Archivio del Tag ‘social media’
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Veneziani: non è col sovranismo che si sconfigge il Mostro
Pontida, Atreju e poi? Tweet, selfie, comizi, talk show, magari un corteo. Ma qual è la consistenza di quel fenomeno pur maggioritario nel nostro paese che è chiamato sovranismo? Dico la consistenza oltre l’apparenza mediatica, le opinioni espresse, le facce dei leader. Sapete come la penso, sapete che la sintesi del peggio che comanda l’Italia suscita in me come in molti di voi, qualcosa di più del dissenso e dell’opposizione. Disgusto, indignazione, a tratti perfino schifo al solo vederli e sentirli. Quando il peggior settarismo si unisce al peggior trasformismo in un progetto che è agli esatti antipodi di quel che pensano, dicono, vogliono gli italiani e di quel che il puro buon senso, la realtà, non hai voglia di sottoporre a critica chi si oppone a loro. Puro sfascismo, inavvertenza del declino verso cui ci portano al galoppo, negazione di ogni senso d’italianità, di civiltà, di priorità legate alla vita reale delle persone, delle famiglie, dei popoli. Però possiamo chiederci una volta, almeno una volta, che altro c’è di solido, di credibile, di fondato oltre le facce, gli slogan e le dichiarazioni dei leader sul versante dei sovranisti?Sapete che vuol dire governare l’Italia, e sapete che vuol dire farlo avendo il mondo contro, i potentati veri, i media, Papi, i giudici d’assalto, i presidenti e i tecnocrati, le classi dominanti europee? Nessuno pensa che all’opposizione si possa disporre di mezzi e risorse adeguate ad affrontare una sfida così grande; si sa che c’è uno squilibrio clamoroso, che parliamo di Davide contro Golia, con l’unica forza che ci sono milioni di Davide a tendere la fionda del medesimo puntata contro il gigante. Ma si può costruire una credibile alternativa ai poteri armati e accessoriati solo con la biblica fionda e il tifo intorno? Può bastare l’uso dei social per combattere una vera battaglia di civiltà? Si può far rinascere un paese, rifondare una nazione sovrana con qualche palliativo, qualche piccola battaglia simbolica e poi nient’altro? No, non può bastare.Sì, qualcosa magari c’è, qualche buon amministratore locale, qualcuno che se la cava, qualche faccia credibile e rispettabile. Ma poi basta, il vuoto; nessuna classe dirigente, nessuna struttura, nessun quartier generale, nessuna vera strategia oltre la solita tattica elettorale più contorno di sondaggi. Il deserto, e gli slogan nel deserto. Non tornerò a ripeterlo, magari lo scriverò una volta su “La Verità” o su “Panorama”; per ora lo dico solo a voi, amici della pagina. Non mi va di far la cassandra; e poi, se consideri chi c’è al potere, chi abita il Palazzo, tutti gli altri se, ma, boh, finiscono in un angolo; non puoi perder tempo a “sottilizzare” sulla reale consistenza di quell’alternativa se hai la certezza che quel potere fa male. Ma ogni tanto, a bassa voce, in un orecchio, diciamocelo pure noi. Non bastano due facce, quattro slogan e tanta rabbia per costruire una seria alternativa di governo. Ce lo siamo detti, non ce lo ripeteremo. Ma dovevamo dircelo, senza ipocrisia. Con la speranza di sbagliarci o di vederla noi troppo negativamente.(Marcello Veneziani, “Detto tra noi”, da “La Verità” del 21 settembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Pontida, Atreju e poi? Tweet, selfie, comizi, talk show, magari un corteo. Ma qual è la consistenza di quel fenomeno pur maggioritario nel nostro paese che è chiamato sovranismo? Dico la consistenza oltre l’apparenza mediatica, le opinioni espresse, le facce dei leader. Sapete come la penso, sapete che la sintesi del peggio che comanda l’Italia suscita in me come in molti di voi, qualcosa di più del dissenso e dell’opposizione. Disgusto, indignazione, a tratti perfino schifo al solo vederli e sentirli. Quando il peggior settarismo si unisce al peggior trasformismo in un progetto che è agli esatti antipodi di quel che pensano, dicono, vogliono gli italiani e di quel che il puro buon senso, la realtà, non hai voglia di sottoporre a critica chi si oppone a loro. Puro sfascismo, inavvertenza del declino verso cui ci portano al galoppo, negazione di ogni senso d’italianità, di civiltà, di priorità legate alla vita reale delle persone, delle famiglie, dei popoli. Però possiamo chiederci una volta, almeno una volta, che altro c’è di solido, di credibile, di fondato oltre le facce, gli slogan e le dichiarazioni dei leader sul versante dei sovranisti?
