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Linee di sangue: dominano da 2000 anni, sempre loro
Finì nelle mani dell’“odinico” Ataulfo, cognato di Alarico e sposato con una donna di origine giudaica, il tesoro che il romanizzato capo dei Visigoti aveva sottratto ai forzieri di Roma? E in quell’immane bottino (tonnellate di oro di argento, ufficialmente sparite nel nulla) c’era anche il tesoro del Tempio di Gerusalemme, che l’ebreo Giuseppe Flavio aveva ceduto a Vespasiano? E in cambio di cosa? Di un ruolo di leadership nell’impero che, più tardi, sarebbe diventato cristiano per volere di Costantino e di Teodosio, a loro volta imparentati con le “famiglie farisee” che avevano fondato a tavolino la nuova religione basata sul peccato originale, quindi sul senso di colpa, a scopo di sottomissione. Quello che pochi raccontano – rivela Nicola Bizzi – è la comune origine delle dinastie reali europee: normanni e scandinavi, inglesi e russi, casati come gli Asburgo e i Lorena, e prima ancora Merovingi e Carolingi. «Hanno retto il potere per secoli, vantando la loro discendenza (vera o presunta) con la famiglia di Cristo. E questi signori sono al timone ancora oggi».«Cosa lega tanti personaggi che tuttora reggono le redini del pianeta? Sono poche famiglie, sempre le stesse, da secoli. Sono unite da legami di sangue, ed esercitano il potere sostenendo di discendere direttamente da Gesù Cristo, o comunque dalla stirpe davidica. Ne emerge una realtà insospettabile, imbarazzante. Ne hanno trattato autori come Diego Marin e Riccardo Tristano Tuis, cogliendo alcuni aspetti essenziali. E ne ha parlato anche Paolo Rumor nel libro “L’altra Europa”, scritto con Giorgio Galli e Loris Bagnara. Secondo un dossier rimasto segreto per decenni, un’unica entità di potere – la Struttura – reggerebbe il mondo da qualcosa come 12.000 anni, attraverso imperi, Stati e religioni. La data non è casuale: corrisponde alle recenti acquisizioni della geofisica, secondo cui la Terra sarebbe stata sconvolta da una “pioggia cometaria” attorno al 10800 avanti Cristo; la seconda ondata, nel 9600, avrebbe provocato immani cataclismi e l’innalzamento degli oceani di 150 metri, fino a ridisegnare la geografia terrestre.L’importanza delle civiltà preesistenti viene regolarmente omessa, nella storiografia ufficiale, ormai messa in crisi da scoperte archeologiche come quella di Göbekli Tepe, in Turchia: un enorme complesso cerimoniale, prediliviano, interrato in prossimità della catastrofe, il Grande Diluvio. E’ lecito supporre che fu proprio l’immane calamità a spingere i pochissimi sopravvissuti a riunirsi: e i primi a farlo devono esser stati i Re-Sacerdoti, depositari della vera conoscenza, ereditata dal sistema precedente. Da loro sono convinto che derivi il ruolo delle fratellanze esoteriche, comprese quelle giunte fino ai giorni nostri, tutte riconducibili alle antiche confraternite prediluviane. Un sapere da mettere in cassaforte, all’ombra del potere che poi sarebbe stato esercitato da certe grandi famiglie? Sempre le medesime, peraltro: e tutte convinte delle loro origini giudaiche (vere o presunte). Ma quelle famiglie sono sempre state segretamente contrastate, lungo i millenni, da altre famiglie, a loro volta provenienti da un’ascendenza altrettanto antica: per esempio quella eleusina, cioè titanico-atlantidea.Si tratta di famiglie rivali, rispetto a quelle al potere. Famiglie di cui nessuno parla mai. Sono convinte di discendere dalle 8 tribù sacerdotali di Eleusi, che la tradizione descrive come investite direttamente dalla dea Demetra, di origine titanica, comparsa a Eleusi (alle porte di Atene) nel 1216 avanti Cristo. Da lì sarebbero nate le origini di molte nobili famiglie dell’aristocrazia europea, che hanno conteso il potere (e continuano a farlo tutt’oggi) alle linee di sangue dominanti. Intendiamoci: non si capisce una cosa se non si conosce l’altra, visto che si tratta di due aspetti complementari. Certo, gli antagonisti vengono regolarmente oscurati: perché considerati molto scomodi. Ma, tralasciando per il momento Eleusi e quindi la filiera antagonista, rispetto alle famiglie al potere negli ultimi due millenni, è proprio di quelle che parla Diego Marin in libri come “Il segreto degli illuminati” e “Il sangue degli illuminati”. Sintetizzando molto, il ricercatore cita le famiglie Odiniche, Olvunghe, Pseudo-Despósine, Farisaiche, Machiriche e Chionite. In altre parole: tutti i regnanti europei saliti al trono dalla fine dell’Impero Romano a oggi, più le famiglie di potere collaterali che hanno nominato Papi e cardinali, tenendo le redini economico-politiche di tutte le nazioni europee.Le Famiglie Farisaiche, in particolare, sarebbero originarie dell’area siro-palestinese (Giudea, Galilea): un ceppo arrivò a Roma al tempo delle guerre giudaiche, sotto Nerone. Le Famiglie Odiniche – in parte, secondo una loro diramazione – sarebbero riconducibili al sacerdozio del dio nordico Odino; una linea parallela le collegherebbe anche al Vicino Oriente: sta lì, infatti, la chiave di comprensione della maggior parte del problema. Erano “odinici” i Visigoti, e anche gli anglosassoni (di cui non c’è bisogno di sottolineare l’importanza). In maniera un po’ mitologica, gli alberi genealogici “odinici” vengono fatti convergere su un certo Rohes, che alcuni testi identificano come un Re-Sacerdote di Odino che sarebbe vissuto in Danimarca nel IV secolo dopo Cristo. All’epoca l’Impero Romano era in crisi terminale, tra le feroci persecuzioni che i cristiani infliggevano ai seguaci degli altri culti. Rohes era il padre di Cattarico, a sua volta padre del condottiero Marcomero.Attenzione al ramo femminile: la compagna di Marcomero sarebbe stata Frothmund, figlia di Fridholin. E soprattutto: Frothmund sarebbe stata discendente di quel pesonaggio passato alla storia come Giacomo il Giusto, fratello di Gesù Cristo. Vero o no? Questo è relativo: perché, proprio fregiandosi di questa genealogia (vera o presunta), queste famiglie – poi convertitesi formalmente al cristianesimo – hanno esercitato il loro dominio. Della storicità di Cristo parlano alcune pagine di Giuseppe Flavio, ma probabilmente sono interpolazioni, semplici aggiunte operate da monaci cristiani nel V-VI secolo per tentare di dimostrare la consistenza storica di una figura che, se è esistita, era probabilmente molto diversa da come è poi stata presentata dalla religione costruita a tavolino da personaggi come San Paolo, Giuseppe Flavio e il filosofo Seneca. Quello che conta è che quelle famiglie dominanti hanno costruito il loro potere sulla presunta discendenza dalla famiglia del Cristo o dalla Stirpe di Davide.C’è poi un altro ramo: Diego Marin le chiama Famiglie Olvunghe (a cui avrebbe appartenuto, per esempio, Guglielmo il Conquistatore). Sarebbero una diramazione delle Famiglie Odiniche, fiorita quando si proclamò Re dei Visigoti il celebre Ataulfo (letteralmente “Nobile Lupo”: proveniva da un clan totemico). Ataulfo originario delle steppe degli Unni. Era cognato di quel criminale di Alarico, autore del sacco di Roma e dalla distruzione di Eleusi. Proprio in Alarico sta la chiave del potere di certe famiglie, assimilate agli Olvunghi di Ataulfo. Di nuovo, attenzione al ramo femminile: la moglie di Ataulfo, Maria degli Elkasaiti, vantava una discendenza diretta dalla casa reale di David (Giudea). Secondo l’umanista Giusto Giuseppe Scaligero (visstito nel 5-600), gli Elkasaiti non sarebbero altro che i discendenti diretti di Cristo e della Maddalena.Su questo mito della discendenza di Cristo e della Maddalena (non vedo come altrimenti classificarlo) si è fondata buona parte della storia medievale europea. Da lì nacquero importantissimi ordini religiosi. In parte vi affondava anche l’ideologia dei Catari. Su quel mito nacquero gli stessi Templari. E nasce il cristianesimo “giovannita”, a lungo contrapposto al cristianesimo “paolino” (romano, vaticano). Sempre su questo mito sono state combattute le peggiori guerre, sia visibili – fra eserciti – sia sotterranee, clandestine, fra ordini iniziatici, che non hanno certo fatto meno vittime delle prime. Ora, gli Elkasaiti vengono chiamati anche Despósini: a farlo è lo stesso storico Sesto Giulio Africano. Per intenderci: sono i personaggi della storia narrataci da Dan Brown nei suoi romanzi.Cristo e la Maddalena? Lo sbarco in Provenza è solo leggendario, senza nessuna prova a supporto. Ma il mito interseca anche la figura della dea Iside: le tante Madonne nere presenti in Francia sono riconducibili a un antico culto isiaco, anche se ufficialmente vengono ricondotte alla Maddalena. Maria di Magdala, peraltro, doveva essere una sacerdotessa di alto rango, appartenente a una nobile famiglia, forse di sangue addirittura regale. In ogni caso, per secoli, in Europa il potere politico, militare ed economico è stato fondato proprio sulla presunta discendenza dalla linea di sangue del Cristo, che sarebbe sbarcata in Europa attraverso il sud della Francia. Nella realtà, invece, il cristianesimo divenne addirittura obbligatorio nel 380, con l’Editto di Tessalonica firmato da Teodosio: la più grande aberrazione giudirica che la storia ricordi, visto che l’85% della popolazione non era cristiana e, da un giorno all’altro, di vide privare di ogni diritto civile, se non si fosse forzatamentre convertita.Teodosio – ancora oggi incredibilmente celebrato come “il Grande” – fece uccidere decine di migliaia di persone. Il suo editto fu emanato proprio a Salonicco (Tessalonica), città che non lo amava affatto. L’imperatore offrì alla popolazione giochi circensi, poi fece circondare l’area dai soldati e fece e sterminare tutti gli spettatori. L’altro spietato devastatore dell’epoca, Alarico, era in combutta coi vescovi e al soldo di Teodosio. Compì il famoso sacco di Roma: dai forzieri dell’impero fece sparire tonnellate d’oro e centinaia di tonnellate d’argento (incluso probabilmente il tesoro del Tempio di Gerusalemme, quello che era stato sottratto da Vespasiano). Secondo la leggenda Alarico poi puntò verso il Nordafrica, ma in Calabria (nei pressi di Cosenza) fu colpito da febbri, forse malariche, e morì. Ufficialmente, quell’immenso tesoro non è mai più stato trovato. Ebbene: proprio questa storia poi si interseca con quella dei Templari. O meglio: con la storia di alcuni monaci calabresi (di un monastero nei pressi della presunta sepoltura di Alarico) che sarebbero stati all’origine della vera fondazione dei Templari.Le tracce di quelle strane presenze (i Visigoti e le donne di origine palestinese) non si esaurisce certo in Calabria, e neppure con la moglie di Ataulfo, di nascita giudaica. Nel VI secolo, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’ascendenza davidica viene utilizzata – sempre per legittimare il potere dalla principessa danese Burghilde e dal sovrano burgundo Sigismondo, trisnipote di Ataulfo. Da quel matrimonio scaturisce una geneaologia sbalorditiva, nell’arco di appena 5 secoli, che include tutte le famiglie reali dei maggiori paesi europei: Danimarca, Norvegia, Svezia, Russia, Inghilterra, Normandia e Italia meridionale. Tutte famiglie di origine normanna, che si glorificano della diretta discendenza da questa stirpe, la quale – a sua volta – si fregiava di una sua ipotetica discendenza dalla presunta linea di sangue del Cristo.I Normanni regnarono su Sicilia, Campania e Calabria. In Scandinavia le dinastie reali sono ancora lì: sempre gli stessi. In Russia il potere della famiglia imperiale è stato interrotto dalla Rivoluzione d’Ottobre, ma in realtà prosegue sotto altre forme, con i suoi eredi. Poi c’è quella che, per secoli, è stata la stirpe regnante sul trono inglese. E oltre alle Famiglie Olvunghe (o Despósine), emerge un sottogruppo altrettanto importante: le famiglie che vengono definite pseudo-Despósine: cioè i Merovingi, a lungo regnanti in Francia (poi sostituiti dai Carolingi, loro maggiordomi di palazzo), nonché potentati di rango continentale come quelli degli Asburgo e dei Lorena, e i loro rami colletareli, alcuni dei quali divenuti potentissimi nel Rinascimento.Tutte famiglie, quelle, ricondotte alla figura di Meroveo, terzo re dei Franchi (popolo di ceppo germanico), poi inglobati e federati all’ecumene di Roma. I Merovingi avevano sempre vantato la loro discendenza diretta da Cristo, quindi dalla casa reale di Davide: si consideravano della stessa stirpe di sangue. Il capostipite Meroveo aveva sangue romano, perché suo padre era il senatore noto come Quintus Tarus. Ma pare che Quintus Tarus fosse un giudeo: vantava una vera e propria discendenza da Giuda di Gamala, che secondo le Scritture era il prozio del Cristo, nonché fratello di Giacobbe (il padre di Giuseppe il carpentiere, quello che la tradizione indica come il padre putativo di Gesù). Nel 6-7 dopo Cristo, proprio Giuda di Gamala aveva organizzato a più riprese imponenti rivolte anti-romane. Lo stesso Giuseppe non era “falegname”: se è esistito era probabilmente un costruttore, detentore di segrete