Archivio del Tag ‘tecnocrati’
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Spolpare l’Italia: solo Salvini e Meloni contro il piano-Draghi
Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probibile aumento dell’Iva.A completare il quadro, i ministeri-colabrodo da cui escono le notizie: questo è un governo che non gode della leale collaborazione di molti dirigenti e funzionari ministeriali, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Certo Salvini ha vinto, alle europee, ma non ha stravinto. Altro dato: una parte della magistratura gli ha dichiarato guerra. Lo dimostra il dissequestro della nave Sea Watch, ampiamente previsto dallo stesso Carpeoro: «Un bell’escamotage, per scavalcare il ministro dell’interno. Prima si sequestra la nave, sottraendola così al controllo del governo. Poi si fanno sbarcare i migranti, e infine si dissequestra il natante. Risultato: tutti i migranti entrano in Italia, alla faccia di Salvini, e senza che nessun altro paese europeo si assuma l’onere dell’accoglienza». Tutto questo, senza contare la “guerriglia” dei 5 Stelle pro-Ong. «Stanno cercando di spingere Salvini, in ogni modo, a far saltare il governo». Ed è esattamente l’obiettivo numero uno dell’eurocrazia, che sogna di insediare Mario Draghi – in autunno – al posto di Giuseppe Conte. Obiettivo: «Finire di svendere l’Italia, cioè la metà che ancora ci resta, facendoci fare la fine della Grecia». Dettaglio: vorrebbero mettere le mani anche sui nostri beni culturali. E soprattutto: impedire che vengano un giorno conteggiati, come patrimonio di altissimo valore anche finanziario, nel rating dell’Italia. «Portaci via anche i beni culturali sarebbe la “soluzione finale”, come quella attuata da Hitler per annientare gli ebrei».Per Carpeoro, la situazione è gravissima. Uno dei problemi si chiama Luigi Di Maio: «Non che avessi molta fiducia in lui, ma si è dimostrato uno zero assoluto. E se hai degli zeri, anziché degli statisti, dove speri di andare?». Molto meglio Salvini, oggi al centro di un autentico assedio, su ogni fronte (politico, mediatico, giudiziario). «Ma nemmeno Salvini è adeguato alla situazione», ammette Carpeoro: al leader della Lega mancano l’esatta visione della situazione e una sufficiente capacità di proiezione nel futuro. Molta tattica, ma senza una vera strategia. Nel gioco s’è infilato in contropiede l’anziano Berlusconi, che per uscire dall’angolo s’è inventato la carta Draghi: «Una mossa abile e raffinata per tornare ad avere un ruolo politico, in questo caso alleandosi con la tecnocrazia Ue». Ma nemmeno Berlusconi ha fatto bene i suoi conti: «Si è presentato come il garante dell’ordine europeo, è vero, ma non ha capito che l’Europa non ha nessuna paura del sovranismo. In più, dalle elezioni la burocrazia Ue è uscita rafforzata, non certo indebolita».Forse, il Cavaliere riuscirà davvero a spianare a Draghi la strada per Palazzo Chigi (nel caso, con la determinante collaborazione dei poteri forti, Quirinale e Bankitalia in testa, aiutati dall’impennarsi dello spread e dal consueto gioco al massacro delle agenzie di rating). Ma alla fine Forza Italia si sfalderà: «E’ un partito pieno di Casini e di Alfani, tutta gente con la valigia sempre pronta». I grillini? Ormai in caduta verticale: la base non riesce a esprimere un’alternativa alla sciagurata leadership di Di Maio, «telecomandato da un Davide Casaleggio che ormai si consulta regolarmente con personaggi come Tajani e Jacques Attali, l’eminenza grigia di Macron». Il Pd zingarettiano? Encefalogramma politicamente piatto: si limita a sperare che Conte (cioè Salvini) cada, lasciando il posto a Draghi. «E con Draghi, Salvini non avrebbe nessuna possibilità di sopravvivenza, al governo». Unica chance: «Lui e la Meloni hanno i numeri per tentare di resistere, ed entrambi hanno forti ambizioni personali». Escluse, ovviamente, le elezioni anticipate: Salvini e Meloni vincerebbero, potendo poi governare insieme. Come finirà? Male, secondo Carpeoro, perché – tanto per cambiare – mezza Europa spera di banchettare sul cadavere dell’Italia, dopo aver spolpalto gli italiani con il consueto appoggio dei “collaborazionisti” interni. «Duecento anni fa, l’Italia non esisteva neppure: era in mano a signorotti che si vendevano allo straniero per far fuori lo starerello confinante. Non è cambiata molto, la situazione». E oggi stiamo per toccare il fondo, con una crisi sociale che minaccia di farsi devastante. «Se non altro, più scuro di mezzanotte non può fare. E ormai ci siamo».Solo Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbero scongiurare l’avvento a Palazzo Chigi di Mario Draghi, invocato da Berlusconi per affondare il traballante governo gialloverde e recuperare così un ruolo politico ammiccando alla tecnocrazia europea. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, che ha accesso a fonti riservate nell’ambito del circuito massonico internazionale. Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette a fuoco la “sovragestione” che pilota i destini europei (con l’Italia il più delle volte nel ruolo di vittima), Carpeoro era stato il primo, alla vigilia delle europee, a lanciare l’allarme-Draghi: la supermassoneria reazionaria, in cui il presidente della Bce milita, sta aumentando la pressione su Super-Mario perché accetti di formare un governo “lacrime e sangue”, come quello di Monti. Le premesse ci sono tutte: l’alleanza gialloverde è al capolinea, e la crisi economica – già seria, anche a causa del mancato ampliamento del deficit – è destinata ad aggravarsi in modo artificioso, attraverso la sapiente regia politica dello spread. La solita tenaglia finanziaria, preannunciata direttamente dai tecnocrati di Bruxelles: lo provano le fughe di notizie sulle “letterine” della Commissione Europea che prospettano una severa punizione per il nostro paese, costretto a tagli sanguinosi e al probabile aumento dell’Iva.
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Tav Torino-Lione, la bancarotta italiana dei politici falliti
Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). Non si può dire altrettanto del governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati e ora è ridotto a mendicare clemenza da Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamarebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.Stato confusionale: agli italiani avevano raccontato che la morale fa a pugni con la politica. E in nome di una pretesa moralità (la loro) hanno rottamato la politica (sempre la loro, quella che avevano lasciato intravedere nella vaga tuttologia dei loro non-programmi). Nebbiogeni su ogni cosa, i 5 Stelle: armamenti, vaccini, Europa, economia, grandi opere. Laddove sono stati costretti a esprimersi in modo chiaro – il Tap, gli F-35, l’obbligo vaccinale – si sono rimangiati la parola nel modo più plateale. Salvo ricorrere alla farsa nel caso del loro ultimo cavallo di battaglia, il reddito di cittadinanza, ridotto a caricatura stracciona di qualcosa che un tempo si sarebbe definito welfare. L’ultimo passo verso il baratro attende i 5 Stelle in valle di Susa, dove lo stesso Grillo – dal 2005 in poi – ha coltivato personalmemte, con grande impegno, il seme del Partito degli Onesti, schierandosi contro la maxi-opera più inutile d’Europa. Il ministro Toninelli è stato letteralmente fatto a pezzi – sui media – per aver osato compiere l’azione più sensata possibile: affidare il verdetto sulla fattibilità a una autorevole commissione di tecnici. Una scelta che sarebbe normale, in mondo normale. Un atto eroico, invece, nel caso italiano. Scontato, peraltro, l’esito dell’analisi costi-benefici: la Torino-Lione (costosissima e devastante per l’ambiente) sarebbe una ferrovia completamente inutile.E’ diventato un totem, il progetto Tav Torino-Lione. Se ne parla da più di vent’anni, ma del tunnel Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sull’ipotetica infrastruttura per le merci (perfetto doppione della linea Torino-Lione già esistente, deserta per assenza di merci da trasportare) si sono versati fiumi di parole bugiarde: la più colossale operazione di disinformazione attuata in Italia negli ultimi anni. Lo confermano le recenti elezioni regionali piemontesi, dove proprio il fantasma del Tav valsusino è stato elevato – da tutti i principali attori, centrodestra e centrosinistra, Chiamparino e Zingaretti, Salvini e Meloni – al rango di entità salvifica, pressoché metafisica, nemmeno fosse una sorta di Piano Marshall per il Piemonte. Poche centinaia di addetti, per la sola durata dei cantieri. Un suicidio economico, tranne che per la ristretta filiera degli appalti. Verità a tutti nota, stra-dimostrata da studi autorevolissimi, eppure risolutamente negata. Il maxi-obbrobrio servirebbe solo ad arricchire i suoi costruttori: è stato calcolato che ogni singolo operaio costerebbe un milione di euro, data l’enormità della spesa e l’esiguità del profilo occupazionale. Ma peggio: in vent’anni, i governi a favore dell’opera – di qualsiasi colore – si sono sempre rifiutati di spiegarne l’eventuale utilità. Un silenzio assordante, che non si è interrotto neppure quando la valle di Susa è diventata un problema di ordine pubblico. Nessuna spiegazione, mai, sul perché aprire quei cantieri. Solo slogan, depistaggi, insulti.Insifignicante sul piano strategico ma doloroso sotto l’aspetto finanziario, il progetto Tav Torino-Lione è diventato l’emblema del fallimento italiano: sovranità democratica confiscata con la forza della menzogna. Modelli economici falliti, partiti falliti, politici falliti: al Piemonte (4,3 milioni di abitanti) si continua a raccontare che, senza quella linea ferroviaria – destinata a restare deserta in eterno – la regione precipiterà nella miseria. L’unica forza politica capace di opporsi a questa menzogna orwelliana è stato il Movimento 5 Stelle, che ora però gli elettori piemontesi hanno punito, relegandolo nel recinto umiliante del 13% dei consensi. In pratica – ha concluso Salvini – è stato un referendum sulla Torino-Lione. Si preparano dunque ad avviarla, finalmente, l’inutile follia. Chi resta, a guardia della ragione? Luigi Di Maio, solo lui. Un mini-leader dimezzato, rintronato dalla disfatta, cannibalizzato dall’alleato di governo. In altre parole, inerme. Ma telecomandato, come sempre, da Grillo e Casaleggio. Vista l’attitudine al voltafaccia su qualsiasi impegno, è facile attendersi che i 5 Stelle capitoleranno, infine, anche sul Tav valsusino, imposto dall’oligarchia europea che ha piegato il paese. Il fallimento dell’Italia, a quel punto, raggiungerà la perfezione anche sul piano simbolico. Non ci sono alternative, diceva la Thatcher. Non ce ne sono davvero, se manca un pensiero politico capace di progettare il futuro partendo dalla giustizia sociale.Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). E il governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati, ora è ridotto a mendicare clemenza a Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamerebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.
