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Archivio del Tag ‘web’

  • Evitare il collasso dell’Italia: dagli Usa l’ok a Draghi

    Scritto il 17/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Non si pensi che il governo Conte sia caduto solo per la corsa ai 209 miliardi del Recovery Plan. Quando a luglio Conte convocò gli Stati Generali, c’era già la sensazione che un gruppo di tecnici come Colao avrebbe esautorato i politici. Con Conte, il mondo politico ha cercato di riappropriarsi di questa dote. La cosa paradossale è che adesso ne verrà espropriato: non saranno certo i parlamentari a decidere sul Recovery, perché si troveranno il pacchetto già bell’e pronto. Immaginano davvero di dividersele loro, le spoglie di questi fondi europei? Sicuramente vogliono stare al governo, avendo la necessità di rimanere dentro il filo da cui nessuno vuole essere escluso: il Pd è un partito di potere, mentre la Lega ha sofferto maledettamente il fatto di essere stata all’opposizione, durante il periodo del governo giallorosso, e le conflittualità tra la Regione Lombardia e Roma sono state devastanti per l’intero mondo leghista.
    La motivazione della spartizione del Recovery è reale, ma i partiti vedranno ben pochi soldi. Probabilmente, il motivo per cui c’è stata questa accelerazione è il fatto che il sistema finanziario anglosassone, specie quello americano, non ha nessuna voglia di assistere all’azzeramento del suo portafoglio italiano. Questo mondo finanziario ha grossi investimenti in Piazza Affari: gli americani sono i maggiori fondisti, perché i grandi debiti delle imprese sono tutti detenuti da questi fondi d’investimento. Ritengo quindi che ci sia un interesse ad evitare che l’Italia collassi, come infatti sarebbe collassata con un governo effettivamente incapace di gestire l’emergenza, che è innanzitutto economica. E l’emergenza economica poi creerebbe dei crediti insoluti, per le banche: si ricomincerebbe un’altra volta con ricapitalizzazioni probabilmente insostenibili, e con una perdita di valore delle stesse banche, in Borsa.
    Ad avermi colpito non è stato tanto lo spread, che si è ridotto, quanto il fatto che il solo annuncio dell’incarico a Draghi abbia fatto aumentare del 10% il valore azionario delle nostre banche. Evidentemente c’è un “sentiment” che va molto al di là dei 209 miliardi di euro in arrivo dall’Unione Europea. Certo, questa è una maniera per tenerci legati a Bruxelles. Ma ritengo che il quadro europeo di oggi sia molto frastagliato e complesso. La Francia, ad esempio, sta vivendo una crisi che non si ricordava da anni. Sui giornali, tutti cominciano a sgranare gli occhi: hanno saputo che Bruxelles chiede la riforma delle pensioni, in cambio di soli 29 miliardi di euro. E già stanno cominciando a dire: ma perché solo 29 miliardi, quando l’Italia e la Spagna ne prenderanno il doppio? Si sta scoprendo, quindi, che questo è un modo per tenerci tutti sono schiaffo, da parte di Bruxelles.
    (Guido Salerno Aletta, dichiarazioni rilasciate nella diretta web-streaming “Nelle mani di Rousseu”, diffusa il 12 febbraio 2021 su “Vox Italia Tv”. Economista, Salerno Aletta è anche editorialista di “Milano Finanza”).

    Non si pensi che il governo Conte sia caduto solo per la corsa ai 209 miliardi del Recovery Plan. Quando a luglio Conte convocò gli Stati Generali, c’era già la sensazione che un gruppo di tecnici come Colao avrebbe esautorato i politici. Con Conte, il mondo politico ha cercato di riappropriarsi di questa dote. La cosa paradossale è che adesso ne verrà espropriato: non saranno certo i parlamentari a decidere sul Recovery, perché si troveranno il pacchetto già bell’e pronto. Immaginano davvero di dividersele loro, le spoglie di questi fondi europei? Sicuramente vogliono stare al governo, avendo la necessità di rimanere dentro il filo da cui nessuno vuole essere escluso: il Pd è un partito di potere, mentre la Lega ha sofferto maledettamente il fatto di essere stata all’opposizione, durante il periodo del governo giallorosso, e le conflittualità tra la Regione Lombardia e Roma sono state devastanti per l’intero mondo leghista.

  • Il Grande Reset avanza: digitale, green e post-umano

    Scritto il 14/2/21 • nella Categoria: Recensioni • (1)

    L’Agenda del Grande Reset è composta da diversi punti cruciali: globalizzazione, decarbonizzazione, digitalizzazione, Intelligenza Artificiale e automazione, moneta digitale, Internet delle cose, identità digitale e biometrica per tutti, robotica avanzata, sharing economy, capitalismo della sorveglianza e, in definitiva, il transumanesimo con il potenziamento umano e l’ibridazione uomo-macchina. Dietro la maschera dell’utopia e dell’ecologismo, ci troviamo dinanzi all’ennesima distopia elitaria portata avanti dai rappresentanti della tecnocrazia: questa teoria prevede una sostanziale erosione dei redditi della classe media per consentire sia la riduzione di consumi ed emissioni, sia un’uguaglianza di reddito che si traduce in un livellamento verso il basso, con conseguente trasferimento del reddito sottratto alla classe media verso il vertice della piramide.
    La divaricazione nella ridistribuzione dei redditi è talmente evidente che il piano prevede anche un reddito di sussistenza erogato dallo Stato a quei lavoratori che saranno lasciati indietro dalla rivoluzione tecnologica. Non è esagerato affermare che, complice la pandemia, si sta realizzando il sogno delle élite mondialiste: dividere la società in due livelli, da una parte il potere economico detenuto da una ristretta cerchia tecno-finanziaria di super ricchi, dall’altra la “massa” indistinta di individui sempre più poveri, soli, senza legami, diritti e senza radici, facili quindi da sfruttare e controllare per il governo globale sempre più post-umano che si sta costruendo. L’ultimo libro di Ilaria Bifarini, “Il Grande Reset”, sta meritatamente scalando le classifiche e si divora con grande interesse! Consigliatissimo, da leggere con attenzione e da meditare.
    (”Il grande reset”, dalla pagina Facebook di Enrica Perucchietti, 12 gennaio 2021. Il libro: Ilaria Bifarini, “Il Grande Reset. Dalla Pandemia alla nuova normalità”, Phasar Edizioni, 18 euro. Giornalista, saggista e redattrice editoriale, Enrica Perucchietti ha pubblicato volumi come “L’altra faccia di Obama”, “Governo globale”, “La fabbrica della manipolazione” e “UniSex”, ovvero “La creazione dell’uomo senza identità”. Interessanti le ricerche in territori di confine, da “Le origini occulte della musica” a “Il sangue di Caino”, “I figli di Lucifero” e “Il dio cornuto”, scritti con Paolo Battistel. Di stringente attualità lavori come “False flag, sotto falsa bandiera”, con prefazione di Pino Cabras, “Utero in affitto, la fabbricazione dei bambini”, “Fake news”, “CyberUomo” e “Coronavirus, il nemico invisibile”).

    L’Agenda del Grande Reset è composta da diversi punti cruciali: globalizzazione, decarbonizzazione, digitalizzazione, Intelligenza Artificiale e automazione, moneta digitale, Internet delle cose, identità digitale e biometrica per tutti, robotica avanzata, sharing economy, capitalismo della sorveglianza e, in definitiva, il transumanesimo con il potenziamento umano e l’ibridazione uomo-macchina. Dietro la maschera dell’utopia e dell’ecologismo, ci troviamo dinanzi all’ennesima distopia elitaria portata avanti dai rappresentanti della tecnocrazia: questa teoria prevede una sostanziale erosione dei redditi della classe media per consentire sia la riduzione di consumi ed emissioni, sia un’uguaglianza di reddito che si traduce in un livellamento verso il basso, con conseguente trasferimento del reddito sottratto alla classe media verso il vertice della piramide.