conoscenze costruttorie, muratorie: e su questa presunta discendenza alcune fratellanze iniziatiche hanno fondato il loro potere.La stessa famiglia di Giuseppe, quindi, a sua volta viene fatta discendere dalla casa reale di Giudea. E tutte le famiglie, anche quelle poi chiamate Olvunghe-Despósine (più le pseudo-Despósine, più quella di Guisa) si sono sempre richiamate, nella loro mitologia familiare, alla Stirpe di David, linea di sangue che riconduce al mitico Re David. E’ vero, tutto questo? Non è vero? Poco importa: quel che conta è che ci credono. E in nome di questa convinzione hanno sempre dominato il mondo allora conosciuto, cioè l’Europa, e continuano tuttora a farlo. Poi ci sono altri ceppi, ad esse intersecati: per esempio le Famiglie Farisaiche. Il loro arrivo in Europa risale a Giuseppe Flavio, nato Josef Ben Matityahu. Era un sacerdote ebraico di altissimo rango, nomché comandante militare nelle guerre giudaiche scatenate da Nerone per tentare di sedare le continue sommosse in Palestina. Nerone si illudeva di risolvere la cosa in pochi anni, coi soldati: invece venne ucciso nell’ambito di congiure relative a quelle guerre, poi vinte da un generale, Tito Flavio Vespasiano, futuro imperatore (appartenente alla Gens Flavia).Alla fine, Vespasiano riuscì a conquistare Gerusalemme, distruggendo il Tempio e portandone il tesoro a Roma. In una delle ultime roccaforti ebraiche resisteva Josef Ben Matityahu (non ancora ribattezzato Giuseppe Flavio), che chiese di conferire a porte chiuse con il generale Tito-Vespasiano. Giuseppe Flavio si arrese a Roma e venne inspiegabilmente adottato dalla Gens Flavia: venne adottato da Vespasiano come un figlio. In cambio di cosa? Di un enorme quantitativo di oro, probabolmente una parte del tesoro di Gerusalemme (messa in salvo da alcuni sacerdoti prima dell’irruzione dei romani). A Vespasiano, l’oro interessava per comprarsi l’elezione a imperatore: si trattava di ottenere non solo i favori delle legioni, ma anche quello del Senato, che avrebbe legittimato il suo avvento al soglio imperiale. Così, insieme a Giuseppe Flavio arrivarono a Roma altre famiglie sacerdotali, sempre provenienti dalla Giudea.Questi leader ebraici facevano parte dell’accordo: non solo si garantirono la salvezza (dal carcere, dalla crocifissione), ma si guadagnarono anche la fiducia della casa imperiale, l’adozione da parte del casato dei Flavii e la concessione di grandi ricchezze (ville, enormi poderi). Ebbero anche una discendenza: assunsero nomi romani, da cui poi discesero personaggi come Costantino e Teodosio. Si erano fatti adottare con una precisa missione politica: mettere le mani sull’Impero Romano. E lo hanno fatto. Come? Creando a tavolino la nuova religione. Lo fecero con la complicità di una rete molto estesa, che poi si riconduce alla Struttura citata da Paolo Rumor. Diego Marin riporta per esteso la lista completa dei documenti di Rumor. E dimostra che il personaggio che i testi storici identificano come il padre di Paolo di Tarso è indicato come appartenente alla Struttura.Cittadino romano di religione ebraica, proveniente da Tarsus in Cilicia (Anatolia), poi convertitosi ufficialmente al cristianesimo, Paolo creò quello che poi divenne il cristianesimo politico. Era molto diverso dal cristianesimo delle origini, giovannita, che si riconduce al Catari, ai Templari, a quelle linee di sangue. Ebbene, le Famiglie Farisaiche svilupparono proprio il cristianesimo “paolino”. Si badi: Paolo agiva in sintonia con Giuseppe Flavio. Quando Paolo (vero nome, Saulo) venne arrestato dai romani, chiese di essere processato a Roma: gli spettava di diritto, essendo cittadino imperiale. Così, chiese udienza all’imperatore. Giuseppe Flavio (che era già stato adottato, ma in quel momento si trovava in Palestina) tornò immediatamente a Roma per perorare la causa dell’amico Paolo di Tarso. E ruscì a farlo liberare, prosciolto da ogni accusa.Paolo era anche in combutta con il filosofo Seneca: tra i due esiste un carteggio, che incredibilmente gli storici considerano apocrifo. Dimostra come Seneca e Paolo fossero in piena sintonia, da anni, per pianificare una religione finalizzata al dominio delle masse, quindi fondata sul peccato originale (dunque sull’asservimento, sul senso di colpa). Di fatto, la nuova religione ha decretato la fine dell’Impero Romano d’Occidente e il controllo, per un altro millennio, del Medio Oriente. E’ il vettore che ha portato all’affermazione diretta delle linee di sangue che discendono dai Flavii. Gli stessi Carolingi, regnanti dopo la morte di Dagoberto II, ultimo dei Merovingi, vengono ricondotti alle Famiglie Farisaiche, discendenti di quel ramo della Gens Flavia originato da Giuseppe Flavio. Infine, si segnalano le Famiglie Machiriche e Chionite, da cui discendono direttamente i Rockefeller e i Rothschild. In sostanza: tutto il potere al comando in Europa, dall’Impero Romano fino ad oggi, è basato su un esiguo ceppo di famiglie che hanno sempre vantato una discendenza diretta dalla ipotetica linea di sangue del Cristo o comunque dalla stirpe reale di Davide.(Nicola Bizzi, estratti dalla trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, dal 5 settembre 2021 disponibile sul canale YouTube “Facciamo Finta Che”, di Gianluca Lamberti).Finì nelle mani dell’“odinico” Ataulfo, cognato di Alarico e sposato con una donna di origine giudaica, il tesoro che il romanizzato capo dei Visigoti aveva sottratto ai forzieri di Roma? E in quell’immane bottino (tonnellate di oro di argento, ufficialmente sparite nel nulla) c’era anche il tesoro del Tempio di Gerusalemme, che l’ebreo Giuseppe Flavio aveva ceduto a Vespasiano? E in cambio di cosa? Di un ruolo di leadership nell’impero che, più tardi, sarebbe diventato cristiano per volere di Costantino e di Teodosio, a loro volta imparentati con le “famiglie farisee” che avevano fondato a tavolino la nuova religione basata sul peccato originale, quindi sul senso di colpa, a scopo di sottomissione. Quello che pochi raccontano – rivela Nicola Bizzi – è la comune origine delle dinastie reali europee: normanni e scandinavi, inglesi e russi, casati come gli Asburgo e i Lorena, e prima ancora Merovingi e Carolingi. «Hanno retto il potere per secoli, vantando la loro discendenza (vera o presunta) con la famiglia di Cristo. E questi signori sono al timone ancora oggi».
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Kazari ashkenaziti, l’ebraismo asiatico su cui Israele tace
C’è una storia dimenticata e volutamente occultata. Io sono massone, e appartengo anch’io a una minoranza, quella eleusina: e comprendo il peso che persecuzioni possano avere avuto, nella storia. La cultura tradizionale ebraica è tuttora sconosciuta, ai più: curioso, perché è tra quelle che più hanno permeato la cultura europea, negli ultimi secoli. E’ una cultura che è sempre stata un po’ chiusa. E anche per via delle fortissime tensioni storiche – con la cacciata degli ebrei dalla Spagna a opera di Isabella di Castiglia dopo la Reconquista, poi per opera dell’Inquisizione e dell’azione stessa della Chiesa cattolica, senza contare le tante conversioni forzate al cattolicesimo – non c’è mai stato un dialogo aperto fra la cultura ebraica e quella cristiana, predominanti nell’Europa moderna. E questo ha fatto sì che ci sia sempre stata una grave e lacunosa mancanza di conoscenza reciproca. Ad esempio: si parla pochissimo dell’origine degli ebrei ashkenaziti, che oggi rappresentano la maggioranza, nella popolazione ebrea.Le fonti collocano l’origine della tradizione ebraica in Medio Oriente, in Palestina, in parte anche in Egitto. Ci sono connessioni dirette tra il popolo ebraico e figure come il faraone Akhenaton e personaggi come Mosè. E’ stata invece volutamente occultata l’origine storica di quella grande parte dell’ebraismo che appartiene alla cultura ashkenazita. Le origini non risalgono all’area siro-palestinese (il Regno di Giudea), ma ad un’area geografica diversa e distante, identificabile con il territorio di quello che è storicamente conosciuto come l’Impero Kazaro. Numerose le fonti: cronache arabe, persiane, bizantine e russe (Principato di Kiev). E’ un argomento raramente studiato, cui si tende a non dare risalto, anche per una serie di ragioni politiche. L’Impero Kazaro si sviluppò in un’aera che va dal Caucaso all’odierna Ucraina, la Crimea, le steppe del Kazakhstan e l’Uzbekistan settentrionale: un territorio vastissimo. Trae origini dalle migrazioni di una serie di popoli che, nei primi secoli della nostra era, abitavano l’area della cosiddetta Asia Centrale.Erano popolazioni in una certa misura discendenti dall’antico popolo degli Sciti, storicamente stanziato sull’odierna costa dell’Ucraina e in Crimea, e in parte da popolazioni turcomanne, inizialmente nomadi, stanziate in quest’area già dal III-IV secolo dopo Cristo. Popolazioni storicamente note come Göktürk (”turchi blu”: una caratteristica totemica). Questo ramo delle popolazioni turcomanne, molto affine agli attuali ungheresi e agli unni (che molto interagirono con gli ultimi secoli dell’Impero Romano), attorno al V secolo dette origine a una prima grande forma statale, una struttura organizzata che venne chiamata Kaganato, che deriva dal termine Kagan (”Re dei Re”). Questo primario Kaganato dei Göktürk entrò inizialmente in guerra con tutte le potenze vicine, specie la Cina. Tutta la parte orientale del Kaganato venne sottomessa dai cinesi e annessa ai territori del Celeste Impero. La parte occidentale, destinata a sopravvivere più a lungo, conobbe varie traversie, fino a che non cadde sotto l’egemonia di una particolare dinastia, quella degli Hashina: nome identificato da importanti linguisti americani come derivante dall’antica lingua scita.Risolti i problemi col potente e ingombrante vicino cinese, il Kaganato entrò in rotta di collisione con altre potenze, in primis l’Impero Bizantino (cristiano), e poi con la nascente e preponderante potenza islamica. Siamo ormai nel VII secolo: l’Islam aveva appena iniziato la sua opera di espansione e dominio, e il territorio dei kazari (particolare civiltà turcomanna, di religione politeista con caratteristiche sciamaniche) fu progressivamente attaccato dagli arabi, che avevano già occupato la Persia. Dell’affascinante mitologia di fondazione del clan degli Hashina parla Diego Marin, nel libro “Il sangue degli Illuminati”. Quel clan «era considerato il prescelto dal dio celeste Tengri, associabile all’antico dio delle tempeste Teshup», o anche allo stesso Zeus.Gli Hashina veneravano i propri antenati con cerimonie annuali, che si concludevano in un luogo particolare, chiamato “la Caverna Ancestrale”, da cui si riteneva che lo stesso clan Hashina fosse fuoriuscito. «Il mito racconta la storia di un bambino, l’unico sopravvissuto a un massacro tribale. Famiglia e amici erano stati sterminati. Lui solo era riuscito a scappare, rifugiandosi in una grotta nelle vicinanze. Qui aveva incontrato una lupa, di nome Hasena». La lupa lo aveva adottato (come Romolo e Remo, allattati e salvati). «Una volta cresciuto, il bambino ebbe un’unione sessuale con la lupa, che avrebbe dato alla luce ben 10 figli, tutti gemelli, uno dei quali poi passato alla storia come il capostipite degli Hashina». La lupa Hasena è ancora ben viva, nella tradizione mitologica di tutti i popoli di origine turcomanna, dalla Turchia all’Asia Centrale (Turkmenistan, Tagikishan, Uzbekistan, Kazakhstan, fino agli uiguri dello Xinjang cinese).Ancora oggi, la lupa Hasena è il simbolo di partiti nazionalisti turchi: oggi musulmani, non hanno mai rinunciato a questa raffigurazione mitologica ancestrale che vede nella lupa Hasena l’origine dei turchi, la loro madre. Tornando ai kazari: erano in continuo stato di guerra coi vicini bizantini e arabo-persiani. Poi nell’VIII secolo vengono attaccati attraverso la Persia, vengono sottomessi, e il Kagan dell’epoca, Bulan, accetta di convertirsi formalmente all’Islam. La tregua però dura poco: i kazari contrattaccano, battono gli arabo-persiani e recuperano il loro territorio. Bulan abiura alla fede islamica e, simultaneamente, avviene un fatto incredibile, probabilmente ispirato da ragioni geo-strategiche e interessi commerciali: nel 740 dopo Cristo decide di convertirsi all’ebraismo, imponendo la conversione anche ai sudditi. Un fatto che ha segnato la storia, perché questo impero (che aveva svariati milioni di abitanti) diventa di religione ebraica, pur restando molto lontano dalla culla dell’ebraismo – l’area siro-palestinese – essendo esteso tra il Caucaso, la Crimea e le steppe del Kazakhstan.Sempre scondo le ricerche di Diego Marin, questa conversione sarebbe stata suggellata dal matrimonio tra il principe Bihar Sabriel (figlio di Bulan) e una donna di tradizione ebraica, di nome Serak, che sarebbe stata figlia di Juda Zachai, rabbino di Babilonia, appartenente al casato reale di Marsutra e quindi discendente del primo “esiliarca” di Babilonia. Sarebbe dunque stato questo ramo della tradizione ebraica a