Archivio del Tag ‘terreni’
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Latouche: consumatori perfetti, cioè infelici. Serviamo così
L’espressione “decrescita felice” suscita ancora oggi molta perplessità. E’ un equivoco tutto italiano. Io non ho mai usato questa espressione. La decrescita ha un significato preciso e parte dall’assunto che noi viviamo in un mondo finito e con risorse finite. La seconda legge della termodinamica ci dice che se bruciamo 10 litri di benzina essa “non si distrugge”, ma non la possiamo nemmeno più riutilizzare come forma di energia. Come forma di energia la benzina se n’è andata per sempre. E la benzina, che è un derivato del petrolio, è un combustibile limitato, cioè finito. Queste sono cose che capirebbe anche un bambino, ma gli economisti no, si rifiutano di includere nell’economia questo aspetto determinante per il nostro futuro. Pertanto, io ritengo che siamo giunti ad un punto cruciale, che impone il non-sviluppo. Purtroppo la stragrande maggioranza dei mass media e delle persone è indotta a pensare il contrario, e cioè che sia necessario produrre sempre di più. Per farlo, tuttavia, è necessario che le persone siano infelici. Le persone felici, infatti, non hanno interesse a consumare, nel senso che consumano solo ciò che è strettamente necessario, e non acquistano cose per noia e frustrazione, come accade oggi. Ma il mercato è proprio di questa frustrazione che ha bisogno, se vuole crescere.Dunque, io vedo la felicità come una cosa lontana dalla crescita e, sotto molti punti di vista, in antitesi allo sviluppo. Più cresciamo senza che ce ne sia bisogno, più siamo infelici. Il concetto di felicità inteso come accumulo e consumo, comunque, è piuttosto recente, e risale agli ultimi tre secoli, che non a caso sono i secoli dell’industrializzazione. Prima, il concetto di beatitudine prevaleva su quello di felicità che, per certi punti di vista, nemmeno esisteva. Quando le risorse erano scarse, la frugalità era un valore. Ora che le risorse sono ritenute abbondanti il consumo, invece, è diventato il valore per eccellenza. Io propongo di tornare ad un modello frugale, è vero, ma non può essere questa una mera nostalgia per una mitica età bucolica. Al tempo stesso, però, è molto stupido e bugiardo ritenere che non ci sia mai stata nella storia dell’umanità un’era della frugalità conforme alla natura umana, ai suoi ritmi e ai suoi bisogni. Anzi! Per centinaia di migliaia di anni, cioè per la maggior parte del tempo della nostra storia, l’uomo è stato cacciatore-raccoglitore, e lavorava 2-3 ore al giorno. Il resto del tempo si interessava alle relazioni sociali e al gioco.Dunque, noi oggi lavoriamo quasi il triplo dei nostri predecessori per motivi legati alla crescita fine a se stessa, ma non perché ciò sia necessario alla nostra sopravvivenza, e tanto meno per la nostra felicità. Se la produzione agricola diminuisce secondo un modello di decrescita, com’è possibile mantenere alti standard di quantità e qualità alimentare? L’agricoltura è stata industrializzata a partire dal Settecento. Prima della rivoluzione agricola e industriale c’erano dei terreni comuni, cioè terreni di tutti, dove si pascolava il bestiame (openfield). Poi, in Inghilterra sono arrivate le recinzioni (enclosures) che hanno responsabilizzato i coltivatori, hanno aumentato la superficie coltivabile e implementato l’ambizione del proprietario della terra. Ciò ha determinato una grave crisi per quel modello contadino, basato sull’economia di villaggio, il dono e la solidarietà. Si può recuperare qualcosa del modello “openfiled” senza però gettare vie le conquiste fatte in questi secoli in termini di progresso? Ci sono molte proposte, ma la più credibile e percorribile è quella dell’agricoltura biologica, perchè riduce al minimo gli sprechi e consente anche di salvare i beni comuni dalla privatizzazione.Per beni comuni intendo realtà materiali come ovviamente l’aria e l’acqua, ma anche beni non legati alla natura, come i trasporti, l’istruzione e la salute. La decrescita prende atto che lo sviluppo per lo sviluppo non ha senso. Lo sviluppo ha senso solo se soddisfa determinati bisogni, altrimenti diventa una religione: la religione dell’economia. Se guardo alla mia personale biografia devo ammettere che anch’io ero caduto nell’errore di pensare che la crescita produttiva fosse sempre e comunque positiva. Ho lavorato in Africa, ad esempio, e anche da quell’esperienza mi sono reso conto che nel tentativo di industrializzare l’Africa stavamo facendo lo stesso errore fatto in Unione Sovietica, che infatti si è rivelato un errore grave perché quel tipo di comunismo ha cercato di combattere il capitalismo sul suo stesso terreno, e cioè quello della produttività fine a se stessa. Tra le dottrine economiche elaborate negli ultimi secoli, marxismo e Keynes rappresentano senza dubbio alternative che mi piacciono, se non altro perché mirano a risolvere la disoccupazione, che è l’arma attraverso la quale il capitale alimenta se stesso producendo precarietà, e dunque ricatto (e il consumismo, che come detto si basa sull’infelicità e l’insoddisfazione).Detto questo, tuttavia, è più corretto pensare alla decrescita più come ad una “mentalità”, ad un salto culturale, che non come ad un’alternativa qualsiasi al modo di produzione. Il pensiero liberale si è imposto come cambio di paradigma ed è basato su un’autoregolazione del mercato che esiste solo nella fantasia, come quella di una “mano” che non si vede. Concetti come “decrescita” e “frugalità” hanno a che fare con il concetto di limite, un concetto che aveva un grande valore nell’antica Grecia e che oggi è stato sostituito dal suo opposto: l’illimitato. Per recuperare il limite come valore è necessario tornare alle poleis greche, cioè al comunitarismo? Io sono un fiero avversario dell’universalismo, cioè di quella ideologia secondo la quale ci sono valori assoluti determinatisi in Occidente ed esportabili in tutto il mondo. Pertanto, credo che le comunità locali siano una valida risposta alla globalizzazione del mercato, che è la nuova veste assunta dall’imperialismo, seppur più subdola e pericolosa di altre ideologie del passato.La Terra è un pianeta con un ecosistema finito, ma l’universo ci vene raccontato come infinito, o perlomeno in espansione. Si può sostenere che il concetto di limite sia dato da limiti umani che verranno a breve superati, oppure anche l’universo ha dei limiti? La fisica non sostiene affatto che l’universo sia infinito, ma a prescindere da questo non è stato ancora detto come trasportare gli esseri umani, probabilmente tutti, e cioè 7 miliardi, nel pianeta vivibile più vicino. Secondo alcuni, il pianeta vivibile più vicino si trova a decenni di anni luce dalla Terra, e non è nemmeno sicuro che sia idoneo alla nostra sopravvivenza. Inoltre, nessuno è ancora in grado di dirci con quale tipologia di carburante si potrà inaugurare una simile Arca della salvezza. L’ipotesi transumanista non è percorribile al momento e, direi, non è nemmeno auspicabile. Qual è lo stato dell’arte del progetto sulla decrescita? Ad alti livelli il dibattito – anche in Francia – è zero, nel senso che non se ne parla e non se ne vuol parlare tra istituzioni e politici, e stessa cosa dicasi per il mondo accademico. Diverso il discorso per l’ambito culturale, tra le associazioni e tra le persone comuni. Temo però che a prescindere dal dibattito, il collasso del sistema sia dietro l’angolo e che quindi poi il cestino, a cose fatte, ci farà esclamare: “Troppo tardi, coglioni!”.(Serge Latouche, dichiarazioni rilasciate in una recente conferenza a Sernaglia della Battaglia, Treviso, moderata e condotta da Massimo Bordin, che ha riportato il testo integrale della conversazione del suo blog, “Micidial”, il 9 novembre 2018).L’espressione “decrescita felice” suscita ancora oggi molta perplessità. E’ un equivoco tutto italiano. Io non ho mai usato questa espressione. La decrescita ha un significato preciso e parte dall’assunto che noi viviamo in un mondo finito e con risorse finite. La seconda legge della termodinamica ci dice che se bruciamo 10 litri di benzina essa “non si distrugge”, ma non la possiamo nemmeno più riutilizzare come forma di energia. Come forma di energia la benzina se n’è andata per sempre. E la benzina, che è un derivato del petrolio, è un combustibile limitato, cioè finito. Queste sono cose che capirebbe anche un bambino, ma gli economisti no, si rifiutano di includere nell’economia questo aspetto determinante per il nostro futuro. Pertanto, io ritengo che siamo giunti ad un punto cruciale, che impone il non-sviluppo. Purtroppo la stragrande maggioranza dei mass media e delle persone è indotta a pensare il contrario, e cioè che sia necessario produrre sempre di più. Per farlo, tuttavia, è necessario che le persone siano infelici. Le persone felici, infatti, non hanno interesse a consumare, nel senso che consumano solo ciò che è strettamente necessario, e non acquistano cose per noia e frustrazione, come accade oggi. Ma il mercato è proprio di questa frustrazione che ha bisogno, se vuole crescere.
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Case popolari, sentenza retroattiva e famiglie sul lastrico
«Ho cinque figli, sono appena uscito da una grave malattia, e – come migliaia di altri cittadini – non so come far fronte alla situazione che mi si presenta». Luciano Vattilana, 54 anni, funzionario della Città Metropolitana di Roma Capitale, è stato condannato in primo grado a dover pagare 150.000 euro per il vecchio alloggio in edilizia agevolata, acquistato e poi rivenduto a prezzo di mercato. Secondo la Cassazione, invece, tutti quegli alloggi – 210.000 solo a Roma – andavano rivenduti al prezzo iniziale, calmierato. Peccato che venditori e compratori non lo sapessero: confortati dai notai hanno sempre contrattato gli immobili a prezzo libero, cosa di cui lo stesso Comune era perfettamente al corrente. Risultato: nella sola capitale, almeno 400.000 persone sono costrette a fronteggiare un’emergenza finanziaria catastrofica, in grado di gettare le famiglie sul lastrico. Non c’è speranza di prescrizione, e la sentenza della Cassazione è formalmente inattaccabile. Vie d’uscita? Una sola: l’intervento (urgentissimo) del governo, prima che scatti la valanga dei pignoramenti, dato che molti cittadini – lasciati soli – tentano di rivalersi sui vecchi proprietari, chiedendo loro, in tribunale, la differenza tra la somma sborsata e il prezzo nominale iniziale.«Il Movimento Roosevelt è vicino alle famiglie colpite – annuncia il vicepresidente, Marco Moiso – e solleciterà il ministro Toninelli: serve una normativa aggiornata, che chiarisca l’equivoco e chiuda il caso sul nascere, prima che diventi una tragedia sociale». È lo stesso Moiso a parlarne con Vattilana, in web-streaming su YouTube. «Mi chiedono di versare 130.000 euro alla persona a cui vendetti il mio vecchio alloggio di edilizia agevolata, che nel 1992 a mia volta avevo pagato l’equivalente di 75.000 euro», racconta il consulente. Al netto delle spese legali e processuali (altri 20.000 euro), Vattilana dovrebbe versare la differenza fra la somma intascata e il costo nominale dell’immobile, secondo la convenzione edilizia iniziale, che oggi è pari a 52.000 euro. Cos’è successo? Nel 2015 la Corte di Cassazione ha sostanzialmente stabilito nuove regole, retroattive, per la compravendita di quegli alloggi. Si tratta di case popolari acquistate con diritto di superficie: il Comune resta proprietario del terreno e l’acquirente diventa titolare dell’alloggio per 99 anni, rinnovabili per altri 99. Il vincolo: la prima vendita doveva avvenire a prezzo concordato, calmierato. Dalla seconda compravendita in poi, però, valeva il prezzo di mercato – come comprovato dagli stessi notai. Così gli alloggi sono stati regolarmente comprati e rivenduti, a prezzo libero. E oggi la Cassazione, di fatto reinterpretando la legge, dice che quegli alloggi dovevano essere venduti solo a prezzo calmierato. Di conseguenza: tutti scoprono di dovere qualcosa a qualcuno.«E’ una situazione pazzesca, estremamente ingiusta – protesta Vattilana – perché ognuno di noi ha sempre agito in buona fede. Se ne può uscire solo in un modo: con un decreto legge urgente, che blocchi i pignoramenti in corso e le cause legali a catena che sono scattate». Nel suo caso particolare, dovrebbe sborsare 150.000 euro. «Potrei sempre fare causa a mia volta alla persona da cui acquistai l’immobile a prezzo di mercato, ma mi rifiuto di farlo: sono sicuro che anche lui ha agito con la certezza di essere nel giusto, vendendomi l’alloggio a prezzo di mercato». Per Luciano Vattilana, la situazione è drammatica: «Una richiesta del genere sta sottoponendo le famiglie a uno stress fuori dal normale. Io ho 54 anni e 5 figli, e so che 150.000 euro non ce li avrò mai: dovranno pignorarmi la casa dove vivo attualmente». Vattilana fa parte del “Comitato 18135”, che riporta «il numero scandaloso» di quella sentenza della Cassazione. «Ho visto persone più anziane di me piangere, con accanto famiglie intere, madri disperate. Ogni ora, ricevo anche 150 sms da persone che stanno ricevendo adesso le prime citazioni». Vattilana è stato già condannato, in primo grado, al risarcimento. «Questa sentenza la trovo ingiustissima – dice – innanzitutto perché retroattiva». Poi: tutte le controparti sapevano quali fosse la prassi.