  • La sfida: resettare i partiti-farsa e rifondare la politica

    Scritto il 13/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    «Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, di cui a qualcuno poteva sfuggire la logica: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?
    Velo pietoso, sul “Fatto”: viaggiando ormai a fari spenti, Marco Travaglio (sfidando il ridicolo, come fan numero uno di “Giuseppi”) si era spinto a consigliare al primo ministro di procedere con la pesca miracolosa dei senatori voltagabbana, pur di salvare la poltrona. E’ lo stesso Travaglio che giurava di credere alla religione moralistica di Grillo & Casaleggio, quella del “Vaffa” e del celebre “uno vale uno”. E pazienza se poi la realtà ha raccontato esattamente il contrario della fiction elettorale: un movimento-farsa zeppo di incapaci disastrosi, pronti a tradire gli elettori e a sostenere per oltre un anno il governo più catastrofico della storica repubblicana, nato solo per stoppare Salvini ma poi capace di una specie di miracolo, regalando all’Italia il record della peggior prestazione europea sul Covid: elevatissimo numero di vittime e spaventoso collasso economico. Ma niente paura: mentre “Giuseppi” finalmente crollava, i mezzibusti televisivi del “Fatto” stavano ancora a domandarsi come fosse possibile che un simile esecutivo da Premio Nobel venisse affossato da un minuscolo insetto molesto e insignificante, tale Matteo Renzi.
    Perfettamente inutile sperare che i giornali – non solo il “Fatto” – spieghino il retroterra profondo della crisi italiana, che ha infine spinto il Quirinale a commissariare la politica nazionale imponendo Draghi, di fronte alla bancarotta del sistema. La recita andata in scena per decenni (centrosinistra contro centrodestra, con varianti colorite ma sempre irrilevanti) è servita solo a far marciare l’agenda neoliberista: azzerare lo Stato, trasformandolo in arcigno esattore, e lasciando piena licenza di razzia ai grandi gruppi privati. Ultimo grande diversivo, le spettacolari ciance di Grillo: prima di rimangiarsi la parola su ogni proposito enunuciato, il baby-movimento neo-monarchico agli ordini dell’Elevato era riuscito a dire no a tutto, tranne all’unico nemico (quello vero), dominante da decenni, cioè il potere apolide del “pilota automatico”, imposto dai burattini di Bruxelles. Meglio l’innocuo populismo: alzare i toni contro il nulla, la “casta”, il “partito di Bibbiano” (con cui poi sedere al governo). Ragli sonori, come quelli contro i costi (trascurabili) della politica, senza preoccuparsi di una politica che sia innanzitutto efficiente, capace e coraggiosa.
    Un filone fortunatissimo, in Italia: a inaugurare il populismo elettoralistico fu Berlusconi, poi imitato da Renzi (in salsa politically correct) e infine da Grillo, in versione gridata, fino all’ultimo grande urlatore, Salvini. Fa eccezione il Pd, limitatosi al ruolo notarile di freddo esecutore dei peggiori diktat europei, sepolta per sempre l’antica ispirazione socialista dei fondatori. A tutto questo, ora – complice la sciagura-Covid – qualcuno ha staccato la spina, inducendo Mattarella a lanciare in pista Mario Draghi: non solo per tamponare le voragini (sanitarie, economiche e sociali) create da “Giuseppi”, ma anche e soprattutto per resettare un sistema politico da tempo in coma farmacologico. Primo passo: costringere i finti avversari a cooperare tra loro, sostenendo il medesimo esecutivo, e lasciando agli ultimissimi urlatori (Meloni, Di Battista, Paragone) il premio di consolazione degli applausi gratuiti, destinati a chi non intende candidarsi davvero a governare niente.
    A valle della strategia, resta la tattica: di questa si occupa, in modo brillante, “Dagospia”, che legge – nell’ultima giravolta renziana – la «fusione a freddo» in arrivo, tra Forza Italia e Italia Viva, «con un pizzico di Bonino e una spruzzata di Calenda». Renzusconi, certo: servirebbe anche «per racimolare un dignitoso 12-15%, sempre comodo per salvaguardare gli interessi mediatici del Banana, Media For Europe, con sede legale in Olanda, preda dell’ex amico d’oltralpe Bollorè e momentaneamente “al riparo” nei box dell’Agcom». A Draghi, infatti – scrive “Dago” – non risulterà difficile «convincere il portacipria di Brigitte, cioè Macron, che alla Francia è già andata in dote la Fiat e va bene così: non è il caso di tirare troppo la corda delle Telco, perché anche la fibra a volte si spezza e si finisce nella Rete (unica, magari)». Ma il passaggio di testimone da Berlusconi – privo com’è di eredi dotati di leadership – a Renzi, «ben felice di occupare l’area del centro», è stato improvvisamente «messo a soqquadro dall’improvvisa conversione a Ue dell’ex sovranista Salvini», il quale punta allo stesso obiettivo di Renzi: prendersi Forza Italia, anche grazie a Denis Verdini, Mara Carfagna e Giovanni Toti.
    Archiviato il Papeete, il capo leghista «ha capito al volo che l’appello di Mattarella “a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”, poteva essere il momento giusto per abiurare l’antieuropeismo legaiolo senza perdere la faccia». Secondo il newsmagazine di Roberto D’Agostino, la visione dell’ex Truce, supportato dal “partito del Pil” (il quartetto Giorgetti-Fedriga-Zaia-Fontana, da sempre a favore della svolta) è di portare la Lega nel Partito Popolare Europeo. «E una volta che la Cdu di Angela Merkel potrà accettarlo, lascerà al loro destino i due rospi del sovranismo, Marine Le Pen e la tedesca Afd». Sarà «un percorso di riverginazione, che prenderà almeno un anno», scrive “Dago”, immaginando – in modo molto avventuroso – che la Merkel (in realtà in uscita) sarà ancora l’imperatrice europea, e che la stessa Ue sia destinata a restare uguale a se stessa, a prescindere dagli scossoni in arrivo proprio dall’Italia, dove l’ex profeta del “pilota automatico”, Draghi, ha già chiarito – da almeno due anni – che il futuro passa per il ritorno a Keynes, smentendo decenni di eurocrazia post-democratica.
    Cambiare l’Europa: è questo il tema di fondo, che “Dagospia” sembra non cogliere, limitandosi a monitorare il piccolo cabotaggio dei mini-leader italiani, Renzi e Salvini, intenti a prenotare per sé le spoglie politiche del Cavaliere. Movimenti che evidenziano l’imminenza di rivolgimenti significativi: l’estinzione di Conte e dei grotteschi 5 Stelle (con la loro piattaforma tecno-demiurgica) potrebbe essere sintomatica di una rigenerazione profonda dello stesso impianto eurocentrico, con le correzioni che si attendono da Mario Draghi (non ripristinare il rigore, neppure dopo la fine della stagione Covid). Questo porrebbe in una luce completamente diversa ogni singolo attore politico: il Pd che del rigore è stato il massimo cantore italiano, il Renzi che (come Grillo e Berlusconi) ha solo finto una rottamazione di facciata, e il Salvini – capo dell’attuale primo partito italiano – che potrebbe approfittare dell’evento-Draghi (una stagione virtualmente lunga, se si prolungasse al Quirinale) per contribuire a riscrivere lessico e grammatica delle istanze che oggi impongono l’abbandono delle finte guerre per passare finalmente alla sfida – vera – contro il neoliberismo che in questi decenni ha ridotto la politica a una farsa.

    «Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, la cui logica poteva sfuggire ai più distratti: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ grillino dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?

  • Usa, confessano: complotto elettorale per silurare Trump

    Scritto il 12/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Sì, è vero: abbiamo organizzato una colossale cospirazione per cacciare Trump dalla Casa Bianca. Ora lo ammettono apertamente, i cospiratori, sulle colonne di “Time”, il settimanale più diffuso negli Stati Uniti. «Tutti ricorderanno le gravi accuse di brogli avanzate dal team legale di Trump all’indomani della vittoria dell’avversario democratico, bollate come teorie “cospirative” e prive di fondamento», scrive Roberto Vivaldelli sul “Giornale”. «Ci hanno rubato le elezioni», ha detto Trump davanti ai suoi sostenitori il 6 gennaio davanti a Capitol Hill, prima che gli eventi degenerassero verso l’assalto che – forse – ha posto fine alla sua carriera politica. Ora, gli autori del complotto contro Trump confessano: la loro è stata una grande e vasta cospirazione, con l’alibi di “salvare gli Stati Uniti da una guerra civile”. Clamoroso: «The Donald non aveva così torto sulla “cospirazione” ai suoi danni». Il “Time” ha pubblicato un’inchiesta nella quale racconta il retroscena inedito e clamoroso di «uno straordinario sforzo» mirato a condizionare le elezioni. «In pratica, si ammette sì l’esistenza di un “complotto” ai danni di Trump», con il contributo di personaggi come Ian Bassin, co-fondatore di Protect Democracy, una delle tante realtà coinvolte.
    Prima di tutto – riassume Vivaldelli, citando “Time” – gli attivisti si sono mobilitati per far votare milioni di persone per posta e convincerle, a dispetto di ciò che affermava Donald Trump, che non c’erano pericoli di frode o presunti brogli. Secondo “Bloomberg”, alle presidenziali 2020 hanno preso parte almeno 161 milioni di cittadini. Per “Vox”, ben 92 milioni di questi elettori avevano ricevuto le schede per posta, rispetto ai soli 42 milioni del 2016. Il partito democratico, durante la campagna elettorale, ha infatti esortato gli elettori a votare per corrispondenza, mentre Donald Trump ne ha costantemente messo in discussione l’affidabilità. «Risultato: 3/4 dei voti per posta sono finiti a Joe Biden e sono risultati essere fondamentali nella sua vittoria». Come scrive il “Time”, infatti, gli attivisti hanno lavorato «su ogni aspetto» che riguardava le elezioni: «Hanno convinto gli Stati a cambiare i sistemi di voto e le leggi, e hanno contribuito a garantire centinaia di milioni di finanziamenti pubblici e privati».
    Poi, gli Stati «hanno respinto le cause» che contestavano eserciti di elettori-fantasma e, prima ancora, i “cospiratori” hanno «reclutato eserciti di sondaggisti e convinto milioni di persone a votare per posta per la prima volta». Inoltre, «hanno spinto con successo le società di social media a prendere una linea più dura» contro quella che “Time” chiama «la disinformazione» (ovvero: le denunce di Trump contro le clamorose irregolarità elettorali). «Tutto questo – sintetizza il “Giornale” – perché Donald Trump aveva messo in discussione il voto per corrispondenza, mentre i democratici ne hanno fatto una bandiera di prevenzione dal Covid-19». Già a maggio, ricorda Vivaldelli, i repubblicani avevano fatto causa al governatore democratico della California, Gavin Newsom, in risposta all’ordinanza firmata da quest’ultimo che dava istruzione di inviare a tutti gli elettori dello Stato una scheda elettorale per posta in vista delle presidenziali. «Scontro che si è ripetuto anche in molti altri Stati e che – alla luce di come sono andate le cose – ha visto trionfare il partito democratico».
    Chi ha architettato il tutto? Il regista di questa grande campagna-ombra contro Donald Trump è lo stratega politico “progressista” Mike Podhorzer, direttore politico della Afl-Cio, la più grande federazione di sindacati negli Stati Uniti. «È anche presidente del consiglio di amministrazione di Analyst Institute e Catalist, oltre a far parte del Cda di America Votes, Committee of the States e Progressive Majority», scrive il “Giornale”. «Tutte realtà che, in passato, hanno ricevuto importanti donazioni da parte del magnate liberal George Soros, dal mondo di Hollywood e da Big Tech». L’Analyst Institute, ad esempio, collabora con organizzazioni e campagne “dem” in tutto il paese. «Preoccupato dalle uscite di Donald Trump contro il voto per corrispondenza, unito al timore che avrebbe potuto non accettare il risultato delle elezioni, Podhorzer ha deciso di interpellare altre forze progressiste e di creare un’ampia coalizione contro il tycoon».
    Il 3 marzo, Podhorzer ha redatto una nota riservata di tre pagine intitolata “Minacce alle elezioni del 2020”. «Trump ha chiarito che questa non sarà un’elezione corretta e che rifiuterà qualsiasi cosa tranne la sua rielezione», ha scritto. «Il 3 novembre, se i media dovessero riferire diversamente, utilizzerà il sistema di informazione di destra per stabilire la sua narrativa e incitare i suoi sostenitori a protestare». La pandemia – continua il “Giornale” – ha allargato i timori di Mike Podhorzer e agli ambienti vicini ai democratici, come sindacati e associazioni. Ad aprile 2020, Podhorzer cominciò a organizzare degli incontri su Zoom per radunare le forze. «Ha svolto un ruolo fondamentale, dietro le quinte, nel mantenere in comunicazione e allineati diversi elementi dell’infrastruttura del movimento», spiega al “Time” Maurice Mitchell, direttore nazionale del Working Families Party. «Il gruppo di Podhorzer si è poi allargato ed esteso, man mano, ai rappresentanti del Congresso e ai Ceo della Silicon Valley», conclude Vivaldelli: «Un’ampia coalizione che è riuscita a sconfiggere Donald Trump». Lo ha fatto grazie al voto postale e, come sappiamo, ai “magici” conteggi (notturni) del sistema digitale Dominion.

    Sì, è vero: abbiamo organizzato una colossale cospirazione per cacciare Trump dalla Casa Bianca. Ora lo ammettono apertamente, i cospiratori, sulle colonne di “Time”, il settimanale più diffuso negli Stati Uniti. «Tutti ricorderanno le gravi accuse di brogli avanzate dal team legale di Trump all’indomani della vittoria dell’avversario democratico, bollate come teorie “cospirative” e prive di fondamento», scrive Roberto Vivaldelli sul “Giornale“. «Ci hanno rubato le elezioni», ha detto Trump davanti ai suoi sostenitori il 6 gennaio davanti a Capitol Hill, prima che gli eventi degenerassero verso l’assalto che – forse – ha posto fine alla sua carriera politica. Ora, gli autori del complotto contro Trump confessano: la loro è stata una grande e vasta cospirazione, con l’alibi di “salvare gli Stati Uniti da una guerra civile”. Clamoroso: «The Donald non aveva così torto sulla “cospirazione” ai suoi danni». Il “Time” ha pubblicato un’inchiesta nella quale racconta il retroscena inedito e clamoroso di «uno straordinario sforzo» mirato a condizionare le elezioni. «In pratica, si ammette sì l’esistenza di un “complotto” ai danni di Trump», con il contributo di personaggi come Ian Bassin, co-fondatore di Protect Democracy, una delle tante realtà coinvolte.

