Archivio del Tag ‘brogli’
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Regalare l’Italia ai suoi predatori, fingendo di difenderla
Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».Una colossale spoliazione, che la “casta” al potere ha consentito «in cambio di carriera assicurata», in patria ma anche «in Europa, o nelle grandi banche saccheggiatrici che essi hanno servito, secondo il noto schema delle “porte girevoli”». Questo, aggiunge Della Luna, «è il regime che predica tanto su corruzione ed evasione, e presenta il supergarante Cantone». Guardiamo ai fatti: «Il governo Monti, solo per citarne uno, ha raccolto 57 miliardi di tasse in più dagli italiani, affondando il settore immobiliare ed esasperando così la recessione, per dare aiuti alle decotte banche greche e non solo, con cui pagassero alle banche franco-tedesche i loro illeciti profitti ottenuti con prestiti predatori precedentemente concessi». Im pratica, «fu un enorme aiuto di Stato a banche private, imposto dall’“Europa”», la stessa Europa che oggi «non consente al governo italiano di aiutare le proprie banche in crisi». Motivo del divieto: «Devono essere spolpate da Jp Morgan e soci, il cui uomo di fiducia, Morelli, è già stato messo da Renzi a capo di Mps».Questi governi, continua Della Luna, «sopravvivono solo perché e finché la Bce continua ad assicurare artificialmente l’acquisto dei loro titoli pubblici». Nel regime dell’Eurozona non puiò che essere così: è la Bce a tenerli in vita in questo modo, «per evitare che collassino mentre procede il programma di espianto e trasferimento all’estero delle risorse italiane: capitali, cervelli, aziende, mercati». Matteo Renzi paladino degli interessi nazionali? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. «A parte gli effetti provvisori e già scemati della costosa decontribuzione, il Jobs Act ha ridotto i diritti del lavoro e non ha aumentato strutturalmente gli impieghi», sottolinea Della Luna. «Le promesse di superare l’austerity merkeliana ed europea si sono dissolte o sono rinviate sine die di fronte al “nein” di chi comanda in Europa». Inevitabilmente, quindi, «malgrado le mancette degli 80 euro», la festa è finita subito: «L’euforia si è sgonfiata e consensi per Renzi sono fortemente scesi dal 40% iniziale dovuto al marketing e all’effetto novità». I sondaggi dicono che vincerà il No: «Salvo un loro errore clamoroso, il piano è fallito». La “riforma” renziana? L’ennesimo tassello del grande piano, che «mira ad abolire lo Stato di diritto, la rappresentanza democratica, la possibilità di opposizione e alternanza interna al sistema giuridico», quindi «l’obbedienza dell’Italia a Berlino e Parigi via Ue, dietro la simulata polemica con la Commissione Europea e il governo Merkel».Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».
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Carpeoro: è tutto ipocrita, dal referendum alla Costituzione
Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente. Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita. E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente? Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso? Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare. Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa? Ma come ragionano, costoro? Non capiscono la grevità di questo sistema di potere. E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla. Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie? Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma. E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così. Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione. Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.Ti è consentito urlare nelle piazze, e poi arrivi anche tu a una fettina di potere, ti eleggi cinque sindaci, venti parlamentari, ma tu sei costretto a essere come gli altri – sei costretto, non puoi scegliere. Oggi, dire che uno è anti-sistema è diventato quasi un’offesa. Per me no: per me, dire che uno è anti-sistema non è un’offesa. Quale effetto e che peso hanno avuto gli ultimi 12-15 referendum che si sono fatti in Italia? Non serve cambiare le leggi, se non si cambia la burocrazia di questo paese. Puoi cambiare il sindaco, ma non il segretario generale. Non è strano che la Raggi, a Roma, si sia presa un personaggio come Marra, cioè esattamente il burocrate che c’era prima? Se non cambi il paradigma, tu puoi cambiare Costituzione e Titolo V, ma le regole sono vuote, senza le persone che poi le devono interpretare e applicare. Le regole possono anche essere buone, se le persone che le devono gestire sono positive. Non vi è nulla di più mobile di una regola, di una legge: la interpreti come vuoi.L’immunità parlamentare: perché nasce? Perché Mussolini gli onorevoli li aveva quasi incarcerati, per non farsi fare opposizione. Così si è fatta la legge sull’immunità, per fare in modo che il parlamentare non fosse attaccabile. Peccato che poi l’immunità parlamentare, che avrebbe dovuto servire soprattutto per reati d’opinione, è stata usata per coprire la corruzione e la mafia, perché i parlamentari che abbiamo eletto sono dei mascalzoni. Quindi, risolvere il problema alla radice significa trovare le formule per non eleggere dei mascalzoni – e non invece togliere l’immunità parlamentare. In che modo questo paese seleziona la sua classe dirigente? Stirpe familiare, potere economico, funzionalità ai sistemi di potere sovranazionali: questi sono gli elementi per cui Monti diventa presidente del Consiglio e Renzi fa quello che fa. Dice che si dimette, se perde il referendum? Il presidente della Repubblica è già pronto a chiedergli di non lasciare l’Italia senza governo; Renzi resterà, magari ottenendo dai suoi padroni europei qualche piccola concessione di facciata.Noi dovremmo rivedere radicalmente queste modalità di selezione della classe dirigente, ma non lo facciamo. E in nessun modo ci insospettisce e ci allarma il fatto che i vertici dei 5 Stelle siano abituali frequentatori di consolati e di sistemi dei servizi segreti americani: lo consideriamo un fatto normale. Ma, finché avremo questo tipo di selezione della classe dirigente, qualunque legge fai, qualunque modifica della Costituzione, non ha effetto. Qualcuno mi dice: eh, ma potrebbe non esserci più democrazia, in caso di vittoria del Sì al referendum. Ah sì? E dov’è la democrazia, in Italia? Abbiamo taroccato le elezioni, compresi i 5 Stelle a Palermo. Di quale ipocrisia ci stiamo nutrendo? Noi non abbiamo una mentalità democratica. Noi riteniamo sacra una Costituzione che è stata fatta dopo un referendum, e che ha messo fuori legge quelli che l’avevano perso, il referendum, cioè i monarchici. Noi abbiamo una Costituzione che non consente al popolo di metterla in discussione.Se il regime è stato scelto con un referendum, perché quella stessa Costituzione dice che non si può tornare indietro? Se il popolo cambia idea, si deve poter tornare indietro. Altro che “la più bella del mondo”: quella Costituzione è nata antidemocratica. E’ nata su un grave attentato alla democrazia: chi ha vinto il referendum ha messo fuori legge chi l’ha perso. I Savoia si erano macchiati di gravi crimini? E allora non lo fai, il referendum. Così li si è legittimati. Li si doveva processare subito, senza fare nessun referendum. Noi siamo ipocriti, dobbiamo sempre mettere la foglia di fico sulla vergogna. Le responsabilità sono sempre individuali. Tutti sanno che il ramo legittimo della monarchia italiana sarebbe quello degli Aosta, non quello dei Savoia. E, fino a prova contraria, Amedeo d’Aosta aveva pure fatto il partigiano. Beninteso: io non sono un monarchico, sono un socialista. Ma perché delegittimare, come facciamo ancora adesso, una forma, quella della monarchia costituzionale, che governa mezza Europa? Svezia, Inghilterra, Belgio, Spagna. Già, perché?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nighs” durante la diretta streaming “Carpeoro risponde”, su YouTube il 20 novembre 2016).Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente. Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita. E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente? Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso? Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare. Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa? Ma come ragionano, costoro? Non capiscono la grevità di questo sistema di potere. E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla. Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie? Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma. E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così. Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione. Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.
