i dogmi dell’austerity «sono fondati sull’ignoranza crassa della storia e della teoria economica, ma forse proprio per questo sorreggono con arroganza una politica di potenza nazionale che ricorda troppo quell’infausto “Lebensraum” (spazio vitale) che spaventa tutto il mondo, soprattutto ora che quell’arroganza si allea con l’aggressività cinese».
    È pur vero, osserva Sapelli, che la Bce si prepara dar vita a 500 miliardi di programma di acquisti anti-virus (Pepp) e a spostare la scadenza dal 30 giugno al 31 dicembre 2021. Ma tutto ciò è insufficiente: solo la Fed si è posta a capo di quella politica innovativa che Sapelli ha più volte ricordato. Per Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, è vitale sostenere l’economia con mezzi monetari adeguati. Lo chiarì Draghi, per primo: di fronte alla crisi-Covid, l’unica soluzione consiste nell’immissione di un fiume di denaro a fondo perduto, non destinato a trasformarsi in debito, da concedere – subito – a Stati, aziende e famiglie. L’alternativa? Non esiste, a meno che non si voglia la catastrofe. Lo stesso Powell ha detto che negli Usa è probabile che il mercato del lavoro si rafforzi ancora di più, e che gli stimoli fiscali (lanciati da Trump) dovrebbero continuare a sostenere la domanda nei prossimi anni. «Come ci insegna l’esperienza storica delle grandi crisi capitalistiche – osserva Sapelli – il panico finanziario diminuisce man mano che i responsabili politici diventano più audaci e creativi. Non a caso, negli ultimi giorni la cosiddetta “atmosfera” è migliorata, sui mercati finanziari. E questo per l’azione politica estremamente decisa degli Stati Uniti, nonostante la campagna elettorale e la guerra civile strisciante in corso in quella grande nazione».
    Nell’ultima settimana, aggiunge Sapelli, la stessa Fed ha esteso il suo “quantitative easing” alle obbligazioni municipali a breve termine, e ha annunciato un programma di acquisti che investirà obbligazioni societarie e Asset Backed Securities per 300 miliardi di dollari. Ha poi reso il programma Qe “illimitato” (inizialmente da 700 miliardi di dollari). «Nel frattempo, il Congresso ha approvato, bipartisan, un piano fiscale da 2.000 miliardi di dollari, pari a circa il 10% del Pil nazionale! Il pacchetto finanzia nazionalizzazioni di salvataggio, aiuti alle Pmi, sostegno al reddito delle famiglie, indennità di disoccupazione e sanità». Il programma di salvataggio include garanzie che potrebbero essere fatte lievitare 10 volte dalla Fed. «L’Europa, invece, nonostante gli annunci, spinge il mondo verso la catastrofe. E la Bce è ancora l’unica a prendere posizione». La classi politiche e burocratiche europee, aggiunge Sapelli, non sono riuscite a trovare un accordo su un’eventuale mutualizzazione dei costi della crisi sufficiente per superarla. Per questo la Bce, superando le opposizioni della sua tecnocrazia teutonica, «ha reso sempre più credibile il suo programma per l’emergenza pandemica (750 miliardi di euro), eliminando il limite per i titoli di Stato che finora ha vincolato gli acquisti sugli asset pubblici».
    Secondo Sapelli, «è giunta l’ora di comprendere come sia importante dar seguito all’idea che Christine Lagarde annulli completamente il credito derivato dalla sua politica di acquisti anti-crisi». Una banca centrale, «anche la Bce che stoltamente non lo è»,  può benissimo avere “mezzi propri” per gli acquisti di titoli di Stato. Per aggirare le resistenze della Corte Costituzionale tedesca, contraria all’azzeramento dei debiti, basterenne «trasformarli in una rendita perpetua, che la Bce deterrebbe nei confronti degli Stati a tassi di interesse nulli». Sarebbe un’applicazione della Teoria Monetaria Moderna evocata dallo stesso Draghi? La Mmt sostiene che i governi dovrebbero usare la politica fiscale per conseguire la piena occupazione, mentre le banche centrali creano il denaro necessario per finanziarne gli acquisti. Niente di strano: «È ciò che già da tempo accade negli Usa, e che gli ignoranti si affannano a non riconoscere: la Mmt negli Stati Uniti è una realtà». E’ proprio questa emissione “illimitata” di denaro che sta salvando l’economia privata. Anche per Sapelli è la strada maestra, ovvero l’unica praticabile, oggi. In questo modo, «Europa ordoliberista permettendo», si potrebbe «fuoriuscire dalla crisi pandemica».

    «La politica monetaria resterà accomodante fino a quando i vaccini saranno ben sviluppati e la ripresa potrà guadagnare slancio». Lo ha affermato Christine Lagarde, anticipando probabilmente le scelte che saranno annunciate dalla Bce a dicembre. Per Giulio Sapelli, storico dell’economia, il rapporto tra finanza ed economia reale oggi «ha bisogno di fondamentali innovazioni, rispetto alla vulgata ordoliberista dolorosa e infausta». E aggiunge: «I dogmi teutonici inscritti nello statuto della Bce si sono solo fatti dimenticare dall’azione di marca Usa propugnata grazie a Mario Draghi». In altre parole: stop al rigore, come richiesto da Super-Mario anche nel famoso editoriale sul “Financial Times”, a marzo. “La ricetta-Draghi vale più di tutti i lockdown”, sintetizza il “Sussidiario” nel presentare l’analisi di Sapelli, secondo cui i dogmi dell’austerity «sono fondati sull’ignoranza crassa della storia e della teoria economica, ma forse proprio per questo sorreggono con arroganza una politica di potenza nazionale che ricorda troppo quell’infausto “Lebensraum” (spazio vitale) che spaventa tutto il mondo, soprattutto ora che quell’arroganza si allea con l’aggressività cinese».