favorire la misteriosa conversione dei kazari. Divenuto ebraico, il Kaganato prospera per un po’, soprattutto grazie al commercio, ma poi va a scontrarsi nuovamente con tutti i vicini: bizantini, Impero Arabo e soprattutto con il recente Principato dei Rus’. Quella del Principato di Kiev, primo nucleo embrionale della futura Russia, non è un’origine slava, ma nordica (vichinga, norrena): furono soprattutto mercanti norreni (o variaghi, che dir si voglia) a insediarsi nell’attuale Russia settentrionale, per poi fondare – calando verso sud – l’embrione della futura potenza russa.Il Principato di Kiev, peraltro, era legato a tradizioni sciamaniche. Eppure, Kiev venne appoggiata subito da Bisanzio, nel tentativo di contrastare il Kaganato kazaro. E alla fine, dopo una serie di guerre, con personaggi come Oleg di Kiev e Sviatoslav I, l’Impero Kazaro venne sconfitto: furono occupate le fortezze principali e la stessa capitale, e il vastissimo territorio si disgregò attorno al 960. Da lì, nacquero le prime migrazioni dei kazari verso l’Europa, e il loro insediamento nella valle del Reno. Si dice che “ashkenazita” significhi “tedesco”, e che Ashkenaza fosse una regione franco-tedesca nella Renania. Subito, l’ex Impero Kazaro venne sottomesso dal nascente Stato russo, che non era ancora cristiano: la cristianizzazione della Russia (fatto curioso) fu concomitante con la caduta dell’Impero Kazaro. Il principe Vladimir di Kiev (figlio si Sviatoslav, conquistatore dell’Impero Kazaro) fu il primo regnante russo – in realtà, di origine vichinga – a convertirsi formalmente al cristianesimo. Conversione molto esaltata dai cristiani ortodossi: Vladimir fu santificato, in quanto fondatore del cristianesimo in quella che era la Rus’.Dopo aver sconfitto il potente Impero Kazaro, Vladimir venne avvicinato dagli emissari della Kazaria, che gli suggerirono di convertirsi all’ebraismo. Rifiutò, perché non voleva convertirsi alla religione di un popolo che aveva appena sottomesso. Al che, emissari dell’Impero Arabo (sempre in cambio di alleanze) gli proposero di convertirsi all’Islam. Vladimir rifiutò ancora, spiegando che non avrebbe potuto imporre al suo popolo di rinunciare alle bevande alcoliche. Il principe di Kiev sarebbe poi invece rimasto folgorato dagli emissari bizantini – si racconta – di fronte allo splendore delle chiese cristiane di Costantinopoli. Un racconto chiaramente agiografico. In realtà queste curiose conversioni, da quella del kazaro Bulan all’ebraismo a quella di Vladimir al cristianesimo, sono sempre state frutto di accordi geopolitici: la motivazione non era esattamente spirituale. Così la Russia divenne cristiana, e quello che era il primo, grande impero ebraico (al di fuori del territorio siro-palestinese) si disperse.Iniziò una prima diaspora della popolazione. Ma la vera diaspora non fu causata dal Principato russo di Kiev, che coi kazari mantenne relazioni commerciali e quindi non aveva alcun interesse a disperdere quelle popolazioni appena sottomesse. Qualche secolo dopo, nel 1200, i kazari vennero attaccati dall’Orda d’Oro di Gengis Khan: furono i mongoli, a fare terra bruciata. Travolsero lo stesso Principato di Kiev e sottomisero buona parte del mondo allora conosciuto. Non si limitavano a conquistare e assoggettare: radevano al suolo le città e sterminavano tutti gli abitanti. L’impressionante invasione mongola ha cambiato la storia, e ha stravolto la nascente potenza islamica: la Baghdad dell’epoca era la culla mondiale della conoscenza, l’Islam illuminato aveva fondato una delle più importanti biblioteche della storia, pari a quella di Alessandria d’Egitto. La famosa Casa della Sapienza di Baghdad conteneva l’intera letteratura del mondo, e venne distrutta dai mongoli.Di fronte all’urto dei mongoli, quindi, solo dopo il 1200 i kazari cominciarono a emigrare in massa verso la Russia, la Polonia, la Germania e l’intera Europa orientale, dove cominciarono a chiamarsi ashkenaziti, fino a raggiungere poi anche paesi dell’Europa occidentale, come l’Italia e la Francia. Gli ebrei di origine ashkenazita sono riconoscibili: hanno la carnagione molto chiara e parlano lo yiddish anziché l’ebraico. Nata proprio nell’Est Europa, quella yiddish è una lingua interessantissima, tuttora molto parlata. Ha avuto influenze slave e germaniche, e al suo interno conserva moltissimi vocaboli di origine turcomanna. L’yiddish è la lingua madre di un grande artista come Marc Chagall, reinterpretata da un grande musicista come Moni Ovadia.Invece, gli ebrei sefarditi sono in buona parte di origine spagnola, però hanno una diretta connessione con l’aria siro-palestinese. In più, a cavallo dei Pirenei (col disfacimento dell’Impero Romano) era nato anche il Principato di Settimania, importante realtà statale ebraica con caratteristiche sefardite. Dopo la cacciata degli ebrei dalla penisola iberica, a opera della cattolica dinastina castigliana, ci fu un’altra diaspora (sefardita). Una “diaspora di ritorno”, che interessò tutto il Nord Africa e tutta l’Europa. Quanto agli ashkenaziti, arrivati in epoca medievale in Italia e in Germania, generarono importanti famiglie che – si dice – oggi dominano il pianeta. E’ un’ipotesi da molti sostenuta, tutt’altro che infondata. Ancora all’inizio del 1300, comunque, gli ashkenaziti costituivano solo il 3% della popolazione ebraica mondiale. Raggiunsero il massimo dell’espansione agli inizi del ‘900: nei primi anni Trenta erano diventati il 92% degli ebrei, che oggi in tutto il mondo sono 12-13 milioni.Agli albori del ‘900, avviene un fatto curioso, citato da Mauro Biglino. La grande stampa internazionale anglosassone comincia ad “annunciare” l’imminente strage, in Europa, di 6 milioni di ebrei. Ne scrivono insistenza il “Sun”, il “New York Times”, l’”Atlanta Constitution”, la “Gazzetta di Montreal”. Si chiede ospitalità, in Palestina, per 6 milioni di ebrei che, specie nell’Est Europa, sarebbero allo stremo e starebbero soffrendo un “olocausto europeo”. Dal 1915, quindi, quando Hitler era ancora un ragazzotto, c’era chi “sapeva” che 6 milioni di ebrei sarebbero morti? Poi arriva Hitler, che nel “Mein Kampf” parla di “due stirpi”, quella degli Ariani e quella del Serpente, e infine la Shoah stermina 6 milioni di ebrei. E’ un dato che deve fare riflettere, anche se si tratta di cifre simboliche che hanno una valenza esoterica (parlo dei dati citati da Biglino, cioè i 6 milioni evocati dalla stampa prima della Shoah).Questo utilizzo di numeri è chiaramente funzionale alla nascita e allo sviluppo del movimento sionista, che ha sempre avuto interesse a catalizzare questi dati, per poi agire politicamente fino a creare l’attuale Stato di Israele, che rappresenza la realizzazione del programma politico di Theodor Herzl. Certo è curiosa, all’inizio del ‘900, la ripetizione di quella cifra (6 milioni), che secondo me ha proprio una valenza simbolico-esoterica. Indubbiamente, nella Russia zarista non c’era una situazione felice, per le popolazioni ebraiche ashkenazite, perseguitate dal potere imperiale. Ci furono molti pogrom, ma certo non massacri dall’estensione paragonabile alla Shoah. Oltretutto, in alcune aree come l’attuale Bielorussia, la maggior parte della popolazione era di origine ebraica: sarebbe stato un controsenso, l’annientamento completo di una consistente fetta della popolazione.Insomma, sono questioni su cui riflettere: ma anche facilmente strumentalizzabili. Io poi mi occupo prevalentemente di storia antica, e non voglio entrare nel merito delle cifre: ci sono storici che se ne sono occupati in modo autorevole. Certo, resta il fatto che la stampa internazionale è andata avanti per cinquant’anni, prima di Hitler, a parlare di quei famosi 6 milioni. Qualcuno si stupisce che la popolazione ebraica sia sopravvissuta in modo quasi stabile, sia alle persecuzioni pre-hitleriane che alla stessa Shoah. Ma ripeto: quelli evocati a inizio ‘900 sono numeri “anti-storici”, essenzialmente simbolici. Oggi si sostiene che una parte degli ebrei ashkenaziti sia riuscita, tramite la finanza, a costituire veri e propri imperi, arrivando a condizionare la politica economica di tutti gli Stati del mondo, a partire dagli Usa fino all’ultima creazione europea, l’euro? Ora, si ripete, potenze come quella incarnata da Soros sono impegnate in manipolazioni finanziarie globali. E se ieri la stampa dava conto di certi fenomeni, oggi del mondo ebraico si parla poco, specie dal punto di vista della finanza. Soprattutto, non si approfondisce.Io consiglio un libro inattaccabile, scritto da un professore di religione ebraica di un’università americana, uno storico: si chiama Norman Finkelstein. Il suo libro, “L’industria dell’Olocausto”, storicamente ben documentato, spiega esattamente, nel dettaglio, come la questione della Shoah sia stata interpretata e utilizzata per finalità tutt’altro che religiose o morali – ma per finalità politiche ed economiche – dal movimento sionista. Chiaramente, viene utilizzata una discriminante storica, che giocoforza si è venuta a creare. Nel 1945, in modo simbolico, questa discriminante opera una divisione: il mondo prima della Shoah e il mondo dopo la Shoah. I giornali degli anni Venti e Trenta avevano un’altra libertà di espressione, perché dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale è nata una sorta di tabù storico, di velo, di ininterpretabilità. Norman Finkelstein questa cosa la denuncia in modo molto forte. E spiega come poi, in realtà, nell’immediato dopoguerra non vi fosse tutta questa retorica dell’Olocausto: è una retorica, dice, che è stata portata avanti dalla politica israeliana in concomitanza con le prime guerre con il mondo arabo, in particolare la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967).Fu allora che la vulgata dell’Olocausto, in una chiave molto particolare, è stata spinta e accelarata, fino a diventare una sorta di dogma intoccabile. In realtà la storia è fatta di interpretazioni e ricerche: uno storico dovrebbe sempre avere le mani libere, per analizzare i documenti e confrontarsi. In questo caso, invece, sono stati imposti dei tabù, come fossero dogmi di fede. E questo è sinceramente anti-storico, anti-scientifico: non ha senso. Tutto questo, però, non è assolutamente dovuto alla cultura ebraica, che è una delle culture più belle da studiare (una delle più interessanti, con cui confrontarsi). Questo atteggiamento di chiusura è invece dovuto all’azione di alcuni gruppi di famiglie, che hanno utilizzato a proprio uso e consumo determinate tradizioni, decidendo che cosa dovesse diventare storico e che cosa dovesse diventare un tabù storico. Hanno utilizzato queste questioni per propri fini, politici ed economici: il che, come si vede, non rappresenta affatto la variegata ricchezza culturale del mondo ebraico, che è fatto di voci diversissime tra loro.Il problema semmai è il sionismo: un movimento anche pericoloso, creato e fondato da ashkenaziti, che ha preteso anche la manipolazione della storia a proprio vantaggio. Esistono moltissimi ebrei che sono fortemente anti-sionisti, e addirittura temono il sionismo. Nello stesso Stato di Israele gli ebrei sefarditi sono una minoranza, oggi, e in alcuni casi vengono addirittura discriminati, anche se in Occidente non se ne parla. La stessa rimozione storica dell’Impero Kazaro, che per secoli controllò enormi estensioni di territorio, è dovuta al fatto che tutte le popolazioni che da esso sono derivate, e che poi hanno portato alla nascita dell’ebraismo ashkenazita, non hanno una diretta discendenza dall’area siro-palestinese. La mancanza di un filo diretto con la Palestina è diventata un altro tabù storico: un’altra questione da non affrontare, perché va a delegittimare la nascita dello Stato di Israele.(Nicola Bizzi, video-intervento “L’Impero Kazaro e le origini dimenticate”, da “Come Don Chisciotte” del 1° novembre 2020. Storico, autore di saggi sorprendenti come “Da Eleusi a Firenze”, Bizzi è l’editore di Aurora Boreale).C’è una storia dimenticata e volutamente occultata. Io sono massone, e appartengo anch’io a una minoranza, quella eleusina: e comprendo il peso che persecuzioni possano avere avuto, nella storia. La cultura tradizionale ebraica è tuttora sconosciuta, ai più: curioso, perché è tra quelle che più hanno permeato la cultura europea, negli ultimi secoli. E’ una cultura che è sempre stata un po’ chiusa. E anche per via delle fortissime tensioni storiche – con la cacciata degli ebrei dalla Spagna a opera di Isabella di Castiglia dopo la Reconquista, poi per opera dell’Inquisizione e dell’azione stessa della Chiesa cattolica, senza contare le tante conversioni forzate al cattolicesimo – non c’è mai stato un dialogo aperto fra la cultura ebraica e quella cristiana, predominanti nell’Europa moderna. E questo ha fatto sì che ci sia sempre stata una grave e lacunosa mancanza di conoscenza reciproca. Ad esempio: si parla pochissimo dell’origine degli ebrei ashkenaziti, che oggi rappresentano la maggioranza, nella popolazione ebrea.