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Londra: Cavour assassinato, l’Italia doveva restare docile
Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.Lo scrive Fasanella nel suo nuovo libro, “Intrighi d’Italia”, scritto con Antonella Grippo. Premessa: inutile stupirsi se così spesso, nella nostra storia recente, emergono strane “trattative” tra il potere istituzionale, attraverso settori dei servizi segreti, e la criminalità mafiosa. Quello era il metodo inaugurato proprio da Cavour, che reclutò la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli per governare i nuovi terrori, largamente ostili all’unificazione e conquistati manu militari, dall’esercito piemontese. La resistenza dell’esercito meridionale (pur superiore) fu molto debole? Certo: l’intelligence di Cavour aveva “comprato” gli alti ufficiali delle Due Sicilie. A pagare il prezzo della conquista, con anni di legge marziale e stragi inaudite, fu la popolazione del Sud: mezzo milione di morti, si calcola, più 15 milioni di profughi, emigrati poco dopo, per lo più in America. «A Cavour non era piaciuta la modalità di conquista del Meridione», spiega Fasanella a Claudio Messora, in una video-intervista per il blog “ByoBlu”. «Si racconta infatti che arrivò a sollevare la scrivania, nell’ufficio del sovrano torinese, quasi volesse gettargliela addosso. Cavour non tollerava che i Savoia avessero concepito l’Unità d’Italia sul piano solo militare. Avrebbe voluto un progetto più graduale, federalista, basato sulla politica».Il sovrano non era l’unico nemico del primo ministro, racconta l’autore, brillante giornalista di “Panorama”. Cavour era in contrasto anche con Mazzini: non voleva lo scontro con il Vaticano per la conquista immediata di Roma, avrebbe preferito un accordo. Dal canto suo, con Cavour ce l’aveva anche Garibaldi, furioso per la cessione di Nizza alla Francia. E il primo ministro non piaceva neppure ai Rotschild, che miravano a lucrare sul finanziamento delle nuove infrastrutture italiane, mentre Cavour anche in quel caso avrebbe preferito giocare su più tavoli, per non dipendere da un solo potere. Abilissimo, astuto, geniale. E temuto: al punto da subire un complotto mortale? E’ quello che si evince dall’esame degli archivi inglesi, racconta Fasanella. Fonti autorevoli, finora sempre trascurate dagli storici. Una su tutte: le dettagliate relazioni dell’ambasciatore inglese a Torino, James Hudson. Un diplomatico decisivo: era stato lui ad assicurare a Cavour la protezione militare inglese per incoraggiare la spedizione di Garibaldi. Rivelazioni clamorose, da Hudson, sulle circostanze della morte dello statista italiano.Al ministro degli esteri britannico, John Russell, l’ambasciatore Hudson scrive che Cavour si è sentito male il 29 maggio 1961, poco più di due mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Era a casa della sua amante, Bianca Ronzani, «che era anche una spia». Dalla Ronzani bevve qualcosa che lo mandò in crisi: spasmi addominali, accessi di vomito. Cavour riparò nella sua casa e si mise a letto. I medici accorsi, racconta sempre la fonte inglese, «lo salassarono come un vitello», estraendogli enormi quantità di sangue e indebolendolo in modo grave. A dargli il colpo di grazia, dopo una settimana di agonia, fu il dottore di corte, medico personale del re, insigne luminare della medicina torinese dell’epoca: «Gli fece bere un infuso di “lauroceraso”, cioè cianuro: il potentissimo veleno si ottiene proprio per infusione da quella pianta». Sulla morte di Cavour – che faceva comodo a troppi poteri – si è anche favoleggiato in modo complottistico, ammette Fasanella. Ma nessuno, prima d’ora, aveva individuato tracce concrete che avvalorino – via Londra, tanto per cambiare – l’ipotesi della cospirazione a scopo di omicidio politico.Noto per l’estrema disinvoltura, il cinismo e la spregiudicatezza con cui aveva guidato la politica del minuscolo Stato sabaudo per negoziare con i potentati europei la nascita della futura Italia, Camillo Benso – racconta Fasanella – non si era mai fatto scrupoli nel ricorrere alla malavita, attraverso i servizi segreti. Se ne accorse per prima la magistratura torinese, che incastrò un piccolo criminale: stranamente, il governo lo protesse a lungo. Non a caso: era il capo di una banda di malviventi utilizzata per il “lavoro sporco” commissionato da Filippo Curletti, famigerato capo dell’intelligence di Cavour. Un uomo che, s’è scoperto, aveva organizzato brogli in mezza Italia per truccare l’esito dei plebisciti a favore dell’annessione al Piemonte: «Emerge che, spesso, il numero di voti favorevoli era superiore addirittura a quello della totalità degli aventi diritto al voto», racconta Fasanella. E se nel centro-nord gli uomini di Curletti si occuparono soprattutto di aritmetica, nel Sud terrorizzato dalle truppe di Cialdini e La Marmora si bussò direttamente alla mafia: «In Sicilia, i picciotti prepararono il terreno allo sbarco di Garibaldi e alla sua marcia trionfale. E a Napoli, quando fu smantellata la polizia borbonica, chiamarono la camorra a dirigere i commissariati».Come dire: nessuno si stupisca se l’Italia è nata così male, unificata in modo truffaldino e spietato. E concepita – fin da subito – come “dependence” dei poteri forti d’Europa, decisi a non lasciarsi scappare il controllo sulla nostra penisola così strategica, vera chiave di volta nel Mediterraneo con l’apertura del Canale. Lungi dal sottovalutare l’importanza storica dell’unificazione, perfettamente coerente con il contesto storico e geopolitico dell’epoca, chiarisce Fasanella, è bene non dimenticare però che molte tappe del Risorgimento (su cui gli storici spesso sorvolano) maturarono in modo decisamente oscuro. Un giallo riguarda la misteriosa fine dello scrittore Ippolito Nievo, il “tesoriere” dei Mille: sapeva molte cose, avrebbe potuto raccontarle ai giudici che volevano interrogarlo. «Dopo lo sbarco – racconta ancora Fasanella – a Torino giunsero voci insistenti sui traffici dei garibaldini con la mafia: contrabbando d’armi, sperperi di denaro, arricchimenti improvvisi di garibaldini. Nievo fu richiamato nel capoluogo piemontese per riferire alla magistratura. Ma il piroscafo si inabissò al largo dell’isola di Capri. Ancora oggi non si conosce la causa dell’affondamento. Si parlò anche di una bomba a orologeria collocata a bordo. Forse quella è stata la prima strage di Stato della storia italiana».All’epoca, l’astuto Cavour era ancora al comando. Sapeva perfettamente che l’Italia neonata avrebbe dovuto vedersela con vicini potentissimi, decisi a dettar legge. Sperava, probabilmente, di tenerli a bada ancora una volta con la sua machiavellica diplomazia, in bilico tra Gran Bretagna e Francia? Se davvero è stato ucciso, come dicono gli inglesi, è probabile che gli autori del complotto temessero che potesse riuscire anche nell’impresa di fare dell’Italia un paese autonomo. Uno Stato pienamente sovrano, non infiltrato e dominato da potenze straniere. I documenti, conclude Fasanella, parlano chiaro: a Londra, la morte di Cavour fu archiviata come omicidio politico. «Era entrato in conflitto con troppi soggetti, italiani e stranieri». Il suo progetto, un’Italia davvero indipendente, sembra dunque sfumato quel giorno, il 6 giugno del 1861, con la pozione letale di cianuro somministrata dal medico personale del primo Re d’Italia. In compenso, i suoi “metodi” sono rimasti. E hanno fatto scuola: nel 1943 gli americani conquistarono la Sicilia con l’aiuto di Lucky Luciano e Calogero Vizzini, mentre a Napoli fu utilizzato Vito Genovese, emanazione della “famiglia” di Carlo Gambino, il boss di Brooklyn. Una storia “sbagliata”, che arriva fino ai mandanti delle stragi impunite e all’esplosivo che disintegrò Falcone e Borsellino.Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.
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Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.
