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Sdoganata la dittatura: la Tv censura Trump, figurarsi noi
Ormai i giochi sono fatti. Anche se Donald Trump rimane appeso alla speranza dei ricorsi legali, sono gli stessi commentatori repubblicani ad ammettere che le possibilità di capovolgere il risultato a proprio favore siano praticamente inesistenti. Per ribaltare la situazione infatti gli avvocati di Donald Trump dovrebbero riuscire a dimostrare che c’è stata una signficativa frode elettorale in almeno tre Stati diversi: Pennsylvania, Nevada e Georgia. È sufficiente infatti la vittoria in uno qualunque di questi per permettere a Biden di raggiungere comunque la soglia vincente dei 270 delegati. Sarebbe come cercare di farsi annullare tre gol subiti in una volta sola. Basta che uno di questi venga convalidato, e la partita la vince l’avversario. È infatti probabile che nei prossimi giorni, di fronte al percorso impervio dei ricorsi legali, gli stessi collaboratori di Trump convincano il presidente a lasciar perdere, e a fare finalmente il famoso discorso di concessione. Come aveva predetto Nancy Pelosi, «indipendentemente dal conteggio dei voti di martedì [3 novembre], il 20 gennaio Joe Biden sarà insediato alla presidenza degli Stati Uniti».A questo punto vorrei proporre un paio di considerazioni aggiuntive. 1) L’equilibrio di potere degli Stati Uniti verrà deciso in modo definitivo soltanto il 5 di gennaio. È rimasta infatti aperta la corsa per il controllo del Senato. (Ricordiamo che ogni Stato ha diritto di mandare a Washington due senatori, per cui 50 stati = 100 senatori). Nel caso della Georgia, però, nessuno dei quattro candidati (due repubblicani e due democratici) è riuscito ad ottenere la maggioranza del 50% (il partito “libertarian” si è aggiudicato circa il 2% dei voti, lasciando ciascuno dei candidati principali al 49% circa). Secondo le leggi della Georgia, i quattro candidati (due repubblicani e due democratici) dovranno quindi giocarsi l’elezione al Senato in un ballottaggio che avverrà il 5 di gennaio. Se per caso dovessero vincere ambedue i democratici, il partito di Joe Biden arriverebbe ad avere 50 senatori su 100. E quando c’è la parità in Senato, il voto decisivo viene riservato al vicepresidente degli Stati Uniti, che in questo caso sarà Kamala Harris. Con 50 senatori eletti, quindi, il partito democratico avrebbe la cosiddetta supermajority, ovvero il controllo completo di Camera, Senato e presidenza.A quel punto l’agenda globalista potrebbe ripartire in modo sfrenato e inarrestabile. Se invece almeno uno dei due senatori georgiani restasse repubblicano, allora i repubblicani conserverebbero almeno il controllo del Senato, e con esso una certa possibilità di limitare l’agenda del Deep State. 2) Il ruolo dei media è profondamente cambiato, nell’arco di pochissimo tempo. Nei giorni scorsi è successo un fatto che sarebbe stato considerato impensabile fino a qualche mese fa. Il presidente Trump ha iniziato a fare un discorso in diretta Tv dalla Casa Bianca, ma dopo una ventina di secondi è stato interrotto dal commentatore della “Msnbc”, Brian Williams, che ha detto: «Ci troviamo costretti a interrompere il discorso del presidente, e a correggerlo, perché sta dicendo delle bugie». In altre parole, il commentatore del telegiornale (la “Msnbc” è il “braccio armato” della corrente più liberal dei democratici) si è elevato contemporaneamente a giudice e a giustiziere del presidente.Invece di lasciarlo parlare, e poi eventualmente suggerire che «ciò che ha detto non risulta vero», Williams (su ordini superiori, naturalmente) ha fatto che prendere in mano la situazione, e ha deciso lui di mettere a tacere quello che gli stessi americani definiscono “l’uomo più potente del mondo”. E oggi è successo ancora di peggio. Durante una trasmissione della “Cnn”, il conduttore Jake Tapper ha detto: «Il presidente Trump ha appena fatto delle nuove dichiarazioni, ma noi non le riportiamo perché sono false». Avevano iniziato Facebook e Twitter a decidere loro che cosa potesse dire o non dire il presidente, censurandolo come se fosse un troll qualunque, e ora i grandi network televisivi hanno adottato lo stesso atteggiamento spudorato. Quella che fino ad un anno fa era una critica più o meno velata del presidente, oggi viene portata avanti come se fosse una cosa assolutamente normale e legittima, fatta alla luce del sole.Hanno sdoganato