  • Sdoganata la dittatura: la Tv censura Trump, figurarsi noi

    Scritto il 14/11/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Ormai i giochi sono fatti. Anche se Donald Trump rimane appeso alla speranza dei ricorsi legali, sono gli stessi commentatori repubblicani ad ammettere che le possibilità di capovolgere il risultato a proprio favore siano praticamente inesistenti. Per ribaltare la situazione infatti gli avvocati di Donald Trump dovrebbero riuscire a dimostrare che c’è stata una signficativa frode elettorale in almeno tre Stati diversi: Pennsylvania, Nevada e Georgia. È sufficiente infatti la vittoria in uno qualunque di questi per permettere a Biden di raggiungere comunque la soglia vincente dei 270 delegati. Sarebbe come cercare di farsi annullare tre gol subiti in una volta sola. Basta che uno di questi venga convalidato, e la partita la vince l’avversario. È infatti probabile che nei prossimi giorni, di fronte al percorso impervio dei ricorsi legali, gli stessi collaboratori di Trump convincano il presidente a lasciar perdere, e a fare finalmente il famoso discorso di concessione. Come aveva predetto Nancy Pelosi, «indipendentemente dal conteggio dei voti di martedì [3 novembre], il 20 gennaio Joe Biden sarà insediato alla presidenza degli Stati Uniti».
    A questo punto vorrei proporre un paio di considerazioni aggiuntive. 1) L’equilibrio di potere degli Stati Uniti verrà deciso in modo definitivo soltanto il 5 di gennaio. È rimasta infatti aperta la corsa per il controllo del Senato. (Ricordiamo che ogni Stato ha diritto di mandare a Washington due senatori, per cui 50 stati = 100 senatori). Nel caso della Georgia, però, nessuno dei quattro candidati (due repubblicani e due democratici) è riuscito ad ottenere la maggioranza del 50% (il partito “libertarian” si è aggiudicato circa il 2% dei voti, lasciando ciascuno dei candidati principali al 49% circa). Secondo le leggi della Georgia, i quattro candidati (due repubblicani e due democratici) dovranno quindi giocarsi l’elezione al Senato in un ballottaggio che avverrà il 5 di gennaio. Se per caso dovessero vincere ambedue i democratici, il partito di Joe Biden arriverebbe ad avere 50 senatori su 100. E quando c’è la parità in Senato, il voto decisivo viene riservato al vicepresidente degli Stati Uniti, che in questo caso sarà Kamala Harris. Con 50 senatori eletti, quindi, il partito democratico avrebbe la cosiddetta supermajority, ovvero il controllo completo di Camera, Senato e presidenza.
    A quel punto l’agenda globalista potrebbe ripartire in modo sfrenato e inarrestabile. Se invece almeno uno dei due senatori georgiani restasse repubblicano, allora i repubblicani conserverebbero almeno il controllo del Senato, e con esso una certa possibilità di limitare l’agenda del Deep State. 2) Il ruolo dei media è profondamente cambiato, nell’arco di pochissimo tempo. Nei giorni scorsi è successo un fatto che sarebbe stato considerato impensabile fino a qualche mese fa. Il presidente Trump ha iniziato a fare un discorso in diretta Tv dalla Casa Bianca, ma dopo una ventina di secondi è stato interrotto dal commentatore della “Msnbc”, Brian Williams, che ha detto: «Ci troviamo costretti a interrompere il discorso del presidente, e a correggerlo, perché sta dicendo delle bugie». In altre parole, il commentatore del telegiornale (la “Msnbc” è il “braccio armato” della corrente più liberal dei democratici) si è elevato contemporaneamente a giudice e a giustiziere del presidente.
    Invece di lasciarlo parlare, e poi eventualmente suggerire che «ciò che ha detto non risulta vero», Williams (su ordini superiori, naturalmente) ha fatto che prendere in mano la situazione, e ha deciso lui di mettere a tacere quello che gli stessi americani definiscono “l’uomo più potente del mondo”. E oggi è successo ancora di peggio. Durante una trasmissione della “Cnn”, il conduttore Jake Tapper ha detto: «Il presidente Trump ha appena fatto delle nuove dichiarazioni, ma noi non le riportiamo perché sono false». Avevano iniziato Facebook e Twitter a decidere loro che cosa potesse dire o non dire il presidente, censurandolo come se fosse un troll qualunque, e ora i grandi network televisivi hanno adottato lo stesso atteggiamento spudorato. Quella che fino ad un anno fa era una critica più o meno velata del presidente, oggi viene portata avanti come se fosse una cosa assolutamente normale e legittima, fatta alla luce del sole.
    Hanno sdoganato la censura in tempo reale, e da qui sarà molto difficile tornare indietro. Naturalmente, non ci verrà molto perché anche i nostri mezzibusti nazionali si sentano legittimati dai media americani a fare la stessa cosa, e importino anche da noi gesti di arroganza e di presunzione simili a questo. Aspettatevi presto un Mentana che dica, ad esempio: «Salvini ha fatto delle dichiarazioni contro il governo, ma noi abbiamo deciso di non riportarle, perché non corrispondono alla realtà». Sono loro, i “media affidabili”, quelli che decidono cosa è vero e cosa no. Anche questo è mondialismo. L’agenda ripartirà con grande violenza, su ogni fronte (quello mediatico in primis), e sarà sempre più difficile opporsi al suo avanzamento, sia nel cuore dell’impero che nelle tante colonie sparse per il mondo.
    (Massimo Mazzucco, “Mondialismo: les jeux sont faits”, da “Luogo Comune” dell’8 novembre 2020).

    Ormai i giochi sono fatti. Anche se Donald Trump rimane appeso alla speranza dei ricorsi legali, sono gli stessi commentatori repubblicani ad ammettere che le possibilità di capovolgere il risultato a proprio favore siano praticamente inesistenti. Per ribaltare la situazione infatti gli avvocati di Donald Trump dovrebbero riuscire a dimostrare che c’è stata una signficativa frode elettorale in almeno tre Stati diversi: Pennsylvania, Nevada e Georgia. È sufficiente infatti la vittoria in uno qualunque di questi per permettere a Biden di raggiungere comunque la soglia vincente dei 270 delegati. Sarebbe come cercare di farsi annullare tre gol subiti in una volta sola. Basta che uno di questi venga convalidato, e la partita la vince l’avversario. È infatti probabile che nei prossimi giorni, di fronte al percorso impervio dei ricorsi legali, gli stessi collaboratori di Trump convincano il presidente a lasciar perdere, e a fare finalmente il famoso discorso di concessione. Come aveva predetto Nancy Pelosi, «indipendentemente dal conteggio dei voti di martedì [3 novembre], il 20 gennaio Joe Biden sarà insediato alla presidenza degli Stati Uniti».

  • Cacciari: New Deal, o nessuno si salverà dalla crisi Covid

    Scritto il 13/11/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    L’intero pianeta è stretto nella morsa del coronavirus, in una pandemia che ormai tiene sotto scacco tutti (o quasi) gli Stati da circa un anno. La crisi sanitaria e la conseguente necessità di imporre delle restrizioni alla circolazione delle persone per bloccare quella del coronavirus hanno impattato con violenza sul tessuto sociale ed economico mondiale, causando una profonda crisi economica traversale. Tuttavia, come spesso accade, sono i soggetti più deboli a pagare le conseguenze peggiori, il che amplifica il divario sociale e alimenta la rabbia. Massimo Cacciari su “La Stampa” ha analizzato l’attuale situazione, partendo da quanto accaduto negli Stati Uniti, dove sabato è stata chiamata la vittoria di Joe Biden su Donald Trump. Il filosofo ha cercato di dare una spiegazione all’evoluzione e al risultato delle elezioni americane. «Disoccupazione alta, precarizzazione economica delle classi lavoratrici, perdita di reddito, ma soprattutto di status sociale, di vastissimi settori di ceto medio sono la destabilizzazione impressionante della base materiale su cui si regge la stessa idea di democrazia rappresentativa», scrive Cacciari, a commento del voto americano per l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca.