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Perché gli strateghi dell’orrore hanno tanta paura di Trump
Basta guardare chi “spara” su Trump per convincersi che “The Donald” sia davvero l’unica alternativa possibile alla “guerra infinita”, inaugurata dall’élite Usa all’indomani dell’11 Settembre, casus belli della spaventosa strategia della tensione diffusa senza tregua, a livello internazionale, attraverso sigle che vanno da Al-Qaeda all’Isis, passando per le carneficine in Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Libia e Siria. «Nessuno di noi voterà per Trump», hanno annunciato 50 ex funzionari repubblicani della sicurezza nazionale, schierati con la Clinton. Tra questi l’ex direttore della Cia, Michael Hayden, l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, e il famigerato John Negroponte, grande stratega del terrore in Centramerica, coi finanziamenti occulti ai Contras e l’occultamento degli abusi contro i diritti umani commessi da agenti addestrati dalla Cia in Honduras negli anni ‘80. Per Hillary Clinton, una tifoseria da film dell’orrore. «Non sappiamo perché Trump apprezzi Putin», ha detto Hillary. L’annuncio della Clinton, secondo un analista americano come Stephen Lendman, «spiega molto del perché il partito della guerra degli Stati Uniti stia temendo Trump».Il tycoon col parrucchino ha definito la Nato “obsoleta”? Certo: infatti «può tentare di normalizzare i legami con la Russia». Donald Trump «non è un pacifista, ma difficilmente inizierebbe la Terza Guerra Mondiale», scrive Lendman, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «Comparato alla Clinton, è la minore di due forze oscure. Bisogna dargli merito di volere un riavvicinamento con la Russia e non lo scontro, a condizione che riesca ad andare fino in fondo se eletto presidente». Il suo potenziale spostamento geopolitico, continua Lendman, ha avversari come l’ex direttore Cia, Michael Morell, che lo definisce «un agente inconsapevole della Federazione Russa», e quindi costituisce «una minaccia per la sicurezza nazionale». Aggiunge Lendman: «I neoconservatori come Morell, la Clinton e molti altri che infestano Washington, credono che le iniziative di pace che guadagnano forza rappresentino la più grande minaccia geopolitica all’America – soprattutto se pongono fine agli annosi rapporti contraddittori con la Russia».Per Morell e soci, “The Donald” non è qualificato per gestire la politica estera: «Sarebbe un presidente pericoloso e metterebbe a rischio la sicurezza e il benessere del nostro paese». Secondo i 50 firmatari dell’ultra-destra, autori del manifesto anti-Trump, l’avversario della Clinton «indebolirebbe l’autorità morale degli Stati Uniti come leader del mondo libero», anche prché «ha poca comprensione degli interessi nazionali dell’America, le sue complesse sfide diplomatiche, le sue indispensabili alleanze e dei valori democratici su cui deve basarsi la politica estera degli Stati Uniti». Peggio ancora: «Si complimenta insistentemente con i nostri avversari e minaccia i nostri alleati ed amici». Ergo: «Se arrivasse allo Studio Ovale sarebbe il presidente più sconsiderato della storia americana». Tutto questo, perché crede che la Nato sia “obsoleta” e perchè favorisce la normalizzazione delle relazioni con la Russia. «La massima priorità dell’umanità è di evitare un’altra guerra globale», osserva Lendman. Guerra che, se scoppiasse, «probabilmente sarebbe con armi nucleari e minaccierebbe la sopravvivenza del genere umano».Non è un’ipotesi remotissima: «Le probabilità per l’impensabile sono fin troppo alte per rischiare sotto Hillary, se dovesse succedere ad Obama. Fin dagli anni ‘90 i suoi pessimi primati dimostrano quanto sia una guerrafondaia pazza scatenata, estremamente ostile alla Russia, alla Cina e a tutti gli altri Stati sovrani indipendenti». La conosciamo, Hillary Clinton: «La sua strategia geopolitica preferita è la guerra. È favorevole all’uso di armi nucleari e alle aggressioni della Nato, guidata dagli Stati Uniti, “per preservare il nostro stile di vita”». E Trump? Ha risposto ai firmatari della lettera dicendo che sono «quelli a cui il popolo americano dovrebbe chiedere le risposte sul perché il mondo sia un disastro». Li ringraziamo per essersi fatti avanti, aggiunge Trump, così almeno «chiunque, nel paese, sa a chi dare la colpa di rendere il mondo un posto così pericoloso». Non sono «nient’altro che le élite fallite di Washington che cercano di aggrapparsi al proprio potere».Ha ragione, scrive Lendman: «Molti di loro sono responsabili delle guerre di aggressione pre-e-post 11 Settembre – estremisti anti-pace che dovremmo denunciare tutti». La Clinton? «E’ la scelta dell’establishment come presidente. Probabilmente succederà ad Obama con mezzi leciti o illeciti». Se invece vincesse Trump, a sorpresa, «probabilmente non si discosterà molto dalle tradizionali politiche interne ed estere degli Stati Uniti». Inutile illudersi: «I candidati dicono qualsiasi cosa per farsi eleggere». Ma poi, «una volta in carica, continuano i loro affari sporchi come al solito». Eppure, conclude Lendman, «un’inconcepibile guerra globale è molto più probabile sotto la Clinton che sotto di lui». Ecco perché «è fondamentale contrastare la sua candidatura alla più alta carica della nazione o a qualsiasi altra carica pubblica».Basta guardare chi “spara” su Trump per convincersi che “The Donald” sia davvero l’unica alternativa possibile alla “guerra infinita”, inaugurata dall’élite Usa all’indomani dell’11 Settembre, casus belli della spaventosa strategia della tensione diffusa senza tregua, a livello internazionale, attraverso sigle che vanno da Al-Qaeda all’Isis, passando per le carneficine in Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, Libia e Siria. «Nessuno di noi voterà per Trump», hanno annunciato 50 ex funzionari repubblicani della sicurezza nazionale, schierati con la Clinton. Tra questi l’ex direttore della Cia, Michael Hayden, l’ex presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, e il famigerato John Negroponte, grande stratega del terrore in Centramerica, coi finanziamenti occulti ai Contras e l’occultamento degli abusi contro i diritti umani commessi da agenti addestrati dalla Cia in Honduras negli anni ‘80. Per Hillary Clinton, una tifoseria da film dell’orrore. «Non sappiamo perché Trump apprezzi Putin», ha detto Hillary. L’annuncio della Clinton, secondo un analista americano come Stephen Lendman, «spiega molto del perché il partito della guerra degli Stati Uniti stia temendo Trump».