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Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
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Carpeoro: Fusaro (oscurato da Fb) mi ricorda Franco Freda
«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.Decisamemte ardito, il parallelismo tra Fusaro – brillante intellettuale-contro, spesso coccolato dai media mainstraim – e il neofascista Freda, condannato per gli attentati dinamitardi del 1969 e indagato per la strage di piazza Fontana insieme al terrorista Giovanni Ventura e al giornalista Guido Giannettini, agente dei servizi segreti e militante dell’estrema destra negli anni di piombo. Cosa accomunerebbe l’editore Freda, fondatore di Ordine Nuovo, all’antagonista salottiero Fusaro? Forse, par di capire – ascoltando la diretta web-streaming del 22 settembre su YouTube – l’avvocato milanese, nonché saggista e massone progressista, allude al pericolo cui Fusaro potrebbe esporsi: un certo estremismo ideologico, in Italia, è stato puntualmente manipolato dai poteri che orchestrano la sovragestione del consenso, in altri tempi anche alimentando le nebulose ideologiche da cui, nel peggiore dei casi, scaturì anche il terrorismo, spesso controllatro dai servizi deviati. In video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro sembra domandarsi a chi possa essere utile, davvero, il “socialismo nazionale sovranista” agitato da Fusaro, messo in campo formalmente – con Vox Italia – dopo l’uscita di Salvini dal governo.Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, Fusaro è solo uno specchietto per allodole: comodo perché innocuo, come il suo intellettualismo presentato dai media come stravagante e quasi divertente, perfetto per mettere in burletta il tema, serissimo, della perdita di sovranità democratica imposta dall’euro-sistema. Carpeoro invece non esita a scomodare il fantasma di Freda, autore della collana editoriale Ar, che Wikipedia definisce “di ispirazione neofascista, tradizionalista e neonazista”. Strano, poi, che Facebook abbia chiuso le pagine di Vox Italia, poco dopo aver cancellato quelle di CasaPound: un movimento, quello neofascista Simone Di Stefano, che secondo il socialista Carpeoro, «pur essendo politicamente impalpabile, quanto a consistenza numerica, è stato regolarmente strumentalizzato, a prescindere dalle iniziative sociali anche valide che porta avanti». Probabilmente, aggiunge l’avvocato, il quadro si fa meno misterioso se si collega il network di Zuckerberg agli ambienti dell’intelligence. «Quella del giovane fenomeno che si è fatto da sé grazie a un’idea geniale è solo una leggenda», ricorda Carpeoro: «Facebook è una creazione della Cia, spiazzata di fronte all’opinione pubblica americana traumatizzata dall’11 Settembre».Di fronte alla necessità di schedare milioni di americani, il servizio di sicurezza partorì l’escamotage: fare in modo che fossero i cittadini stessi ad auto-schedarsi, con tanto di foto e “amici”. E’ un fatto: Zuckerberg, il manovale dell’operazione, ricevette 30 milioni di dollari da una consociata della holding Cia. «Ci sono passato anch’io, in questa commistione tra Facebook e i servizi segreti», racconta Carpeoro, che nel 2010 si vide chiudere la sua pagina col pretesto di una vignetta sul Papa. Chiese di riavere almeno i contenuti pubblicati, ma glielo negarono: scoprì a sue spese, allora, che il social network è l’unico proprietario dei testi, delle foro e dei video presenti nelle pagine personali. «Denunciai la cosa alla Procura di Milano, ma – scaduti i sei mesi di rito – scoprii che della mia denuncia non c’era giù traccia: era stata fatta sparire». L’avvocato racconta di aver ricevuto ben tre visite, da parte dei servizi italiani: «Mi fecero capire che processare Facebook “non era cosa”». Lui passò al contrattacco: «Come farete – disse – a far sparire 365 denunce, se sporgessi una querela al giorno in tutte le sedi giudiziarie italiane?». Alla fine, ricorda, gli proposero un accordo: avrebbe avuto una nuova pagina, nella quale gli sarebbero stati restituiti tutti i contenuti sottratti. «Accettai, anche se non è giusto».«C’è qualcosa di non democratico, in tutto questo, di non perfettamente legale», ribadisce Carpeoro. In altre parole, «lo Stato protegge precise aree di illegalità, perché fanno comodo al potere». La riprova? «Per aprire il suo locale, il pizzaiolo sotto casa deve firmare scartoffie per sei mesi e poi riceverà la visita della Guardia di Finanza. E invece Amazon, Google e affini aprono mega-servizi dalla sera alla mattina, facendo milioni a palate, e poi non pagano neppure le tasse in Italia». Come se ne esce? «Pretendendo il rispetto della piena legalità». Esempio: «Va bene sgomberare la palazzina illegalmente occupata da CasaPound a Roma, ma perché tollerare che i centri sociali di Milano continuino a occupare analogamente i loro spazi, cioè senza pagare affitto e bollette?». Di fronte al bavaglio imposto da Fecebook, in ogni caso, Carpeoro difende sia CasaPound che Vox Italia: «E’ vero che Facebook è un’azienda privata, ma lo spazio che usa – il web – è pubblico. Ed è ora che questo spazio venga legalmente regolamentato, mettendo fine a questa vergogna».«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.
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Snowden a Saviano: il web ha hackerato la democrazia
«L’Europa ha perso un’occasione unica rifiutando l’asilo politico a Snowden: avrebbe potuto dimostrare il diverso approccio nel dare sicurezza ai cittadini». Lo afferma Roberto Saviano, nel presentare su “Repubblica” il suo colloquio via Skype con Edward Snowden, l’ex analista della Nsa rifugiatosi in Russia nel 2013 dopo aver rivelato il sistema di spionaggio di massa praticato dalla National Security Agency. «La cosa che rimpiango è non essermi fatto avanti prima», dice oggi Snowden, che ha 36 anni: «Rimpiango ogni anno che ho impiegato a decidere in cosa credessi, per rendermi conto di ciò che succedeva e decidere di fare qualcosa». Nel libro “Errore di sistema”, tradotto in Italia da Longanesi, l’ex operatore dell’intelligence Usa (cui è dedicato il film “Snowden” di Oliver Stone, uscito nel 2016) ripercorre la sua avventura: ha dato alla stampa le prove dei programmi XKeyscore, in grado di leggere qualsiasi email. Poi ha svelato l’esistenza di Prism, un programma di sorveglianza utilizzato per monitorare chat e videochat, comprese quelle su Skype. E infine ha tolto il velo su Tempora, programma che il governo britannico utilizzava per spiare le cancellerie europee. Se Paypal, Facebook, Apple e Microsoft nascono negli Usa – scrive Saviano – è anche perché l’Europa non ha considerato una sfida alla sua altezza il fatto di avere delle proprie piattaforme. Ma come poteva, l’Europa di cui parla Saviano, sfidare addirittura gli Usa?
