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Donazione milionaria per Rackete, detestata dagli italiani
La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».E la capitana della Sea Watch, Carola Rackete? «Ebbene, in questo derby tra capitani la maggioranza degli italiani (53%) sta con “il capitano” Salvini, mentre il 23% si schiera con la capitana Rackete, e uno su quattro (24%) non si pronuncia». La pensano diversamente vari politici europei, che dopo l’arresto della tedesca – al comando del vascello olandese – si sono affrettati ad esprimerle supporto, a cominciare dal ministro tedesco dello sviluppo, Gerd Müller. Nel frattempo, scrive il “Corriere del Ticino”, numerosi cittadini europei hanno risposto all’appello lanciato su YouTube dai presentatori televisivi tedeschi Jan Boehmermann e Klaas Heufer-Umlauf in un video di 15 minuti, pubblicato su tutti i social media. «L’obiettivo della colletta è il pagamento delle sanzioni che saranno inflitte a Rackete per aver forzato l’ingresso nel porto di Lampedusa, oltre che per le spese giudiziarie». E al momento – questa la vera notizia – la raccolta di fondi ha già superato il milione di euro: 735.000 euro provenienti dalla Germania e oltre 410.000 euro dalla pagina Facebook italiana dell’iniziativa.«Quanto avanzerà verrà usato dalla Ong per procurarsi una nuova nave in caso di sequestro o confisca del natante comandato da Rackete», continua il quotidiano svizzero, ricordando che il promotore dell’iniziativa, Jan Boehmermann, ha subito commentato su Twitter il successo raggiunto, dicendo che «non si tratta soltanto di denaro urgente, ma anche di un chiaro segnale per i responsabili politici e coloro che si occupano di salvare le vite dei migranti». Infatti, sulla pagina web creata appositamente per le donazioni, Heufer e Umlauf introducono l’iniziativa dicendo che «chi salva vite non è un criminale». E aggiungono: «In tutto il mondo, ma soprattutto nella nostra libera, democratica e aperta Europa». Sono gli stessi media, tedeschi, che assistettero impassibili alla spietata strage della Grecia, inflitta ad Atene dalla “libera, democratica e aperta Europa”, su pressione delle banche tedesche e francesi. Ma i bambini greci – morti negli ospedali per mancanza di medicine – evidentemente fanno meno compassione dei migranti assistiti a spese dell’Italia e protetti da Carola Rackete, la tedesca che gli italiani detestano.La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».
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Giornali muti sulla crisi italiana, ma pronti a sbranare Feltri
Basso impero, l’avrebbe definito Giorgio Bocca. Il giornalismo italiano? Scomparso, ridotto a recitare veline di palazzo. Eppure a quanto pare esiste ancora, se è vero che due cronisti – Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi – si appellano addirittura all’Ordine dei giornalisti, letteralmente indignati. Contro il silenzio del mainstream? Contro le bugie quotidiane del sistema radiotelevisivo? Contro l’omertosa reticenza delle redazioni di fronte a qualsiasi evento di rilievo, italiano e internazionale? Macché. Ce l’hanno con Vittorio Feltri, che si è permesso di insolentire nientemeno che il commissario Montalbano, cioè un personaggio letterario, proprio mentre il suo autore – Andrea Camilleri – lotta in ospedale tra la vita e la morte. Borrometi è un giornalista coraggioso, messo in pericolo dalla mafia. Ruotolo, popolare in Tv, è lo storico inviato di Michele Santoro. «Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere – scrivono, in una lettera al presidente dei giornalisti italiani, Carlo Verna – hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E cos’avrebbe mai detto, Feltri, di così inaccettabile? «Mi dispiace, perché un uomo anche vecchio che muore suscita in te un certo dolore. Però – ecco il passaggio sotto accusa – mi consolerò pensando al fatto che Montalbano non mi romperà più i coglioni».Le parole di Feltri sono andate in onda sulla Rai nella trasmissione radiofonica “I lunatici”, di Radio Due, condotta da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio. «Quel terrone mi ha stancato», dice Feltri, riferendosi al commissario siciliano interpretato in televisione da Luca Zingaretti. Tutte le volte che gli capita di vedere Montalbano in Tv, aggiunge il direttore di “Libero”, gli torna subito alla mente il fratello dell’attore, cioè il neosegretario Pd Nicola Zingaretti, che «non è proprio il massimo della simpatia». Aggiunge Feltri: «Questa però è una mia opinione un po’ così, scherzosa». Quanto all’anziano autore di Montalbano, invece, Feltri si esprime in questi termini: «Camilleri, che ha avuto successo dopo i 70 anni, in me suscita ammirazione perché è stato un grande narratore, che peraltro si inserisce nella tradizione siciliana della letteratura insieme a scrittori come Pirandello e Sciascia». Ma niente da fare, a Borrometi e Ruotolo non basta: «Abbiamo deciso di autosospenderci dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti perché ci consideriamo incompatibili con l’iscrizione di Vittorio Feltri all’albo professionale», scrivono, anche se poi è il presidente stesso, Scarpa, a precisare: è solidale con loro, però dall’Ordine non ci si può “autosospendere”, ma solo cancellare.«Riteniamo gli scritti e il pensiero del direttore Feltri veri e propri crimini contro la dignità del giornalista», scrivono i due. «Ne va della credibilità di ognuno di noi e della nostra categoria. Adesso basta. O noi o lui». E aggiungono: «Quel “terrone che ci ha rotto i coglioni” per noi figli del Sud è inaccettabile. Non è in gioco la libertà di pensiero. Sono in gioco i valori della nostra Costituzione». Accusano: «Ogni suo scritto trasuda di razzismo, omofobia, xenofobia. “Dopo la miseria portano le malattie” (rivolto ovviamente ai migranti), l’ormai tristemente celebre “Bastardi islamici” o, uscendo dal seminato delle migrazioni, robaccia come “Più patate, meno mimose” in occasione dell’8 marzo (e le diverse varianti dedicate anche a Virginia Raggi, con il “patata bollente”) o “Renzi e Boschi non scopano”. Poi gli insulti a noi del sud con il celebre “Comandano i terroni” e infine il penultimo, di qualche mese fa, “vieni avanti Gretina” (dedicato alla visita a Roma di Greta Thunberg)». L’idea che il direttore di “Libero” offre, concludono Borrometi e Ruotolo, «è che si possa, impunemente, permettersi questo avvelenamento chirurgico». A Feltri imputano mancanza di senso del limite, deontologia, misura, buon senso e addirittura dignità. «Continuiamo a batterci contro la censura e gli editti, ma non possiamo accettare tra noi chi istiga all’odio. Ne va della nostra credibilità».Nato a Modica (Ragusa), Borrometi vive sotto scorta da quando è stato aggredito, in Sicilia, per le sue scomode inchieste sul business mafioso. Cronista dell’Agi, è stato trasferito a Roma per metterlo al riparo dalle continue minacce. Il potere lo conosce da vicino: Borrometi è stato ricevuto a Palazzo Chigi da Gentiloni, a Palazzo Madama da Pietro Grasso e in Vaticano da Papa Francesco, mentre Mattarella l’ha fatto “Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”. Anche Ruotolo vive sotto scorta, dopo le minacce ricevute nel 2015 dal Clan dei Casalesi. Napoletano, è stato a fianco di Santoro dai tempi di “Samarcanda”, fine anni Ottanta. Nel 2013 si è candidato con Antonio Ingroia nella lista “Rivoluzione civile”, rimasta fuori dal Parlamento. Nel corso della campagna elettorale, al termine di un dibattito televisivo si è rifiutato di stringere la mano a Simone Di Stefano (CasaPound) dichiarandosi «orgogliosamente antifascista». E adesso, insieme a Borrometi, tuona contro Feltri: «O lui, o noi». Suona quasi come un appello perché il reprobo sia espulso dall’Ordine dei giornalisti, organismo che peraltro esiste