  • Usa, rivoluzione colorata: così Cadavere imbrogliò Buffone

    Scritto il 11/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Indiscrezioni su un’esercitazione per una Rivoluzione Colorata perfetta e autoctona, nome in codice Blu, sono trapelate da un importante think tank che ha la propria sede nelle stesse contrade imperiali che, per prime, avevano concepito l’idea di Rivoluzione Colorata. Non tutte le informazioni che divulgheremo sul’esercitazione Blu sono state declassificate. Questo potrebbe suscitare una dura risposta da parte del Deep State, anche se uno scenario simile era già stato esplorato da un’organizzazione chiamata Transition Integrity Project. Entrambi gli scenari dovrebbero essere considerati una sorta programmazione predittiva, con il Deep State che prepara in anticipo l’opinione pubblica su come andranno esattamente le cose. Le regole standard del manuale della perfetta Rivoluzione Colorata, di solito, la fanno iniziare nella capitale dello Stato-nazione X, durante una tornata elettorale, con i “ribelli” che combattono per la libertà e che godono del pieno sostegno dei media nazionali ed internazionali. Blu riguarda un’elezione presidenziale nel regno dell’Egemone. Nella simulazione, il presidente in carica, nome in codice Buffone, è di colore rosso. Lo sfidante, nome in codice Cadavere, è di colore blu.
    Blu, la simulazione, è stata di un livello superiore, perché, a differenza di quelle passate, il punto di partenza non è stata una semplice insurrezione, ma una pandemia. E non una pandemia qualsiasi, ma una pandemia globale, veramente cattiva, con un esplosivo tasso di mortalità inferiore all’1%. Per una fortunata coincidenza, questa letale pandemia ha permesso agli operatori di Blu di promuovere il voto per corrispondenza come procedura elettorale sicura e socialmente distanziante. Il tutto poi collegato ad una serie di sondaggi, che prevedevano una quasi inevitabile vittoria elettorale di Blu, magari anche un’Onda Blu. La premessa è semplice: abbattere l’economia e fare le scarpe presidente in carica, la cui missione dichiarata è portare l’economia ad una forte espansione. Allo stesso tempo, convincere l’opinione pubblica che andare di persona alle urne è un pericolo per la salute. Il comitato di produzione di Blu non ha corso rischi, annunciando pubblicamente che avrebbe contestato qualsiasi esito che osasse contraddire il risultato preconfezionato: la vittoria finale di Blu in un organo democratico bizzarro, anacronistico e contorto chiamato “collegio elettorale”.
    Se dovesse in qualche modo vincere Rosso, Blu aspetterebbe fino a quando ogni singolo voto non sarà stato contato e debitamente contestato ad ogni livello di giurisdizione. Facendo affidamento sull’enorme supporto dei media e sul marketing dei social media spinto al parossismo, Blu proclama che “in nessun caso” sarebbe consentito a Rosso di dichiarare vittoria. Arriva il giorno delle elezioni. La verifica dei voti procede senza intoppi, il conteggio delle schede arrivate per posta, il conteggio di quelle di giornata, conteggi aggiornati al minuto, però soprattutto a favore di Rosso, specialmente nei tre Stati da sempre essenziali per la conquista della presidenza. Rosso è in testa anche in quelli che vengono definiti “swing States”, gli “Stati incerti.” Ma, proprio mentre una rete televisiva annuncia prematuramente la vittoria di Blu in uno Stato che, presumibilmente, avrebbe dovuto essere di Rosso, prima della mezzanotte il conteggio dei voti viene fermato nelle principali aree urbane dei principali Stati incerti con governatori Blu, ma con Rosso in vantaggio.
    Gli scrutatori Blu smettono di contare, per verificare se sia plausibile lo scenario di una vittoria blu senza dover visionare le schede arrivate per posta. Il loro meccanismo preferito è manipolare la “volontà del popolo”, mantenendo un’illusione di equità. In ogni caso, possono sempre fare affidamento, come Piano B, su schede postali a volontà, calde e fredde, fino a quando Blu non riesce ad intrufolarsi in due Stati incerti particolarmente importanti, stati che Rosso si era già aggiudicato in una precedente elezione. Ecco cosa succede. A partire dalle 2 del mattino, e più tardi nella notte, pacchi di voti “magici” arrivano in questi due Stati chiave. L’improvviso “aggiustamento” verso l’alto include il caso di un lotto di oltre 130.000 voti, tutti da una singola contea, pro-Blu e senza neanche un voto per il Rosso, un miracolo statistico grande come lo Spirito Santo. Ingolfare le urne è la tipica truffa messa in atto nella Rivoluzione Multicolorata di questa Repubblica delle Banane.
    Gli scrutatori di Blu utilizzano il collaudato metodo che viene utilizzato nei mercato dei futures sull’oro, quando con un improvviso calo dei naked shorts si fa scendere il prezzo dell’oro, proteggendo così il dollaro Usa. Gli scrutatori di Blu giocano sul fatto che la compiacente alleanza fra media mainstream e Big Tech non metterà in dubbio che, beh, all’improvviso, il voto si è spostato verso il blu con un margine di 2 a 3 o di 3 a 4. Scommettono che non verranno poste domande su come mai, in alcuni stati, una previsione di voto dal 2% al 5% a favore di Rosso si sia trasformata in una tendenza dallo 0,5% all’1,4% a favore di Blu, intorno alle 4 del mattino. E sul perché questa discrepanza si sia verifica quasi simultaneamente in due Stati incerti. E sul perché alcune circoscrizioni abbiano generato più voti di quanti fossero i votanti. E su come mai negli Stati incerti, il numero di questi ultramisteriosi voti per Blu supera di gran lunga i voti espressi per i candidati al Senato di questi Stati, quando è noto che il totale dei votanti nelle elezioni per Camera/Senato è tradizionalmente paragonabile a quello delle votazioni presidenziali. E l’affluenza alle urne in uno di questi Stati sarebbe stata dell’89,25%.
    Il giorno dopo a quello delle elezioni sono apparse vaghe spiegazioni sul fatto che uno dei possibili scarichi di voti postali [ballot dump] sia stato solo un “errore materiale”, mentre in un altro stato conteso non è stata data alcuna giustificazione per l’accettazione di schede senza timbro postale. Gli operatori di Blu si rilassano, visto che l’alleanza tra media mainstream e Big Tech spazza via ogni lamentela, definendola una “teoria del complotto”. Non si può dire che i due candidati alla presidenza facciano tutto il possibile per perorare la propria causa. Nome in codice Cadavere, in un lapsus freudiano, aveva rivelato che il suo partito aveva messo in piedi il progetto di frode più ampio e “diversificato” mai realizzato. Non solo Cadavere sta per essere indagato per una losca truffa di tipo informatico. È un paziente con demenza di stadio 2, con una personalità in rapido disfacimento, mantenuto a malapena funzionale dai farmaci, che però non possono impedire alla sua mente di spegnersi lentamente. Nome in codice Buffone, fedele al suo istinto, ha messo le mani avanti, dichiarando che l’intera votazione è una frode, ma senza offrire la prova decisiva. Così viene continuamente smentito dall’alleanza media mainstream/Big Tech e accusato di diffondere “false affermazioni”.
    Tutto questo mentre un’astuta, vecchia e amareggiata maneggiona non solo aveva dichiarato che l’unico scenario ammissibile era una vittoria di Blu, ma si era anche già posizionata per un incarico della massima importanza. Blu prevede anche che Rosso intraprenda immediatamente un’azione risoluta: arruolare di un esercito di avvocati che chiedano la verifica di tutti i registri elettorali per spulciare, rivedere e verificare ogni singola scheda elettorale per corrispondenza, un vero e proprio processo di analisi forense. In ogni caso, Blu non può prevedere quante false schede verranno smascherate dai riconteggi. Mentre Cadavere è pronto a cantar vittoria, Buffone pensa al gioco lungo ed è disposto ad andare fino alla Corte Suprema. Lo schieramento di Rosso aveva già previsto tutto, poiché conosceva perfettamente quali sarebbero state le mosse di Blu. La Controrivoluzione Rossa ha il potenziale di dare scacco matto strategico a Blu. Si tratta di un attacco su tre fronti, perchè Rosso può avvalersi della Commissione Giustizia, del Senato e del Procuratore Generale, tutti sotto l’autorità di nome in codice Buffone fino al giorno dell’insediamento.
    Lo scopo del gioco, dopo una feroce battaglia legale, è rovesciare Blu. I migliori strateghi di Rosso hanno la possibilità, su richiesta della Commissione Giustizia, di istituire una Commissione Senatoriale, o richiedere un Consigliere Speciale, che sarà nominato dal Dipartimento di Giustizia, per indagare su Cadavere. Nel frattempo, per certificare il vincitore delle presidenziali, sono necessari due voti del collegio elettorale, ad un mese di distanza. Queste votazioni avverranno nel mezzo di una o forse due indagini incentrate su Cadavere. Qualsiasi Stato rappresentato al collegio elettorale può opporsi all’investitura di un Cadavere sotto inchiesta; in questo caso sarebbe illegale per quello stato consentire ai suoi grandi elettori di certificare i risultati presidenziali dello Stato. Cadavere potrebbe anche essere messo sotto impeachment dal suo stesso partito, in base al 25° Emendamento, a causa del suo irreversibile declino mentale. Il caos risultante dovrebbe essere risolto da una Corte Suprema di tendenza Rossa. Non esattamente il risultato sperato da Blu.
    Il nocciolo della questione è che questo gioco di think-tank trascende sia Rosso che Blu. Riguarda il gioco finale del Deep State. Non c’è niente come una massiccia operazione psicologica in un’arena del Wrestling sotto il segno del divide et impera per scatenare una guerra dei poveri, con metà della folla che si ribella contro quello che percepisce come un governo illegittimo. Lo 0,00001% intanto osserva comodamente dall’alto una carneficina non solo metaforica. Anche se il Deep State, usando i seguaci di Blu, non avrebbe mai permesso a nome in codice Buffone di prevalere, ancora una volta, il divide et impera potrebbe essere visto come il risultato meno disastroso per il resto del mondo. In teoria, un contesto di guerra civile distrarrebbe lo Stato Profondo dal bombardare altri paesi nel Sud del mondo, vista la distopica farsa di “democrazia” che sta mettendo in atto. Oppure, un blocco all’interno dell’Impero del Caos potrebbe incoraggiare ancora più avventure all’estero, come indispensabile diversivo, necessario per mandare avanti la baracca.
    (Pepe Escobar, “Banana Follies: la madre di tutte le Rivoluzioni Colorate”, da “Unz.com” del 6 novembre 2020, articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).