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Facebook cancella CasaPound: finalmente un atto fascista
«CasaPound e Forza Nuova espulsi da Facebook e da Instagram. Finalmente un provvedimento fascista». Così Vittorio Feltri, direttore editorale di “Libero”, accoglie la notizia della rimozione – dai maggiori social media – dei profili dei gruppi dell’estrema destra. «Alla fine Facebook diventerà come gli spettacoli di Crozza, Luttazzi, Propaganda Live: una sala piena di borghesi globalisti radical chic “di sinistra” che si autoconvincono della propria superiorità intellettuale e antropologica», commenta su Twitter Simone Di Stefano. Il segretario di CasaPound sembra sconsolato: «Ha ragione mia figlia, Facebook è da vecchi». Non ha mancato di suscitare forti polemiche, l’inaudita cancellazione dai social: sono stati eliminati anche numerosi profili di persone collegate alle due formazioni politiche. «Io ho l’impressione che tutto questo sia da collegare con il passaggio di consegne al governo», aggiunge lo stesso Feltri: «Ho avuto anche un’esperienza personale di una pagina che è stata chiusa per tre giorni per una parola scritta 15 mesi prima. Evidentemente, è il vento che è cambiato». Duro anche Piero Sansonetti, giornalista e scrittore: «Penso che sia una misura sciocca e di tipo autoritario: ogni azione di censura è sempre un’azione negativa».Già condirettore de “L’Unità” e direttore di “Liberazione”, che tra poco tornerà in edicola con “Il Riformista”, Sansonetti protesta: «Io sono per combattere la cultura dell’odio, ma questa va combattuta con la cultura, appunto, con la capacità di parlare, di comunicare e di convincere». Insiste, l’ex direttore del giornale di Rifondazione Comunista: «La cultura della proibizione, che sta invadendo un po’ tutti, è figlia dell’odio. E quindi non solo non lo combatte, ma ne è assolutamente interna: perché proibire è la massima espressione di odio». Secondo Sansonetti, «la proibizione ha sostituito la vecchia cultura della violenza». L’odio? «Va contrastato, perché insopportabile e antisociale. Ma proibire significa accrescerne la quantità». La pensa allo stesso modo il giornalista e filosofo Marcello Veneziani: «Considero molto preoccupante quello che è avvenuto – dice – anche perché non si è trattato di un singolo caso, di una pagina per cui magari ci potevano essere degli estremi. Quando l’intervento riguarda più pagine è una vera e propria scelta politica: una censura politica, di movimenti che tra l’altro hanno anche una loro rappresentanza nei Consigli comunali e che quindi hanno una loro presenza nel nostro paese».Aggiunge Veneziani: «Non capisco perché si debbano adottare questi provvedimenti, che poi sono ulteriormente aggravati se si pensa che esistono siti anarco-insurrezionalisti e movimenti antagonisti che invece non mi pare abbiano gli stessi problemi». Per Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, il giorno del bavaglio a CasaPound (9 settembre 2019) resterà nella storia: «Ci ricorderemo di questa data come il giorno nel quale Facebook iniziò la censura “in nome della democrazia”», scrive Moiso proprio su Facebook. «Ci abituano a eliminare i messaggi “inaccettabili”, fuori dal frame: cosa ci diranno che è “inaccettabile” domani?». Chiosa Moiso, iscritto all’Anpi e già in polemica con l’associazione partigiani dopo l’esclusione di CasaPound da una sala universitaria inglese: «Non ingannatevi. Questi sono piccoli passi contro le conquiste delle democrazie liberali, pagate col sangue, nelle guerre e nelle lotte sociali. Chi è davvero antifascista non può che indignarsi nei confronti della censura illiberale».«CasaPound e Forza Nuova espulsi da Facebook e da Instagram. Finalmente un provvedimento fascista». Così Vittorio Feltri, direttore editorale di “Libero”, accoglie la notizia della rimozione – dai maggiori social media – dei profili dei gruppi dell’estrema destra. «Alla fine Facebook diventerà come gli spettacoli di Crozza, Luttazzi, Propaganda Live: una sala piena di borghesi globalisti radical chic “di sinistra” che si autoconvincono della propria superiorità intellettuale e antropologica», commenta su Twitter Simone Di Stefano. Il segretario di CasaPound sembra sconsolato: «Ha ragione mia figlia, Facebook è da vecchi». Non ha mancato di suscitare forti polemiche, l’inaudita cancellazione dai social: sono stati eliminati anche numerosi profili di persone collegate alle due formazioni politiche. «Io ho l’impressione che tutto questo sia da collegare con il passaggio di consegne al governo», aggiunge lo stesso Feltri: «Ho avuto anche un’esperienza personale di una pagina che è stata chiusa per tre giorni per una parola scritta 15 mesi prima. Evidentemente, è il vento che è cambiato». Duro anche Piero Sansonetti, giornalista e scrittore: «Penso che sia una misura sciocca e di tipo autoritario: ogni azione di censura è sempre un’azione negativa».