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Finti sovranisti, innocui: il banco vince sempre, anche in Ue
Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.I problemi economici (recessione, disoccupazione, indebitamento) sono stati presentati alla base come frutto di un’errata o avara posizione della cricca eurocratica, e come se si trattasse di conquistare il diritto a fare più deficit, e senza prospettare un piano B per il caso che le cose non cambieranno. Non è stata denunciata la monopolizzazione privatistica del potere monetario e finanziario nelle mani di un cartello sovranazionale, il quale ha da decenni deciso una politica globale di restrizione dello sviluppo reale, di finanziarizzazione della società e della politica, di centralizzazione del potere delle proprie mani, di sottomissione delle istituzioni, dei governi, dei parlamenti, attraverso il loro indebitamento programmato e a strozzo che li rende ricattabili e burattinabili, con enormi incrementi nella diseguaglianza, che hanno portato una minuscola élite al controllo della maggioranza del reddito e della ricchezza, e massacrato i diritti dei lavoratori. E poi li chiamano “populisti”.Neppure si è messo in discussione, prospettando un piano B per il caso di rifiuto dei dovuti correttivi, lo statuto e la gestione delle Bce, né la politica bancaria-monetaria europea che assegna all’Italia metà della liquidità pro capite che dà alla Francia e alla Germania, né il sistematicamente mancato rispetto tedesco dei limiti di surplus commerciale. Il problema dell’immigrazione è stato presentato e travisato in termini di mercanti di esseri umani, di affarismo dell’accoglienza e di abuso da parte degli stessi migranti. Non hanno spiegato, perché non si potevano mettere in urto con Cina, Francia, Belgio e altri paesi, che l’immigrazione sostitutiva di massa, o invasione, è spinta dal fatto che la Cina si sta accaparrandosi le terre africane, e gli occidentali le materie prime; e tutto questo produce le ondate di migranti economici e conflitti che degenerano in croniche guerre e guerriglie locali.Questi due problemi fondamentali, quello economico e quello migratorio, hanno cause e interessi retrostanti così potenti che non si possono nominare al grande pubblico, né li si può additare come avversari da combattere, ma si additano cause e colpevoli abbordabili. I partiti politici “sovranisti” e “populisti” italiani non hanno nemmeno messo in discussione l’impostazione di fondo dell’Unione Europea che, sin dalla sua progettazione, che, sotto la pelle d’agnello di Ventotene, pianifica e sta attuando la concentrazione del potere e delle risorse del continente nelle sue aree più efficienti, ossia in Germania e parte della Francia e dell’Olanda, a spese degli altri paesi. Nessuno ha descritto gli effetti e la funzione dell’Euro a questo disegno strategico, intenzionale. Nessuno ha promesso che porterà l’Italia fuori dall’euro, se l’euro non verrà riformato in modo tale che non abbia più quell’effetto. Nessuno ha fatto un conto oggettivo dei danni e benefici dell’Ue (politica agricola, politica fiscale, politica monetaria): sarebbe stato troppo rivelatore! Dove sono allora il sovranismo e il populismo, all’atto pratico?I partiti creduti sovranisti non sono realmente sovranisti anche perché non hanno messo in luce il problema della posizione appunto subalterna dell’Italia rispetto agli interessi di altri paesi dell’Ue, non hanno proposto una soluzione realistica a questa condizione che ci condanna alla sistematica e progressiva spoliazione e deindustrializzazione e africanizzazione. Si sono limitati a dire che avranno più forza nel Parlamento Europeo, mentre in ogni caso i vari partiti “sovranisti” europei sono e rimangono una minoranza in quel Parlamento, e sono divisi tra loro perché portatori di interessi nazionali in buona parte contrapposti. Non è che Lega e 5 Stelle stiano sprecando le opportunità per mettere in luce e in discussione un sistema di potere contrario agli interessi nazionali: stanno semplicemente evitando di scontrarsi con esso per non essere licenziate. Almeno fino ad oggi.(Marco Della Luna, “Il Banco vince sempre”, dal blog di Della Luna del 27 maggio 2019).Il risultato delle elezioni europee ‘migliora’ il quadro politico sia nazionale che continentale, ma solo marginalmente, perché come sempre ha vinto il Banco, cioè la Banca, essendo il gioco truccato. Cattolici, liberali, socialisti, nazionalisti e “sovranisti” si sono tenuti tutti all’interno del perimetro del modello, delle regole e dei meccanismi del capitalismo finanziario mondialista e della sua gerarchia di scopi e poteri, senza metterli in discussione, sebbene sappiano benissimo che sono essi il fomite dei mali sociali, economici ed ecologici che hanno promesso di risolvere – mali che hanno prudentemente imputato ad altre cause. Nessuno di essi è antisistema. Hanno recitato entro il teatrino delle divergenze predisposto per loro, entro il range di posizioni (fintamente) critiche autorizzato dal potere reale. Dietro la facciata di apparente alternatività tra le forze politiche in lizza elettorale, questo dato di fondo le accomuna tutte: tutte hanno cooperato nello spiegare al popolo bue i problemi che lo affliggono, dall’economia all’immigrazione, in termini irrealistici, semplicistici, emotivi – termini fuorvianti, quindi innocui per gli interessi forti. La politica, infatti, è l’arte del possibile, del pragmatismo, che, per raccogliere voti, si fa credere altro.
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Da Bossi in poi, i “guerrieri” li sceglie il potere. E li votiamo
La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.In cosa consiste il progetto della sovragestione? Partiamo dall’89, anche se la storia inizia molto, molto prima. Dopo il crollo del Muro di Berlino lo scenario geopolitico internazionale è mutato e il network dei poteri forti ha favorito ufficialmente, e non più sottotraccia, il vento delle nuove destre, ora tecnofinanziarie, ora populiste, ora di centrodestra, ora di centrosinistra, trasversali e apolidi. In Italia Tangentopoli è stato lo spartiacque tra il vecchio sistema oramai in putrefazione e la nuova classe dirigente, è stata l’occasione di aggiornare il sistema in termini dispotici, seguendo un paradigma liberista neocon, neo-aristocratico, di austerity, di svuotamento dell’apparato statale, di destrutturazione dello Stato Sociale, di impoverimento progressivo delle classi sociali; modello perseguito da tutto l’arco politico costituzionale, trasversalmente e senza distinzioni degne di nota. La Sovragestione del progetto di quella che sarebbe diventata la cosiddetta 2° Repubblica nasce molto prima, già prevista alcuni decenni fa; ed era facile previsione, perché dopo 20 anni di future austerity e di politiche economiche anti-statali, anti-sovraniste, di impoverimento del ceto medio, gli elettori si sarebbero naturalmente spostati negli anni verso contenitori populisti.E infatti, e per tempo, è corsa ai ripari, plasmando fin da subito negli anni ‘80 una forza che sarebbe cresciuta negli anni a venire: la Lega Nord, “pensata” dall’ideologo Miglio in contrapposizione proprio a quello statalismo italico, nata come formazione secessionista, anticipando su scala nazionale quell’Europa su due livelli, oggi cruda realtà, quindi cresciuta in un’ottica ed in una visione anti-sovranista, anti-statale e filogermanica. Quello fu il primo baluardo, il primo virus introdotto nel corpo morente italico. Contemporaneamente, fu la volta di Berlusconi che è stato il primo vero populista vincente e aggiornatore del palinsesto culturale, mentre il Pd si occupò della svendita del Belpaese e di inseguire anch’esso politiche liberiste neocon; fino alla creazione dei 5 Stelle, nati come contenitore moderno e di passaggio del dissenso popolare, oggi in crisi e forse al termine di un percorso che li ha visti utili idioti di una Sovragestione che li ha strumentalizzati, utilizzati e poi scaricati.Trent’anni di malapolitica imposta dalla Sovragestione hanno quindi favorito la pancia e la rabbia dell’elettorato che, anche a suon di propaganda divisoria, basata sulla paura e sull’odio, ha premiato oggi partiti come Lega e Fdi. Nessuna sorpresa, è andato tutto come doveva andare, in maniera assolutamente naturale e pacifica, senza alcuna sbavatura. Prossimo passo sarà quello di alzare finalmente l’asticella del consentito, ovvero l’affermazione sempre più ampia delle nuove destre in Europa e in tutti gli Stati che la compongono, diventando la longa manus di quella Sovragestione che da decenni manovra e favorisce mutazioni genetiche, per implementare politiche repressive, avviare la militarizzazione del territorio e aggiornare il sistema proprio in direzione di quell’Ordine Mondiale globalista che alcuni, forse, si sono scordati esista.Il centrosinistra e il centrodestra sono stati utilizzati in questi anni per implementare politiche liberiste e cambiare i connotati culturali, economici e sociali del paese; oggi il macro-potere della Sovragestione conclude il progetto proprio attraverso gli apparenti nemici di sempre, in realtà le sue inconsapevoli sentinelle, oggi preposte ad aggiornare lo stesso sistema di ieri e a renderlo sempre più elitario, sofisticato e potente. E’ la coda che si ricongiunge con la bocca della serpe, i contenitori del dissenso finto-rivoluzionari creati dalla testa per sostituirla e rendere eterno lo schema del potere. Un po’ come tirare una pietra dalla cima di un monte e lasciare che essa crei l’effetto domino della valanga; così funziona la Sovragestione…(Simone Galgano, “Le affinità elettive della sovragestione”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 27 maggio 2019).La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.