la censura in tempo reale, e da qui sarà molto difficile tornare indietro. Naturalmente, non ci verrà molto perché anche i nostri mezzibusti nazionali si sentano legittimati dai media americani a fare la stessa cosa, e importino anche da noi gesti di arroganza e di presunzione simili a questo. Aspettatevi presto un Mentana che dica, ad esempio: «Salvini ha fatto delle dichiarazioni contro il governo, ma noi abbiamo deciso di non riportarle, perché non corrispondono alla realtà». Sono loro, i “media affidabili”, quelli che decidono cosa è vero e cosa no. Anche questo è mondialismo. L’agenda ripartirà con grande violenza, su ogni fronte (quello mediatico in primis), e sarà sempre più difficile opporsi al suo avanzamento, sia nel cuore dell’impero che nelle tante colonie sparse per il mondo.(Massimo Mazzucco, “Mondialismo: les jeux sont faits”, da “Luogo Comune” dell’8 novembre 2020).Ormai i giochi sono fatti. Anche se Donald Trump rimane appeso alla speranza dei ricorsi legali, sono gli stessi commentatori repubblicani ad ammettere che le possibilità di capovolgere il risultato a proprio favore siano praticamente inesistenti. Per ribaltare la situazione infatti gli avvocati di Donald Trump dovrebbero riuscire a dimostrare che c’è stata una signficativa frode elettorale in almeno tre Stati diversi: Pennsylvania, Nevada e Georgia. È sufficiente infatti la vittoria in uno qualunque di questi per permettere a Biden di raggiungere comunque la soglia vincente dei 270 delegati. Sarebbe come cercare di farsi annullare tre gol subiti in una volta sola. Basta che uno di questi venga convalidato, e la partita la vince l’avversario. È infatti probabile che nei prossimi giorni, di fronte al percorso impervio dei ricorsi legali, gli stessi collaboratori di Trump convincano il presidente a lasciar perdere, e a fare finalmente il famoso discorso di concessione. Come aveva predetto Nancy Pelosi, «indipendentemente dal conteggio dei voti di martedì [3 novembre], il 20 gennaio Joe Biden sarà insediato alla presidenza degli Stati Uniti».
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Hanno perso tutti: gli italiani non si fidano di questi partiti
Macché vittoria referendaria dei 5 Stelle: la verità è che hanno perso, tutti. Lo scrive Stelio Mangiameli, in un’analisi sul voto del 20-21 settembre: il referendum, dove il 97% del sistema politico aveva sposato la causa del taglio dei parlamentari, e le regionali, finite con un 3-3 (e una regione come le Marche conquistata dal centrodestra). Un rafforzamento dell’attuale compagine di governo e della posizione di Conte? «Se ci si ferma qui – avverte Mangiameli sul “Sussidiario” – sfuggono i significati più profondi di questa particolare tornata elettorale». L’esito del referendum, semmai, «esprime un disappunto nei confronti di tutta la politica nazionale», ecco perché «non è un successo del M5S, e nemmeno di tutti coloro che si sono appoggiati alla loro proposta di taglio dei parlamentari». Nel caso dei grillini, poi, i risultati delle regionali – al lumicino – indicano «un declino difficilmente reversibile». La verità, scrive l’analista, è che nell’elettorato italiano «serpeggia da tempo un’insoddisfazione politica che ha investito tutti i partiti», percepiti come incapaci di affrontare i problemi reali, dalla crisi del 2011 in poi.Anziché attuare le riforme necessarie, «si è proceduto verso cambiamenti che di fatto non risolvevano i problemi del lavoro, delle infrastrutture, della sanità e della scuola, quando addirittura non li aggravavano». Di qui il successo (momentaneo) dei 5 Stelle, «nato sull’onda del Vaffa, e di cui spesso lo stesso Grillo si è vantato dicendo che il merito maggiore del Movimento era quello di avere controllato la protesta popolare». È bastato, però, che il M5S andasse al governo – annota Mangiameli – perché il suo appeal venisse meno e, via via, scemasse nelle elezioni europee e in quelle regionali. Alla prossima tornata «ci si accorgerà che la loro funzione di serbatoio della protesta si è esaurita», e sarà acclarato quanto oggi ormai si dice apertamente, «e cioè che il personale politico che hanno schierato nella compagine di governo non è stato sicuramente migliore di quello degli altri partiti, come del resto ha mostrato anche l’esperienza romana della sindaca Raggi». Per manifestare il loro malcontento, già alle europee 2019 gli elettori avevano premiato la Lega di Salvini. Ma anche