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Soluzione Finale, la sporca guerra dell’élite contro di noi
Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.Uno dei miti più in voga che dà forza alla narrazione luciferina prevalente che tende a legittimare un modello di governo fondato sulla menzogna, sul sopruso e sull’imbroglio riguarda il tema della guerra. «Chi di voi ha nostalgia delle brutture del Novecento, quando le guerre lasciavano sul campo milioni di morti sacrificati sull’altare di un nazionalismo anacronistico e aggressivo? Se oggi domina la pace, anzi, se da settanta anni gli europei vivono in armonia, il merito è del processo di unificazione avviato all’indomani del secondo conflitto mondiale. Nessuno ha il diritto di buttare a mare un patrimonio così nobile nato con Spinelli sull’isola di Ventotene». Non è forse questo il ritornello che i servi del regime massonico-mondialista ripetono di continuo come pappagalli ammaestrati? Siete poveri, disoccupati, disperati, ammalati e non curati? Non lamentatevi, dal momento che vi abbiamo perlomeno lasciato la libertà di ammazzarvi da soli, rispondono tra le righe i padroni del vapore. Ebbene, sappiate che il ricatto della “pace”è falso come una banconota da tre euro.Intanto quelli che si gloriano di avere condotto l’umanità sulla via della tolleranza e del progresso sono gli stessi che fomentano, finanziano, pianificano e realizzano di continuo stragi in Medio Oriente. Basta studiare en passant il profilo di una Hillary Clinton, appoggiata discretamente pure dal clan Bush nella corsa alle presidenziali americane, per rendersene conto. In secondo luogo non è vero che la guerra è stata bandita nel “mondo libero”, avendo semmai assunto forme asimmetriche, ipocrite e dissimulate. La guerra, è vero, non si combatte più “orizzontalmente” tra eserciti regolari. La guerra moderna, che è in atto ed è altrettanto sanguinaria e spietata, la combattono trasversalmente i pochi potenti – ovunque dislocati nell’orbe terracqueo – contro i tanti poveracci che brulicano senza sosta in cerca di sicurezze che mai troveranno. Detta in termini più chiari ed espliciti: Obama, Merkel, Hollande, Abe, Cameron e compagnia non si combattono tra di loro perché già impegnati nel combattere insieme una guerra sporca contro tutti noi; i rappresentanti politici delle élite economiche e finanziarie dei rispettivi paesi colpiscono come un sol uomo gli esclusi e i deboli in quanto tali, senza cioè farsi condizionare da questioni di razza, sesso o religione, fattori da essi stessi marxianamente considerati poco più che “sovrastruttura”.In questo modo le élite colpiscono nell’ombra e non rischiano quasi nulla. Immaginate come sarebbe oggi il mondo se Hilter e Stalin, anziché sfidarsi mortalmente, avessero trovato all’epoca un accordo tra di loro sulle pelle delle classi subordinate tanto russe quanto tedesche. La “pace” di cui oggi “godiamo” è frutto di uno scellerato patto che “blinda” soltanto i vertici della Piramide. Per cui non bisogna lasciarsi impaurire dalle letture distorte e interessate veicolate da figuri come Giorgio Napolitano, pericolosissimo elemento che ha lavorato e lavora come pochi per disintegrare il benessere materiale e spirituale dell’Italia. Chi governa sulla paura è ontologicamente un farabutto. Chi propone di accettare una scelta dolorosa, non per convinzione ma per evitare guai peggiori, è certamente un delinquente da segnare con matita rossa per poi colpire (politicamente s’intende) con intensità e cinismo nel momento più opportuno. Fretta e isteria sono sempre cattive consigliere.Per Tony Blair, ad esempio, macellaio che falsificò documenti per giustificare una scellerata guerra in Iraq, il momento delle “spiegazioni” è quasi arrivato. Il 6 luglio verrà infatti pubblicato un report all’interno del quale saranno messe in evidenza le tante porcherie commesse dall’ex premier inglese. Solo chi insegua la “giustizia” prima o poi rischia di trovarla. Il “sistema” eretto dai massoni mondialisti e nazisti tecnocratici, che punta finalisticamente alla creazione di un mondo reso omogeneo dalla divinizzazione dei “diritti cosmetici” (a scapito di quelli sostanziali, economici e sociali), da realizzare per mezzo di endemici shock sapientemente cadenzati nel tempo, comincia a scricchiolare. In Austria hanno dovuto ricorrere all’utilizzo di pacchiani brogli elettorali per insediare al potere l’ennesimo personaggio “tegolato” e “ammaestrato”. In Francia il premier Valls ha già dato il via a rastrellamenti in stile Petain. Insomma la resa dei conti è già iniziata e i nemici della verità, della libertà e della democrazia sono spietati e pronti a tutto. I loro effimeri troni, a breve, verranno definitivamente spazzati.(Francesco Maria Toscano, “I nazisti tecnocratici pianificano la Soluzione Finale in danno delle classi subalterne”, dal blog “Il Moralista” del 27 maggio 2016).Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.
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Cofferati: all’Italia serve una sinistra, non il Pd di Renzi
Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.Io responsabile per la vittoria di Toti? È una sciocchezza clamorosa. Una penosa giustificazione di chi non ha più il consenso dei cittadini liguri. Ad analizzare i flussi elettorali si vede chiaramente che Paita ha perso le elezioni perché ha incarnato la continuità con Burlando. Nessun cambiamento rispetto ad una giunta che è stata bocciata dai cittadini. Inoltre Pastorino ha sottratto voti all’astensionismo e al M5S. Senza la sua candidatura, il movimento di Grillo avrebbe superato Paita, che sarebbe arrivata terza. Il Pd non è più il partito che abbiamo fondato, ha rinunciato a quei valori perdendo la sua configurazione di sinistra. Le torsioni neocentriste del governo Renzi sono numerose e su più campi. Prima accennavo al Jobs Act: come si può sostenere che togliere diritti e protezione sociale ai lavoratori sia un’azione di sinistra? Il mercato del lavoro è diviso tra garantiti e non garantiti, tra persone che hanno alcune tutele e un’altra area che ne ha meno o niente affatto. Un’azione di sinistra è estendere a tutti gli stessi diritti, non toglierli in maniera generalizzata per parificare a ribasso.In un paese come il nostro, credo sia importante avere delle forze politiche di sinistra. Il Pd non è in grado di assolvere a questa funzione. Per questo, ritengo centrale mettere in campo una discussione sui valori, il punto dal quale partire per dare un’indicazione e creare coinvolgimento e partecipazione popolare. Se vediamo ai numeri sull’astensionismo, molte, troppe, sono le persone disilluse dall’attuale quadro politico. Non si sentono rappresentate da nessuno. Chi darà loro i valori nei quali identificarsi e per i quali tornare a votare, avrà svolto una funzione utile per la democrazia e avrà realizzato un’area di consenso importante. Vogliamo riunificare persone diverse – e con storie diverse – che sentono il bisogno di appartenenza e di identità a quei valori condivisi. Cosa vuol dire essere di sinistra? Noi indichiamo quali siano le politiche coerenti con quei valori e intorno ad essi cominciamo a creare delle aggregazioni territoriali che permettano il confronto e la ricerca. Con pazienza. Senza far precipitare la discussione nel “contenitore” politico. Insisto: capiamo prima i valori di una moderna sinistra di governo, al passo coi tempi.Rovesciamo l’approccio di intenti. Discutere ora di partito significa mettere assieme frammenti o piccoli partiti già esistenti. Noi dobbiamo avere un’ambizione molto più alta e imboccare un percorso oggettivamente più difficile. Lo spazio c’è, ed è ampio. Pensiamo al risultato dell’Emilia-Romagna, dove alle regionali ha votato soltanto il 37% degli aventi diritto. Fino a qualche anno fa, si arrivava alla soglia del 90. Bisogna evitare l’errore della mera sommatoria tra i soggetti a sinistra del Pd e ripartire da una serie di temi: beni comuni, il lavoro, la Rete. Nel mentre bisogna costruire una classe dirigente che non può essere connotata e condizionata dalla mia generazione, che ha la sola funzione di stimolare questa ricerca e crescita, non di proporsi come dirigente di tale processo. Avvieremo una discussione senza la presunzione di assegnarsi o di autoassegnarsi funzioni di leadership che personalmente non ho mai avuto, ma che in questa fase secondo me non dovrebbe avere nessuno. Per il giurista Rodotà la sinistra deve ripartire dalle realtà associative, i partiti esistenti sono delle “zavorre”: concordo sull’importanza di relazionarsi col mondo associativo e le realtà territoriali. È un lavoro necessario. Tale posizione non è alternativa né in contrasto con la discussione che bisogna aprire sui valori identitari della sinistra.La “coalizione sociale” di Landini? Rispetto al nostro, sono due progetti distinti che devono avere un rapporto stretto e dialettico. E camminare insieme, perché abbiamo un tessuto ricchissimo, a volte addirittura fondamentale, di associazionismo che non ha una rappresentanza politica. Landini come leader della nuova sinistra? La cosa è molto più complessa ed eviterei facili semplificazioni o scorciatoie sul leader. I tempi saranno oggettivamente lunghi e non bisogna farsi condizionare dalle scadenze elettorali. Poi di volta in volta e di luogo in luogo si ragionerà sul da farsi. Un’intesa con il M5S in chiave antirenziana? Grillo ha deciso purtroppo di auto-isolarsi. Nel Parlamento Europeo, dove siedo, non essendoci la dinamica di governo c’è una collaborazione su alcune battaglie con gli esponenti grillini; in Italia, Grillo ha deciso di stare all’opposizione, da solo, e senza interagire con nessuno. Il M5S ha sottratto molti voti all’elettorato tradizionale della sinistra; speriamo di creare un progetto tale, e innovativo, da poterlo riconquistare. Appelli a Cuperlo e Bersani perché trovino il coraggio di uscire dal Pd? Non faccio appelli, ma una costatazione: se una opposizione interna a un partito, oltre ad non ottenere risultati nella linea politica, non ha nemmeno il rispetto del gruppo dirigente, si va per forza di cose ad esaurire, con una perdita di credibilità delle persone che l’hanno esercitata.(Sergio Cofferati, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Il Pd ha cambiato natura, ripartiamo dai valori della sinistra”, pubblicata su “Micromega” il 3 luglio 2015).Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.