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Ha vinto l’astensionismo: manca la verità che serve all’Italia
Qualcuno può credere davvero che Matteo Salvini, con alle spalle il 17% degli italiani, possa sfidare il “mostro tecnocratico” di Bruxelles trovando finalmente il coraggio di rivendicare più deficit, rinunciando al devastante aumento dell’Iva atteso per l’autunno? Al di là dei clamori mediatici e del trionfalismo fuori luogo del capo della Lega, va ricordato che l’ex Carroccio ha rimediato sì un largo successo, ma il peso del suo 34% va dimezzato se si tiene conto dell’astensionismo record: quasi un italiano su due ha disertato le urne. Al netto, Salvini ha raccolto 8 milioni di voti, mentre nel 2014 l’allora lanciatissimo Renzi ne ottenne oltre 11 milioni (più del 40% dei suffragi, e con un’affluenza superiore al 70%). Cos’è mancato, oggi? Una narrazione veritiera dell’eterna crisi italiana, in relazione al potere abusivo dell’Unione Europea. Cinque anni fa, Renzi stravinse sull’onda – non esattamente virtuosa – dell’elemosina degli 80 euro. Ma ancora non era nato il “governo del cambiamento”, che avrebbe avuto il merito, se non altro, di inserire finalmente il problema-Europa nell’agenda politica ufficiale del paese. Fino a sei mesi fa, tutti i sondaggi accreditavano il neonato esecutivo Conte di un consenso di almeno il 60%. Oggi, un italiano su due è rimasto a casa. E i gialloverdi sono ridiventati minoranza, nel paese.Quella di Luigi Di Maio è la maschera che meglio racconta il tracollo del 26 maggio, figlio di una delusione che ha assunto proporzioni catastrofiche. Troppe rinunce, fino ai veri propri tradimenti. Per esempio, il silenzio del governo – dopo gli iniziali proclami – sulle responsabilità dei Benetton nella tragedia di Genova. Per non parlare del voltafaccia in Puglia sul gasdotto Tap, o dell’ipocrisia della ministra grillina della sanità, Giulia Grillo, che ha beffato gli elettori free-vax convalidando l’obbligo vaccinale varato da Beatrice Lorenzin. Ma il capolavoro dei pentastellati è il reddito di cittadinanza, ridotto a tragica farsa: un’esigua “card” per lo shopping di pochissimi, anziché il vantato reddito universale (fruttato il plebiscito elettorale del 2018 al Sud, isole comprese). In più, temendo la concorrenza leghista, Di Maio ha imbracciato l’arma sleale del giustizialismo per azzoppare Armando Siri, l’inventore della Flax Tax, cioè l’unica misura che avrebbe permesso al governo di sventolare ancora la bandiera anti-rigore grazie a cui Lega e 5 Stelle avevano fatto il pieno, alle ultime politiche.Dove si sarebbe andati a parare, comunque, lo si poteva vedere da subito: Lega e 5 Stelle si sono piegati, già alla nascita dell’esecutivo, al diktat di Mattarella (ispirato da Draghi) per vietare a Paolo Savona l’ingresso al dicastero dell’economia. E Savona, secondo i piani, doveva essere il cervello del riscatto italiano nei confronti di Bruxelles. La vertenza con l’Ue si è trasformata in avanspettacolo, con la sceneggiata del deficit. La richiesta avrebbe dovuto sforare abbondantemente il mitico 3% di Maastricht, invece il governo s’è limitato a un penoso 2,4%. Per poi tornare a Roma con le pive nel sacco, mazziato e cornuto, rassegnato ad accontentarsi del 2,04. Una spesa troppo esigua per sperare che potesse risollevare il Pil in tempo utile, rilanciando l’economia. Di qui il degradante ripiego degli ultimi mesi, da parte di Lega e 5 Stelle: beccarsi a vicenda su questioni irrilevanti, giusto per distrarre l’opinione pubblica dal vero male italiano. Oggi Salvini promette di rimediare, cominciando – con un anno di ritardo – a fare quello che avrebbe dovuto fare dall’inizio, cioè contestare Bruxelles? Qualunque cosa decida, il capo della Lega, sa perfettamente che il governo non ha più con sé la maggioranza degli italiani. Stendendo un velo pietoso sull’opposizione (che si limita a sperare nell’arrivo di Draghi), la realtà dice che oggi gli elettori manifestano un disagio immenso: manca chi racconti al paese la verità sulla crisi determinata dall’Ue, e su come finalmente uscirne. Salvini ha convinto meno di due italiani su dieci. Un po’ poco, per affrontare la madre di tutte le battaglie.Qualcuno può credere davvero che Matteo Salvini, con alle spalle il 17% degli italiani, possa sfidare il “mostro tecnocratico” di Bruxelles trovando finalmente il coraggio di rivendicare più deficit, rinunciando al devastante aumento dell’Iva atteso per l’autunno? Al di là dei clamori mediatici e del trionfalismo fuori luogo del capo della Lega, va ricordato che l’ex Carroccio ha rimediato sì un largo successo, ma il peso del suo 34% va dimezzato se si tiene conto dell’astensionismo record: quasi un italiano su due ha disertato le urne. Al netto, Salvini ha raccolto 8 milioni di voti, mentre nel 2014 l’allora lanciatissimo Renzi ne ottenne oltre 11 milioni (più del 40% dei suffragi, e con un’affluenza superiore al 70%). Cos’è mancato, oggi? Una narrazione veritiera dell’eterna crisi italiana, in relazione al potere abusivo dell’Unione Europea. Cinque anni fa, Renzi stravinse sull’onda – non esattamente virtuosa – dell’elemosina degli 80 euro. Ma ancora non era nato il “governo del cambiamento”, che avrebbe avuto il merito, se non altro, di inserire finalmente il problema-Europa nell’agenda politica ufficiale del paese. Fino a sei mesi fa, tutti i sondaggi accreditavano il neonato esecutivo Conte di un consenso di almeno il 60%. Oggi, un italiano su due è rimasto a casa. E i gialloverdi sono ridiventati minoranza, nel paese.
