Archivio del Tag ‘avanguardia’
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I 5 Stelle: rassegnatevi, la Tav Torino-Lione non si farà più
«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».Anche dalla valle di Susa si è alzata la protesta che ha investito Toninelli, appena ha solo accennato alla volontà di «migliorare» la Tav invece di confermare la rinuncia al tunnel. «Luigi Di Maio non può permettersi di liquidare entrambe le promesse elettorali, figlie di campagne identitarie per i grillini», sostiene Lombardo. Il post in cui tre giorni fa Toninelli annunciava un veto su qualsiasi ulteriore firma «ai fini dell’avanzamento dell’opera» è stato un avvertimento e un primo segnale. Rivolto anche all’alleato di governo, la Lega, che invece è stata una grande sostenitrice della Tav. Conte, aggiunge “La Stampa”, sarebbe ormai pronto ad abbracciare il piano di Di Maio e Toninelli, che ha un obiettivo chiaro: «La chiusura della tratta piemontese dell’alta velocità, nascosto dietro a una dichiarazione di intenti più fumosa che parla di “ridiscutere integralmente l’infrastruttura”, esattamente quello che c’è scritto nel contratto di governo, e che per i grillini può essere interpretato anche in maniera radicale». Lo stesso Toninelli, sul “Blog delle Stelle”, non usa però mezzi termini, riguardo al progetto Torino-Lione: «E’ stato enorme lo sperpero di danaro pubblico per favorire i soliti potentati, certe cricche politico-economiche e persino la criminalità organizzata».Impietosa l’analisi del ministro: la parte internazionale della Torino-Lione in teoria dovrebbe costare 9,6 miliardi (il 40% a carico dell’Ue, il 35% a spese Italia e il 25% della Francia), ma già nel 2007 era emerso che il costo vero arriverebbe a 20 miliardi di euro, o addirittura 26 secondo la Corte dei Conti francese, sulla base delle stime del Tesoro di Parigi aggiornate al 2012. Costi folli, per un’opera giudicata inutile: è infatti ormai semi-deserta la linea Torino-Modane che già collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa, nonostante il recente ammodernamento del Traforo del Fréjus, costato 400 milioni. Peggio: nel caso della Torino-Lione sarebbero davvero eccessivi gli oneri gravanti sull’Italia, nonostante il nostro paese sia interessato solo da 12,5 chilometri dell’ipotetico traforo internazionale da scavare per 57,5 chilometri sotto il Moncenisio. «Uno degli aspetti più scandalosi sta proprio lì», sottolinea Toninelli: «I nostri governanti del tempo, stiamo parlando dei primissimi anni Duemila, decisero di accollarsi la parte maggiore delle spese per convincere la Francia, che era giustamente riluttante rispetto alla costruzione dell’opera. Anche perché negli ultimi venti anni lo scambio di merci tra Italia e Francia ha avuto una discesa costante». Da neo-ministro, Toninelli accusa: «Mi son trovato a mettere le mani in un verminaio di sprechi, connivenze corruttive, appalti pilotati, varianti in corso d’opera che hanno fatto esplodere i costi negli anni. E’ difficile raddrizzare la barra, ma dobbiamo farlo. Lo dobbiamo ai nostri concittadini e soprattutto alle generazioni future».Scandalosa la gestione dell’alta velocità ferroviaria in Italia: ci costa in media 28 milioni di euro a chilometro contro i 12 milioni della Spagna, i 13 della Germania e i 15 della Francia. Cifra che sale a 33 milioni di euro a chilometro con le linee in via di costruzione. «E’ per questo che abbiamo avviato una seria revisione progettuale su queste infrastrutture», spiega Toninelli: «Non si può più fare a meno di una rigorosa analisi costi-benefici». Rifarsi al “contratto” di governo, scrive il ministro, pensando soprattutto a Salvini, significa «voler ridiscutere integralmente l’infrastruttura, senza preclusioni ideologiche ma senza subire il ricatto che ci piove in testa e che scaturisce dalle scandalose scelte precedenti». Di qui l’intimazione ai tecnocrati: «Nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera, lo considereremmo come un atto ostile: le opere si fanno se servono ai cittadini, non a chi le costruisce». Il progetto Tav Torino-Lione (tuttora solo cartaceo) è nato da un accordo con la Francia ratificato dal Parlamento. Un’intesa che però, secondo Palazzo Chigi e il ministero dei trasporti, può essere stracciato attraverso una legge e un altro voto alle Camere, sempre che la maggioranza regga e la Lega non si sfili.A oltre 15 anni dal tentativo di avvio del primo cantiere a Venaus, letteralmente fermato dalla protesta popolare, i lavori – sul versante italiano – sono ancora limitati alla sola galleria esplorativa di Chiomonte. Secondo i ministri grillini, scrive la “Stampa”, si tratterebbe semplicemente di restituire i fondi all’Europa (800 milioni di euro) senza penali. «I contatti con i francesi sono continui, ma la parte grillina del governo è decisa ad andare avanti anche a costo di scontri diplomatici con Parigi, con conseguente richiesta di risarcimenti». Il “no” definitivo è previsto per il prossimo autunno, tra ottobre e novembre, quando si concluderà l’analisi costi-benefici, inclusi quelli ambientali. «Ma il destino dell’alta velocità piemontese si incrocia anche con la partita delle nomine in corso in queste ore», aggiunge Lombardo sul quotidiano torinese. «Telt, la società responsabile della realizzazione della Torino-Lione, è per il 50% in mano allo Stato francese e per il restante 50% controllata da Ferrovie, i cui vertici sono stati azzerati da Toninelli l’altro ieri». Tra i valsusini prevale la prudenza: riusciranno davvero, i 5 Stelle, a fermare l’inutile ecomostro che ha finora attratto potentissimi interessi economici, politici e finanziari, al punto da apparire impossibile da fermare?«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».
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Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia
«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
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Crolla un’epoca di abusi, se la Torino-Lione non è più tabù
«Se proprio bisogna spendere tanti miliardi per “bucare” qualcosa, si perfori il sottosuolo di Torino per dotare il capoluogo piemontese di una vera rete metropolitana: vorrebbe dire fermare migliaia di auto, migliorare la salute della città più inquinata d’Italia e regalare ai pendolari due ore di vita ogni giorno, contro il famoso quarto d’ora che la Torino-Lione farebbe risparmiare agli improbabili passeggeri della linea ferroviaria ad alta velocità». Parola di Gianna De Masi, già assessore ambientalista di Rivoli, terza città della provincia per numero di abitanti, alla vigilia dell’ennesimo corteo promosso dai NoTav per celebrare i trent’anni di opposizione all’infrastruttura più controversa d’Europa. «Ormai la Francia aspetta solo un cenno per poter dire addio a questo progetto faraonico e completamente inutile», sostengono gli attivisti valsusini. «Sono gli stessi tecnici di Palazzo Chigi, oggi, a confermare i dati da noi forniti da almeno dieci anni», puntualizza il professor Angelo Tartaglia del Politecnico torinese: la Torino-Lione (costosissima, devastante per l’ambiente, pericolosa per la salute con cantieri “infiniti” tra montagne piene di amianto) non servirebbe a niente, dato che il trasporto italo-francese è al tramonto e l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa potrebbe reggere da sola un incremento del 900% del traffico, secondo le autorità elvetiche incaricate dall’Unione Europea di monitorare i collegamenti transalpini.
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Soldi e potere: è antica la guerra alla medicina naturale
In questi tempi c’è una guerra dichiarata tra la medicina naturale e quella ufficiale, che evidenzia le falle di quest’ultima mettendone in risalto i limiti palesi (basti pensare che nonostante le spese immense per la ricerca sui tumori, questa malattia sta aumentando vertiginosamente) e la medicina tradizionale allopatica, che schiera dalla sua parte i vari soloni a colpi di radiazione dei medici eretici. Recenti sono i casi di Gabriella Mereu, di Tullio Simoncini, di Ryke Geerd Hamer, di Paolo Rege-Gianas. Pochi giorni fa è stata radiata dall’ordine la dottoressa Gabriella Lesmo, rea di aver preso posizione contro i vaccini (settore che ha iniziato a studiare con particolare attenzione per via del fatto di avere un figlio reso autistico proprio a seguito della somministrazione di vaccini). Pochi mesi prima era stato radiato per lo stesso motivo un altro medico, Dario Miedico. E sempre recentemente è stato radiato dall’ordine Paolo Rossaro, per aver prescritto una cura alternativa alla chemioterapia in un caso di tumore. In realtà, la lotta tra medicina naturale e medicina tradizionale ufficiale esiste da secoli, e può individuarsi il punto di origine nel Medioevo, ad opera dapprima della Chiesa cattolica, e successivamente ad opera della scienza ufficiale, che ha preso il testimone dell’oscurantismo cattolico. Vediamo come e perché nasce questa battaglia, e perché essa è identica ai giorni nostri, come nel Medioevo, e in tutti i secoli intermedi.