l’onda leghista, aggiunge Mangiameli, ora sembra essersi attenuata.Può cantare vittoria almeno il Pd? Niente affatto: la perdita delle Marche «dovrebbe preoccupare non poco Zingaretti». Idem le affermazioni di De Luca ed Emiliano: il Pd ha vinto in Campania e in Puglia «con due candidati eterodossi». Cioè: «Fosse stato per il Pd e per il suo gruppo dirigente, né De Luca né Emiliano sarebbe mai stati ricandidati: troppo populisti e invisi allo stesso partito», sono stati «candidati subiti dal Pd nazionale». Lo stesso neo-presidente della Toscana, Eugenio Giani, “antico” socialista, «è stato più supportato da Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, che non dal gruppo dirigente nazionale del Pd». In sostanza, scrive Mangiameli, gli italiani «continuano a cercare un’alternativa a questa classe politica nazionale, che a più riprese hanno alternativamente premiato e punito». Quelli percepiti come i più affidabili sono i presidenti regionali uscenti, inclusi Zaia e Toti. Giudizio indiretto su Conte, anche alla luce della gestione della pandemia? «Gli italiani oggi si fidano più delle Regioni che non dello Stato».https://www.ilsussidiario.net/news/scenario-lultimo-appello-del-colle-ai-partiti-sconfitti-pd-compreso/2072942/Macché vittoria referendaria dei 5 Stelle: la verità è che hanno perso, tutti. Lo scrive il costituzionalista Stelio Mangiameli, in un’analisi sul voto del 20-21 settembre: il referendum, dove il 97% del sistema politico aveva sposato la causa del taglio dei parlamentari, e le regionali, finite con un 3-3 (e una regione come le Marche conquistata dal centrodestra). Un rafforzamento dell’attuale compagine di governo e della posizione di Conte? «Se ci si ferma qui – avverte Mangiameli sul “Sussidiario” – sfuggono i significati più profondi di questa particolare tornata elettorale». L’esito del referendum, semmai, «esprime un disappunto nei confronti di tutta la politica nazionale», ecco perché «non è un successo del M5S, e nemmeno di tutti coloro che si sono appoggiati alla loro proposta di taglio dei parlamentari». Nel caso dei grillini, poi, i risultati delle regionali – al lumicino – indicano «un declino difficilmente reversibile». La verità, scrive l’analista, è che nell’elettorato italiano «serpeggia da tempo un’insoddisfazione politica che ha investito tutti i partiti», percepiti come incapaci di affrontare i problemi reali, dalla crisi del 2011 in poi.
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Spariti i 5 Stelle, ora il Pd vorrebbe “commissariare” Conte
Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.Comunque, a me non sembra una vera vittoria del Pd. Toscana a parte, il centrosinistra si è affermato con candidati per certi versi “populisti” come Emiliano e De Luca, che cercano di difendere apertamente gli interessi della loro regione oppure si fanno notare per dichiarazioni e atteggiamenti che spopolano sul web o non passano mediaticamente inosservati. Allo stesso modo non mi sembra che si possa parlare di una sconfitta della Lega in quanto tale. Laddove la Lega è concreta sui bisogni del territorio, fa proposte specifiche e opera, riesce a farsi apprezzare dagli elettori, come si è visto con Zaia e Toti. Non guadagna consensi laddove invece si presenta solo come movimento di protesta, trattando argomenti di politica nazionale o criticando l’Europa. Salvini, se voleva essere il vero leader del centrodestra, avrebbe dovuto giocare meglio la partita delle regionali puntando su specifici problemi economici locali. Per esempio, in Toscana sulla vicenda Mps che si sta nuovamente complicando, in Campania sui contratti di produttività per spingere l’occupazione giovanile, in Puglia sull’ex Ilva di Taranto.Cosa accadrà ora al governo? Non ha vinto il Pd il senso stretto, ma sicuramente ha perso il M5S, che non può intestarsi l’affermazione del Sì al referendum, visto che non era l’unico partito a sostenerlo. Inoltre, alle regionali sono arrivati pochi voti rispetto alle politiche di due anni fa. Mi sembra anche che i pentastellati si stiano sfaldando, dato che non si capisce chi comanda tra Crimi, Di Maio, Grillo e Casaleggio jr, senza dimenticare che Di Battista ha fatto campagna contro Emiliano. Zingaretti avrà vinto grazie ai populismi, ma a questo punto vorrà il suo trofeo. Conte è nei guai, perché non si può certo dire che abbia vinto lui. Tra l’altro, l’esito del referendum costringerà i partiti a