    Indiscrezioni su un’esercitazione per una Rivoluzione Colorata perfetta e autoctona, nome in codice Blu, sono trapelate da un importante think tank che ha la propria sede nelle stesse contrade imperiali che, per prime, avevano concepito l’idea di Rivoluzione Colorata. Non tutte le informazioni che divulgheremo sul’esercitazione Blu sono state declassificate. Questo potrebbe suscitare una dura risposta da parte del Deep State, anche se uno scenario simile era già stato esplorato da un’organizzazione chiamata Transition Integrity Project. Entrambi gli scenari dovrebbero essere considerati una sorta programmazione predittiva, con il Deep State che prepara in anticipo l’opinione pubblica su come andranno esattamente le cose. Le regole standard del manuale della perfetta Rivoluzione Colorata, di solito, la fanno iniziare nella capitale dello Stato-nazione X, durante una tornata elettorale, con i “ribelli” che combattono per la libertà e che godono del pieno sostegno dei media nazionali ed internazionali. Blu riguarda un’elezione presidenziale nel regno dell’Egemone. Nella simulazione, il presidente in carica, nome in codice Buffone, è di colore rosso. Lo sfidante, nome in codice Cadavere, è di colore blu.

  • Magaldi: ma gli Usa restano nel solco tracciato da Trump

    Scritto il 10/11/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Avviso ai naviganti: al netto delle chiacchiere, l’America non uscirà dalla rotta tracciata da Trump. Chi aveva puntato su “The Donald” per fermare il “partito cinese”, diretto da massoni neoaristocratici ostili alla democrazia e pronti a usare il Covid contro di noi, non ha affatto perso. Prima ancora del voto, infatti, Joe Biden – presidente già “eletto” dai media a reti unificate, nonché dall’establishment gobale (tranne la Russia) – ha accettato di condividere la sua eventuale presidenza con un “direttorio”, informale ma determinante, deciso a proseguire sulla linea indicata proprio da Trump, sia rispetto alla Cina che in materia di politica economica. Lo afferma ufficialmente Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela il ruolo fondamentale delle superlogge dietro le quinte dei governi. Magaldi è anche il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che negli Usa ha sostenuto Trump, contro le pulsioni oligarchiche dell’establishment “dem”, che ormai è “progressista” solo in apparenza. All’indomani del voto, la situazione è ancora condizionata dall’incognita giudiziaria. «Tutto è possibile, non escludo nessun colpo di scena», premette Magaldi: Donald Trump potrebbe clamorosamente restare alla Casa Bianca, se avessero successo i suoi ricorsi sui presunti brogli a favore di Biden.
    «Certo – aggiunge Magaldi – si tratta di capire se i brogli sono tali e tanti da giustificare un ribaltamento, perché in alcuni Stati lo scarto a favore di Biden si è rivelato più significativo di quello che sembrava». Innanzitutto, aggiunge il “rooseveltiano” Magaldi, l’analisi del voto «non ci restituisce certo quello che i sondaggi farlocchi avevano proposto, cioè un distacco incolmabile tra Biden e Trump». Al contrario: «Tutto si è giocato sul filo del rasoio: altro che “plebiscito contro Trump”». Riguardo alle contestazioni sulla regolarità del voto, «perfettamente lecite, da parte di Trump», per Magaldi «è semplicemente ridicolo il racconto mediatico di molti», secondo cui “non ci sarebbero le prove”, degli eventuali brogli. Ai grandi media, tutti schierati contro «il “puzzone” della Casa Bianca, il fascio-razzista, il puttaniere Trump», Magaldi rivolge una domanda: «Ma scusate, se ci sono stati brogli adesso lo decidete voi giornalisti, malamente informati o già pregiudizialmente ostili a Trump?». Suvvia: «Lo decideranno evidentemente dei giudici, a fronte di elementi probatori che saranno proposti dai legali di Trump. E il loro coordinatore, Rudolph Giuliani (che non è certo l’ultimo dei cretini) saprà certamente il fatto suo».
    Aggiunge Magaldi: «Trump ha incrementato moltissimo il suo consenso. E senza i voti postali, francamente, avrebbe vinto. Quindi è naturale lasciargli la possibilità di contestare che, in mezzo a quei voti, vi sia una parte significativa di schede truccate». Se dovesse sbilanciarsi in un pronostico, Magaldi propende però per Biden: immagina che, alla fine, l’anziano uomo-ombra verrà confermato presidente degli Stati Uniti. Ma aggiunge: «Vista la situazione, io consiglio a Trump di giocare fino in fondo la carta della verifica dei possibili brogli». Pur da aperto sostenitore dell’avventura trumpiana, il presidente del Movimento Roosevelt non è pessimista: «Credo che la situazione si configuri in termini non malvagi, da parte di coloro che non erano tifosi né di Trump, né di Biden, che è stato un mediocre rappresentante, moderato, di un Partito Democratico come quello americano, che di progressista ha poco o nulla». Joe Biden «è stato un uomo che ha puntellato politiche neoliberiste, come sottolineato da un attento osservatore del calibro di Federico Rampini, e non hai brillato da nessun punto di vista, in senso progressista». In questa campagna presidenziale «è stato una navicella, mossa da onde più grandi di lui: il “partito cinese”, elementi conservatori dei “democrat” e altri interessi ancora». Con quale risultato?
    Se sarà presidente, «non darà un’impronta incisiva alla politica americana», scandisce Magaldi: «Quello che accadrà, di decisivo, sarà invece frutto di decisioni collegiali, da parte di chi ha la chiara visione di ciò che va fatto». E cioè: «Contenere la prepotenza del “partito cinese”, continuando sulla strada di Trump». Si tratta di decisioni assunte in modo bipartisan dietro il sipario, prima del voto. «Anche sul piano interno, alcune delle buone misure prese da Trump verranno confermate». Semmai, con Biden, «ci sarebbe una patina, nemmeno sgradevole, di maggiore rilassatezza, per esempio nei rapporti con l’Europa». Ci sarà forse «una maggiore severità (ma non intransigenza) nei rapporti con la Russia», nello scacchiere geopolitico. E ci sarà «una maggiore distensione rispetto ai temi dei diritti civili, che peraltro lo stesso Trump non si è mai sognato di restringere, in alcun modo».
    Magaldi, poi, smentisce la rappresentazione (molto mediatica) di un Donald Trump in queste ore “assediato”, nella solitudine della Casa Bianca. «L’isolamento di Trump è una baggianata: tra i campioni repubblicani che si sono precipitati dal presidente per chiedergli di fare il bel gesto di riconoscere la vittoria di Biden ci sono due suoi acerrimi nemici», vale a dire Mitt Romney («candidato regolarmente “trombato”, nelle sue aspirazioni presidenziali») e l’imbarazzante George W. Bush, «la cui famiglia è stata sempre uno dei bersagli polemici di Trump: che infatti militava tra i democratici, quando il Partito Repubblicano era egemonizzato dalla famiglia massonica dei Bush». E poi, siamo seri: «Il consenso di Trump va ben oltre il controllo dei vecchi notabili repubblicani. Non è affatto isolato, Trump. E se vuole, potrà svolgere un’azione politica incisiva anche da candidato sconfitto». Semmai, aggiunge Magaldi, Trump può essere criticato per non esser stato abbastanza duro con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha preteso di prevaricare la politica: «Non bastava sbattere la porta in faccia all’Oms “cinese” e negarle i fondi: occorreva fondare un’altra Oms, autorevole. E bisognava prendere a calci nel sedere un personaggio come Anthony Fauci, ma Trump non ha osato farlo».
    Altra pecca, alcune «zavorre» di cui Trump non ha saputo liberarsi: «Per esempio, il gruppo dei suprematisti bianchi e vari altri estremisti, “arruolati” nel 2016 di concerto con Steve Bannon». Ulteriori danni, secondo Magaldi, li avrebbe provocati il complottismo a fette grosse di Q-Anon, «che vaneggia di improbabili giustizieri a caccia di pedo-satanisti». Inoltre, Trump ha anche ricevuto una probabile «polpetta avvelenata»: cioè la lettera di monsignor Carlo Maria Viganò, con il suo appello apocalittico contro il male, i “figli delle tenebre” nascosti dietro la candidatura Biden. «Il massone Trump ha accolto quella missiva senza battere ciglio, nonostante fosse un condensato di idee reazionarie e massonofobiche, antimoderne, antisecolari, anti-laiche». Sicuri, si domanda Magaldi, che la lettera di Viganò abbia aiutato Trump a fare il pieno di voti cattolici? «C’è da chiedersi che invece, dopo quel documento, molti cattolici americani non abbiano preferito votare Biden». L’autore di “Massoni” contesta anche l’abuso dell’espressione “Deep State”, largamente impiegata da compagni di viaggio (da Viganò a Q-Anon) di cui, secondo Magaldi, Trump avrebbe potuto e dovuto fare a meno.
    «Il termine “Deep State” è usato appositamente per non utilizzare l’altro: “back-office” del potere, da me impiegato nel libro “Massoni”». Spiega Magaldi: «”Deep State” fa pensare a qualcosa di torbido e illegale, mentre il back-office è l’ordinario retrobottega». Nessun mistero: «Il potere vero è ordinariamente dietro le quinte, ma non è affatto impenetrabile né impossibile da raccontare. “Deep State”, invece, indica una soggettività sfuggente. E poi non esiste un Deep State unico, così come non esiste un back-office unico: c’è infatti un back-office che ha supportato Trump (e lo supporterà ancora) e un back-office che l’ha combattuto». Quanto a Joe Biden, «fa i conti con tutti i tipi di back-office e di Deep State». Però – questa è la notizia – il candidato democratico «è già venuto a patti con il back-office progressista, perché non poteva fare altrimenti». E questo, sottolinea Magaldi, «ci mette al riparo dal pericolo che la Casa Bianca torni a essere prona al “partito cinese”, che ha illustri esponenti statunitensi». In ogni caso, ribadisce il leader “rooseveltiano”, «non c’è da preoccuparsi troppo di ciò che Biden potrà disfare, di quel che di buono ha fatto Trump. Ci si preoccupi, piuttosto, di indirizzare l’eventuale presidenza Biden».
    A favore del presidente uscente, Gioele Magaldi spende parole nettissime: «Ritengo che abbia ben operato, e che meritasse una riconferma. Per questo dico grazie, a Trump, per quello che ha fatto: la strada da lui segnata è importante e non reversibile». In sintesi: «Ha fatto quello che gli era stato richiesto: è stato un perfetto “guastatore”, sul palcoscenico globale. Ha svolto il suo mandato molto bene. Ha agito sul piano geopolitico mettendo sull’attenti la Cina e destrutturando la globalizzazione taroccata, iniqua, antidemocratica e antisindacale, priva dei connotati minimi accettabili in un orizzonte politicamente corretto (come quello che piace a coloro che hanno demonizzato Trump in questi anni)». “The Donald”, nei fatti, «è stato un grimaldello per destrutturare il potere globale della Cina». Non solo: «Aveva rilanciato molto bene l’economia statunitense, anche attraverso la doverosa riduzione delle tasse e svariati interventi sull’occupazione». Si avviava dunque a una rielezione scontata, facile. «A quel punto – aggiunge Magaldi – qualcuno (leggasi: gruppi di interessi convergenti) ha scatenato “l’ira di Dio”, nel mondo, per conseguire finalità diverse. Tra queste: impedire la rielezione di Trump».
    Per “ira di Dio”, Magaldi intende «l’operazione epocale nella quale siamo inseriti», innescata «dal confezionamento e dalla diffusione di questo coronavirus», seguito a ruota «dalla gestione politica, mediatica, culturale, antropologica e di psicologia collettiva», imposta con la cosiddetta emergenza pademica. «Una gestione ferocemente manipolatoria, fasulla e mistificatrice, il cui primo obiettivo (impedire la rielezione di Trump) è stato per ora conseguito, sia pure in termini risicati, mentre l’altro obiettivo – quello vero: trovarsi un presidente “amico” – non è stato affatto raggiunto». Racconta Magaldi: «I circuiti massonici progressisti hanno preso le opportune contromisure». L’eventuale presidenza Biden «non sarà prona ai desiderata del “partito cinese” sovranazionale e non farà sconti al sistema-Cina». Accanto all’ammistrazione «ci sarà un comitato discreto, un collegio di “fratelli” e “sorelle”, concordato già da prima, che elaborerà insieme a Biden le linee della geopolitica statunitense dei prossimi anni».
    Una sconfitta, quindi, per quel “partito cinese” che sperava – eliminando Trump – di spianare la strada a una riappacificazione con la Cina di Xi Jinping, «quindi con quel sistema-Cina già entrato nella globalizzazione in modo iniquo e gravido di conseguenze per tanti occidentali, dove le classi lavoratrici e i ceti medi hanno sofferto moltissimo della concorrenza sleale dei manufatti e dei servizi cinesi». L’idea, insomma, era quella di portare alla Casa Bianca un “amico” di questo “partito cinese” globale, «che non è il Partito Comunista Cinese ma un network composto da americani, inglesi, francesi, tedeschi, giapponesi, indiani e arabi, oltre che cinesi». Ma – in attesa dei ricorsi giudiziari nel frattempo presentati – Magaldi non vuole comunque parlare di Trump al passato. «Ci vorrà tempo – dice – ma potrebbe mettere a frutto i tuoi tantissimi consensi, e magari proporsi per il 2024 portando con sé, come vicepresidente, quel Robert Kennedy Jr. che è “eretico”, rispetto all’establishment democratico, almeno quanto Trump lo è stato nei confronti della dirigenza repubblicana».
    Trump-Kennedy? Il figlio di Bob Kennedy «rappresenta certamente una famiglia progressista di governo, ed è anche parte di una “famiglia” massonica progressista». Insieme, secondo Magaldi, i due potrebbero sparigliare le carte. «Kennedy Jr. si è messo per mille ragioni in contrasto coi gruppi di potere oggi predominanti, nel Partito Democratico: gruppi massonici di ascendenza neoaristocratica». Al di là di queste giornate ancora occupate dai contenziosi legali, che teoricamente potrebbero anche ribaltare la situazione, Gioele Magaldi allunga lo sguardo: «Donald Trump ha ancora da giocarsi una grande partita, sullo scenario della storia. E spero che lo faccia, cominciando a tessere una trama che potrebbe proprio essere quella di un ticket con Kennedy: un compagno di strada inusitato, che – come Trump – travalica i generi». Per Magaldi, «un ticket così farebbe davvero sognare, e libererebbe da tante zavorre la prospettiva di un Trump che si ripresentasse alle elezioni nel 2024».