«Per 28 anni – aggiunge – ho avuto uno studio di assistenza amministrativa, per le compravendite, e quindi so benissimo che tutti venivano istruiti». Chiunque, tra l’altro, sapeva che il Comune, a un certo punto, avrebbe potuto “affrancare” gli alloggi dal vincolo iniziale e quindi anche «vendere la quota millesimale del terreno insistente sotto il fabbricato». Una volta nei guai con la giustizia, Luciano Vattilana ha anche rinunciato a fare causa agli stessi notai, convinto che agissero nel rispetto della legge. «Né mi sono sentito di chiamare in causa famiglie, a cui richiedere somme del genere. Altri invece possono rivalersi su di me, pretendendo la differenza tra il prezzo convenzionale e quello di mercato. E se poi procedono con l’affrancamento dell’immobile (legittimamente permesso) possono guadagnare ulteriormente se aumenta ancora il prezzo di mercato». Secondo Vattilana, purtroppo, c’è un clima speculativo, «un ambiente inquinato». E i venditori (ex proprietari) non hanno neppure la possibilità di “affrancarsi”, visto che all’epoca l’affrancamento non era ancora possibile. «Si sarebbe potuto risolvere il problema così: affranco io, mi carico i costi e l’acquirente si ritrova il prezzo libero». Non è successo.«Ho avuto l’impressione che con questa sentenza si sia voluto buttare un pezzo di carne profumata dentro un ring pieno di persone che non mangiano da venti giorni, ed è cominciata – di fronte a uno spettatore che è lo Stato – una carneficina, per conquistare questo pezzo di carne». Sempre secondo Vattilana «ci si sono buttati, ahimè, alcuni avvocati e alcune associazioni. Nelle buche delle lettere abbiamo trovato annunci del tipo: “Vuoi tornare proprietario della quasi totalità del prezzo d’acquisto della casa? Ci pensiamo noi”. Cioè: noi venditori oggi passiamo per truffatori, e loro – garantendo l’assenza totale di spese legali – poi intascheranno un 50% dell’importo». Protesta, Luciano: «Truffatori noi?! No, perché a nostra volta abbiamo comprato a prezzo di mercato. Non c’è stata nessuna speculazione». Purtroppo, aggiunge Luciano Vattilana, «il magistrato che ha giudicato me ha dichiarato che lui non emette “sentenze sociali”». Questione di diritti, e di diritto: «Io credo che, quando si ravvisa una cosa del genere, il giudice deve comunque applicare la legge. Ma se c’è un vulnus, un “buco” – come nel nostro caso – bisognerebbe agire come la Corte Costituzionale nel caso Welby e nel caso Dj Fabo: la Corte ha rimandato alle Camere una questione socialmente delicata». Se invece il giudice «si allinea e si “spalma” sulla sentenza 18135 della Corte di Cassazione, possiamo dire che in Italia esiste un solo grado di giudizio, che è quello della Cassazione».Un solo giudice, Antonio Perinelli, in appello ha sospeso la sentenza. «Tanto di cappello a un magistrato che si è permesso di fare una cosa del genere. Spero abbia capito la buona fede di noi venditori». Ma la situazione, ripete Vattilana, è assolutamente ingiusta. «E la sentenza della Cassazione è cucita talmente bene che non potrà essere “smontata” in nessun modo. Solo un intervento legislativo, velocissimo, può fermare le cose». Forse – dice oggi Vattilana – acquirenti e venditori avrebbero dovuto evitare di costituirsi in troppe associazioni. «Bastava un unico comitato, per stabilire che forse chi ha mancato è lo Stato – è lui, tutto sommato, ad aver “cambiato idea”. Credo che una piccola responsabilità ce l’abbiano anche i Comuni: noi, all’epoca, non avevamo ancora la possibilità dell’affrancamento». Il dottor Vattilana insiste sull’impatto sociale del dramma: «Mi dispiace che si colpisca ancora una volta la famiglia. Il problema va risolto a livello legislativo, perché altrimenti potrebbe scoppiare davvero una bomba sociale. Io, per esempio, se non riuscirò a pagare questi 150.000 euro, non sarò più in grado di mandare avanti la mia famiglia, che è numerosa».Come uscirne? «Credo che serva un decreto legge. So che il ministro Toninelli si sta adoperando per inquadrare il problema». Poi ci sono i notai: «Credo che si possa ottenere un buon risultato coinvolgendo in modo positivo il notariato, stabilendo costi per stipulare la nuova convenzione di sblocco del prezzo, l’affrancazione a prezzi calmierati. Sarebbe anche un modo per i Comuni di risanare le proprie casse. Io vedo soltanto vantaggi, per tutti». L’obiettivo? «Evitare di estorcere – perché secondo me di estorsione si tratta – una somma così elevata e spropositata, messa in palio dallo Stato». Servirebbe una spinta legislativa, insiste Vattilana, «perché questa cosa è veramente fuori dal mondo». Francamente, «sono troppe le cose che non vanno: la motivazione che “salva” i notai come tecnici non salva noi come venditori, perché la legge – per noi – non ammette ignoranza». Un ruolo importante è anche quello giocato dall’Avvocatura: «Spero che anche l’Ordine degli Avvocati possa dare un limite ai legali, perché “giocare” così credo sia veramente scorretto».Quello che fa letteralmente impazzire Luciano Vattilana, e gli altri cittadini rappresentati dal Comitato 18135, è l’enorme ingiustizia di cui si ritengono vittime: «Ci viene imputato l’indebito arricchimento. Ma mi sembra una follia, visto che da parte nostra non c’è mai stata alcuna speculazione, come gli stessi notai possono confermare». Beninteso: «Non vogliamo riscatti o rivalse su altre persone, ci interessa solo la tranquillità». Invece, ognuno è lasciato solo: «Se non riesce a sopportare un giudizio legale può sempre tentare una transazione, se ne ha la possibilità economica, ma certo non si può continuare così all’infinito». Pensando al suo caso, Luciano Vattilana ribadisce: «A 54 anni non è facile ottenere un altro mutuo: diventa tutto molto difficile». E se la Cassazione oggi ritiene sia stata mal interpretata una vecchia legge – la norma sul prezzo di vendita dopo il secondo acquisto di quegli alloggi – non resta che la politica, per rimediare, promulgando una nuova legge che metta fine all’incubo. In altre parole: ministro Toninelli, batta un colpo. Ma in fretta, per favore, prima che centinaia di migliaia di persone finiscano – senza colpa – in un mare di guai.(“Edilizia agevolata, appello a Toninelli: salvi le famiglie dalla tenaglia giudiziaria della Cassazione. Luciano Vattilana: immensa ingiustizia, costretti a pagare per case che oggi la Corte sostiene fossero vincolate al prezzo calmierato”, dal blog del Movimento Roosevelt del 28 ottobre 2018).«Ho cinque figli, sono appena uscito da una grave malattia, e – come migliaia di altri cittadini – non so come far fronte alla situazione che mi si presenta». Luciano Vattilana, 54 anni, funzionario della Città Metropolitana di Roma Capitale, è stato condannato in primo grado a dover pagare 150.000 euro per il vecchio alloggio in edilizia agevolata, acquistato e poi rivenduto a prezzo di mercato. Secondo la Cassazione, invece, tutti quegli alloggi – 210.000 solo a Roma – andavano rivenduti al prezzo iniziale, calmierato. Peccato che venditori e compratori non lo sapessero: confortati dai notai hanno sempre contrattato gli immobili a prezzo libero, cosa di cui lo stesso Comune era perfettamente al corrente. Risultato: nella sola capitale, almeno 400.000 persone sono costrette a fronteggiare un’emergenza finanziaria catastrofica, in grado di gettare le famiglie sul lastrico. Non c’è speranza di prescrizione, e la sentenza della Cassazione è formalmente inattaccabile. Vie d’uscita? Una sola: l’intervento (urgentissimo) del governo, prima che scatti la valanga dei pignoramenti, dato che molti cittadini – lasciati soli – tentano di rivalersi sui vecchi proprietari, chiedendo loro, in tribunale, la differenza tra la somma sborsata e il prezzo nominale iniziale.
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La Cina sa che persino la corruzione fa volare l’economia
La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.La questione centrale non è se la Cina possa continuare a trasgredire o confondere le norme, semmai quanto gli è richiesto di farlo. E ciò, come sempre, dipende dal fatto che il governo cinese possa trovare un equilibrio tra l’intervento statale e le forze di mercato. Il potere autoritario centralizzato ha i suoi pregi, inclusa la capacità – per gli imprenditori che lo “subiscono” – di costringerli a correggere rapidamente la rotta. Ciò ha permesso ai leader cinesi di mettere l’economia su un binario di crescita più sostenibile negli ultimi anni. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo è rimbalzato lo scorso anno. I salari sono aumentati. La recente abolizione dei limiti di mandato per i termini della carica di presidente e vicepresidente fornisce al presidente Xi Jinping più tempo e margine per promuovere la sua visione di una Cina prospera, moderna e potente, e con l’aiuto di consulenti fidati: il suo ex zar della corruzione, Wang Qishan, dovrebbe essere nominato vice-presidente e Liu He, vice-capo responsabile dell’economia.Gli scettici sul futuro della Cina di solito indicano il debito in crescita nel paese. In verità si tratta di un aumento abbastanza nella media: superiore a quello della maggior parte delle economie dei mercati emergenti, ma inferiore a quello della maggior parte dei paesi ad alto reddito. Onere al debito della Cina: nella media ma in decisa impennata… Il Fondo Monetario Internazionale ha messo in guardia sul fatto che altre economie che hanno registrato rapporti di indebitamento così rapidamente in aumento – il Brasile e la Corea del Sud qualche decennio fa, e diversi paesi europei più recentemente – alla fine hanno ceduto a una crisi finanziaria. Perché la Cina dovrebbe essere diversa? Una ragione è che non tutto il debito è stato creato uguale. Come alcuni ottimisti osservano, il debito della Cina è pubblico, non privato, il che significa che i rischi sono in gran parte sostenuti dallo Stato. Il prestito viene in gran parte dall’interno, piuttosto che dall’esterno. E nonostante l’aumento dei mutui, le famiglie cinesi hanno un peso del debito complessivo basso rispetto alle loro controparti in giro per il mondo. Nonostante tutta la sua crescita inebriante, il sistema finanziario cinese rimane relativamente semplice, senza l’incubo della cartolarizzazione esotica che ha fatto crollare l’economia americana un decennio fa.Anche il rapporto debito/Pil della Cina – che sembra così preoccupante – è spesso frainteso. Le banche cinesi non servono più solo gli attori statali; ora servono anche il settore privato, in particolare dopo la privatizzazione delle abitazioni di proprietà pubblica alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 ed hanno creato un ampio mercato immobiliare commerciale. La rapida crescita del credito riflette in gran parte una crescita della finanza, piuttosto che una bolla immobiliare. Secondo i miei calcoli, i prezzi delle proprietà in Cina sono aumentati di sei volte dal 2004. Tuttavia, le transazioni immobiliari non sono incluse nelle valutazioni del prodotto interno lordo. Si dice che la corruzione impedisca la crescita inibendo gli investimenti. Non così in Cina, dove lo Stato controlla le maggiori risorse, come i terreni e l’energia, eppure genera rendimenti più bassi su tali attività di quanto non faccia il settore privato. Privatizzare quelle risorse è stato un inizio di vita sotto il comunismo, e così la corruzione è servita come opportunità di fare successo, consentendo a più attori privati di utilizzare risorse statali dopo aver stretto accordi con i funzionari. Poiché le pratiche di questi attori sono state redditizie, l’economia ne ha tratto beneficio in generale.Alcuni osservatori cinesi temono anche che la rapida crescita della Cina non possa essere sostenuta a meno che il consumo non sostituisca gli investimenti come principale motore dell’economia (il governo cinese sembra d’accordo, o almeno lo afferma.) Sottolineano che mentre gli investimenti rappresentano una quota insolitamente elevata del prodotto interno lordo, il consumo rappresenta una quota insolitamente bassa. Ma dire questo è fraintendere la natura della crescita squilibrata della Cina. La causa principale di questo squilibrio è l’urbanizzazione. Negli ultimi quattro decenni il rapporto di urbanizzazione della Cina è aumentato da meno del 20% a quasi il 60%. Nel processo, i lavoratori delle attività rurali ad alta intensità di lavoro sono passati a lavori industriali ad alta intensità di capitale nelle città. E così, una quota sempre maggiore del reddito nazionale è andata in investimenti. Ma anche i profitti delle imprese sono aumentati, portando a salari più alti, che hanno stimolato i consumi. Il consumo è cresciuto molto più velocemente in Cina che in qualsiasi altra grande economia.(Massimo Bordin, “La corruzione non ha fatto per niente male all’economia cinese”, dal blog “Micidial” del 14 marzo 2018).La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.