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Il peggiore dei mondi possibili, nutrito dalla nostra paura
Sembrava il migliore dei mondi possibili, quello che l’Europa aveva di fronte a sé fino al 2001, precisamente il 20 luglio, quando al G8 di Genova esplose la follia opaca della violenza e a lasciarci la pelle fu Carlo Giuliani, immortalato mentre col suo estintore minaccia i carabinieri intrappolati in un gippone. Ma Genova era solo l’antipasto dell’inferno: due mesi dopo, crollarono di colpo le Torri Gemelle di Manhattan. Tremila vittime l’11 settembre, e altre 12.000 negli anni seguenti a causa dei tumori provocati dalla nube d’amianto. Nel 2003, in Italia, le prime ipotesi sul possibile auto-attentato vennero avanzate da Giulietto Chiesa, nel bestseller “La guerra infinita”, ignorato dai media. Nel 2005, a “Matrix”, in prima serata su Canale 5, Enrico Mentana ebbe il coraggio di trasmettere “Inganno globale”, esplosivo documentario in cui Massimo Mazzucco dimostra che la versione ufficiale (terrorismo islamico) è integralmente falsa. Era già cominciata, la grande retromarcia dell’Occidente, ma pochissimi se n’erano accorti. Tra questi Bettino Craxi, che da Hammamet spiegò che l’euro-finanza avrebbe spolpato l’Italia. E prima ancora l’economista keynesiano Federico Caffè, sparito nel nulla nel 1987. E così Olof Palme, l’inventore del welfare svedese, ucciso l’anno prima a Stoccolma. Doveva aver capito tutto anche Aldo Moro, minacciato di morte da Henry Kissinger poco prima che di lui si occupassero, teoricamente, le Brigate Rosse.
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Facebook rischia di chiudere, ha contro i giovani (e Soros)
Ci sono almeno 3 indizi che portano verso un’inaspettata chiusura del più grande social media del mondo. Il primo è quello di cui tutti parlano oggi: un ipermegamultone che si aggiunge alle rogne pregresse di Zuckerberg; ben presto la politica dovrà mettere mano alla faccenda con una manovra antitrust, anche e soprattutto in vista delle elezioni americane del 3 novembre. C’è chi, come business insider, scommette sulla chiusura di Facebook e parla di una operazione in grande stile che il governo post-Trump dovrà attuare. La vicenda di Cambridge Analytica è a tutti nota, e ora si è aggiunta solo l’indiscrezione per la cifra da pagare a seguito di violazione della privacy: cinque miliardi di dollari. La più elevata mai imposta dalla Federal Trade Commission contro un’azienda di tecnologia. Attenzione, non sarebbe certo la prima volta che accade qualcosa del genere ad un’azienda di grandi dimensioni. E penso alla compagnia petrolifera Standard Oil, fondata da Rockefeller nel 1870 e smembrata per decreto nel 1911 dall’antitrust americana.A detta degli espertoni, questo è il più grande rischio che oggi corre Facebook, perché uno smembramento comporterebbe cambiamenti epocali, tali da snaturare l’idea stessa del “faccialibro” per come esso nacque nell’ormai preistorico 2004. Il secondo indizio allieterà senza dubbio i gusti dei complottisti – di gran lunga la categoria umana che preferisco e della quale mi vanto di far parte, nonostante il neologismo sia demenziale e colpisca scorrettamente tutti quelli che propongono dei dubbi. Si tratta di Soros, amici. Eh già, il vecchio volpone dell’economia globalista da qualche tempo attacca Facebook senza remore. «Affermano che distribuiscono solamente informazioni – ha affermato il capitalista ungherese – ma in realtà sono quasi distributori monopolisti, e questo li rende servizi pubblici. Dovrebbero pertanto essere soggetti a regolamentazioni più stringenti mirate a preservare la competizione, l’innovazione e un accesso universale, leale ed aperto». Soros ha poi paragonato Facebook e Google ai casinò, che «progettano deliberatamente la dipendenza ai servizi che forniscono».Ma qual è la ragione di questo attacco? Non lo sappiamo, ma da buon complottista ipotizzo che Facebook abbia dato voce a tutti, minando così le cristalline certezze provenienti dai media tradizionali. Insomma, Soros finanzia i liberal sparsi per il mondo, ma chi contesta i liberal è “fuori controllo” grazie a internet. A mio avviso è evidente che lui odi la Rete. Ad esempio, il vegliardo spende una vagonata di soldi per far salire al potere la Hillary Clinton, eppoi la Rete aiuta la visibilità di Donald Trump. Inaccettabile per un lobbysta che si rispetti! Ma è il terzo indizio quello che mi induce a ritenere Facebook avviata al tramonto o ad un profondo rimescolamenteo delle (sue) carte. Il social, infatti, ha dei picchi di utenza che ben presto saranno ridimensionati dal fatto che i millennials non si iscrivono più a questo tipo di social. In