    Avviso ai naviganti: al netto delle chiacchiere, l’America non uscirà dalla rotta tracciata da Trump. Chi aveva puntato su “The Donald” per fermare il “partito cinese”, diretto da massoni neoaristocratici ostili alla democrazia e pronti a usare il Covid contro di noi, non ha affatto perso. Prima ancora del voto, infatti, Joe Biden – presidente già “eletto” dai media a reti unificate, nonché dall’establishment gobale (tranne la Russia) – ha accettato di condividere la sua eventuale presidenza con un “direttorio”, informale ma determinante, deciso a proseguire sulla linea indicata proprio da Trump, sia rispetto alla Cina che in materia di politica economica. Lo afferma ufficialmente Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che svela il ruolo fondamentale delle superlogge dietro le quinte dei governi. Magaldi è anche il frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale che negli Usa ha sostenuto Trump, contro le pulsioni oligarchiche dell’establishment “dem”, che ormai è “progressista” solo in apparenza. All’indomani del voto, la situazione è ancora condizionata dall’incognita giudiziaria. «Tutto è possibile, non escludo nessun colpo di scena», premette Magaldi: Donald Trump potrebbe clamorosamente restare alla Casa Bianca, se avessero successo i suoi ricorsi sui presunti brogli a favore di Biden.

  • Trump contesta Biden: il popolo ha diritto a elezioni oneste

    Scritto il 09/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Sappiamo tutti perché Joe Biden si sta affrettando a fingersi falsamente vincitore e perché i suoi alleati dei media stanno cercando così duramente di aiutarlo: non vogliono che la verità sia rivelata». E’ una dichiarazione di guerra, quella con cui Donald Trump il 7 novembre ha risposto all’acclamazione (mediatica) di Joe Biden. «Il semplice fatto è che queste elezioni sono tutt’altro che terminate», precisa il presidente uscente, deciso a non riconoscere nel candidato democratico il vero “winner” delle presidenziali 2020. «Joe Biden non è stato certificato come il vincitore, per non parlare di nessuno degli Stati altamente contestati, diretti a riconteggi obbligatori, o Stati in cui la nostra campagna ha sfide legali valide e legittime che potrebbero determinare il vincitore finale». Poi, Trump si sofferma su alcuni dei casi più contestati: «In Pennsylvania, ad esempio, ai nostri osservatori legali non è stato consentito un accesso significativo per osservare il processo di conteggio». Sintetizza l’uomo tuttora insediato alla Casa Bianca: «I voti legali decidono chi è presidente, non i media». E annuncia: a partire da lunedì 9 novembre, «la nostra campagna inizierà a perseguire il nostro caso in tribunale, per garantire che le leggi elettorali siano pienamente rispettate e che il legittimo vincitore sia insediato».
    Nell’ultima comunicazione ufficiale, Trump ribadisce la sua linea irremovibile: «Il popolo americano ha diritto a un’elezione onesta: ciò significa contare tutte le schede legali e non contare le schede illegali. Questo – sottolinea – è l’unico modo per garantire che il pubblico abbia piena fiducia nelle nostre elezioni». Durissima l’accusa rivolta agli avversari: «Rimane scioccante che la campagna di Biden si rifiuti di concordare con questo principio di base – scrive Trump – e voglia che le schede siano contate anche se sono fraudolente, fabbricate o espresse da elettori non ammissibili o deceduti». Un’imputazione frontalmente imbarazzante: Trump parla del voto postale “fabbricato in serie”, pervenuto fuori tempo massimo o addirittura inautentico, persino confezionato attribuendo le schede a cittadini morti da tempo. «Solo una parte coinvolta in azioni illecite terrebbe illegalmente gli osservatori fuori dalla sala di conteggio e poi combatterebbe in tribunale per bloccarne l’accesso», aggiunge Trump. «Allora – si domanda – cosa nasconde Biden?». La chiosa è più che una promessa: «Non mi fermerò – averte Trump – finché il popolo americano non avrà il numero di voti onesto che merita e che la democrazia richiede».
    A suffragio delle tesi di Trump, i suoi sostenitori citano “pacchi di schede” a spasso per l’America, nonché la gaffe di Biden, che avrebbe annunciato “la più grande frode elettorale della storia” (intendendo invece “la più grande sorpresa”). Soprattutto, i trumpiani ricordano le uscite delle due principali lady democratiche, alla vigilia dell’election-day: Hillary Clinton aveva dichiarato di aver chiesto a Biden di non riconoscere in nessun caso l’eventuale vittoria di Trump, mentre a Nancy Pelosi era scappato detto che, scrutinio a parte, alla fine avrebbe vinto Biden, in un modo o nell’altro. Imbarazzante e senza precedenti l’atteggiamento dei media: anche se per legge il presidente viene proclamato solo a dicembre, dal voto parlamentare dei grandi elettori, stampa e network televisivi (insieme a molti politici anche europei, come l’eurocommissario italiano Paolo Gentiloni) si sono affrettati a “incoronare” Biden, esprimendo sollievo per la “sconfitta” di Trump, ancora una volta presentato come il male assoluto. Peggio ancora: Twitter ha oscurato i messaggi di Trump, e la “Cnn” è arrivata a interrompere una diretta del presidente, togliendogli l’audio e smentendolo in tempo reale, avendo “deciso” che le sue contestazioni sarebbero infondate, leggibili solo come la riprovevole ostinazione dello sconfitto che non vuole arrendersi all’evidenza.
    A proposito di evidenza: il primo dato che emerge è che il presidente uscente ci mette la faccia, mettendo a rischio la tenuta della nazione, per sostenere la tesi dei brogli che avrebbero avvantaggiato Biden. Escludendo l’instabilità mentale, questo potrebbe significare una sola cosa: e cioè che Trump sia realmente convinto di poter dimostrare le sue gravissime accuse, innanzitutto in sede legale, a costo di far impallidire i sospetti di manipolazione elettorale rivolti a paesi come la deprecata Bielorussia. C’è davvero qualcosa di indicibile, nelle urne del 2020, se non ci si ferma neppure di fronte al rischio di lesionare in modo forse irreparabile il prestigio democratico della superpotenza? L’atteggiamento di Trump – inaudito, ma non del tutto inatteso, da parte di un politico ininterrottamente dipinto come “mostro” da tutto il mainstream politico-mediatico – conferma i peggiori timori di chi vede un complotto mondiale dietro la stessa gestione dell’epidemia Covid, che Trump ha contestato fin dall’inizio. Ricorda l’economista Ilaria Bifarini: Trump è la prima, vera vittima politica del coronavirus, perché – avendo centrato il record della piena occupazione – senza il virus avrebbe stravinto. Sempre ammesso, appunto, che la partita non sia ancora finita.

    «Sappiamo tutti perché Joe Biden si sta affrettando a fingersi falsamente vincitore e perché i suoi alleati dei media stanno cercando così duramente di aiutarlo: non vogliono che la verità sia rivelata». E’ una dichiarazione di guerra, quella con cui Donald Trump il 7 novembre ha risposto all’acclamazione (mediatica) di Joe Biden. «Il semplice fatto è che queste elezioni sono tutt’altro che terminate», precisa il presidente uscente, deciso a non riconoscere nel candidato democratico il vero “winner” delle presidenziali 2020. «Joe Biden non è stato certificato come il vincitore, per non parlare di nessuno degli Stati altamente contestati, diretti a riconteggi obbligatori, o Stati in cui la nostra campagna ha sfide legali valide e legittime che potrebbero determinare il vincitore finale». Poi, Trump si sofferma su alcuni dei casi più contestati: «In Pennsylvania, ad esempio, ai nostri osservatori legali non è stato consentito un accesso significativo per osservare il processo di conteggio». Sintetizza l’uomo tuttora insediato alla Casa Bianca: «I voti legali decidono chi è presidente, non i media». E annuncia: a partire da lunedì 9 novembre, «la nostra campagna inizierà a perseguire il nostro caso in tribunale, per garantire che le leggi elettorali siano pienamente rispettate e che il legittimo vincitore sia insediato».