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Giorgio Galli: magia, esoterismo e potere. La storia segreta
Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.La missione dello studioso: svelare retroscena occulti e, al tempo stesso, demifisticare – con l’occhio razionale dello storico – le tante mitologie connesse al presunto potere di grandi “maghi”, al fianco dei potenti della Terra. Nel mirino innnanzitutto il leader del nazismo. Un fenomeno al quale – tra Himmler e la società Thule – il professor Galli ha dedicato ben tre saggi. Il primo, “Hitler e il nazismo magico” (Rizzoli) risale al 2005. A seguire, “La svastica e le streghe”, una “intervista sul Terzo Reich, la magia e le culture rimosse dell’Occidente”, pubblicata da Hobby & Work nel 2009, quattro anni prima di “Hitler e la cultura occulta”, libro uscito nel 2013, pubblicato ancora da Bur-Rizzoli. Impossibile non notare il potere ipnotico che la retorica del dittatore esercitava su masse immense, durante le celebri adunate oceaniche del nazismo. Disponeva di tecniche occultistiche? «Intanto era nato a Braunau sull’Inn, paese che ha dato i natali a un numero di medium superiore alla norma: c’è chi ritiene che, in determinate zone della Terra, vi siano cariche magnetiche che conferiscano doti particolari, come quelle che caratterizzano i medium e i veggenti». Inoltre, aggiunge Galli, è noto che Hitler prese lezioni da Erik Jan Hanussen, famoso ipnotista austriaco che, «nei teatri, ipnotizzava gli spettatori, facendo creder loro che fossero reali fenomeni che erano solo immaginari».Lo stesso Hanussen, mago e illusionista, fu poi ucciso dai nazisti il 30 giugno del 1934 nella strage passata alla storia come la “notte dei lunghi coltelli”. Una buona occasione «per far sparire le tracce della formazione ipnotistica che Hitler aveva ricevuto». Ma una cosa è ammettere che Hitler credesse nell’occulto e si avvalesse di maghi come Hanussen, un’altra è pensare che il nazismo sia “esploso” in virtù della magia: «Mai, il nazismo, si sarebbe potuto affermare senza la sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale, senza la crisi del dopoguerra e senza la grande crisi del ‘29, tutti fenomeni che hanno determinato il destino del paese sino all’avvento del Terzo Reich». Quindi attenzione: «Io non sostengo che l’esoterismo sia la chiave interpretativa della storia», precisa Galli. «Dico che ne è una delle componenti (e non delle più importanti), che però è stata completamente trascurata». E’ chiaro che a partorire il nazismo è stata la crisi politica, sociale ed economica patita dalla Germania a partire dal 1914. «Le cause che gli storici hanno studiato permettono di capire la vicenda tedesca anche senza bisogno di studiare l’esoterismo. Però, appunto, c’è anche l’esoterismo: e ha avuto un ruolo importante nella formazione culturale di una parte dell’élite nazionalsocialista».La storia politica ed economica spiega tante cose, ribadisce Galli, ma «talvolta, in determinate circostanze, non spiega tutto». Secondo il gollista Maurice Schumann, gruppi esoterici presenti anche in Vaticano hanno influenzato la nascita della stessa Unione Europea: «E’ una componente sin qui trascurata, meno importante di altre, ma che va tenuta presente». Giorgio Galli ha scritto anche un’introduzione al recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, nel quale Enrico Montermini mette in luce il rapporto (rimasto in ombra) tra il fascismo e l’esoterismo, dal ruolo di Giuseppe Cambareri – il mago di tanti ufficiali dell’esercito mussoliniano – all’intervento della massoneria anglosassone agli esordi delle camicie nere, fino al drammatico epilogo di piazzale Loreto, «macabro sacrificio rituale per celebrare simbolicamente la caduta dell’ultimo Cesare». Magia e dittature, ma non solo: «Lo stesso Churchill, che era massone – racconta Galli – si consultò moltissimo con l’ambiente esoterico, prima di decidere l’atteggiamento da assumere con Hitler». Furono alcuni esoteristi a confermargli che occorreva opporsi strenuamente al Terzo Reich: impossibile conviverci, perché avrebbe trasformato l’Europa nel peggiore degli incubi.Esoterismo? «E’ una cultura che ha solide radici nella storia dell’Occidente», spiega Giorgio Galli al pubblico di “Border Nights”. «Bisogna risalire agli astrologi caldei, ai profeti ebraici, fino a personaggi molto recenti come René Guénon e Julius Evola». Si intitola “Occidente misterioso” un saggio del 1987, edito da Rizzoli, in cui Galli indaga tra “baccanti, gnostici, streghe”, ovvero “i vinti della storia e la loro eredità”. «E’ una corrente di pensiero che ha solide radici e si ripresenta anche in periodi di grande avanzamento scientifico». Per dire: erano esoteristi Cartesio e Newton. «Si tratta di una cultura che ha profonde radici nello sforzo umano verso la conoscenza: radici così solide che, dal ‘500 in poi, ha potuto resistere al grande avvento della rivolzione scientifica». Quella dell’esoterismo «è un tipo di conoscenza che prevede approcci diversi da quelli scientifico-razionali». Metodo analogico, pensiero simbolico. Com’è che i politici entrano in contatto col mondo esoterico? «Esistono gruppi e associazioni che mantengono viva questa tendenza». Secondo la cultura esoterica, aggiunge il professore, «sulla Terra sono esistite civiltà molto remote, in genere scomparse per catastrofi naturali: l’esempio più noto sono i riferimenti che Platone fa ad Atlantide».Giorgio Galli segnala un libro come “L’altra Europa”, nel quale l’autore – Paolo Rumor (figlio di Mariano, pluri-minustro Dc) – documenta «la convinzione che siano esistite civiltà terrestri delle quali sono rimaste tracce, e in cui affonderebbe le sue radici la politica che poi ha portato all’Unione Europea». Intorno all’anno Mille, dice Galli, in alcuni ambienti «era maturata quella convinzione», riguardo all’ancestrale discenza da civiltà estinte. E quindi «ci sarebbe un rapporto tra antichi assetti sociali e il progetto dell’Ue, che in realtà è nato molto prima di quanto si ritenga». Se qualcuno ha in mente solo Jean Monnet, la Cee e l’Unione Europea si sbaglia: «Documenti di Mariano Rumor – afferma il professore – dimostrano che questo progetto sarebbe maturato molto più in là nel tempo, in ambienti legati alla cultura esoterica e alla convinzione dell’esistenza di antiche civiltà scomparse, che avrebbero lasciato tracce nella nostra cultura». Sicché, periodicamente, «emergono piccoli cenacoli, che credono di essere gli eredi di un antico sapere». Gli approcci sono diversi, aggiunge Galli: «Alcune società esoteriche sono orientate verso la conoscenza: per loro, l’esoterismo è uno strumento del sapere. In altri gruppi, invece, si ritiene che possa anche essere uno strumento per il potere».Non ha molti segreti, per Giorgio Galli, la contaminazione esoterica della politica: ne parlava già nel 1995 in “Cromwell e Afrodite” (Kaos), o in libri come “La politica e i maghi, da Richelieu a Clinton”, pubblicato da Rizzoli nello stesso anno. Galli ha firmato studi sulla massoneria, su Fatima, sulla new age, sulle Torri Gemelle. Titoli accattivanti: “La venerabile trama”, del 2007 (Lindau), racconta “la vera storia di Licio Gelli e della P2”. In “Stelle rosse” (Alacran, 2007), mette a nudo “astrologia neo-illuminista a uso della sinistra”. Titoli espliciti: “Politica ed esoterismo alle soglie del 2000”, scritto con Rudy Stauder e pubblicato da Rizzoli nel 1992, e “Esoterismo e politica” (Rubbettino, 2010). E’ del 2004 il saggio “La magia e il potere”, ovvero “l’esoterismo nella politica occidentale”, edito da Lindau. Ma cos’è la magia? Solo superstizione? «E’ un approccio culturale che si è manifestato in una fase della storia umana», spiega il professore a “Border Nights”, rispondendo alle domande di “Maestro di Dietrologia”. «Non credo che esista una magia con un reale potere», aggiunge. «Credo però che sia una convinzione diffusa». L’esoterismo, dice, è anche questo: «La convinzione che, facendo determinate operazioni, o con certe liturgie, si possano ottenere determinati risultati. La cultura esoterica è legata a questa convinzione, che però non è la mia».I maghi, aggiunge Giorgio Galli, sono i rappresentanti di questo tipo di cultura: talvolta entrano in contatto col potere e talvolta no. «La rivoluzione scientifica ha reso meno sistematici quei rapporti: quelli che vengono chiamati Magi, astrologi e veggenti facevano parte normalmente del personale vicino al potere – a Roma e in Grecia, poi nelle corti medievali. Fino al ‘500-600 questi rapporti erano organici e continui, in seguito sono diventati più rari o soltanto occasionali». E i famosi maghi consultati da capi di Stato? «In alcuni casi – risponde Galli – ci sono società segrete che trasmettono questo tipo di cultura. Alcune – tedesche, francesi, inglesi – sono elencate in “Hitler e il nazismo magico”. Probabilmente ne esistono ancora, anche se adesso la loro influenza mi pare molto minore di quanto non fosse all’inizio del secolo scorso». Magia e potere, ma soprattutto stelle, oroscopi, tarocchi. «Quello che so – aggiunge Galli – è che molti politici, anche di rilievo, consultano abituamente astrologi e cartomanti: sono un aspetto popolare e diffuso di culture che hanno origini esoteriche, ma è anche un campo che si presta moltissimo alle truffe e alle manipolazioni».Da Roma, ha contattato il professore un gruppo di tradizione esoterica che si definisce “Evoliani a 5 Stelle”, dal nome di Evola. «Sono degli esoteristi di cultura evoliana, che si esprimono positivamente attorno al Movimento 5 Stelle», precisa Galli. Non che l’esoterismo sia del tutto estraneo, ad alcuni aspetti del mondo grillino: «Lo stesso cortometraggio di Gianroberto Casaleggio, “Gaia”, esprime una cultura che qualche rapporto con quella esoterica potrebbe averlo: è collegata con la cultura delle grandi catastrofi, che poi alla fine danno un risultato positivo». Ma quello dei 5 Stelle è un populismo destinato a trasformarsi nella vera avanguardia tecnocratica del neoliberismo globalista? Giorgio Galli lo esclude in modo categorico. «I 5 Stelle secondo me sono ancora in una fase magmatica, in cui convivono componenti dell’anticapitalismo di sinistra e componenti dell’anticapitalismo di destra. Penso che siano in una fase di trasformazione – conclude il politologo – ma non credo affatto che possano diventare i nuovi strumenti del grande capitale: rimarranno sempre un movimento indirizzato a cambiamenti che, nella loro cultura, ritengono positivi. Che poi riescano nel loro intento è un altro problema, ma non credo che si mettano al servizio del potere capitalistico».Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.