altre parole, la disaffezione dei giovani costringerà Zuckerberg alla chiusura in modo molto più determinante delle decisioni dell’Antitrust.Ve lo ricordate Myspace? E SecondLife? Tutta bella roba caduta in disuso per assenza di grano, altro che antitrust! Com’è noto, infatti, le nuove generazioni preferiscono Instagram (sempre di proprietà di Zuckerberg) dove praticamente non si parla di politica (e Soros qui non sbrocca, guardacaso), o Tinder, la nuova Bibbia per i segaioli impenitenti. Insomma, immagini taroccate e app per rimorchiare potranno continuare, Facebook rischia invece grosso. Se non cambia pelle. Dovesse accadere, comunque, non tutto il male viene per nuocere. Chi è noiosamente e ampollosamente affezionato ai “discorsi lunghi” potrà infatti tornare ai vecchi cari blog (ehehehe), ai forum, oppure alle nuove app come Telegram, società di messaggistica e canali in stile blog informativi che ha sede nel Regno Unito, ma che è stata fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov. Con un cognome così direi che il rischio smembramento è quanto mai remoto.(Massimo Bordin, “Facebook verrà chiuso”, dal blog “Micidial” del 29 luglio 2019).Ci sono almeno 3 indizi che portano verso un’inaspettata chiusura del più grande social media del mondo. Il primo è quello di cui tutti parlano oggi: un ipermegamultone che si aggiunge alle rogne pregresse di Zuckerberg; ben presto la politica dovrà mettere mano alla faccenda con una manovra antitrust, anche e soprattutto in vista delle elezioni americane del 3 novembre. C’è chi, come business insider, scommette sulla chiusura di Facebook e parla di una operazione in grande stile che il governo post-Trump dovrà attuare. La vicenda di Cambridge Analytica è a tutti nota, e ora si è aggiunta solo l’indiscrezione per la cifra da pagare a seguito di violazione della privacy: cinque miliardi di dollari. La più elevata mai imposta dalla Federal Trade Commission contro un’azienda di tecnologia. Attenzione, non sarebbe certo la prima volta che accade qualcosa del genere ad un’azienda di grandi dimensioni. E penso alla compagnia petrolifera Standard Oil, fondata da Rockefeller nel 1870 e smembrata per decreto nel 1911 dall’antitrust americana.
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Donazione milionaria per Rackete, detestata dagli italiani
La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».E la capitana della Sea Watch, Carola Rackete? «Ebbene, in questo derby tra capitani la maggioranza degli italiani (53%) sta con “il capitano” Salvini, mentre il 23% si schiera con la capitana Rackete, e uno su quattro (24%) non si pronuncia». La pensano diversamente vari politici europei, che dopo l’arresto della tedesca – al comando del vascello olandese – si sono affrettati ad esprimerle supporto, a cominciare dal ministro tedesco dello sviluppo, Gerd Müller. Nel frattempo, scrive il “Corriere del Ticino”, numerosi cittadini europei hanno risposto all’appello lanciato su YouTube dai presentatori televisivi tedeschi Jan Boehmermann e Klaas Heufer-Umlauf in un video di 15 minuti, pubblicato su tutti i social media. «L’obiettivo della colletta è il pagamento delle sanzioni che saranno inflitte a Rackete per aver forzato l’ingresso nel porto di Lampedusa, oltre che per le spese giudiziarie». E al momento – questa la vera notizia – la raccolta di fondi ha già superato il milione di euro: 735.000 euro provenienti dalla Germania e oltre 410.000 euro dalla pagina Facebook italiana dell’iniziativa.«Quanto avanzerà verrà usato dalla Ong per procurarsi una nuova nave in caso di sequestro o confisca del natante comandato da Rackete», continua il quotidiano svizzero, ricordando che il promotore dell’iniziativa, Jan Boehmermann, ha subito commentato su Twitter il successo raggiunto, dicendo che «non si tratta soltanto di denaro urgente, ma anche di un chiaro segnale per i responsabili politici e coloro che si occupano di salvare le vite dei migranti». Infatti, sulla pagina web creata appositamente per le donazioni, Heufer e Umlauf introducono l’iniziativa dicendo che «chi salva vite non è un criminale». E aggiungono: «In tutto il mondo, ma soprattutto nella nostra libera, democratica e aperta Europa». Sono gli stessi media, tedeschi, che assistettero impassibili alla spietata strage della Grecia, inflitta ad Atene dalla “libera, democratica e aperta Europa”, su pressione delle banche tedesche e francesi. Ma i bambini greci – morti negli ospedali per mancanza di medicine – evidentemente fanno meno compassione dei migranti assistiti a spese dell’Italia e protetti da Carola Rackete, la tedesca che gli italiani detestano.La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».