solo in Italia, retaggio dell’occhiuta sorveglianza di Mussolini sulla stampa nazionale. A proposito: perché non abolirlo, l’inglorioso ordine professionale, visto che bastano e avanzano le leggi vigenti per tutelare sia i giornalisti che le vittime del propagandismo squadristico truccato da giornalismo?Ma il tema – libertà dell’informazione, senza recinti polverosamente post-fascisti – non sfiora Rutolo e Borrometi (non oggi, almeno). Il nemico si chiama Vittorio Feltri, monumento nazionale del giornalismo-contro (contro i giornalisti conformisti, in primis). Fieramente ostico, scontroso, sulfureo – spesso urticante, volutamente sgradevole – Feltri affonda i suoi strali quotidiani nella melassa inguardabile del mainstream gracidante, dei colleghi appiattiti sull’imbarazzante galateo del pensiero unico (politicamente corretto, ma per nulla giornalistico). Spariti Bocca, Biagi e Montanelli, è proprio la mediocrità desolante dei replicanti – i vari Giannini, Floris, Berlinguer, Formigli, Annunziata – a fare di Feltri il gigante che probabilmente non è. Amico personale della Fallaci, Feltri ha seguito la grandissima giornalista nella cecità assoluta dimostrata dall’Oriana nazionale di fronte all’11 Settembre, senza vedere che lo “scontro di civiltà” era una montatura terroristica interamente occidentale. Già berlusconiano e sempre controcorrente, pronto alla solitudine delle polemiche più aspre, a Feltri non difetta certo il coraggio: semmai, come quasi tutti gli altri, non ha compreso per tempo la reale natura del “golpe” neoliberale del 2011, dietro la maschera di Mario Monti. E ancora oggi, purtroppo, fatica a discernere tra debito pubblico e debito reale del sistema-paese, anche lui criminalizzando il deficit dello Stato, in un paese da decenni in avanzo primario: lo sa, Feltri, che lo Stato incassa con le tasse più di quanto non spenda per i cittadini?Quanto ai suoi detrattori – tantissimi, quasi tutti i suoi colleghi – va detto che, in questi anni, hanno brillato per renitenza professionale e alto tradimento dei lettori e dei telespettatori: se il famoso Ordine avesse un senso, quanti di loro avrebbero diritto di farne parte? Che c’azzeccano, con la categoria giornalistica, la Monica Maggioni reclutata dalla Trilaterale nonostante fosse dirigente Rai? E che dire di Lilli Gruber, ospite fissa del Bilderberg? Non hanno niente da dire, su questo, gli illustri Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi? Pensano davvero che siano gli eccessi polemici e le cadute di stile a compromettere la dignità professionale dei “cani da guardia della democrazia”? Dicono ancora qualcosa i nomi di Bob Woodward e Carl Bernstein (“Washington Post”) che nel remoto 1972 – ben prima dell’odierna era glaciale – fecero crollare la presidenza Nixon con lo scandalo Watergate? Vinsero il Pulitzer, ovviamente, ma non erano al guinzaglio di alcuna corporazione post-mussoliniana. Un altro Pulitzer, il connazionale Seymour Hersh, è stato franco quanto l’insopportabile Feltri: se i giornalisti non avessero abdicato al loro compito fondamentale, in questi anni avremmo avuto meno guerre e meno stragi, perché – di fronte a una stampa con la schiena diritta – il potere non avrebbe osato spingersi oltre certi limiti.Bassa macelleria fondata sulla menzogna sistematica, praticabile solo a patto di non avere noie, dalla stampa. Un caso mondiale, emblematico? Le inesistenti “armi di distruzioni di massa”, pretesto per invadere l’Iraq di Saddam ponendo le premesse per una destabilizzazione geopolitica di tipo stragistico, cominciata con l’abbattimento delle Twin Towers e culminata coi tagliagole dell’Isis a seminare il terrore sia in Medio Oriente che nel cuore dell’Europa, con attentati sinistramente massonici (non islamici) nella loro spietata simbologia. Chi lo dice? Gioele Magaldi, per esempio: un autore che per l’italico mainstream resta oscuro quanto il suo besteller, “Massoni”, letteralmente ignorato da tutti i talkshow nonostante facesse nomi e cognomi, da Napolitano in giù, come inutilmente ricordato persino in Parlamento dai 5 Stelle. Dove sono, i giornalisti italiani, quando qualcuno si espone per svelare i retroscena della crisi che sta sventrando il paese? Oggi sono tutti a fischiare comodamente il puzzone di turno, Matteo Salvini, mettendo nel mazzo – per buon peso – lo stesso Feltri, notorio estimatore del capo leghista. Tutto fa brodo, pur di non avvistare il pericolo: va benissimo anche lo scalpo di Armando Siri (solo indagato, tuttora) per colpire la Flat Tax e il governo gialloverde, che ha avuto l’improntitudine di pensare che l’Italia si potesse governare anche senza sottomettersi alle mafie politiche locali, succursali delle mafie politiche europee.Per il mainstream che odia Salvini e detesta Feltri, il supermassone occulto Mario Draghi, quasi onnipotente signore d’Europa dopo l’esordio sul Britannia da cui collaborò alla svendita del paese, resta essenzialmente Super-Mario, ipotetico futuro premier quando finalmente il vero potere si sarà scrollato di dosso gli intrusi dell’ultima ora, i pasticcioni gialloverdi. Il governo non è libero di decidere nulla – ha ammesso Pino Cabras, parlamentare pentastellato, in un convegno del Movimento Roosevelt a Londra – perché nei ministeri e nei palazzi-chiave, cominciando dal Quirinale, domina il Deep State. Qualcuno, della libera stampa italiana pronta ad azzannare Feltri per gli sberleffi a Montalbano, si è peritato di rilanciare la notizia? Gli specialisti dell’antimafia sono coraggiosamente impegnati sul fronte della micro-mafia nazionale. Ma i loro colleghi come si regolano, con la vera macro-mafia, quella eurocratica, che da trent’anni ha dichiarato guerra all’Italia sbaraccando la Prima Repubblica? Divorzio fra Tesoro e Bankitalia, Sme, Trattato di Maastricht, Fiscal Compact, pareggio di bilancio. L’ex potenza industriale mediterranea ha perso il 25% del suo potenziale in una manciata di anni. Crisi, recessione, esasperazione. Dov’erano, i giornalisti, mentre tutto questo accadeva? E dove sono oggi? Nel solito posto: comodi, in platea, a distrarre il pubblico. Che screanzato, quel Feltri. Sia messo al bando, perché sciupa la foto di gruppo del glorioso giornalismo italiano.(Giorgio Cattaneo, “Con che coraggio attacca Feltri – per le battute su Montalbano – il giornalismo italiano che da trent’anni non dice la verità sulla crisi del paese?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 giugno 2019).Basso impero, l’avrebbe definito Giorgio Bocca. Il giornalismo italiano? Scomparso, ridotto a recitare veline di palazzo. Eppure a quanto pare esiste ancora, se è vero che due cronisti – Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi – si appellano addirittura all’Ordine dei giornalisti, letteralmente indignati. Contro il silenzio del mainstream? Contro le bugie quotidiane del sistema radiotelevisivo? Contro l’omertosa reticenza delle redazioni di fronte a qualsiasi evento di rilievo, italiano e internazionale? Macché. Ce l’hanno con Vittorio Feltri, che si è permesso di insolentire nientemeno che il commissario Montalbano, cioè un personaggio letterario, proprio mentre il suo autore – Andrea Camilleri – lotta in ospedale tra la vita e la morte. Borrometi è un giornalista coraggioso, messo in pericolo dalla mafia. Ruotolo, popolare in Tv, è lo storico inviato di Michele Santoro. «Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere – scrivono, in una lettera al presidente dei giornalisti italiani, Carlo Verna – hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E cos’avrebbe mai detto, Feltri, di così inaccettabile? «Mi dispiace, perché un uomo anche vecchio che muore suscita in te un certo dolore. Però – ecco il passaggio sotto accusa – mi consolerò pensando al fatto che Montalbano non mi romperà più i coglioni».