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Carpeoro: cacciamo dall’Ue l’Olanda e gli altri ladri europei
Gli Stati Generali di Conte non sono certo la riedizione del Britannia: chi è intervenuto (e chi non è intervento) non li hanno presi sul serio. Non è roba seria, perché si fanno progetti su cose che ancora non si sa se succederanno. Secondo me, l’Europa non riuscirà a varare quel piano economico che ha giustificato tutte le logiche di questo governo, compresa quella degli Stati Generali. Cioè: il governo Conte si è aggrappato, come unica speranza, a una cosa che probabilmente non si verificherà. L’esecutivo non ha Piani-B. E vedrete che, alla fine, cercheranno di dare all’Italia il colpo di grazia, con la scusa che ci sono 5-6 nazioni che non ci stanno (nazioni, tra l’altro, di mentecatti). Dovremmo farci giudicare, sul piano economico e finanziario, dall’Olanda? Io dico: no. In tempi di maggior civiltà, per quanto ci riguarda, l’Olanda sarebbe stato un paese contro cui andare in guerra. E’ una fogna, fotte i soldi a tutte le altre nazioni europee. E’ un paese retto da un governo di farabutti. Con tutte le porcherie che hanno fatto, io avrei già chiesto all’Europa di buttarli fuori – insieme all’Austria e soprattutto all’Ungheria e alla Polonia: sono paesi indegni di condividere un progetto europeo. Questi paesi non hanno mentalità europea, non hanno un governo europeo. Non sono capaci di rispettare gli altri paesi. E devono andare via.Io sono convinto che l’unico progetto serio che possa fare l’Italia è parlare con la Grecia, con la Spagna e con l’Albania, e dare luogo a un progetto nuovo, confederativo, che graviti sul Mediterraneo. Un progetto che ridia dignità al turismo, all’agricoltura, all’artigianato – alle nostre vocazioni, inclusa la nostra vocazione manifatturiera. Cominciando a mostrare, nei confronti dell’Europa, la giusta insofferenza nei confronti di quei soggetti, con cui noi non abbiamo niente da spartire (a livello culturale, economico, storico). E quindi non dobbiamo spartire niente, con quei paesi. La nostra posizione dev’essere molto radicale, in questo momento: e poi vediamo chi sta con noi e chi sta contro di noi. Perché io ho i miei dubbi, che Francia e Germania possano restare sulle attuali posizioni. Francia e Germania li utilizzano, quei paesi (per limitare i nostri interessi), ma non si possono schierare apertamente: anche perché quei paesi non sono fondatori dell’Unione Europea. La Polonia non è fondatrice dell’Ue, così come l’Ungheria. Noi invece siamo fondatori: ci sarà, una differenza da far valere? E nel momento in cui obbligassimo gli altri a schierarsi, non credo che avremmo tutto questo schieramento contro di noi. Magari obtorto collo, molti si dovrebbero schierare con noi. E quindi creeremmo quel giusto isolamento, nei confronti di quei mentecatti, che ci consentirebbe di metterli bruscamente a tacere (dietro la lavagna, come si faceva nelle scuole ai miei tempi).Questi Stati Generali, quindi? Sono come quelli delle feste citate nel cinema di Nanni Moretti: mi si nota di più se vado o se non vado? Non sono una cosa seria. L’opposizione dice che non contano nulla? Sapete, la gara a non contare nulla, in Italia, tra maggioranza e opposizione è una bella gara: combattuta, di pari livello. Maggioranza e opposizione? Sono farlocche, tutte e due. Il problema è impegnarsi a fare l’Europa, quell’Europa che non è stata mai fatta. Dov’è, l’Europa? Non hanno voluto farla. Hanno lasciato tutta una serie di “zeppe” istituzionali, politiche e governative, per le quali non è stata fatta. Se fai una Unione Europea, perché non devi avere un codice penale unico? Perché non devi avere un modo unico di pagare le tasse? Perché, se uno trasferisce l’azienda in Polonia, paga solo il 10% di contributi? Posso elencarne milioni, di queste cose, per cui l’Europa non esiste. Beninteso: l’Europa va fatta. In un mondo fatto di comunicazioni e trasporti, levatevi dalla testa che possa sopravvivere da solo uno staterello di 60 milioni di abitanti, di fronte a blocchi composti da miliardi di persone, come la Cina e l’America. Va fatta bene, però: anche l’Europa è già stata unita (sotto l’Impero Romano, sotto Carlomagno). Non stiamo parlando di qualcosa che non è mai esistito.C’è chi ancora continua a piangere, accampando il problema delle troppe lingue diverse? Ma l’Europa è stata unita lo stesso quando una parte del continente parlava il mongolo: non parlavano latino, gli Unni – che poi si sono integrati perfettamente, perché il Sacro Romano Impero nacque dall’unione tra componenti franche, tedesche e latine. E’ stata unita, l’Europa. Certo, ci sono modi giusti e modi sbagliati, governi giusti e governi sbagliati; ma non è, che sono sbagliati il modo e il governo, è sbagliato anche il progetto. Siete dei morti che camminano, se pensate di poter prescindere dal fare uno Stato europeo unico. Poi lo possiamo fare confederato, lo possiamo fare sul modello americano, in altri modi – ma lo dobbiamo fare. Non va bene fare finta di farlo, in realtà senza farlo (visto che ognuno continua a fare come vuole, tranne che per alcuni temi importantissimi come la misura delle vongole pescabili). Qui oguno fa quello che vuole. Poi ti vengono a rompere le palle misurandoti i chicchi di grano: non è una cosa seria. Ci riusciremo? Vedremo. Ce lo impone l’evoluzione finanziaria, economica e politica globale. Sapete, nella vita te le impongono, alcune cose: te le impongono proprio. Cose giuste, cose sbagliate, cose su cui t’incazzi cose su cui sei tranquillo. Ma il sistema – delle comunicazioni, dell’economia – oggi impone unioni di Stati che abbiano una certa consistenza. Punto.Con chi lo vogliamo fare, questo progetto? Se lo vuoi fare col Marocco, lo fai col Marocco; se vuoi farlo con la Spagna, lo fai con la Spagna. Dite che il Giappone, ad esempio, sopravvivere benissimo da solo? Innanzitutto il Giappone ha i suoi problemi, da almeno una decina d’anni: ha ridimensionato se stesso, in quell’area è stato superato dalla Corea. Un tempo, il Giappone era leader: persino sulla Cina. E adesso non è niente: vi siete chiesti il perché? Vogliamo anche noi essere niente? Benissimo, basta continuare a essere Italia in questo modo. E’ un problema di scelte, la vita. C’è chi cita la Svizzera, come modello di paese autonomo? Bene, ma prima bisogna imparare a rubare i soldi degli altri: se impari a vivere coi soldi degli altri, sei a posto. Anche il Liechtenstein, che nell’Ue ci è entrato, non è diverso dalla Svizzera. Quello è lo spazio-lestofanti. Dipende dalla vocazione: e noi non abbiamo la vocazione degli svizzeri. Ripeto: credo nel progetto mediterraneo, magari con una moneta su basi diverse rispetto all’euro. E a parte Grecia e Spagna, non sottovaluto nemmeno l’Albania: è un paese piccolo, che però ha mostrato grande amicizia nei nostri confronti. E sono sicuro che, di fronte a una proposta di quel genere, ci starebbe. A quel punto, gli Stati Uniti d’Europa (che saremmo noi) diventerebbero un soggetto dell’Unione Europea, con cui l’Ue dovrebbe fare i conti in maniera un po’ diversa. Si rimetterebbero in discussione le quote, capite? Morirebbero gli Stati – Italia, Spagna, Grecia e Albania – e l’Ue dovrebbe trattare con gli Stati Uniti d’Europa. Perché non chiedere il parere degli italiani, su un progetto come questo?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 14 giugno 2020).Gli Stati Generali di Conte non sono certo la riedizione del Britannia: chi è intervenuto (e chi non è intervento) non li hanno presi sul serio. Non è roba seria, perché si fanno progetti su cose che ancora non si sa se succederanno. Secondo me, l’Europa non riuscirà a varare quel piano economico che ha giustificato tutte le logiche di questo governo, compresa quella degli Stati Generali. Cioè: il governo Conte si è aggrappato, come unica speranza, a una cosa che probabilmente non si verificherà. L’esecutivo non ha Piani-B. E vedrete che, alla fine, cercheranno di dare all’Italia il colpo di grazia, con la scusa che ci sono 5-6 nazioni che non ci stanno (nazioni, tra l’altro, di mentecatti). Dovremmo farci giudicare, sul piano economico e finanziario, dall’Olanda? Io dico: no. In tempi di maggior civiltà, per quanto ci riguarda, l’Olanda sarebbe stato un paese contro cui andare in guerra. E’ una fogna, fotte i soldi a tutte le altre nazioni europee. E’ un paese retto da un governo di farabutti. Con tutte le porcherie che hanno fatto, io avrei già chiesto all’Europa di buttarli fuori – insieme all’Austria e soprattutto all’Ungheria e alla Polonia: sono paesi indegni di condividere un progetto europeo. Questi paesi non hanno mentalità europea, non hanno un governo europeo. Non sono capaci di rispettare gli altri paesi. E devono andare via.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.
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Sperano in Mattarella per fabbricare il nuovo Renzusconi?