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Gangster al governo, brogli d’oro per salvare il dollaro
Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.«Praticamente tutte le scommesse effettuate sul mercato dei “futures” sono pagate in contanti, in moneta e non in oro», spiegano Craig Roberts e Krnzler. Così, «il pagamento in contanti dei contratti serve a spostare dal mercato fisico al mercato monetario il luogo in cui si determina il prezzo dell’oro». E’ il terreno perfetto per manpolazoni d’ogni genere.L’ultima macchinazione orchestrata? E’ legata alla Fed, per esempio, che ha deciso di far salire il picco del tasso di cambio del dollaro dopo aver annunciato la fine del “quantitative easing”. Appena la banca centrale Usa ha dichiarato che avrebbe smesso di stampare dollari per sostenere il prezzo delle obbligazioni, ha dato mandato alle banche di far scendere il prezzo dell’oro con nuove vendite “naked”, cioè “allo scoperto”. Funziona così: enormi quantità di contratti a termine “scoperti”, cioè solo di carta, vengono stampati per essere buttati, tutti in una volta, sul mercato dei “futures” nei momenti in cui il mercato tende a salire. «Aumentando l’offerta di “oro di carta”, le vendite di enormi quantità servono a far scendere il prezzo dei “futures”, ed è il prezzo del “future” che determina il prezzo a cui le quantità fisiche dei lingotti possono essere acquistate».Stesso schema in Giappone, dove il prezzo dell’oro – su pressione di Washington – è stato fatto crollare per compensare l’effetto del nuovo massiccio programma di “Qe”. Obiettivo: impedire che l’oro si valorizzasse come bene-rifugio, a scapito della speculazione finanziaria. «L’annuncio del Giappone di voler creare moneta all’infinito avrebbe dovuto provocare un rialzo del prezzo dell’oro. Quindi, per evitare questa prevedibile risalita, alle 3 di notte – ora occidentale – mentre era in corso un intenso scambio di “futures” dell’oro, il mercato dei “futures” elettronico (Globex) è stato investito da una improvvisa vendita di 25 tonnellate di contratti Comex di “oro di carta”, allo scoperto, facendo scendere immediatamente il prezzo dell’oro a 20 dollari. «Nessun venditore onesto avrebbe buttato via il proprio capitale con una vendita di quel genere, in quel modo». Il prezzo dell’oro si è stabilizzato con un lieve rialzo, ma alle 8 del mattino – ora della costa orientale Usa – 20 minuti prima della apertura del New York Futures Market (Comex), sono state messe in vendita altre 38 tonnellate di oro in “futures di carta e allo scoperto”, sempre per far scendere il prezzo del lingotto. «Anche in questo caso, nessun investitore onesto si sarebbe liberato di una quantità tanto enorme di suoi beni personali, cancellando così improvvisamente la sua propria ricchezza».Il fatto che il prezzo dell’oro sia determinato in un mercato di carta – in cui non c’è nessun limite di quantità nel creare la carta su cui scrivere i contratti – produce lo strano risultato che la domanda di lingotti di oro fisico si trovi in un mondo fuori dal tempo, senza rapporti con la produzione reale, e quindi il prezzo può continuare a scendere, annotano Craig Roberts e Kranzler. «La domanda asiatica è pesante, in particolare quella dalla Cina, e le aquile d’argento e d’oro stanno volando via dagli scaffali della zecca degli Stati Uniti in quantità da record. Le scorte dei lingotti si stanno esaurendo, ma i prezzi dell’oro e dell’argento continuano a scendere giorno dopo giorno». Spiegazione: «Il prezzo del lingotto non è determinato in un mercato reale, ma in un mercato truccato, fatto solo di carta, in cui non c’è nessun limite alla quantità e alla possibilità di creare “oro di carta”». Cinesi, russi e indiani «sono ben lieti che autorità americane corrotte, con questo sistema, rendano loro possibile acquistare sempre maggiori quantità di oro a prezzi sempre più bassi». Infatti, «un mercato truccato è proprio quello che ci vuole per gli acquirenti di lingotti, così come è proprio quello che ci vuole per le autorità Usa che si sono impegnate a proteggere il dollaro da un aumento del prezzo dell’oro».Certo, «una persona onesta potrebbe pensare che esista una incompatibilità tra una forte domanda per un bene che può essere fornito solo in quantità vincolata e un contemporaneo calo del suo prezzo». Il fenomeno è più che anomalo: «Una situazione del genere dovrebbe suscitare l’interesse degli economisti, dei media finanziari, delle autorità finanziarie e delle commissioni del Congresso». Tutto tace, invece. «Dove sono le class action delle compagnie delle miniere d’oro contro la Federal Reserve, e contro le banche che custodiscono i lingotti, e contro tutti quelli che stanno danneggiando gli interessi delle società minerarie con contratti di vendita “allo scoperto” a breve?». Sottolineano Craig Roberts e Kranzler: «La manipolazione dei mercati, soprattutto sulla base di informazioni privilegiate, è illegale e altamente immorale. La vendita allo scoperto – “naked” – sta causando danni agli interessi delle miniere. Una volta che il prezzo dell’oro sarà portato sotto i 200 dollari l’oncia, molte miniere diventeranno antieconomiche. Dovranno chiudere. I minatori diventeranno disoccupati. Gli azionisti perderanno soldi. Come si può continuare a mantenere un prezzo a questo livello, ovviamente truccato, e continuare a manipolarlo?».La risposta, scrivono Craig Roberts e Kranzler, è che «il sistema politico e finanziario degli Stati Uniti è stato inghiottito da un sistema di corruzione e criminalità», nientemeno. «La politica della Federal Reserve di brogli sui prezzi delle obbligazioni e dell’oro per dare liquidità alla speculazione del mercato azionario ha danneggiato l’economia e decine di milioni di cittadini americani, solo per proteggere le quattro mega-banche dai loro errori e dai loro crimini». Attenzione: «Questo uso privato della politica pubblica non ha precedenti nella storia». E’ puro banditismo. «I responsabili devono essere arrestati e mandati sotto processo e dovrebbero contemporaneamente essere citati per danni». Il guaio è che, accanto alle mega-banche, sono implicate le stesse autorità Usa, che «pagano S&P per mantenere un valore artificiale del cambio del dollaro e per trovare la liquidità necessaria per sostenere i titoli azionari e obbligazionari, particolarmente quest’ultimo tanto artificiosamente alto che i risparmiatori ricevono dalle banche un interesse reale negativo sui loro risparmi investiti in obbligazioni». Tutto abusivo, e pericoloso, perché il sistema finanziario è fuori dalla realtà dell’economia: «Quando le autorità non riusciranno più a tenere in piedi il castello di carte, il crollo del castello sarà completo».«La costruzione di questo castello di carta – accusano Craig Roberts e Kranzler – è la prova della complicità degli economisti, dell’incompetenza dei mezzi finanziari e della corruzione delle autorità pubbliche e delle istituzioni private. I capi di una manciata di mega-banche responsabili di tutto questo problema sono le stesse persone che siedono al Tesoro degli Stati Uniti, alla Fed di New York e nelle agenzie che controllano la finanza degli Stati Uniti. Stanno usando il loro potere di controllo sulla politica pubblica per proteggersi e per proteggere le loro imprese dai loro stessi comportamenti insensati». Dettaglio: «Il prezzo di questa protezione è tutto sulle spalle dell’economia e degli americani che pagano le tasse, e il prezzo da pagare sta continuando a salire». Ok, l’America sarà anche la patria dell’economia, vista la quantità di Premi Nobel. Questo però non spiega «come gli economisti americani non abbiano notato che il prezzo dell’oro, dell’argento, delle azioni e delle obbligazioni emesse negli Stati Uniti non abbiano nessun rapporto con la realtà economica del paese. L’incompatibilità tra mercati e realtà economica non disturba, comunque, né i politici né gli economisti, che fanno solo gli interessi del governo e dei gruppi di interesse loro alleati». Il risultato? «E’ un’economia ridotta a un castello di carte», gestita da personaggi che «dovrebbero stare in galera, anziché al governo».Truccano il prezzo dell’oro, giocando al ribasso e colpendo l’economia e i risparmiatori, solo per proteggere il dollaro, cioè la grande speculazione finanziaria. Peggio ancora: controllati e controllori sono le stesse persone. In un sistema sano, dovrebbero finire in galera. Lo affermano Paul Craig Roberts e Dave Kranzler: la finanza americana è un colossale imbroglio, scrivono, e cospira contro l’economia reale, a cominciare da quella degli Stati Uniti, aziende e famiglie. Sono accusa i “bankster” delle famigerate “bullion bank”, soprattutto Jp Morgan, Hsbc, ScotiaMocatta, Barclays, Ubs e Deutsche Bank: «Agendo probabilmente per conto della Federal Reserve, hanno sistematicamente spinto al ribasso il prezzo dell’oro», dal settembre del 2011. «Tenere basso il prezzo dell’oro serve a proteggere il dollaro Usa da una esplosione incontrollata dell’aumento del valore del dollaro e dei debiti in dollari». Certo, la domanda di oro continua a salire. Ma il prezzo viene tenuto basso col trucco dei “futures”: il prezzo dell’oro non è determinato dal mercato fisico, ma dalle scommesse speculative sul prezzo che si vuole stabilire.