  • Golpe e brogli, al Great Reset serve l’America senza Trump

    Scritto il 08/11/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Stava tutto procedendo apparentemente senza alcun intralcio. Il conteggio delle schede nel cuore della notte elettorale americana del 3 novembre sembrava procedere senza particolari difficoltà. Ad un tratto, qualcosa di imprevedibile è accaduto. In cinque diversi Stati chiave che da sempre sono decisivi per assegnare la presidenza degli Stati Uniti, gli scrutatori smettono di contare. Tutti quanti, allo stesso identico momento. Non si è mai visto in una elezione americana. In quel momento, Trump aveva guadagnato già 213 grandi elettori contro i 225 di Biden. Trump era in vantaggio in tutti e cinque gli Stati chiave. Se il conteggio fosse andato avanti senza intralci, il presidente in carica avrebbe superato agevolmente la quota necessaria di 270 voti per restare alla Casa Bianca. Invece è arrivato il segnale. Tutti hanno smesso di contare. Occorreva sabotare la probabile vittoria di Trump. E’ stato in quel momento che si è messa in moto quella che probabilmente può essere definita la più grande macchina di frode elettorale mai vista negli Usa. Joe Biden, il candidato democratico campione di gaffe, se l’era lasciato scappare prima delle elezioni americane. Aveva confessato che il suo partito e il Deep State avevano allestito “la più grossa organizzazione di frode elettorale” mai vista nella storia d’America.
    Non appena il conteggio si è interrotto e sono iniziati ad arrivare nel cuore della notte i famigerati voti postali, non è stato difficile capire che quanto detto da Joe Biden stava iniziando ad avverarsi. In Wisconsin, sono arrivati ad urne chiuse 169mila voti postali e tutti sono andati a Joe Biden. Il 100%. Biden dunque sembra essere il primo candidato della storia che è stato in grado di non lasciare agli avversari nemmeno un voto. In Michigan, altro Stato chiave, sono arrivati a notte fonda altri 200mila voti postali che sono andati tutti anch’essi a Joe Biden. A quanto pare, tutti quelli che votano per posta sono “stranamente” tutti elettori di Biden. Il sospetto di frode elettorale è iniziato a diventare sempre più concreto. Trump si è presentato davanti alla telecamere e ha iniziato a denunciare quanto stava accadendo. Non si era mai visto che il conteggio fosse sospeso contemporaneamente e che fossero conteggiati voti che invece non avrebbero dovuti essere nemmeno presi in considerazione perché giunti a tempo scaduto. La portata della frode elettorale sembra avere dimensioni ancora più grandi di quelle già riscontrate. Sono state mostrate le prove di come abbiano votato per posta persone morte nel 1984 e che oggi, se fossero in vita, avrebbero 120 anni.
    La macchina della frode elettorale che vuole mettere a tutti i costi Joe Biden nella Casa Bianca è stata in grado di far votare i morti per il suo candidato. Gli stessi esponenti del partito lo avevano annunciato. Nancy Pelosi, già nota per aver avviato il tentativo illegale di impeachment contro Trump rovinosamente naufragato al Senato, aveva detto chiaramente che indipendentemente dal conteggio dei voti, Biden il 20 gennaio avrebbe giurato come prossimo presidente degli Stati Uniti. Il Deep State dunque aveva già preso la sua decisione. Trump, in un modo o nell’altro, doveva lasciare la Casa Bianca. Gli annunci e i piani del sistema erano stati condivisi già nei mesi passati. Il think-tank “Transition Integrity Project”, del quale fanno parte massimi esponenti dell’establishment come John Podesta, già consigliere di Hillary Clinton, aveva elaborato uno scenario che prevedeva l’intervento delle forze armate qualora Trump si fosse rifiutato di lasciare la Casa Bianca in caso di sconfitta. La sconfitta nella loro idea sarebbe stata il risultato di una elezione truccata.
    Il Deep State ovviamente già sapeva che Trump non avrebbe accettato la frode e si sarebbe opposto e qui, secondo i piani dei falchi di Washington, dovrebbero entrare in gioco gli elementi militari del Pentagono al soldo del Deep State per rimuovere il comandante in capo con la forza. Il tentativo di golpe in atto dunque era stato ampiamente preparato e i media mainstream ne fanno parte pienamente. Sono loro infatti che stanno completamente censurando le notizie e i fatti che riguardano i brogli avvenuti in America, e sono sempre loro che stanno facendo passare il falso messaggio di un Joe Biden che si avvicina alla Casa Bianca senza la minima ombra di irregolarità. I media ormai hanno assunto la funzione di agenti della sovversione impegnati platealmente nel tentativo di rovesciare un capo di Stato. I social si sono uniti nel piano quando in questo stesso momento stanno censurando apertamente i tweet del presidente degli Stati Uniti. E’ una manovra a tenaglia. Tutte le derivazioni del sistema stanno attaccando in branco Donald Trump per costringerlo a firmare la resa e a lasciare la Casa Bianca.
    Trump comunque non era impreparato a questa eventualità. Sapeva che la palude del Deep State avrebbe cercato di rimuoverlo con la forza. Sapeva che tutte le istituzioni asservite da tempo al mondialismo avrebbero dato vita al più grande tentativo di sovversione mai visto in America e nel mondo. Il presidente ha preso le sue dovute contromisure. Nelle schede elettorali sembra siano stati inseriti degli isotopi non radioattivi per distinguerle dalle schede fasulle che sono in circolazione. Fonti molto vicine all’amministrazione Trump hanno fatto sapere allo stesso tempo che le prove di questo complotto sono semplicemente enormi e che il presidente risolverà la questione nel giro di 1-2 settimane davanti alle corti competenti. Trump non si lascerà rubare l’elezione. Il comandante in capo sapeva già in anticipo che avrebbero tentato questa enorme frode, e ha lasciato che il Deep State andasse avanti. Ora avrà l’occasione di dimostrare al mondo intero quanto è corrotto il sistema e potrà dare un altro colpo mortale agli eversori presenti nei palazzi del potere. Trump, più semplicemente, ha dato abbastanza corda al Deep State perché potesse impiccarsi con le sue mani.
    Il Nuovo Ordine Mondiale non vuole perdere l’America. Questo è comunque il disperato e, probabilmente ultimo, colpo di coda di un sistema profondamente marcio e infetto. Il mondialismo ha scatenato tutta la sua furia e ha dato il segnale ai suoi agenti infiltrati praticamente in ogni istituzione nazionale per rovesciare l’esito del voto. Il mondialismo sta giocando questa ultima carta per cercare di riprendersi disperatamente il controllo dell’America. Non era previsto, nei loro piani, che la Casa Bianca finisse in un mano ad un uomo che ha interrotto il duopolio dei presidenti repubblicani e democratici scelti tra le stanze del gruppo Bilderberg o tra i boschi della California nel raduno del Bohemian Grove, dal quale sono usciti almeno quattro presidenti come Nixon, Reagan, Clinton e Bush. L’America è stata per decenni saldamente nelle mani del Nuovo Ordine Mondiale. E’ stato questa rete di potere bancario, finanziario, industriale e militare a decidere il percorso di questa nazione. Prima ancora che la Seconda Guerra Mondiale volgesse al termine, la massoneria aveva già stabilito da tempo che l’America avrebbe avuto la missione di condurre il mondo verso il Nuovo Ordine Mondiale.