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Sos, rischiamo un’estinzione di massa: la sesta, sulla Terra
Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.Resa popolare dal Nobel per la chimica Paul Crutzen per designare un nuovo periodo geologico separato dall’Olocene (l’ultimo periodo geologico dell’era Quaternaria), la nozione di Antropocene ci richiama all’impatto determinante, permanente e irreversibile del comportamento umano sulla superficie terrestre. Nel suo libro tradotto in italiano come “Benvenuti nell’Antropocene”, Crutzen argomenta che le prove per stabilire l’inizio del nuovo periodo sono già visibili sia nelle rocce (in forma di isotopi nucleari, sedimenti, scorie, particelle di alluminio, cemento, plastica e carbone), sia negli oceani e nelle zone costiere, con l’innalzamento del livello del mare conseguente allo scioglimento dei ghiacci. L’aumento rapido dei gas serra è probabilmente segna l’inizio della nuova era, che si può collocare all’incirca verso la metà del 20º secolo. Negli ultimi decenni, aggiungono Conversi e Moreno in un’analisi su “Micromega”, la crescita abnorme dei consumi di gran parte della popolazione terrestre ha prodotto gravi effetti sul nostro pianeta, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per il futuro di tutte le specie viventi.Purtroppo però questa massa di studi fatica a trovare spazio sui grandi media, spesso «ostacolata e contraddetta dalla visibilità istrionica di pseudo-scienziati portavoce, riconosciuti o meno, delle lobbies petrolifere e dei combustibili fossili». Data l’assenza di vere informazioni, «non c’è da sorprendersi che il pubblico sia più orientato a crucciarsi per i prezzi di consumo dell’energia elettrica piuttosto che a chiedersi come ridurre le emissioni». Come ridurre il climate change? Nebbia fitta. «Raggiungendo livelli sempre più alti, l’aumento costante dei gas serra, accoppiato alla diffusione della fratturazione idraulica (fracking), è in grado di produrre un impatto incontrollabile, minacciando la continuità stessa della vita sulla Terra». L’attuale modello iper-consumistico «è stato responsabile non solo di un aumento senza precedenti delle emissioni di CO2, ma anche di un processo a senso unico di omogeneizzazione culturale, a seguito del quale mai prima d’ora così tante persone hanno assunto abitudini di consumo originariamente proprie delle vecchie élites occidentali». Processi che «hanno contribuito ad aumentare i livelli di povertà e di emarginazione sociale, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo».Secondo un noto rapporto di Oxfam, la stragrande maggioranza delle vittime del cambiamento climatico sono proprio coloro che vivono in paesi che contribuiscono di meno al fenomeno. «E per di più, le regioni più vulnerabili ospitano circa la metà più povera della popolazione mondiale: un grafico assai rivelatore dell’ingiustizia climatica, che non lascia dubbi su come la metà più povera della popolazione mondiale produca solo il 10% delle emissioni globali di carbonio, mentre il 10% più ricco del pianeta contribuisce a oltre il 50% delle emissioni», aggiungono Conversi e Moreno. Inoltre, questo sembra dimostrare che, sebbene il problema demografico non debba essere sottovalutato, l’impatto più consistente non è prodotto dai numeri di bocche da sfamare, ma da modelli acquisiti di consumo, sperpero, abitudini e stili di vita insostenibili. Intanto, sempre secondo Oxfam, l’81% dei decessi causati dai disastri ambientali colpisce le aree a reddito basso e medio-basso. Secondo un altro studio, “Carbon and inequality from Kyoto to Paris”, diretto da Lucas Chancel e Thomas Piketty della Paris School of Economics, l’1% delle famiglie statunitensi, singaporesi o saudite a reddito più elevato sono annoverabili tra i maggiori responsabili di inquinamento, con più di 200 tonnellate annuali di emissione di CO2.Di conseguenza, continuano Conversi e Moreno, una visione semplicistica della frattura Est-Ovest o Nord-Sud, appare inadeguata: tra l’1% dei super-emettitori vanno anche incluse le élites dei super-ricchi di Cina, Russia, India e Brasile, per fare un esempio. E un terzo studio, pubblicato di recente (“The Carbon Majors Report” 2017) mostra che circa 100 aziende sono responsabili del 71% delle emissioni globali, cioè un numero significativamente infimo di grandi produttori legati ai combustibili fossili arreca un danno assolutamente sproporzionato rispetto ai guadagni astronomici di pochi. In America Latina, quasi tre quarti dei cittadini – una delle percentuali più alte al mondo – riconoscono fermamente la gravità e la serietà del cambiamento climatico: i paesi latinoamericani e caraibici sono molto vulnerabili al problema del riscaldamento globale. «Un aumento rilevante e sostenuto delle temperature porterebbe in un intervallo non molto lungo a una riduzione drastica dei terreni coltivabili, alla scomparsa di atolli, barriere coralline, isole basse e intere regioni costiere, così come ad una estrema variabilità del tempo».Per Conversi e Moreno, non sarebbe realistico ipotizzare una risposta unica ai difficili e complessi problemi legati al cambio climatico. I punti di vista normativi variano: dall’illusione di “miracoli tecnologici” all’espansione massiccia delle energie rinnovabili (dal 2019 la Volvo produrrà solo auto elettriche o ibride), dalla decrescita volontaria dei consumi alla rivalutazione delle conoscenze ecologiche tradizionali. Si pensa alla protezione delle economie pre-industriali residue, all’economia circolare, al riciclaggio, alla pratica della “sovranità alimentare” (km zero, filiere corte), fino all’opzione estrema della geo-ingegneria, «che implicherebbe la costruzione di dighe per proteggere città o paesi dall’innalzamento delle maree e altre soluzioni provvisorie per tamponare effetti localizzati di un fenomeno che non ha nulla di locale». In ogni caso, aggiungono Conversi e Moreno, sarà vitale «ambire alla massima eterogeneità e creatività in termini di soluzioni, adattamento, conoscenze o tecniche di sopravvivenza».Da parte sua, l’Ue si sta adoperando per trasformare i rifiuti in materiali rinnovabili in una nuova “economia circolare”. Secondo la Commissione Europea, l’Europa produce più di 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, oltre la metà dei quali (63%) è derivata dal settore minerario e delle costruzioni. Ma spesso l’accento è posto sul cittadino, nonostante solo l’8% dei rifiuti sia di origine domestica. «Così l’Europa perde ogni anno circa 600 milioni di tonnellate di materiali contenuti nei rifiuti che potrebbero essere riciclati o riutilizzati – mentre si ricicla solo il 40% dei rifiuti prodotti dalle famiglie». A livello planetario, i problemi restano di portata incalcolabile. «Questa nuova geografia del cambiamento climatico, accompagnata dall’aumento delle disuguaglianze di reddito e dell’emarginazione sociale, rende più che mai urgente un’azione concertata da parte di tutti i paesi». Unica possibilità di salvezza, trovare i mezzi per «controllare questa ristretta élite, detentrice di un potere economico e mediatico immenso». Ma le cose non stanno andando esattamente così: restano modesti gli obiettivi dei trattati internazionali finora firmati, da Rio (1992) all’accordo di Parigi del 2015, in vigore dal 2016 «in vista della sua piena applicabilità nel 2020», a seguito del Protocollo di Kyoto del 1997.Non mancano ulteriori complicazioni: «Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, in conformità alle promesse elargite durante la campagna elettorale in combutta con le élites dei combustibili fossili». In contrasto con l’allarme che si sta diffondendo in molti paesi, il nuovo protezionismo degli Stati Uniti, accompagnato dalle iperboli della negazione, «indica che ci stiamo avvicinando a passi da gigante verso il suicidio climatico, incoraggiato da un modello economico neoliberista inarrestabile», concludono Conversi e Moreno. «Di fronte al pressoché unanime consenso scientifico sulle origini antropogeniche di un riscaldamento globale indotto da modelli di consumo selvaggio, si erge un revisionismo corporativo militante impostato sulla manipolazione dei mezzi di comunicazione e ostile a ogni possibile mobilitazione sociale volta a salvare il pianeta». Ciò che si profila è un mondo nuovo, un “brave New World”, come annunciava Aldous Huxley, condannato a finire in tempi brevissimi. «Un mondo, insomma, in cui una percentuale irrisoria ma ultra-potente del genere umano sembra pronta a immolare i destini della Terra sull’altare dei propri guadagni mai soddisfatti».Conmversi e Moreno parlano di “classicidio”, vista l’enorme sproporzione numerica tra vittime e carnefici, ancora più accentuata tra i redditi delle vittime e quelli dei carnefici. «Ma nessuno potrà ritenersi al sicuro ed esente dal pericolo di estinzione: se il secolo 20º è stato spesso definito il “secolo del genocidio”, c’è da temere che il secolo 21º potrebbe essere identificato, da un punto di vista terminologico, come il “secolo dell’omnicidio”, dello sterminio potenziale della gran parte delle specie viventi, tra cui bisognerà annoverare gli esseri umani». Ma, onestamente, «piuttosto che di un epilogo casuale, è bene comprendere che si tratta una “cronaca” lungamente preannunciata». Bisognerà quindi «combattere il negazionismo, incarnato successivamente nell’anti-scienza, nella marginalizzazione degli esperti e nell’anarchia informativa della post-verità». Appello inevitabile: «Contro quest’Idra dalle multipli teste, siamo chiamati a mobilitarci. Meglio tardi che mai».Si avvicina il rischio di un’estinzione di massa, la sesta nella storia della Terra. Lo affermano Daniele Conversi e Luis Moreno, commentando una recentissima ricerca statunitense: secondo la prestigiosa Pnas, “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America”, per la sesta volta, saremmo nell’imminenza di un evento chiamato “biological annihilation”, annientamento biologico. Miliardi di animali sono stati eliminati negli ultimi decenni, conseguenza diretta e indiretta dell’attività umana. Come se non bastassero gli allarmi che ci giungono da tutti i fronti, le ricerche confermano un’unica tendenza: l’impatto del consumo di massa promosso dal neoliberismo imperante sta alterando la superficie terrestre in maniera irreversibile, fino a cambiare lo stesso suolo su cui poggiamo i piedi. Nel corso dell’ultimo secolo, con l’uso generalizzato dell’automobile, ci si è adagiati sullo sfruttamento dei combustibili fossili attraverso un aumento massiccio dei consumi, promuovendo inoltre una divisione internazionale del lavoro tra regioni destinate all’estrazione e altre destinate all’industrializzazione. Tutto questo, dicono i ricercatori, sta semplicemente portando al collasso l’ecosistema terrestre.