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Il Pd che scappa in Svizzera coi soldi, scortato da poliziotti
Il caso di Marco Di Stefano sta assumendo tratti quasi comici, se non fossero drammatici perchè rivelatori di un malcostume politico diffuso e radicato. I magistrati hanno ricostruito come il deputato del Partito Democratico, accusato di aver preso tangenti per circa 2 milioni di euro quando faceva l’assessore in Lazio, abbia aperto due conti in Svizzera presso una filiale dell’Ubs. Per andare a portare nella Confederazione Elvetica i soldi, intascati in modo illecito secondo i magistrati, Di Stefano sarebbe stato accompagnato dai suoi amici poliziotti. Il deputato Pd, prima di entrare in politica, lavorava nella polizia di Stato, e avrebbe sfruttato i suoi antichi contatti per trasferire ingenti quantità di denaro non coerenti con la sua condizione reddituale e patrimoniale. Per i magistrati della procura di Roma la ricostruzione dei movimenti di Di Stefano, effettuata grazie alla collaborazione con le autorità elvetiche, sarebbe la prova della corruzione, mentre il deputato del Partito Democratico sostiene la sua innocenza. Il caso mette però ancora una volta in evidenza quanto il Pd sia spesso protagonista di vicende di malaffare legate alla politica.L’inchiesta Expo così come quella sul Mose avevano sfiorato il centrosinistra, benché in Lombardia e Veneto governino da anni partiti di centrodestra. La vicenda di Filippo Penati, collaboratore molto stretto di Pierluigi Bersani, non è mai stata affrontata dal punto di vista politico, e sostanzialmente rimossa da una classe dirigente lombarda cresciuta sotto l’ala protettrice dell’ex presidente della Provincia di Milano, punto di riferimento degli ex Ds settentrionali dal 2001 al 2011. Senza contare il rilievo nazionale avuto da Penati durante la segreteria Bersani, che gli affidò il ruolo di coordinatore della sua segreteria politica. L’intera vicenda di Marco Di Stefano interroga il Pd. L’ex assessore del Lazio ha parlato, nelle intercettazioni telefoniche, di «brogli» alle primarie 2012, minacciando di far scoppiare «un casino, coinvolgendo tutti». La nomina dell’assessore Marta Leonori che ha permesso a Di Stefano di diventare parlamentare è legata a questa vicenda? Mentre il Pd romano discute delle multe di Ignazio Marino, forse dovrebbe aprire una riflessione su un caso che lo coinvolge in modo pesante.La vicenda Di Stefano riguarda anche l’attuale classe dirigente del Pd nazionale. L’ex assessore del Lazio era uno dei tanti parlamentari che hanno coordinato un tavolo sulla Leopolda, ironicamente sulla “moneta digitale”. La prova di renzismo fatta da Marco Di Stefano indica come il rafforzamento della nuova maggioranza del Pd sia avvenuto in modo quantomeno poco cauto, visto che avrebbe coinvolto personale politico con più di un comportamento da “rottamare”. Una riflessione che può essere estesa ad altri casi giudiziari come quello del deputato messinese Francatonio Genovese, e che deve interrogare i vertici del Partito Democratico. Il Pd è diventato la formazione politica di riferimento del nostro sistema istituzionale, e non può non porsi il problema di come evitare l’arrivo di personale interessato solo ad arricchirsi con l’eventuale fetta di potere da conquistare. Iniziative legislative sui temi della corruzione e della trasparenza sarebbero davvero benvenute, oltre allo sviluppo di una riflessione più approfondita e sincera su quale sia il rapporto tra poteri economici e politica nell’Italia del 2014.(Andrea Mollica, “Perché il Pd ha accolto e candidato un faccendiere come Di Stefano, che portava i soldi in Svizzera scortato dai poliziotti?”, dal blog di Gad Lerner del 21 novembre 2014).Il caso di Marco Di Stefano sta assumendo tratti quasi comici, se non fossero drammatici perchè rivelatori di un malcostume politico diffuso e radicato. I magistrati hanno ricostruito come il deputato del Partito Democratico, accusato di aver preso tangenti per circa 2 milioni di euro quando faceva l’assessore in Lazio, abbia aperto due conti in Svizzera presso una filiale dell’Ubs. Per andare a portare nella Confederazione Elvetica i soldi, intascati in modo illecito secondo i magistrati, Di Stefano sarebbe stato accompagnato dai suoi amici poliziotti. Il deputato Pd, prima di entrare in politica, lavorava nella polizia di Stato, e avrebbe sfruttato i suoi antichi contatti per trasferire ingenti quantità di denaro non coerenti con la sua condizione reddituale e patrimoniale. Per i magistrati della procura di Roma la ricostruzione dei movimenti di Di Stefano, effettuata grazie alla collaborazione con le autorità elvetiche, sarebbe la prova della corruzione, mentre il deputato del Partito Democratico sostiene la sua innocenza. Il caso mette però ancora una volta in evidenza quanto il Pd sia spesso protagonista di vicende di malaffare legate alla politica.