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Carpeoro: Olanda criminale come l’Ue, deruba gli italiani
Con le manovre per la procedura d’infrazione procede il piano contro l’Italia, concepito per abbattere il governo gialloverde e insediare Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, con l’incarico di schiacciare il nostro paese sotto il peso di un’austerity mostruosa. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, il primo – giorni fa – a ventilare l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, dopo che a fine ottobre avrà dovuto lasciare la presidenza della Bce. Ma a determinare l’eventuale caduta del governo Conte – aggiunge Carpeoro, in diretta web-streaming du YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – non sarà tanto la procedura d’infrazione, quanto la crescita esplosiva (e opportunamente pilotata) dello spread. «E questa sarebbe l’Europa?», si domanda Carpeoro, spazientito. «Non c’è un’ombra di solidarietà tra i paesi Ue: e i primi a pretendere che all’Italia sia inflitta la massima dose di rigore sono proprio i paesi come l’Olanda, che in questi anni si sono distinti per scorrettezza». Peggio: «L’Olanda ha introdotto un legislazione fiscale che non esito a definire criminale, attirando le nostre maggiori aziende e sottraendo in tal mondo risorse preziose all’Italia. A livello europeo è possibile dover essere governati, di fatto, da dei veri e propri criminali?».Avvocato e saggista, Carpeoro si è distinto per la sua denuncia contro la massoneria di potere, di stampo reazionario e neo-feudale: un’élite che usa la finanza come clava, e all’occorrenza anche il terrorismo (strategia della tensione) per giustificare la continua, progressiva erosione della democrazia con l’alibi della sicurezza. Europeista convinto, Carpeoro accusa di anti-europeismo sostanziale i protagonisti della Disunione Europea, che da Bruxelles e Francoforte impongono al continente il diktat neoliberale. L’ultimo grande argine a questa deriva, secondo Carpeoro, è stato il premier socialista svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986 alla vigilia dei grandi eventi che, dopo il crollo del Muro di Berlino, avrebbero spianato la strada all’attuale tecnocrazia Ue. Risultato: «Siamo nelle mani di gente come Jean-Claude Juncker, che si vanta impunemente della ricchezza del suo paese, il Lussemburgo», dimenticando di dire che il Granducato è stato per decenni uno Stato-canaglia, «un paradiso fiscale che si è arricchito a spese di altri paesi europei, a cominciare dall’Italia».Inglorioso primato, ora passato all’Olanda: dopo la Fiat, anche Mediaset ha annunciato il trasferimento della domiciliazione fiscale, migrando verso i lidi olandesi. Si segnala anche l’attivismo del Biscione, impegnato in acquisizioni a tutto campo, in Europa, nel settore televisivo. Per Carpeoro, è la prova del fatto che l’anziano Berlusconi voglia «mettere al riparo il suo patrimonio, per difenderlo dall’assalto che – dopo la sua morte – dovranno subire i suoi figli». Copione classico, da anni: lo sport più in voga, in Europa (inaugurato dal club del Britannia, incluso Draghi) è il saccheggio del Belpaese. Carpeoro è disgustato: «Ma che razza di Europa è mai questa? Qui si lasciano emigrare le industrie nella parte orientale dell’Ue, dove si permette che gli operai vengano pagati pochissimo, e poi non si fa niente per evitare che i migranti africani finiscano per fare concorrenza, al ribasso, agli operai italiani. Se però qualcuno – come Salvini – si permettere di dire che l’immigrazione incontrollata è folle, e che quantomeno i migranti dovrebbero essere distribuiti anche negli altri paesi europei, gli si dà subito del fascista. E mai nessuno, in Italia, che denunci i criminali olandesi», a cui l’Unione Europea consente di attuale questa loro “pirateria fiscale” a spese dell’Italia, in barba a qualsiasi idea di collaborazione europea, o almeno di rispetto delle regole più elementari.Con le manovre per la procedura d’infrazione procede il piano contro l’Italia, concepito per abbattere il governo gialloverde e insediare Mario Draghi al posto di Giuseppe Conte, con l’incarico di schiacciare il nostro paese sotto il peso di un’austerity mostruosa. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, il primo – giorni fa – a ventilare l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, dopo che a fine ottobre avrà dovuto lasciare la presidenza della Bce. Ma a determinare l’eventuale caduta del governo Conte – aggiunge Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nighs” – non sarà tanto la procedura d’infrazione, quanto la crescita esplosiva (e opportunamente pilotata) dello spread. «E questa sarebbe l’Europa?», si domanda Carpeoro, spazientito. «Non c’è un’ombra di solidarietà tra i paesi Ue: e i primi a pretendere che all’Italia sia inflitta la massima dose di rigore sono proprio i paesi come l’Olanda, che in questi anni si sono distinti per scorrettezza». Peggio: «L’Olanda ha introdotto un legislazione fiscale che non esito a definire criminale, attirando le nostre maggiori aziende e sottraendo in tal mondo risorse preziose all’Italia. A livello europeo è possibile dover essere governati, di fatto, da dei veri e propri criminali?».
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Veneziani: chi odia i Mostri di oggi sogna i Draghi di domani
In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.La chiamata alle armi contro il nazismo tornante produrrà effetti elettorali minimi, se non ridicoli, a vantaggio delle forze che si oppongono al Mostro. Nella realtà presente non c’è nessuno che possa sfidare seriamente il governo in carica con qualche possibilità di sostituirvisi. E tantomeno in caso di elezioni politiche anticipate: non si può governare senza affiancarsi, e in posizione di minoranza, a uno dei due mostri in questione. O governi con la Lega o governi coi grillini. Non c’è altra soluzione. Nella sua formidabile performance in cui sembra restaurato come la pellicola di un vecchio film, Berlusconi Settebellezze finge di essere ancora lui il leader del centro-destra con un’incrollabile fede in se stesso – un caso di sconfinata auto-ammirazione. Immagina che la Lega possa rientrare nell’ovile e farsi dirigere da lui, che a suo dire è la Mente, mentre loro sono le braccia o i piedi, personale di servizio o di locomozione.La sinistra fa ancora peggio: attacca il Mostro per antonomasia, Salvini, ma assicura che non si fidanzerà col Mostricciattolo, cioè l’alleato Di Maio. Dopo il voto magari ci sarà il distinguo: nessuna alleanza con Di Maio ma con un Figo, per esempio, sì. Ma intanto la loro fattura di morte sul governo, in che cosa concretamente si traduce? In un sogno proibito, che Berlusconi ha appena accennato, che Mattarella non ha mai pronunciato, e che la sinistra finge di non conoscere. Il sogno è Draghi. Mario Draghi, Sir Marius Drake per la letteratura globish. Al governatore della Bce scade il suo mandato a ottobre, e potrebbe diventare la carta da giocare da parte dell’Europa e delle forze d’opposizione anti-sovraniste d’Italia. Nessuno è così fesso e suicida da augurarsi di tornare alle urne con la probabilità di veder confermato a furor di popolo Salvini e la Lega come il primo leader e il primo partito d’Italia.Allora cosa si spera? Che grillini e leghisti non riescano a superare i malumori accumulati nella campagna elettorale e le palesi divergenze su quasi tutto, unite a una plateale insofferenza reciproca. E che si separino. Dall’altra parte l’Europa agiterà lo spettro del crollo italiano, e allora implorerà Draghi – o un suo succedaneo – di caricarsi del compito. Draghi è stato, va detto, un efficace presidente della Bce, a volte ha tolto le castagne dal fuoco e si è inventato qualche piano marshall finanziario per sostenere gli Stati e sorreggere le banche. Ma è omogeneo all’Establishment euro-globale da una vita. Continuiamo a ricordare il suo ruolo chiave ai tempi dello Yacht Britannia, quando l’Italia privatizzò e svendette i suoi gioielli su ordine dei superiori, sulla nave di Sua Maestà che batteva bandiera inglese. Ma quel che più spaventa è il film già visto. Un paese espropriato della sua sovranità, tramortito e spaventato a colpi di spread e di agenzie di rating, che si affida al grand commis delle istituzioni europee. Ieri Monti, domani Draghi. Mario I e Mario II, euroconcessionari di zona. E buonanotte