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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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Magaldi: politica tribale, a fari spenti nella notte dell’Europa
Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?Per il presidente del Movimento Roosevelt, in campagna elettorale le forze in campo hanno dato una pessima prova di sé: il Pd ha puntato tutto sulla grottesca criminalizzazione della Lega, nemmeno fosse una reincarnazione del fascismo mussoliniano. Salvini, dal canto suo – persa la partita con Bruxelles sul deficit – se l’è presa coi negozietti di cannabis terapeutica, schierandosi coi più retrivi tradizionalisti (contro le famiglie gay) e agitando rosari e crocefissi nei comizi. «Per non parlare di Di Maio, la cui inadeguatezza come leader si è dimostrata lampante», dice Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Bel tomo, il portavoce dei grillini: prima flirta a Parigi coi Gilet Gialli irritando Macron, poi s’inchina alla Merkel (che proprio con Macron ha firmato il Trattato di Aquisgrana, celebrando lo strapotere nazionalistico dell’asse franco-tedesco, in barba allo spirito dell’Ue). Ma peggio: dall’alto dell’attuale 17% (un abisso: 6 milioni di voti persi per strada, in un anno), Di Maio «sarà contento dell’ipocrita crociata discriminatoria intrapresa contro i massoni», fingendo di non sapere che il governo gialloverde pullula di “grembiulini”. «E sarà contento di aver affossato Armando Siri, oggetto per ora di un semplice avviso di garanzia, facendo passare la Lega per una sorta di sentina del malaffare e agitando una pretesa moralità politica che, evidentemente, per i 5 Stelle viene prima della legge, della giustizia amministrata dallo Stato di diritto».Nella prima conferenza stampa post-elettorale, «irrisoria e propagandistica», Matteo Salvini ha fornito «un’irreale valutazione delle forze in campo in Europa». Poi in seconda battuta si è corretto, annunciando un impegno frontale sull’emergenza economica. Ma attenzione, avverte Magaldi: «Non è la prima volta che Salvini dice cose interessanti e poi, alla prova dei fatti, tutto si risolve in nulla». Il leader della Lega ha comunque annunciato di voler sfoderare in campo economico la stessa grinta finora esibita solo sul tema-immigrazione. Vuole dare un ruolo di rilievo a personaggi come Bagnai e Borghi, allo stesso Siri (Flat Tax) e ad Antonio Maria Rinaldi. La promessa: l’economia dev’essere al centro delle preoccupazioni della Lega nel governo italiano, guardando all’Europa. «Magari fosse così», commenta Magaldi. «Queste cose, comunque, le dovrebbero dire tutti, anche il Pd. Come sistema-paese, tutti dovrebbero essere più coesi nel rappresentare le esigenze del popolo italiano e del nostro territorio, che ha bisogno di ingenti investimenti per rilanciare l’occupazione. Tutto ciò accadrebbe, se davvero in Europa ci si preoccupasse della disoccupazione, del benessere dei popoli e della diminuzione delle disuguaglianze. Così non è stato, e così non è».Sulla carta, aggiunge Magaldi, le dichiarazioni di Salvini sono molto interessanti: «Sembra quasi che abbia ascoltato ciò che alla Lega andiamo dicendo da mesi, in pubblico e in privato. Cioè: a fare la differenza non sono gli atteggiamenti truci e smargiassi, ma l’impegno sui temi economici. E ripeto, vale anche per il Pd: non c’è speranza, per questo paese, senza un cambio di paradigma politico-economico». Se il neoliberismo resterà al potere – più tagli, più tasse – non cambierà proprio nulla, a Bruxelles. «Se però il Pse e lo stesso Pd ripartissero da Olof Palme, gigante della socialdemocrazia europea, rompendo con la “terza via” inaugurata dai vari Blair e Clinton, che ha prodotto solo rovine, allora persino il partito di Zingaretti avrebbe la chance di tornare a interpretare le esigenze di quel “popolo della sinistra” di cui parla benissimo il libro di Rampini, che racconta – senza sconti – quello che è stato il suicidio del centrosinistra mondiale, rispetto alla rappresentanza degli interessi degli ultimi. E’ ovvio che poi gli ultimi cerchino di essere rappresentati politicamente altrove, magari dai cosiddetti populisti». Ma il consenso non è per sempre, neppure in quel caso: lo racconta alla perfezione il crollo dei 5 Stelle, che in soli 12 mesi hanno dimezzato i loro voti. Motivo: «Il reddito di cittadinanza si è rivelato una presa in giro».Secondo Magaldi, un vero reddito universale – 500 euro a tutti, senza condizioni (con l’unico obbligo di spenderli, quei soldi) – sarebbe perfettamente sostenibile, perché farebbe volare i consumi, risollevando l’economia. I 5 Stelle pagano oggi in modo catastrofico la loro ambiguità, e sono anche riusciti a sabotare l’altro provvedimento anti-crisi – la Flat Tax – “gambizzando” il suo inventore, Armando Siri. Il Pd zingarettiano, dal canto suo, non ha ancora prounciato una sola parola di autocritica sull’infame tradimento della Seconda Repubblica, in cui il centosinistra – fino a Renzi e Gentiloni – ha svenduto i diritti sociali, dopo aver persino sostenuto il governo Monti e l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. Comodo, oggi, lamentarsi del successo di Salvini. Il quale, peraltro, non è ancora andato oltre i proclami, in materia economica. Cambierà qualcosa, dopo l’inutile bagarre elettorale delle europee? Solo ad un patto, dice Magaldi: che cessi la guerra per bande, di stampo tribale, che oppone i diversi partiti con toni più calcistici che politici. Sono soltanto alibi, per evitare di affrontare il vero problema: se non trovano il coraggio di sfidare il falso dogma del rigore, ancora di casa a Bruxelles, questi partiti consegneranno il paese al declino, alla rassegnazione più desolata di fronte a una crisi che sembra eterna.Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?
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L’Italia ha perso. Tomaiuolo: Salvini sarà ignorato dall’Ue
La vera notizia è che l’Italia ha perso: dopo il voto del 26 maggio, anziché migliorare, la situazione a Bruxelles sarà ancora peggiore, per noi. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, sulla pagina Facebook del Movimento Roosevelt. «Leggendo i commenti italiani dall’estero (mi trovo per lavoro per un paio di settimane in Germania) mi sembra sempre di più di vivere su Marte», scrive Tomaiuolo, che spiega: «Il nuovo Parlamento Europeo eleggerà palesemente un esecutivo ancor più europeista dei precedenti, visto che ci sarà inevitabilmente Alde nella nuova maggioranza». E quelli che in Germania sono i veri vincitori di questa consultazione, i Verdi, che pur non dovrebbero entrare in maggioranza, sono super-europeisti («e leggo sulla stampa italiana neo-salviniana l’opposto: ridicoli!»). Aggiunge Tomaiuolo: il fronte anti-Ue cresce, ma di poco – e solo grazie alla Lega. «Salvini e Orban, pur indiscussi trionfatori a casa, saranno emarginati in Europa». E l’Italia? «Sarà semplicemente ignorata». Sempre secondo Tomaiuolo, «chi crede che il “battere i pugni” o le scarpe sul tavolo “à la Chruščëv”, minacciare veti o sforamenti servirà a qualcosa, si inganna». Motivo? «Il tempo lavora contro l’Italia». Agli altri «basterà non far niente e attendere sulla riva del fiume il (nostro, purtroppo) cadavere. Ma questo, facile previsione, è esattamente ciò che avverrà».Una previsione elementare: «L’imminente disastro economico necessiterà di un colpevole da additare all’italico elettore, quindi – scrive ancora Tomaiuolo – mi aspetto ogni tipo di proposta creativa (che sanno perfettamente di poter fare, perché non passerà) e per un po’ questa strategia funzionerà». Secondo l’analista, il panorama europeo «è cambiato all’opposto di quanto sperava Salvini». Altro che “cambiamento”: «In Italia vedremo presto le ripercussioni nei grillini, che sempre più non si capisce chi siano, ma comunicano il nulla sotto vuoto spinto». L’elettorato ieri grillino è transitato in massa verso Salvini e in parte anche in direzione del Pd, che ha clamorosamente sorpassato – in modo netto – le truppe sgangherate di Di Maio. «Per fortuna vediamo il tramonto finale di Berlusconi (o almeno si spera)». Altro dettaglio significativo, l’affluenza elettorale: nel resto d’Europa è in crescita, mentre in Italia (in controtendenza) è in calo: troppi elettori, evidentemente, non si sentono adeguatamente rappresentati. «In Germania – chiosa Tomaiuolo – ho notato una grossa spinta europeista, in particolare in forma ambientalista e in particolare fra i giovani: non solo nelle urne, si nota ovunque».Non che mancassero, alla vigilia, le avvisaglie della tendenza emersa poi alle urne: la “carica” dei cosiddetti sovranisti sarebbe stata percepibile, ma non determinante. Risultato: il sistema di potere di Bruxelles avrebbe ulteriormente serrato i ranghi, e i numeri ora lo confermano. Quello italiano è stato finora l’unico governo “all’opposizione” di Bruxelles, ma non ha osato imporsi: ha ceduto persino sul modestissimo incremento del deficit inizialmente proposto. Di fronte a questo fallimento – e con la crisi econonica e sociale che si sta aggravando – Di Maio non ha trovato di meglio che attaccare Salvini a testa bassa, col campagne sleali come quella per ottenere le dimissioni di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax all’italiana. Dal canto suo, il leader della Lega ha ripiegato a sua volta su obiettivi risibili, come la mini-crociata contro i negozi di cannabis terapeutica. Per ora Salvini ha vinto, come previsto, la partita interna (e il costo della sconfitta, per Di Maio, ha assunto dimensioni catastrofiche). Il dato di fondo è che l’Italia non è riuscita a cambiare la politica di austerity presidiata dai signori di Bruxelles. E gli esiti elettorali annunciano che non riuscirà a farlo neppure domani. Anzi: la struttura di potere Ue potrebbe farsi ancora più arcigna. E coi 5 Stelle “asfaltati” da Salvini, potrebbe affacciarsi su Palazzo Chigi il fantasma di Mario Draghi.La vera notizia è che l’Italia ha perso: dopo il voto del 26 maggio, anziché migliorare, la situazione a Bruxelles sarà ancora peggiore, per noi. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, sulla pagina Facebook del Movimento Roosevelt. «Leggendo i commenti italiani dall’estero (mi trovo per lavoro per un paio di settimane in Germania) mi sembra sempre di più di vivere su Marte», scrive Tomaiuolo, che spiega: «Il nuovo Parlamento Europeo eleggerà palesemente un esecutivo ancor più europeista dei precedenti, visto che ci sarà inevitabilmente Alde nella nuova maggioranza». E quelli che in Germania sono i veri vincitori di questa consultazione, i Verdi, che pur non dovrebbero entrare in maggioranza, sono super-europeisti («e leggo sulla stampa italiana neo-salviniana l’opposto: ridicoli!»). Aggiunge Tomaiuolo: il fronte anti-Ue cresce, ma di poco – e solo grazie alla Lega. «Salvini e Orban, pur indiscussi trionfatori a casa, saranno emarginati in Europa». E l’Italia? «Sarà semplicemente ignorata». Sempre secondo Tomaiuolo, «chi crede che il “battere i pugni” o le scarpe sul tavolo “à la Chruščëv”, minacciare veti o sforamenti servirà a qualcosa, si inganna». Motivo? «Il tempo lavora contro l’Italia». Agli altri «basterà non far niente e attendere sulla riva del fiume il (nostro, purtroppo) cadavere. Ma questo, facile previsione, è esattamente ciò che avverrà».