Insieme al picco dei calori estivi, in questi giorni sembra si sia arrivati anche al picco di confusione politica: dopo l’ondata di entusiasmi in primavera, con l’avvicinarsi dell’autunno pochi ormai scommettono che il governo supererà la soglia delle elezioni europee l’anno prossimo. Lo scrive Lao Xi, dalla Cina, sul “Sussidiario”: sempre più gente crede che il governo si scioglierà e si arriverà a un redde rationem tra le varie forze politiche. Vero, il clima resta volatile e tutto potrebbe sempre cambiare: in questa altalena di tensioni magari il governo durerà per cinque anni, superato il giro di boa della legge di bilancio in autunno. Se non altro, ammette l’analista, oggi «non ci sono alternative vincenti», e quindi «si passerebbe da confusione in confusione». E se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – storico esponente del Pd insediato al Quirinale da Renzi – lavorasse a un partito nuovo, in grado si archiviare il patto tra Salvini e Di Maio? Conclusione ipotetica, a cui Lao Xi perviene esaminando lo scenario attuale, che vede la Lega come primo partito, nettamente in vantaggio: «Potrebbe arrivare alla soglia del 40% dei voti e prendersi quindi più del 51% dei seggi in Parlamento». Prospettiva che inquieta i detentori del potere europeo, gli artefici della sciagurata austerity in nome della quale – evocando il fantasma dello spread – lo stesso Mattarella sbarrò la strada a Paolo Savona come ministro dell’economia.La propaganda di Salvini è efficiente, riconosce Lao Xi: il leader leghista «batte su paure a basso costo: gli emigranti che scombussolano la nostra società e la sicurezza personale e della propria casa». Grandi incertezze, letteralmente esplose «con la decadenza della classe media», insieme all’aumento della povertà e dell’insicurezza «percepita nelle periferie e nelle piccole città». Ma anche con il 40% dei voti e il 51% dei seggi, continua l’analista, nessun paese si governa facilmente con il 60% della gente contro e senza una vera e propria egemonia culturale: «Con la Chiesa contro e i vecchi apparati intellettuali ostili, la Lega ha bisogno di spostarsi al centro e parlare a queste due istituzioni con profondità e spessore, al di là dei tweet». Operazione tutt’altro che facile. Quanto ai 5 Stelle, per loro le difficoltà sono maggiori: il movimento «ha vinto promettendo il bengodi», cioè il reddito di cittadinanza – ma senza spiegare come finanziario, cosa che in questi termini equivale a promettere «la botte piena e la moglie ubriaca, senza avere né la moglie né la botte». Lao Xi paragona i pentastellati addirittura ai giovanissimi dirigenti della disastrosa Rivoluzione Culturale di Mao, che spedì «i contadini all’università e i liceali nei campi». I grillini? «Paiono volenterosi, ma sembrano altrettanto incapaci di capire cosa stiano facendo: da questa confusione probabilmente deriva anche il loro calo nei sondaggi».Parte del Vaticano «sembra voglia adottarli come argine realistico alla brutalità di certi slogan leghisti: in fondo è quello che fece la Chiesa con i barbari». Ma allora, aggiunge Lao Xi, ci vollero secoli per civilizzare germani, slavi e unni: «Oggi non ci sono nemmeno anni, ma solo mesi: riusciranno?», si domanda l’analista, dando per scontato che la “civilizzazione” dei “barbari” sia stata un affare, per l’Europa delle Crociate e delle guerre di religione, delle persecuzioni degli ebrei e dei eretici, del totalitarismo oscurantista che mandò in carcere Galileo e sul rogo Giordano Bruno, prima di cedere Roma alla nuova Italia solo grazie alle cannonate dei bersaglieri, per poi benedire l’ultimo “barbaro” italico proposto dalla storia, Benito Mussolini. Tornando all’oggi e tralasciando i presunti barbari – Salvini sembra un pargoletto, a confronto con gli squali-tigre come Draghi, Monti e Merkel – Lao Xi cita il politologo Claudio Landi, intervistato da “Radio Radicale”: se l’alleanza gialloverde vale il 60% del consenso, l’orrendo Renzusconi (l’inciucio per il quale fu appositamente progettato il Rosatellum) potrebbe non arrivare neppure al 20%. Un’alleanza aperta tra Renzi e Berlusconi migliorerebbe i valori elettorali del Pd e di Forza Italia? «Forse li peggiorerebbe. Due debolezze insieme non fanno una forza, fanno una debolezza ancora maggiore».Questo, aggiunge Lao Xi, a meno che il calcolo non sia un altro: «Ottenere un manipolo di voti in base al quale sedersi al tavolo delle trattative parlamentari. In fondo la bocciatura di Foa presidente della Rai dimostra che il duo conta ancora», almeno oggi. Ma in un nuovo Parlamento come andrebbero le cose? E’ lecito, per loro, sperare in un’inversione di tendenza? Lo stesso Lao Xi invita a non escludere l’ipotesi teorica del “jolly”, ovvero «la fisica, cioè le grandi leggi della politica». Tradotto: «Quando nessun partito gira, qualcosa nascerà: questo sperano gli illuminati romani e certi ambienti che vantano legami con il Quirinale». Obiettivo: un partito “nuovo”, che l’anno prossimo si accaparri quel 20%, puntando anche al 30% di indecisi. Certo, resta «un pensiero da laboratorio», visto che «non si sa che cosa dirà il nuovo partito, dove si inserirà, chi proporrà». In realtà, il bivio è obbligatorio: o ci si piega all’Europa del rigore, o – come si spera farà il governo gialloverde – la si sfiderà, cercando di ampliare il deficit. Non esiste terza via, nella realtà. Quanta parte della popolazione lo comprende? Questo è il punto: c’è grande insoddisfazione, in parte dell’elettorato. Milioni di voti, forse, attendono ancora una proposta convincente: una narrazione efficace. Magari l’ennesima truffa, come quelle rifilate agli italiani prima da Berlusconi e poi da Prodi, e infine da Monti e Letta, Renzi e Gentiloni. Ci cascheranno ancora, gli italiani? L’establishment, intanto – intellettuali in testa – spara ogni giorno sulla Lega, cioè il partito che ha promesso di ribellarsi alla “dittatura” dell’Ue. Non uno di loro fiatò, quando Monti – con Berlusconi e Bersani – impose il pareggio di bilancio in Costituzione, cioè la morte civile del paese per strangolamento finanziario.Insieme al picco dei calori estivi, in questi giorni sembra si sia arrivati anche al picco di confusione politica: dopo l’ondata di entusiasmi in primavera, con l’avvicinarsi dell’autunno pochi ormai scommettono che il governo supererà la soglia delle elezioni europee l’anno prossimo. Lo scrive Lao Xi, dalla Cina, sul “Sussidiario”: sempre più gente crede che il governo si scioglierà e si arriverà a un redde rationem tra le varie forze politiche. Vero, il clima resta volatile e tutto potrebbe sempre cambiare: in questa altalena di tensioni magari il governo durerà per cinque anni, superato il giro di boa della legge di bilancio in autunno. Se non altro, ammette l’analista, oggi «non ci sono alternative vincenti», e quindi «si passerebbe da confusione in confusione». E se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – storico esponente del Pd insediato al Quirinale da Renzi – lavorasse a un partito nuovo, in grado si archiviare il patto tra Salvini e Di Maio? Conclusione ipotetica, a cui Lao Xi perviene esaminando lo scenario attuale, che vede la Lega come primo partito, nettamente in vantaggio: «Potrebbe arrivare alla soglia del 40% dei voti e prendersi quindi più del 51% dei seggi in Parlamento». Prospettiva che inquieta i detentori del potere europeo, gli artefici della sciagurata austerity in nome della quale – evocando il fantasma dello spread – lo stesso Mattarella sbarrò la strada a Paolo Savona come ministro dell’economia.
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Magaldi: a casa, con Renzi, tutti i dirigenti dell’ipocrita Pd
E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale: «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».Le elezioni? Tutto come previsto: il grande sconfitto è Renzi, che ha solo finto di alzare la voce con l’Ue. L’altro perdente annunciato è Berlusconi, «quindi esce sconfitto quell’auspucio, caldeggiato anche da ambienti sovranazionali, che è stato uno dei moventi di questa legge elettorale». Sipario sul “Renzusconi”, cioè sulle larghe intese «convergenti verso questa melassa centrista infeconda che ha caratterizzato anche le passate legislature, da Monti in poi: esecutivi che hanno fatto tutti lo stesso mestiere, a quanto pare inviso agli italiani, che questa volta hanno dato una bella bastonata a questa prospettiva». Così Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio” il giorno dopo il voto. Una tornata ricca di conferme: «Come immaginato, nessuno ha vinto davvero: grandi exploit da Salvini e dai 5 Stelle, ma nessuno di loro ha i numeri per governare da solo». Terza previsione azzeccata: «Nulla sarà più come prima», ma siamo piombati in una palude: «E le paludi sono feconde, come il concime». Mattarella darà la precedenza al centrodestra, la coalizione meglio piazzata, o ai 5 Stelle primo partito? Un’alleanza tra grillini e Pd de-renzizzato «sarebbe un abbraccio singolare, dopo che il Pd ha demonizzato i 5 Stelle come fossero gli Unni». Eppure, «questa alleanza potrebbe vedere il favore di Mattarella, ed è quella verso cui si è mosso Di Maio». Per contro, escludere i 5 Stelle, cioè i più votati in assoluto, «sarebbe una beffa: impensabile, ai tempi della Prima Repubblica».Per Magaldi «cambieranno molte cose di giorno in giorno: ciò che oggi appare improbabile potrebbe mutare prospettiva, oltre questo scenario così ostico». Emergeranno soluzioni «difficili da concepire con gli schemi di prima del voto». Alla fine, «sulle difficoltà politiche prevarranno le possibilità numeriche». Molto dipenderà dal presidente della Repubblica: nel 2013, Napolitano dette a Bersani solo un incarico esplorativo ufficioso. «Constatando l’eccezionalità della situazione», aggiunge Magaldi, «anziché lasciare tutto all’interno nel Palazzo», il Quirinale potrebbe passare la palla al Parlamento, «per vedere chi ci sta, sulla base di un programma, a formare un governo». Certo, la “palude” è infida. Ma almeno, il voto ha stabilito una tendenza: ha reso chiaro «quello che gli italiani non vogliono». Ovvero: «C’è il desiderio di affrancarsi da un corso politico: direi che l’ingloriosa storia della Seconda Repubblica finisce qui». C’è da rivalutare semmai la tanto vilipesa Prima Repubblica, «in cui un paese in ginocchio dopo la guerra, dopo la sconfitta della barbarie nazifascista, in pochi decenni era diventato una grande potenza industriale». Ma c’era un paradigma vigente – la spesa pubblica strategica, chiave del successo storico del “made in Italy”: paradigma abbattuto dal ‘92 in poi. «E questi signori, che sono venuti a raccontarci le “magnifiche sorti e progressive” che con la Seconda Repubblica si sarebbero avverate in Italia e in Europa, oggi escono di scena», sintetizza Magaldi. «Compaiono altri attori, dalle prospettive incerte».Un voto “utile”, comunque, a ramazzare via gli orpelli polverosi. Come “Liberi e Uguali”, che Magaldi definisce «una follia pianificata». E spiega: «Solo l’immaginazione malsana e l’assenza di senso della realtà e lungimiranza di Bersani e D’Alema, Civati e Speranza, poteva immaginare che Grasso potesse essere il portavoce carismatico e ricco di appeal per un elettorato di sinistra critico verso il Pd». Se in Grasso e Bersani prevale l’ipocrisia, nel dirsi “di sinistra” sottoscrivendo il protocollo dell’euro-austerity, in Emma Bonino versione 2018 ha invece stravinto il delirio: «Sconcertante, la Bonino, nel venirci a proporre “più Europa”. Un messaggio thatcheriano: lo statista come il buon padre di famiglia che deve preoccuparsi di ripagare i debiti, come se il debito pubblico fosse il debito privato, che va ripagato perché c’è la cambiale che scade». In una macroeconomia, cioè in un sistema economico complesso, il debito pubblico – insieme all’inflazione, agli investimenti a deficit – è uno dei fattori da maneggiare con oculatezza, «sapendo che uno Stato con sovranità monetaria gestisce le cose non come una famiglia privata (che non può stampare i soldi in cantina): uno Stato più fare deficit per aumentare il Pil e diminuire così, anziché coi tagli alla sanità, il rapporto malsano tra debito e Pil».Da Emma Bonino abbiamo sentito assurdità mostruose: bloccare la spesa pubblica per i prossimi due anni, alzare l’Iva. «Questo è un paese martoriato dalle tasse, dove i consumi sono crollati e c’è l’esigenza di far circolare moneta e tenere più bassa la pressione fiscale», puntualizza Magaldi. «Soltanto dei pazzi potrebbero pensare di tagliare ancora la spesa e aumentare ulteriormente le tasse». E in campagna elettorale questo delirio ha avuto libero corso, «complice anche un linguaggio mediatico alterato». Già, infatti: «A che livello è scesa la comunicazione giornalistica, in Italia? Rappresenta le cose per come non sono. E’ lo stesso giornalismo che aveva fatto credere a Mario Monti di avere un consenso maggioritario nel paese, nel 2013, quando i giornaloni titolavano che finalmente l’Italia eta governata da illuminati professori. Monti e la Fornero ci sono stati proposti come sacerdoti del “vero” economico, per settimane, da quell’altro bel tomo di Giovanni Floris». Oltre al vecchio ceto politico, insiste Magaldi, «dovremmo rottamare un ceto mediatico corporativo, con giornalisti che si intervistano a vicenda, elevando la figura del giornalista a grande intellettuale e politologo – ma spesso è gente che non conosce nemmeno i rudimenti della storia patria, non parliamo