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Obama, scie chimiche e la folle scienza genocida di Holdren
Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama. In America se ne parla liberamente. Ma, nella colonia Italia, bocche rigorosamente cucite. Ne parla persino il consigliere scientifico di Obama. Da 15 anni negli Stati Uniti, ed anche in Italia, colonia degli Usa a tutti i livelli, vengono effettuate nei cieli irrorazioni di sostanze altamente velenose. Mentre questi apprendisti stregoni provano a cambiare il clima, avvelenano e ammalano la gente che vive in superficie. Da dove sono usciti questi assassini? Da sotto terra? Respirano con polmoni o con branchie? Sono del tutto umani coloro che avvelenano il pianeta e non si preoccupano delle conseguenze? John Holdren non è per niente uno stinco di santo. Ma quanto ad autorevolezza non è certo sguarnito. Parliamo dell’uomo scelto da Obama come Director of the White House Office of Science and Tecnhology Policy. In una pubblica intervista del 15 novembre 2011 ha candidamente ammesso, come nulla fosse, che il governo americano da 15 anni sta irrorando i cieli d’America e d’Europa, specie Italia, viste le tante basi aeree, a favore della geoingegneria e della manipolazione climatica.Irrorazioni cariche di danni e di pericoli, con notevoli influenze sulla qualità delle coltivazioni e della nostra salute. La scienza, la meteoreologia e i media di regime fanno passare queste scie come semplici scie di condensa. Spiegazioni strane e assurde visto che le scie di condensa si formano solo nel 2% dei casi e seguono determinate leggi fisiche, riassumibili in 3 condizioni che sono: quote superiori a 8000 metri, umidità relativa non inferiore al 70%, temperatura non inferiore ai -40°C. Le scie chimiche sono molto lunghe e persistenti, a differenze delle scie di condensa, e permangono nell’aria per molte ore. Gli aerei coinvolti non sono di linea e non portano contrassegni, si incrociano nei voli e non vengono segnalati dai radar. Ricercatori, scienziati e singoli cittadini hanno effettuato analisi chimiche dei terreni, delle polveri e delle acque.Si è accertata la presenza in cielo e sul suolo di bario, alluminio, calcio, potassio, torio, magnesio, quarzo, bario, tutte sostanze atte a coadiuvare la geo-ingegneria e le onde elettromagnetiche emesse dal sistema Haarp, le cui funzioni sono molteplici e alquanto discutibili. Temi scomodi che spesso vengono etichettati come teorie complottiste, o meglio come teorie da complottologhi, ignorate del tutto dai nostri media nazionali, mentre paradossalmente nell’America imperialistica autrice dei misfatti se ne parla come si trattasse di una banale partita di rugby. John Holdren, oltre che maggiore consulente scientifico di Obama, è co-autore di un libro del 1977 dove invoca la formazione di un “regime planetario” dotato di una “forza di polizia mondiale” per far rispettare le misure totalitarie di controllo della popolazione, compresi aborti forzati, programmi di sterilizzazione di massa condotti attraverso cibo e acqua, e altre cose aberranti.I concetti illustrati nel libro di Holdren, “Ecoscience”, del 1977, scritto insieme ai colleghi Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, sono così sconvolgenti che il rapporto Front Page Magazine del febbraio 2009 sul tema è stato respinto come stravagante e imbarazzante. La faccenda è quanto mai premonitrice perché Holdren e i suoi colleghi sono ora in prima linea negli sforzi volti a combattere il “cambiamento climatico” attraverso programmi altrettanto folli incentrati sulla geoingegneria del pianeta. Holdren ha recentemente sostenuto “progetti di geoingegneria su vasta scala volti a raffreddare la Terra”, come “sparare particelle inquinanti in atmosfera per riflettere i raggi del sole”, che come molti hanno sottolineato sta già avvenendo attraverso le “chemtrails” (scie chimiche, per l’appunto).“Ecoscience” parla di una serie di modi in cui la popolazione mondiale potrebbe essere ridotta per la lotta contro ciò che gli autori vedono come la maggiore minaccia per la specie umana, la sovrappopolazione. In ogni caso, le proposte sono formulate con una sobria retorica accademica, ma la raccapricciante consistenza di quello che Holdren ed i suoi co-autori sostengono è chiara. Tali proposte comprendono: 1) Sterilizzazione forzata della popolazione aggiungendo farmaci al cibo e alle acque, 2) Aborti forzati, 3) Stacco forzato dei figli dalle famiglie irregolari, 4) Applicazione delle regole draconiane tipo cinese con pesanti penalizzazioni verso il secondo figlio, 5) Istituzione di una forza di polizia mondiale a sostegno delle misure appena citate.Holdren e i suoi co-autori ritengono che la crisi demografica sia così grave da “mettere a rischio la società”. Arrivano a sostenere che le madri single dovrebbero vedere i loro bambini portati via dal governo, oppure potrebbero essere costrette ad aborti. Speculano su soluzioni inconcepibilmente draconiane per quella che loro avvertono come una crisi di sovrappopolazione. Ma ciò che è particolarmente preoccupante è che Holdren non si è limitato a fare proposte orripilanti tipo strappare bambini dalle braccia delle loro madri e portarli via, o costringere le donne ad avere aborti, che lo vogliano o no. Quello che più scandalizza è il modo compassato, spigliato ed impudente col quale egli presenta le sue schizofreniche soluzioni.Il mondo si scandalizzò per i giochini erotici di Bill Clinton all’interno dello Studio Ovale con la sua segretaria Monica Lewinsky. Giornali e televisioni ne parlarano per mesi e per anni, scandalizzati per delle cose tutto sommato banali. Niente si dice invece su questi abominevoli piani che trasformano la Casa Bianca non più in un innocente postribolo presidenziale, ma in una casa diabolica dove vengono intessute le più aberranti trame contro l’umanità intera. Altro che Khomeini, altro che Kim Jong e Corea del Nord, altro che Saddam e Gheddafi, giustiziati per cose assai meno infami. John Holdren prevede una società in cui il governo impianti una capsula per la sterilizzazione a lungo termine in tutte le ragazze non appena raggiungono la pubertà, che poi devono chiedere il permesso ufficiale di rimuovere temporaneamente la capsula e avere la possibilità di avere una gravidanza in un momento successivo. In alternativa, vuole una società che sterilizzi tutte le donne che hanno due figli. Che tipo di società infernale ha in testa questo losco individuo?Le persone corrette e dignitose, sarebbero lasciate tranquille, continua Holdren, ma coloro che “contribuiscono al deterioramento della coesione sociale” potrebbero essere “costrette ad esercitare la responsabilità riproduttiva”, che potrebbe significare soltanto una cosa, aborto coatto o involontario, sterilizzazione. Che alternativa sarebbe forzare la gente a non avere figli? Possono essere piazzati monitor governativi nelle camere da letto delle persone irresponsabili per garantire l’uso dei preservativi? Porteremo di nuovo la cintura di castità Ma che follia è mai questa? “Deterioramento sociale”? Holdren sta seriamente suggerendo che alcune persone contribuiscono al degrado sociale, più di altri, e quindi dovrebbero essere sterilizzate o costrette ad abortire, per impedire loro di riprodursi? Non è questa eugenetica, pura e semplice? Qui andiamo oltre alle bestialità del dottor Josef Mengele (1911-1979). Esistono gli estremi per ricoverare il professor Holdren in una clinica psichiatrica, con tanto di camicia di forza.Si è squarciato l’ultimo velo. Ci si aspetta che noi cediamo volontariamente la sovranità nazionale a un regime di tipo militar-sanitario che sarà armato e avrà la capacità di agire come una forza di polizia. Polizia internazionale pronta a far rispettare le nuove leggi con le armi. Vaccinazioni obbligatorie, obbligatorio controllo delle nascite, e controllo furibondo di tutte le attività economiche. Il bello è che Holdren non la mette sul piano delle battute ironiche e provocatorie. Sostiene le sue teorie in modo dannatamente serio. Ed è, non dimentichiamolo per un solo attimo, responsabile della scienza e della tecnologia degli Stati Uniti, il paese che ci manovra e ci dirige a bacchetta. «Siamo di fronte a una catastrofe globale, la sovrappopolazione, che deve essere risolta a tutti i costi entro il 2000». Questo scriveva Holdren nel 1977, pensando che fossimo in bilico sull’orlo di una catastrofe globale, e che fosse necessaria l’attuazione di regole fasciste per evitare l’imminente disastro.È importante sottolineare che John Holdren non ha mai preso pubblicamente le distanze da se stesso, da una qualsiasi di queste posizioni, pur avendo avuto 32 anni a disposizione per farlo, da quando il libro è stato pubblicato per la prima volta. Occorre anche sottolineare che queste non sono solo le opinioni di un essere disumano. Sono opinioni che riecheggiano quelle sostenute da numerose altre personalità di spicco della politica americana, del mondo accademico e del movimento ambientalista da decenni. Si consideri il fatto che gente come David Rockefeller, Ted Turner, e Bill Gates, tre uomini che hanno legami con il movimento eugenetista integralista, di recente si sono incontrati con altri miliardari filantropi a New York per discutere di “come la loro ricchezza potrebbe essere utilizzata per rallentare la crescita della popolazione mondiale”, come riportato dal quotidiano londinese “Times”. Ted Turner ha pubblicamente sostenuto scioccanti programmi per la riduzione della popolazione che dovrebbero abbattere la popolazione umana di uno sconcertante 95%. Ha anche chiesto, in stile comunista, la politica del figlio unico da parte dei governi in Occidente.Naturalmente, Turner non segue affatto il suo stesso regolamento su come tutti gli altri devono vivere la loro vita, avendo cinque figli e possedendo non meno di 2 milioni di acri di terra. Nel terzo mondo, Turner ha contribuito letteralmente alla riduzione di miliardi di individui attraverso i programmi delle Nazioni Unite, aprendo la strada a persone del calibro di Bill Gates, di Melinda Gates e di Warren Buffett. Gates padre, top eugenista, è stato a lungo uno dei principali membri del Consiglio di Amministrazione di Planned Parenthood). Rallentare la crescita della popolazione del mondo e migliorarne la salute sono due concetti inconciliabili per l’élite. Elitari come David Rockefeller non hanno alcun interesse a “rallentare la crescita della popolazione mondiale” con metodi naturali. Il loro ordine del giorno è radicato nella pseudo-scienza eugenetica. Essi puntano a un semplice abbattimento dell’eccedenza di popolazione attraverso mezzi draconiani, con tutti i metodi e in tutte le salse possibili ed immaginabili.L’eredità di David Rockefeller non è derivata da una ben intenzionata “filantropica” voglia di migliorare la salute nei paesi del terzo mondo, ma è nata da una spinta Malthusiana per eliminare i poveri e quelli considerati inferiori dal punto di vista razziale, con la giustificazione del darwinismo sociale. Come documentato nel film “Endgame” di Alex Jones, Rockefeller padre, John D. Rockefeller, ha esportato l’eugenetica in Germania dalla sua origine in Gran Bretagna, finanziando l’Istituto Kaiser Wilhelm che poi sarebbe diventato un pilastro centrale dell’ideologia nazista della super razza del Terzo Reich. Dopo la caduta del nazismo, importanti eugenetisti tedeschi sono stati protetti dagli alleati in modo che la parte vincente potesse beneficiare di più della loro “esperienza” nel mondo del dopoguerra. La motivazione per l’attuazione di misure drastiche di controllo della popolazione è cambiata per soddisfare le mode e le tendenze contemporanee. Ciò che una volta era mascherato come preoccupazione per la sovrappopolazione è tornato sotto le spoglie del cambiamento climatico e del movimento per il riscaldamento globale.Quello che non è cambiato è il fatto che nella sua essenza, questo rappresenta nient’altro che l’arcana pseudo-scienza dell’eugenetica prima costruita dagli Stati Uniti e dall’élite britannica alla fine del 19 ° secolo, e poi abbracciata dal leader nazista Adolf Hitler. Nel 21° secolo, il movimento eugenetista ha cambiato identità ancora una volta. Tutto verte sulle emissioni di carbonio e sull’idea l’idea che avere troppi figli o godere di un certo standard di vita stia distruggendo il pianeta attraverso il riscaldamento globale. Si crea così l’alibi e il pretesto per regolare e controllare in modo dittatoriale e disumano ogni aspetto della nostra vita. Il fatto che il principale consulente scientifico del presidente degli Stati Uniti, un uomo con il dito sul polso della politica ambientale, sostenga la sterilizzazione di massa degli attraverso la catena alimentare e la fornitura di acqua è qualcosa di terrificante, degna di futuristico e fantascientifico film horror. Ideologia diabolica vestita da movimento ecologico ed ambientalista. Ambientalista di nome ma criminoso e manicomiale di fatto.Solo portando alla luce gli sconvolgenti piani di controllo sulla popolazione di Holdren possiamo veramente segnalare alle persone gli orrori che l’élite ha previsto per noi attraverso il controllo della popolazione, la sterilizzazione e i genocidi. Programmi di abbattimento che sono già in corso. Un presidente di Stato si valuta attraverso la scelta dei suoi massimi collaboratori. Obama si è distinto non solo andando a pescare nel torbido questo scienziato pazzoide che da noi, anche col peggior parlamento possibile sarebbe stato mandato in casa di cura, ma anche per altre scelte deliranti, come quella dell’avvocato Michael Taylor alla direzione del Food Safety Working Group (Codex Alimentarius americano), un Azzeccagarbugli legato alla Fda e alla Monsanto, come segnalato nella mia tesina “I magna-magna planetari dell’avvocato Taylor” del 10/5/09.(Valdo Vaccaro, estratti da “Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama” dal blog di Vaccaro del 12 agosto 2013).Scie chimiche ed ecologismo manicomiale, John Holdren e Barack Obama. In America se ne parla liberamente. Ma, nella colonia Italia, bocche rigorosamente cucite. Ne parla persino il consigliere scientifico di Obama. Da 15 anni negli Stati Uniti, ed anche in Italia, colonia degli Usa a tutti i livelli, vengono effettuate nei cieli irrorazioni di sostanze altamente velenose. Mentre questi apprendisti stregoni provano a cambiare il clima, avvelenano e ammalano la gente che vive in superficie. Da dove sono usciti questi assassini? Da sotto terra? Respirano con polmoni o con branchie? Sono del tutto umani coloro che avvelenano il pianeta e non si preoccupano delle conseguenze? John Holdren non è per niente uno stinco di santo. Ma quanto ad autorevolezza non è certo sguarnito. Parliamo dell’uomo scelto da Obama come Director of the White House Office of Science and Tecnhology Policy. In una pubblica intervista del 15 novembre 2011 ha candidamente ammesso, come nulla fosse, che il governo americano da 15 anni sta irrorando i cieli d’America e d’Europa, specie Italia, viste le tante basi aeree, a favore della geoingegneria e della manipolazione climatica.