  • Germania, choc: dati gonfiati per creare il terrore-Covid

    Scritto il 12/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Un documento commissionato per conto del ministero dell’interno tedesco, e firmato da un gruppo di autorevoli esperti, sarebbe servito a giustificare le misure restrittive decise dalla Germania per limitare la diffusione del Sars-CoV-2. Peccato che quel report, rimasto top secret, conteneva numeri gonfiati e profezie drammatiche mai avveratesi. Il rapporto parlava di un milione di morti e ben sette tedeschi su dieci contagiati dal virus. Niente a che vedere con la realtà dei fatti, visto che oggi, a un anno dallo scoppio della pandemia, la Germania conta quasi 63.000 morti e 2,29 milioni di contagiati. In sostanza, le tetre previsioni degli scienziati, riunite nel citato documento richiesto dal ministro dell’interno, Horst Seehofer, sarebbero state utilizzate da Berlino come giustificazione. Per cosa? Semplice: per spiegare ai cittadini le ferree chiusure imposte dall’alto. Ma non è finita qui, perché pare che il tutto sarebbe stato volutamente drammatizzato per volere di Seehofer.
    Rischiamo di trovarci di fronte a un caso che, se dovesse essere confermato, potrebbe avere serie ripercussioni sul governo tedesco e fungere da pericoloso precedente per tanti altri paesi. Anche perché sul web, da mesi, stanno circolando teorie del complotto di ogni ordine e grado. Una notizia del genere non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco e alimentare sospetti e sfiducia nei confronti delle istituzioni. La bomba è stata lanciata da uno scoop realizzato dal settimanale “Die Welt”, che ha fatto luce su vari aspetti sconcertati. Si parla, ad esempio, di una fitta corrispondenza interna, tra mondo politica e della scienza, finalizzata a drammatizzare a dismisura le minacce portate dal coronavirus. L’unico obiettivo sarebbe stato quello di convincere l’opinione pubblica ad accettare le rigide misure di contenimento. Ricordiamo infatti che un anno fa, quando furono scoperti i primi contagi in Italia, anche la Germania stava iniziando a fare i conti con alcuni focolai.
    L’esecutivo tedesco doveva scegliere che cosa fare, tra l’affidarsi a un approccio soft o a un secco giro di vite. Alla fine prevalse la seconda opzione che, di lì a poco, avrebbe provocato la chiusura di scuole e negozi, oltre alla limitazione di gran parte delle libertà individuali dei cittadini e l’elevazione a dogma imprescindibile del cosiddetto distanziamento sociale. In altre parole, la quotidianità di una nazione stava cambiando per sempre. Lo stesso sarebbe poi avvenuto praticamente in tutto il resto del mondo, tranne sporadiche eccezioni. In ogni caso, in quei giorni Seehofer avrebbe incontrato il virologo Christian Dorsen e Lothar Wieler, quest’ultimo a capo dell’Istituto Robert Koch, l’organizzazione responsabile del controllo e della prevenzione delle malattie infettive in terra tedesca. L’incontro convinse il ministro a tenere tutto chiuso fin oltre il periodo pasquale. Si sarebbe così creato un conciliabolo tra i rappresentanti di alcune università tedesche e istituti – soggetti in prima linea nel fornire indicazioni sulla pandemia – e alcuni rappresentanti della politica (si fa il nome di Markus Kerber, sottosegretario all’interno nonché ombra del ministro Seehofer).
    Il 19 marzo Kerber scrisse un messaggio ai suoi interlocutori, spiegando che il ministero avrebbe voluto creare «una piattaforma di ricerca ad hoc» con vari istituti al fine di «pianificare la situazione» e programmare le prossime mosse. Ovvero: scegliere quali «misure preventive e repressive» adottare. Sembra che il sottosegretario abbia paragonato la situazione Covid a quella dell’Apollo 13. Kerber avrebbe persino chiesto ai suoi interlocutori – professori e ricercatori – i loro numeri di telefono privati, perché nessuno sapeva «per quanto tempo le reti funzioneranno in maniera affidabile». A parlare, ricordiamolo, secondo il “Die Welt” sarebbe un responsabile della sicurezza nazionale della Germania. In seguito, il ministero avrebbe dettato la linea da seguire agli scienziati e seguito minuziosamente il loro lavoro. Nel giro di qualche giorno, sui media tedeschi iniziarono ad apparire messaggi sconcertanti («Molte persone gravemente malate verranno portate in ospedale, per poi essere respinte e morire a casa agonizzanti»). Insomma, il senso di una simile mossa sarebbe stato evidente: infondere un po’ di sana paura, così da giustificare il pugno duro.
    (Federico Giuliani, “Il report segreto che imbarazza Berlino: dati gonfiati per giustificare le misure anti-Covid”, dal supplemento “Inside Over” de “Il Giornale” del 9 febbraio 2021).

    Un documento commissionato per conto del ministero dell’interno tedesco, e firmato da un gruppo di autorevoli esperti, sarebbe servito a giustificare le misure restrittive decise dalla Germania per limitare la diffusione del Sars-CoV-2. Peccato che quel report, rimasto top secret, conteneva numeri gonfiati e profezie drammatiche mai avveratesi. Il rapporto parlava di un milione di morti e ben sette tedeschi su dieci contagiati dal virus. Niente a che vedere con la realtà dei fatti, visto che oggi, a un anno dallo scoppio della pandemia, la Germania conta quasi 63.000 morti e 2,29 milioni di contagiati. In sostanza, le tetre previsioni degli scienziati, riunite nel citato documento richiesto dal ministro dell’interno, Horst Seehofer, sarebbero state utilizzate da Berlino come giustificazione. Per cosa? Semplice: per spiegare ai cittadini le ferree chiusure imposte dall’alto. Ma non è finita qui, perché pare che il tutto sarebbe stato volutamente drammatizzato per volere di Seehofer.

  • Post antisemita: Torino, s’indigna l’impero delle bugie

    Scritto il 11/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Non una riga sulle grandi manovre della dinastia Agnelli-Elkann, ma fiumi di inchiostro per lo scivolone “antisemita” di una consigliera comunale di Torino, che veicola incautamente un post nel quale si associa l’antica spazzatura nazi-razzista alla (sacrosanta) denuncia della mega-concentrazione editoriale nelle mani del sempre più potente gruppo Gedi. Succede nell’Italia del 2021, reduce da un anno di lavaggio del cervello – teoria e pratica del terrorismo sanitario, grazie alla banda Conte – in cui, a parte il totalitarismo informativo sul virus, la casata torinese ha compiuto atti epocali, nel silenzio generale: la storica cessione dell’ex Fiat ai francesi e la trattativa per sbolognare anche Iveco (ai cinesi), dopo aver incassato i miliardi ottenuti da “Giuseppi” col pretesto della crisi pandemica, in realtà utilizzati da Exor per confluire in Stellantis. Da notare, soprattutto, la clamorosa requisizione del gruppo “Espresso”, a cominciare da “Repubblica”, senza il minimo accenno di allarme da parte della politica, o dallo stesso Ordine dei Giornalisti con le sue articolazioni sindacali, un tempo vigili di fronte alla creazione di trust dominanti come quello berlusconiano.