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L’inutile boom di Salvini: a Bruxelles resta al potere il rigore
«Meteor-Matteo, il cazzaro che vince le europee saturando i media, è una replica in saldo. Rispetto a Renzi nel ’14, Salvini ha 7 punti in meno, e calcolata l’astensione il suo 34% in realtà significa meno di 2 elettori su 10. Al tramonto però anche i nani proiettano lunghe ombre». Così Alessandra Daniele su “Carmilla” commenta l’esito – largamente atteso – delle europee: la Lega sopra il 34% e il Pd che risale al 22,7 sorpassando i grillini, franati fino al 17%. «Il rovinoso crollo grillino è una replica renziana in fast-forward: in meno d’un anno di governo, il Movimento 5 Stelle Spente ha già perduto metà degli elettori». La primissima esperienza politico-mediatica di Beppe Grillo, ricorda la Daniele, fu commentare da comico una maratona elettorale nei primi anni ’80 dell’ascesa di Craxi. «Ieri sera, nessuno dei grillini ha avuto il coraggio di apparire davanti alle telecamere per commentare il suicidio di massa che hanno compiuto favorendo l’ascesa di Salvini. Il cerchio s’è chiuso». E Zingaretti? «Ha esultato molto più di quanto il misero recupero del suo partito lo autorizzasse a fare», specie dopo aver candidato “frontman” come Giuliano Pisapia e Carlo Calenda, campioni di grigiore assoluto.Osserva ancora Alessandra Daniele: «Il Pd festeggia perché Salvini è il nemico ideale, contro il quale spera di ri-mobilitare a suo vantaggio quell’union sacrée orfana dell’antiberlusconismo di facciata, e quegli antifascisti a progetto che oggi fingono di non accorgersi che Salvini non è che la continuazione della dottrina Minniti con gli stessi mezzi», al netto di qualche “sceneggiata”. «Intanto l’élite Ue si prepara ancora una volta ad ammortizzare e neutralizzare le ambivalenti spinte al cambiamento espresse dagli elettori in tutti i paesi europei». In realtà i “sovranisti” come Orban e Marine Le Pen sono soltanto «meteore», destinate a brillare solo per un attimo, «per poi inabissarsi nella palude degli affari comuni». Lo conferma Gianni Rosini sul “Fatto Quotidiano”: sarà ancora il medesimo blocco di potere – popolari e socialisti, con in più i liberali – a gestire la farsa post-democratica delle istituzioni europee: a controllare Strasburgo sarà sempre l’alleanza trasversale che finora ha imposto le peggiori politiche di rigore. «Il successo dei partiti conservatori, euroscettici e nazionalisti c’è stato rispetto al 2014, ma non basta per pensare a un’apertura del Ppe a destra, come auspicato da Forza Italia e da Silvio Berlusconi».«Sarà quindi, con tutta probabilità, un’alleanza al centro – scrive il “Fatto” – quella che guiderà la nuova Unione. Nemmeno un’uscita di Orban dal Ppe, oggi sempre più improbabile, metterebbe in discussione la grande coalizione a tre». Aggiunge Sergio Luciano sul “Sussidiario”: «Le Pen e Farage in un simile quadro continueranno a essere attori comprimari ma irrilevanti. Quindi è impensabile, in queste condizioni, che la filiera decisionale, peraltro lunga e lenta, che da Strasburgo arriverà a fine anno alla Commissione Europea e in qualche modo anche alla Bce possa strizzare l’occhio alla manica larga necessaria al Capitano per fare una finanziaria con il deficit al 3,5 o al 4%». La Flat Tax, continua Luciano, pur essendo una formula cara ai paesi “sovranisti” teoricamente vicini alla Lega («ma in pratica vicini solo a se stessi, se no che sovranisti sarebbero?»), in realtà determina nell’immediato un calo del gettito che l’Italia «non è assolutamente in grado di fronteggiare, esponendo in bilancio la previsione di entrate compensative: come potrà mai, il Capitano, ottenere la luce verde europea su una misura simile?». E come potrà essere confermata “quota 100”, allo scadere dei due anni di test, «in un’Europa che non avrà nel frattempo rivisto il totem del 3% di rapporto massimo deficit/Pil?».«Meteor-Matteo, il cazzaro che vince le europee saturando i media, è una replica in saldo. Rispetto a Renzi nel ’14, Salvini ha 7 punti in meno, e calcolata l’astensione il suo 34% in realtà significa meno di 2 elettori su 10. Al tramonto però anche i nani proiettano lunghe ombre». Così Alessandra Daniele su “Carmilla” commenta l’esito – largamente atteso – delle europee: la Lega sopra il 34% e il Pd che risale al 22,7 sorpassando i grillini, franati fino al 17%. «Il rovinoso crollo grillino è una replica renziana in fast-forward: in meno d’un anno di governo, il Movimento 5 Stelle Spente ha già perduto metà degli elettori». La primissima esperienza politico-mediatica di Beppe Grillo, ricorda la Daniele, fu commentare da comico una maratona elettorale nei primi anni ’80 dell’ascesa di Craxi. «Ieri sera, nessuno dei grillini ha avuto il coraggio di apparire davanti alle telecamere per commentare il suicidio di massa che hanno compiuto favorendo l’ascesa di Salvini. Il cerchio s’è chiuso». E Zingaretti? «Ha esultato molto più di quanto il misero recupero del suo partito lo autorizzasse a fare», specie dopo aver candidato “frontman” come Giuliano Pisapia e Carlo Calenda, campioni di grigiore assoluto.
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+Europa? I peggiori di sempre: hanno disastrato l’Italia
Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.Il segretario nazionale della neonata formazione +Europa è Benedetto Della Vedova. Anche per lui un curriculum politico lunghissimo che parte dai Radicali (movimento cuore di +E) e passa per il governo Monti, il governo tecnico voluto da Bruxelles e che arrivò alla maggioranza in Parlamento nel novembre del 2011 dopo aver rovesciato il governo precedente con la vetusta tecnica della Rivoluzione Parlamentare. Tecnica usata per la prima volta in Italia da Agostino Depretis nel 1876 e che consiste nel condizionari i parlamentari a formare governi diversi da quelli indicati dai cittadini col voto. Della Vedova, oggi leader con la Bonino di +Europa, fu sostenitore di Monti ed eletto nel 2013 tra le fila del suo partito, poi continuò la carriera come sottosegretario agli esteri nei governi europeisti di Renzi e Gentiloni. Questi i nomi più noti della lista, che però annovera tantissimi altri politicanti che hanno esercitato già la loro attività come decisori di cose pubbliche, da Pizzarotti a Taradash. Ebbene, come andò l’Italia negli anni di Mario Monti e Letta, che governarono grazie all’appoggio ideologico +europeista?Secondo diversi media, con l’arrivo dell’austerità voluta dai tecnici, Monti in primis, in Italia aumentarono i suicidi economici. I dati non sembrano confermare questa convinzione, che sarebbe dunque in linea con quanto avveniva purtroppo anche negli anni precedenti. Ciò che è fuori discussione, invece, sono gli altri dati macroeconomici. Il Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza del paese, con Monti calò drasticamente fino a far parlare qualche economista di depressione stile 1929. Se escludiamo il calo del 2008/2009 che riguardò tutte le economie avanzate dell’Occidente causa bolla americana, nel 2012, anno di governo europeista di Monti, mentre tutti i paesi risalivano la china, l’Italia fece un capitombolo a -2,4 (reale: -2,8 secondo la fonte Ameco). La produzione industriale risulta essere in calo da anni, e non è questo il momento di andare a vedere il perché. Ma se il calo era stato contenuto, con una media di circa -1,8, è con Mario Monti ed Enrico Letta che arriva il disastro: -3,6 per cento di produzione industriale con Monti e -2,7 con Letta.La tendenza all’aumento della disoccupazione risale all’ultimo governo Berlusconi, ma lo scettro spetta ancora una volta a Monti. E’ con lui che abbiamo il più grande (e grave) contributo alla disoccupazione italiana. Con il governo dell’austerità, infatti, la disoccupazione aumentò dell’1,3 per cento in media all’anno e del 3,7 per il settore giovanile. Con Monti e Letta (da aprile 2012 a fine 2013) la disoccupazione giovanile raggiunse il picco della storia superando abbondantemente il 40 per cento. Tanto per fotografare meglio il dato sulla disoccupazione, basta osservare che oggi gli italiani disoccupati sono il 10,8 per cento, mentre con Monti sfioravano il 12. Tra i giovani era disoccupato il 40 per cento, mentre oggi lo è il 32. “Già, ma Monti fu nominato per risolvere il problema dello spread”. Già mi sembra di sentire la solita solfa europeista sul terrore (immotivato) dello spread. Ma accettiamo la sfida e vediamolo nel dettaglio. Il rapporto deficit/Pil prima del governo piùeuropeista era del 116%. Quando Monti si dimetterà, nel 2013, era al 130%. Lo spread tra i titoli di Stato italiani Btp e i Bund tedeschi aveva sfondato i 500 punti a novembre 2011, ed era stato il dato macroeconomico che aveva convinto i parlamentari italiani a rovesciare il governo politico e a sostituirlo con quello tecnico di Monti.Monti governò circa un anno e mezzo, e per tutti quei mesi lo spread oscillò tra i 300 e i 500 punti. Per molti mesi, anzi, per tutto l’inizio del mandato, lo spread “di Monti” sarà più verso quota 500 che 300, ma a luglio 2012 Draghi pronunciò un famoso discorso durante il quale sostenne che i titoli dei paesi in difficoltà sarebbero comunque stati acquistati, ed ecco che allora (e solo allora) lo spread cominciò un lento calo. Persino l’inflazione non andò bene, con quei governi, perché ci furono tasse per i consumatori (aumento dell’Iva) e gabelle per i risparmiatori (bollo sui depositi). Secondo molti analisti, e soprattutto secondo i numeri, che non hanno colore, i governi piùeuropeisti della prima metà del decennio sono stati di gran lunga i peggiori della storia repubblicana. I danni che hanno fatto in termini occupazionali, di relazioni tra gli italiani, di produzione e di welfare li stiamo ancora pagando cari, a cinque anni di distanza. +Europa per entrare nel Parlamento Europeo dovrebbe superare la quota di sbarramento del 4 per cento. E non ce la farà, perché gli italiani sono smemorati, sì, ma non stupidi.(Massimo Bordin, “Quelli di +Europa hanno già governato, ecco come andò”, dal blog “Micidial” del 23 maggio 2019).Il 2011 sembra ieri, ma se da un lato gli italiani hanno una memoria politica cortissima, dall’altro alle elezioni europee di domenica 26 maggio andranno a votare molti giovanissimi, che nel 2011 erano undicenni alle prese con gli insiemi di matematica e i primi turbamenti ormonali. Dunque, meglio rinfrescare a tutti la memoria. I partiti europeisti che si presentano all’agone politico delle prossime europee fanno proposte, analisi e dichiarazioni come se fossero appena arrivati sulla scena. Invece, dietro il trucco nominalistico di sofistica memoria e l’italica abitudine al trasformismo non solo poggiano i loro culi nei parlamenti di tutta Europa da decenni, ma in Italia hanno proprio governato, e persino senza esserne eletti come maggioranza (!). La formazione più europeista di tutte, +Europa, che per la prima volta si presenta alle elezioni europee, è rappresentata sui manifesti di propaganda da Emma Bonino, già minstro per il commercio internazionale con Prodi e ministro degli esteri con Letta (…), è stata commissaria europea. Deputata all’Europarlamento per 4 legislature, è stata nel Parlamento italiano per ben 7 legislature. A Palazzo Chigi entrò a 28 anni, e oggi ne ha 71. In pratica stiamo parlando di una sequoia della politica italiana e internazionale, con più poltrone che denti. Roba da far impallidire Andreotti.