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Via libera al golpe dell’élite, in Italia non vota più nessuno
Basta un pugno di voti, ormai, per eleggere persino il presidente dell’Emilia Romagna, perché gli italiani non vanno più a votare? Perfetto: è il “loro” piano, che si sta realizzando. Lo annunciò Mario Monti, l’uomo della Troika, «l’esponente italiano – dopo e insieme a Mario Draghi – più importante e rappresentativo del compatto fronte neoconservatore, neo-aristocratico e reazionario, che intende portare fino in fondo il piano strategico delle élite privilegiate della finanza, per il definitivo asservimento dei popoli». Monti? E’ «il vero vincitore» delle regionali 2014. Nel febbraio 2012, ricorda Sergio Di Cori Modigliani, ebbe a dire: «E’ il Parlamento che inceppa la via delle riforme strutturali, bisognerebbe aggirarlo per evitare che frenino lo sviluppo». E in un convegno dell’alta finanza a Milwaukee, negli Usa, nel settembre del 2013, spiegava che «il vero problema dell’Italia consiste nel fatto che si vota troppo spesso e sono ancora troppi ad andare a votare». E’ il sogno di ogni oligarca, osserva Di Cori Modigliani. E ora, con Renzi, si sta avverando: via il Senato, abolizione del Titolo V della Costituzione che ancora protegge i servizi pubblici, e legge elettorale che rende inutili gli elettori.«Riuscire a ridurre talmente tanto la percentuale dei votanti», scrive il blogger in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, all’indomani del record di astensionismo registrato alle regionali in Emilia e in Calabria, significa «avere la possibilità di poter effettuare dei veri e propri colpi di Stato senza sparare neppure un colpo, e – ciò che più conta – senza che neppure la gente se ne renda conto: e quando lo capirà, sarà ormai troppo tardi». Se l’obiettivo è riuscire ad arrivare al 65-70% di astensionismo alle politiche, continua Di Cori Modigliani, «su 14 milioni di voti validi, ne saranno sufficienti poco meno di 6 milioni per avere il potere assoluto, con il quale deliberare senza nessun ostacolo». In Emilia gli astenuti sono stati il 63%? «Neppure sanno di aver votato per Mario Monti». E’ il capolavoro della “società del Grande Fratello”, quella che ha vissuto «il più vasto genocidio culturale mai perpetrato in una società colta, evoluta, ricca, com’era un tempo quella italiana». Si affloscia la sfida del M5S? Tutto previsto: «Autostrada preferenziale per l’avanzata della Grande Destra, l’autentico populismo di bassa lega che preannuncia e avverte quale sarà il prossimo e imminente scenario politico internazionale, di qui a pochi mesi, quando esploderà la più grande crisi finanziaria mai esistita in Occidente».Quando l’Italia verrà chiamata alle urne, sarà «travolta e stravolta da nuovi arresti e nuovi scandali, sgomenta e sconcertata dinanzi alle continue denunce di nuove ruberie, di eterni sprechi, di nessuna proposta pragmatica all’orizzonte». La gente «si riverserà avvilita all’interno del proprio bozzolo esistenziale privato, nell’estremo tentativo di salvare il salvabile pur di sopravvivere». Di fatto, gli italiani «non si fideranno più di nessuno, non crederanno più a nessuno, non avranno voglia di seguire più nulla, perché ne avranno tutti le palle strapiene: si saranno arresi dichiarando “fate come vi pare, tanto non cambia mai nulla”». Meno gente va a votare, continua Di Cori Modigliani, e meglio è per «la pattuglia clientelare che gestisce i quotidiani brogli e imbrogli del sistema bancario italiano, ormai giunto al collasso imminente». In mancanza di un’alternativa credibile, «brinda la Destra festeggiando la definitiva dissoluzione della Sinistra italiana, suicidatasi con enfasi». Renzi? Può già incassare in Europa una bella cambiale in bianco: l’Italia è cotta, pronta per essere mangiata.«La fase finale della rivoluzione neo-conservatrice sta iniziando, perché la gente, oltre a non farcela più, davvero non ne può più», scrive Di Cori Modigliani. «Il nuovo presidente dell’Emilia Romagna ha ottenuto il 16,9% dei voti dei residenti nella sua regione: in una realtà come questa, non c’è più bisogno neppure di fantasticare un colpo di Stato». Gli italiani si sono arresi, sono «la carne da cannone della neo-aristocrazia imperiale della società mediatica post-moderna. Ma non lo sanno, neppure se ne accorgono», perché sono stati annientati innanzitutto sul piano della conoscenza, della consapevolezza: «A questo serve il genocidio culturale». Il “caro leader”? «Si lecca i baffi, e ha ragione a farlo. Volevate quest’Italia, quest’Italia avete oggi. Nel 2013 l’indice di lettori in Italia è diminuito del 32% rispetto all’anno precedente. E’ il paese più ignorante d’Europa. Perché mai dovrebbero andare a votare?».Basta un pugno di voti, ormai, per eleggere persino il presidente dell’Emilia Romagna, perché gli italiani non vanno più a votare? Perfetto: è il “loro” piano, che si sta realizzando. Lo annunciò Mario Monti, l’uomo della Troika, «l’esponente italiano – dopo e insieme a Mario Draghi – più importante e rappresentativo del compatto fronte neoconservatore, neo-aristocratico e reazionario, che intende portare fino in fondo il piano strategico delle élite privilegiate della finanza, per il definitivo asservimento dei popoli». Monti? E’ «il vero vincitore» delle regionali 2014. Nel febbraio 2012, ricorda Sergio Di Cori Modigliani, ebbe a dire: «E’ il Parlamento che inceppa la via delle riforme strutturali, bisognerebbe aggirarlo per evitare che frenino lo sviluppo». E in un convegno dell’alta finanza a Milwaukee, negli Usa, nel settembre del 2013, spiegava che «il vero problema dell’Italia consiste nel fatto che si vota troppo spesso e sono ancora troppi ad andare a votare». E’ il sogno di ogni oligarca, osserva Di Cori Modigliani. E ora, con Renzi, si sta avverando: via il Senato, abolizione del Titolo V della Costituzione che ancora protegge i servizi pubblici, e legge elettorale che rende inutili gli elettori.
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Contro il gas russo, l’Europa dei cretini autolesionisti
Ora che il governo di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra ha chiuso l’affare scozzese, tra sospetti brogli denunciati anche dalla “Bbc” e l’illusione dei gonnellini di Edimburgo di poter cambiare la loro sorte per via referendaria, Londra può di nuovo dedicarsi a quello che le riesce meglio: fare il cane da guardia Usa in Europa contro gli interessi degli stessi cittadini europei. Come mai un paese che non ha adottato la moneta unica, che non ha aderito a molti trattati comunitari, che misura la propria esistenza in pollici, acri ed once, che guida tenendo la sinistra, che non ha, insomma, nulla in comune col resto dei continentali, abbia così tanta voce in capitolo in Ue è uno di quei misteri del Vecchio Continente che resteranno sempre irrisolvibili, almeno finché non si apriranno gli occhi sui compiti storici di questa comunità tenuta insieme contro la volontà dei popoli e nata per volere di burocrazie politiche corrotte e cricche finanziarie speculatrici asservite al dominio d’oltreatlantico.Gli inglesi, i quali hanno difficoltà a badare a se stessi, per quanto la crisi li abbia colpiti meno di altre potenze europee, grazie al controllo esercitato dallo Stato sulla sterlina e sui capisaldi economici del sistema che sono stati contaminati meno dalle stupide imposizioni di Bruxelles, temono che Kiev possa restare all’addiaccio e si prodigano affinché ciò non avvenga. In realtà, si preoccupano per il saccheggio del gas da parte degli ucraini che sono stati convinti ad abbracciare l’“acquis communautaire” nonostante le uniche leggi riconosciute da quelle parti siano quelle del taglione e del taglieggiamento. Convincere questi gangster dell’est a comportarsi civilmente non sarà una cosa facile, ma averli allontanati dalla presa del potente vicino, per gli inglesi, evidentemente, vale il rischio che si sta correndo. Ora però bisogna ostacolare Mosca in tutti i modi possibili, impedendo che questa si rafforzi ancora sui mercati energetici e che eserciti ulteriormente la sua pressione sulle capitali europee dipendenti dalle sue forniture.La corsa ai giacimenti artici, dove i russi si sono lanciati con grande impeto, potrebbe essere il prossimo terreno di scontro. Il circolo polare artico pare custodisca il 22% delle risorse energetiche mondiali recuperabili. Mosca non nasconde le sue rivendicazioni sulla zona e reclama i suoi diritti di ricerca e di sfruttamento, che però vengono contestati strumentalmente