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Barnard: getto la spugna, non posso più essere giornalista
Io ero giornalista quando potevo fare quello che vedete in foto. Era un altro universo, secolo, epoca, oggi scomparsi per me. C’è un mio video che è circolato molto e in cui lascio una specie di “testamento”, indicato nel mio recente articolo sui metodi ‘fai-da-te’ di procurarsi eutanasia quando il morire ci riduce il fine-vita a un insulto alla dignità e ad un’agonia per nulla, mentre né medici né familiari sanno o possono aiutarci a spegnerci degnamente. Il video si conclude con un addio ai lettori, nel mio rammarico di non aver potuto fare di più come giornalista (si legga però l’ultimo paragrafo). Per coloro che non si danno pace su come sia possibile che un Paolo Barnard getti la spugna del giornalismo, a prescindere da ciò che mi accade nella vita privata, è mio dovere ripetere, molto più in sintesi, ciò che già scrissi mesi fa. Eccovelo, e un abbraccio a tutti. Non mi è più possibile essere giornalista. In primo luogo il mio lavoro è stato devastato dal Facebook-journalism e dal Twitter-journalism, due tumori del mestiere che ricadono sotto l’ombrello del Google-journalism, o peggio persino, col Netflix-journalism.Oggi chiunque dal pc può infarcirsi di Google search, poi sparare ‘giornalismo’ nel web, Social o persino sui quotidiani online e reclamare, buffonescamente, competenza e celebrità. Il risultato è un’iperinflazione da Weimar di grotteschi personaggi auto proclamatisi giornalisti o commentatori, cioè tizi che eruttano masse di ‘factoids’ sparati ogni ora e 24/7, in un impazzimento fuori controllo. Tragicamente, hanno masse crescenti di pubblico stolto al seguito, che a ogni ‘factoid’ proclama “ecco la verità!”. Fra l’altro è proprio questo pubblico che ha preteso che il giornalismo diventasse intrattenimento istantaneo a portata di click o smart phone 24/7 come Netflix. Notatelo: ho appena scritto che i nuovi giornalistoidi dilaganti del Google-Netflix-journalism eruttano fattoidi sparati ogni ora 24/7, ma lo fanno perché è la gente che oggi chiede maniacalmente la news o il commento dopo pochi minuti da qualsiasi fatto accaduto, esattamente come oggi pretende eruzioni continue di serial e film su Netflix (+ altri) e guai se ogni giorno non ci sono, o esattamente come stanno incollati ai messaggi o ai like sui loro social 24/7.Ma che cazzo di frenesia è questa? Questo non sarà mai giornalismo. E’ una pietosa deformazione cerebrale molto ben conosciuta, ha un nome: “Short term, dopamine driven, feedback loops”. Si tratta di una forma di tossicodipendenza dal web studiata a tavolino nei laboratori di Facebook (et al.) dal 2004 in poi. Gli “Short term, dopamine driven, feedback loops” viaggiano sulla gratificazione immediata (dopamine driven) delle risposte (feedback da like, commenti, o appunto articoli) che diventa una tossicodipendenza (loops). Applicata al mio mestiere, ha significato letteralmente la fine del mio mestiere. Io nacqui come giornalista e reporter negli anni ’80, mi consolidai negli anni ’90 a “Report”, e nella mia vita ho prodotto vero giornalismo. Cos’è il giornalismo? Necessita di un editore in primo luogo, radio Tv o stampa; il giornalista deve essere pagato; il giornalista deve avere i mezzi finanziari per viaggiare, indagare, e attendere se necessario. Queste sono le tre basi elementari e indispensabili per qualsiasi tipo di giornalismo. Il resto è una truffa.Il mio maggior libro, che fu il Longest-Seller e il Best-Seller della collana Rizzoli che lo pubblicò (in foto), richiese 4 mesi di viaggi, quasi 25.000 euro di spese vive, e quasi un anno per la pubblicazione. Le mie inchieste Rai erano lavori maniacalmente rifiniti nel controllo dei fatti, delle fonti, e anche lì occorse tempo e denaro. Idem per il mio impegno in economia. Quello era il giornalismo di Paolo Barnard, per un vero pubblico. Da anni ormai quelle tre condizioni indispensabili mi sono pervicacemente negate, e l’ostracismo degli editori contro di me ha raggiunto una tale pervicacia che non ho più speranza di lavorare. Esprimermi su un Social (demenziale come tutti i Social), o su un sito che è divenuto un Cult per una setta nazionale di miei fans, non è fare giornalismo. Sottolineo che una setta di fans non muove nulla, e infatti, da quando si sono raccolti attorno a me, da essi non è partito assolutamente nulla di concreto e utile nel paese.Inutile che continuino a scrivermi “non mollare!”, cosa che fanno perché, da drogati di “Short term, dopamine driven, feedback loops”, pretendono il loro Barnard quotidiano, mica perché poi si danno da fare per cambiare un cazzo nel paese, come appena scritto sopra. Ripeto: senza i sopraccitati fondamentali mezzi, anch’io finirei col truffare i lettori con fattoidi da Google-journalism, e sono sincero: negli ultimi tempi ci stavo cascando. Stop. Poi c’è sempre lui, l’immortale lui: il fatto che gli italiani sono una razza aliena nel pianeta, qui è inutile tentare qualsiasi cosa, tutto viene deformato in parrocchiette e mafie, e va in vacca. Tutto, io ci ho lasciato una vita, e per niente. Partimmo da “viva il Duce” e ci siamo tornati un secolo dopo, unici al mondo nella partenza e nell’arrivo. Che pena. Ridursi al crowdfunding è inaccettabile. Il giornalista non può essere una ‘one man band’ dove con una mano suoni la chitarra, con l’altra la batteria, col piede sinistro stai in piedi e col destro tieni in bilico il cappello per l’elemosina.In quelle stupide condizioni è impossibile produrre nulla di valido, e infatti un’analisi profonda persino dei maggiori esempi internazionali (“Democracy Now!”, “The Intercept”…) mostra lavori instabili e fallati, ma peggio: costretti alla partigianeria per compiacere i donatori, che se no se ne vanno. Di nuovo: questo non sarà mai giornalismo, il giornalismo vero deve poter pubblicare senza preoccuparsi di compiacere chi lo legge. Quindi basta. Così come sono fautore dell’eutanasia, anche fatta in casa, quando la vita diventa indegna di essere vissuta, allo stesso modo sono fautore dell’eutanasia della professione quando diventa indegna di essere praticata. Quindi mi ritiro. Nel mio giornalismo ho vinto alcune medaglie d’oro, la biografia che trovate in questo sito le elenca, ho corso da ‘campione’. Se ci pensate con oculatezza, i ‘campioni’ a cui nella vita fu concesso di vincere medaglie di continuo fino a un minuto prima di spirare sono rari come mosche bianche, quindi rimango più che contento di aver svettato almeno qualche volta, non poche, e non è poco. Poi vi rivelo una cosa: tutto finisce.(Paolo Barnard, “Non posso più essere giornalista”, dal blog di Barnard del 25 maggio 2019).Io ero giornalista quando potevo fare quello che vedete in foto. Era un altro universo, secolo, epoca, oggi scomparsi per me. C’è un mio video che è circolato molto e in cui lascio una specie di “testamento”, indicato nel mio recente articolo sui metodi ‘fai-da-te’ di procurarsi eutanasia quando il morire ci riduce il fine-vita a un insulto alla dignità e ad un’agonia per nulla, mentre né medici né familiari sanno o possono aiutarci a spegnerci degnamente. Il video si conclude con un addio ai lettori, nel mio rammarico di non aver potuto fare di più come giornalista (si legga però l’ultimo paragrafo). Per coloro che non si danno pace su come sia possibile che un Paolo Barnard getti la spugna del giornalismo, a prescindere da ciò che mi accade nella vita privata, è mio dovere ripetere, molto più in sintesi, ciò che già scrissi mesi fa. Eccovelo, e un abbraccio a tutti. Non mi è più possibile essere giornalista. In primo luogo il mio lavoro è stato devastato dal Facebook-journalism e dal Twitter-journalism, due tumori del mestiere che ricadono sotto l’ombrello del Google-journalism, o peggio persino, col Netflix-journalism.