occuparsi di legge elettorale, il che appare un po’ assurdo visti i problemi economici che il paese è chiamato ad affrontare. Ci saranno non poche liti, e non è nemmeno da escludere che non si riesca ad arrivare all’approvazione della legge in questa legislatura. Detto questo, personalmente ritengo che il referendum sia illegittimo perché si sarebbe dovuto tenere a marzo, ma è stato rinviato a settembre causa Covid. Tuttavia non bisogna dimenticare che lo stato d’emergenza relativo alla pandemia è stato prorogato fino a metà ottobre, quindi non si sarebbe dovuto votare.Se Zingaretti ha vinto, cosa chiederà a Conte? Oltre al ricorso al Mes sanitario, vorrà una situazione in cui il Pd potrà avere più peso nell’utilizzo dei fondi europei, nelle decisioni economiche e nei rapporti con le regioni. In buona sostanza, chiederà un po’ dei posti che adesso hanno i 5 Stelle. Per fare cosa? Il problema è che i dem non sono in grado di sbloccare gli investimenti, sono vaghi e generici, e la linea economia del governo non verrà di fatto modificata. Come sempre è accaduto dopo le pestilenze, anche oggi ci vorrebbe un condono fiscale, ma non lo faranno. Casomai continueranno con una navigazione a vista senza una politica che aiuti davvero crescita e occupazione. Essendoci un’alleanza anomala tra due partiti “tortuosi” avremo ancora un governo che faticosamente prende poche decisioni, non particolarmente azzeccate. Alla fine, credo che sarà solamente una questione di poltrone: a parte il Mes sanitario, non compare all’orizzonte alcuna possibile linea di discontinuità. Basta pensare ai vari dossier economici. Il Pd non sembra avere una proposta sull’ex Ilva, su Alitalia, su Mps, su Autostrade. Senza dimenticare che non pare nemmeno avere in mente una normativa per sbloccare gli investimenti come accaduto per il ponte di Genova.(Francesco Forte, dichiarazioni rilasciate a Lorenzo Torrisi nell’intervista “Il Pd vuole commissariare Conte, ma aspetta Mattarella”, pubblicata dal “Sussidiario” il 23 settembre 2020. Forte è stato ministro delle finanze e ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie).Il Pd vorrebbe commissariare Conte, ma molto dipenderà anche da quello che deciderà di fare Mattarella. Lo stesso capo dello Stato potrebbe infatti anche chiedere un “tagliando” o un rimpasto visto che il M5S è stato ridimensionato dal voto. Forse avrà più poteri Gualtieri o ci sarà addirittura un vicepremier democratico. A ogni modo ho l’impressione che qualcuno del Pd verrà messo a “marcare a uomo” Conte. Il 22 settembre, Antonio Misiani ha mandato un messaggio chiaro agli alleati del Movimento 5 Stelle dai microfoni di “Radio 24″. Il viceministro dell’economia ha infatti ricordato che il Pd ha vinto in Toscana, Puglia e Campania senza il sostegno pentastellato. Se «la leadership di Zingaretti esce rafforzata», questo significa che ci dovranno essere anche dei cambiamenti negli equilibri della maggioranza. «Speriamo che veti ideologici e pregiudiziali vengano via via superati», ha detto in particolare Misiani, con riferimento alla richiesta di accesso al Mes sanitario che l’Italia, secondo i dem, dovrebbe avanzare. Penso che ci sarà un cambio negli equilibri, ma i veri problemi nell’azione di questo governo rimangono.
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Socialismo liberale, rooseveltiani al voto: Zagarolo e Varmo
«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».«Seguiremo con grande attenzione le elezioni comunali di Zagarolo», annuncia il presidente del Movimento Roosevelt, che in tutt’altra parte d’Italia (a Varmo, Udine) schiera direttamente un suo dirigente, Massimo Della Siega, candidato sindaco in una coalizione squisitamente civica. «Non è davvero più questione di etichette, sigle e schieramenti», conferma Della Siega: «Qui si tratta di riscrivere le regole del buon governo locale, dialogando con tutti e cercando di “fare rete”, su territori resi sempre più periferici». L’impegno nei Comuni, sottolinea Magaldi, nella deprecata Prima Repubblica era – giustamente – il primo passo, per elaborare quell’esperienza che, col tempo, avrebbe forgiato dirigenti politici capaci, e non improvvisati come quelli di oggi. «Intanto – riassume Pierluigi Winkler, uno dei vicepresidenti del Movimento Roosevelt – è necessario tornare ai valori del socialismo liberale che abbiamo appena sentito risuonare nelle parole pronunciate a Berlino da Robert