dell’economia internazionale».Altra mistificazione: gli apostoli della Costituzione “più bella del mondo” che si professano nemici della massoneria – Di Maio in primis – dimenticando il massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigerne il testo (e il capo di gabinetto di Ruini era il grande economista Federico Caffè, insigne keynesiano). «Se vuole governare l’Italia – dichiara Magaldi – Di Maio dovrà affrancarsi dalle proprie fobie e immaturità illiberali e anticostituzionali. Nella lista di possibili ministri che ha presentato ci si richiama a John Maynard Keynes, altro notorio massone al pari di Franklin Delano Roosevelt: colonne portanti del mondo post-bellico, cioè di ciò che ha consentito il ritorno della libertà in Europa e nel mondo. Quindi merita riconoscenza quella corrente maggioritaria di massoneria che ha prima costruito e poi difeso le società aperte, liberali, parlamentarizzate e democratiche». Sono verità storiche che per Magaldi vanno finalmente acquisite, se si vuole fronteggiare davvero questa Disunione Europea «in cui vige il mercantilismo più spudorato da parte della Germania».Mercantilismo: dottrina econonica (superata dal libero mercato) secondo cui la ricchezza della nazione sta nel surplus di esportazioni. «La Germania ha violato anche i pessimi trattati vigenti, che pur essendo pessimi non consentirebbero il mercantilismo», insiste Magaldi. «Siamo al di là del pessimo: abbiamo una costruzione europea non democratica, nata dalla Dichiarazione Schuman scritta dall’ex progressista Jean Monnet convertito all’idea economicistica dell’Europa, sulle idee di Kalergi, ideatore di una costruzione quasi neo-feudale dell’Europa», a imitazione del feudalesimo carolingio. E’ un’Europa pericolosa, «fondata su un’idea di sfiducia verso la democrazia e verso la politica». Orrore: «O il potere spetta al popolo sovrano, oppure spetta a sedicenti illuminati – poco importa che utilizzino strumenti finanziari, diplomatici, militari, religiosi o mediatici. O il popolo è sovrano, o è sovrano qualcun altro», aggiunge Magaldi. «Dovremmo avere un Parlamento Europeo che rappresenta il popolo sovrano, con una potestà legislativa piena, con facoltà di fiduciare o sfiduciare un esecutivio europeo reale, al posto di questa barzotta Commissione Europea. Juncker e Tajani? Figure stucchevoli, a cui non lascerei gestire neppure un condominio, e invece sono ai vertici. Dovremmo avere un dipartimento del Tesoro e buoni del Tesoro europei che taglino alla radice qualunque cataclisma da spread, vero o presunto». Di Maio e Salvini presentati come antieuropeisti? Errore: «I veri antieuropeisti sono quelli che oggi infestano le cancellerie europee e gli organi tecnocratici di questa Unione Europea». Ma i neo-vincitori sapranno cambiare passo, verso Bruxelles?«Non vorrei che le istanze euro-critiche del Movimento 5 Stelle si andassero appannando, nel percorso politico che si avvia con queste consultazioni», dice Magaldi. «Mi piacerebbe che tutti gli schieramenti in Parlamento avessero un nuovo modo di guardare all’Europa». C’è anche un problema di legittima rappresentanza delle istanze nazionali: «L’Italia è un grande contraente dell’Ue e dell’Eurozona, eppure ha visto sfumare anche un riconoscimento simbolico come l’attribuzione dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. E’ finita in farsa, l’Italia è stata defraudata anche di questa piccola cosa. E il peggio è che si è vista la latitanza delle istituzioni italiane nel far valere le ragioni del nostro paese». Disunione Europea, appunto: «Un equilibrio di cancellerie, che perseguono scopi nazionali mascherati da un’impalcatura burocratica. Spero che tutti – non solo i vincitori relativi di queste elezioni – ripensino il modo in cui l’Italia deve stare in Europa». L’Italia? «Deve essere più autorevole: non lo è stata affatto quando è venuto il tecnocrate Mario Monti, inviato direttamente dai salotti buoni europei. L’elemento più sublime della sua narrazione era che dovessimo fare quel che ci diceva “l’Europa”, perché l’avevamo interiorizzato. Uno scenario da Grande Fratello orwelliano: abdicare al proprio libero pensiero critico e fare qualcosa che viene imposto da altri, perché eseguire senza discutere è cosa buona e giusta».Nei fatti, alla “teologia” dell’Ue si è sottomesso anche Renzi, che ora trasforma in farsa le sue dimissioni, dopo aver corso a capofitto verso la disfatta. «Sarebbe passato quasi per eroe – dice Magaldi – se solo avesse avuto il coraggio di inserire nel fatale referendum almeno il pareggio di bilancio in Costuzione, lasciando esprimere gli italiani». L’obbligo costituzionale del bilancio in pareggio, afferma Magaldi, «riporta il sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd alla destra storica di Quintino Sella, che conseguì il pareggio di bilancio nella seconda metà dell’800, quando al governo c’era il liberismo storico più bieco e spietato, che mandava Bava Beccaris a massacrare contadini, operai e povera gente che manifestava contro la tassa sul macinato e per le condizioni sociali allora davvero inique». Attenzione: su un tema come il pareggio di bilancio, di importanza capitale per la vita di tutti, non c’è stato uno straccio di dibattito mediatico: «Questo è un paese che parla a reti unificate solo di questioni irrisorie, mentre quando si votata il pareggio di bilancio gli eletti in Parlamento hanno agito come soldatini obbedienti, senza nessuna eccezione». Dov’era, il Pd? In aula, a votare: uso obbedir tacendo. «Via Renzi, il nuovo che avanza sarebbe Gentiloni, che ha fatto un governo renziano in linea con quelli di Monti e Letta? E gli altri che stanno nel Pd? Quando mai hanno levato la loro voce per proporre una traiettoria diversa? Sono tutti responsabili di questa bastosta. E’ una classe politica, quella del Pd, che deve andare a casa».Vale anche per l’Europa, aggiunge Magaldi: il Pd sta nell’alleanza dei socialisti democratici, e in tutta Europa «i socialisti sono chiaramente in regressione perché non hanno nessuna proposta socialista». Magaldi si definisce liberalsocialista: «L’elemento socialista ci deve essere: è la capacità di costruire un contesto di giustizia e mobilità sociale, in cui lo Stato abbia un ruolo dinamico e complementare a quello del libero mercato (e dove ci sia davvero libero mercato, senza monopoli, oligopoli e conflitti d’interesse)». Tutto ciò è mancato: poi qualcuno si lamenta se “la sinistra” è in estinzione. «E poi c’è il grande rimosso: John Maynard Keynes. Oggi, in tanti dicono che vogliono riscoprirlo: li aspettiamo al varco». L’eventuale Pd post-renziano? Può avere un senso solo a una condizione: che si dimetta, insieme a Renzi, chiunque abbia avuto un ruolo dirigente. «E se si deve eleggere un nuovo segretario, lo si faccia con un dibattito corale e democratico molto ampio, molto lungo e molto doloroso», perché la sincerità è una medicina amara. Sempre che ne valga la pena, di salvare il Pd: i tempi stanno cambiando velocemente. E Magaldi (promotore dell’ipotesi Pdp, Partito Democratico Progressista) è fra quanti pensano che forse sia il caso di «costruire qualcosa di nuovo, da offrire a un paese vistosamente lacerato».E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale. Il pareggio di bilancio? Lo fece Quintino Sella, all’epoca in cui la destra mandava Bava Beccaris a sparare sulla folla. «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».
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Il Re Cristiano: Alarico era giudeo, chi glielo spiega a Hitler?
Gettate la rete dall’altra parte della barca, e troverete. E’ una pesca miracolosa quella che il redivivo Gesù, nel Vangelo di Giovanni, promette agli apostoli increduli: se volete pesce, calate le vostre reti sul fianco destro dell’imbarcazione. Linguaggio cifrato: la verità ti attende dove mai avresti pensato che fosse – magari dentro di te, nell’emisfero destro del cervello? Tra le pagine (romanzesche) dedicate a un personaggio devotissimo all’uomo di Betlemme – il “Re Cristiano”, appunto, in azione trecento anni dopo gli eventi evangelici – Gianfranco Carpeoro avverte: li state cercando dalla parte sbagliata, i resti del mitico sovrano dei Visigoti, l’autore del primo Sacco di Roma. Lui, Alarico, recava scritto già nel suo nome il proprio destino: “Re di tutti”, in lingua norrena proto-germanica. “Re di tutti”, tant’è vero che non voleva affatto radere al suolo Roma: al contrario, ambiva a diventarne l’imperatore. Per questo, lasciata la città, si portò via l’augusta principessa discendente della “gens Flavia”, Galla Placidia, sua promessa sposa, insieme a cui si spinse in Calabria per poi attraversare il Mediterraneo: diretto in Africa o a Gerusalemme? Morì a Cosenza, di malaria o avvelenato. Fu sepolto insieme al suo tesoro, a lungo inultilmente cercato – anche da Hitler. E adesso chi glielo spiega, al Führer, che forse il suo Alarico era addirittura un giudeo?Avete sempre scavato dalla parte sbagliata, scrive Carpeoro, perché Alarico non era un barbaro germanico: era romanizzato e cristiano, sia pure di confessione ariana. E forse addirittura ebreo, discendente nientemeno che dalla Maddalena e da Giuseppe di Arimatea, il misterioso armatore che riscattò il corpo di Cristo da Pilato. L’oscuro Giuseppe di Arimatea, cioè l’uomo che poi, si racconta, nel Primo Secolo guidò la spedizione navale che portò in Europa il Cristianesimo, tramite lo sbarco in Provenza delle “Marie venute dal mare” guidate proprio da Maria di Magdala, il cui vero nome – Miriam – è quello che tuttora i Gipsy attribuiscono alla loro regina, consacrata ogni anno a Saintes-Marie-De-La-Mer, in Camargue. Ma che c’entrano, i Goti, con i profughi palestinesi di origine semitica, probabilmente giudei, che raggiunsero le coste meridionali della Francia dopo i fatti di cui parlano i Vangeli? C’entrano eccome, se è vero che i Goti discesi dal Baltico e spintisi a ovest del Danubio – i Derving – poi cambiarono nome, secondo l’abate calabrese Gioacchino da Fiore, adottando la “M” di Miriam per diventare Merovingi, dinastia regale. E’ così strano pensare che un popolo erratico di origine baltica, poi attestatosi in Francia, sia entrato in contatto con i proto-cristiani di Palestina? Certo che no, se si pensa che i Goti furono in gran parte cristianizzati, già nel Quarto Secolo. Ma attenzione: non erano cattolici, erano seguaci di Ario.Corrente gnostica, secondo cui Cristo è “figlio di Dio” esattamente quanto noi, ciascuno avendo in sé la propria quota di divinità, l’Arianesimo (bocciato nel 325 dal Concilio di Nicea insieme a tutti gli altri cristianesimi non cattolici) ebbe un vastissimo seguito, specie nell’Europa balcanica popolata dai Goti, all’epoca reduci dal Medio Oriente turco: il loro primo vescovo, Wulfila, a partire dall’anno 348 tradusse la Bibbia in lingua gotica. E’ proprio lui, Ulfila, che apre il romanzo meta-storico di Carpeoro, svelando al giovane Alarico il senso profondo e segreto della sua missione: conquistare la regalità nella giustizia, proprio nel nome della mitica antenata Miriam. Simbologo e studioso dei Rosacroce, Carpeoro fa discendere quel “mandato ancestrale” (il governo terreno illuminato dall’alto) direttamente dalla Bibbia: è il compito che Abramo riceverebbe dal misterioso Melchisedek, “Re di Giustizia”, al quale chiede di essere autorizzato a regnare sugli ebrei. E’ il mandato che poi Giuda riceverà a sua volta da Giacobbe-Israele, che descrive le doti del figlio con i tre colori della bandiera italiana. Nella tradizione, proprio il bianco, il rosso e il verde designeranno il contenuto simbolico della discendenza di Davide, fino a tradursi nelle virtù teologali cristiane (fede, speranza e carità). Valori che il potere del mondo ha bandito, ma che qualcuno – in nome di Cristo – ha provato a restaurare? Anche indossando i panni, germanici ma romanizzati, dell’inquieto sovrano dei Goti dell’Ovest?E’ la tesi attorno a cui si interroga Carpeoro, avvicinando il lettore ai primissimi secoli attraverso l’espediente letterario del noir, impersonato dall’anomalo ricercatore milanese Giulio Cortesi, appassionato di musica e soprattutto di cucina. Come già nel “Volo del Pellicano” e poi in “Labirinti”, Cortesi è vegliato dal suo ruvido angelo custode, il commissario Amedeo Bertossi, il cui mestiere non è inseguire fantasmi del passato, ma brutali assassini in carne e ossa. Killer contemporanei, che questa volta fanno fuori un professore – tedesco – che aveva scoperto qualcosa di sconcertante sulla vera identità di Alarico. Un’intuizione fondamentale, imbarazzante e molto pericolosa, che porta dritto anche alla precisa ubicazione della leggendaria sepoltura del condottiero. Se Cosenza è tuttora alla ricerca del Tesoro di Alarico su quella che era la riva pagana del Busento, Carpeoro – che è cosentino di nascita – cita il conterraneo Vincenzo Astorino per suggerire che le spoglie del sovrano vanno cercate sulla sponda opposta del fiumicello, quella che all’epoca era cristiana, dove sorgeva l’antichissima chiesetta di San Pancrazio, oggi interrata dai detriti alluvionali. Secondo la leggenda – e la poesia di August von Platen, tradotta da Carducci – quel piccolo corso d’acqua avrebbe addirittura sommerso il Re dei Goti, inumato (come poi Attila) insieme al suo cavallo nel letto del torrente, deviato per l’occasione.A decrittare anche quei versi ottocenteschi – scomponendoli, in un gioco enigmistico – provvede, nel romanzo, la