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Eresia verde: l’ultima ideologia vincente prima del liberismo
Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.La Grecia era ancora il paradiso in cui andare in vacanza, non l’inferno di oggi senza medicine per i bambini. Nessun esodo di esseri umani disperati: apostoli come Thomas Sankara lavoravano per un’Africa libera e dignitosa. Finiva in soffitta anche il gelido bullismo delle superpotenze: in accordo con Reagan, l’intrepido Gorbaciov stava per rottamare i suoi famosi missili. Quella italiana era una società relativamente rilassata e tollerante, ottimista e in parte progressista, già divorzista e abortista, non ostile alle provocazioni culturali. Gli intellettuali scrivevano libri, il “Nome della rosa” metteva alla berlina il potere medievale del Vaticano. E un certo Primo Levi prendeva posizione contro i massacri ordinati da Israele in Libano, il martoriatro paese mediorientale dove i soldati del generale Angioni sfilavano tra gli applausi, sui loro carri armati bianchi. Rivista oggi, quell’Italia imperfetta e minata da mali endemici era infinitamente più coesa e meno cinica, più serena e fiduciosa dell’attuale euro-periferia cronicamente depressa.C’è di mezzo un’era glaciale, è vero: senza Internet, le notizie facevano ancora notizia. Il terremoto in Irpinia e il business della camorra, la bomba di Bologna e la strage di Ustica, il bambino finito nel pozzo a Vermicino. Non esisteva Facebook, per gli italiani parlava Renzo Arbore. Minoli intervistava Agnelli, Gianni Minà ospitava De André. Guardava avanti, quell’Italia, verso successi inimmaginabili: una stagione di trionfi per l’economia, gli anni rampanti di Bettino Craxi, il boom del made in Italy. Stupiva il mondo, la penisola dell’Iri, proprio quando l’Inghilterra sprofondava nell’austerity varata dalla Thatcher. C’era già allora chi pensava di sabotarlo, il Belpaese – i medesimi poteri che l’avevano riempito di bombe, seminando il terrore nelle piazze. E c’era chi, al contrario, sperava di correggerne lo sviluppo tumultuoso, bonificandone le scorie. C’era stato un evento epocale, che aveva costretto tutti a fermarsi e pensare. Era saltata in aria un’enorme centrale nucleare sovietica, in Ucraina. Messaggio esplicito: nessuno può sentirsi al riparo; non c’è frontiera che tenga, di fronte a un simile disastro. Retromessaggio: il mondo ormai è strettamente interconnesso. La nube tossica di Chernobyl aveva investito l’intera Europa, ma l’Italia fu l’unico paese ad avere il coraggio di mettere al bando l’energia atomica.Riletto oggi, l’ideologo ecologista Alex Langer potrebbe sembrare un visionario epigono di Gandhi. Nel loro positivismo scientifico fondato sulla fiducia nella ragione, i fisici Gianni Mattioli e Massimo Scalia, primissimi parlamentari verdi, erano altrettanto consapevoli di predicare nel deserto: sapevano che sarebbero stati ignorati e poi derisi, prima di essere ascoltati. Dalla loro avevano una convinzione speciale, oggi estinta: la forza dell’ideologia. Cioè la visione profonda, prospettica, di un mondo diverso. Un pensiero lungo: come sarebbe bello, se la nostra consapevolezza di oggi potesse produrre, domani, una vita migliore – più sicura, più felice, con più diritti. Volevano un paese trasformato, in un pianeta progressivamente ripulito. Erano certi che la missione avrebbe richiesto decenni di duro lavoro, anche oscuro, fatto di studio e di consultazione progressiva con cittadini e territori, italiani e non. Sognavano un mondo “glocal”, i primi Verdi, rifondato secondo il preciso schema operativo riassunto dal loro slogan: pensare globalmente e agire localmente. Non seminavano odio, ma futuro. Non chiedevano di votare “contro”, ma “per”: in palio, secondo loro, poteva esserci un domani diverso e inclusivo, migliore per tutti. Non ha nemici, l’ideologia – solo avversari temporanei, popolo da persuadere, alleati potenziali da conquistare alla causa.Non hanno mai sbancato la lotteria delle elezioni, i Verdi italiani – anzi, col tempo si sono degradati fino a scomparire nell’irrilevanza, tra infime diatribe di potere. Non altrettanto si può dire delle loro idee: grazie a quell’eresia, è stata messa in cassaforte una legislazione scrupolosamente attenta alla tutela dell’ambiente. Una rivoluzione copernicana, tradotta in politica, ha imposto (per legge) un cambio di paradigma, nei confronti dell’ecosistema, dai piani regolatori ai depuratori delle fabbriche e delle città. Poi la cultura “green” è diventata moda, veganesimo chic, persino malaffare (l’opaco business delle rinnovabili). In mano al marketing politico-affaristico, l’ecologismo maninstream s’è fatto dogma, conformismo da pensiero unico, politically correct. Ma intanto la natura è salita in cattedra nelle scuole, e lo splendore dei parchi ha piena cittadinanza, tuttora, in televisione. Potevano sembrare una setta di pazzoidi stravaganti, i discepoli di Langer, quando parlavano di prevenzione sanitaria e sovranità dei territori, qualità della vita e sicurezza alimentare: oggi l’Italia ha norme severissime, in materia, a tutela della genuinità delle filiere corte.E’ la filosofia del biologico, settore sempre più trainante, che ha spinto con successo milioni di giovani verso il ritorno all’agricoltura intelligente, pulita e selettiva. E persino nelle regioni terremotate dell’Italia centrale, ancora ingombre di macerie, è il consumatore della porta accanto a tenere in piedi l’economia del contadino, del piccolo artigiano. Cambiano le stagioni e tramontano i partiti, ma le idee camminano. Se hanno prodotto futuro, lo si vede alla distanza. Chi ne ha subito il fascino, in questi anni, ha condiviso un immaginario fondato su un’estetica, prima ancora che su un’etica: un mondo più verde è innanzitutto più bello. Oggi, i vincitori delle elezioni sono costretti a parlare soltanto di soldi: reddito garantito, meno tasse. Sono misure d’emergenza, richieste dalle circostanze. Siamo infatti tornati al “tempo di guerra”: non c’è più spazio per pensieri lunghi. Eppure, chi poi le guerre le vince per davvero – compresa l’ultima, mondiale – dalla sua parte non ha solo gli arsenali, ha anche e soprattutto un’idea chiara in testa, per il “dopo”. E’ quella, in fondo, che assicura la vittoria. Quella che oggi manca ancora, non a caso, rendendo proibitiva la percezione del futuro.E’ tutto più difficile, nel mondo digitale ultra-globalizzato? Eppure, in teoria, dovrebbe essere più facile far circolare idee, farle attecchire. A latitare è forse l’humus, il fertile terreno su cui coltivarle, dandosi tutto il tempo necessario. Sul piano culturale, l’ultima incarnazione dell’ecologismo nato negli anni ‘80 è stata la teoria economica della “decrescita felice”, sviluppata dall’italiano Maurizio Pallante con il francese Serge Latouche. La loro intuizione, mutuata da Bob Kennedy: alla crescita del Pil non corrisponde affatto quella del benessere. Non c’è stato bisogno di metterla alla prova: a stroncarla ha provveduto la “decrescita infelice” imposta dall’oligarchia europea. Una studiosa come Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, conferma che oggi, grazie alla deformazione strutturale del profitto finanziarizzato, la crescita del Pil non solo non migliora le condizioni del cittadino medio, ma addirittura le peggiora, accrescendo le diseguaglianze. Forse la soluzione non sta nel prodotto interno lordo, crescente o decrescente, ma risiede da tutt’altra parte: nel futuro, nel mondo delle idee.Il brutto film di oggi sembra fatto apposta per oscurarlo in ogni modo, l’avvenire: è un copione dell’orrore a corto raggio, che propone una normalità di sacrifici e sofferenze, terrorismo e guerra. Viviamo in un kolossal, scritto e diretto dal peggiore degli autori: la paura. Un labirinto cieco, che sembra senza uscita. Ma da ogni dedalo c’è sempre una qualche scappatoia – magari verticale, da indovinare alzando gli occhi al cielo. La forza dell’ideologia sta anche nell’universalismo delle idee: se qualcosa è buono qui, dev’esserlo anche altrove. Vale per tutti, ovunque: le idee non hanno nazionalità, ma possono salvare le nazioni. Globalizzare la democrazia, fermando il mostro onnivoro: roba da avanguardisti carbonari. Dicevano, i seguaci di Alex Langer: ma perché mai avvelenarci l’anima, in un paese favoloso (un Eden, per il turismo verde) che detiene la maggior parte dei beni culturali della Terra? Parole spese quarant’anni fa. Qualcuno oggi sa come saremo fra tre anni?(Giorgio Cattaneo, “Eresia verde, l’ultima ideologia vincente prima del neoliberismo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 marzo 2018).Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.