Kennedy Junior, che ci hanno scaldato il cuore: ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica».Socialismo liberale? «Un ossimoro, per un guru del neoliberismo come Friedrich von Hajek – dice Magaldi – che finse di non aver letto Carlo Rosselli». Quei valori sono perfettamente coniugabili: e devono tornare a esserlo, oggi più che mai, dice Winkler, «anche se il socialismo maggioritario che si affermò in Occidente non era democratico ma comunista, cioè a vocazione oligarchica». Questa distorsione, per Magaldi, spiega la delusione che la sinistra ha riservato a tanti suoi elettori: mentre i socialisti liberali come Craxi (al netto dei loro errori) furono liquidati dal nascente regime neoliberista, furono gli eredi della tradizione comunista a mettersi a disposizione degli oligarchi che, negli anni Novanta, privatizzarono l’Italia e cominciarono a ridurre gli spazi di democrazia, puntando solo sui diritti civili in cambio della svendita dei diritti sociali. Passo dopo passo, abbiamo ristretto ogni spazio civico, fino ad arrivare alla brutale riduzione del Parlamento. Magaldi parla di una «bruttissima pseudo-riforma della Costituzione», che ora rischia di essere confermata dal referendum del 20-21 settembre.«Credo che, alla fine, gli italiani saranno condizionati dalla pessima pedagogia antipolitica, antidemocratica e demagogica di questi anni: moltissimi italiani non hanno nemmeno capito perché votare Sì piuttosto che No», dice il presidente “rooseveltiano”, mettendo a fuoco il problema: «Non c’è più una formazione civica adeguata, né tantomeno l’hanno fatta i mezzi di informazione, in questi mesi». Per questo, Magaldi teme che vincerà il Sì confermativo. «Ma stiano tutti tranquilli», avverte: «Appena possibile rimedieremo a questo eventuale scempio della Costituzione, se dovesse esserci. Tuttavia – aggiunge lo stesso Magaldi – anche se il pessimismo della ragione mi induce a ritenere che prevarranno i Sì, io andrò comunque a votare No».Evidente, in ogni caso, la fibrillazione del governo: Pd e 5 Stelle temono per l’esito delle regionali, e non sono neppure sicurissimi che gli italiani voteranno Sì al referendum. Intanto, Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle proposte avanzate. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda». Proprio in nome di un orizzonte nuovo, che sappia declinare il socialismo liberale nel terzo millennio, il Movimento Roosevelt sosterrà Massimo Della Siega a Varmo e Marco Bonini a Zagarolo, in questo caso nel segno della discontinuità: Bonini ritiene salutare un’alternanza, portando l’ex opposizione al governo di un Comune rimasto per vent’anni nelle mani del centrosinistra. Magaldi crede al lavoro nei Comuni, così come quello nelle Regioni, dove i “rooseveltiani” stanno sostenendo alcuni candidati. «Anche dai territori, grazie a uomini come Bonini e Della Siega – chiosa Magaldi – potrà crescere in modo laico e trasversale quella consapevolezza politica necessaria a sconfiggere la “teologia” neoliberista dell’austerity, per tornare a politiche autenticamente progressiste».«Il Movimento Roosevelt appoggia Marco Bonini come candidato sindaco di Zagarolo, grosso Comune alle porte di Roma, perché crede nella necessità di cambiare orizzonte». E’ esplicito, l’endorsement di Gioele Magaldi nei confronti di Bonini, già assessore nella precedente amministrazione dominata dal Pd e ora candidato con il supporto di svariati partiti del fronte opposto, tra cui Lega e Fratelli d’Italia. «Io non ragiono in termini di etichette facili e di superficie», chiarisce Magaldi, che archivia volentieri le categorie destra-sinistra e la contrapposizione solo fittizia tra i due schieramenti, protagonisti entrambi – nella Seconda Repubblica – del progressivo pensionamento della democrazia sostanziale. «Quello che oggi distingue un politico, semmai, è la sua vicinanza (o lontananza) rispetto all’unica ideologia subdolamente imperante, quella del neoliberismo che ha privatizzato e malamente globalizzato il pianeta». Una ideologia sommaria e totalizzante, «che oggi ci propone un orrore come il taglio dei parlamentari, insignificante sul piano del risparmio economico ma tragicamente simbolico: voler ridurre ulteriormente la rappresentanza democratica vuol dire continuare a penalizzare i cittadini, allontanando ulteriormente gli elettori e rendendo gli eletti sempre più irraggiungibili, fedeli solo ai leader di partito».