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Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
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Contro l’arte del brutto, schiava del sistema delle merci
Cos’è che consente di accrescere la produzione annua di merci e, di conseguenza, incrementa i consumi di risorse naturali e di energia, le emissioni inquinanti, le emissioni climalteranti e i rifiuti? Le innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere la produttività. I macchinari innovativi che in un dato intervallo di tempo consentono di produrre sempre di più, riducendo l’incidenza del lavoro umano sul valore aggiunto. Cos’è che riduce progressivamente gli intervalli di tempo in cui le risorse naturali transitano nello stato di merci prima di diventare rifiuti? Le innovazioni tecnologiche ed estetiche finalizzate a rendere obsoleti i prodotti in commercio, al fine di accelerare i processi di sostituzione.Cos’è che induce a progettare in continuazione prodotti tecnologicamente ed esteticamente innovativi, al fine di rendere obsoleti e trasformare in rifiuti in tempi sempre più brevi i prodotti in commercio? La necessità di tenere alta la domanda di merci, in modo da assorbire l’offerta crescente di merci attivata dalle innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività. Le innovazioni di processo e di prodotto costituiscono la fisiologia dei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci.Senza innovazioni di processo non potrebbe aumentare l’offerta di merci. Senza innovazioni di prodotto non potrebbe aumentare la domanda di merci. Le innovazioni di processo e di prodotto stanno esaurendo gli stock delle risorse non rinnovabili, hanno fatto crescere il consumo di risorse rinnovabili fino a superare le loro capacità di rigenerazione annua, sono la causa di fondo dell’effetto serra, stanno svuotando gli oceani di molte specie ittiche e li stanno riempiendo di ammassi di rifiuti di plastica grandi come continenti, hanno saturato la biosfera di sostanze tossiche, distrutto in pochi anni la bellezza di paesaggi lentamente antropizzati nel corso di secoli, ridotto la biodiversità e mineralizzato i terreni agricoli, esteso la fame nel mondo e causato le guerre sempre più atroci che da più di un secolo lo insanguinano. Le innovazioni finalizzate alla crescita della produzione e del consumo di merci stanno minacciando la sopravvivenza stessa dell’umanità. Poiché hanno bisogno delle innovazioni, i sistemi economici e produttivi finalizzati alla crescita della produzione di merci hanno anche bisogno di valorizzare culturalmente l’innovazione in quanto tale. La pietra angolare della cultura su cui modellano l’immaginario collettivo è l’identificazione tra i concetti di innovazione e di miglioramento.Nel loro paradigma culturale ogni innovazione è un miglioramento, senza innovazioni non ci sono miglioramenti; la storia è un costante progresso verso il meglio, le tappe di questo progresso sono scandite dalla successione delle innovazioni e la sua velocità dalla velocità con cui le innovazioni successive sostituiscono le precedenti. La valorizzazione culturale dell’innovazione in sé induce a immaginare il futuro come uno scrigno di inesauribili potenzialità di miglioramento su cui concentrare tutta l’attenzione, a pensare il passato come un deposito di materiali definitivamente inutilizzabili da dimenticare al più presto, a guardare sempre in avanti, come i marinai di vedetta in cima all’albero maestro dei galeoni, per riuscire a vedere prima degli altri le novità che si delineano all’orizzonte, a non girare mai indietro la testa perché se ci si attarda a osservare ciò che è stato non solo non si ricava niente di utile, ma si rischia di perdere posizioni nella corsa verso il nuovo e si finisce per fare la fine di Orfeo che, per essersi girato a vedere se Euridice continuava a seguirlo nella difficile anabasi dall’al di là, la perse definitivamente.Nella valorizzazione culturale dell’innovazione, all’arte è stato assegnato il compito di esplorare i confini più avanzati della modernità, cioè di rincorrere senza sosta il nuovo che, come l’orizzonte, si allontana passo dopo passo da chi cerca di avvicinarlo, perché c’è sempre un più nuovo in agguato del nuovo, un più nuovo che al suo apparire trasforma il nuovo in vecchio, in attesa di essere trasformato anch’esso in vecchio dal più nuovo che scalpita alle sue spalle. Nei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci, l’arte, in tutte le forme in cui si manifesta (pittura, scultura, musica, poesia, architettura), è stata scacciata di forza dalla sua dimensione universale ed eterna e ha finito per trovarsi rinchiusa nella dimensione dell’effimero. Le è stato imposto di essere innovativa per essere sempre contemporanea, di sganciare il nuovo dall’abbraccio troppo stretto con le funzioni economiche e produttive a cui risponde nei sistemi economici finalizzati alla crescita, di cancellare dall’immaginario collettivo la percezione del suo ruolo distruttivo e di accompagnarlo in quella dimensione spirituale, non invischiata nelle miserie quotidiane della vita, in cui nel corso della storia gli esseri umani si sono abituati a collocare le manifestazioni artistiche.Per risvegliare l’umanità da questo incantesimo che la sta perdendo, occorre liberare la cultura dal vincolo della valorizzazione dell’innovazione, che le è stato imposto dal sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione di merci. Accanto e in sintonia con chi si propone di liberare le attività economiche e produttive dal vincolo delle innovazioni finalizzate alla crescita, noi ci proponiamo di liberare tutte le forme dell’espressione artistica dal vincolo di valorizzare culturalmente l’innovazione, che ha dato un contributo essenziale alla formazione di un immaginario collettivo che considera un progresso la riduzione del lavoro a un “fare per fare sempre di più”. Per riportarlo alla sua essenza di “fare bene” finalizzato alla contemplazione di ciò che si è fatto, occorre ridefinire un sistema di valori in cui la bellezza torni ad essere più importante del profitto: perché, come si può contemplare ciò che si è fatto se non ha aggiunto bellezza alla bellezza originaria del mondo?Per trasformare dalle fondamenta il paradigma culturale oggi dominante, è necessario ricostruire un immaginario collettivo capace non solo di smascherare, irridendoli senza soggezione, i quattro trucchi da imbonitore con cui l’arte contemporanea persegue la valorizzazione culturale dell’innovazione, ma anche di riconoscere il segno dell’arte che penetra sino alle corde profonde dell’animo umano, vincendo i limiti dello spazio e del tempo; creando, come ha sempre fatto prima di essere irretita nella tela della modernità, un collegamento ininterrotto tra le generazioni. Perché l’arte, come ha scritto Egon Schiele sul muro della prigione in cui era rinchiuso, non è moderna. L’arte è eterna.(Manifesto “Per un rinascimento possibile”, sottoscritto da Gabriella Arduino, architetto e pittore; Vincent Cheynet, caporedattore de “La Décroissance”; Pier Paolo Dal Monte, medico e filosofo; Massimo De Maio, grafico ed ecologista; Filippo Laporta, saggista e critico letterario; Giordano Mancini, maestro d’arte, green manager; Maurizio Pallante, saggista; Alessandro Pertosa, ricercatore in filosofia; Mario Pisani, architetto; Paolo Portoghesi, architetto; Giannozzo Pucci, editore; Bruno Ricca, editore; Lucilio Santoni, scrittore; Filippo Schillaci, saggista).Sui temi enunciati dal “manifesto”, i firmatari – impegnati anche sul sito www.artedecrescita.it, promuovono un seminario a Firenze il 29, 30 e 31 maggio 2015 presso il monastero delle suore benedettine di Santa Marta, tel. 055.489089, pensione completa 45-65 euro al giorno, 60 posti disponibili. E’ possibile contribuire ai lavori anche inviando testi e materiali sul tema, entro il 31 marzo. Invio materiali e prenotazioni per il seminario: Maurizio Pallante, maur.pallante@gmail.com, Alessandro Pertosa, a.pertosa@libero.it, Vincent Cheynet, vincent.cheynet@casseursdepub.org).Cos’è che consente di accrescere la produzione annua di merci e, di conseguenza, incrementa i consumi di risorse naturali e di energia, le emissioni inquinanti, le emissioni climalteranti e i rifiuti? Le innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere la produttività. I macchinari innovativi che in un dato intervallo di tempo consentono di produrre sempre di più, riducendo l’incidenza del lavoro umano sul valore aggiunto. Cos’è che riduce progressivamente gli intervalli di tempo in cui le risorse naturali transitano nello stato di merci prima di diventare rifiuti? Le innovazioni tecnologiche ed estetiche finalizzate a rendere obsoleti i prodotti in commercio, al fine di accelerare i processi di sostituzione. Cos’è che induce a progettare in continuazione prodotti tecnologicamente ed esteticamente innovativi, al fine di rendere obsoleti e trasformare in rifiuti in tempi sempre più brevi i prodotti in commercio? La necessità di tenere alta la domanda di merci, in modo da assorbire l’offerta crescente di merci attivata dalle innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività. Le innovazioni di processo e di prodotto costituiscono la fisiologia dei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci.
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Voi pensate alla guerra, noi intanto ci mangiamo l’Ucraina
Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Usa, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti. Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre. Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento. Il titolo di ministro delle finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna d’affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo Usa come investimento nel paese. La Jaresko è anche amministratore delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel paese.Per strano che possa sembrare, questo appuntamento è in linea con ciò che ha tutta l’aria di essere una acquisizione dell’economia ucraina da parte dell’Occidente. In due inchieste – “La presa di potere delle aziende sull’agricoltura ucraina” e “Camminando dalla parte dell’Ovest: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale nel conflitto ucraino” – l’Oakland Institute ha documentato questa presa di potere, in particolarmente evidente nel settore agricolo. Un altro fattore importante nella crisi che ha portato alle proteste mortali ed infine all’allontanamento dagli uffici del presidente Viktor Yanukovich nel febbraio 2014, è stato il suo rifiuto di un patto dell’Associazione Ue, volto all’espansione del commercio e ad integrare l’Ucraina alla Ue, un patto legato a un prestito di 17 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale. Dopo la dipartita del presidente e l’installazione di un governo pro-occidente, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in atto un programma di riforme come condizione a questo prestito, allo scopo di incrementare gli investimenti privati nel paese.Il pacchetto delle misure adottate include la fornitura pubblica di acqua ed energia e, ancor più importante, si rivolge a ciò che la Banca Mondiale identifica col nome di “radici strutturali” dell’attuale crisi economica esistente in Ucraina, con un occhio in particolare all’alto costo del generare affari nel paese. Il settore agricolo ucraino è stato un obiettivo primario per gli investitori stranieri ed è quindi logicamente visto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale come un settore prioritario da riformare. Entrambe le istituzioni lodano la prontezza del nuovo governo nel seguire i loro suggerimenti. Ad esempio, il piano d’azione della riforma agraria guidata dall’Occidente nei confronti dell’Ucraina include la facilitazione nell’acquisizione di terreni agricoli, norme e controlli sulle fabbriche e sulla terra, e la riduzione delle tasse per le aziende e degli oneri doganali. Gli interessi che gravitano intorno al vasto settore agricolo dell’Ucraina, che è il terzo maggior esportatore di mais ed il quinto di grano, non potrebbero essere più alti. L’Ucraina è nota per i suoi ampi appezzamenti di suolo scuro e ricco, e vanta più di 32 milioni di ettari di terra fertile ed arabile, l’equivalente di un terzo dell’intera terra arabile di tutta l’Unione Europea.La manovra per il controllo sul sistema agricolo del paese è un fattore decisivo nella lotta che sta avendo luogo negli ultimi anni tra Occidente e Oriente, fin dalla Guerra Fredda. La presenza di aziende straniere nell’agricoltura ucraina sta crescendo rapidamente, con più di 1.6 milioni di ettari acquistati da compagnie straniere per scopi agricoli negli ultimi anni. Sebbene Monsanto, Cargill e DuPont siano in Ucraina da parecchio tempo, i loro investimenti nel paese sono cresciuti in modo significativo in questi ultimi anni. Cargill, gigante agroalimentare statunitense, è impegnato nella vendita di pesticidi, sementi e fertilizzanti, e ha recentemente espanso i suoi investimenti per acquistare un deposito di stoccaggio del grano, nonché una partecipazione nella UkrLandFarming, il maggiore agrobusiness dell’Ucraina. Similarmente, la Monsanto, altra multinazionale americana, era già da un po’ in Ucraina, ma ha praticamente duplicato il suo team negli ultimi tre anni. Nel marzo 2014, appena qualche settimana dopo la destituzione di Yanukovych, l’azienda investì 140 milioni nella costruzione di un nuovo stabilimento di sementi in Ucraina. Anche la DuPont ha allargato i suoi investimenti annunciando, nel giugno 2013, la volontà di investire anch’essa in uno stabilimento di sementi nel paese.Le aziende occidentali non hanno soltanto preso il controllo su una porzione redditizia di agribusiness e altre attività agricole, hanno iniziato una vera e propria integrazione verticale nel settore agricolo, estendendo la presa sulle infrastrutture e sui trasporti. Per dire, la Cargill al momento possiede almeno quattro ascensori per silos e due stabilimenti per la lavorazione dei semi di girasole e la produzione di olio di girasole. Nel dicembre 2013 l’azienda ha acquistato il “25% + 1% condiviso” in un terminal del grano nel porto di Novorossiysk, nel Mar Nero, terminal con una capacità di 3.5 milioni di tonnellate di grano all’anno. Tutti gli aspetti della catena di fornitura dell’Ucraina Agricola – dalla produzione di sementi ed altro, all’attuale possibilità di spedizione di merci fuori dal paese – stanno quindi incrementando sotto il controllo dei colossi occidentali. Le istituzioni europee e il governo degli Usa hanno attivamente promosso questa espansione.Tutto è iniziato con la spinta per un cambiamento di governo quando il fu presidente Yanukovych era visto come un filorusso, manovra ulteriormente incrementata, a cominciare dal febbraio 2014, attraverso la promozione di un’agenda delle riforme “pro-business”, come descritto dal segretario statunitense del commercio, Penny Pritzker, durante il suo incontro con il primo ministro Arsenly Yatsenyuk nell’ottobre 2014. L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno lavorando duramente, mano nella mano, per prendere possesso dell’agricoltura ucraina. Sebbene l’Ucraina non permetta la produzione di coltivazioni geneticamente modificate (Ogm), l’Accordo Associato tra Ue e l’Ucraina, che accese il conflitto che poi espulse Yanukovych, include una clausula (articolo 404) che impegna entrambe le parti a cooperare per “estendere l’uso delle biotecnologie” all’interno del paese. Questa clausula è sorprendente, dato che la maggior parte dei consumatori europei rifiuta l’idea delle coltivazioni Ogm. Ad ogni modo, essa crea un’apertura in grado di portare i prodotti Ogm in Europa, un’opportunità tanto desiderata dai grandi colossi agroalimentari, come ad esempio Monsanto.Aprendo l’Ucraina alle coltivazioni Ogm si andrebbe contro la volontà dei cittadini europei, e non è chiaro come questo cambiamento potrebbe portare migliorie alla popolazione ucraina. Allo stesso modo non è chiaro come gli ucraini beneficeranno di questa ondata di investimenti stranieri nella loro agricoltura, e quale sarà l’impatto che questi ultimi avranno su sette milioni di agricoltori locali. Alla fine, una volta che si distoglierà lo sguardo dal conflitto nella parte est “filorussa” del paese, i cittadini ucraini potrebbero domandarsi cosa è rimasto della capacità del paese di controllare e gestire l’economia e le risorse a loro proprio beneficio. Quanto ai cittadini statunitensi ed europei, alla fine si sveglieranno dalle retoriche sulle aggressioni russe e sugli abusi dei diritti umani, e contesteranno il coinvolgimento dei loro governi nel conflitto ucraino?(Frederic Mousseau, “I giganti agricoli occidentali si accaparrano l’Ucraina”, da “Atimes” del 28 gennaio 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Mousseau è direttore delle politiche all’Oakland Institute).Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Usa, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti. Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre. Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento. Il titolo di ministro delle finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna d’affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo Usa come investimento nel paese. La Jaresko è anche amministratore delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel paese.