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Pino Cabras: coraggio, ognuno di noi può cambiare il mondo
Ringrazio di cuore gli 80.510 elettori del collegio Sardegna 03 che hanno votato il Movimento Cinque Stelle e mi hanno eletto alla Camera dei Deputati. Così come ringrazio altri che, pur votando altro e altrove, mi hanno manifestato commoventi dichiarazioni di stima e incoraggiamento. Ho sempre considerato l’impegno politico una parte importante del mio legame con la società. Perciò adesso sono contento di poter fare quel che faccio da una vita misurandolo meglio dentro le istituzioni, sebbene l’occasione si presenti in un momento davvero molto complicato (come potete ben vedere nel rebus che ci lascia in eredità la legge elettorale). Il contesto politico attuale è sì difficile, ma sono fiducioso. Mi viene in mente una frase dell’antropologa Margaret Mead: «Mai dubitare che un piccolo gruppo di cittadini pensanti e impegnati possano cambiare il mondo. In effetti è l’unico modo in cui sempre è stato cambiato». Non è una frase elitaria, anche se a prima vista potrebbe sembrare così. È semmai un modo per dire che l’esempio può essere trascinante: una fermezza morale, l’abnegazione, il coraggio, contagiano positivamente anche le moltitudini, e le azioni che si intrecciano provocano reazioni positive che si riproducono.Se penso a quel che è già diventato il Movimento Cinque Stelle nella storia della Repubblica italiana, vedo il successo di un impegno che ha incoraggiato grandi masse popolari a partire da una grande intransigenza che ha spazzato via mille ipocrisie, denudando il progressismo che non muoveva un sasso e castigando gli abusi di potere perpetrati da figuranti che si credevano indispensabili e irremovibili. Li vediamo ora coperti dai fumi delle loro macerie, consegnati al passato. Solo Renzi resiste, con la sua nuova invenzione: le dimissioni post-datate. Un pensiero particolare lo merita perciò l’esito elettorale della Sardegna. Percentuali del 42,5% non si vedevano dai tempi della Prima Repubblica. Quello del Movimento Cinque Stelle è un risultato che esprime una volontà collettiva potente, che risalta tanto di più nel momento in cui le forze che sostengono la giunta Pigliaru hanno preso un miserrimo 17,7%. Ai colonnelli del renzismo, a partire proprio da Pigliaru, non è bastato schierare in modo militare gli organi di informazione più grossi che li hanno fiancheggiati in ogni loro indecente promessa elettoralistica. La loro sconfitta è stata catastrofica a dispetto di ogni trucco e clientela. Fecero la stessa cosa in occasione del referendum costituzionale del 2016 e furono puniti dal risultato più severo di tutta la Repubblica italiana.È proprio vero: a quelli che vogliono rovinare, le divinità tolgono per prima cosa la ragione. Solo che con i renziani hanno esagerato. Tanto che in vista delle urne hanno ripetuto nel 2018 lo schema già usato nel 2016 (arroganza più promesse milionarie più clientele più occupazione dei media) con gli stessi inevitabili esiti disastrosi. Si sono comportati con il popolo sardo come i plenipotenziari di una colonia e lo hanno voluto prendere in giro con un ulteriore giro di strafottenza. Ai miei occhi, in vista delle elezioni regionali ormai vicine, la scelta del popolo sardo di questo splendido marzo significa una cosa semplice e grandiosa, una cosa che si presenta con questa nettezza per la prima volta: davvero possiamo cambiare la storia della Sardegna. Il che non significa solo cambiare persone, ma cambiare metodo, selezionare anche un’altra idea di Sardegna, ripensare insieme il ruolo della nostra isola nel mondo, trasformare istituzioni e programmi grazie alle energie straordinarie che libereremo in seno alla società sarda. Ognuno di noi può fare la sua parte, ne vale la pena.(Pino Cabras, “Ognuno di noi può fare la sua parte, ne vale la pena”, messaggio con cui Cabras ha ringraziato pubblicamente i suoi elettori, ripreso da “Megachip” il 6 marzo 2018).Ringrazio di cuore gli 80.510 elettori del collegio Sardegna 03 che hanno votato il Movimento Cinque Stelle e mi hanno eletto alla Camera dei Deputati. Così come ringrazio altri che, pur votando altro e altrove, mi hanno manifestato commoventi dichiarazioni di stima e incoraggiamento. Ho sempre considerato l’impegno politico una parte importante del mio legame con la società. Perciò adesso sono contento di poter fare quel che faccio da una vita misurandolo meglio dentro le istituzioni, sebbene l’occasione si presenti in un momento davvero molto complicato (come potete ben vedere nel rebus che ci lascia in eredità la legge elettorale). Il contesto politico attuale è sì difficile, ma sono fiducioso. Mi viene in mente una frase dell’antropologa Margaret Mead: «Mai dubitare che un piccolo gruppo di cittadini pensanti e impegnati possano cambiare il mondo. In effetti è l’unico modo in cui sempre è stato cambiato». Non è una frase elitaria, anche se a prima vista potrebbe sembrare così. È semmai un modo per dire che l’esempio può essere trascinante: una fermezza morale, l’abnegazione, il coraggio, contagiano positivamente anche le moltitudini, e le azioni che si intrecciano provocano reazioni positive che si riproducono.