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Della Siega: il coraggio di ripartire dall’Italia dei Comuni
«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».Massimo Della Siega è stato invitato a candidarsi, come sindaco, da due gruppi civici, “ViviAmo Varmo” e “Varmo comunità”. Nelle elezioni comunali, specie nei paesi con pochi abitanti (appena 2700, in questo caso), gli schemi classici – centrodestra contro centrosinistra – lasciano il tempo che trovano. Specie se poi a dover «fare sintesi» è un personaggio come il dottor Della Siega, per vocazione abituato all’ascolto e al dialogo: prima le idee, purché buone, a prescindere dalla fonte da cui provengono. «Sarà un fatto di carattere», dice, in web-streaming su YouTube: a vincere è il pragmatismo del medico, dell’approccio scientifico. «Poi, certo, nel mio modo di essere influisce anche la mia esperienza del Movimento Roosevelt, che è laico e trasversale, oltre le appartenenze, pur nell’ispirazione liberal-socialista». Lo conferma – in video-chat con Massimo su “MrTv” – il conterraneo Roberto Hechich, altro dirigente “rooseveltiano”, che riassume: «Qui si tratta di rianimare la politica italiana, parlando a tutti i partiti – nessuno escluso – per aiutarli a ritrovare la sovranità di fondo della democrazia sostanziale, confiscata attraverso i pericolosi equivoci di un’Europa mai nata. Lo si è visto anche adesso, con il Covid: aiuti scarsi, tardivi e gravati da pesanti condizionalità».Beninteso: il caso di Varmo resta un’esperienza civica, profondamente comunale, in cui a essere “rooseveltiana” è la storia (personale) del candidato sindaco, ben attento a concentrarsi sul paese con un programma di buon senso. Esempio: «In cassa ci sono un sacco di soldi che dovevano essere spesi per opere pubbliche, ma sono rimasti bloccati: amministrare non è mai facile, tra mille lacci e laccioli, ma forse è giunta l’ora di abbandonare le titubanze, perché la situazione oggi lo richiede». Oppure: «Il territorio è frazionato, e le periferie si sentono trascurate: noi istituiremo una Consulta permanente delle borgate, in modo che tutti possano segnalare puntualmente le loro necessità». La capacità di ascolto resta la prima virtù: del medico, e a maggior ragione del politico. E le prime note che al candidato tocca ascoltare, anche a Varmo, oggi sono dolenti: «Tutti sanno che la vera emergenza è quella economica: la drammatica eredità del Covid. Molte attività non riusciranno a riprendersi, molte famiglie faticheranno a vivere». Sarà proprio questa la prima linea nella quale si impegnerà il Comune: «Abbiamo risorse limitate, ma le useremo per dare ossigeno a chi non ce la fa: è una priorità assoluta».A Massimo Della Siega ha fatto piacere ascoltare il sermone di Mario Draghi al Meeting di Rimini, con la netta distinzione tra “debito buono” e “debito cattivo”. «L’ho sempre pensato anch’io, nel mio piccolo: non bisogna aver paura di fare deficit per sostenere iniziative destinate a creare lavoro, e al tempo stesso occorre evitare gli sprechi, cioè le spese improduttive». La comunità di Varmo è la prima a saperlo: gente abituata a utilizzare in modo oculato gli investimenti. L’industria è di taglio artigianale: chimica, tessile, alimentare, legno, profumi, lavorazione dei metalli. Solida agricoltura: foraggi, cereali e zootecnia. Le campagne – le Grave Fiuliane – producono fantastici vini, grazie ai terreni di origine alluvionale: nei millenni, il Tagliamento ha trascinato a valle i ciottoli dolomitici delle Alpi Carniche, arricchendo il suolo di mineralità marina che poi, nei calici, si traduce in profumi ed eccellenza vinicola. Non è che l’ennesima pagina del riscatto nazionale, di cui proprio il vino è diventato un ambasciatore importante, anche in termini di export.La parola d’ordine, oggi, è proprio questa: risollevarsi. «E’ un impegno, la partecipazione civica, che dovrebbe coinvolgere moltissimi italiani», dice Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il fondatore: «L’esempio di Massimo Della Siega testimonia benissimo la capacità di interpretare il presente: oggi più che mai, è necessario scendere in campo in prima persona». Il Comune, peraltro, rappresenta una dimensione ideale: gli eletti sono direttamente controllabili, in piena trasparenza, dagli elettori che li hanno democraticamente scelti. Non è poco, in un mondo in cui il potere è diventato lontanissimo e post-democratico, quasi invisibile, affidato a vertici pressoché irraggiungibili (nazionali, europei, planetari). Candidarsi a casa propria, innanzitutto, significa accettare una scommessa: dimostrare che è possibilissimo, malgrado tutto, fare qualcosa di buono, e lo si può fare partendo proprio dal paese in cui si vive. “Dal particulare all’universale”, era un motto del grande Rinascimento italiano. Oggi lo si potrebbe tradurre con un altro termine: “glocal”. «Pensare globalmente, e agire localmente», sintetizzava Alex Langer, ideologo dei primissimi Verdi italiani.