  • Putin a lezione di democrazia dal favoloso Tony Blinken

    Scritto il 05/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Un coraggio da leone, quello di Tony Blinken: l’uomo che impartisce lezioni di democrazia a Vladimir Putin, contestando la dura repressione delle manifestazioni pro-Navalny, è un tizio che oggi fa il segretario di Stato nell’amministrazione di Joe Biden, l’uomo che sostiene di essere stato eletto presidente degli Stati Uniti. E’ stato insediato col favore delle tenebre, grazie alla misteriosa sospensione notturna dello scrutino e al miracoloso afflusso di voti postali, anche fuori tempo massimo e in violazione delle norme elettorali previste dalla Costituzione di alcuni degli Stati in bilico. Un lavoretto completato dagli algoritmi della Dominion Voting Systems, che si sospetta siano stati taroccati in partenza e poi ri-tarati in corso d’opera, viste le inattese dimensioni della valanga di voti a favore del probabilissimo vincitore reale, Donald Trump, ultimo vero presidente degli Stati Uniti per la maggioranza degli americani (sondaggi Gallup) e primo nella storia ad aprire ora un Ufficio dell’Ex Presidente, in Florida. Ebbene: dall’alto di questo capolavoro di trasparenza squisitamente democratica, l’eterno scudiero di Sleepy Joe Biden – uno dei politici più mediocri e corrotti della storia politica americana – adesso si permette di ammonire lo Zar: non osi procedere oltre, nel fare strame delle libertà democratiche in Russia.
    Affabilmente, Giulietto Chiesa canzonò l’anziano Eugenio Scalfari per aver descritto Putin come “il capo del comunismo mondiale”, nientemeno, dimenticando il microscopico dettaglio rappresentato da un bruscolino come la Cina, il più esteso, popoloso e potente paese al mondo che sia mai stato retto da un partito comunista. Anni fa, lo studioso italiano Igor Sibaldi, di madre russa, espose la seguente tesi: già ai tempi dell’Urss, l’impero di Mosca era retto da una trentina di grandi famiglie, al di là della vernice cosmetica del Pcus. In piena sintonia con quella ristretta cerchia di oligarchi, secondo Sibaldi, il lungimirante Jurij Andropov – temendo l’inevitabile collasso socio-economico del “socialismo reale” – trasformò il vecchio Nkvd staliniano nel micidiale, efficientissimo Kgb, come nerbo irriducibile dell’élite, capace di sopravvivere all’eventuale disfacimento dell’Unione Sovietica. Non è un caso che venisse dal Kgb lo stesso Gorbaciov, storico pupillo di Andropov, né che provenga dai ranghi di quell’intelligence lo stesso Putin. Sono sempre quelle famose “trenta famiglie”, le detentrici del vero potere in Russia, al di là del ruolo che ha saputo ritagliarsi, di suo, uno statista di levatura mondiale come l’attuale uomo del Cremlino, da vent’anni ininterrottamente in sella?
    E’ noto che Putin fu chiamato in servizio quando il potere russo ne ebbe abbastanza dell’esausto Boris Eltsin, che aveva letteralmente svenduto il paese alle multinazionali americane. Qualcosa del genere, secondo uno schema invariabile, si ripeté nel 2014 con la finta “rivoluzione arancione” in Ucraina contro il corrotto presidente filorusso Yanukovic, accusato di aver truccato le elezioni dopo aver estromesso l’opposizione. All’arbitrio dell’autocrate ucraino si rispose gonfiando le piazze in modo pacifico, ma a un certo punto furono misteriosi cecchini a sparare sulla polizia, a Maidan, per provocare la repressione violenta che segnò la fine di Yanukovic e il passaggio di Kiev dall’orbita di Mosca a quella di Washington, secondo il più classico e opaco dei copioni, in mezzo a falangi di miliziani armati di fucili e bandiere neonaziste. Letteralmente automatica, a quel punto, la secessione dell’Est dell’Ucraina, il Donbass a maggioranza russa, e la scelta della Crimea di tornare sotto l’ala della madrepatria russa, di cui la penisola del Mar Nero aveva sempre fatto parte. Altrettanto scontata la reazione della “comunità internazionale”, alias Washington Consensus: dure sanzioni alla Russia (con anche gravissimi danni al made in Italy).
    Dettaglio non scontato, invece, la presenza della famiglia Biden nel ricco “affaire” ucraino: dopo gli infiniti viaggi a Kiev dell’allora vice di Obama, fu affidato a Hunter Biden l’opulento malloppo di Burisma, colosso del petrolio e del gas ucraino. Inutile aggiungere che l’attuale segretario di Stato americano, Tony Blinken, era già il braccio destro di Sleepy Joe (non così “addormentato”, a quanto pare, se si trattava di incassare cospicui dividendi, non solo politici). Lo stesso Blinken era accanto a Biden anche rispetto al teatro siriano, quando Obama – anche attraverso un falco come John McCain – favorì l’esplosione del bubbone Isis, a partire dall’Iraq, dove fu improvvissamente rilasciato un personaggio che poi si sarebbe fatto chiamare Abu Bakr Al-Bagdadi. Da quasi una decina d’anni, Vladimir Putin si trova di fronte lo stesso avversario, pronto a promuovere la guerra, che la scena si svolga in Ucraina o in Siria, dove è stata proprio la Russia a sgominare le bande di tagliagole dello Stato Islamico, che gli americani facevano finta di non conoscere.
    In questo, stando a Wikipedia, Tony Blinken è persino trasparente: «Non ho mai visto una decisione più coraggiosa presa da un leader», disse nel 2011, applaudendo il Barack Obama che aveva appena raccontato di aver fatto uccidere Osama Bin Laden, già operativo della Cia in Afghanistan, morto quasi certamente parecchi anni prima. Può sembrare ridicolo, almeno quanto la storiella dell’inabissamento in mare della presunta salma del redivivo Bin Laden, ma nessun tribunale statunitense ha mai potuto imputare legalmente al capo di Al-Qaeda alcuna responsabilità formale nel super-attentato che distrusse le Torri Gemelle, spalancando la strada al Nuovo Secolo Americano vagheggiato dai Bush con le loro guerre, approvate senza riserve dal democratico Joe Biden, presidente della commissione esteri del Senato. Gli era accanto sin da allora Tony Blinken, favorevole nel 2003 alla brutale invasione dell’Iraq motivata dalle (inesistenti) armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Blinken ha definito la determinazione a invadere l’Iraq «un voto per una diplomazia dura».
    Finita la prima parte del “lavoro”, scrive sempre Wikipedia, Tony Blinken «ha assistito Biden nella formulazione di una proposta al Senato per stabilire in Iraq tre regioni indipendenti, divise lungo linee etniche o settarie». Un orrore, trasformato in un fiasco: «La proposta è stata respinta in modo schiacciante in patria, così come in Iraq, dove il primo ministro si è opposto al piano di spartizione». Dal 2009 al 2013, Blinken è stato consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente Biden. Dal 2015 al 2017 è stato poi vicesegretario di Stato di John Kerry e viceconsigliere della sicurezza nazionale dal 2013 al 2015, sotto la presidenza Obama. Ruoli molto importanti, che gli hanno permesso di «contribuire a elaborare la politica statunitense su Afghanistan e Pakistan», con esiti letteralmente imbarazzanti. Lo stesso Blinken si è anche impegnato «sul programma nucleare dell’Iran», al quale si era fermamente opposto Donald Trump. Invano: oggi, la squadra di Biden è già al lavoro per ripristinare buone relazioni con Teheran.
    «Può usare Twitter anche l’Ayatollah, ma non Trump», ha protestato in questi giorni un parlamentare trumpiano, denunciando la scandalosa censura di Big Web praticata in modo unilaterale a vantaggio di “democratici” come Biden e Blinken, nell’ex “paese della libertà” che si sente in vena di dare lezioni alla Russia. Parla da solo, del resto, il vasto curriculum di Blinken: «Un profilo del 2013 lo descriveva come “uno degli attori chiave del governo nella stesura della politica sulla Siria”», il paese letteralmente fatto a pezzi dall’Isis, mentre le truppe Usa stavano a guardare. Un recidivo, Blinken: già nel 2011 aveva «sostenuto l’intervento militare in Libia e la fornitura di armi ai ribelli siriani». Tecnicamente: un professionista del Nuovo Disordine Mondiale, a suon di bombe. «Nell’aprile 2015, Blinken ha espresso sostegno all’intervento guidato dall’Arabia Saudita nello Yemen». Ha detto che «come parte di questo sforzo, abbiamo accelerato le consegne di armi, abbiamo aumentato la nostra condivisione di intelligence e abbiamo istituito una cellula di pianificazione del coordinamento congiunto nel centro operativo saudita».
    Questo sarebbe dunque il profilo essenziale del nuovo Mister America in funzione di ministro degli esteri. Un uomo accorto, di origine ebraica, membro del potentissimo Council on Foreign Relations, santuario paramassonico del massimo potere. Politica e affari, come il suo maestro Biden: nel 2017, Blinken ha co-fondato WestExec Advisors, una società di consulenza strategica politica. Tra i clienti figurano Jigsaw (Google), la società israeliana di intelligenza artificiale Windward e il produttore di droni di sorveglianza Shield Ai, che ha firmato un contratto da 7,2 milioni di dollari con l’Air Force. “The Intercept” ha descritto «il ruolo di WestExec nel facilitare i rapporti tra le aziende della Silicon Valley, il Dipartimento della difesa e le forze dell’ordine», un po’ come nel caso della storica Kissinger Associates. Così come altri membri del “transition team” di Biden, tra cui il neo-ministro della difesa Lloyd Austin, Blinken è partner della società finanziaria (”private equity”) Pine Island Capital Partners, socio strategico della stessa WestExec. «Il presidente di Pine Island è John Thain, l’ultimo presidente di Merrill Lynch prima della sua vendita a Bank of America».
    «Blinken – precisa ancora Wikipedia – è andato “in congedo” da Pine Island nell’agosto 2020 per unirsi alla campagna di Biden come consulente senior di politica estera. Ha detto che si sarebbe liberato della sua partecipazione in Pine Island, se confermato per una posizione nell’amministrazione Biden». Salvare le forme: non suona bene, l’espressione “conflitto d’interessi”. Lo scorso autunno, Pine Island ha raccolto 218 milioni di dollari «per una società di acquisizione di scopo speciale (Spac)», un’offerta pubblica per investire in «difesa, servizi governativi e industrie aerospaziali», nonché sulla gestione dell’emergenza Covid, considerata redditizia in quanto il governo Trump «si rivolgeva ad appaltatori privati ​​per affrontare la pandemia». A dicembre, persino il “New York Times” ha sollevato domande sui potenziali conflitti d’interesse tra i dirigenti di WestExec, i consulenti di Pine Island (incluso Blinken) e loro ruolo nell’amministrazione Biden.
    «I critici hanno chiesto la piena divulgazione di tutte le relazioni finanziarie di WestExec e Pine Island, la cessione della proprietà di partecipazioni in società che fanno offerte per contratti governativi o godono di contratti esistenti», raccomandandosi che Blinken e altri «si ritirino dalle decisioni che potrebbero avvantaggiare i loro precedenti clienti». E’ questo, dunque, il background del Blinken che vorrebbe mantenere a Gerusalemme l’ambasciata americana in Israele e critica giustamente la Cina come feroce tecno-autocrazia: Blinken si schiera con le proteste di Hong Kong e si dichiara pronto a difendere Taiwan con ogni mezzo, di fronte alle minacciose provocazioni anche militari di Pechino. Non che gli antichi vizi siano scomparsi: lo stesso Blinken ha ribadito il suo sostegno a mantenere aperta la porta della Nato per la Georgia, destabilizzando così la frontiera con la Russia e violando gli storici accordi stupulati ai tempi di Gorbaciov. Fu George W. Bush a far precipitare la situazione nel Caucaso, incoraggiando il sanguinoso bombardamento della capitale dell’Ossezia del Sud, Tskhinvali, rimasta filo-russa. Gente dal grilletto facile, quella tornata alla Casa Bianca? Niente paura: sempre Wikipedia ci informa che Tony Blinken suona la chitarra e ha persino tre canzoni disponibili, su Spotify, con l’alias ABlinken (pronunciate come “Abe Lincoln”). Queste sì, sono notizie confortanti.

    Un coraggio da leone, quello di Tony Blinken: l’uomo che impartisce lezioni di democrazia a Vladimir Putin, contestando la dura repressione delle manifestazioni pro-Navalny, è un tizio che oggi fa il segretario di Stato nell’amministrazione di Joe Biden, l’uomo che sostiene di essere stato eletto presidente degli Stati Uniti. E’ stato insediato col favore delle tenebre, grazie alla misteriosa sospensione notturna dello scrutino e al miracoloso afflusso di voti postali, anche fuori tempo massimo e in violazione delle norme elettorali previste dalla Costituzione di alcuni degli Stati in bilico. Un lavoretto completato dagli algoritmi della Dominion Voting Systems, che si sospetta siano stati taroccati in partenza e poi ri-tarati in corso d’opera, viste le inattese dimensioni della valanga di voti a favore del probabilissimo vincitore reale, Donald Trump, ultimo vero presidente degli Stati Uniti per la maggioranza degli americani (sondaggi Gallup) e primo nella storia ad aprire ora un Ufficio dell’Ex Presidente, in Florida. Ebbene: dall’alto di questo capolavoro di trasparenza squisitamente democratica, l’eterno scudiero di Sleepy Joe Biden – uno dei politici più mediocri e corrotti della storia politica americana – adesso si permette di ammonire lo Zar: non osi procedere oltre, nel fare strame delle libertà democratiche in Russia.