ai populisti, ai sovranisti, agli elettori.Ipotesi probabile, possibile oppure no? Non ci azzardiamo a fare pronostici ma la furia distruttiva delle opposizioni, della sinistra in particolare, conduce a questa soluzione, con la benedizione di Mattarella. Noi lo abbiamo accennato giorni fa, poi abbiamo sentito e letto conferme in giro, abbiamo visto Berlusconi entusiasmarsi all’ipotesi Draghi e cercare di metterci su il cappello, ricordando che lo aveva mandato lui, non il suo governo, ma proprio lui, alla Banca Centrale Europea. Magari Draghi preferisce pensare al Quirinale o ad altro, vista la brutta fine del suo predecessore e omonimo, il bocconiano funesto Mario I, dei Monti di pietà. E dopo aver visto l’aborto di Cottarelli. A dir la verità, la ricetta grillina in economia, così velleitaria e così fallimentare, ci porta diritti a un governo tecnico tipo Draghi.A chi piace l’ipotesi Draghi, nulla da dire. Ma a chi questa ipotesi non piace o addirittura inquieta, a chi crede che sia un bene non negoziabile la sovranità popolare, nazionale e politica, rispetto al protettorato eurocratico, l’alternativa è chiara: o voti i sovranisti o voti tutti gli altri, della cooperativa Draghi. La scelta sovranista si traduce in primis in Salvini, il Nemico Assoluto e il Bersaglio Concentrico di questa folta truppa di poteri forti e alleati finti. O la Meloni, per chi crede utile votare sovranista ma favorire la caduta del governo coi grillini. A chi piace Drago Draghi e il suo codazzo, non resta che sperare in una vittoria mutilata dei sovranisti e in uno sfascio imminente del governo e del paese, per consentire l’arrivo del Soccorso Globale, voluto dall’Europa, dalla Sinistra, e a fasi alterne da Berlusconi. Chi detesta i grillini al governo ma non vuole arrendersi al Banco dei Pegni, non può che puntare sui sovranisti. Questa è la posta in gioco, Mostri contro Draghi.(Marcello Veneziani, “I Mostri di oggi, i Draghi di domani”, da “La Verità” del 26 maggio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).In una domenica di maggio travestito da novembre arrivò finalmente il giudizio di Dio, l’ordalia elettorale che dovrà decidere i sommersi e i salvati, o se preferite, i salvini e i dannati. Giorno importante dal punto di vista simbolico, prima che politico. Ma come è stato raccontato questo 26 maggio dai media e dai poteri storti? Come il giorno dei mostri. Euromostri da abbattere, detti sovranisti, presentati come un pericolo per l’umanità, per l’Europa e per i singoli paesi. Ma per sostituirli come, con chi, con che cosa? Ecco, questo è il mistero glorioso di questa tornata elettorale. In Italia tutti sanno bene che non ci sono alternative praticabili in campo, nessuno degli avversari del Mostro a due teste ha la possibilità di vincere e poi di cambiare il governo del nostro paese. Sono forze che nella migliore delle ipotesi raccolgono la quinta parte dei votanti o che sono largamente al di sotto, e non ci sono cartelli di alleanze alternative.
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Vincere la depressione: le stelle spiegano il destino di Vasco
Vasco Rossi è stato sempre uno dei miei cantautori preferiti, insieme a Fabrizio De André, Rino Gaetano e Edoardo De Angelis. Ascoltando le sue canzoni, ho sempre sentito che doveva soffrire di una profonda depressione latente e di un male di vivere che non lo ha mai abbandonato, neanche negli anni del successo. Dal punto di vista astrologico il suo tema natale è una sorta di capolavoro, perché è il tema di una persona profondamente depressa e bloccata, che però ha raggiunto il successo mondiale proprio grazie a questi blocchi. Analizzarlo può quindi essere di aiuto a tutti coloro che si sono sempre sentiti come Sally, o Jenny, ovverosia depressi, che non vogliono più alzarsi dal letto, che fanno fatica ad andare avanti, che non vogliono più sforzarsi di capire, vorrebbero solo dormire, come Jenny. Il tema natale di Vasco Rossi, più che essere caratterizzato dal suo essere “Acquario”, quindi stravagante, fuori dagli schemi e anticonformista, o peggio ancora dal suo ascendente Vergine, è caratterizzato da quella che, in gergo tecnico, si chiama “grande croce”: è una croce di nome e di fatto, nel senso che chi ha una configurazione del genere nel suo tema ha spesso la vita bloccata in molte manifestazioni, sente che non ce la fa a vivere, tende alla depressione e alla paralisi e spesso formula pensieri di suicidio (viene da domandarsi quante volte Vasco avrà pensato al suicidio nella sua vita, anche durante gli anni del successo… credo molte volte).Questa configurazione (caratterizzata da due coppie di pianeti in reciproca opposizione tra loro; e Vasco ha addirittura tre coppie di pianeti in opposizione tra loro) è una delle peggiori possibili in un tema natale; ma è anche quella che porta le più grandi opportunità di crescita (è presente infatti nel tema di molti maestri spirituali). E’ la configurazione di chi sente che la vita è un “perdere tempo” (come dice la canzone “Vivere”); di chi ogni giorno spera che il domani sia meglio, di chi non è mai contento e si sente morto dentro, di chi combatte e sente che ha tutti contro, e di chi spesso domanda a Dio il significato di una vita che ha vissuto e che non ha capito (ma che, proprio a causa di questa domanda, quando trova Dio e trova le risposte che cerca, vive una vita più intensa di quella degli altri). Per uscire da questa situazione di stallo spesso la persona ha bisogno di stimoli esterni, perché da solo sente che non ce la fa: si ha bisogno di droghe, di psicoterapie, di farmaci. Oppure una vita spericolata, oppure un figlio. Vasco lo dice chiaramente nella sua canzone “Benvenuto”: C’ho pensato dopo… c’ho pensato poco; vuoi che sia sincero… ho pensato solo… solamente a noi… A noi due che eravamo qui annoiati ormai… quasi spenti sì davanti alla Ti Vi. In qualunque caso, figlio, droghe, o altro, ci vuole qualcosa, “una scusa che ti può tenere su” (“Gli angeli”).La prima cosa che colpisce è quel Saturno in prima casa; una posizione che implica, per coloro che ce l’hanno, una notevole tendenza al pessimismo se non alla depressione vera e propria. Come se non bastasse, il Saturno in prima casa è opposto a Giove, nella casa 7, ovverosia la casa dei sentimenti. Vale a dire, che potenzialmente avrebbe avuto pure le possibilità di costruirsi una vita felice, ma l’opposizione di Saturno (la sua depressione, quindi, e la sua personalità) gliel’ha impedito. Ha avuto infatti sempre rapporti abbastanza tormentati con cui ha cercato, insieme all’alcool e alle droghe, di vincere quel male di vivere che lo tormentava. E il successo? Era iscritto nel suo destino? In un certo senso sì. Nella sua decima casa, quella del successo, troviamo infatti Urano e la Luna, congiunti. Da una parte questo indica che dentro di lui c’era la voglia di successo, la voglia di emergere (“voglio una vita spericolata”); Urano – il pianeta del cambiamento e dell’imprevedibilità – indica un successo di tipo Uraniano appunto, ovverosia o incostante e altalenante o, come nel suo caso, proiettato all’esterno e implicante trasformazione e cambiamento in chi lo ascolta; ma questa Luna congiunta a Urano è anche, al tempo stesso, opposta a Venere e a Chirone. In altre parole: non è stato un successo facile, il suo, perché è presente proprio in questo campo un’altra opposizione.Senza contare che la Luna congiunta a Urano, ovunque essa sia collocata, indica sempre instabilità di umore, cambiamenti repentini di stati d’animo e di sensazioni: insomma, un vero inferno interiore, destinato a seguire i cambi della Luna. Quindi, sì, nel suo destino era previsto che avrebbe raggiunto il successo, ma a prezzo dell’amore (Venere) e del raggiungimento di quell’equilibrio e quell’armonia familiare che lui avrebbe voluto, e che sentiva dentro come qualcosa che forse avrebbe potuto guarirlo dal suo male di vivere (Chirone e Venere sono infatti in quarta casa, la casa delle radici familiari e degli affetti). E soprattutto, era iscritto nel suo destino il fatto che avrebbe raggiunto il successo a prezzo del superamento di tutti quei blocchi presenti nel suo tema natale, dati dalle tre opposizioni presenti in esso. Potremmo poi analizzare molti altri aspetti; il suo Mercurio in Acquario o il suo Marte in Scorpione e in seconda casa, o il suo Sole in quinta casa opposto a Plutone (forse alcune amicizie nella