Archivio del Tag ‘autoritarismo’
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Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani
I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano». Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».
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Tav, lezione francese: trasparenza d’obbligo, per legge
Un’opera «strategica per la crescita», che impedirebbe di «lasciar scivolare la nostra penisola verso il Mediterraneo senza un solido ancoraggio all’Europa»: così parla il premier Mario Monti, l’uomo che finge che l’Italia sia isolata dal resto d’Europa e intanto continua a rifiutare di dare spiegazioni ai 360 tecnici e docenti dell’università italiana che gli chiedono di farla finita con gli slogan e accettare una buona volta un confronto serio sulla “follia” della Torino-Lione. Ancora più irridente e “antico” il ministro dell’ambiente, Corrado Clini: «Si tratta di scegliere se si vuole vivere nel futuro o nel passato», dice, sfrecciando a bordo del super-treno cinese Pechino-Tianjin. La Tav nostrana? Un’opera che «forse non è stata sufficientemente spiegata», ammette soavemente lo stesso Monti, sorvolando sul fatto che – al di là delle Alpi, in quell’Europa così comoda da citare a sproposito – la discussione sulle grandi opere è addirittura obbligatoria, per legge.
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Ugo Mattei: sveglia, la democrazia italiana non esiste più
Penso che i referendum siano stati una gigantesca occasione perduta, a cui ha fatto seguito una reazione molto più dura di quanto ci saremmo potuti aspettare. Talmente dura da sfociare in un governo tecnico che ha sospeso la democrazia in tutto il paese, istituendo un modo di fare politica fascistoide. Chiunque protesta è aggredito o trattato come sovversivo. Penso che ciò sia una vera e propria reazione al risultato referendario di giugno: in quell’occasione, in quella fase storica, milioni di italiani – cittadini di uno dei grandi paesi industrializzati – avevano affermato di voler abbandonare il modello neoliberista. Dopo questa affermazione ha agito una reazione a cui abbiamo risposto con una spaventosa debolezza politica.
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Macché “pecorella”, stanno usando la polizia contro di noi
Fa davvero impressione il coro di commenti indignati e perbenisti scatenato dal filmatino che mostra l’innocua provocazione di un manifestante della Val di Susa verso un carabiniere. Si è scomodato Pasolini, si è parlato di squadrismo, si è evocato il rischio di un’escalation di violenze, il tutto senza mostrare il minimo senso del ridicolo, nonostante l’acme della provocazione sia stato individuato – dagli indignati commentatori – nell’epiteto “pecorella”. Epiteto, peraltro, usato dallo “squadrista” per segnalare alla telecamera che riprendeva la scena, la curiosa condizione che viviamo in Italia, un paese dove i cassieri del supermercato esibiscono sul petto un’etichetta di riconoscimento, ma i poliziotti no: e dire che si tratterebbe di una misura in favore della legalità
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Europa criminale: verso il governo tecnico dei Colonnelli?
Nel 1941 Manolis Glezos riuscì a togliere la bandiera nazista dall’Acropoli di Atene, occupata dai tedeschi. Divenne un capo e un eroe della Resistenza. Ieri notte Glezos, a 91 anni, era in piazza per lottare contro le misure imposte dall’Europa alla Grecia, è stato colpito dalla polizia ed è ricoverato in ospedale. Se fossi stato in piazza Sintagma avrei anch’io applaudito i black bloc. Quello che si sta facendo alla Grecia è una violenza autoritaria senza precedenti per l’Europa occidentale, dal ‘45 ad oggi. Il solo paragone che viene a mente è quando nel 1938, a Monaco, le grandi potenze europee umiliarono la piccola Cecoslovacchia costringendola a cedere la regione dei Sudeti a Hitler. Allora si disse che l’Europa aveva scelto il disonore per evitare la guerra e avrebbe avuto entrambe.
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C’era una volta l’Inghilterra, paese svenduto alla finanza
Nel giorno più violento delle rivolte dell’estate scorsa, la borsa di Londra è crollata ai minimi dell’anno. Poco dopo la fine dei riots si è venuto a sapere che il 20 per cento dei britannici tra i sedici e i ventiquattro anni è senza lavoro e che il 2011 sarebbe stato l’anno con il numero più alto mai registrato di candidati non ammessi all’università. Cameron ha parlato del “lento declino morale” della Gran Bretagna, riprendendo un’espressione più volte usata quando era all’opposizione: broken Britain, un paese in pezzi. I problemi del paese sono particolari: particolarmente seri, particolarmente fastidiosi e particolarmente indecenti. Il paese che si autodefinisce “Cool Britannia” è diventato avido, ossessionato dall’affarismo, xenofobo, bellicoso e arrogante.
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Ungheria: Frankenstein o la Bce, di che golpe morire?