  • Toto: di lockdown si muore, dobbiamo tornare a vivere

    Scritto il 04/2/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.
    Interessante notare che tale definizione fu coniata nel 1948. Questa data è molto significativa, infatti, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In riferimento alla pandemia, il 27 Aprile 2020 l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ammonì i paesi a rispettare lo stato di diritto, durante la pandemia da coronavirus, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” per i diritti umani. Sulla base di queste considerazioni, possiamo certamente intuire che esiste una netta differenza tra “salute” e mera “sopravvivenza”. Inoltre, non possiamo ignorare le rivolte e le proteste che in varie parti del mondo queste misure restrittive hanno generato. Le restrizioni, infatti, hanno un impatto devastante sull’economia e la libertà individuale.
    Tra l’altro l’Italia dovrà confrontarsi con una possibile crisi economica senza precedenti proprio per il fatto di aver bloccato le attività lavorative e non dimentichiamoci che il primo articolo della Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Comunque, il 31 marzo 2021 scadrà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo a partire dal primo lockdown, e più volte prorogato con la prosecuzione della pandemia. Cosa accadrà ai lavoratori? Le proiezioni dell’Istat per il 2020 danno una contrattura del Pil pari a -14,3% secondo quanto riportato su open.online il 31 luglio 2020. Questi dati evidenziano i danni procurati dal lockdown sul piano economico. Di certo un incremento significativo della povertà indurrà danni alla salute a causa dallo stress psicologico, dell’incapacità di acquistare cibi di alta qualità e l’impossibilità di accesso a cure nel settore privato della sanità.
    Altra questione fondamentale riguarda la scuola. La qualità della formazione è nettamente in calo ed il rapporto docente/studente risulta estremamente danneggiato e ridotto ad un contatto virtuale. A titolo di cronaca mi sento in dovere di riportare che alcuni siti Internet sostengono che la definizione di salute Oms nel completo silenzio mediatico sia cambiata nel 2011 nella seguente: “capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Questa definizione si presenta come sostegno filosofico ad una società che si confronta con l’aumento della durata della vita e di conseguenza l’inevitabile insorgere di malattie spesso invalidanti sul piano fisico e psicologico. Ma in ogni caso, anche in questa definizione troviamo la parola autogestione, che in ambito medico e sanitario, rappresenta l’insieme delle tecniche di cura di pazienti con malattie o disabilità croniche, attraverso le quali possano guarire e curarsi da sé.
    Dunque una definizione che pone nuovamente l’enfasi sull’individuo. Resta di fatto che nel “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità. In conclusione, al di là delle definizioni, delle competenze, dei tecnicismi e proposte di soluzioni a problemi complessi, esiste il “senso della vita” che rappresenta il punto fondamentale della nostra esistenza umana. Tutto quello che rende la nostra vita unica e speciale, la libertà, il rapporto con gli altri, la libertà di culto, il lavoro, gli affetti, la possibilità di corteggiarsi, di viaggiare e di godere di ogni bene e servizio a nostra disposizione è stato totalmente annullato in nome della tutela della salute. Ma questa è salute? O meglio, questa è vita?
    (Carlo Toto, “Lockdown? Meglio assumersi una dose di rischio”, dal blog di Nicola Porro del 30 gennaio 2021).

    Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.

  • Russia: God, appello “ai massoni Putin, Navalny e Blinken”

    Scritto il 01/2/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Un appello «ai massoni Tony Blinken, Vladimir Putin e Alexej Navalny» perché possano «trovare un accordo nazionale e sovranazionale per una pacifica transizione della Russia alla democrazia, alla libertà, alla laicità e allo Stato di diritto». Lo firma il Grande Oriente Democratico, organismo guidato da Gioele Magaldi, che si rivolge simultaneamente al nuovo “ministro degli esteri” di Biden, al presidente russo e al suo oppositore. L’ultimo arresto arresto di Navalny è maturato, secondo le autorità giudiziarie russe, «in attesa di un’udienza che dovrà valutare l’accusa che abbia violato gli obblighi di una precedente sentenza detentiva». Una decisione che ha scantenato vaste proteste di piazza, duramente represse: i media occidentali, mai teneri con Putin, parlano di 5.000 fermi. I massoni progressisti di “God” descrivono come «dolorosa e incresciosa» l’attuale situazione politico-sociale in Russia, paese – va ricordato – sottoposto a spietate sanzioni da parte dell’Occidente. A innescare le sanzioni, il rifiuto di accettare il ritorno della Crimea alla madrepatria russa, deciso (con un referendum plebliscitario) per rispondere al violento “golpe colorato” promosso da Obama e Biden, anche con l’aiuto di manovalanza neonazista, per staccare l’Ucraina dall’orbita di Mosca.
    Il sanguinoso “golpe arancione” del 2014, avviato con colpi di arma da fuoco contro la polizia del filorusso Viktor Yanukovic, ha prodotto l’immediata rivolta, nell’Est Ucraina, della regione mineraria del Donbass, popolata da russi. Simultanea la secessione popolare della Crimea, strategica per la sua posizione sul Mar Nero, da sempre russa e “regalata” all’Ucraina da Khrushev negli anni ‘60, nell’ambito però dell’allora Unione Sovietica. La propaganda dei media occidentali ha convalidato la tragicomica versione proposta da Obama, Biden e dalla stessa Ue, secondo cui la Crimea sarebbe stata “illegamente annessa alla Russia” dal “dittatore” Putin. Pesante il ruolo di Joe Biden nel golpe ucraino, così come le torbide manovre avviate all’indomani del colpo di Stato: il figlio, Hunter Biden, è finito nei guai per i maxi-emolumenti incassati dopo esser stato piazzato, dal padre, alla guida del gigante petrolifero ucraino, Burisma. Tutto questo accadeva mentre, sull’altra sponda dell’Atlantico (e con l’aiuto dei servizi segreti italiani) Obama e soprattutto la Clinton si affannavano a fabbricare prove false per montare il ridicolo Russiagate contro Donald Trump.
    Gioele Magaldi è esponente di primo piano, in Italia, del network massonico-progressista sovranazionale che ha sostenuto Trump contro il “finto progressismo” della Clinton. Ora che a sedere alla Casa Bianca è Biden, Magaldi avverte: prima ancora delle elezioni, lo stesso Biden si è vincolato a rispettare un patto infra-massonico, in base al quale non gettare alle ortiche molte politiche trumpiane, per esempio la rinuncia ad aprire nuovi fronti di guerra. Lo stesso Magaldi annuncia l’ingresso di Biden nella superloggia moderata Maat, cosa che garantirebbe una posizione equilibrata della superpotenza americana. E ora, il Grande Oriente Democratico svela l’identità massonica dei tre protagonisti dei tumulti in atto in Russia: il presidente Putin, lo stesso Navalny e il nuovo segretario di Stato americano, pesantemente intervenuto per contestare la dura repressione della polizia contro i manifestanti. In un tweet, Antony Blinken ha chiesto alla Russia di «liberare coloro che sono stati detenuti per avere esercitato i loro diritti umani, compreso Alexei Navalny».
    «Gli Stati Uniti – ha aggiunto Blinken – condannano l’uso persistente di tattiche dure contro manifestanti pacifici e giornalisti da parte della autorità russe». Una dichiarazione che ha irritato il Cremlino, che parla di «grossolane interferenze negli affari interni della Russia». Netto il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov: le ingerenze statunitensi «sono un fatto dimostrato, così come la promozione di fake news e di appelli ad azioni non autorizzate su piattaforme internet controllate da Washington». Rincara la dose, lo stesso Lavrov: «Il sostegno a una violazione della legge da parte del segretario di Stato Usa Blinken è un’altra conferma del ruolo svolto da Washington dietro le quinte». Da parte sua, invece, il Grande Oriente Democratico chiede una transizione pacifica verso una piena libertà democratica in Russa, «senza ipocrisie e strumentalizzazioni da parte di alcuno, nemmeno degli Usa e del cosiddetto ‘Occidente’».
    Nella nota, “God” definisce Blinken «fratello massone di antica affiliazione», e spiega: «Si tratta di un libero muratore che ha frequentato in passato sia Ur-Lodges progressiste che conservatrici, sia democratiche che neoaristocratiche», anche se – si precisa – nessuna superloggia include membri di univoca sensibilità: nella stessa superloggia possono coesistere soggetti di diversa ispirazione. «Il passato massonico e politico di Tony Blinken è discutibile, dal nostro punto di vista – aggiunge “God” – ma il presente e il futuro si preannunciano molto più consonanti con la nostra prospettiva radicalmente democratica». Discorso diverso per Putin, di cui Magaldi (nel saggio “Massoni”) aveva già illustrato l’originaria iniziazione alla superloggia “Golden Eurasia”, definita «ambivalente». Dopo vent’anni, Grande Oriente Democratico può tracciarne un profilo preciso: «Il fratello Putin ha certamente risollevato la Russia, lacerata dal malgoverno politico-economico» di Boris Eltsin, definto «massone neoaristocratico e neoliberista». A lungo andare, però, «l’ha trasformata in una ‘democratura’ personalistica e liberticida».
    Sempre secondo “God”, «lungo i troppi anni di permanenza al potere», Vladimir Putin avrebbe smarrito «anche i primitivi, positivi risultati socio-economici che avevano favorito e consolidato l’esistenza di una classe media dignitosa nell’ex Unione Sovietica». E il suo attuale antagonista mediatico, Navalny? «E’ stato iniziato di recente nella Ur-Lodge “Lux ad Orientem”», si legge nella nota di “God”. L’uomo che si presenta come anti-Putin «ha un passato discutibilissimo». In origine si era segnalato come ultra-nazionalista panrusso, favorevole all’assorbimento di Ucraina e Bielorussia. Negli anni, si è fatto largo contestando la scarsa trasparenza dell’amministrazione russa e l’estesa corruzione delle sterminate periferie del paese, ricchissimo di materie prime. Oggi si presenta come un virtuale campione, russo, della democrazia occidentale. «Di recente, in connessione con la sua affiliazione massonica», chiosa “God”, lo stesso Navalny «pare deciso ad ‘orientarsi’ in una prospettiva democratica e social-liberale. Vedremo».

    Un appello «ai massoni Tony Blinken, Vladimir Putin e Alexej Navalny» perché possano «trovare un accordo nazionale e sovranazionale per una pacifica transizione della Russia alla democrazia, alla libertà, alla laicità e allo Stato di diritto». Lo firma il Grande Oriente Democratico, organismo guidato da Gioele Magaldi, che si rivolge simultaneamente al nuovo “ministro degli esteri” di Biden, al presidente russo e al suo oppositore. L’ultimo arresto arresto di Navalny è maturato, secondo le autorità giudiziarie russe, «in attesa di un’udienza che dovrà valutare l’accusa che abbia violato gli obblighi di una precedente sentenza detentiva». Una decisione che ha scantenato vaste proteste di piazza, duramente represse: i media occidentali, mai teneri con Putin, parlano di 5.000 fermi. I massoni progressisti di “God” descrivono come «dolorosa e incresciosa» l’attuale situazione politico-sociale in Russia, paese – va ricordato – sottoposto a spietate sanzioni da parte dell’Occidente. A innescare le sanzioni, il rifiuto di accettare il ritorno della Crimea alla madrepatria russa, deciso (con un referendum plebliscitario) per rispondere al violento “golpe colorato” promosso da Obama e Biden, anche con l’aiuto di manovalanza neonazista, per staccare l’Ucraina dall’orbita di Mosca.