sua vita lo hanno condizionato, nel bene e nel male, e influenzato nella sua potenzialità di godersi la vita?); ma non credo che siano questi i dati rilevanti della sua vita, e che l’hanno portato ad essere ciò che è.Colpisce, infine, il Nodo Lunare nord in sesta casa (la casa del lavoro) e il Nodo sud in 12esima casa. Chi ha il Nodo sud in 12esima casa (la casa dell’inconscio) è spesso una persona fuori dagli schemi, con una vita particolare, perché ha poca dimestichezza con il suo inconscio, ed è come se le sue azioni fossero mosse da una forza invisibile di cui la persona stessa non si capacita. Probabilmente, se chiedessimo a Vasco perché ha avuto successo, perché è diventato ciò che è diventato, e se può dare consigli a chi vuole seguire la sua strada, risponderebbe: “Boh… io sono stato solo me stesso, e ho solo seguito quello che sentivo” (è questa infatti la risposta che viene data da chi ha questa posizione del Nodo Lunare, quando gli si chiede il motivo delle sue scelte). Il segreto del suo successo, infatti, credo stia qui: nelle sue canzoni ha messo se stesso, la sua rabbia, la sua depressione profonda, e anche le sue evoluzioni di vita e di pensiero, che sono evidenti seguendo la cronologia delle sue opere.Era un tema natale duro quello di Vasco Rossi. Guardandolo senza pregiudizi, e senza sapere che è di Vasco Rossi, un astrologo si domanderebbe: “Ma una persona così, ce l’ha fatta? Ha una vita normale, o, come Jenny, passa il suo tempo a letto e dormire?”. Il tema natale di Vasco Rossi, e quindi la sua vita, sono qualcosa di meraviglioso come le sue canzoni: sono un invito a non mollare, a continuare a lottare, perché anche se la vostra vita è bloccata e sembra che tutto vi remi contro, nonostante tutto potete farcela, e la vostra vita può diventare un grande sogno, proprio grazie a questi blocchi e a quel male di vivere che sentite. Sono, forse, anche un invito a fare meglio di lui; come se il suo tema natale dicesse: potete raggiungere il successo, potete superare ogni limite anche se avete blocchi ovunque nel vostro tema natale, ma c’è un risultato migliore da raggiungere e che io non ho raggiunto: la pace interiore. Lo dice chiaramente nella sua canzone “Liberi liberi”: soddisfatto di me, in fondo in fondo non lo sono mai stato. Potete farcela. Chiunque può farcela.(Paolo Franceschetti, “Vincere la depressione: il tema natale di Vasco Rossi”, dal blog “Petali di Loto” del 9 maggio 2019).Vasco Rossi è stato sempre uno dei miei cantautori preferiti, insieme a Fabrizio De André, Rino Gaetano e Edoardo De Angelis. Ascoltando le sue canzoni, ho sempre sentito che doveva soffrire di una profonda depressione latente e di un male di vivere che non lo ha mai abbandonato, neanche negli anni del successo. Dal punto di vista astrologico il suo tema natale è una sorta di capolavoro, perché è il tema di una persona profondamente depressa e bloccata, che però ha raggiunto il successo mondiale proprio grazie a questi blocchi. Analizzarlo può quindi essere di aiuto a tutti coloro che si sono sempre sentiti come Sally, o Jenny, ovverosia depressi, che non vogliono più alzarsi dal letto, che fanno fatica ad andare avanti, che non vogliono più sforzarsi di capire, vorrebbero solo dormire, come Jenny. Il tema natale di Vasco Rossi, più che essere caratterizzato dal suo essere “Acquario”, quindi stravagante, fuori dagli schemi e anticonformista, o peggio ancora dal suo ascendente Vergine, è caratterizzato da quella che, in gergo tecnico, si chiama “grande croce”: è una croce di nome e di fatto, nel senso che chi ha una configurazione del genere nel suo tema ha spesso la vita bloccata in molte manifestazioni, sente che non ce la fa a vivere, tende alla depressione e alla paralisi e spesso formula pensieri di suicidio (viene da domandarsi quante volte Vasco avrà pensato al suicidio nella sua vita, anche durante gli anni del successo… credo molte volte).
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“L’autismo è bello”, come il futuro orrendo che ci assedia
Eccovi servito il nuovo livello di rincoglionimento imposto: “l’autismo è un dono”, “l’autismo è una opportunità”, “l’autismo serve per lavorare”, “l’autismo è il futuro”. Ve lo strillano con prestigiosi convegni, dalle patinate riviste e compagnia cantante, tutti ben foraggiati dalle case farmaceutiche. È la nuova frontiera: stravaccinato e autistico, con contorno di treccine bionde, seduto a guardare serie Tv mangiando insetti bolliti. Il perfetto bimbo del radioso futuro che hanno in serbo per voi. Vi hanno convinto che i bambini sani minaccino la salute pubblica. Vi hanno convinto che la scienza consista nel credere ciecamente a qualsiasi cosa affermi uno stronzo arrogante in camice bianco alla Tv, e che farsi domande quando i conti non tornano sia roba per matti. Vi hanno convinto ad accettare come vere epidemie immaginarie, morti immaginari, e ad accettare la cancellazione dei diritti fondamentali per emergenze basate su un rischio venti volte inferiore a quello di venir colpiti dai fulmini.Vi hanno convinto che sia normale distruggere l’identità sessuale nei bambini, per liberarli dagli stereotipi culturali. Vi hanno convinto che serva a garantire la libertà di orientamento sessuale, a eliminare le discriminazioni, quando non c’entra un emerito niente con queste più che logiche e importanti battaglie – anzi – lavora esattamente nella direzione opposta. Quella di creare confusione ad ogni livello, di cancellare ogni tipo di riferimento, mentre è proprio dai riferimenti che si parte per prendere decisioni, per conoscere se stessi, per assumere il controllo della propria vita. Più che mai quando si parla di orientamento o di identità sessuale. Vi hanno convinto che sia normale spingere milioni di persone a lasciare le loro terre, che deprediamo economicamente e fisicamente per le risorse prime, avviandole a viaggi infernali in cui vengono sfruttati, derubati e violentati per poi rischiare di affogare su gommoni di fortuna da cui – Alleluya! – i nostri eroici volontari delle Ong possono salvarli, per sbarcarli in paesi che non sono in grado di accoglierli e integrarli, per farli finire schiavi della mafia e venire ancora sfruttati, derubati e violentati, e se gli va di culo ritrovarsi davanti al supermercato a stressarci per un euro facendoci incazzare perché – hey, siamo razzisti!Vi hanno convinto che sia normale vivere immersi in un debito inestinguibile, usando denaro che nemmeno esiste più e nella sua forma, concreta o digitale, resta di proprietà di enti privati, perché “non c’è alcuna alternativa”. Vi hanno convinto ad accettare che debba restare scarso, e che sia necessario fare dei sacrifici, perché… perché sì. Vi hanno convinto che siate voi a dover cambiare in peggio le vostre vite per fare funzionare l’economia, invece che l’economia a dover cambiare per rendere migliori le vostre vite. Vi hanno convinto che un anziano debba venire imbottito di medicinali, tagliato e ricucito e tagliato e inzuppato di sostanze radioattive per fargli vivere qualche altro anno in cui imbottirlo di medicinali, tagliarlo e ricucirlo. Su, forza adesso: mostrate quanto siete intelligenti, fate vedere quanto siete svegli. Fate un’altra bella capriola. “L’autismo è un dono. L’autismo è il futuro”. Bevetevi anche questa ennesima stronzata, dai.(Stefano Re, “L’autismo va di moda”, dal blog di Re dell’11 maggio 2019).Eccovi servito il nuovo livello di rincoglionimento imposto: “l’autismo è un dono”, “l’autismo è una opportunità”, “l’autismo serve per lavorare”, “l’autismo è il futuro”. Ve lo strillano con prestigiosi convegni, dalle patinate riviste e compagnia cantante, tutti ben foraggiati dalle case farmaceutiche. È la nuova frontiera: stravaccinato e autistico, con contorno di treccine bionde, seduto a guardare serie Tv mangiando insetti bolliti. Il perfetto bimbo del radioso futuro che hanno in serbo per voi. Vi hanno convinto che i bambini sani minaccino la salute pubblica. Vi hanno convinto che la scienza consista nel credere ciecamente a qualsiasi cosa affermi uno stronzo arrogante in camice bianco alla Tv, e che farsi domande quando i conti non tornano sia roba per matti. Vi hanno convinto ad accettare come vere epidemie immaginarie, morti immaginari, e ad accettare la cancellazione dei diritti fondamentali per emergenze basate su un rischio venti volte inferiore a quello di venir colpiti dai fulmini.
