Archivio del Tag ‘Stato’
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Riforma? No, truffa. Ma la legge siamo noi: cacciamoli
Oggi voglio parlarvi di una truffa e di una aggressione di cui sono vittime milioni di italiani, in queste ore. Chi sono i truffatori? Si chiamano: Bersani, Alfano, Casini. Chi sono gli aggressori? Monti e Fornero – come simboli, diciamo; tanto per non far nomi. Che cos’è questa truffa? E’ la cosiddetta riforma del lavoro. Riforma? Questo è un classico esempio della neo-lingua di Orwell. Una volta, “riforma” significava: cambiamento in positivo. Adesso, “riforma” significa: aggressione. Questa riforma è un’aggressione, ma la chiamano riforma. La cosa che colpisce più di tutte è la pantomima alla quale stiamo assistendo, con la complicità naturalmente di gran parte dei media – ma questo ormai è scontato, e chi mi segue sa che io considero il “mainstream” la cloaca nella quale è stata gettata la democrazia italiana.
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Bello pagare le tasse? Grillo: dipende dall’uso che se ne fa
«Le tasse sono bellissime». Lo disse Padoa Schioppa. Io però aggiungerei: «Dipende dall’uso che se ne fa!». Le tasse per comprare cacciabombardieri, per finanziare finte missioni di pace in Iraq e in Afghanistan, per i rimborsi elettorali di un miliardo di euro ai partiti, per le centinaia di milioni di contributi ai giornali? Per i vitalizi dei parlamentari ottenuti dopo una legislatura, per tenere in piedi le Province, per i costi da monarchia rinascimentale del Quirinale, per le Grandi Opere Inutili come la Tav, la Gronda o Expo 2015? Per i maxi emolumenti dei parlamentari, dei consiglieri regionali e provinciali, per le doppie e triple pensioni, per centinaia di migliaia di auto blu? Potrei continuare per ore.
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Cittadini, vi rubiamo tutto. Non l’avete capito? Cazzi vostri
Cittadini – lasciate che vi chiami così anche se tutti sappiamo che siete servi, schiavi, sudditi – però voglio chiamarvi cittadini per non umiliarvi inutilmente. Dunque: cittadini, noi siamo la classe padronale al governo e c’abbiamo ‘na grave responsabilità: dobbiamo dirvi che c’è una grossissima crisi – irreversibile: non possiamo darvi speranze. Be’, intanto noi vi mandavamo in miniera, vi riempivamo i polmoni di biossido di silicico; voi crepavate, però vostra moglie otteneva la reversibilità della pensione: però, oggi, questo non ve lo potete più permettere. Cittadini, un tempo vi mandavamo in fabbrica; noi vi facevamo lavorare quattro, cinque, sei, sette, otto, anche nove ore; sapevamo che dopo quattro ore avevate prodotto tanto quanto bastava per far vivere dignitosamente tanto voi quanto noi; ma noi vi sfruttavamo in fabbrica e utilizzavamo il vostro plus-lavoro per ottenere un plus-valore che ci intascavamo alla faccia vostra.
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Piazza Fontana, cine-romanzo di un’occasione sprecata?
Una docu-fiction tipo Rai Storia, ma in versione lusso e con tesi non dimostrate? La differenza la fanno soprattutto i due protagonisti, Valerio Mastrandrea nei panni del commissario Luigi Calabresi e Pierfrancesco Favino, che incarna la vittima dell’indagine, cioè l’ex partigiano, ferroviere e attivista anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano il 15 dicembre 1969. La tragedia scoppiò al termine di un fermo illegalmente prolungato per tre giorni e scattato poche ore dopo la strage di piazza Fontana, che fece 17 morti e 88 feriti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Attentato che segnò l’inizio della “strategia della tensione” scatenata in Italia per fermare l’avanzata democratica della sinistra e scongiurare il rischio che potesse andare il governo il Pci, ancora formalmente collegato al grande nemico degli Usa e della Nato, l’Unione Sovietica.
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La fine di Bossi, la Resistenza e i tecnocrati del tricolore
Correva l’anno 1997, il comandante partigiano era calabrese ma la sua divisione aveva difeso dai nazifascisti le montagne del Piemonte, intorno alla valle di Susa. Era una piccola armata mista, fatta di piemontesi e di “terroni” come il primo organizzatore dei ribelli, l’alpino abruzzese che li aveva raggruppati in montagna dopo l’8 settembre del ’43. Allora, i nemici che avevano di fronte erano due: fascisti e tedeschi. Ma quel giorno del ’97, il nemico divenne uno solo: l’esercito nazista. Le brigate nere furono semplicemente cancellate dalla memoria ufficiale. Italiani-contro? Guerra civile? Niente: colpo di spugna. Una storia troppo pericolosa da ricordare, dato che nell’aria spirava un altro “vento del Nord”, quello della secessione leghista. Meglio dunque fingere che la Resistenza fosse stata solo una guerra patriottica. Peccato che il massimo cerimoniere della mistificazione fosse nientemeno che l’uomo del Colle, il presidente della Repubblica.