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Giovani al lavoro gratis per l’Expo dei ladri e degli ipocriti
Per quale ragione in una Expo appaltata alle grandi multinazionali del cibo, nella quale affari edilizi, speculazione e corruzione hanno prosperato e che viene ancora presentata come un possibile volano per l’economia del paese, perché in un evento ove tutto è misurato in termini di profitti a breve o differiti, gli unici gratis devono essere i lavoratori? Con un accordo del luglio 2013, un mese che dovrebbe essere abolito dal calendario sindacale visti i disastri che in esso si son concepiti, l’ente Expo, le imprese e tutte le istituzioni hanno concordato con Cigil, Cisl e Uil che gran parte di coloro che faranno funzionare la fiera lo faranno gratuitamente. Per l’esattezza circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato, da stagista, che garantiranno una lauta retribuzione dai 400 ai 500 euro mensili. Siccome i contratti e la stessa legge Fornero sul mercato del lavoro avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori, si è applicato quel principio della deroga normativa, contro il quale la Cgil si era spesso pronunciata.Ma questi 800 lavoratori sottopagati sono comunque una élite rispetto a tutti gli altri. Che avranno un orario giornaliero obbligatorio e turni, pare bisettimanali, di lavoro, ma che lo faranno senza alcuna retribuzione. Essi saranno considerati volontari e come tali riceveranno solamente dei buoni pasto quotidiani, per non smentire il significato alimentare dell’evento. Nelle previsioni iniziali questi fortunati avrebbero dovuto essere 18.500, da qui il peana subito scattato sui 20.000 posti di lavoro creati dalla magia dell’Expo. Ora invece pare che siano meno della metà, per la semplice ragione che lavorare all’Expo non solo non paga, ma costa. Immaginiamo un pendolare che debba accollarsi i costosissimi costi quotidiani del sistema ferroviario lombardo. O addirittura un giovane di un’altra regione che volesse fare questa esperienza a Milano. Per lavorare gratis bisogna godere di un buon reddito e non tutti ce l’hanno.Eppure a tutto questo ci sarebbe stata una alternativa semplice semplice. Visto che l’Expo per sua natura è un evento a termine, coloro che lo faranno funzionare avrebbero potuto essere assunti con il tradizionale contratto a termine. Lavori sei mesi? Sei pagato per quelli. Sono solo due settimane? Riceverai la tua quindicina. Perché non si è fatto così? Semplice. Perché in questo modo si sarebbe dovuto spendere molto di più in salari e questo non era compatibile con gli alti costi della fiera. C’era da pagare una montagna di mazzette, non si potevano retribuire anche gli addetti agli stand. Capisco che questo modo di ragionare possa essere considerato troppo rigido e ancorato a vecchi tabù. C’è un lavoro e si pretende anche un salario, allora si vogliono difendere vecchi privilegi, direbbero gli araldi del lavoro flessibile. Quando l’accordo sul lavoro gratis è stato sottoscritto, l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta disse, facendo eco al presidente della Confindustria Squinzi, che esso era un modello per il paese. La rottamazione renziana sempre rivolta alle nuove generazioni ha lasciato quella intesa intatta, così come hanno fatto Cgil, Cisl e Uil, nonostante le critiche a quel “#jobsact” che l’accordo Expo già anticipava.Tutte le forze politiche rappresentate in parlamento, escluso il Movimento 5 Stelle, sono consenzienti. Così l’Expo finirà per essere una vetrina di tutto ciò che non dovrebbe, ma che invece continua a dominare le scelte economiche e sociali del paese. L’Expo sarà la migliore rappresentazione dell’ipocrisia e del gattopardismo che governano la nostra crisi. Sotto lo slogan “Nutrire il pianeta” si lascerà alla Nestlè il compito di spiegare che l’acqua va gestita in ragione di mercato. Si farà l’apologia delle grandi opere senza riuscire neppure a nascondere la speculazione – e non solo quella illegale, ma quella ancor più scandalosa sulle aree, che è perfettamente consentita. Si lanceranno proclami sui giovani capaci di operare nella globalizzazione, rimuovendo il fatto che lo faranno solo in cambio di una medaglietta che non varrà nemmeno come accreditamento per altri lavori precari. E ancora una volta tutto, ma proprio tutto, sarà a carico del lavoro. In una fiera che si presenta come l’ultimo Ballo Excelsior di una globalizzazione in piena crisi, l’Italia che guarda al passato cianciando di futuro troverà la sua vetrina. Che dovrebbe essere accesa proprio il Primo Maggio, trasformando così la festa dell’emancipazione del lavoro nella celebrazione del suo ritorno allo stato servile. Ci sono movimenti e forze sindacali che dicono no a tutto questo e che già dalle prossime settimane si faranno sentire, per poi provare a restituire alla Festa del Lavoro il suo antico valore. Fanno benissimo.(Giorgio Cremaschi, “L’Expo della precarierà”, da “Micromega” del 5 febbraio 2015).Per quale ragione in una Expo appaltata alle grandi multinazionali del cibo, nella quale affari edilizi, speculazione e corruzione hanno prosperato e che viene ancora presentata come un possibile volano per l’economia del paese, perché in un evento ove tutto è misurato in termini di profitti a breve o differiti, gli unici gratis devono essere i lavoratori? Con un accordo del luglio 2013, un mese che dovrebbe essere abolito dal calendario sindacale visti i disastri che in esso si son concepiti, l’ente Expo, le imprese e tutte le istituzioni hanno concordato con Cigil, Cisl e Uil che gran parte di coloro che faranno funzionare la fiera lo faranno gratuitamente. Per l’esattezza circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato, da stagista, che garantiranno una lauta retribuzione dai 400 ai 500 euro mensili. Siccome i contratti e la stessa legge Fornero sul mercato del lavoro avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori, si è applicato quel principio della deroga normativa, contro il quale la Cgil si era spesso pronunciata.
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La Germania sta distruggendo l’Europa, ancora una volta
La riunificazione tedesca è, fra l’altro, un grande esperimento di ingegneria sociale: scompare mezzo secolo di economia totalitaria, prima nazista poi comunista, che è riorganizzata dalle fondamenta e nello stesso tempo adattata in tempi brevissimi a un sistema industriale e finanziario, fortemente strutturato, che preesiste. Un esperimento forse senza precedenti nella storia: rivoluzioni come quella sovietica hanno distrutto l’economia esistente per rifarla ex novo e non per incollarla come appendice a un’altra già funzionante; transizioni complesse come quella cinese hanno introdotto nell’economia novità dirompenti, ma con tempi lunghi e mediazioni sottili quanto estese. Lo smontaggio dell’economia tedesco-orientale non è l’unico esperimento di ingegneria sociale che si svolge in Europa negli anni ‘90: anche se procede con mezzi meno cogenti, la costruzione – a partire dall’adozione della stessa moneta – di un’area economica integrata ha un tratto consimile che consiste nell’idea di riorganizzare una vasta serie di attività industriali e finanziarie secondo un disegno preordinato ad alta intensità ideologica.In un libro denso di informazioni e lucido nell’analisi (“Anschluss – L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, Imprimatur editore) Vladimiro Giacché, dirigente di Sator (boutique finanziaria di Matteo Arpe) e studioso di impianto marxista, paragona i due esperimenti e rintraccia temi ricorrenti, analogie operative, intenzioni convergenti. L’“annessione” dell’economia pianificata dell’est a quella di mercato dell’ovest, che l’autore racconta in dettaglio, si basa su tre capisaldi. Anzitutto il primato, temporale e strutturale, dell’unione monetaria: il 7 febbraio 1990, a meno di tre mesi dalla caduta del Muro, Kohl, il cancelliere federale, propone alla Rdt, lo stato tedesco-orientale, di unificare in tempi brevi la moneta e poco dopo, durante la campagna elettorale a est (le prime elezioni politiche libere dopo quasi 60 anni si tengono il 19 marzo), promette un cambio alla pari che si realizza il 18 maggio quando i due Stati tedeschi firmano il Trattato sull’Unione monetaria economica e sociale (in vigore dal 1° luglio).Il marco dell’est non era convertibile, ma negli scambi commerciali fra le due Germanie l’uso pratico ne richiedeva 4,4 per fare un marco dell’ovest. Il cambio alla pari, così sproporzionato, ha conseguenze profonde sulla vita dell’est: risparmiatori e creditori lucrano forti vantaggi, si agevola l’accesso alle merci occidentali (ma subito parte l’aumento dei prezzi), le imprese, già obsolete, finiscono fuori mercato: la debole economia dell’Est va in pezzi ed è pronta per rimodellarsi secondo il disegno dell’ovest. La moneta è fin dall’inizio lo strumento per mutare i rapporti economici e per questa via riorganizzare l’Est: Wolfgang Schäuble, attuale ministro delle finanze e all’epoca uno dei responsabili di Bonn nel negoziato per il Trattato sull’Unione, lo dice senza giri di parole: «A de Maizière (primo ministro a Berlino) era ben chiaro, come a Tietmeyer (capo negoziatore e futuro presidente della Bundesbank) e a me, che, con l’introduzione della moneta occidentale, le imprese della Rdt di colpo non sarebbero più state in grado di competere».In secondo luogo c’è l’invenzione della Treuhandanstalt, una sorta di istituto di amministrazione fiduciaria che ottiene quasi tutto il patrimonio della Rdt allo scopo di privatizzarlo nei tempi più brevi. Alla fine del 1994 “la più grande holding del mondo”, che il 1° luglio 1990 concentra in sé 8.500 imprese, 20.000 esercizi commerciali e 25 miliardi di metri quadri (terreni, foreste, immobili), conclude il suo compito. Molto è liquidato a inizio opera, poco è risanato, la gran parte del patrimonio è venduta a prezzi stracciati e trattativa privata a compratori tedesco-occidentali (a loro va l’87 per cento delle imprese privatizzate). Il bilancio finale è in perdita per 257 miliardi di marchi: a fronte di 73 miliardi di ricavi (37 soltanto realmente riscossi) stanno spese di risanamento (154 miliardi), bonifiche ambientali (44 miliardi), debiti pregressi (101 miliardi) e altri costi. Dei 4 milioni di lavoratori che secondo stime del governo Kohl sono impiegati a fine 1989 nelle imprese poi gestite dalla Treuhand, solo un milione e mezzo – secondo valutazioni degli acquirenti – mantiene un posto di lavoro dopo il risanamento. Per Giacché l’opera della Treuhand, alla fine, non fu altro che «distruzione della base industriale della Germania Est». Infatti, «la vecchia Rdt era un paese solido almeno sotto un profilo: il patrimonio dello Stato era un multiplo del debito pubblico».Infine il privilegio accordato alle banche dell’ovest: acquirenti a prezzi di saldo e quasi in esclusiva delle banche orientali, si ritrovano in pancia una massa ingente di crediti (per lo più partite di giro fra articolazioni dello stato, unico proprietario esistente nel regime comunista) coperti, a norma del Trattato sull’unione, da garanzie del nuovo stato unificato. In totale sono acquisiti «crediti per 44,5 miliardi di marchi: una cifra pari a 55 volte il prezzo pagato dai compratori. Già i soli interessi del 10 per cento che le banche cominciano a praticare rappresentano un multiplo del prezzo d’acquisto». I capisaldi che creano l’“annessione” sono applicati, nota Giacché, in modo radicale, con intensità fondamentalista: la Germania Est, sbandata e inerme, è in condizioni simili a quelle di un paese che ha perso la guerra. «Si tratta di un ingresso della Rdt nella Repubblica federale, e non di un’unione tra pari di due Stati» (è sempre Schäuble che parla, con l’abituale ruvidezza).Nel caso dell’Eurozona i tempi sono allungati, il radicalismo della gestione è smussato, quasi dissimulato, ma i princìpi, le linee di fondo si mantengono. Anche in Europa la moneta è l’elemento fondante del nuovo rapporto fra gli Stati: precede ogni altra decisione, vincola la politica, indirizza l’economia. Chi decide il cambio e governa la moneta poi comanda l’unione fra gli Stati e fa la politica comune. Quando nel 1991-’92 negozia l’abbandono del marco e dà via libera alla moneta comune, Kohl sa bene, a differenza degli altri leader europei, quanto conti il vincolo monetario: ha già fatto un test. La storia dell’euro con i numerosi vantaggi offerti alla Germania e la progressiva riduzione della base industriale in molti paesi – soprattutto dell’orlo sud – conferma la dirompente forza politica della scelta che mette la moneta al primo posto e «costringe a chiedersi se l’unione monetaria non abbia replicato lo stesso meccanismo» all’opera nella Germania unificata.Il secondo caposaldo che caratterizza l’annessione dell’est tedesco e poi ricompare in grande formato sulla scena europea