«L’importante è restare connessi, uniti, ascoltando le ragioni di tutti», dice Massimo Della Siega, pensando a Varmo e al Medio Friuli nel quale il paese è collocato: se i Comuni scontano i tempi di vacche magre accelerati dal Patto di Stabilità e dalla continua diminuzione di risorse statali, è giunto il momento di fare rete. «Nel nostro caso, l’idea è quella di aprire canali di comunicazione coi paesi vicini, per mettere in piedi servizi migliori». In altre parole, l’unione fa la forza. «La crisi economica indotta dall’emergenza Covid avrà conseguenze pesantissime: chi ancora non se ne fosse accorto, lo scoprirà nei prossimi mesi». La prima arma è la consapevolezza: essere lucidi, saper valutare la situazione. Serve a mettere in campo una strategia vincente per uscire dal tunnel. Quasi mezzo secolo fa, a schiantare il Friuli fu il sisma. Oggi, un terremoto di altro genere – ancora peggiore – sta frustando l’Italia, tutta quanta. I friulani non si lasciarono abbattere, allora. E non hanno l’aria di volersi arrendere nemmeno stavolta. E chissà che anche Varmo, nel suo piccolo, non possa fare storia.Il Varmo, piccolo affluente del Tagliamento, dà il titolo all’omonima novella di Ippolito Nievo: gli intrecci dell’umanità minuta (fine Ottocento) vivono di vita propria, grazie alla magia del paesaggio a cui ciascuno sente di appartenere. Sempre a Varmo sono ambientati due romanzi, “La casa a nord-est” e “La stazione di Varmo”, di Sergio Maldini, amico del giovane Pasolini e poi di Dino Buzzati. Il terzo romanzo potrebbe scriverlo, delibera su delibera, lo stesso Massimo Della Siega, rubando un po’ di tempo ai suoi pazienti all’ospedale. L’impegno degli italiani – oggi, in piena Era del Covid – ha un sapore inevitabilmente diverso: il paese intero è finito in terapia intensiva insieme alla sua economia, e la politica non sta certo meglio. Proprio il Comune resta la prima trincea, immediata, in cui è possibile incidere: non contro qualcuno, ma per ottenere qualcosa che faccia bene a tutti. E’ il dono più prezioso, in fondo: la consapevolezza di essere una comunità pienamente democratica, dove nessuno deve restare indietro. Le regole generali sono da riscrivere? Certo, ma occorre tempo. In municipio, invece, l’impresa è a portata di mano: si può cominciare da subito. Basta guardarsi negli occhi, per capire – insieme – da dove ripartire.(Giorgio Cattaneo, 5 settembre 2020).«La notizia peggiore forse è questa: molte famiglie, qui in paese, quest’anno non avranno i soldi per iscrivere i figli all’università. E questo significa una sola cosa: tagliare il futuro, e dire addio a quel che resta dell’ascensore sociale». Il paese in questione è Varmo, nella piana friulana a meno di venti chilometri dal mare, sulla riva sinistra del Tagliamento, a metà strada tra Udine e Pordenone. Un borgo duramente colpito dal terremoto del 1976 e poi rifiorito, come molti altri, grazie alla proverbiale, silenziosa tenacia dei friulani. E’ di poche parole anche l’uomo che potrebbe diventarne il sindaco: Massimo Della Siega, 56 anni, odontoiatra e medico ospedaliero (in prima linea – durante il lockdown – tra i malati di Covid). Un evento rovinoso, destinato a cambiare la storia. Ma non per sempre: «Pur mantenendo la doverosa prudenza che la situazione impone – dice il medico – oggi abbiamo il dovere di osservare la realtà attuale: clinicamente il virus non è più la minaccia di qualche mese fa. Quindi è ora di rimboccarci le maniche e ricominciare a vivere, senza più stare ad ascoltare chi vorrebbe prolungare all’infinito il clima di emergenza e di paura, che poi è quello che ha prodotto il disastro economico che ora l’Italia intera dovrà affrontare».