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Torino, il Salone della Censura anticipa il governo Pd-M5S?
Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.Torino è sempre tristemente bella, misteriosamente inerte, lievemente depressiva. Ha inanellato un piccolo record italiano di sciagure altamente evocative, dalla tragedia del Grande Torino al rogo del cinema Statuto, fino alla carneficina in piazza San Carlo scatenata dal panico tra la folla che assisteva, dal maxischermo, a una partita della squadra bianconera (ancora lei). A due passi dall’ex cinema, nell’omonima piazza, torreggia il lugubre monumento che commemora i lavoratori caduti nell’800 al cantiere del Traforo del Fréjus voluto da Cavour. Il Fréjus esiste ancora, ci passa il velocissimo Tgv francese sulla linea valsusina Torino-Modane, ma forse i torinesi se ne dimenticano. Non sanno che esiste già, una Torino-Lione, e che l’Italia ha appena speso quasi mezzo miliardo di euro per ammodernare quel traforo, rendendolo perfettamente adatto al transito dei treni con a bordo i Tir e i grandi container navali? Dove hanno la testa, i torinesi, quando si lasciano trasformare in docile gregge (sotto la guida carismatica delle “madamine” di Chiamparino) da chi ha tutta l’aria di volersi aggrappare, come un parassita senza speranza, al miraggio miliardario dell’inutile ferrovia-doppione in valle di Susa? E’ lontanamente immaginabile che qualcosa del genere possa accadere nella vicinissima Milano, che dopo l’Expo è balzata al secondo posto (dietro a Roma) tra le mete turistiche italiane?A illuminare indirettamente il male oscuro di Torino ha provveduto, di recente, un giornalista di razza come Gigi Moncalvo, autore di saggi esplosivi (“Agnelli segreti” e “I lupi e gli agnelli”) subito spariti, misteriosamente, dalle librerie. In due diverse puntate della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, una sugli Agnelli e l’altra sui Caracciolo, Moncalvo si domanda come sia possibile che la grande stampa italiana ignori completamente le notizie-bomba che provengono dalla collina torinese, dove gli eredi dell’Avvocato si lacerano in guerre all’ultimo sangue per contendersi il tesoro dell’ex patron della Fiat: miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano (nonostante i fiumi di denaro statale concessi per la cassa integrazione). C’è anche il forziere – 9 miliardi in lingotti d’oro – custodito nel blindatissimo Freeport di Ginevra, insieme ai “risparmi” – dice sempre Moncalvo – dei migliori galantuomini del pianeta, narcos sudamericani e oligarchi russi. Possibile che nessuno ne parli? Ebbene sì: solo in Italia il kolossal tratto dal romanzo “The silence of the lambs” uscì col titolo taroccato (il silenzio degli innocenti, anziché degli agnelli) per un riflesso di autocensura preventiva, nel timore che la parola proibita – agnelli – potesse turbare la quiete sabauda della real casa.E se ora Torino fa notizia come sempre, cioè con qualcosa di sgradevole (il conformismo da parata, in salsa “antifascista”, per mettere al bando un editore che lo Stato considera perfettamente legale), c’è chi si mette addirittura in sospetto: vuoi vedere che dietro la manfrina anti-Salvini, inscenata da Chiamparino in tandem con la sindachessa pentastellata Chiara Appendino, si nascondono i prodromi della prossima, possibile manovra di palazzo per “sposare” i 5 Stelle con l’incolore Pd di Zingaretti? Non che ne manchino le premesse, dopo le entrate a gamba tesa di Roberto Fico sui migranti, l’allineamento di Giulia Grillo sul decreto Lorenzin (obbligo vaccinale), quindi la genuflessione di Di Maio alla Merkel e, soprattutto, la clamorosa cacciata di Armando Siri dal governo Conte. In compenso, Salvini – nel mirino – risponde da par suo, aprendo la più tragicomica caccia alle streghe della storia, quella contro i negozi di cannabis “light”. Con buona pace delle speranze dell’Italia gialloverde, morte e sepolte dopo la resa a Bruxelles. Nel 2008, Veltroni scelse proprio Torino per lanciare il formidabile Pd, il partito che avrebbe sorretto il governo Monti e varato la legge Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione. Sarà ancora l’ambigua e depressa Torino, capitale della censura, a inaugurare l’ennesima non-svolta concepita per consegnare il paese all’orizzonte dell’austerity eterna?(Giorgio Cattaneo, “Fatale Torino, capitale della censura: il bavaglio a CasaPound (contro Salvini) prepara un’intesa di governo tra Pd e 5 Stelle?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 12 maggio 2019).Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.