è l’indifferenza per la ricchezza (umana, produttiva, fisica) presente nei paesi che hanno difficoltà con l’impianto monetario reso vincolante: le ricette imposte a Grecia, Portogallo, Spagna o lo strisciante degrado industriale e tecnico vissuto dall’Italia fanno da testimonianza. Giacché cita, a suggello, dichiarazioni di Steinmeier, oggi ministro degli esteri in quota Spd (ma Juncker e Schäuble ne hanno fatte di analoghe), che offrono il modello Treuhand quale via di risanamento: «Vale la pena di riflettere sulla proposta di un modello europeo di Treuhand a cui apportare il patrimonio statale della Grecia da privatizzare in 10-15 anni. Col ricavato la Grecia potrebbe ridurre il suo indebitamento». Infine, ed è il terzo caposaldo, la struttura stessa degli algoritmi di Maastricht è pensata per proteggere i creditori e nei casi di crisi acuta, come in Grecia, è stata efficace nell’aprire alle banche una via d’uscita.Incorporazione della Germania est, creazione dell’area a moneta unica, conferma delle regole dell’euro nonostante le pessime prestazioni e l’ostilità del resto del mondo (Stati Uniti in testa: tutti vedono dissolversi nell’inanità contabile un partner come l’Europa essenziale per la crescita). La sequenza, che allinea un mezzo successo pagato a carissimo prezzo (non solo dai tedeschi) e un disastro economico-sociale reiterato senza correzioni per quasi sette anni, impressiona non solo per la durata temporale ma soprattutto per la resistenza alle confutazioni della realtà. Quali sono le forze potenti che hanno imposto all’Europa, senza chance di revisione, un modello tedesco così squilibrato e asimmetrico? Occorre un flashback. Con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la fine dell’Unione Sovietica nel 1991, non crolla soltanto un pugno di regimi totalitari: si dissolve un ordine mondiale, quello che si era formato nel 1946-’48 con l’avvio della Guerra Fredda. Era un sistema “westfaliano”, come spiega il novantenne Kissinger nel suo ultimo splendido libro, “World Order”: al pari di tutti gli altri sistemi d’ordine succedutisi dopo la pace tedesca del 1648, anche la Guerra Fredda si basava su blocchi di alleanze disciplinati al proprio interno, regole di confronto fra i blocchi, gerarchie fra gli Stati, bilanciamenti di potere come criterio di continuità strategica del sistema.Per oltre 40 anni l’ordine tiene: poi la deflagrazione dell’Urss, uno dei pilastri del sistema, lo fa cadere e fino a oggi niente di simile lo sostituisce: gli interessi nazionali degli Stati faticano, senza regole condivise e fori di composizione, a trovare sintesi; criteri di legittimità diversi si contrappongono; le alleanze perdono vincoli e quindi stabilità. Il disordine politico si amplifica con la rivoluzione portata dalla tecnologia digitale che accelera il salto a una dimensione globale dei mercati e potenzia funzioni e performance della finanza: la scala degli effetti e il raggio delle persone coinvolte superano ormai la portata delle precedenti rivoluzioni industriali. L’Europa cambia volto: l’impero sovietico e un paio di Stati artificiali creati a Versailles nel 1919 si frantumano; ricompaiono Stati, come quelli baltici, perduti dal 1939; altri, come quelli nati dalla Yugoslavia dissolta, si formano ex novo; gli Stati dell’Europa centrale, per 40 anni a sovranità limitata, ridiventano soggetti politici; nei Balcani ritorna la guerra. E’ uno sconvolgimento di forza epocale che i leader politici d’Europa non riconoscono, non riescono a misurare nella sua drammatica grandezza. La politica non guida gli eventi, va a rimorchio. Escogita soluzioni sbilenche (l’allargamento dell’Ue in gran fretta) o lascia marcire le cose (Balcani).Kohl è l’unico leader con un grande disegno che proietta l’interesse nazionale su una dimensione generale. Ha come leve la forza del marco, un sistema industriale costruito in 40 anni di intenso sviluppo, l’ideologia mercantilista (esportazioni al primo posto e quindi alta tecnologia e bassi salari) che sostiene entrambi (l’ordoliberismo) e li offre in un pacchetto come modello e come metodo per il tragitto futuro dell’integrazione europea. Considerata fino agli anni ‘80 un complemento idealista, manovrato dal tecnicismo giuridico, della politica nazionale, l’idea dell’integrazione diventa, dopo la fine della Guerra Fredda e con l’attenzione americana ormai rivolta altrove (Clinton punta sull’alleanza politico-finanziaria con la Cina), il quadro inevitabile entro cui tenere insieme le storie multiformi e gli interessi differenziati delle nazioni europee: Kohl fornisce la soluzione pratica che rende realizzabile una teoria fumosa e fa apparire credibile ai riluttanti francesi l’illusione di comandare per via politica un ruolo internazionale che l’economia ormai nega loro.Nel momento in cui l’euro si fa a calco del marco e la visione mercantilista diventa il paradigma dell’Unione, la Germania ottiene uno straordinario vantaggio di posizione: fissa lo standard e il resto d’Europa deve adattarsi alla sua scelta (poiché il gioco dell’export non è illimitato e implica che qualcuno importi, chi muove per primo ha partita più facile). La potenza che la Germania accumula durante gli anni dell’euro rende l’impianto varato da Kohl sempre più difficile da ribaltare: troppi i vantaggi sia politici sia economici. Solo ora, con la recessione che non cessa di allargarsi, segmenti della società tedesca cominciano a contare gli svantaggi. Altri due fattori vanno calcolati. Il più rilevante è la riduzione di ruolo della politica che è congenito nel modello adottato: per tutelare i debitori e incentivare l’export, le strategie di bilancio sono sottratte alla politica vincolata al consenso (e quindi incline, in paesi con tradizioni civili diverse da quella tedesca, a una certa indisciplina fiscale) e consegnate a pacchetti di norme assistiti da sanzioni. La politica amputata offre a parti significative delle classi dirigenti europee nuovi spazi d’azione, nonché vantaggi materiali e ideali. Da un lato la burocrazia comunitaria, quale custode delle norme che spingono avanti l’integrazione, accresce competenze, potere, funzione sociale – a scapito del campo di decisione nazionale che appartiene agli elettori. Dall’altro le élite dell’economia trovano un’ideologia che ne agevola e valorizza l’azione, almeno finché il disegno normativo non diventa troppo invadente: l’abbracciano con fervore e la trasformano in una sorta di pensiero ufficiale che per la politica quotidiana diventa sfondo obbligato e, con ciò, vincolo decisivo.Sommate fra loro, élite e burocrazie formano un blocco di forze poderoso che ha fatto un enorme investimento sull’idea dell’integrazione e ora non riesce a concepire un cambio di rotta. Infine il sistema politico: in alcuni paesi, soprattutto quelli in cui l’economia è più debole, preferisce scaricare responsabilità e, con una sovranità economica circoscritta, trovare altrove campi d’azione più favorevoli (diritti vari da tutelare, ambiente). L’ultimo fattore da considerare riguarda i caratteri genetici del modello che l’intuizione anticipatrice di Kohl, l’incomprensione degli altri leader continentali per gli sconvolgimenti degli anni ‘90, l’appoggio entusiasta delle élite hanno messo al comando della politica economica europea. Riflette un’impostazione mercantilista che, come nota Wolfgang Munchau sul “Financial Times”, è una solitaria eccezione tedesca entro il pensiero economico internazionale, ha seri buchi di funzionamento e una singolare carenza di feedback. Non c’è sforzo di correzione in corso d’opera, adattamento plastico alla contingenza: la comprensione è totalizzante, l’impianto razionale del modello non è intaccato dalle smentite empiriche, alla fine i conti tornano soprattutto grazie alla potenza politica e culturale.Paul Krugman parla di «potere infinitamente devastante delle cattive idee», e aggiunge: «Non è tutta colpa della Germania (che…) riesce a imporre le sue politiche deflazioniste soltanto perché gran parte dell’élite europea ha abboccato alla stessa falsa storiella». Honecker, l’ultimo segretario della Sed, il Partito comunista della Germania est, riflettendo in carcere sull’unificazione tedesca, connette la forza delle “cattive idee” a un carattere peculiare della ragione tedesca che definisce «propensione alla totalità». Giacché sottoscrive e specifica: «Utilizzo ai limiti del cinismo di rapporti di forza, rifiuto di compromessi accettabili, convinzione integralistica dell’assoluta superiorità del proprio punto di vista, difesa accanita degli interessi» nazionali. Chi vuole potrebbe rintracciare ascendenze storiche: dopo Bismarck la Germania ha spesso concepito assetti europei centrati su di sé e, come ovvio, sbilanciati nella distribuzione della potenza continentale. La formulazione più articolata si trova nel “Septemberprogramm” del cancelliere Bethmann-Hollweg, che è redatto nel 1914 in piena offensiva della Marna e pone come obiettivo nazionale «la fondazione di una associazione economica mitteleuropea mediante comuni convenzioni doganali con l’inclusione di Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia, Italia, Svezia e Norvegia».L’associazione, «caratterizzata esternamente da parità di diritti tra i suoi membri ma in effetti sotto direzione tedesca» costituisce, nella visione del suo ispiratore Walther Rathenau, nel 1922 ministro degli esteri a Weimar poi assassinato da estremisti di destra, uno strumento essenziale per consentire alla Germania così rafforzata di mantenere una posizione di potenza mondiale come Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia. Finché la scala delle operazioni è limitata al rango nazionale, come nel caso della Germania Est, il modello totalizzante, che implica asimmetria di comando fra chi propone l’impianto mercantilista e chi l’adotta, funziona, anche se con costi alti; quando invece con un salto di dimensione si passa alla scala continentale e il rapporto tra la potenza egemone e le altre non è più una soggezione storicamente confermata ma sfuma in una meno cogente subordinazione politica, come nell’area euro, allora le disfunzioni del modello diventano insuperabili: le divaricazioni fra gli Stati si allargano, la politica riprende spazio e contesta gli algoritmi, lo stallo prevale – in mancanza di strumenti autocorrettivi.Un modello ideale che promette, attraverso successive cessioni di sovranità, l’evaporazione degli Stati nazionali in una prospettiva confederale contrasta con gli interessi vitali che tuttora formano la trama di fondo della politica europea e soprattutto con il sentimento delle popolazioni che oggi collocano la propria sfera di esperienza solo entro la dimensione nazionale. Ma non è solo immobilismo, palude dei comitati e dei vertici: crescono le divisioni dentro la società europea, si estendono crepe e fratture: ideologia ufficiale contro esperienza vissuta, classi dirigenti contro popoli, nord contro sud, algoritmi da applicare rigidamente contro sentimento della contingenza politica. La frantumazione a sua volta rafforza l’inerzia: passi avanti sulla via dell’integrazione sovranazionale, come vorrebbero le élite che sperano di risolvere con l’azzardo della visione ideale i fallimenti operativi, sono rigettati dagli elettori; passi indietro verso una revisione del modello che attenui vincoli troppo stretti, sono avversati dalla potenza egemone e sconsigliati dalle inevitabili difficoltà pratiche. Lo stallo, in quanto esito più facile, alla fine domina e drammatizza lo stato delle cose.(Antonio Pilati, “L’Anschluss secondo Angela”, da “Il Foglio” del 9 dicembre 2014. Il libro: Vladimiro Giacché, “Anschluss – L’Annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”, Imprimatur editore, 304 pagine, 18 euro).La riunificazione tedesca è, fra l’altro, un grande esperimento di ingegneria sociale: scompare mezzo secolo di economia totalitaria, prima nazista poi comunista, che è riorganizzata dalle fondamenta e nello stesso tempo adattata in tempi brevissimi a un sistema industriale e finanziario, fortemente strutturato, che preesiste. Un esperimento forse senza precedenti nella storia: rivoluzioni come quella sovietica hanno distrutto l’economia esistente per rifarla ex novo e non per incollarla come appendice a un’altra già funzionante; transizioni complesse come quella cinese hanno introdotto nell’economia novità dirompenti, ma con tempi lunghi e mediazioni sottili quanto estese. Lo smontaggio dell’economia tedesco-orientale non è l’unico esperimento di ingegneria sociale che si svolge in Europa negli anni ‘90: anche se procede con mezzi meno cogenti, la costruzione – a partire dall’adozione della stessa moneta – di un’area economica integrata ha un tratto consimile che consiste nell’idea di riorganizzare una vasta serie di attività industriali e finanziarie secondo un disegno preordinato ad alta intensità ideologica.