da alcuni Stati nordici. Il recente embargo di tecnologia occidentale imposto da Washington al Cremlino, al quale l’Ue si è passivamente accodata, serve proprio ad evitare che Putin & co. proseguano spediti su questa rotta. Nessuno dei paesi dell’alleanza atlantica dovrà agevolare i russi nello sfruttamento di tale settore, per rallentare la loro corsa esplorativa nell’area. In secondo luogo, europei e americani puntano a indebolire Gazprom sabotando i suoi progetti in Europa come il gasdotto South Stream, che aggirando l’Ucraina favorisce percorsi più stabili di pompaggio dell’oro blu verso i clienti europei.In ossequio a questi pregiudizi autolesionistici, qualche giorno fa l’Europarlamento ha approvato una risoluzione non legislativa (che non sarà vincolante ma è di certo molto ipocrita) per sollecitare i paesi dell’Ue ad annullare gli accordi nel settore energetico previsti con la Russia, tra cui quelli per il gasdotto in questione. Nello stesso documento, gli eurodeputati hanno definito le sanzioni russe all’Ue ingiustificate. Questa manica d’idioti pretenderebbe che Mosca se ne restasse ferma mentre si cerca di isolare la sua economia. I sudditi d’Inghilterra sono quelli più accaniti contro il Cremlino e stanno pure spingendo affinché il monopolio della controllata di Stato russa venga contrastato attraverso le azioni dell’autorità antitrust europea, la quale dovrebbe multare per molti miliardi di euro la Gazprom per il suo modus operandi anticoncorrenziale. Si tratta unicamente di scuse per non rispettare i contratti ed indebolire l’influenza dell’azienda sul nostro mercato.Londra però non specifica con cosa e con chi sostituire i rifornimenti di Mosca, e i suoi scarni riferimenti al gas di scisto (da importare dagli Usa? Da trovare in casa? In quanto tempo e in che quantità?) non rassicurano affatto sul futuro energetico di un’Europa messa alle strette dalla crisi economica e dall’imbecillità dei suoi leader che parlano a vanvera ed agiscono a capocchia. E mentre loro studiano la via più breve per tagliarsi le palle da soli pensando di fare un dispetto a Putin, quest’ultimo si è trovato “un’amante cinese”. Fino a quando costoro seduti a fare danni a Bruxelles abuseranno della nostra pazienza e disporranno del nostro avvenire con inesistente senso di responsabilità?(Gianni Petrosillo, “L’Europa antirussa si fa male da sola”, da “Conflitti e Strategie” del 21 settembre 2014).Ora che il governo di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra ha chiuso l’affare scozzese, tra sospetti brogli denunciati anche dalla “Bbc” e l’illusione dei gonnellini di Edimburgo di poter cambiare la loro sorte per via referendaria, Londra può di nuovo dedicarsi a quello che le riesce meglio: fare il cane da guardia Usa in Europa contro gli interessi degli stessi cittadini europei. Come mai un paese che non ha adottato la moneta unica, che non ha aderito a molti trattati comunitari, che misura la propria esistenza in pollici, acri ed once, che guida tenendo la sinistra, che non ha, insomma, nulla in comune col resto dei continentali, abbia così tanta voce in capitolo in Ue è uno di quei misteri del Vecchio Continente che resteranno sempre irrisolvibili, almeno finché non si apriranno gli occhi sui compiti storici di questa comunità tenuta insieme contro la volontà dei popoli e nata per volere di burocrazie politiche corrotte e cricche finanziarie speculatrici asservite al dominio d’oltreatlantico.
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Ma il vero complottismo è quello della verità ufficiale
Per anni, i custodi della verità ufficiale hanno bollato come “fanatico cospirazionista” chi osava sostenere che il leader dei palestinesi Yasser Arafat fosse stato assassinato. Oggi l’autopsia rivela che Arafat è stato quasi certamente avvelenato col polonio-210, la stessa sostanza radioattiva che nel 2006 causò la morte della spia Alexandr Litvinenko. Le stesse persone che deridevano i “complottisti” pronti ad accusare Israele per la morte di Arafat non ebbero invece esitazioni sul caso Litvinenko: giustiziato da Putin, conclusero, ovviamente senza uno straccio di prova. Questi due casi, osserva Neil Clark, dimostrano che ci sono teorie del complotto “ufficialmente approvate”, e teorie del complotto che non godono di un simile beneplacito: etichettare qualcuno come “complottista”, da parte dei difensori delle verità ufficiali dell’Occidente, non ha niente a che vedere con la presenza di prove reali. «Definire qualcuno un “complottista” è la loro modalità operativa standard per dichiarare che una certa persona deve essere isolata». E’ il modo migliore soffocare il dibattito e spegnere il dissenso, alla faccia della libertà d’opinione.Non c’è maggior complottista dell’élite occidentale, scrive Clark in un intervento su “Rt” ripreso da “Megachip”. Obiettivo: ingannare l’opinione pubblica, che tende a fidarsi della narrazione dominante dell’establishment. Negli ultimi vent’anni, sono proprio i custodi della verità ufficiale ad aver barato in modo sistematico, e con conseguenze sanguinose come il mezzo milione di morti inflitto all’Iraq, attaccato nel 2003 con l’alibi – inventato – delle armi di distruzione di massa di Saddam. Dieci anni dopo, ecco la replica in Siria: gli stessi “guardiani della verità” hanno accusato Assad di aver bombardato la popolazione della capitale con gas tossici, a due passi dagli ispettori Onu appena arrivati in città. Prove? Inesistenti. E anche “inutili”, dopotutto, se il bersaglio sta dalla parte “sbagliata”: i media mainstream abboccano (o obbediscono, a seconda delle interpretazioni) e il gioco è fatto: l’indiziato diventa colpevole, di fronte al tribunale mediatico occidentale. E’ un gioco al massacro che si ripete identico: contro Hugo Chávez in Venezuela e contro Mahmoud Ahmadinejad in Iran, accusati entrambi di aver truccato i risultati elettorali. E le prove? Le ha pretese a gran voce un commentatore come Stephen Hildon, ma nessuno gli ha ancora risposto.«Quando il paese in discussione è un “nemico ufficiale”, non servono prove per fare delle affermazioni contro di esso», scrive Clark. «Non serve nemmeno che le affermazioni siano logiche». Esempio: se Bush e Blair avessero sinceramente ritenuto che l’Iraq possedesse armi nucleari, come avrebbero potuto attaccarlo in modo così imprudente? Il medesimo senso comune «ci dice anche che sarebbe stata pura follia, da parte del governo siriano, lanciare un esteso attacco chimico nei pressi di Damasco proprio mentre gli ispettori dell’Onu si trovavano in città, e mentre i falchi a favore del conflitto in Occidente non aspettavano che un qualunque pretesto per lanciare un attacco militare nel paese. E tuttavia ci si aspetta ancora che noi ci si beva queste teorie, nonostante la mancanza di prove ed il fatto che siano del tutto prive di senso». Al contrario, se il paese sotto osservazione è un paese occidentale o un alleato dell’Occidente come Israele, chiunque lo critichi viene immediatamente isolato come “complottista”, anche se si basa su fatti accertati e rispondenti a una logica ragionevole. «Se state cercando di trovare delle strampalate teorie del complotto – conclude Clark – l’esperienza degli ultimi vent’anni ci dice che il posto migliore in cui trovarle non è sul web o sui media “alternativi”, ma nelle voci (e nelle penne) degli stessi guardiani della verità ufficiale».Per anni, i custodi della verità ufficiale hanno bollato come “fanatico cospirazionista” chi osava sostenere che il leader dei palestinesi Yasser Arafat fosse stato assassinato. Oggi l’autopsia rivela che Arafat è stato quasi certamente avvelenato col polonio-210, la stessa sostanza radioattiva che nel 2006 causò la morte della spia Alexandr Litvinenko. Le stesse persone che deridevano i “complottisti” pronti ad accusare Israele per la morte di Arafat non ebbero invece esitazioni sul caso Litvinenko: giustiziato da Putin, conclusero, ovviamente senza uno straccio di prova. Questi due casi, osserva Neil Clark, dimostrano che ci sono teorie del complotto “ufficialmente approvate”, e teorie del complotto che non godono di un simile beneplacito: etichettare qualcuno come “complottista”, da parte dei difensori delle verità ufficiali dell’Occidente, non ha niente a che vedere con la presenza di prove reali. «Definire qualcuno un “complottista” è la loro modalità operativa standard per dichiarare che una certa persona deve essere isolata». E’ il modo migliore soffocare il dibattito e spegnere il dissenso, alla faccia della libertà d’opinione.