favolosa équipe di cui si avvale Cortesi: il professore torinese e il suo amico simbologo, l’anziano architetto milanese che tiene in casa un Caravaggio non censito, e poi il vero “aiutante magico”, Fra’ Tommasino, il decano dell’Abbazia di Chiaravalle, “coadiuvato” (in sogno) da Cecilia, la ragazza amata dall’immenso pittore Giorgione, sulla cui “Tempesta” la critica non ha finito di arrovellarsi. Una trama agile e avvincente, piena di colpi di scena giocati tra Milano e la Calabria, riesce a trasportare il lettore tra le brume meno esplorate degli ultimi decenni dell’Impero Romano, dato già per morto quando invece era ancora enorme l’impronta di un grande imperatore come Teodosio. E’ proprio nella guerra di successione che si inserisce l’apparente outsider “germanico” Alarico, che contende Galla Placidia al figlio del suo altrettanto apparente antagonista, il generale Stilicone, accanto al quale ha anche combattuto per difendere Roma. Alarico? Era sì il Re dei germanici Dervingi, ma anche un cittadino romano, promosso addirittura governatore dell’Illiria. E non era pagano: era cristiano. Di più: era ariano, devoto al vescovo Ulfila.Se poi il termine “ariano” ha assunto tutt’altro significato, lo si deve all’Uomo Nero, Hitler, che – in nome del mito della purezza razziale – spedì a Cosenza gli archeologi di Himmler e cercare, inutilmente, le spoglie (e il tesoro) del loro presunto campione germanico. Quello è il modo in cui la lettura distratta della storia può deviare dalla verità, coniando stereotipi e luoghi comuni che poi innescano dinamiche che finiscono sempre nello stesso modo, cioè con una strage di massa. Ne sa qualcosa il sinistro Rudolf von Sebottendorff , il vero fondatore del nazismo “etnico”, il cui spettro si presenta puntuale all’appuntamento coi lettori di Carpeoro – che non è uno storico, ma un simbologo: nella storia, cerca quello che gli storici non dicono, e forse non sanno. Per esempio: perché Alarico, conquistata Roma, porta con sé Galla Placidia? E perché, se voleva dirigersi in Africa, non è salpato da qualsiasi porto tirrenico, spingendosi invece fino a Reggio Calabria, cioè verso la rotta ionica del Medio Oriente? Aveva forse con sé qualcosa di prezioso, che – come poi i Templari – doveva essere “rimesso al suo posto”, cioè nel Tempio di Salomone a Gerusalemme, simbolo dell’unità pacifica di tutti i popoli della Terra?“Il Re Cristiano” (l’acronimo è R+C, Rosacroce) è un romanzo per chi ama le domande, più che le risposte. E’ il sequel della storia che lo precede, “Labirinti”, e in fondo disegna un altro dedalo: come Teseo ha bisogno dell’amore di Arianna per uscire vivo dal labirinto del Minotauro, il valoroso Alarico deve avere al suo fianco Galla Placidia. Non riuscirà a portare a termine la missione, morendo ancora giovane senza poter instaurare il suo “regno di giustizia” a Roma? Ma la storia non finisce lì, avverte Carpeoro. Vi siete mai chiesti chi fosse, davvero, Galla Placidia? Perché era così ambita, importante, decisiva? Vi siete mai domandati perché si fece erigere lo spettacolare mausoleo funebre a Ravenna, poi scegliere di essere sepolta altrove? Cosa nasconde, allora, il Mausoleo di Galla Placidia? E perché proprio lì, a due passi – come fosse un “guardiano della soglia” – volle farsi seppellire Dante Alighieri, amico dei Càtari e dei Templari, nonché capo della confraternita iniziatica dei Fidelis in Amore? Sono solo domande, non risposte. Ma quelle, del resto, spesso mancano anche agli storici. E appunto, a proposito di Goti: qualcuno s’è mai chiesto perché si chiamino “gotiche” le meravigliose cattedrali che ornano le capitali europee, erette mille anni dopo Alarico? E cosa salterebbe fuori, a Cosenza, se qualcuno prima o poi si decidesse a gettare la rete “dall’altra parte”?(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il Re Cristiano”, Melchisedek, 272 pagine, 22 euro).Gettate la rete dall’altra parte della barca, e troverete. E’ una pesca miracolosa quella che il redivivo Gesù, nel Vangelo di Giovanni, promette agli apostoli increduli: se volete pesce, calate le vostre reti sul fianco destro dell’imbarcazione. Linguaggio cifrato: la verità ti attende dove mai avresti pensato che fosse – magari dentro di te, nell’emisfero destro del cervello? Tra le pagine (romanzesche) dedicate a un personaggio devotissimo all’uomo di Betlemme – il “Re Cristiano”, appunto, in azione trecento anni dopo gli eventi evangelici – Gianfranco Carpeoro avverte: li state cercando dalla parte sbagliata, i resti del mitico sovrano dei Visigoti, l’autore del primo Sacco di Roma. Lui, Alarico, recava scritto già nel suo nome il proprio destino: “Re di tutti”, in lingua norrena proto-germanica. “Re di tutti”, tant’è vero che non voleva affatto radere al suolo Roma: al contrario, ambiva a diventarne l’imperatore. Per questo, lasciata la città (non saccheggiata da lui, ma dai detenuti liberati) si portò via l’augusta principessa discendente della “gens Flavia”, Galla Placidia, sua promessa sposa, insieme a cui si spinse in Calabria per poi attraversare il Mediterraneo: diretto in Africa o a Gerusalemme? Morì a Cosenza, di malaria o avvelenato. Fu sepolto insieme al suo tesoro, a lungo inutilmente cercato – anche da Hitler. E adesso chi glielo spiega, al Führer, che forse il suo Alarico era addirittura un giudeo?
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Errore fatale, trattare i migranti come i Goti di Alarico
Nel clima da fine impero in cui siamo immersi fioriscono i paragoni tra l’ondata migratoria attuale e le invasioni barbariche del V secolo. Scrive ad esempio l’antropologa Amalia Signorelli: «Vorrei suggerire all’onorevole Matteo Salvini e a tutti coloro che condividono le sue idee una passeggiata lungo le Mura Aureliane, la possente fortificazione con cui l’imperatore Aureliano (215 – 275 d.C.) circondò Roma, capitale dell’Impero, per metterla al riparo dalle invasioni dei barbari. Si resta affascinati dal diametro della cinta muraria (Roma all’epoca sfiorava il milione di abitanti), dallo spessore delle mura, dalla frequenza delle torri di avvistamento, dall’eccellente protezione dei camminamenti. Un’opera di ingegneria militare ancora oggi esemplare. Che, come tutti sappiamo, non fermò le invasioni barbariche. Se mai, per un paio di secoli, ne ritardò il compimento. Quei barbari non erano bande di briganti dedite al saccheggio, erano popolazioni che si muovevano dall’Est verso Ovest con donne e bambini e che tendevano a stabilirsi nei paesi conquistati». E poi la proposta: «Il rifugiato riceva dallo Stato italiano una cifra giornaliera per il proprio mantenimento e, in segno di gratitudine, si offra volontario per lavori socialmente utili».Questa è l’impostazione politically correct di Amalia Signorelli. Commenta una lettrice: «E purtroppo l’autrice dell’articolo ha ragione, ha dannatamente ragione: i muri non bastano, non basteranno a fermare questa invasione barbarica che produrrà soltanto distruzione, come d’altronde tutte le invasioni. Non è più un fenomeno di immigrazione, è un’incontenibile invasione. Ha ragione l’autrice a paragonarla con quanto successe durante le guerre gotiche. Ma l’autrice omette colpevolmente di ricordare gli episodi di atroce crudeltà. Roma in cinquant’anni passò da un milione di abitanti a trentamila. Fu una carneficina e fu il crollo di una civiltà. Siamo arrivati, purtroppo, a una scelta: o noi o loro». Questa opinione è sostanzialmente condivisa da oltre il 90% dei lettori che commentano. Perciò parliamone apertamente e senza moralismi, o magari utilizzando la storia come metafora. Che vuol dire: “O noi o loro”? Dovremmo sterminarli, riportarli da dove vengono, o cosa?Lo so che il genocidio (non è già in corso?) è un reato, e l’apologia di reato non si può fare; e chi lo commette si autodistrugge. Ma proviamo a ridurre il divario fra opinione pubblica e establishment. I Goti e i loro successori non volevano abbattere l’impero romano, anzi: ma solo inserirsi in un’area sicura (dagli attacchi degli Unni) e ricca. Sounds familiar? Però ne provocarono il crollo. Il declino del reddito pro-capite durò circa mille anni. O più: i contadini del V secolo abitavano case pavimentate e con le tegole sul tetto; in Veneto cento anni fa molti contadini vivevano in abitazioni di paglia. Come gestirono la pressione migratoria nel V secolo? In modi diversi a Oriente e a Occidente. A Costantinopoli, in un caldo giorno di luglio dell’anno 400, fu pogrom. La folla inferocita trucidò tutti i Goti presenti in città: uomini, donne, bambini. Il governo di Arcadio completò la pulizia etnica, anche in Anatolia. La città festeggiò (3 gennaio 401)! I Visigoti di Alarico, invitti da 25 anni, vista la brutta aria, lasciarono la Tracia per l’Italia. E dei Goti in Oriente non si sentì più parlare. Problema risolto.In Occidente, in un caldo giorno di agosto del 405, Stilicone sconfisse un’orda di Goti che (dopo aver messo a ferro e fuoco l’Italia del Nord) assediava Firenze. Fece prigionieri forse 30.000 guerrieri: li risparmiò. Ne inserì 12.000 nell’esercito romano, alloggiando (in servitù) le rispettive donne e bambini presso famiglie padane; tutti gli altri li vendette schiavi. Ma nel 408 Stilicone cadde, e in Padania fu subito pogrom: la folla trucidò le donne e i bambini dei Goti. Allora i padri-mariti disertarono l’esercito romano (gli schiavi abbandonarono i padroni) e si unirono ad Alarico, portando l’esercito visigoto a circa 30.000 soldati. Fino ad allora battuto e ricacciato in Pannonia, Alarico così rinforzato riuscì ad espugnare Roma (410).Morale della favola. O li facciamo fuori tutti, ma proprio tutti, e in un colpo solo, come a Bisanzio. Ma ce la sentiamo di diventare dei genocidi? Oppure è meglio che li trattiamo bene. Perché anche in Oriente, nel 376, quando tutto cominciò, i forse 100.000 Goti che si presentarono alla frontiera sul Danubio chiesero ‘asilo politico’ all’imperatore, aspettarono due mesi la risposta di là dal fiume, entrarono disarmati, e non crearono problemi. Fino a quando – raccontano le fonti romane, non gote – traditi, umiliati, e affamati si ribellarono. E furono 25 anni di saccheggi. Tre strade. Il genocidio. La ri-emigrazione verso altri lidi (Cina? Antartide? I paesi di origine?). L’integrazione: attribuire loro dei diritti e rispettarli. Oppure il caos e la fine della civiltà. Quale preferite?Ps: il padre di Stilicone era Vandalo. E Stilicone fu l’ultimo baluardo di Roma! L’integrazione porta anche benefici. I romani avevano controlli sugli ingressi alle frontiere molto efficaci; e politiche dell’immigrazione molto restrittive (oggi Obama dice: fate di più contro i trafficanti di uomini). Il più bel libro che ho letto sull’argomento è di un italiano (Alessandro Barbero, “Barbari: Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano”, Laterza). I migranti di oggi non sono come quelli del V secolo. Nella società agraria latifondista romana un Goto che arrivava da solo non aveva nessuna possibilità di migliorare la sua condizione economica: poteva fare solo lo schiavo o il servo della gleba. La produzione agricola essendo più o meno data, l’impero non traeva benefici economici dall’immigrazione (a parte l’esercito).Perciò per i migranti al di là delle frontiere l’unico modo per partecipare al benessere romano era organizzare spedizioni armate di massa e costringere con la forza (e i saccheggi) lo Stato romano a venire a patti, a concedere terre e diritti di stanziamento (Alarico fino al 410 non chiese altro). Ma in tal modo i migranti del V secolo impoverirono l’impero, anche fiscalmente (i barbari non pagavano tasse), fino allo stremo. Oggi l’industria e i servizi cambiano la situazione: gli immigrati aumentano la capacità produttiva del paese ospite (perciò si presentano da soli, disarmati, pronti a creare valore e pagare le tasse). Il problema è nostro: organizzarci, investire su di loro per renderli produttivi. E prima ancora, farla finita con la crisi di domanda che non consente neanche a molti europei potenzialmente produttivi (disoccupati) di lavorare.(PierGiorgio Gawronski, “I migranti di oggi non sono come i Goti del V secolo”, da “Il Fatto Quotidiano” del 30 agosto 2015).Nel clima da fine impero in cui siamo immersi fioriscono i paragoni tra l’ondata migratoria attuale e le invasioni barbariche del V secolo. Scrive ad esempio l’antropologa Amalia Signorelli: «Vorrei suggerire all’onorevole Matteo Salvini e a tutti coloro che condividono le sue idee una passeggiata lungo le Mura Aureliane, la possente fortificazione con cui l’imperatore Aureliano (215 – 275 d.C.) circondò Roma, capitale dell’Impero, per metterla al riparo dalle invasioni dei barbari. Si resta affascinati dal diametro della cinta muraria (Roma all’epoca sfiorava il milione di abitanti), dallo spessore delle mura, dalla frequenza delle torri di avvistamento, dall’eccellente protezione dei camminamenti. Un’opera di ingegneria militare ancora oggi esemplare. Che, come tutti sappiamo, non fermò le invasioni barbariche. Se mai, per un paio di secoli, ne ritardò il compimento. Quei barbari non erano bande di briganti dedite al saccheggio, erano popolazioni che si muovevano dall’Est verso Ovest con donne e bambini e che tendevano a stabilirsi nei paesi conquistati». E poi la proposta: «Il rifugiato riceva dallo Stato italiano una cifra giornaliera per il proprio mantenimento e, in segno di gratitudine, si offra volontario per lavori socialmente utili».