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Ladroni a casa nostra, Lerner: crudele nemesi padana
L’indecoroso epilogo della “rivoluzione” leghista, scivolata dalle valli del Nord nella bambagia governativa di Roma, e poi giù fino al paradiso speculativo della Tanzania, deturpa irrimediabilmente la biografia di Umberto Bossi. Il leader politico che si pretendeva addirittura fondatore di una nazione – dice Gad Lerner – viene accusato ora di avere usufruito di soldi pubblici, denaro non contabilizzato, anche per sostenere i costi della sua famiglia: il suo vero punto debole, da quando il Senatùr «s’è adoperato nel tentativo di perpetuare il suo carisma per via dinastica nell’inadeguata figura del figlio Renzo». Proprio lui che aveva fatto della sobrietà popolana la sua cifra esistenziale, continua Lerner su “Repubblica” il 4 aprile, avrebbe commesso leggerezze mai digerite dalla base militante, come la casa in Sardegna intestata al sindacato padano di cui è segretaria la sua “badante” Rosi Mauro.
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Diaz, undici anni dopo: chi ha paura di quel film-verità?
La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci, gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini su “Repubblica” il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
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Traditi ed esodati: non accettate caramelle dalla Fornero
Gli è stato detto «ti diamo uno scivolo per la pensione», «ti paghiamo due anni di stipendio se firmi l’esodo volontario dall’azienda», «non devi avere preoccupazioni per il tuo futuro perché dopo ti aspetta la pensione»; 350.000 persone vicine ai sessant’anni hanno creduto, hanno accettato e ora si trovano “esodate” dopo la riforma della pensione del Governate di Varese. L’esodato non lavora e non è pensionato. L’azienda che se ne è liberata non lo vuole indietro neppure con il lifting. E’ un aspirante barbone che deve fare una marcia nel deserto senza reddito per 5/6/8 anni senza un euro in tasca. Gli esodati tengono di solito una famiglia da mantenere. Il numero di chi è finito nel limbo della miseria va almeno moltiplicato per due. Quindi 700.000. Le dimensioni di una grande città italiana. Come farà a sopravvivere questa gente? Si venderà la casa se ne ha una o vivrà di carità?
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Sorpresa, l’Italia regalò miliardi a Morgan Stanley: perché?
Oltre due miliardi e mezzo di euro – l’equivalente di mezza riforma delle pensioni – finiti in gran silenzio nelle casse della Morgan Stanley, super-banca americana, in virtù di una strana clausola stipulata nel lontano 1994, quando a dirigere le operazioni era un certo Mario Draghi, allora a capo dello staff tecnico del Tesoro. Ora che lo Stato italiano ha versato tutti quei soldi alla Morgan, dice Gad Lerner sul suo blog, è lecito domandarsi: chi prese all’epoca quella decisione? E in base a quali motivazioni? Secondo il “Financial Times”, negli anni ’90 la banca d’affari americana vendette al governo italiano una montagna di “titoli derivati” facendo ricorso a un’insolita clausola legale, a tutto vantaggio del colosso finanziario statunitense: libero di sciogliere l’impegno non appena avesse cessato di garantirgli maxi-rendite, scaricate poi sul debito e quindi sulle tasse degli italiani.
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Napolitano, il finto tonto: se l’arbitro tifa contro di noi
Ma davvero il presidente della Repubblica ha il potere di intimare alle parti sociali di rinunciare a “qualsiasi interesse o calcolo particolare”, cioè di non rappresentare più le categorie che dovrebbero rappresentare, per inchinarsi alla cosiddetta riforma dell’articolo 18 unilateralmente imposta dal governo del prof. Monti e della sig.ra Fornero con l’inedita formula del “prendere o prendere”? Ma dove sta scritto che quella cosiddetta riforma è buona? Ma chi l’ha stabilito che risolverà “i problemi del mondo del lavoro e dei nostri giovani”? Ma chi l’ha detto che “sarebbe grave la mancanza di un accordo con le parti sociali”? Ma, se “sarebbe grave la mancanza di un accordo”, perché il capo dello Stato non dice al governo di ritirare la sua proposta che non trova l’accordo delle parti sociali, anziché dire alle parti sociali di appecoronarsi alla proposta del governo in nome di un accordo purchessia?
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Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani
I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano». Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».
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La domenica delle salme: e noi non decidiamo più niente
“Il ministro dei temporali, in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”. E’ la nostra eterna “domenica delle salme”: cambiano solo le Repubbliche e i nomi dei ministri, ma i temporali evocano lo stesso suono di campane a morto. L’unica differenza percepibile è il peggioramento costante, e senza più neppure la consolazione civile di cantori come Fabrizio De André, che sapevano – loro sì – maneggiare parole difficili come verità, libertà, dignità. Il Brasile non consegna all’Italia l’ex terrorista Battisti perché il nano-premier è il primo a sparare sulla giustizia italiana, scriveva il coro del mainstream, affollato di “regine del tua culpa”. Oggi Berlusconi non c’è più, eppure gli inglesi fanno scorrere sangue italiano in Nigeria senza neppure avvertire Roma, messa alla gogna mondiale con l’arresto di due marò in India.