    Manly P. Hall, uno dei massoni più influenti al mondo, scrisse nel 1944 un libro intitolato “Il destino segreto dell’America”, nel quale spiegava perfettamente quali erano le intezione delle élite massoniche per l’America. Il destino segreto di questa nazione era quello di farsi guida del disegno mondialista. La superpotenza economica e militare di questo paese è stata utilizzata come arma di disciplina nei confronti delle altre nazioni che non hanno voluto obbedire agli ordini di Washington. Il Deep State è stato il braccio armato operativo che ha avuto il compito di rovesciare i governi e invadere militarmente i paesi che si rifiutavano di servire gli interessi della cabala globalista. L’interventismo americano è stato una diretta conseguenza della volontà mondialista. Occorreva un gigante militare ed economico che fosse in grado di schiacciare tutti coloro che si fossero messi sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale. Il potere massonico scelse l’America.
    Chiunque si sia messo sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale ha pagato un caro prezzo. Salvador Allende, il presidente del Cile, fu rovesciato in un colpo di Stato nel 1973 orchestrato dalla Cia e supervisionato da Henry Kissinger, allora segretario di Stato nell’amministrazione Nixon, per via della sua intenzione di nazionalizzare le riserve di rame. Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e già ministro degli Esteri, fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 dopo aver ricevuto minacce di morte proprio dallo stesso Kissinger che lo considerava un intralcio verso i piani del potere mondialista per l’Italia stabiliti dal Club di Roma. Il Club di Roma, altro potentissimo organo del globalismo fondato da Rockefeller, decretò infatti già negli anni’70 che l’Italia avrebbe dovuto essere deindustrializzata e denatalizzata per favorire la definitiva ascesa del Nuovo Ordine Mondiale, verso il quale l’esistenza della culla del cristianesimo mondiale e dell’Antica Roma, rappresenta un maggiore ostacolo.
    La storia degli Stati Uniti non è stata altro pertanto che quella di una nazione caduta nelle mani di una camarilla di politici corrotti asserviti ai desiderata di questo disegno. Gli Usa, in altre parole sono stati, loro malgrado, il sicario del mondialismo. La presidenza Trump ha segnato il divorzio dell’America dal globalismo. Il settimanale britannico “L’Economist”, partecipato dai Rothschild, la famiglia più potente tra quelle mondialiste, e dagli Elkann, lo scrisse chiaramente qualche tempo fa. La presenza di Trump alla Casa Bianca mette a rischio il proseguimento del Nuovo Ordine Mondiale. Donald Trump stesso ne spiegò le ragioni in un consesso dell’Onu, la struttura deputata nell’idea globalista a diventare la base del futuro governo mondiale. Trump in quell’occasione disse che la missione di una nazione era quella di difendere la propria sovranità, non di rinunciarvi per accondiscendere ad un interesse sovranazionale. Soprattutto, il presidente americano disse in quel contesto che occorreva guardarsi dalle insidie della governance globale quanto da quelle di altre forme di coercizione. E’ un discorso che ha delle analogie straordinarie con quella di un’altra orazione tenuta proprio da Salvador Allende nel 1972 sempre davanti alle Nazioni Unite.
    Il presidente del Cile disse in quell’occasione che un nuovo nemico stava nascendo tra la comunità internazionale. Un nemico che non aveva le sembianze di una potenza nazionale, ma piuttosto quelle di una cabala occulta composta da potere bancario, industriale e militare. E’ questo club privato che minaccia la vita e la prosperità delle nazioni e che vuole schiavizzare l’umanità intera. Questo sistema composto dalle grandi famiglie di banchieri internazionali, su tutti i Rothschild e i Rockefeller, e da tutti i gruppi di pressione da loro finanziati, come l’Aspen Institute o il Consiglio delle Relazioni Estere, è la più grave minaccia che incombe sul mondo e sui popoli di tutti le nazioni. L’ideologia che ispira queste grandi famiglie e questi gruppi è profondamente anticristiana e si richiama apertamente all’esoterismo satanico. Questa epoca storica che si sta vivendo è una nella quale stanno emergendo alla luce del giorno le pratiche del satanismo. La abominevole pratica della pedofilia, un tempo bandita, inizia ad essere sdoganata apertamente. Ovunque pullulano i richiami al satanismo e si vedono delle riviste che tessono gli elogi della Chiesa di Satana, fondata da Anton LaVey, occultista molto vicino al mondo di Hollywood. Ora questo sistema è pronto a tutto pur di arrivare al suo obbiettivo e ha annunciato apertamente qual è il proposito finale.
    Il mondialismo vuole arrivare al Grande Reset dei debiti privati che non è altro che la maniera definitiva per spogliare l’umanità di tutti i suoi beni e giungere così alla fine della proprietà privata. Coloro che si opporranno saranno deportati nei campi di concentramento sanitari fino a quando non accetteranno le condizioni economiche impostegli e la somministrazione del vaccino obbligatorio. L’ultimo passaggio del Nuovo Ordine Mondiale è quello che porta alla schiavitù totale. Questa ideologia non ammette dissenso. Non c’è libero arbitrio in questo mondo, ma solo automi privati delle loro facoltà intellettive capaci solo di eseguire degli ordini, anche i più brutali e insensati. Per poter arrivare però alla realizzazione di questo disegno autoritario globale, occorre riprendersi la Casa Bianca. Il Grande Reset non potrà manifestarsi se la superpotenza americana lascerà definitivamente il mondialismo e userà tutta la sua forza per impedire che il mondo cada nelle mani del totalitarismo più oppressivo e criminale della storia dell’umanità. E’ per questo che negli Stati Uniti c’è un colpo di Stato in atto. E’ la mossa eversiva della disperazione che questa società occulta sta tentando per forzare disperatamente la mano. L’operazione coronavirus ha aperto quella finestra di opportunità che il sistema stava cercando da tempo.
    David Rockefeller alle Nazioni Unite nel 1994 disse che era necessario una sorta di evento catalizzatore per costringere le nazioni ad accettare il Nuovo Ordine Mondiale. Quella crisi è arrivata. L’operazione terroristica del Covid si può definire l’11 Settembre del mondo. Il tempo però sta stringendo. Klaus Schwab, uno degli esponenti più influenti di Davos, altro gruppo in prima fila del mondialismo, ha parlato di una “stretta finestra di opportunità” messa a disposizione dalla falsa emergenza sanitaria. Quella finestra potrebbe richiudersi molto in fretta se Trump resta alla Casa Bianca. Le forze occulte dunque si sono scatenate nel tentativo di rovesciare il presidente in carica. Ora in questo momento occorre restare con i nervi saldi. Monsignor Viganò, nella sua ultima lettera, ha esortato chiaramente a non lasciarsi prendere dallo sconforto. Era prevedibile che l’altra parte desse vita a qualcosa del genere. Questa cabala incarna il male assoluto e ordisce qualsiasi inganno pur di arrivare ai propri scopi. La battaglia tra i figli della luce e quelli delle tenebre è giunta dunque al momento decisivo. Adesso occorre resistere più che mai. Lo scontro contro le forze occulte si intensificherà ancora di più nei prossimi giorni. Il Nuovo Ordine Mondiale può ancora essere fermato. La partita non è ancora chiusa.
    (Cesare Sacchetti, “Colpo di Stato negli Usa: il Nuovo Ordine Mondiale non vuole lasciare andare l’America. Trump pronto alla controffensiva”, dal blog “La Cruna dell’Ago” del 6 novembre 2020).