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Friaul, il nazi-Stato dei Cosacchi a insaputa dei friulani
Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».Il 7 maggio del ‘45, al castello di Hornstein, luogo dell’appuntamento, il “leiter” Franz Hradetzky parlò per l’ultima volta del Pfufferstaats Friaul, lo Stato che, se l’Asse avesse vinto la guerra, avrebbe dovuto proteggere i confini sud-occidentali dell’ex impero asburgico. La disposizione, ricorda Dato sul blog di Aldo Giannuli, era arrivata da Himmler. Dopo l’8 settembre del ‘43 e la costituzione del protettorato dell’Ozak (litorale adriatico), il capo delle SS aveva affidato a Hradetzky e ai suoi propagandisti del “Kommando Adria” un’operazione speciale: ridestare i «sentimenti nazionali nel popolo friulano», come premessa per l’istituzione del Friaul. Stretti i contatti tra le curie del Litorale e i funzionari agli ordini del comando nazista, decisivi per i rapporti coi sarcedoti sloveni e l’arruolamento forzoso della popolazione per costruire opere pubbliche per la difesa terrestre e antiaerea. Inoltre, «alcuni settori della Chiesa vedevano di buon occhio il progetto della Grande Austria», dopo che l’Armata Rossa «aveva ripreso controllo del mondo ortodosso e i soldati di Stalin e di Tito dilagavano negli Stati cattolici dell’Europa orientale e balcanica».Il principe arcivescovo di Salisburgo, Andreas Rohracher, insieme ad altri esponenti del Vaticano come Alois Hudal, tentò una disperata mediazione nell’aprile del ‘45, fra nazisti austriaci e servizi segreti inglesi e americani: «La Grande Austria – spiega Gaetano Dato – doveva comprendere anche la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania. Si trattava di un progetto con qualche saldatura col più vasto tentativo vaticano dell’Intermarium, una lega di Stati cattolici fra i mari Adriatico e Baltico capace di contenere il mondo sovietico». Vi guardavano con particolare attenzione il generale polacco Wladyslaw Anders e i suoi 100.000 soldati sparsi per l’Italia, in attesa di rientrare in patria e vendicare il massacro sovietico di Katyn. Naturalmente, né la Grande Austria né l’Intermarium poterono mai realizzarsi: «Il 1945 non era un tempo di restaurazioni. Il dominio dell’Europa era finito e il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Usa e Urss avevano già spartito il pianeta in sfere di influenza, e al massimo potevano lasciare agli inglesi la patata bollente della guerriglia greca», guidata dal comunista Markos Vafiadis.Gli americani, continua Dato, si erano inoltre presi la briga, coi britannici, di sostenere ustaša e cetnici, per tenere sulle spine Tito in Jugoslavia, ma forse solo perché erano a loro volta rimasti impantanati a Trieste per via del Territorio Libero. «Ma questo era tutto. Non c’era spazio per il terzaforzismo cattolico, che riuscì soltanto a mettere in salvo alcuni capi e gerarchi nazifascisti». L’offerta che Hradetzky aveva pensato di fare ai sopravvissuti del “Kommando Adria”, al momento dell’incontro in quel 7 maggio, non si era dunque ancora concretizzata nei modi opportuni. «La speranza era che in tempi brevissimi la mobilitazione per la nuova Grande Austria potesse salvare ciascuno dalla prigionia. Nulla di più sbagliato. Poco tempo dopo, lo stesso “leiter” dei corrispondenti di guerra fu arrestato dagli jugoslavi, e processato a Lubiana», insieme a molti altri responsabili dell’Ozak. Tuttavia scampò alla pena capitale e, dopo 16 anni di lavori forzati, riuscì a tornare in Austria: «Così, le sue testimonianze a Pier Arrigo Carrier negli anni Settanta hanno riportato alla luce la breve storia dei tentati preparativi per la costituzione del Friaul», in quella “Grande Austria” che nei sogni del “partito degli austriaci” avrebbe dovuto prendere il sopravvento sui tedeschi del nord, assorbendo anche la Boemia e persino la Baviera.Sarebbero state concesse ampie autonomie a croati e sloveni, attraverso la costituzione di Stati autonomi, ma federati al Reich. Agli sloveni in particolare sarebbe stata tolta la regione della Stiria slovena, da germanizzarsi completamente, e sarebbe stato ricostituito il ducato di Carniola, che era tramontato con la fine degli Asburgo. Il Pfufferstaats Friaul sarebbe stato un altro degli Stati autonomi federati, uno Stato cuscinetto con lo scopo di isolare ogni possibile “infezione” dal lato italiano, specialmente in direzione delle terre giuliane, dalmate e del Quarnero, in cui il sentimento irredentista aveva una certa presa. A tale scopo il Pfufferstaats Friaul avrebbe tagliato ogni continuità territoriale tra queste aree e la penisola italiana. Il “ribaltone” italiano dell’8 settembre 1943 aveva spinto Himmler a includere il Friuli nei piani di ingegneria etnica che avrebbero dovuto rettificare l’Europa del Nuovo Ordine. In Friuli, per l’Ozak, gli italiani erano «una minoranza», cioè appena 100.000 su una popolazione di 700.000 persone, di cui 200.000 «sloveni» e il resto, la maggioranza, erano friulani, «appartenenti al gruppo retoromanzo», lo stesso che abita «i Grigioni in Svizzera» e che in Tirolo «costituisce il gruppo dei Ladini».Era dunque opportuno agire per tempo e far sorgere la voglia di indipendenza ai friulani ben prima della fine della guerra. Il capo delle SS contattò quindi Hradetzky nell’autunno del 1943. «Fu redatto un piano che prevedeva la forzata nazionalizzazione delle masse friulane, previa la distillazione delle loro tradizioni popolari, per essere loro riproposte attraverso mass media ed eventi pubblici». Un modello di nazionalizzazione congeniale ai nazisti, basato sul meccanismo della “invenzione della tradizione” secondo lo schema classico analizzato da Eric Hobsbawm. Così, Hradetzky mise in piedi un gruppo di studio sulle tradizioni popolari, in cerca di un “eroe nazionale” friulano. Ercole Carletti, segretario della Filologica Friulana, società culturale perseguitata dal fascismo, rifiutò di collaborare: la Filologica si ispirava a Graziadio Isaia Ascoli, linguista ebreo e patriota del Risorgimento che nella seconda metà dell’800 studiò estensivamente il friulano. I nazisti ripiegarono su Ermes Cavassori, giornalista de “Il Popolo del Friuli”, il quotidiano fascista di Udine, e su altri soggetti coinvolti dallo stesso Cavassori, a cominciare dallo zio, il maestro Luigi Garzoni.Fabbricare una narrazione nazionale: sul fronte degli studiosi austriaci fu reclutato Karl Felix Wolff, già membro della commissione culturale dell’Alpenvorland, il protettorato che occupava il Trentino Alto Adige. Insieme ai suoi collaboratori, scrive Dato, Wolff aveva lavorato soprattutto a una raccolta di fiabe friulane, che però non giunse mai alla stampa, a causa del precipitare degli eventi. Alcuni dei “racconti friulani” fecero in tempo a uscire su “La Voce di Furlania”, periodico fondato da Cavassori e Garzoni. Temi prevalenti del giornale: tradizioni popolari, lotta all’internazionalità e inviti alla popolazione a collaborare con i tedeschi. Il titolo della testata dava anche il nome a una rivista teatrale messa in scena settimanalmente a Udine. Furono inoltre fondati oltre 40 gruppi corali, mentre altre associazioni provvedevano alla riscoperta delle tradizioni folcloristiche, a cominciare dagli abiti tradizionali. «Pare che, secondo Hradetzky, la popolazione avesse entusiasticamente aderito a queste iniziative, mostrando così un certo consenso nei confronti dell’amministrazione nazista. Naturalmente queste notizie venivano accolte con apprensione dal governo della Repubblica di Salò, ma ormai Mussolini e i fascisti non potevano fare molto per opporsi ai progetti di Berlino per il Nuovo Ordine». Ma l’operazione restava debole: «Fu impossibile riuscire a individuare, nella storia friulana, dei precedenti storici la cui strumentalizzazione potesse veicolare la trasformazione di un movimento per il risveglio culturale, in un movimento indipendentista».Dopo la fine del patriarcato di Aquileia, nel 1492, e la conseguente fine dell’indipendenza dell’area della ladinità, non esisteva alcun episodio in cui la popolazione locale avesse cercato di riacquistare una qualche precedente e mitizzata autonomia. I friulani, scrive Dato, erano sempre stati sottomessi, prima a Venezia prima e poi agli austriaci. Accolti solo nel 1866 nella giovane nazione italiana, «mai i friulani si erano interessati a una propria questione nazionale». Spiazzati, i nazisti, anche dall’assenza di un eroe “nazionale” friulano, l’equivalente di uno Skanderbeg per l’Albania. «Il massimo che riuscirono a recuperare fu la vicenda di Padre d’Aviano, diplomatico presso gli Absburgo e molto conosciuto per la sua lotta contro l’invasione turca». Ma il tutto «non andò oltre alla cerimonia di deposizione di una lapide ad Aviano». E il progetto di Himmler e Hradetzky, come molti altri, fu interrotto dalla guerra. «Rimane il dubbio su cosa pensassero al riguardo i cosacchi, che insieme ai caucasici, in 40.000 avevano occupato la Carnia nell’estate del 1944. “La Voce di Furlania” aveva parlato dei cosacchi solo una volta, per pubblicizzarne, manco a dirlo, uno spettacolo folcloristico, che pare stesse riscuotendo un grande successo in tutto il Kűnstenland».Il progetto della Grande Austria, nei piani del Nuovo Ordine, andava integrato con quello di un cordone di sicurezza che avrebbe dovuto circondare e isolare la Russia. Hitler voleva promuovere una schiera di Stati sottomessi alla sovranità tedesca, grazie anche a un’attenta alchimia fra le varie minoranze, che un calcolato piano di deportazioni avrebbe messo in atto. I paesi coinvolti sarebbero stati Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, la Nazione Tartara del bacino del Volga, una federazione di nazioni caucasiche, il Turkestan e infine uno Stato cosacco. Coinvolti da subito nell’invasione dell’Urss e pieni di speranze nel riuscire a vendicare le sconfitte della controrivoluzione del 1917-21, gli atamani cosacchi firmarono nel novembre del ‘43 un accordo col Reich che prevedeva una serie di garanzie. In primo luogo, l’affidamento di un vasto territorio da amministrare, oltre a un ruolo di primo piano nel governo della Russia. Tuttavia nell’accordo era prevista l’eventualità che, se l’andamento della guerra avesse impedito anche temporaneamente la consegna dei territori al governo cosacco (provvisoriamente insediato a Berlino), al “popolo della steppa” sarebbe stata riservata una regione in Europa occidentale.Nella primavera del 1944, poiché i partigiani friulani stavano rischiando di tagliare le comunicazioni fra i Balcani e il Reich, fu stabilito che quel territorio sarebbe stato proprio il Friuli. «Pertanto, nell’estate del 1944 un vasto contingente di soldati cosacchi, con le loro famiglie e i pope dalla lunga barba, si insediò a Tolmezzo e nel resto della Carnia». I tedeschi, ricorda Dato, presero a chiamare la zona “Kozakenland”, mentre per i nuovi arrivati la Carnia friulana era ormai “Cossackia”. Cominciarono persino a cambiare i nomi dei paesi e delle strade: Alesso, pressoché evacuato della sua popolazione autoctona, divenne Novočerkassk, come la città al cuore della controrivoluzione del Don, cosparsa di sangue dai massacri del 1920. «Ai friulani, intanto, non fu mai detto nulla di quell’accordo, che rimase a lungo segreto, anche se i cosacchi dicevano apertamente nei villaggi che quella terra era ormai diventata loro, almeno finché avessero potuto andarsene per tornare a invadere la Russia dei senzadio». Cosa sarebbe stato del Friuli, se avesse vinto l’Asse? «Forse – conclude Dato – sarebbe sorto un nuovo processo di etnogenesi, che avrebbe trasformato friulani e cosacchi in un nuovo popolo, in modo simile a quanto avvenuto in Europa con l’arrivo dei guerrieri della steppa nella tarda antichità. E del resto così li vedevano i friulani: come Unni giunti da lontano sul dorso dei cavalli, con i colbacchi pelosi e il pugnale sempre in vista».Il Friuli si sarebbe chiamato Pfufferstaats Friaul, uno Stato-cuscinetto inserito nella “Grande Austria” per contribuire a isolare l’Unione Sovietica. A insaputa dei friulani, durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti spedirono 40.000 cosacchi tra i monti della Carnia: sarebbero stati il nerbo della nuova ipotetica nazione de-italianizzata, come ricorda Gaetano Dato rievocando l’epopea friulana dei cavalieri russi anti-sovietici. «Erano soldati e profughi arrivati in Friuli dal Don, dal Kuban, dall’Astrakahn, dalla Siberia, dal Caucaso e da tutte le altre terre cosacche. In rotta, insieme all’armata hitleriana, nel maggio del ‘45. «Oltre Timau, quando la salita verso il Plöckenpass comincia a stringersi e a fare tornanti sempre più stretti, i cadaveri dei cavalli, e pure di qualche cammello, punteggiavano la scarpata». Sul lago di Wörth, in Austria, speravano di ricevere un ordine che avrebbe potuto dar loro un nuovo incarico a guerra finita. «Ma innanzitutto dovevano sopravvivere agli agguati dei partigiani e comunque dovevano incontrarsi prima dell’arrivo degli inglesi, sempre che questi ultimi avessero preceduto gli jugoslavi in Carinzia».