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Il teletrasporto? Non è più fantascienza: lo insegna la Cina
Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.Il progetto russo costerà oltre 2 trilioni di dollari, spiega “Blasting News”, e applicherà tutte le tecnologie all’avanguardia, come la computazione quantistica e interfacce neurali (il diretto collegamento tra macchina e cervello umano). «Fino ad ora, il teletrasporto umano ha sempre rappresentato qualcosa di impossibile per la complessità di informazioni che una macchina dovrebbe “ricordare” e riuscire a riassemblare esattamente in ogni singolo frammento, nel luogo di destinazione». In realtà, scrive Fenris, qualcosa del genere si è già realizzato, ma con particelle molto semplici. Nel 2014, gli scienziati della Delft University of Technology, nei Paesi Bassi, hanno dimostrato che è possibile “teletrasportare” informazioni codificate in particelle sub-atomiche, a una distanza di tre metri con affidabilità del 100%. «Tra un essere umano e una particella sub-atomica c’è certamente una grande differenza, ma gli scienziati sono ottimisti e credono che presto tutto questo diventerà realtà». Secondo Elena Kovačič di “Sputink News”, gli scienziati dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca (Mfti) hanno capito che «in futuro sarà possibile percorrere lunghe distanze senza l’applicazione di forza fisica ed essere contemporaneamente in due posti. Ad esempio, a Pechino o Mosca o in Siberia e nelle isole della Nuova Zelanda. Non è escluso il teletrasporto per l’esplorazione dello spazio».Il cosiddetto “entanglement quantistico” è la capacità di due o più sistemi quantistici di comportarsi allo stesso modo, rimanendo inseparabili, anche se distanziati l’uno dall’altro. I fisici russi «hanno trovato un modo per preservare l’“entanglement quantistico” nella trasmissione delle informazioni ad una distanza considerevole», spiega uno dei ricercatori, Sergej Filippov. «C’è una correlazione, come nel caso di una bobina: per cui, ciò che succede a una estremità della bobina è collegato a quanto sta succedendo nell’altra. Queste correlazioni possono essere inviate. Anche le persone, spostate in questo modo ad una certa distanza, saranno comunque correlate». I fisici hanno eseguito una “crittografia quatistica” per la trasmissione di un segnale su fibra ottica, trovando un algoritmo per la trasmissione di qualsiasi cosa. «In un certo senso, questo “assemblaggio”, ricorda l’olografia, ossia l’immagine ricostruita di oggetti tridimensionali usando un laser. La differenza è che questo non è solo un particolare tipo di fotografia: qui c’è la riproduzione di “carne e sangue”, con tutte le caratteristiche e abilità specifiche». Per ora, la scienza non ha ancora la capacità di raggiungere questo obiettivo: finora, i fisici hanno “teletrasportato” fotoni. Ma la stessa tecnica, dicono, consentirà di trasportare materia complessa, fino all’uomo. E nel giro di pochi anni.Molto lusinghieri, in questo campo, i risultati ottenuti dalla Cina: la “Bbc” conferma che alcuni ricercatori cinesi sono riusciti a “teletrasportare” fotoni dal deserto del Gobi fino allo spazio, sul satellite “Micius” in orbita a un’altitudine dalla superficie terrestre che varia dai 500 ai 2.000 chilometri. Una vera e propria operazione fantascientifica, resa possibile grazie a quello che la fisica definisce “entanglement quantistico”, un processo in cui due diverse particelle che, pur non essendo in contatto fisico tra loro, reagiscono come una singola unità. «Prende così forma il concetto di “esistenza condivisa”, per cui qualsiasi alterazione sulla prima particella influenza lo stato della seconda. Già nel 1990, infatti, gli scienziati avevano capito che questo legame poteva essere usato per trasferire uno stato quantistico da un punto a un altro dell’universo», racconta “105.Net”. Dal punto di vista pratico, l’esperimento cinese è durato 32 giorni, durante i quali i ricercatori hanno inviato milioni di fotoni dalla Terra al satellite, ottenendo esiti positivi in 911 casi. «Un risultato straordinario, che permette alla Cina di battere il record per la distanza più grande mai coperta. I cinesi si mostrano dunque dominatori in un campo da sempre guidato da europei e statunitensi. Resta solo da capire quale sarà la prima contromossa dell’Occidente».Stati Uniti, Canada e Unione Europea sono già in gara con russi e cinesi, scrive Elena Dusi su “Repubblica”. «Due esperimenti sono stati appena pubblicati su “Nature Photonics”. Descrivono singoli fotoni capaci di “viaggiare” lungo una normale fibra ottica cittadina, per 6 chilometri a Calgary e 12 a Hefei, vicino a Shangai, “trasportando” le loro informazioni come in una linea Internet tradizionale». Altro che chilometri: i collegamenti quantistici precedenti (il primo realizzato nel 1993) non superavano i centimetri di un tavolo di laboratorio. Laddove si arrivò al record di 143 chilometri, aggiunge “Repubblica”, fu necessario allestire una trasmissione in uno spazio vuoto per non disturbare la corsa delle particelle: il mare fra due isole delle Canarie. «Per la prima volta, invece, a Calgary ed Hefei, il teletrasporto quantistico ha seguito le stesse strade che faremmo noi in auto o in motorino». Questo particolare fenomeno, spiega la Dusi, non ha nulla a che fare con la smaterializzazione e il trasferimento di persone od oggetti: «Lo spostamento infatti non riguarda le particelle in sé, ma le loro caratteristiche e coordinate. Più che a “Star Trek”, il teletrasporto quantistico assomiglia alla spedizione di un fax». In realtà si sfrutta il cosiddetto “entaglement quantistico”, cioè il legame tra due particelle nate da una stessa reazione.Le caratteristiche intrinseche di queste particelle sono legate indissolubilmente: se si modificano quelle dell’una, simultaneamente cambieranno anche quelle dell’altra. E la mutazione non dipende dalla distanza che le separa. Così, due fotoni legati da “entanglement” possono essere inviati al mittente e al destinatario di un messaggio criptato su Internet. Il mittente “modifica” il suo fotone e quindi quello in possesso del destinatario, che così potrà essere usato come chiave per decrittare il messaggio. «I vantaggi riguardano soprattutto la sicurezza», sostiene Francesco Marsili, ingegnere in forza alla Nasa. «Il teletrasporto quantistico non è necessariamente più veloce, semplicemente cancella il rischio di essere spiati. Comunicazioni finanziarie o militari sono le sue ovvie applicazioni». Non è un caso che il “teletrasporto”, dal campo della meccanica quantistica si sia trasferito a quello della geopolitica. La Commissione Europea ha lanciato il suo “Quantum Manifesto”, finanziandolo con un miliardo di euro in dieci anni. Washington ha già realizzato una piccola rete su cui testare le trasmissioni. Altrettanto ha fatto la Cina, con una “autostrada quantistica” di un migliaio di chilometri tra Shanghai e Pechino.Il gigante asiatico, in realtà, ha fatto anche di più, ammette “Repubblica”. «Lanciando il suo primo satellite per le trasmissioni quantistiche dallo spazio, a fine agosto, la Cina ha spostato la corsa all’Internet quantistico dalla Terra al cielo». Proprio sicuri che non sarà possibile – entro vent’anni, come dicono i russi – smaterializzare qualcuno e rimaterializzarlo a migliaia di chilometri di distanza? Un sogno che si sta avvicinando sempre di più alla realtà, «grazie a una serie di esperimenti che nel prossimo futuro potrebbero trasformare il teletrasporto in una pratica comune», scrive Daniele Uva sul “Giornale”, citando il recentissimo record cinese. Dal satellite Micius è partito un fascio laser che ha trasmesso le particelle di luce correlate tra loro alle diverse stazioni a terra, dove sono state misurate. «I fotoni, dopo aver viaggiato per lunghe distanze, hanno mantenuto il loro legame pur trovandosi a più di 1.200 chilometri gli uni dagli altri. Un primato senza precedenti». La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista specializzata “Science”, ha fatto gridare al miracolo: per la prima volta nella storia, qualcosa di molto simile al “teletrasporto” sembra aver funzionato.Nel 2016, aggiunge il “Giornale”, un gruppo di ricercatori dell’Esa – l’Agenzia Spaziale Europea – ha tentato un esperimento simile a quello cinese: «I due fotoni si trovavano, però, entrambi sulla Terra, e a una distanza di soli 140 chilometri». Sempre nel corso del 2016, ad aprile, alcuni scienziati dell’esercito americano «hanno raccontato di essere riusciti a trasferire un’intera squadra di militari da un centro di ricerca e sviluppo del Massachusetts a una zona di addestramento della Nato in Germania». La notizia è stata addirittura confermata attraverso il “Natick Soldier System Center” dell’esercito statunitense, «nonostante un certo inevitabile scetticismo da parte degli addetti ai lavori». Bisogna andare più indietro nel tempo, al 2004, per trovare un altro tentativo: una squadra americana del National Institute of Standards and Technology e una austriaca dell’università di Innsbruck «riuscirono a spostare, con la tecnica del teletrasporto quantico, alcune proprietà di atomi di berillio e calcio», ricorda Uva sul “Giornale”. Insomma, la ricerca non si ferma. «E la comunità scientifica è convinta che, in assenza di intoppi, entro una decina di anni si potrebbe arrivare a ottenere immagini e filmati quasi in tempo reale da Marte».Addio petrolio e guerre? Fine dell’era delle auto e dei treni, delle navi e degli aerei? Sop all’inquinamento? La promessa – epocale, ai confini della realtà – si chiama teletrasporto. Per la precisione: entro 20 anni sarebbe possibile “teletrasportare” merci e perfino esseri umani. Non è pià fantascienza: «Il teletrasporto umano potrebbe presto diventare realtà», scrive Massimo Fenris su “Blasting News”. «Spostarsi da un punto all’altro del globo in maniera istantanea, poter essere dove si vuole in una manciata di secondi evitando le lunghe code in stazioni e aeroporti, poter lavorare ovunque non essendo costretti ad abbandonare i propri cari e le proprie radici: sarebbero solo alcuni dei vantaggi del teletrasporto». La grande sfida arriva direttamente dal Cremlino, con un progetto che richiederà un investimento miliardario. «Oggi sembra qualcosa di fantascientifico, ma a Standford ci sono riusciti con esperimenti molecolari. Se ci pensiamo, molta della tecnologia che abbiamo oggi a disposizione è stata pensata dalla fantascienza 20 anni fa», afferma Alexander Galitsky, uno dei principali investitori russi in termini di tecnologie all’avanguardia. Ma la sfida coinvolge ovviamente gli Usa e la Cina, che è riuscita a “telatrasportare” fotoni dalla Terra a un satellite in orbita.