Il 2 gennaio 2012 circa centomila ungheresi sono scesi in piazza per protestare contro la nuova Costituzione che è entrata in vigore proprio quel giorno. Come i “Ragazzi della Via Paal” si sono avviati a una battaglia già perduta, e i cui effetti si faranno sentire, drammaticamente, nei mesi a venire. È uno degli avamposti sperimentali dove la crisi europea sta arroventandosi e nei quali non è al momento possibile immaginare esiti e sviluppi. Un parlamento nelle mani del premier Viktor Orbán, e del suo partito personale, ha modificato radicalmente, avvalendosi di una schiacciante maggioranza, la legge fondamentale dello Stato ungherese.
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I banchieri e la decrescita infelice che oggi ci impongono
Dovremo subire una nuova rivoluzione passiva, dopo quella che ha colpito il termine federalismo? Sentiremo parlare di decrescita da parte dei nuovi poteri? Magari, una decrescita ridotta alla miseria condivisa da quasi tutti e all’arricchimento folgorante di pochissimi? Nel suo significato originario, osserva Mario Pezzella, decrescita non significava pauperismo, austerità e regressione, ma una diversa qualità della produzione e dei consumi, capace di rispettare le risorse naturali e di impedirne la distruzione. Ma oggi il termine sta subendo una vera e propria “rivoluzione passiva”, ed è diventato un sinonimo della depressione che le manovre finanziarie stanno imponendo ai paesi deboli dell’Europa del Sud.
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Stato sociale sovrano, o vinceranno violenti e finanza
Rilevo nei “demolitori” di piazza san Giovanni una qualità superficiale e un limite di fondo. La qualità sta nella rapidità. L’onda di una rivolta distruttiva cresce in Europa ogni giorno, con accelerazioni improvvise. E’ interessante notare che, sul piano strettamente visivo, questi “riots”, queste azioni rivoltose, sembrano le uniche in grado di colpire alla stessa velocità dei famigerati mercati finanziari. In termini puramente simbolici, le fulminee azioni della guerriglia urbana danno cioè l’illusione di essere le uniche capaci di tener testa al ritmo forsennato della speculazione finanziaria, che abbatte i prezzi dei titoli, aumenta i tassi d’interesse e offre un alibi ai governi che colpiscono il welfare e il lavoro. Potremmo dire, insomma, che a un primo sguardo i “demolitori” sembrano i soli in grado di “colpire veloci” come gli speculatori.
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Lavorare meno e meglio: chi sfrutta l’uomo uccide la Terra
Penso che il fondamento dell’ecologismo sia, in termini generali, osservare e denunciare i mali che si producono sulla natura, ma senza soffermarsi troppo a considerarne le cause, cioè lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, cosa che implica anche lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo. Per questo motivo, perché contiene queste premesse, il marxismo mi ha sempre interessato. L’ecologismo ha criticato molte volte il marxismo per essere eccessivamente operaista e produttivista, a volte a giusta ragione. Ma personalmente difendo una decrescita correlata al marxismo, che elimini lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro alienato, il consumismo e il produttivismo. Queste idee si possono ritrovare nel pensiero di Marx.
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Bocca: dai fascisti al Sultano, il presente che fa paura
Nell’anno del suo novantesimo anno, Giorgio Bocca si volta e lancia uno sguardo alle spalle. Viene in mente la prima pagina del quotidiano “Il Giorno” del 12 aprile 1961: «Mi volto, e vedo Eichmann», uno dei più semplici e più efficaci «attacchi» mai pubblicati su un giornale. Anche oggi, quando si volta, vede il Male. Sono i mali del nostro Paese. Li elenca nell’indice del suo nuovo libro, in uscita il 27 gennaio (”Annus Horribilis”), I fascisti al governo, La marea nazista, La dittatura morbida, Il tiranno che vuole essere amato, Il sultano, Il populista, Papi, La grande crisi, Criminalità globale, Tramonto dell’operaismo, Le nuove guerre, Sulla modernità.
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Spinelli: Napolitano e Fini fermeranno la tele-dittatura
Mentre le potenze europee si chiedevano ‘cosa avesse in mente Hitler’, Churchill nel 1936 affermò che era finito «il tempo delle mezze misure, degli espedienti, dei sedativi», ma si era già entrati «nel tempo delle conseguenze». Barbara Spinelli, tra le più riconosciute osservatrici dei fatti politici italiani, lancia un allarme esplicito: la crisi è acuta, ormai «è finito il tempo di chiedersi ‘cosa accadrà’», ci siamo tutti abituati «all’idea che avverrà qualcosa di ancora peggiore», viste di minacce di Berlusconi che non riconosce più Quirinale e Consulta. Unica uscita di sicurezza? Fini. Perché «il regime autoritario può essere scalzato soltanto dalla maggioranza».