  • L’emergenza apre ogni decennio, e spegne il dissenso

    Scritto il 30/1/21 • nella Categoria: idee • (1)

    Le convulsioni del costituzionalismo liberale che sono andate in scena in questi giorni offrono materiali spettacolari (nel senso debordiano del termine) per una riflessione su eccezione e normalità. Negli Stati Uniti abbiamo assistito alla retorica imbarazzante della cerimonia di insediamento di un duo presidenziale in mano ai poteri forti. Hanno parlato di giustizia sociale, senza vergogna, dallo stesso palco dal quale i gorgheggi di cantanti miliardarie giungevano fisicamente alle orecchie delle migliaia di senza tetto, accampati sotto i palazzi del potere (documentati fotograficamente dallo splendido libro fotografico di Kike Arnal, “In the Shadow of Power”, all’ombra del potere). Biden invocava la “normalità”. In Italia, la stessa retorica al Senato, con un presidente del Consiglio pronto a promettere qualunque cosa pur di mantenere l’incarico, ad una girandola di ricattatori e voltagabbana, riportata come una notizia dai giornali mainstream, mentre la vera partita, quella sul “controllo” dei servizi segreti, restava nell’ombra.
    Nel centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, destinato a divenire il più grande (e conformista) di tutto il blocco atlantico, perfino il “Manifesto” (quotidiano comunista) apriva con le tifoserie italiote di Biden in prima pagina, a riprova, se necessario, della triste condizione semi-periferica e coloniale in cui siamo imprigionati a causa delle basi Nato, che ben pochi osano discutere a dispetto dell’articolo 11 della Costituzione. Alla faccia del centenario del Partito Comunista Italiano. Del resto, altrettanto pochi osano ricordare che il supremo garante dello stato di eccezione permanente, che deve essere interpretato da Conte anche nella sovversione delle più elementari certezze del diritto costituzionale, è il presidente Mattarella. Fu lui − da ministro della difesa nel primo governo guidato da un ex comunista − a macchiarsi, insieme a D’Alema, del bombardamento illegale − senza mandato dell’Onu − di una capitale Europea come Belgrado.
    A scopo “umanitario” furono eseguiti 2.300 attacchi aerei, usando uranio impoverito; furono distrutti 148 edifici, 62 ponti, danneggiate 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, 176 monumenti di interesse culturale e artistico, con un danno stimato di 30 miliardi di dollari, che nessuno è disposto a riconoscere e a risarcire. Ed è proprio l’Europa di Bruxelles, con la sua costituzione a-democratica by design, a costituire fin dall’Atto Unico del 1986 il supremo strumento di normalizzazione dell’eccezionale, facendosi garante dell’Asse atlantico. Tornerò su questo punto in un prossimo articolo. Per il momento sarà sufficiente osservare che quel bombardamento dei ponti di Belgrado, affollati di civili terrorizzati nell’estate del 1999, svolse, mutatis mutandis rispetto al corso del successivo decennio, la stessa funzione che le bombe fasciste di piazza Fontana del dicembre ’69 svolsero, per “normalizzare” gli anni Settanta, ripercorsi magistralmente da Geraldina Colotti in un recente intervento su “l’Antidiplomatico”.
    Il primo decennio del nuovo millennio fu infatti quello che, apertosi con le Torri Gemelle, segnò la nascita politica del capitalismo della sorveglianza (descritto nel celebre libro di Shoshana Zuboff). È come se, alla fine di ogni decennio, un evento di portata spettacolare (pensiamo alla caduta del Muro di Berlino dell’89, o alla crisi del 2008) marcasse quello successivo, costruendo un’emergenza la cui risoluzione deve essere priorità numero uno per tutti gli amici, costruendo come nemico chi si concede il lusso del dissenso. Del resto, insieme all’antitesi (non dialettica) fra amico e nemico va letta la teoria dello stato di eccezione schmittiana, quella utilizzata da un maestro come Giorgio Agamben, uno dei pochi intellettuali che, in una serie di interventi sul sito di “Quodlibet”, non si sono allineati, per leggere la pandemia Covid-19, con cui si è aperta la decade che stiamo vivendo. Lo stato di eccezione dichiarato dall’Oms ha infatti offerto l’assist ad ogni potere costituito per ristrutturare uno status quo ed una “normalità” che pareva messa in discussione dai rantoli (anche osceni) di una sovranità statale (sopratutto quella statunitense con Trump) restia ad arrendersi ai nuovi rapporti di forza globale, in cui il politico è controllato in ogni suo aspetto dal potere tecnologico e finanziario, concentrato nelle mani di pochissimi individui.
    È così che il decennio del centenario del fascismo al potere ha potuto essere interamente predeterminato alla lotta tecnologica nei confronti della pandemia, la quale passa attraverso la deportazione della vita sulla piattaforma online (Big tech), nonché la rinnovata ed incrollabile fede nella scienza così come interpretata da Big pharma. Il tutto ovviamente sotto la supervisione attenta della finanza, la vera governance autoritaria con cui un’oligarchia sempre più potente di capitalisti predatori si arricchisce senza vergogna ai danni della classe lavoratrice e dei beni comuni. L’araba fenice della normalità, unita alla paura per la nuda vita (spettacolarmente rappresentata dalla mascherina ostentata dai potenti anche quando palesemente inutile) segna nell’a-politica e nell’a-democrazia, il Dna del decennio che ci aspetta. Il nemico contro cui combattere per l’emancipazione mi pare chiaro.
    (Ugo Mattei, “Covid-19 strumento per la deportazione digitale dell’umanità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 gennaio 2021).

    Le convulsioni del costituzionalismo liberale che sono andate in scena in questi giorni offrono materiali spettacolari (nel senso debordiano del termine) per una riflessione su eccezione e normalità. Negli Stati Uniti abbiamo assistito alla retorica imbarazzante della cerimonia di insediamento di un duo presidenziale in mano ai poteri forti. Hanno parlato di giustizia sociale, senza vergogna, dallo stesso palco dal quale i gorgheggi di cantanti miliardarie giungevano fisicamente alle orecchie delle migliaia di senza tetto, accampati sotto i palazzi del potere (documentati fotograficamente dallo splendido libro fotografico di Kike Arnal, “In the Shadow of Power”, all’ombra del potere). Biden invocava la “normalità”. In Italia, la stessa retorica al Senato, con un presidente del Consiglio pronto a promettere qualunque cosa pur di mantenere l’incarico, ad una girandola di ricattatori e voltagabbana, riportata come una notizia dai giornali mainstream, mentre la vera partita, quella sul “controllo” dei servizi segreti, restava nell’ombra.