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Delli, Strasburgo: addio al Tav Torino-Lione, è aberrante
E fatela finita, con questa tragica pagliacciata della Torino-Lione: la linea Tav è obsoleta, inutile e dannosa. «Un’aberrazione, sotto ogni punto di vista». Parola dell’eurodeputata francese Karima Delli, presidente della commissione trasporti del Parlamento Europeo. «Chiedo una moratoria sul progetto Torino-Lione: va sospeso immediatamente. Vogliamo far viaggiare i Tir sui treni? Possiamo farlo da subito, utilizzando la linea ferroviaria che già esiste, e collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa». Non a caso, il traforo del Fréjus è stato recentemente riammodernato (costo, 400 milioni di euro) proprio per consentire ai convogli ferroviari di trasportare sia gli autotreni che i container “navali”, della massima pezzatura. Perché insistere ancora, dopo trent’anni, su una follia come la Torino-Lione? Se lo domanda la Nelli, di fronte alla platea dei sindaci valsusini, ai quali promette di convincere i governi italiano e francese a mettere da parte la pazzia del secolo, la grande opera più inutile dell’intera storia europea. Maxi-opera fortemente avversata dalla popolazione, bocciata dai più autorevoli esperti universitari eppure letteralmente scomparsa dall’agenda politica: il grottesco Tav valsusino è sparito dalla campagna elettorale.«Francia e Italia hanno un’enorme sfida da affrontare: il cambiamento climatico, e tutto quel che ne consegue», premette Karima Nelli, europarlamentare di origine algerina, militante tra le fila dei Verdi francesi. «E quindi – aggiunge, ospite del movimento NoTav – non è possibile che due paesi ufficialmente impegnati sul fronte dell’emergenza climatica continuino a portare avanti dei progetti faraonici». Insiste: «Siamo due paesi amici e vicini, dovremmo avere gli stessi obiettivi. Sono venuta in valle di Susa perché non capisco perché ci si intestardisca in un progetto come il Tav Torino-Lione nel momento in cui, invece, c’è bisogno di proporre altre cose». Che dire, di questo progetto assurdo? «Innanzitutto è datato, è vecchio, ha troppi anni alle spalle da quando è stato concepito. Il Ventunesimo secolo – scandisce Karima Nelli – non è quello del gigantismo, ma della prossimità: è l’agire insieme agli abitanti, ai cittadini». Per questo, la giovane presidente della commissione di Straburgo ringrazia in particolare i sindaci della valle di Susa, «perché è il livello locale quello che permette veramente di fare dei progressi: è la comunità a rendere vivibile e democratico un territorio».In questi anni, osserva, il mondo ha avuto un’evoluzione: in particolare, le merci trasportate dalle ferrovie si sono estremamente ridotte. E quindi, «il progetto della Torino-Lione non corrisponde più alle esigenze della società attuale e alle sue necessità di trasporto». La situazione è radicalmente cambiata, continua Karima Nelli: «Se da un lato abbiamo la diminuzione del trasporto delle merci, dall’altro abbiamo problemi che sono diventati enormemente più importanti, primo fra tutti l’emergenza climatica». In più, «qualsiasi progetto faraonico è, innanzitutto, un grosso problema finanziario: i costi di realizzazione lievitano, senza limiti. Siamo passati da un costo di 12 miliardi, inizialmente previsto, e siamo ormai oltre i 26 miliardi. Certo, si parla del costo dell’opera nella sua globalità – ma se si facesse soltanto il tunnel, non si andrebbe da nessuna parte». L’idea di limitare la Torino-Lione al maxi-traforo da 54 chilometri, su cui è ripiegato tatticamente il governo Renzi, sembra infatti un semplice espediente per prendere tempo, di fronte alla carenza di fondi e alla tenace resistenza della valle di Susa, che non mai cessato di contestare un’opera giudicata pericolosa, costosissima e completamente inutile, salvo che il super-business speculativo dei suoi realizzatori.«Resta difficile capire come mai si vada ancora avanti con questo progetto dopo anni e anni di rapporti serissimi che lo contestano, e dopo il rapporto della Corte dei Conti Europea del 1998», afferma Karima Nelli. Sono decine gli studi finora prodotti: «Dicono tutti che questo progetto è un’aberrazione economica: costa troppo. E’ un’aberrazione sanitaria: provoca problemi per la salute. Ed è anche un’aberrazione idrogeologica: provoca l’ingente perdita di acque, e la perdita di acque avrebbe riflessi sia sulla salute umana che su quella dell’ambiente». Non solo: il progetto Tav Torino-Lione «è un’aberrazione anche dal punto di vista democratico: ci si chiede a cosa servano, questi organismi di controllo (che continuano a dire che ci sono tutti questi problemi), se poi non vengono ascoltati». Per cui, «fatti i dovuti bilanci, a questo punto bisogna chiedere il congelamento del progetto», dice la Nelli. Alternative? Immediatamente praticabili: «E’ il momento di utilizzare la linea esistente». Attenzione: «Siamo a favore del trasporto intermodale», che toglie i Tir dalle strade per caricarli sui treni. «Ma non tra 15 o 20 anni: adesso. E’ possibile farlo da subito, a vantaggio del pianeta e del clima, anche pensando alle future generazioni».La linea attuale, Torino-Modane, presenta la problematica tecnica della pendenza del tracciato, che rallenterebbe il trasporto pesante? Anche qui, attenzione: non facciamoci prendere in giro, perché «la pendenza del 30 per mille esiste solo per 100 metri di tratta, e quindi è un problema che è sicuramente possibile risolvere, senza per forza pensare a una linea nuova». Quindi, Karima Nelli chiede formalmente ai governi, italiano e francese, «la moratoria su questo progetto». Cestinare, finalmente, la Torino-Lione? «E’ giunto il momento di prendere in considerazione gli studi indipendenti finora realizzati ed eventualmente di farne di nuovi, ma che siano indipendenti». La presidente della commissione trasporti di Strasburgo annuncia di voler «lavorare seriamente coi ministri dei trasporti, italiano e francese, e con le commissioni trasporti dei due Parlamenti». La notizia, ovviamente, non è comparsa sui media mainstream, per i quali i NoTav (e i valsusini in generale) restano una tribù di scalmanati, e non un’avanguardia di italiani che, in nome della giustizia, tentano di difendere quel che resta della loro sovranità di cittadini.E fatela finita, con questa tragica pagliacciata della Torino-Lione: la linea Tav è obsoleta, inutile e dannosa. «Un’aberrazione, sotto ogni punto di vista». Parola dell’eurodeputata francese Karima Delli, presidente della commissione trasporti del Parlamento Europeo. «Chiedo una moratoria sul progetto Torino-Lione: va sospeso immediatamente. Vogliamo far viaggiare i Tir sui treni? Possiamo farlo da subito, utilizzando la linea ferroviaria che già esiste, e collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa». Non a caso, il traforo del Fréjus è stato recentemente riammodernato (costo, 400 milioni di euro) proprio per consentire ai convogli ferroviari di trasportare sia gli autotreni che i container “navali”, della massima pezzatura. Perché insistere ancora, dopo trent’anni, su una follia come la Torino-Lione? Se lo domanda la Delli, di fronte alla platea dei sindaci valsusini, ai quali promette di convincere i governi italiano e francese a mettere da parte la pazzia del secolo, la grande opera più inutile dell’intera storia europea. Maxi-opera fortemente avversata dalla popolazione, bocciata dai più autorevoli esperti universitari eppure letteralmente scomparsa dall’agenda politica: il grottesco Tav valsusino è sparito dalla campagna elettorale.