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Guai a chi parla: l’arresto di Assange minaccia i giornalisti
L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.L’arresto scioccante di Assange porta con sé un avvertimento per tutti coloro che, come scrisse Oscar Wilde, «seminano il seme del malcontento [senza il quale] non ci sarebbe alcun progresso verso la civiltà». L’avvertimento è esplicito nei confronti dei giornalisti. Quello che è successo al fondatore ed editore di WikiLeaks può capitare a voi su un giornale, in uno studio televisivo, alla radio, quando fate un podcast. Il principale persecutore mediatico di Assange, il “Guardian”, un collaboratore dello Stato segreto, questa settimana ha dimostrato il suo nervosismo con un editoriale che ha raggiunto vette finora inviolate di subdola astuzia. Il “Guardian” ha sfruttato il lavoro di Assange e WikiLeaks in quello che il suo precedente direttore chiamava «il più grande scoop degli ultimi 30 anni». Il giornale ha decantato le rivelazioni di WikiLeaks e ha rivendicato i riconoscimenti e le ricchezze che gliene sono derivate. Senza che un solo penny sia andato a Julian Assange o a WikiLeaks, un libro pubblicato dal “Guardian” ha portato poi a un fruttoso film di Hollywood. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, hanno abusato della loro fonte rivelando la password segreta che Assange aveva dato in confidenza al giornale, il quale avrebbe dovuto proteggere un file digitale contenente documenti trapelati dell’ambasciata Usa.Mentre Assange era intrappolato nell’ambasciata ecuadoriana, Harding ha raggiunto la polizia che stava là fuori e ha gongolato sul suo blog, dicendo che «Scotland Yard potrebbe essere quello che ride per ultimo». Da allora il “Guardian” ha pubblicato una serie di falsità su Assange, non ultimo una dichiarazione poi smentita che un gruppo di russi e l’uomo di Trump, Paul Manafort, avevano fatto visita ad Assange nell’ambasciata. Gli incontri non sono mai avvenuti; era falso. Il tono ora è cambiato. «Il caso Assange è una intricata questione morale», commenta il giornale. «Lui (Assange) crede nella pubblicazione di cose che non si dovrebbero pubblicare… Ma ha sempre gettato luce su cose che non avrebbero mai dovuto essere nascoste». Queste “cose” sono la verità sul sistema omicida con cui l’America conduce le sue guerre coloniali, le menzogne del Foreign Office britannico sulla privazione dei diritti delle persone vulnerabili, come gli Chagos Islanders, l’esposizione di Hillary Clinton come sostenitrice e beneficiaria dello jihadismo in Medio Oriente, la descrizione dettagliata da parte degli ambasciatori americani su come riuscire a rovesciare i governi in Siria e in Venezuela, e molto altro ancora. È tutto disponibile sul sito WikiLeaks.Il “Guardian” è comprensibilmente nervoso. La polizia segreta ha già visitato il giornale e ha chiesto e ottenuto la distruzione rituale di un disco rigido. Su questo, il giornale ha il documento della richiesta. Nel 1983, un funzionario del Foreign Office, Sarah Tisdall, fece trapelare alcuni documenti del governo britannico che mostravano quando sarebbero arrivate in Europa le armi nucleari Cruise americane. Il “Guardian” fu inondato di elogi. Quando un’ingiunzione del tribunale chiese di conoscere la fonte, non è stato il direttore a farsi arrestare in nome del fondamentale principio di proteggere la sua fonte, ma la Tisdall è stata tradita, perseguita e ha scontato sei mesi in carcere. Se Assange viene estradato in America per aver pubblicato ciò che il “Guardian” definisce “cose” veritiere, cosa impedisce che lo segua l’attuale direttore, Katherine Viner, o il precedente direttore, Alan Rusbridger, o il prolifico propagandista Luke Harding? Che cosa deve impedire [che lo seguano] i direttori del “New York Times” e del “Washington Post”, che hanno anche loro pubblicato pezzi di quella verità che ha avuto origine da WikiLeaks, e il direttore di “El Pais” in Spagna, e “Der Spiegel” in Germania e del “Sydney Morning Herald” in Australia? L’elenco è lungo.David McCraw, legale del “New York Times”, ha scritto: «Penso che l’azione penale [contro Assange] sarebbe un pessimo precedente per gli editori… a quanto posso capire, egli si trova in qualche modo nella stessa posizione di un editore classico e sarebbe molto difficile da un punto di vista legale distinguere tra il “New York Times” e WikiLeaks». Anche se i giornalisti che hanno pubblicato i documenti trapelati da WikiLeaks non sono stati convocati da un gran giurì americano, l’intimidazione di Julian Assange e Chelsea Manning sarà sufficiente. Il vero giornalismo viene criminalizzato da delinquenti alla luce del sole. Il dissenso è diventato una debolezza. In Australia, l’attuale governo filo-americano sta perseguendo due informatori che hanno rivelato che delle spie di Canberra hanno installato microspie nella sala delle riunioni del nuovo governo di Timor Est, con il preciso scopo di sottrarre con l’inganno alla piccola e povera nazione la sua giusta quota di petrolio e le risorse di gas nel mare di Timor. Il loro processo si terrà in segreto. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, è tristemente famoso per aver contribuito alla creazione di campi di concentramento per rifugiati nelle isole del Pacifico di Nauru e Manus, dove i bambini si feriscono e si suicidano. Nel 2014, Morrison ha proposto campi di detenzione di massa per 30.000 persone.Il vero giornalismo è il nemico di queste disgrazie. Una decina di anni fa, il ministero della difesa a Londra ha prodotto un documento segreto che descriveva le tre «principali minacce» all’ordine pubblico: terroristi, spie russe e giornalisti investigativi. Questi ultimi erano considerati la minaccia più grave. Il documento è stato debitamente divulgato da WikiLeaks, che lo ha pubblicato. «Non avevamo scelta», mi ha detto Assange. «È molto semplice: le persone hanno il diritto di sapere e il diritto di mettere in discussione e sfidare il potere: questa è la vera democrazia». Cosa succederebbe se Assange e Manning ed altri sull’onda – se ce ne fossero altri – fossero messi a tacere e «il diritto di conoscere, mettere in discussione e sfidare» fosse eliminato? Negli anni ’70 incontrai Leni Reifenstahl, intima amica di Adolf Hitler, i cui film contribuirono a lanciare l’incantesimo nazista sulla Germania. Mi disse che il messaggio nei suoi film, la propaganda, non dipendeva da «ordini dall’alto», ma da quello che lei chiamava la «vuota sottomissione» del pubblico. «Questa vuota sottomissione include la borghesia liberale e istruita?», le chiesi. «Certamente», disse lei, «specialmente l’intellighenzia… Quando le persone non si pongono più domande serie, diventano sottomesse e malleabili. Tutto può succedere». Ed è successo. Il resto, avrebbe potuto aggiungere, è storia.(John Pilger, “L’arresto di Assange è un avvertimento della storia”, dal blog di Pilger del 13 aprile 2019; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.
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Grecia, il Corriere: abbiamo nascosto la strage dei bambini
Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.Le chiamano crisi: sono aggressioni con morti condotte dalla classe dominante capitalistica contro i dannati della cosmopolitizzazione europeista. L’ho detto e lo ridico: gli euroinomani di Bruxelles la chiamano gloriosamente Unione Europea, in verità è l’unione delle classi dominanti europee contro i popoli e le classi lavoratrici d’Europa. Questa è realmente la Ue, un immenso campo di concentramento finanziario. Fanno di tutto per nasconderlo e per glorificarlo. Ma la storia, che è storia della libertà, si ricorderà di loro. Si ricorderà di chi è stato connivente con questo genocidio finanziario, di chi ha taciuto e di chi l’ha nobilitato con parole roboanti (“integrazione”, “unione”, ecc.). L’Unione Europea è l’apice di un capitalismo che si è liberato dalla presa della sovranità nazionale e, dunque, della politica e, di conseguenza, da ogni possibile controllo democratico del popolo. La democrazia è sovranità popolare “nello” Stato. Ma perché vi sia sovranità “nello” Stato, occorre che vi sia anche sovranità “dello” Stato: ossia che lo Stato sia sovrano nelle sue scelte di politica economica e monetaria. La Ue ha rimosso la sovranità “dello” Stato e, per questa via, anche quella “nello” Stato, ossia la sovranità democratica popolare.In apparenza, l’obiettivo era evitare guerre tra Stati nazionali. In realtà, era distruggere le democrazie. Tant’è che la democrazia oggi è assente (il Parlamento della Ue ha un ruolo coreografico): e in compenso prosperano le guerre economiche tra Stati debitori (Grecia) e Stati creditori (Germania). Con tanto di cadaveri, prodotti senza nemmeno usare i cannoni e le bombe: solo con le subdole leve del debito e del credito, dello spread e dell’austerità depressiva decisa nei caveau delle banche da tecnocrati in doppiopetto e sorriso burocratizzato. Conseguenza di tutto ciò? Sovrano è oggi il mercato senza politica, con dominio assoluto dei tecnici e dei finanzieri cinici e apolidi. Che decidono spietatamente della vita dei popoli, ad essa anteponendo il “pareggio di bilancio” e i “conti in ordine”. Anche se ciò comporta la nuova strage erodiana dei 700 bambini ellenici! Prodigio della ragion liberista! I padroni del discorso, si sa, usano la condanna dei totalitarismi passati come risorsa ideologica per far sì che i sudditi amino il nuovo totalitarismo glamour del libero mercato. Oggi più che mai valgono le parole scritte da Adorno in “Prismi”: «Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso non essendoci nulla da contrapporgli».(Diego Fusaro, “Fubini confessa di aver nascosto la notizia dei bimbi morti in Grecia. La verità viene a galla!”, dal “Fatto Quotidiano” del 3 maggio 2019).Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul “Corriere della Sera”». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.