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Renzi al Bilderberg con Gruber, ma il vero potere è altrove
La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».Fondato nel 1954, il Bilderberg Meeting è una conferenza annuale «progettata per favorire il dialogo tra Europa e Nord America», spiega lo stesso club sul proprio sito. Ogni anno, tra 120-140 leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del lavoro, del mondo accademico e dei media sono invitati a prendere parte al Meeting. Circa due terzi dei partecipanti provengono dall’Europa e il resto dal Nord America; circa un quarto dalla politica e dal governo e il resto da altri campi. Il Bilderberg si definisce «un forum per discussioni informali su questioni importanti». Gli incontri «si svolgono secondo la Chatham House Rule, che stabilisce che i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma né l’identità né l’affiliazione degli oratori o di altri partecipanti possono essere rivelate». Grazie alla natura privata del Meeting, i partecipanti «prendono parte come individui piuttosto che in qualsiasi veste ufficiale, e quindi non sono vincolati dalle convenzioni del proprio ufficio o da posizioni prestabilite». In quanto tali, «possono prendere tempo per ascoltare, riflettere e raccogliere idee». Non vi è alcun ordine del giorno dettagliato, non vengono proposte risoluzioni, non vengono votate né emesse dichiarazioni politiche.Da anni, il Bilderberg fa parlare di sé lasciando trapelare (o addirittura presentando apertamente) la lista degli invitati. «Tanta sovraesposizione – sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, acuto analista delle dinamiche del potere – sembra fatta apposta per lasciare al riparo, nell’ombra, i veri centri di potere». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, spiega che il Bilderberg (come la Trilaterale e la Chatham House inglese, il Council on Foreign Relations statunitense, il Gruppo dei Trenta, la stessa Bce) sono in realtà istituzioni “paramassoniche”, cioè progettate da massoni ma aperte a “profani”. In pratica, cinghie di trasmissione del vero potere, che per Magaldi è esercitato – in modo occulto – dalle 36 superlogge sovranazionali che hanno in mano governi, finanza e geopolitica. Fanno parte di questa categoria i think-tanks come l’Aspen Institute, il Forum di Davos, il Club di Roma. Sono gli incubatori dell’attuale mondialismo, che le Ur-Lodges di segno neo-conservatore hanno sostanzialmente imposto al pianeta dopo il crollo dell’Urss, al termine di una lunga preparazione avviata nel 1971 con il Memorandum neoliberista di Lewis Powell (Wall Street) e completata nel 1975 con il manifesto “La crisi della democrazia”, saggio firmato da Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki su commissione della Trilaterale.Attraverso l’analisi della massoneria di potere, nel suo lavoro editoriale Magaldi sintetizza la traiettoria dell’Occidente nell’ultimo mezzo secolo: l’espansione del progressismo varato da Roosevelt in base alla dottrina economica di Keynes (benessere diffuso) proseguì fino alla presidenza di Lyndon Johnson, ma – dopo l’omicidio di Jfk – fu brutalmente fermata da altri due delitti politici, l’assassinio di Bob Kennedy e Martin Luther King. In Europa, l’Italia fu il campo di battaglia che vide opporsi le due anime della supermassoneria: un funzionario kennediano come Arthur Schlesinger jr. fu determinante nel neutralizzare i tre tentativi di golpe condotti nella pensiola. E al colpo di Stato dei colonnelli in Grecia, i progressisti risposero nel ‘74 con la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, fatta scattare non a caso il 25 aprile, per ricordare la liberazione antifascista dell’Italia. Quattro anni dopo fu rapito e ucciso Aldo Moro, politico che intendeva preservare la sovranità italiana di fronte al nuovo globalismo che stava già progettando l’Ue. Poco prima del sequestro, Moro fu minacciato e intimidito a Washington da Kissinger: fu lo stratega del golpe cileno ad “avvertire” il leader democristiano che avrebbe rischiato la vita, insistendo con l’alleanza con il Pci di Berlinguer.Nel suo libro, Magaldi rivela che Kissinger è stato l’eminenza grigia della “Three Eyes”, la superloggia che più di ogni altra, prima dell’11 Settembre, si è impegnata per fermare l’avanzata dei diritti sociali in Occidente. Sempre Magaldi sostiene che la P2 di Gelli non era che il braccio operativo italiano della “Three Eyes”. In un recente convegno a Milano, il Movimento Roosevelt – di cui Magaldi è presidente – ha ricordato le figure di Olof Palme e Thomas Sankara. Due massoni progressisti, assassinati nella seconda metà negli anni ‘80 alla vigilia dell’avvento della globalizzazione neoliberista del pianeta, che avrebbe incluso anche la Cina e che