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Microchip sottopelle per pagare il treno, se viaggi in Svezia
Niente più biglietti o sms, per viaggiare sui treni svedesi basta un microchip sottopelle. La compagnia ferroviaria di Stato svedese “Sj” ha cominciato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nella mano dei viaggiatori, annuncia il “Corriere della Sera”. Basta solo essere iscritti al programma di fedeltà e avere già il microchip impiantato nel proprio corpo. «In Svezia sono circa già 3.000 le persone dotate del microchip (che usa la tecnologia Nfc Near Field Communication, quella delle carte di credito) e passate quindi allo stadio di cyborg, cioè organismi cibernetici composti da corpo naturale e uno o più elementi artificiali». Niente di così diverso, in teoria, dai pazienti cardiaci che da decenni vivono con un pacemaker o un defibrillatore impiantato nel torace e collegato al cuore, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere”. «Quelle però sono tecnologie avanzate e costose destinate a salvare la vita del malato, mentre nel caso svedese si tratta di un piccolo congegno grande quanto un chicco di riso, del costo di circa 150 euro, che serve per rendere più facili alcune operazioni della vita quotidiana». I passeggeri svedesi lo utilizzano per viaggiare: possono comprare il biglietto sul web o sull’applicazione “Sj” e, una volta connessi con il loro numero di “programma fedeltà”, il titolo di trasporto viene caricato sul microchip.Sui treni svedesi, il controllore avvicina il lettore alla mano del passeggero e appaiono tutti i dati del biglietto. «Qualcuno ha sollevato dubbi sulla privacy – dice un portavoce della compagnia – ed è una questione che prendiamo molto sul serio. Ma se davvero la paura è di essere tracciati, allora sono più preoccupanti smartphone e carte di credito». Dopo gli orologi connessi che monitorano il sonno e il battito cardiaco o il riconoscimento facciale usato per fare acquisti o il check-in agli aereoporti (lo usa la Finnair), i microchip simili a quelli usati da anni sugli animali «vengono impiantati nell’uomo per aprire e chiudere le porte degli uffici senza bisogno di digitare un codice, accendere e spegnere le luci, pagare il caffé alla macchinetta e adesso, appunto, mostrare il biglietto al controllore delle ferrovie di Stato svedesi», aggiunge Montefiori. I circa 3.000 microchip già in uso in Svezia, spiega il giornalista, hanno cominciato a essere impiantati tra il pollice e l’indice della mano all’inizio del 2015 dalla start-up Epicenter, a Stoccolma, che propone ai dipendenti di usarli per entrare nell’azienda, fare funzionare le stampanti o comprare una bottiglietta d’acqua ai distributori automatici. «Impiantare qualcosa di elettronico nel corpo è stato un passo importante anche per me – dice Patrick Mesterton, capo di Epicenter – ma poi diventa naturale e molto comodo».Altre aziende, in Belgio e negli Usa, hanno seguito l’esempio svedese. In Australia, scrive ancora il “Corriere”, centinaia di persone hanno già fatto ricorso al servizio “Chip My Life”, fondato da Shanti Korporaal. «Ma è la prima volta che il microchip viene usato in un’azienda rivolta al grande pubblico come le ferrovie svedesi». La tendenza di incorporare la tecnologia nell’uomo fa immaginare a Elon Musk (Tesla, Space X, Neuralink) un futuro prossimo in cui i nostri cervelli saranno collegati a Internet: «Le persone non capiscono che già adesso sono dei cyborg. Se ti dimentichi il cellulare ti senti come se ti mancasse un braccio. Ci stiamo già fondendo con i telefonini e la tecnologia». Tra i non entusiasti si segnala Massimo Mazzucco, inorridito dall’ennesima inquietante innovazione tecnologica di massa introdotta dal paese scandinavo: «Più passa il tempo, più mi convinco che la Svezia sia stata scelta come laboratorio umano per far passare le successive “rivoluzioni” del nuovo ordine mondiale», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”.«Prima c’è stata la rivoluzione cash-free, nella quale un popolo di beoti ha accettato con entusiasmo l’idea di abolire progressivamente il contante, fino ad arrivare ad una moneta esclusivamente elettronica, mettendosi interamente nelle mani di un qualunque banchiere, che può decidere da un giorno all’altro di azzerare tutto quello che hanno». In seguito, continua Mazzucco, «gli svedesi si sono vantati di essere i primi ad aver sperimentato il microchip sottopelle per pagare il biglietto del treno». Fa impressione guardare con quale orgoglio i “testimonial” dei video promozionali raccontano di aver fatto parte di questo esperimento. «Naturalmente, una volta impiantato, quel microchip tornerà utile per metterci mille altre cose: il problema principale era quello di farlo accettare, e a quanto pare i “controllori del treno” ci sono riusciti in pieno».Infine, gli svedesi «stanno studiando una “rivoluzione” nel campo sessuale», eliminando la spontainetà nei rapporti. E’ infatti in preparazione una legge secondo la quale «gli adulti svedesi potrebbero essere condannati per violenza sessuale a meno di ricevere un segnale verbale o non verbale di consenso dal loro partner, durante ogni passaggio dell’incontro sessuale». In altre parole, scrive Mazzucco, uno svedese dovrebbe chiedere alla sua ragazza “ti posso baciare?” prima di baciarla, “ti posso toccare?” prima di toccarla, “ti posso penetrare?” prima di penetrarla. «Altrimenti rischia di finire in prigione. E a quanto pare sono tutti convinti che questo sia “il progresso”». Conclude Mazzucco: «Poveri svedesi, una volta erano considerati all’avanguardia per quel che riguarda la società civile e il diritto individuale, ora stanno passando all’avanguardia per quel che riguarda il processo di rincoglionimento globale».Niente più biglietti o sms, per viaggiare sui treni svedesi basta un microchip sottopelle. La compagnia ferroviaria di Stato svedese “Sj” ha cominciato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nella mano dei viaggiatori, annuncia il “Corriere della Sera”. Basta solo essere iscritti al programma di fedeltà e avere già il microchip impiantato nel proprio corpo. «In Svezia sono circa già 3.000 le persone dotate del microchip (che usa la tecnologia Nfc Near Field Communication, quella delle carte di credito) e passate quindi allo stadio di cyborg, cioè organismi cibernetici composti da corpo naturale e uno o più elementi artificiali». Niente di così diverso, in teoria, dai pazienti cardiaci che da decenni vivono con un pacemaker o un defibrillatore impiantato nel torace e collegato al cuore, scrive Stefano Montefiori sul “Corriere”. «Quelle però sono tecnologie avanzate e costose destinate a salvare la vita del malato, mentre nel caso svedese si tratta di un piccolo congegno grande quanto un chicco di riso, del costo di circa 150 euro, che serve per rendere più facili alcune operazioni della vita quotidiana». I passeggeri svedesi lo utilizzano per viaggiare: possono comprare il biglietto sul web o sull’applicazione “Sj” e, una volta connessi con il loro numero di “programma fedeltà”, il titolo di trasporto viene caricato sul microchip.