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Magia di Renzi: stop alle bonifiche dei siti militari
un favore ai vertici militari, si alzano i limiti per l’inquinamento dei suoli di 100 volte», scrivono il Coordinamento Nazionale Siti Contaminati, il Forum Italiano Movimenti per l’Acqua, “Stop Biocidio Lazio” e “Stop Biocidio Abruzzo”: «Il governo Renzi moltiplica le aree industriali del paese, ma l’obiettivo non è creare occupazione ma mettere sotto il tappeto la contaminazione dei suoli delle aree militari alzando anche di 100 volte i limiti di legge». In altre parole è un colpo di spugna sullo stato di contaminazione delle aree militari del paese. Il decreto, pubblicato ieri nella Gazzetta ufficiale, prevede che nelle aree militari si deve far riferimento ai limiti della colonna B della tabella relativa alle soglie di contaminazione dei suoli del decreto legislativo 152/2006, quella relativa alle aree industriali, e non già alla colonna A, quella con i limiti per le aree residenziali e a verde.I comitati forniscono alcuni esempi: nelle aree a verde la soglia per il cobalto è 20 mg/kg mentre per le aree industriali è 250 mg/kg, più di 10 volte. Per la sommatoria dei composti policiclici aromatici (tra cui diversi tossici e/o cancerogeni) addirittura il limite per le aree industriali è più alto di 100 volte (1 mg/kg contro 100 mg/kg). Il benzene, cancerogeno di prima classe per lo Iarc, ha un limite più alto di venti volte (0,1 mg/kg contro 2 mg/kg). Per il tetracloroetilene, un altro sospetto cancerogeno e tossico per il fegato, il limite è 40 volte più alto. Il tutto in aree che spesso appaiono come ampie zone verdi coperte da macchia mediterranea e boschi! Si pensi a Capo Teulada e Quirra (Perdasdefogu) in Sardegna, oppure a Monte Romano in Lazio (vasto 5000 ettari!). Con buona pace di comuni e regioni che da tempo aspettavano di riprendersi quelle aree per usi civili. Non risultano, al momento, levate di scudi da parte di settori ecologisti fiancheggiatori del governo, i sedicenti eco-dem, né chiamate alla mobilitazioni da parte di prestigiosi colossi dell’ambientalismo.(Checchino Antonini, “Magia di Renzi: stop alle bonifiche dei siti militari”, da “Popoff” del 26 giugno 2014).Quando si candidò alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, Gian Luca Galletti sussurrò ai microfoni di “Radio Città del Capo” l’idea balzana di poter ospitare una bella centrale nucleare. L’uomo sbagliato nel posto sbagliato, visto che questo esponente dell’Udc, il partito che più spesso è sembrato un club di indagati, è stato voluto da Renzi al ministero dell’ambiente. Da lì ha emanato ieri un decreto, il 91/2014, dal titolo grottesco di “Ambiente protetto”. Bene, come pensa di proteggere l’ambiente questo ministro? Semplice: decine di migliaia di ettari, circa 30mila, distribuiti in tutto il paese [in grande prevalenza in Sardegna] vengono equiparati ad aree industriali per i quali la legge prescrive soglie di contaminazione molto più alte. Si tratta di terreni occupati da poligoni militari, campi di addestramento, caserme, e in cui sono state svolte per decenni attività che possono aver liberato sostanze pericolose (si pensi ai continui brillamenti di cariche nei poligoni).
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E’ la fine: si stanno comprando tutta l’acqua del mondo
Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.Pochi ne parlano, ma lo scenario è sconvolgente, scrive Jo-Shing Yang in un lungo reportage su “Global Research”, il magazine geopolitico canadese. «Stanno comprando acqua in tutto il mondo, ad un ritmo senza precedenti». I boss della finanza planetaria, i maggiori gruppi d’investimento: ricchi magnati, da qualche anno “nuovi baroni dell’acqua”. Grazie alla “crisi” hanno accumulato immense fortune finanziarie, e ora le usano per dare la caccia a «falde acquifere, laghi, diritti di sfruttamento dell’acqua, servizi idrici, società d’ingegneria idraulica ed aziende tecnologiche in tutto il mondo». E mentre i “baroni” sono impegnati in questa inquietante “campagna acquisti”, «i governi stanno rapidamente muovendosi per limitare la capacità dei cittadini di diventare autosufficienti nell’approvvigionamento idrico», rileva Jo-Shing Yang. “Privatizzare” è il verbo neoliberista dell’Ue, così come degli Usa: lo Stato dell’Oregon è giunto a condannare un cittadino, Gary Harrington, per aver osato rendersi autonomo costruendo raccolte per l’acqua piovana.«Il miliardario T. Boone Pickens, ad esempio, può possedere più diritti di sfruttamento dell’acqua rispetto a qualsiasi altra persona in America (compreso il diritto a drenare 65 miliardi di galloni dalla falda acquifera di Ogallala), ma il cittadino Gary Harrington non può raccogliere le acque piovane sui 170 acri del suo terreno privato», protesta Yang, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «E’ un Nuovo Ordine Mondiale veramente strano quello in cui i multimiliardari e le banche elitarie possono tranquillamente possedere falde acquifere e laghi, ma i cittadini comuni non possono nemmeno raccogliere l’acqua piovana nei propri cortili e nei propri terreni». Del resto, «l’acqua è il petrolio del 21° secolo», dichiara Andrew Liveris, ceo della Dow Chemical. «Wall Street – dichiara la Jp Morgan – appare ben consapevole delle opportunità d’investimento nelle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico, nel trattamento delle acque reflue e nelle tecnologie per la gestione della domanda».«La vera storia del settore idrico globale è veramente contorta, e coinvolge il “capitale globalizzato interconnesso”», spiega l’analista di “Global Research”. «Wall Street e le società d’investimento globali, le banche e le altre imprese private – valicando i confini nazionali e collaborando fra loro, ma anche con le banche e gli hedge-funds, con le aziende tecnologiche e con i colossi assicurativi, con i fondi-pensione (pubblici e regionali) e con i fondi-sovrani – si stanno muovendo con molta rapidità non solo per acquistare i diritti di sfruttamento e le tecnologie di trattamento delle acque, ma anche per privatizzare i servizi idrici e le infrastrutture pubbliche». Ci siamo: nel corso del prossimo decennio, Wall Street si sta preparando a impossessarsi delle riserve idriche globali. A partire dal 2006, precisa Jo-Shing Yang, la sola Goldman Sachs ha accumulato più di 10 miliardi di dollari da investire nelle infrastrutture, comprese quelle idriche. Secondo il “New York Times”, i maggiori gruppi finanziari – dalla Morgan Stanley al Carlyle Group – hanno raccolto qualcosa come 250 miliardi di dollari da destinare a investimenti sulle infrastrutture-chiave.«Con il termine “acqua” – continua il ricercatore – intendo i diritti di sfruttamento (acque sotterranee, falde acquifere e fiumi), i terreni dotati di riserve d’acqua (ovvero laghi, stagni, sorgenti naturali o sotterranee), i progetti di desalinizzazione, le tecnologie per la depurazione e il trattamento delle acque, l’irrigazione e le tecnologie per la perforazione dei pozzi, i servizi idrici ed igienico-sanitari di pubblica utilità, la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture idriche (condotti per il trasporto su grandi distanze e per la piccola distribuzione, impianti di depurazione per usi residenziali, commerciali, industriali e comunali), i servizi di ingegneria (progettazione e costruzione di impianti idrici), il settore della vendita al dettaglio (produzione e vendita di acqua in bottiglia, distributori automatici, trasporto di acqua in bottiglia e servizi di consegna, autobotti)». In pratica, tutta l’acqua del mondo (occidentale) sarà loro. Proprietà privata.Impressionante il primo dossier presentato già nel 2008 da “Global Research”. Per la Goldman Sachs, la merce-acqua vale 425 miliardi di dollari. Una penuria idrica sarebbe una minaccia molto più grave di una crisi energetica o alimentare. Quindi è venuto il momento di “investire” su un bene così prezioso, in vista di guadagni enormi: «La Goldman Sachs sta preparandosi a divorare aziende del servizio idrico, società d’ingegneria e risorse idriche in tutto il mondo». Veolia, Suez, Uk’s Southern Water: tutte le multi-utility dell’acqua sono nel mirino degli “investitori”, gli stessi che hanno fatto miliardi – inguaiando interi popoli – con i titoli-spazzatura della finanza-truffa. Fanno gola società come la China Water and Drinks, «da quando la Cina è diventata il paese asiatico coi più grossi problemi per le forniture d’acqua». A Reno, nel Nevada, la Goldman ha proposto di “privatizzare” per 50 anni l’acqua dello Stato, in difficoltà a causa del calo delle entrate fiscali. E’ il segno – apocalittico – della nuova éra: per Willem Buitler, capo-economista di Citigroup, «l’acqua (intesa come “asset”) diventerà la più importante commodity fisica, e farà impallidire petrolio, rame, materie prime agricole e metalli preziosi».La piovra dell’acqua non conosce limiti, include la fratturazione idraulica (il fracking), e si espande in tutto il mondo. Per Credit Suisse, l’acqua sta diventando «il principale mega-trend del nostro tempo». La Jp Morgan, controllata dalla famiglia Rockefeller e specializzata nell’allevare insider famosi (Tony Blair) per condizionare governanti (fino a Matteo Renzi) punta dritto all’acquisizione di infrastrutture pubbliche, mediante privatizzazioni. Risale al 2008 il report di 60 pagine intitolato “Watch Water: una guida per valutare i rischi aziendali in un mondo assetato”. Da Wall Street a Berlino: presente in 70 paesi, l’Allianz Group ritiene che l’acqua sia «sottovalutata e sottoprezzata». Per il Water Fund di Francoforte, l’acqua dovrà essere pagata molto di più, così da motivare “investimenti” anche in paesi come la Cina e l’India. Dalla Deusche Bank alla Merryll Lynch (poi Bank of America) sarà un affare d’oro anche l’acqua europea, una volta privatizzata in via definitiva.Fondi d’investimento, fondi pensione, fondi “sovrani”: tutti soci, per il business per secolo. Non mancano i grandi nomi di sempre, come Warren Buffett che s’è comprato la Nalco, società per il trattamento delle acque, e nuovi miliardari come Manuel Pangilinan, che dalle Filippine sta “prenotando” l’acqua del Vietnam. Dal canto suo, la famiglia Bush possiede terreni per quasi mezzo milione di acri in Paraguay, al confine con Brasile e Bolivia: terreni che sovrastano l’Acuifero Guaranì, cioè la più grande falda idrica del mondo, più grande del Texas e della California messi insieme, capace di rifornire tutto il mondo di acqua potabile per 200 anni. «La febbre per la privatizzazione dell’acqua e delle infrastrutture è inarrestabile», conclude Jo-Shing Yang: molti governi a corto di denaro stanno per cedere alle maxi-offerte milionarie della finanza. «Le élites multinazionali e le banche di Wall Street si sono preparate per anni in attesa di questo momento d’oro. Nel corso degli ultimi anni hanno accumulato imponenti war-chests per la privatizzazione dell’acqua, dei servizi comunali e delle “utilities” di tutto il mondo. Sarà estremamente difficile invertire questa tendenza».http://comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13486Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.