oggi colpisce duramente l’Africa: lo stesso Sankara, leader carismatico del Burkina Faso, si era opposto alla schiavitù finanziaria del debito. Palme, unico premier europeo ucciso mentre era in carica, fu freddato a Stoccolma nel 1986. Un uomo scomodo: fautore del miglior welfare europeo e dell’impegno diretto dello Stato nell’economia sociale, avrebbe ostacolato la nascita di questa Ue, di segno oligarchico. Un anno dopo l’omicidio Palme scomparve da Roma il professor Federico Caffè: era considerato il maggior economista keynesiano d’Europa, capace di fornire agli Stati gli strumenti per consentire ai governi di sostenere finanziariamente le economie, puntando al benessere dei cittadini.Il neoliberismo è oggi la nuova religione universale: ne fanno professione anche Lilli Gruber, Matteo Renzi e lo stesso Mattia Feltri, ospiti del Bilderberg. La teologia neoliberale prevede che siano gli attori finanziari a decidere le politiche degli Stati, a prescindere dalle elezioni: i governi sono ricattati dal debito statale, che si chiama ancora “pubblico” ma è stato privatizzato, essendo detenuto da fondi d’investimento privati. Di qui il dogma dello “Stato minimo”: obbligo di tagliare la spesa pubblica, fino a ridurre a zero il ruolo sociale dello Stato con il pareggio di bilancio. Una linea politica risultata disastrosamente evidente in Italia con l’avvento di Monti nel 2011, fedele esecutore dell’austerity imposta da Bruxelles. Nel frattempo, alla crisi sociale determinata dal rigore finanziario si è accompagnata l’esplosione del caos geopolico planetario, innescato dal crollo dell’Urss e deflagrato con l’attentato del 2001 alle Torri Gemelle, per arrivare fino al terrorismo targato Isis. Una dinamica infernale, che Magaldi riconduce alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpha” creata dai Bush per esportare in tutto il mondo la strategia della tensione. Obiettivo: imporre a mano armata la globalizzazione neoliberista. Una narrazione, questa, da cui restano lontanissimi politici come Renzi e giornalisti come Mattia Feltri e Lilli Gruber, che non ha mai neppure citato il libro di Magaldi (ben noto invece ai signori del Bilderberg e a tutti i veri potenti di questi anni, da Napolitano a Draghi).La 67ma riunione del gruppo Bilderberg si terrà a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al 2 giugno. Politica, economia, industria, finanza e media: tra i circa 130 partecipanti, nella “delegazione” italiana ci saranno Matteo Renzi, Stefano Feltri del “Fatto Quotidiano” e Lilli Gruber. Lo conferma, in una nota, l’“Huffington Post”. Saranno trattati 11 grandi temi globali in quattro giorni, tra questi anche ambiente e futuro: “Un ordine strategico stabile”, “Quale futuro per l’Europa?”, “Cambiamenti climatici e sostenibilità”. E poi “Cina”, “Russia”, “Il futuro del capitalismo”, “Brexit”. E ancora: “L’etica dell’intelligenza artificiale”, “I social media come arma”, “L’importanza dello spazio”, “Le minacce cyber”. «A iniziare le conferenze del gruppo – scrive l’“Huffington” – fu un’idea del magnate statunitense David Rockefeller. La prima riunione si tenne il 29 maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg nei Paesi Bassi e il punto focale dell’incontro fu la crescita dell’antiamericanismo che si respirava in Europa occidentale». Lo stesso Bilderberg oggi spiega che a Montreux è invitato «un gruppo eterogeneo di leader politici ed esperti dell’industria, della finanza, del mondo accademico, del lavoro e dei media».
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Magaldi oscurato su Facebook: “Spieghino, o li denuncio”
Gioele Magaldi oscurato da Facebook: «Da qualche giorno non posso più accedere alla mia pagina, da cui peraltro sono spariti tutti i contenuti. Nel caso ci fosse del dolo, a Facebook farò una causa coi fiocchi», avverte il presidente del Movimento Roosevelt, in web-streaming su YouTube il 13 maggio con Fabio Frabetti di “Border Nigths”. E aggiunge: «Mi auguro che sia solo un problema tecnico momentaneo, perché i miei contenuti (politico-culturali) non sono certo considerabili “inappropriati”, da Facebook». Magaldi è un personaggio pubblico piuttosto noto. «Anche nel caso si trattasse solo di un inconveniente – dice – resta comunque il danno: lo conferma una sentenza del tribunale di Pordenone, che – come ricorda l’Associazione Forense Emilio Conte – il 10 dicembre 2018 ha condannato Facebook a ripristinare il profilo di un utente arbitrariamente chiuso, infliggendo anche il pagamento di una penalità per ogni giorno di ritardo». Magaldi è perfettamente consapevole dell’occhiuta “sorveglianza” di Facebook alla vigilia delle elezioni europee: il social network ha appena chiuso 23 pagine italiane, con 2,4 milioni di follower, accusate di diffondere “fake news”.