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Magaldi: tifo Draghi al governo, così saprete chi è davvero
Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.«Anche Bruno Amoroso, da poco scomparso, era stato allievo di Caffè. Ma, a differenza di Draghi, è rimasto fedele al maestro, per tutta la vita, come docente universitario. E così l’altro illustre allievo di Caffè, Nino Galloni, che in più si è impegnato anche nel Movimento Roosevelt», per debellare il cancro neoliberista «che sta strangolando le economie e svuotando le democrazie». Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente-fondatore, ha fornito un inedito ritratto del vero Draghi nel bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Attingendo a centinaia di documenti riservati, il saggio rivela che il nostro Super-Mario milita in ben 5 superlogge sovranazionali: le famose Ur-Lodges, che secondo Magaldi reggono i destini del pianeta, “sovragestendo” finanza e governi. In tutto sono 36 potentissime organizzazioni: rimaste invisibili per decenni, fino all’uscita del libro. Quelle in cui milita il “venerabile” Draghi, peraltro, rappresentano l’estrema destra del potere mondiale, a cominciare dalla “Three Eyes” di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski che – utilizzando la Trilaterale – nel 1975 lanciò l’attacco finale ai diritti sindacali con il saggio “La crisi della democrazia” affidato a Huntington, Crozier e Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male.Dottrina prontamente applicata, pochi anni dopo, da Reagan e Thatcher: tagliare lo Stato, scatenando la giungla senza regole del mercato globale. A seguire, negli anni ‘90, comparve la post-sinistra riformista, incaricata di smantellare quel che restava dei diritti sociali. Pietra miliare: lo storico gesto di Bill Clinton, che dopo lo scandalo Lewinsky abolì il Glass-Steagall Act, cioè la norma – istituita da Roosevelt mezzo secolo prima – che metteva il credito ordinario al riparo dalla lotteria di Wall Street. A ruota, fu l’inglese Tony Blair (l’uomo che si inventò le “armi di distruzione di massa” di Saddam) a spiegare alla sinistra europea che doveva tradire se stessa, adottando il dogma neoliberista. Qualcosa di orribile, intanto, si era già messo in moto anche in Italia, sotto i colpi di Tangentopoli. Nino Galloni era stato chiamato da Andreotti come super-consulente, per limitare i danni che il Trattato di Maastricht avrebbe inferto all’Italia. «Fu lo stesso cancelliere Kohl – ricorda Galloni – a chiedere il mio allontanamento: tutelando l’Italia, ostacolavo le mire della Germania, che aveva accettato di entrare nell’Eurozona, su richiesta della Francia, solo in cambio della deindustrializzazione forzata del nostro paese, massimo concorrente della manifattura tedesca».E dov’era, in quegli anni fatidici, l’altro allievo del professor Caffè? Al ministero del Tesoro. E il 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte di Giovanni Falcone, Mario Draghi salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza mondiale stava progettando il saccheggio del Belpaese, ormai indifeso, crollato sotto i colpi dell’azione demolitrice di Mani Pulite. Da quel momento, Draghi dimenticò per sempre Federico Caffè. Dal suo ministero, diresse la più spietata campagna di privatizzazioni mai condotta in Europa. Anni dopo, Massimo D’Alema – altro massone neoconservatore, esponente della “terza via” che prese il posto della sinistra – si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una “merchant bank”, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Anche per questo, oggi, l’Italia è in bolletta. Un capolavoro della massoneria neoaristocratica, avviato dallo storico divorzio fra il Tesoro e Bankitalia e completato dall’avvento dell’euro, moneta affidata in esclusiva al potere privatistico della Bce, al di sopra dei governi. Da allora, crisi su crisi. Ed è proprio sulle macerie dell’Italia – recessione, disoccupazione, precarietà crescente, erosione dei risparmi, fuga dei capitali e fine di ogni sicurezza – che il giovane Draghi è diventato Super-Mario. Più l’Italia affondava, più il suo potere cresceva.Un’ascesa irresistibile: prima advisor della Goldman Sachs, la banca più speculativa del pianeta, poi governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Bce, passando per la potentissima Banca dei Regolamenti Internazionali (e per il Financial Stability Board, per la Banca Mondiale e per l’Adb, la Banca Asiatica di Sviluppo). Ora, a novembre, Draghi dovrà lasciare l’Eurotower di Francoforte. Il suo primo obiettivo? Sostituire Christine Lagarde, alla guida del Fmi. Meta ambiziosa ma difficile da conquistare. E così, c’è chi preme perché Super-Mario si impegni in Italia, “normalizzando” l’unico governo europeo che abbia osato sfidare – almeno a parole – i diktat di Bruxelles. Magaldi conferma: «La massoneria reazionaria, a cui appartiene, sta premendo su Draghi perché ripeta l’esperienza di Monti. Ma Draghi punta al Quirinale, dopo Mattarella. E sa benissimo che governare il paese oggi, mentre la crisi economica si sta aggravando in modo vertiginoso, sarebbe un pessimo viatico per la presidenza della Repubblica».Retroscena gustosi, quelli offerti da Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Draghi non è sprovveduto come Monti, il cui ego smisurato lo portò a credere che fossero sinceri i giornali che lo elogiavano: arrivò infatti a creare una propria formazione politica, “Scelta Civica”, contro il parere dei suoi due grandi sponsor, Napolitano e Draghi». Il piano iniziale era diverso: Monti doveva continuare a sembrare un tecnico super partes, per poi puntare al Colle. Invece non resistette alla tentazione di gettarsi nella mischia, con esiti elettorali ben miseri. Un uomo bruciato: oggi detestato come premier-macellaio, e in più bollato come politico fallito. «Proprio per questo, il ben più accorto Draghi farà di tutto per evitare di finire a Palazzo Chigi: sa perfettamente che la situazione italiana peggiorerà in modo disastroso». Dettaglio: perché è stato Berlusconi a fare apertamente il nome di Draghi come possibile premier, dopo Conte, ben sapendo che fu proprio Super-Mario (insieme a Napolitano) a detronizzarlo in modo brutale, nel 2011? «Solo per un motivo ingenuamente inconfessabile», spiega Magaldi: «Berlusconi spera ancora che Draghi lo introduca finalmente nell’élite massonica internazionale, da cui è finora rimasto escluso. E in questo, Berlusconi rivela un candore infantile quasi commovente».Certo, il Cavaliere sa esattamente chi sia, il “venerabile” Draghi, vero e proprio pezzo da novanta nella più esclusiva aristocrazia supermassonica mondiale, tra i santuari dell’ultra-destra economica. Nella “Three Eyes” è in compagnia dell’anziano Kissinger e dello stesso Napolitano, del greco Antonis Samaras, di Madeleine Albright e Condoleezza Rice, nonché degli italiani Gianfelice Rocca, Marta Dassù, Giuseppe Recchi, Enrico Tommaso Cucchiani, Carlo Secchi, Federica Guidi. Nella “Compass Star-Rose / Rosa Stella Ventorum”, Draghi incontra personaggi come l’ex premier francese Manuel Valls e gli italiani Massimo D’Alema, Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. Nella “Edmund Burke”, con Draghi, siedono Blair e gli ex ministri Fabrizio Saccomanni e Domenico Siniscalco, insieme a Matteo Arpe e soprattutto Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. In altre parole: il potere, quello vero. Draghi milita anche nella superloggia “Der Ring” insieme al terribile Wolfgang Schäuble, a Jean-Claude Trichet (già a capo della Bce), a Jens Weidmann della Bundesbank. Poi c’è la quinta Ur-Lodge di Super-Mario, la “Pan-Europa”, dove svettano Nicolas Sarkozy e la stessa Lagarde, lo spagnolo Mariano Rajoy e il portoghese José Manuel Barroso, il finlandese Olli Rehn (e un bel po’ di italiani: da Padoan a D’Alema, da Alfredo Ambrosetti a Emma Marcegaglia).Altro da aggiungere? Certo: il Gruppo dei Trenta. Teoricamente, stando a Wikipedia, è solo «un’organizzazione internazionale di finanzieri e accademici che si occupa di approfondire questioni economiche e finanziarie esaminando le conseguenze delle decisioni prese nei settori pubblico e privato». Tra i “filantropi” del Group of Thirty, insieme a Super-Mario, siedono lo stesso Trichet insieme al falco neoliberista Paul Volcker (alla Fed con Reagan) e a Timothy Geithner, il ministro di Obama che “graziò” Wall Street dopo il crack del 2008. Ci sono anche Mervyn King, a capo della Bank of England fino al 2013, Larry Summers (mente neoliberista di Clinton) e persino Kenneth Rogoff, il professore di Harvard che si coprì