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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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Rosselli, Palme e Sankara: rivoluzione, se oggi fossero qui
Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.Per far uscire Thomas Sankara dalle catacombe della memoria collettiva c’è stato bisogno dell’11 Settembre, lo choc che ha costretto gradualmente milioni di persone a interrogarsi sulla natura del cosiddetto Deep State. Strana nebulosa, a geometria variabile: domina il pianeta manipolando i governi o scavalcandoli, al limite azzerandone i leader più scomodi – già rarissimi ieri, e oggi pressoché introvabili. Tuttora, comunque, vastissimi strati dell’opinione pubblica continuano a restare scettici di fronte alla denuncia della manipolazione della storia e dell’attualità: tendono ad allinearsi al mainstream che reputa fantasiosa la teoria del complotto, boccia le verità alternative sull’11 Settembre, si rassegna alle campagne sanitarie di massa come il Tso infantile dei vaccini imposti senza spiegazioni. E ovviamente deride chi “crede alle scie chimiche”, preferendo non domandarsi per quale ragione il cielo non sia più blu, ma vistosamente rigato, ogni giorno, dalle tracce persistenti rilasciate dagli aerei. Ci si rifugia dietro comodi neologismi (complottismo, cospirazionismo) per liquidare domande fastidiose, anche col provvidenziale contributo degli stessi “complottisti”, spesso prontissimi a sfornare risposte grottesche, surreali e sensazionalistiche.A monte, però, le domande restano sempre inevase: e questo spiega il fiorire delle narrazioni recenti, anche le più improbabili. Cosa sta succedendo, davvero? Nessuno può garantire di saperlo con precisione. Molti si rendono conto, onestamente, di esserne all’oscuro. Per questo smettono di seguire i telegiornali – tempestivi nel dar conto degli eventi, ma senza mai spiegarli. Se oggi riapparisse in televisione Thomas Sankara, quale anchorman sarebbe in grado di intervistarlo? Vespa e Floris, Formigli e Gruber: da che parte comincerebbero, dovendo fare domande all’avatar di Olof Palme? La nostra attuale comunicazione – smart, ultra-semplificata, a risposta immediata – non prevede più il modulo dell’analisi: ce ne manca il tempo. Nel mainstream risulterebbe semplicemente favolistico il racconto sul Memorandum di Lewis Powell, a cui l’élite occidentale chiese – nel remoto 1971 – un vademecum per “riprendersi tutto”, sbaraccando la democrazia dei diritti sociali. Facile: dall’altra parte del mondo c’era ancora il gigantesco freezer dell’Unione Sovietica, e di lì a poco i neoliberisti avrebbero potuto agevolmente indossare la maschera reaganiana dei liberatori, dei vincitori definitivi, ritagliandosi persino il ruolo di tronfi celebranti della “fine dalla storia”.Da dove ricomincia, la storia? Dall’alfabetizzazione politica di massa, probabilmente. In parte sta avvenendo, nella macro-nicchia del web (che infatti l’Unione Europea si è affrettata ad arginare, con la legge-bavaglio sul copyright a cui nessun governo si è finora opposto). La buona notizia, forse, è che l’invisibile Deep State in fondo ha paura dei sudditi, visto che si affanna a mantenerli nella quiete apparente della false certezze, nonostante i colpi mortali di una crisi che sta letteralmente cancellando la classe media in Europa, al punto da riempire le strade francesi di gilet gialli. Economia, moneta, guerre, energia, clima, crisi regionali. Scampoli di verità? Su qualche libro, nei risvolti del web, in mezzo alle smancerie dei social. Per gli ottimisti, l’umanità si starebbe risvegliando da una sorta di letargo. Non che manchino segnali di consapevolezza, ma sono sovrastati dal fragore del mainstream. Oggi finalmente si ascoltano relazioni acutissime da economisti onesti, che però non saranno mai ospitati in prima serata, con piena facoltà di parola. Si saranno divertiti, gli arconti impalpabili, nel vedere che l’Italia della gloriosa rivoluzione gialloverde non si è nemmeno ribellata al diktat medievale di Bruxelles sul piccolo deficit invocato per il 2019. Il potere imperiale, neo-feudale, ha incassato una vittoria piena. E si è persino goduto le passeggiate di Macron e Juncker sui teleschermi della Rai, tra gli inchini dello sconcertante anti-italiano Fabio Fazio.Ha davvero paura della maggioranza, il famoso 1% contro cui naufragò la pletorica protesta di Occupy Wall Street? Di certo, scrive Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”, aveva una paura matta dei NoGlobal, il cui sanguinoso funerale fu organizzato a Genova nel 2001, due mesi prima della mattanza di Manhattan (3.000 morti nelle Torri Gemelle e altri 12.000 americani uccisi dal cancro, poco dopo, a causa dell’immensa nube d’amianto). A dire che le maggiori multinazionali planetarie temessero così tanto i NoGlobal è Wayne Madsen, all’epoca dirigente dell’intelligence Usa: racconta di 1500 agenti della Nsa, più 700 dell’Fbi, al lavoro per essere certi che nel capoluogo ligure tutto andasse secondo i piani, cioè malissimo. Deep State, appunto. All’occorrenza, la legge del terrore: Al-Qaeda e poi l’Isis, dalla Siria all’Europa. Di fronte a questo cos’hanno da dire, i novelli sovranisti? Come se la caverebbero, Salvini e Di Maio, al cospetto di personaggi come Rosselli, Palme e Sankara? Cosa inventerebbero, il leader della Lega e quello dei 5 Stelle, per tentare di spiegare come riesumare il socialismo liberale nell’Europa di oggi? Che figura farebbe, Di Maio, nel presentare il suo reddito di cittadinanza al gigante Olof Palme, inventore del miglior welfare europeo? E cosa racconterebbe, il mini-sceriffo Salvini, al sorriso luminoso dello stratega che sapeva di giocarsi la pelle nell’eroico tentativo di metter fine alla razzia bianca a spese del continente nero, da cui l’esodo tanto spettacolarizzato dalle opposte tifoserie odierne?Davvero è inquieto, il mitico 1%, nel dubbio che i popoli si sveglino? Ammesso che sia vero, sembra che gli ultimi a saperlo siano proprio gli abitanti dell’umanità sottostante, il 99%. Al massimo, votiamo per l’ultima protesta offerta dal supermarket della politica, una specie di discount ingombro di sottomarche low cost. Per ora ha stravinto l’impeccabile Lewis Powell: il suo Memorandum è stato applicato alla lettera. I pochi dominano sui molti, che infatti non sanno nemmeno chi fosse, quell’avvocato di Wall Street. Il pericolo, semmai, siamo abituati a riconoscerlo nel sorriso sornione di personaggi come l’anziano Kissinger, l’architetto del golpe cileno, l’uomo che minacciò di morte Aldo Moro. Che sospiro di sollievo, quando il fenomenale Obama prese il posto di Bush. Ennesima illusione, durata lo spazio di un mattino: quasi solo teatro, ancora e sempre Deep State. Da dove ricominciare? Da ciascuno di noi, verrebbe da dire, nel dubbio che l’ipotetico “mostro” tema, sul serio, il risveglio dei dormienti. Primo passo, scovare idee che possano camminare. E poi raccontarle, in modo semplice: il Memorandum Powell, che ha cambiato la faccia della Terra, era lungo appena 11 paginette. Parlava chiaro anche Rosselli, così come Palme e Sankara: nessuno deve restare indietro, mai. L’italiano, lo svedese, il burkinabè: veri e propri monumenti, postumi, all’umanità che non si volle far nascere. Li si potrà riascoltare a Milano il 3 maggio, a patto però di non dimenticarli più. Morirono, tutti e tre, perché il 99% non era al loro fianco. E non è un testamento, quello che ci hanno lasciato: è un programma politico, e sembra scritto oggi.(Giorgio Cattaneo, “Una rivoluzione della verità: nel nome di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 aprile 2019. Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”, in programma il 3 maggio 2019 a Milano, Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23, dalle ore 10 alle 17.30, sarà trasmesso in diretta da Radio Radicale).Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.