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Ishiguro: amate i miei robot, state diventando come loro
È possibile innamorarsi di un oggetto? Può l’intelligenza artificiale simulare la coscienza al punto tale da far sembrare davvero umano un androide? Domande sempre più rilevanti nella crescente robotizzazione della società. Il paese all’avanguardia nel campo è da sempre il Giappone, costantemente proiettato nell’indagine di cos’è davvero un robot e, di riflesso, cos’è un umano. Uno degli scienziati più affascinanti in quest’ambito è da più di 15 anni Hiroshi Ishiguro, che nei suoi laboratori di Osaka ha creato una fabbrica di androidi in costante evoluzione. Nel 2002 iniziò con la replica di sua figlia Risa, 9 anni: un pupazzo di gomma dalle movenze rigide e troppo meccaniche che faceva scattare l’effetto “Uncanny Valley”, la repulsione nel vedere qualcosa di smaccatamente verosimile all’umano. Un po’ come i manichini nei film horror. Così Ishiguro affinò il progetto Geminoid, gemello-androide, nel tentativo di creare copie da un calco originale umano, basandosi sull’idea che poiché gli umani riescono ad avere intimità con altri esseri umani, la strada giusta è quella dell’imitazione e dei replicanti alla “Blade Runner”.Così s’ispirò, nel 2005, a una conduttrice di tg giapponese per creare Repliee Q1. Ancora troppo rigida e surreale. Allora ebbe l’intuizione geniale che gli regalò la fama: un’autoritratto robotico. Nacque Geminoid HI-1, dalle sue iniziali. Uguale in tutto e per tutto al professor Ishiguro, con ciuffo cotonato da rockabilly, espressione torva, mani curate, camicia e pantaloni attillati neri. Il tutto sfocia dal suo convincimento che le emozioni umane non sono null’altro che risposte a stimoli. E quindi manipolabili. Il suo obiettivo, come quello dello scienziato pazzo nel film “Ex machina”, è creare l’androide perfetto che non solo diventerà una badante efficace, o una funzionaria credibile, ma anche, e molto a breve, un’amante perfetta e forse anche una moglie. Dopotutto, per rispondere alla domanda se sia possibile innamorarsi di un oggetto, basta pensare alla passione dilagante per gadget elettronici, macchine da corsa, gioielli. Si può amare un involucro di cavi, acciaio e microchip ricoperto di gomma riscaldata per farla somigliare a carne e pelle umana? Ishiguro ne è convinto e con lui molti altri scienziati e imprenditori.Il passo successivo, per vincere la repulsione per un manichino animato è stato andare in tutt’altra direzione creando, nel 2011, il fantasmino Telenoid, un incrocio tra un robot-bambino e un elfo, con braccia a moncherino e al posto delle gambe un inquietante sedere a 360° gradi. Eppure, portandolo nelle case di riposo, Telenoid fece scattare emozioni immediate e gli anziani lo vollero tenere in braccio e parlargli. Ora Ishiguro è tornato all’attacco con la vera sfida della somiglianza, creando Erica. Non più un pupazzo animato a distanza da una sala di regia come se ne trovano nei musei di Tokyo, ma il primo androide pienamente autonomo. Erica può sostenere autonomamente una vera conversazione che dura fino a 10 minuti. Ha la possibilità di riconoscere la voce, i raggi infrarossi per seguire i movimenti degli umani, un sintetizzatore vocale e un generatore di movimento naturale.Fin dal 17esimo secolo, in Giappone costruivano le “karakuri”, bambole meccanizzate per servire il tè e per cerimonie religiose. Cent’anni dopo, il cecoslovacco Karel Capek scrisse l’opera teatrale che per prima utilizzò il nome robot, che in ceco significa “schiavo”. Ma questi schiavi tecnologici sono già usati nella roboterapia e come “chat bot” da compagnia per vincere il senso d’isolamento che continua a crescere nel nostro rapporto di dipendenza con la tecnologia. Un toccasana tecnologico a un male accresciuto dalla tecnologia stessa: medicina omeopatica, insomma. Non è un caso che finora l’androide di Ishiguro che ha avuto più credibilità sia una ragazza-robot messa in vetrina in un grande magazzino. Non parla con nessuno, sta lì seduta a fare il solletico a uno smartphone. Ogni tanto alza lo sguardo e sorride. Il robot sembra più umano quando interagisce con Internet. Proprio come l’umano sembra sempre di più un robot con lo smartphone saldato alla mano.(Carlo Pizzati, “Giappone, il signore dei robot: vi innamorerete di loro”, da “La Stampa” del 24 ottobre 2017).È possibile innamorarsi di un oggetto? Può l’intelligenza artificiale simulare la coscienza al punto tale da far sembrare davvero umano un androide? Domande sempre più rilevanti nella crescente robotizzazione della società. Il paese all’avanguardia nel campo è da sempre il Giappone, costantemente proiettato nell’indagine di cos’è davvero un robot e, di riflesso, cos’è un umano. Uno degli scienziati più affascinanti in quest’ambito è da più di 15 anni Hiroshi Ishiguro, che nei suoi laboratori di Osaka ha creato una fabbrica di androidi in costante evoluzione. Nel 2002 iniziò con la replica di sua figlia Risa, 9 anni: un pupazzo di gomma dalle movenze rigide e troppo meccaniche che faceva scattare l’effetto “Uncanny Valley”, la repulsione nel vedere qualcosa di smaccatamente verosimile all’umano. Un po’ come i manichini nei film horror. Così Ishiguro affinò il progetto Geminoid, gemello-androide, nel tentativo di creare copie da un calco originale umano, basandosi sull’idea che poiché gli umani riescono ad avere intimità con altri esseri umani, la strada giusta è quella dell’imitazione e dei replicanti alla “Blade Runner”.
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L’immigrazione: una vergogna, come la povertà da cui nasce
Rassegnarsi all’immigrazione-fiume: sarà la nuova normalità che ci attende? Niente affatto: l’esodo dei migranti è innanzitutto «una vergogna, esattamente come la povertà che spinge milioni di persone a lasciare le loro case, in gran parte per colpa dei nostri politici» che hanno letteralmente spolpato il cosiddetto terzo mondo, in combutta con i dittatori locali. Parola di Gianfranco Carpeoro, romanziere e saggista, irritato dai toni della polemica nostrana sulla tragedia dell’emigrazione. Dietro agli sbarchi c’è una voragine morale, una mostruosa ingiustizia sottaciuta e oggi coperta dall’ipocrisia buonista dell’accoglienza, che spaccia l’esodo come un fatto naturale, fisiologico. La presidente della Camera, Laura Boldrini, dice addirittura che gli immigrati «sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione». Sostiene che sono «l’avanguardia di uno stile di vita che presto sarà lo stile di vita per moltissimi di noi». Carpeoro replica con un linguaggio esplicito: «L’immigrazione esiste perché questo mondo se n’è fottuto, di creare sacche enormi di povertà e degrado. Quindi la Boldrini, che è una querula signora che parla senza analisi, si limita a fare sponda ad un certo diffuso pietismo contemporaneo».Beninteso: «Io non sono favorevole all’idea di lasciar affondare i barconi nelle nostre acque», chiarisce Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Non sono favorevole a trattar male dei disperati, la cui unica colpa è quella di seguire solo la loro disperazione. E non sono neanche in grado – aggiunge – di ammettere come legittima una distinzione tra chi scappa per fame e chi scappa per guerra, perché la morte è morte: uno che muore di fame non è diverso da uno che muore di guerra». Fatta questa precisazione, continua Carpeoro, sarebbe meglio smetterla di affrontare il problema «senza capire che l’immigrazione è una vergogna, che va rimossa». Il guaio è a monte: «Non è colpa degli immigrati: è colpa degli Stati da cui vengono, degli Stati che hanno spogliato altri Stati, di un liberismo sfrenato che ha trattato gli esseri umani come se non contassero nulla». In altre parole: il problema va affrontato onestamente, alla radice, e quindi non dando per scontato che l’immigrazione «sarà sempre più frequente, come sento dire, che è un fenomeno di sistema, che l’immigrazione deve esserci e noi dobbiamo imparare a gestirla. No: io non la voglio, l’immigrazione».Insiste Carpeoro: «Io voglio che la gente stia bene a casa sua, perché non glieli ho rubati io, loro soldi». Ovvero: «Non ho corrotto i loro governanti per fare i miei affari», magari fingendo di inviare aiuti, «soldi che poi sono finiti in altre cose». Perché rassegnarsi a quella che sono gli stessi migranti a vivere come una tragedia? «Io non voglio l’immigrazione, come non voglio la povertà». E niente pietismo, per favore: «Non voglio i preti che mi vengono a dire che la prima cosa è aiutare i poveri: la prima cosa è eliminare la povertà». Bisogna impegnarsi a «ridurla ai minimi termini», intervenendo alle radici del problema, «e non continuando a dire “eh, ma è ineluttabile, vi dovete abiutare”». Abituarsi a cosa? «Da un lato vai a dire agli africani che si devono abituare a morire, se non scappano, e dall’altro vai a dire agli italiani che devono accettare frotte di africani perché è giusto così, e il fenomeno non è reversibile». Carpeoro si ribella: «Io lo voglio rendere reversibile, il fenomeno. Penso che ci sia un modo. E penso che questi politici debbano cominciare a occuparsene, visto che non se ne sono occupati per quarant’anni».Rassegnarsi all’immigrazione-fiume: sarà la nuova normalità che ci attende? Niente affatto: l’esodo dei migranti è innanzitutto «una vergogna, esattamente come la povertà che spinge milioni di persone a lasciare le loro case, in gran parte per colpa dei nostri politici» che hanno letteralmente spolpato il cosiddetto terzo mondo, in combutta con i dittatori locali. Parola di Gianfranco Carpeoro, romanziere e saggista, irritato dai toni della polemica nostrana sulla tragedia dell’emigrazione. Dietro agli sbarchi c’è una voragine morale, una mostruosa ingiustizia sottaciuta e oggi coperta dall’ipocrisia buonista dell’accoglienza, che spaccia l’esodo come un fatto naturale, fisiologico. La presidente della Camera, Laura Boldrini, dice addirittura che gli immigrati «sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione». Sostiene che sono «l’avanguardia di uno stile di vita che presto sarà lo stile di vita per moltissimi di noi». Carpeoro replica con un linguaggio esplicito: «L’immigrazione esiste perché questo mondo se n’è fottuto, di creare sacche enormi di povertà e degrado. Quindi la Boldrini, che è una querula signora che parla senza analisi, si limita a fare sponda ad un certo diffuso pietismo contemporaneo».