di ridicolo con la teoria della mitica “austerity espansiva” (più taglio, più l’economia cresce), rivelatasi poi basata – oltre che sulla menzogna – anche su calcoli statistici comicamente errati. Questa è l’olimpica tribuna da cui Mario Draghi, l’uomo più potente d’Europa, ha potuto infliggere alla Grecia il calvario del rigore che ha sventrato il paese, determinando la “strage dei neonati”, morti per assenza di cure sanitarie a causa della crisi, come ammesso dallo stesso Federico Fubini, vicedirettore del “Corriere della Sera”.Una Norimberga per i crimini economici, che poi diventano massacri sociali? Impensabile: «Il presidente della Bce, da statuto, gode di assoluta impunità: non è perseguibile», spiega Magaldi, che in passato ha ripetutamente accusato Draghi per il disastro del Montepaschi, inclusa la tragica morte di David Rossi, dirigente della banca senese precipitato da una finestra del suo ufficio. Il problema, a monte? Omessa vigilanza, sostiene Magaldi, da parte di Bankitalia, nel momento in cui a Mps fu “ordinato” di procedere con manovre spericolate, proibitive per la banca. Draghi, all’epoca, era il governatore della Banca d’Italia. E la funzionaria che avrebbe dovuto proteggere il Monte dei Paschi, Anna Maria Tarantola, è stata poi “premiata” da Monti, con un incarico dirigenziale alla Rai. Sta davvero per tornare in cartellone il teatro dell’orrore dei governi “tecnici”, incaricati di devastare l’Italia con un’overdose di austerità? Teoricamente possibile, vista la bancarotta politica dei gialloverdi, che avevano promesso di rovesciare il tavolo europeo mettendo fine all’impostura del rigore presentato come ricetta salvifica per l’economia. Il peccato originale? Aver rinunciato a Paolo Savona al ministero dell’economia, subendo il “niet” di Mattarella «ispirato direttamente da Draghi attraverso l’altro suo terminale italiano, Ignazio Visco di Bankitalia».Senza più Savona, la vertenza con Bruxelles è finita prima di cominciare: non è stato difficile convincere Giovanni Tria a rinunciare al 2,4% di deficit. Una catastrofe: «L’Italia – sostiene Magaldi – doveva battere i pugni per rivendicare un deficit ben maggiore, anche superiore al tetto del 3% sancito arbitrariamente da Maastricht». Cosa sarebbe cambiato? «Un deficit di almeno il 4% avrebbe rilanciato economia e lavoro facendo crescere il Pil, e quindi riducendo l’incidenza del debito pubblico». Ma peggio: «Il governo Conte – aggiunge Magaldi – non ha neppure preso il considerazione la proposta di Nino Galloni per l’emissione di moneta statale parallela, non a debito, consentita dal Trattato di Lisbona: liquidità a costo zero, che avrebbe permesso di risollevare subito le sorti dell’occupazione». Risultato: gli indicatori economici – come prevedibile – crollano. E i gialloverdi non trovano di meglio che farsi la guerra, per tentare di salvarsi la faccia alla vigilia delle europee. Il peggiore in campo? «Di Maio, che ha preteso lo scalpo di Armando Siri: non un uomo a caso, ma l’ispiratore della Flat Tax (che proprio ora stava mettendo a punto, come misura destinata a restituire un po’ di ossigeno al paese)».Certo, non ne azzecca più una neppure Salvini: «Anziché combattere per l’Italia a Bruxelles, il leader della Lega se la prende coi negozi di cannabis terapeutica», inventandosi campagne demenziali. Mala tempora currunt. Cosa aspettarsi? «Il regalo più bello – dice Magaldi – sarebbe proprio ritrovarsi Draghi a Palazzo Chigi: finalmente gli italiani capirebbero chi è davvero, Super-Mario, e di che pasta è fatto il neoliberismo finto-europeista che ha costantemente peggiorato le condizioni del paese». Draghi o meno, sarebbe comunque una catastrofe: «Se il Movimento 5 Stelle accetterà di sostenere un governo di tecnocrati – ragiona Magaldi – completerà l’opera di auto-demolizione alla quale si sta dedicando da tempo». Facile profezia: i voti grillini sarebbero azzerati. «Se poi l’eventuale governo tecnico fosse sostenuto dai 5 Stelle insieme a Forza Italia e al Pd di Zingaretti, in una grande ammucchiata, saremmo alle comiche finali». Rovescio della medaglia: «Non si salverebbe nessuno». Tabula rasa della politica italiana: fine degli equivoci, via i partiti-zavorra. Non riuscirebbero a giustificare lo sfacelo: tagli sanguinosi, crollo ulteriore del potere d’acquisto, tosatura delle pensioni. E magari pure una patrimoniale sulla casa.Uno scenario da incubo, ma non esattamente fantapolitico: perché – senza l’iniezione di un deficit robusto – la situazione dei conti pubblici sta peggiorando, insieme all’economia, come volevasi dimostrare. E non siamo più nel 2011: la società italiana si è impoverita in modo vistoso. Tanto peggio, tanto meglio? In un certo senso, sostiene Magaldi, sarà proprio la drammatica durezza dell’evidenza ad aprire finalmente gli occhi degli italiani: mettete Draghi a Palazzo Chigi, e la tempesta arriverà prima. Magaldi resta ostinatamente ottimista. «Per smantellare il sistema neoliberista – dice – bisogna partire dall’Europa. E in Europa, l’unico paese in cui questo può accadere è proprio l’Italia». La massoneria progressista, aggiunge Magaldi, aveva giocato in prima battuta la carta francese, con Hollande. «Ma il presidente socialista si è lasciato intimidire: doveva rompere col rigore, invece poi si è allineato alla Merkel». Alle ultime elezioni, la piramide ordoliberista – in cui proprio Draghi ha un ruolo preminente – ai francesi ha proposto Macron, diretta emanazione dei superpoteri opachi e reazionari. Problema: «Gli è opposto la sola Marine Le Pen, che – dato il suo impianto ideologico preoccupante – è lo sfidante che chiunque vorrebbe, perché votato alla sconfitta».Come agisce, il circuito massonico progressista di cui parla Magaldi, e nel quale milita? Anche con iniziative clamorose: «La rivolta dei Gilet Gialli è stata progettata dalla massoneria progressista per ostacolare Macron e, soprattutto, aiutare – a distanza – il governo gialloverde alle prese con la disputa con Bruxelles sul deficit. Ma a Roma se la sono fatta sotto: il segnale l’hanno colto, ma non hanno osato approfittarne». E se la Francia resta tuttora politicamente bloccata – coi Gilet Gialli che demoliscono il consenso di Macron ma non si traducono in un’alternativa elettorale – non resta che il Belpaese, per ritentare di “smontare” l’europeismo di facciata che sta trasformando la Disunione Europea in un campo di battaglia tra governi che si combattono l’un l’altro. Se un super-eurocrate come Draghi arrivasse davvero a Palazzo Chigi, insiste Magaldi, tutto si chiarirebbe più velocemente. Per esempio: com’è possibile subire i diktat di una cupola tecnocratica, asservita a interessi privati, non legittimata neppure da una Costituzione democratica? In altre parole: «Perché mai votare, alle europee del 26 maggio, già sapendo che non sarà l’Europarlamento a eleggere la Commissione?». E poi: «Perché accettare, ancora, che un paese come l’Italia sprofondi nella crisi perché non ha potuto fare gli investimenti necessari, mediante il deficit?». E inoltre: «Chi l’ha detto che l’euro debba essere gestito in eterno dai banchieri della Bce, al di sopra dei governi democraticamente eletti?».Sono i temi sui quali lavora il Movimento Roosevelt. Obiettivo: demolire le menzogne del dogma neoliberista, truccate da scienza economica, in nome delle quali l’ex quinta potenza industriale del mondo è oggi ridotta a mendicare prestiti. «Serve una rivoluzione culturale profonda, che smascheri definitivamente la narrazione bugiarda del neoliberismo, tuttora contrabbandata dai grandi media». Super-Mario a capo del governo? «Sarebbe un regalo fantastico: tutti, finalmente, capirebbero da che parte stare». E se i 5 Stelle sembrano avviarsi verso la più incresciosa delle auto-rottamazioni, la stella di Salvini si sta rapidamente oscurando: il solo caso Siri, sondaggi alla mano, sembra aver già messo fine ai sogni di gloria della Lega. «Viviamo tempi imprevedibili, tutto è in rapida evoluzione: nel giro di pochi mesi, Renzi è passato dal 40% all’irrilevanza assoluta». Magaldi propone una data simbolica, quella della Presa della Bastiglia: il 14 luglio, a Roma – annuncia – nascerà ufficialmente il “Partito che serve all’Italia”. Missione: «Restituire agli italiani la perduta sovranità democratica, dopo il tramonto delle speranze suscitate dai gialloverdi». Attenzione: tutti stanno guardando all’Italia, anche se forse gli italiani non se ne sono accorti. E’ come se sapessero, amici e nemici, che l’euro-imbroglio potrebbe essere “smontato” proprio dal Belpaese.Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.