  • Carotenuto: l’ombra dei gesuiti sulla presidenza Biden

    Scritto il 23/1/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.
    «Per intenderci: la destra classica promuove apertamente l’egoismo sociale, mentre la nuova sinistra postmoderna (quella “gesuitica”, appunto) è più insidiosa, visto che riesce a mascherare i suoi reali intenti dietro il velo dei buoni sentimenti, dei diritti civili e del politicamente corretto, sfornando “bidoni” perfetti: ieri Obama, e oggi Biden». Stessa regia, assicura Carotenuto: e i sapienti “stregoni” della manipolazione sarebbero sempre loro, i gesuiti. In un interessante video sul web, Carotenuto invita a dare un’occhiata alla squadra del nuovo inquilino della Casa Bianca: «Compaiono uomini della Cia come George Tenet e lo stesso Robert Gates, altro specialista in materia di terrorismo mediorientale: sono stati tutti formati alla gesuitica Georgetown University, dove insegnava un certo Henry Kissinger. Non è un segreto per nessuno: Joe Biden è intimo dei gesuiti e di personaggi usciti da Georgetown».
    Carotenuto sottolinea la vocazione storica dei seguaci di Ignazio de Loyola, nati come educatori dei giovani principi: «Una volta formati non li mollano più: li fanno diventare Ciampi, Monti, Draghi, Rutelli, creando una vera e propria struttura, una rete fatta di carriere in qualche modo “assitite”». Per la prima volta nella storia, un gesuita occupa addirittura il Soglio Pontificio: Trump lo ha attaccato frontalmente, attraverso Mike Pompeo, per la cessione al regime di Pechino del potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. E Biden? All’opposto: è devoto a Bergoglio, gli obbedisce. «Biden fa tutto quello che Papa Francesco chiede: aperture sull’aborto, sui gay, sulla green economy, sui migranti, sulla povertà, sul clima». Beninteso: «Sono temi anche condivisibili, ma vengono adoperati come cosmesi per ricevere i voti delle classi medie, dei benpensanti, per poi spingere le agende del potere vero: guerre, elettromagnetizzazione del pianeta, Great Reset».
    Attenzione ai gesuiti, insiste Carotenuto: è uscito da Georgetown il nuovo, potente capo di gabinetto della Casa Bianca, cioè Ron Klein. «Cattolico e vicino agli ambienti gesuiti è anche William Burns, appena nominato direttore della Cia, molto impegnato nella destabilizzazione del Medio Oriente quando lavorava per Obama». Viene da Georgetown anche Avril Haines, messa a capo della direzione generale dell’intelligence. Allievo dei gesuiti è lo stesso barone della medicina Anthony Fauci, che neppure Trump era riuscito a sloggiare. «Pubblicamente, Fauci ha dichiarato di aver appreso proprio dai gesuiti i fondamenti del senso della vita. E adesso Biden l’ha posto a capo della delegazione che segnerà il rientro trionfale degli Stati Uniti nell’Oms», l’opaca struttura mondialista da cui Trump si era ritirato, in polemica per la gestione poco trasparente (e troppo “cinese”) dell’emergenza Covid, utilizzata per sospendere diritti e libertà in nome della sicurezza.
    Gesuiti dietro a Biden? Eccome, assicura Carotenuto: viene dalle scuole della Compagnia di Gesù buona parte del team del nuovo presidente, probabilmente abusivo data l’ingente massa di prove che documentano i clamorosi brogli elettorali (che nessuna corte giudiziaria si è finora degnata di esaminare, in dettaglio). «Joe Biden è vicinissimo ai gesuiti, e ha citato Bergoglio già nel suo primo discorso dopo la “vittoria” elettorale». Ma attenzione: chi lo ha “incoronato”, formalmente? A pronunciare la preghiera per la cerimonia di inaugurazione della presidenza Biden, il 20 gennaio, è stato un gesuita molto imporante, padre Leo O’Donovan, per molti anni rettore della Georgetown University. «Quell’uomo ha “allevato” ministri, dirigenti della Cia e presidenti americani, come Bill Clinton». Strano cattolico, secondo Carotenuto: «Alla Georgetown, O’Donovan aveva fatto fare conferenze ai grandi editori americani della pornografia, e aveva anche dato il via a ricerche sull’utilizzo biomedico dei feti: un fatto non comune, per un cristiano».
    Proprio non piacciono, a Carotenuto, i gesuiti vicini al potere: «Sono formatori di forme-pensiero che sanno un po’ di “mago nero”, o forse prendono ordini da qualche “mago nero”». Nel suo saggio sull’apparente “mistero” della geopolitica, quasi sempre votata al disastro, l’analista definisce “maghi neri” alcuni uomini-chiave, che spesso agiscono nell’ombra per condizionare le dinamiche del vivere collettivo attraverso sofisticate manipolazioni, impartendo precisi ordini all’intera catena di comando della “piramide”, di cui i politici rapprestano i semplici terminali. Surreale? Fate voi, sembra dire Carotenuto. «Ma sappiate che, per 11 lunghi anni, da metà Novanta a metà Duemila, padre Leo O’Donovan è stato uno dei direttori della Walt Disney. E in quel periodo, tanti elementi oscuri sono stranamente entrati nei film della Disney». L’ex rettore della Georgetown University è legatissimo ai Biden: ha presieduto la messa per il funerale del figlio del neopresidente, Beau Biden, morto nel 2015 per un tumore al cervello.
    Quand’era vice di Obama, Biden ha partecipato qualche volta anche alla messa nella chiesa dell’università, dove ha anche tenuto una conferenza sulla fede e la vita pubblica. Joe Biden, peraltro, è l’autore dell’introduzione al libro di O’Donovan, “Blessed Are the Refugees: Beatitudes of Immigrant Children” (“Beati i rifugiati: Beatitudini per i bambini migranti”). Fonti di stampa ricordano che, proprio sul tema delle migrazioni, Biden è intervenuto lo scorso novembre a una raccolta fondi del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, di cui O’Donovan è direttore, assicurando che avrebbe portato i numeri di accoglienza dagli attuali 15.000 previsti dall’amministrazione Trump a 125.000. Buoni sentimenti da esibire con la mano destra, mentre con la sinistra si dà il via libera alla guerra e magari al terrorismo “false flag”? Ipocrisie del politically correct, per far digerire meglio la cosiddetta agenda mondialista neoliberale? Tipico, in un certo senso, del nuovo globalismo delle anime belle, che tifano per le Ong anche quando a finanziarle è un uomo spregiudicato come George Soros.
    Ovviamente, sottolinea Carotenuto, non ci sono solo i gesuiti, a fare da guida, nel gruppo che si è sostanzialmente ripreso l’America dopo la parentesi Trump: «C’è anche la massoneria, che però è sempre più “massa di manovra”». L’analista steineriano di “Coscienze in Rete” non ha una buona opinione, dei grembiulini, ma non va confuso con le voci del complottismo massonofobico: la massoneria si è corrotta, sostiene, divenendo organica al potere più deteriore. «Un tempo – afferma – le massonerie erano al servizio di potenze “bianche”, quando erano un frutto dei Templari e dei Rosa+Croce. Poi, appunto, sono diventate essenzialmente “massa di manovra” delle peggiori potenze mondiali, anche se alcune di esse si dipingono come progressiste». Non a caso sono anch’esse, insieme ai gesuiti, nella cabina di regia che gestirà «le decisioni che poi verranno fatte firmare a Biden».
    Una regia composita e, per Carotenuto, poco rassicurante: «Ci sono gesuiti e pezzi di massoneria, pezzi di Vaticano, nonché potentati finanziari enormi, anche ebraici e cinesi, equamente suddivisi tra le due “piramidi” del grande potere». Problema evidente: «Cosa potrà fare, Biden, se non obbedire a quelli che l’hanno messo lì?». E attenzione: «Ce l’hanno messo nonostante i tanti sospetti sessuali, i suoi strani atteggiamenti, le accuse sessuali ritirate anni fa da tre donne. Veramente penoso, poi, quel suo strusciarsi addosso alle bambine e alle ragazzine, in evidente imbarazzo nei video che sono circolati sul web». Eppure, i media l’hanno acclamato subito, senza riserve, come nuovo presidente: e l’hanno fatto prima ancora che finisse la conta dei milioni di voti postali arrivati fuori tempo massimo e gestiti (col favore delle tenebre) attraverso la piattaforma digitale Dominion. Ed ecco che oggi Joe Biden siede alla Casa Bianca. A fare cosa? «Se ne starà lì con la sua faccetta ripulita, stirata, limata, botulinata e ritoccata: gli toccherà fare bei discorsi, e soprattutto firmare decisioni prese da altri».
    Per Carotenuto, l’agenda del potere oggi dominante è frutto di una strategia profonda, precisa, organica. «Rispetto al gruppo di Trump, questa “piramide” ha un vantaggio enorme: dispone di molti uomini preparati, in grado di portare avanti queste stretegie». Quali? Presto detto: «Mondializzazione, emergenze, vortici di paura e di odio, sfruttamento propagandistico del surriscaldamento climatico, falsa rivoluzione green. E poi guerre, squilibri, vaccinazioni di massa, condizionamenti culturali, meccanizzazione digitale degli esseri umani». Sottolinea Carotenuto: «Non è che in questo manchino elementi buoni: ma, ripeto, sono essenzialmente cosmetici, per mantenere un certo consenso». Una tattica che l’analista riconosce come eminentemente gesuitica: sottile, raffinata. Trump faceva la faccia feroce? Che ingenuo: meglio sorridere, se si hanno nel cassetto determinati piani, che prevedono coercizioni e sottrazione di libertà. Un marchio di fabbrica: «Non dico che tutti quelli che sono stati a Georgetown lavorino per i gesuiti, ma quelli che fanno carriera vi assicuro di sì. E il loro stile è inconfondibile».
    Con Biden, sintetizza Carotenuto, gli Usa tornano in scena come lo strumento principale di una accurata strategia della tensione internazionale, basata su una grande destabilizzazione geopolitica del pianeta. «Trump l’aveva evitata, frenando su tutto: era il meglio che poteva fare, coi limitati mezzi che aveva». Joe Biden, che si presenta come un anziano bonario (una specie di colomba) è stato invece un falco di prima grandezza. «E’ stato presidente della commissione esteri del Senato per tanti anni, ed era un sostenitore del rifacimento di tutte le mappe del Medio Oriente, a colpi di guerre e scontri interreligiosi». Motivo: «Era quello che volevano i vertici della “piramide”: creare in Medio Oriente un vortice di odio e di violenza». Quasi invisibile, eppure onnipresente: «Joe Biden ha lavorato alle false “primavere arabe”, insieme a uomini che oggi entrano nella sua amministrazione. Prima ancora, era stato un grande sostenitore dell’invasione dell’Iraq: negli Usa era in prima linea, nel vendere al pubblico la favola delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam».
    Un gran bel bilancio: un milione di morti, nella regione, con una destabilizzazione spaventosa che si trascina da 18 anni, in un mare di sangue. «Nel 2011, sempre Biden ha fatto fallire una trattativa che doveva servire a mantenere gli Usa a presidiare alcune zone del nord dell’Iraq. Invece gli Stati Uniti, grazie a Biden, hanno ritirato le truppe. Così i curdi sono rimasti soli e sono stati massacrati, e Daesh ha potuto creare l’Isis». Stragi, terrorismo, lutti infiniti. «Molti di quei morti dovrebbe averli sulla coscienza Joe Biden (se solo ce l’avesse, una coscienza)». Un veterano del peggio: «Un vero servo dei poteri oscuri: è stato uno dei 29 senatori democratici che diedero i voti a Bush per fare la guerra in Iraq». Ecco perché Fausto Carotenuto non è affatto ottimista: «Rivedremo gli Usa in azione in Libia, in Siria, nel Golfo Persico: devono tornare a creare vortici di guerra e di odio, cioè “malattie dell’umanità” per conto dei loro padroni oscuri. Il business delle armi? C’è anche quello, ma è solo un corollario».
    Da navigato analista geopolitico, il fondatore di “Coscienze in Rete” considera un disastro anche la probabile distensione con l’Iran, «che ha seriamente intenzione di fabbricare la sua atomica». Nei primi anni ‘80, Carotenuto era a Teheran: «Conosco bene quel regime, so che la bomba la voleva già allora, per difendersi in caso di attacco. Lentamente, la “piramide” cui fa capo Biden ha lasciato che l’Iran si avvicinasse alla meta: pensate al vortice di tensione che si innescherebbe, con un Iran trasformato in potenza nucleare per stare al pari di Israele. Non a caso, l’orrido regime di Teheran è felice della nomina di Biden. E’ sollevato anche il popolo, perché si toglieranno le sanzioni: ma vi assicuro che a essere felici sono soprattutto gli ayatollah». A peggiorare saranno ovviamente le relazioni con la Russia, «perché Putin fa parte dell’altra “piramide”, quella che ha utilizzato lo stesso Trump». Joe Biden ha grandi credenziali, del resto, come nemico di Mosca: ha promosso la “rivoluzione colorata” in Ucraina, il “golpe di piazza” gestito anche da neonazisti, per poi passare all’incasso attraverso il figlio Hunter, coperto di dollari come dirigente del colosso petrolifero Burisma.
    La parte del leone, naturalmente, potrebbe farla la Cina: «Trump aveva chiuso le porte, ai cinesi, ma adesso le riapriranno», profetizza Carotenuto. «Non è nell’interesse degli Usa, riaprire alla nuova superpotenza mondiale. Ma i “dem”, appunto, non fanno gli interessi degli Stati Uniti: assecondano invece quelli del grande gruppo mondialista che ha già deciso che i mercenari del futuro “impero” non saranno più gli americani, ma i cinesi: sono più lavoratori, sono tanti ed eseguono gli ordini senza fare storie, e in più non sono impigriti dal troppo benessere, dall’alimentazione sbagliata e dai farmaci sbagliati con i quali gli americani sono stati nutriti e curati per decenni». Possibili anche nuove tensioni con la Corea del Nord, focolaio ieri abilmente spento da Trump: «E’ sempre comodo, per creare tensione, avere un “diavolo” minaccioso». Per Carotenuto, poi, migliorerà «un’altra cosa contraria agli interessi Usa», ovvero «le relazioni con l’Unione Europea». Il gruppo che manovra Biden «vuole un’Ue forte, perché rappresenta un anticipo del mondialismo».
    Per gli Usa, dal punto di vista del mero interesse nazionale, «sarebbe meglio avere a che fare con un’Europa spezzettata, più facilmente dominabile». Ovvio: «Se l’Europa si unisce davvero, rischia di diventare più potente degli Usa». Eppure lo faranno: «Miglioreranno i rapporti con Bruxelles, proprio perché non servono gli interessi statunitensi. Si potrebbero definire traditori della patria, ammesso parlare di patria che abbia ancora un senso». In primo piano anche poi il clima: «Scontato il rientro immediato negli accordi di Parigi: è all’insegna del mondialismo e del “gretismo”, cioè la favola dell’origine antropica del “climate change”, largamente provocato dall’azione del sole». Un modo ultra-digitale, sempre più wireless? «Con l’elettrificazione si creano enormi campi magnetici: il che non è esattamente “green”, dati i loro effetti sull’organismo e sull’ambiente». E via così: «Si ridarà forza e finanziamenti all’Onu, all’Oms e a tutte le grandi organizzazioni internazionali, che non sono altro che l’anticipazione del globalismo che verticalizza il potere e marginalizza l’individuo».
    Per Carotenuto, la “piramide gesuitica” di Biden è quella più attiva nella sua missione storica: frenare il risveglio delle coscienze, che starebbe letteralmente sul punto di esplodere, coinvolgendo ormai un essere umano su tre. «Si evita il risveglio anche con i vaccini, con farmaci sbagliati, con lo sfruttamento di un virus che si poteva curare e non si è curato adeguatamente. Tutto quello che indebolisce le nostre forze vitali, fisiche e psichiche, indebolisce il nostro risveglio». Ora, dice Carotenuto, il drago si è ripreso l’America e vuole il Grande Reset. Ne saremo travolti? «No, è solo il ritorno della vecchia politica, che comunque non ci ha travolto. Anzi: l’umanità ha cominciato a crescere proprio per reazione a queste politiche balorde, il cui carattere orribile diventa sempre più evidente». Un auspicio: «Il cielo non consentirà a questo gruppo di fare più di quanto possiamo sopportare, e finirà col produrre un’ulteriore crescita interiore, come infatti è successo finora: le dittature della Seconda Guerra Mondiale hanno prodotto nel dopoguerra l’esplosione della democrazia, la voglia di libertà».

    Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.

  • Paura e delirio senza fine: quanto manca alla mezzanotte?

    Scritto il 17/1/21 • nella Categoria: idee • (1)

    Dopo un anno esatto di Covid, eccoci nel nuovo Impero della Paura. A regnare è il caos, in ogni campo, persino tra le analisi: c’è chi ancora non vede (o almeno, dice di non vedere) la regia mondiale di quanto sta avvenendo, e chi – al contrario – sostiene che un giorno ringrazieremo questa catastrofe, una medicina (amarissima, ma salutare) per uscire dalla Matrix delle finzioni, dove i buoni in realtà sarebbero i veri cattivi. Eterogenesi dei fini: tanto peggio, tanto meglio. L’ascia del Covid è spietata: falcia diritti e libertà, ma tanti bravi cittadini preferiscono tacere e subire, all’infinito, in attesa di non si sa cosa, fingendo di non aver mai sentito nominare l’espressione Grande Reset, formulata nel santuario di Davos. Quando tutte le notizie scomode diventano complottismo negazionista, ci si ritrova in una pessima sala d’aspetto: a separarci dalla dittatura sono ormai poche parole in libertà, sempre più clandestine, ostracizzate “worldwide” da chi criminalizza il diritto alla verità. Ad accecare gli ipovedenti sono, ancora una volta, le maschere teatrali della politica: «Se l’ha detto quel cretino, allora non è vero. Preferisco l’usato sicuro, i leader affidabili». Quali? Quelli che da quasi 12 mesi tengono i consimili “faccia a terra”, in attesa della seconda ondata e poi della terza, della quarta, della centesima?
    Attenti alle parole: “lockdown” viene dal lessico carcerario, “coprifuoco” da quello bellico. Lo ha ricordato lo scrittore Roberto Quaglia, in un video di fine anno in cui constata il trionfo, per via pandemica, della Decrescita Infelice vaticinata e invocata da Greta Thunberg. Detto fatto: solo in Italia hanno già chiuso i battenti trecentomila aziende, e la flessione paurosa del Pil preannuncia lacrime e sangue per il 2021. “Andrà tutto bene”, belavano le pecore dai balconi, mentre i medici – a cui era stato impedito di effettuare autopsie – finivano col causare la morte di molti pazienti, in terapia intensiva, trattandoli con ossigeno anziché con eparina. Tuttora manca un protocollo nazionale che metta i sanitari in condizione di intervenire tempestivamente e sistematicamente, a domicilio, con farmaci efficaci (nel frattempo individuati), come se l’emergenza non dovesse finire mai. Anziché Plaquenil e cortisonici, dal cielo sono piovuti tamponi: servivano a gonfiare il panico e i numeri da sciorinare a reti unificate, giustificando sia il “carcere” per i cittadini che la “guerra” contro di noi, cioè il lockdown e il coprifuoco. Misure insensate, feroci, ingiuste e disperatamente inutili, inefficaci e vane sul piano sanitario, ma provvidenziali per ottenere il vero risultato atteso dal Grande Reset, il genocidio socio-economico dello zoo a beneficio dei supremi gestori dell’allevamento.
    Sul piano estetico, a spiegare l’inguardabilità dello spettacolo italiano bastano i nomi: Conte e Casalino, Arcuri e Ricciardi, Di Maio, Speranza, Renzi, Zingaretti. Non una denuncia, forte e chiara, dai colleghi Salvini, Meloni e Berlusconi: solo variazioni sul tema, pigolii e flebili distinguo, mentre Big Tech fa a pezzi quel che resta della privacy e, insieme al mainstream cartaceo e radiotelevisivo, getta nella spazzatura persino l’uomo della Casa Bianca, trasformato in delinquente seriale e trattato come si sarebbe fatto in altre epoche, giustiziato senza processo e senza diritto di parola. Brutta anticamera, quella in cui stiamo scivolando, in cui una fanfara alza il volume per coprire gli ultimi, disperati muggiti umani. Il microfono viene invece lasciato aperto per i ragli del complottismo terrapiattista, quello vero, che vaneggia di uomini-lucertola e giustizieri altrettanto favolosi. Si scandalizzano e si meravigliano, i millenaristi del neo-catastrofismo apocalittico, come se non sapessero che fine fece Giordano Bruno il 17 febbraio dell’anno 1600. Un caso troppo lontano? Niente paura: parlano da sole le morti di Martin Luther King, Salvador Allende, Olof Palme, Thomas Sankara, Yitzhak Rabin. Un mondo perfetto, capace di macellare in diretta Tv il presidente degli Stati Uniti d’America, a Dallas, nel 1963.
    Il campionato di calcio è l’unica fonte di notizie che, in Italia, riesca a competere con il dominio psico-sanitario dell’Agenda del Terrore. Fantasmi mascherati nelle strade, fantocci imbavagliati persino alla guida dell’auto, lemuri impauriti che rincasano rigorosamente entro le 22. Fino a quando? Non se lo domandano? Credono ancora che basti un attimo di pazienza in più, come quando – nel marzo scorso – si illusero che tutto finisse, come solennemente promesso, in una manciata di settimane? E allora avanti così, per sempre: didattica a distanza, lavoro a distanza, vita a distanza. Ravvicinatissimo, invece, l’ago della siringa per il fatale inoculo della Salvezza. Incubi? No: fotografie. Istantanee quotidiane, della nuova zootecnia regimata dall’intelligenza artificiale, dalle onde millimetriche del wireless satellitare, dalle fantomatiche molecole sperimentali interattive. Fake news? Magari, lo fossero. La maggior disonestà dei censori, reticenti e faziosi, consiste in questo: fingere di non sapere che Antigone, in realtà, si augura sempre che i suoi infausti presagi possano essere fallaci.
    Al netto dei bullismo dei cospirazionisti, che vivono di esibizionismo sensazionalistico basato su indizi travisati e allarmi infondati, una rilevante quota di umanità condivide preoccupazioni serie, basate su informazioni ormai reperibili soltanto negli scantinati: quelli che Big Web sta sprangando, uno ad uno, nel timore che possano illuminare verità imbarazzanti e dare coraggio ai naufraghi dispersi, rassegnati alla morte civile della politica. In simili frangenti, l’inerzia dei ciechi – il loro ottuso egoismo, la loro pavidità individuale e sociale – rischia di fare più danni dei governi: trascina in basso l’asticella della dignità, il minimo sindacale del vivere comune, incoraggiando progressivamente i maggiori abusi. Non a tutti capita di vivere, in prima persona, tornanti storici come questo: sono i momenti in cui un gesto vale una vita. Chi si volta dall’altra parte, e chi invece accende il cervello. E’ come se l’umanità si stesse fatalmente dividendo, in modo drammatico e forse definitivo. Da una parte la paura, madre dell’odio e della menzogna, e dall’altra la resistenza. Chi teme, vive sperando: e così resta inerte e si vota alla disfatta, la sua e quella altrui.
    Nessuno insorge, per ora: in compenso, si susseguono risvegli. Rassegnarsi a sopravvivere come topi? No, grazie. Neppure di fronte alla dose quotidiana di magime che gli scienziati del Grande Reset garantirebbero, giusto per scongiurare disordini. E’ una ricetta antica, quella di Friedrich von Hayek: meglio che il povero non cada nella disperazione, perché la ribellione renderebbe instabile il sistema che i poveri li produce in batteria, a milioni. Nella Bibbia, è Yahweh a stabilire il valore monetario di ciascuno. Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor – nipote del cinque volte primo ministro – parla di una “Struttura”, sempre la stessa, che gestirebbe il bestiame umano, da millenni. Papa Bergoglio, quello che ha concesso alla dittatura di Pechino il potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina, ha appena stipulato in Vaticano un accordo con il Council for Inclusive Capitalism, organismo promosso da Lynn Forester de Rothschild. Fa politica, Bergoglio: accetta di oscurare il Natale, ma in compenso promuove i vaccini. Arriva a sostenere che chi non si vaccina mette in pericolo la vita degli altri: come se il siero, quindi, non bastasse di per sé a proteggere il soggetto vaccinato.
    Dove arriveremo, di questo passo? Alla chiusura terminale della recinzione attorno allo zoo, o alla liberazione dei prigionieri? Il carceriere parte in vantaggio. O meglio, il suo vantaggio è smisurato: ha connesso in rete il pianeta, dunque può sottoporlo in modo simultaneo a qualsiasi trattamento (politico, economico, finanziario, culturale, sanitario, ecologico, climatico). Gli ottimisti dicono che le zampate del drago testimoniano una sua recondita paura: il timore del mitico, grande risveglio collettivo, ormai imminente. Sbirciando l’Italia, non si direbbe: la televisione propone il solito menù dell’ipnosi, tra virologi e ordinari nientologi. Lo schianto planetario non arriva ancora nei salotti: si ferma alla rivolta dei ristoranti, all’esasperazione di chi ha già perso tutto. Quanto manca, alla mezzanotte? A che ora si spegnerà la luce, seppellendo la farsa dell’odio e della paura? L’enormità avanza, dilagando: ha una dimensione mostruosa, planetaria, psicologica. E’ in atto una mutazione dell’antropologia: sta crollando un intero sistema di credenze, di stili di vita, e non è la popolazione ad aver votato per il crollo. La popolazione non sceglie: subisce. Alla conta, manca la risposta alla domanda principale: perché. Perché così, perché proprio adesso.
    (Giorgio Cattaneo, 17 gennaio 2021).

    Dopo un anno esatto di Covid, eccoci nel nuovo Impero della Paura. A regnare è il caos, in ogni campo, persino tra le analisi: c’è chi ancora non vede (o almeno, dice di non vedere) la regia mondiale di quanto sta avvenendo, e chi – al contrario – sostiene che un giorno ringrazieremo questa catastrofe, una medicina (amarissima, ma salutare) per uscire dalla Matrix delle finzioni, dove i buoni in realtà sarebbero i veri cattivi. Eterogenesi dei fini: tanto peggio, tanto meglio. L’ascia del Covid è spietata: falcia diritti e libertà, ma tanti bravi cittadini preferiscono tacere e subire, all’infinito, in attesa di non si sa cosa, fingendo di non aver mai sentito nominare l’espressione Grande Reset, formulata nel santuario di Davos. Quando tutte le notizie scomode diventano complottismo negazionista, ci si ritrova in una pessima sala d’aspetto: a separarci dalla dittatura sono ormai poche parole in libertà, sempre più clandestine, ostracizzate “worldwide” da chi criminalizza il diritto alla verità. Ad accecare gli ipovedenti sono, ancora una volta, le maschere teatrali della politica: «Se l’ha detto quel cretino, allora non è vero. Preferisco l’usato sicuro, i leader affidabili». Quali? Quelli che da quasi 12 mesi tengono i consimili “faccia a terra”, in attesa della seconda ondata e poi della terza, della quarta, della centesima?

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