    Stava tutto procedendo apparentemente senza alcun intralcio. Il conteggio delle schede nel cuore della notte elettorale americana del 3 novembre sembrava procedere senza particolari difficoltà. Ad un tratto, qualcosa di imprevedibile è accaduto. In cinque diversi Stati chiave che da sempre sono decisivi per assegnare la presidenza degli Stati Uniti, gli scrutatori smettono di contare. Tutti quanti, allo stesso identico momento. Non si è mai visto in una elezione americana. In quel momento, Trump aveva guadagnato già 213 grandi elettori contro i 225 di Biden. Trump era in vantaggio in tutti e cinque gli Stati chiave. Se il conteggio fosse andato avanti senza intralci, il presidente in carica avrebbe superato agevolmente la quota necessaria di 270 voti per restare alla Casa Bianca. Invece è arrivato il segnale. Tutti hanno smesso di contare. Occorreva sabotare la probabile vittoria di Trump. E’ stato in quel momento che si è messa in moto quella che probabilmente può essere definita la più grande macchina di frode elettorale mai vista negli Usa. Joe Biden, il candidato democratico campione di gaffe, se l’era lasciato scappare prima delle elezioni americane. Aveva confessato che il suo partito e il Deep State avevano allestito “la più grossa organizzazione di frode elettorale” mai vista nella storia d’America.

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