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Carpeoro: il governo cade, arriva Draghi. E Salvini è finito
L’allarme di Carpeoro è coerente con le anticipazioni fornite nelle scorse settimane: in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” aveva annunciato la tempesta giudiziaria che si sarebbe abbattuta sulla Lega, di cui la vicenda di Armando Siri rappresenta soltanto l’ultimo, gravissimo episodio. Secondo Carpeoro – su YouTube con Frabetti il 19 maggio – ora Salvini è in trappola: se trionfa alle europee dovrà rompere con Di Maio e convergere sul centrodestra, ma accettando la premiership di Draghi appena “suggeritagli” da Berlusconi. «Per il Cavaliere è l’ultima zampata: poi si ritirerà, cedendo lo scettro a Tajani, con la scusa delle sue precarie condizioni di salute». Ridotto a ruota di scorta di Draghi, Salvini sarebbe finito. Anche perché il super-banchiere metterebbe in atto una politica di austerity come quella di Monti: rigore assoluto, contrazione della spesa pubblica, tagli alle pensioni e magari anche una patrimoniale. Addio ai sogni leghisti come la Flat Tax, per la quale aveva lavorato proprio Armando Siri, sottosegretario disarcionato da Conte e Di Maio nonostante sia tuttora soltanto indagato. Sarebbe davvero la fine, per una Lega decisa a proporsi come vettore dell’affrancamento dal “giogo” neoliberista di Bruxelles. Addio all’alfiere del sovranismo italiano, costretto al guinzaglio da Draghi.Stessa musica, in ogni caso, se Salvini – per sua fortuna, si potrebbe dire – non dovesse andare così bene, il 26 maggio. Il governo gialloverde è comunque spacciato, secondo Carpeoro, avendo fallito nel suo obiettivo determinante: risollevare l’economia. Carpeoro è un dirigente del Movimento Roosevelt, che – attraverso il presidente, Gioele Magaldi – ha accusato i gialloverdi di eccessiva timidezza, con Bruxelles, al momento di contrattare il deficit 2019. Gli investimesti strategici avrebbero fatto crescere il Pil, riducendo l’incidenza del debito pubblico e quindi la pressione dei signori della finanza (spread) e degli oligarchi di Bruxelles, ben rappresentati dallo stesso Draghi. Appena la crisi si è mostrata in tutta la sua durezza, come si è mosso Di Maio? Ha attaccato Salvini, omaggiato la Merkel e difeso la disciplina europea del rigore. Come se ne esce? «Solo con una mezza rivoluzione», sostiene Carpeoro, assai pessimista. «Salvini si può ribellare soltanto se capisce in che trappola lo hanno cacciato». L’altra carta, per Carpeoro, è virtualmente rappresentata dalla base dei 5 Stelle: a suo parere, i militanti grillini non accetterebbero un governo Draghi. Ma per scongiurarlo dovrebbero prima “divorziare” da Di Maio e Casaleggio. In altre parole: Mario Draghi sembra ormai vicinissimo a Palazzo Chigi, cioè al nuovo commissariamento dell’Italia.«Stavolta la sovragestione internazionale di cui l’Italia è vittima ci ha combinato un trappolone senza via d’uscita», sostiene Carpeoro, che da mesi paventava l’irruzione di Draghi alla guida del governo. «Se la Lega vince le europee – profetizza – la tenaglia giudiziaria si stringerà ulteriormente sul partito di Salvini». Un indebolimento che costringerebbe Salvini – sulla difensiva – ad accettare un ritorno al centrodestra, sotto la “custodia” di Draghi (espressamente evocato da Berlusconi come il “miglior premier possibile”, oggi, per l’Italia). «L’urgenza, poi, verrebbe giustificata dall’aggravarsi della situazione economica». Se invece Salvini delude, alle urne, resterebbe in campo l’asse – sempre più ammaccato – con i 5 Stelle. «Ma sui parametri economici – sottolinea Carpeoro – Di Maio si è pronunciato in modo coerente con la linea di Draghi». Ovvero: vietato sforare il 3% di Maastrich, cosa che invece per Salvini, a parole, «si può e si deve fare». E quindi in quel caso «avremmo probabilmente l’ingresso trionfale di Draghi con questa maggioranza – perché comunque il governo, a causa della situazione economica, cadrà entro la fine dell’anno».Se non è zuppa è pan bagnato: «Comunque gli italiani votino, al 99,9% si ritroveranno Draghi presidente del Consiglio». Viceversa, aggiunge Carpeoro, l’Ue ci taglierà i viveri vietandoci di accedere al deficit, «e la situazione economica ci travolgerà». Dubbi? Uno: «Non so fino a che punto Salvini si scavi la fossa così», dice ancora Carpeoro, considerando che il capo della Lega – formidabile tattico e uomo-immagine – non ha però dato prova, finora, di particolare capacità strategica. «E’ capace di scavarsela davvero, la fossa: però deve saperlo, che per lui sarebbe la fine, perché sarebbe proprio lui il primo che farebbero fuori». Secondo elemento: «I grillini hanno ormai stabilito una cupola “sovragestita” su di essi, sia attraverso il figlio di Casaleggio, sia tramite lo stesso Di Maio. Cupola, cioè gruppo oligarchico di potere, che «utilizza cinicamente Di Battista» come paravento, per mantenere «un sorta di legittimazione», di “verginità” politica apparente. Però attenzione: «La base grillina non è questa: continuo a confidare che all’interno del Movimento 5 Stelle ci sia sicuramente maggior vitalità che dentro qualunque altro movimento», sostiene Carpeoro, che peraltro aggiunge: «Non nutro nessuna fiducia nella nuova sinistra o centrosinistra che dir si voglia, Zingaretti o meno». Per cui «non è una situazione allegra», quella dell’Italia.Tradotto: «Nella peggiore delle ipotesi ci ritroveremo Draghi, il che significherà comunque tagli draconiani sulle pensioni e probabilmente la riproposizione in chiave “cosmetizzata” della possibilità di una patrimoniale». Infine: «Non si farà nulla sul reddito di cittadinanza: l’ha già ammazzato Di Maio, che ha ammesso di aver rinunciato a investirvi un miliardo in più, che ora ha messo da parte. Vuol dire che il reddito di cittadinanza è stato svuotato, e quindi è fallito». Gianfranco Carpeoro (all’anagrafe Pecoraro, avvocato di lungo corso), ha pubblicato nel 2016 il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette in luce la “sovragestione” (largamente massonica) degli attentati targati Isis che hanno colpito l’Europa. Di questa “sovragestione”, in questo caso non più terroristica, sarebbe tuttora vittima l’Italia, abituale preda di potentati stranieri in combutta con settori dell’establishment nazionale. Nel saggio del 2017 “Il compasso, il fascio e la mitra”, sempre Carpeoro presenta lo stesso fascismo come prodotto di “sovragestione”: «Fu la convergenza, storicamente irripetibile, di tre poteri: il grande capitalismo italiano oggi scomparso, la massoneria nazionale – che allora contava – e il Vaticano». Anche per questo «non ha senso riparlare di fascismo nell’Italia di oggi», paese che però continua ad essere più che mai “sovragestito”.Se il Pd è clinicamente defunto, fino a ieri «al governo senza in realtà governare, esattamente come poi i gialloverdi», di fatto controllato dai superpoteri tramite ministri del calibro di Padoan, oggi restano solo i cocci della speranza suscitata da Lega e 5 Stelle, un anno fa. Unica chance: la possibilità che Salvini si smarchi dalla trappola, che gli sarebbe fatale, rovesciando il tavolo già apparecchiato per Draghi. Potrebbe aiutarlo la base grillina, forse, ma certo non Di Maio: Carpeoro lo descrive “coltivato” da anni, dentro e fuori l’ambasciata Usa di via Veneto, dal politologo statunitense Michael Ledeen, già uomo-uombra di Di Pietro e Renzi, massone reazionario del Jewish Institute, punta di diamante della lobby sionista, nonché esponente del B’nai B’rith, esclusiva massoneria ebraica riservata ai dirigenti del Mossad. Beffa gialloverde? Eccome: Mario Draghi officerebbe il funerale dell’unica coalizione politica che, in Europa, ha osato sfidare – almeno all’inizio, anche se solo a parole – lo strapotere oligarchico di Bruxelles e il dogma dell’austerity, sancito una volta di più dal pareggio di bilancio imposto da Monti coi voti di Bersani e Berlusconi. L’Italia ha provato a rialzare la testa? Peggio per lei: la “sovragestione” avrebbe pronto Draghi. La cui “terapia”, dal giorno dopo, decreterebbe la fine del sogno di uscire dalla crisi (e la morte politica di Matteo Salvini, destinato a vincere inutilmente le europee).Matteo Salvini è un morto che cammina: politicamente è finito. Che stravinca le europee o faccia cilecca, il risultato non cambia. Al posto di Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi sta per arrivare Mario Draghi. L’attuale presidente della Bce, in scadenza a novembre, sarà presto alla guida di un esecutivo di centrodestra – con la recentissima benedizione di Berlusconi – oppure di una coalizione più larga, se la Lega restasse al di sotto del 30%. Motivo: i conti pubblici italiani sono disastrosi, e la situazione economica è pessima. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto analista dello scenario politico italiano. Già a capo della più tradizionale obbedienza massonica di rito scozzese, Carpeoro vanta contatti privilegiati con il network europeo dei grembiulini di area progressista. Anche grazie a questo, la scorsa estate aveva svelato l’indebita ingerenza della Francia nell’elezione del presidente della Rai. Berlusconi aveva cambiato idea sull’appoggio a Marcello Foa (in prima battuta garantito a Salvini), dopo la telefonata ricevuta da Jacques Attali, eminenza grigia di Macron, che avrebbe contattato anche Napolitano e Tajani. Oggi Carpeoro rilancia: «Dopo una fase di dissidio, la massoneria sovranazionale reazionaria si è ricompattata: sono tornati ad andare d’amore e d’accordo Attali, Tajani, Draghi e – udite udite – lo stesso Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto». Non a caso, nelle ultime settimane, i 5 Stelle hanno attaccato Salvini in modo furibondo.