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Tulsi Gabbard, l’unica politica non complice del Deep State
Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.Burattini di Bilderberg sul campo: ci si divide tra un supermiliardario, 9° al mondo per ricchezza, Bloomberg, che le primarie e, forse, la presidenza, se le compra a suon di milionate, a dispetto delle sue performance Tv da brocco azzoppato, e una “liberal”, Warren, che però è simpatica al Pentagono e da Wall Street è la più foraggiata. Oppure tra uno scaturito sindaco di un villaggio dell’Indiana, Buttigieg, che sembra un fumetto da Cocco Bill, epperò per tutta la vita ha bazzicato più i servizi segreti che non il saloon del paese e quindi ha i voti della Cia, e un totalmente rincoglionito malvivente, Biden, che ricattava, lui sì, il governo ucraino perché non processasse il figliolo lestofante, e però gode del consenso afroamericano, dato che è stato vice di un presidente nero. La crème de la crème delle primarie democratiche: pian piano i nostri sinistri imperialisti di destra, “Manifesto” in testa, devono – il distintivo esibito lo impone– rassegnarsi ad abbandonare queste ipotesi, pur viste finora con simpatia, e schierarsi con il sinistro vero, socialdemocratico, forse addirittura socialista, sconfitto nel 2016 da Hillary a forza di trucchetti sporchi del Comitato Nazionale Democratico (Dnc). Che non è altri che il 77enne Sanders. Bernie, per i fan.Sanders, il neocon sociale! Dice, ma come? Ma se questo Sanders, dopo aver chiesto sanità per tutti e aumenti salariali, s’è detto pronto (al “New York Times”) ad appoggiare un attacco preventivo a Iran e Corea del Nord? Ma come, se ha concluso, con Pompeo e tutti i neocon, che Putin è un farabutto e che ha messo le zampe sulle elezioni americane di ieri e di oggi e fa da sgabello a Trump? Ma come, se – pur dopo aver affermato che Netanyahu é uno zotico – dichiara che tutto il resto di Israele gli sta bene e che l’ambasciata Usa deve restare trasferita a Gerusalemme? Cosa rispondono i sinistri imperiali su questo vecchietto in piena sintonia con l’imperialismo neocon e dello Stato Profondo? Ma cosa devono rispondere, se la pensano come lui! Dopo il ticket Bloomberg-Hillary, allucinazione apocalittica di cui qualcuno però già vocifera e lei non smentisce, cosa ci sarebbe di meglio del “socialista” Sanders? Ma c’è un’altra concorrente alle primarie, anche se non va ai battibecchini Tv. L’avete mai sentita nominare?Si chiama Tulsi Gabbard, senatrice dell’Alaska; è giovane e bella, ma è già una veterana di ripetute missioni militari in Iraq da ufficiale della Guardia Nazionale. Dalle quali ha tratto l’unica posizione anti-guerra e antimperialista di tutto il cucuzzaro democratico-repubblicano che concorre alla presidenza. Ha compiuto l’indicibile: è andata da Bashar al Assad, presidente della Siria in resistenza da 10 anni, e ha detto che ha ragione. Ha detto che è una vergognosa mistificazione chiamare i terroristi Isis e Al Qaida “ribelli” e cianciare di “guerra civile”. Ha detto che tutte le guerre e tutti gli ammazzamenti Usa devono finire. E ha sbagliato ancora una volta, definendo il vecchio compare degli Usa nell’allevamento dei ratti terroristi e neo-alleato in Nato grazie ai massacri compiuti in Idlib, «dittatore turco aggressivo, integralista ed espansionista», e intimando a Trump di «non farsi trascinare in una guerra contro la Russia». Tutto il contrario di quanto da parte degli altri bravi candidati si auspica. Non ha perso l’attimo, Hillary, per sentenziare (per questo da Tulsi querelata) che la senatrice Gabbard non è altro che un arnese dei russi. Come tutti quelli fuori dal giro euro-atlantico. Soros l’ha definita la massima sciagura che possa capitare agli Usa e al mondo. Una garanzia, per noi. E non volete che campioni del giornalismo indipendente, come “New York Times”, “Washington Post” e Cnn, non abbiano subito rilanciato l’infamante, incapacitante anatema? Ora sapete perché in Italia non se ne parla. Men che mai sul “Manifesto”.(Fulvio Grimaldi, “Altro che Sanders o altri fasulloni: zitti zitti, negli Usa spunta un’antimperialista vera”, dal blog “Mondocane” del 1° marzo 2020. Nel frattempo, alcuni candidati citati – Bloomberg, la Warren, Buttigieg – si sono ritirati, ma l’analisi di Grimaldi offre un ritratto impietoso dei candidati scesi in campo per arginare Trump).Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.
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Conte non cade? Conviene a tutti, tranne che a noi italiani
Dunque, il governo non cadrà. Almeno così appare dal voto in Emilia, così incautamente caricato di valenze simboliche e nazionali. A dir la verità, avevo forti dubbi che il governo cadesse anche in caso di vittoria del centro-destra a Bologna; l’intenzione era quella di restare comunque al governo perché, se cadono, Conte, Zingaretti e i grillini tornano nel niente da cui provengono. Solo la fine rapida e ingloriosa dei 5 Stelle può produrre a questo punto un’accelerazione sulla sua caduta, ma è difficile immaginare chi possa essere il kamikaze. Aggiungo una considerazione insolita: se il governo non cade adesso è meglio per tutti. Salvo per gli italiani. Ma tutto sommato conviene sia a chi ci governa, altrimenti sparirebbe nel nulla, sia all’opposizione, altrimenti al governo finirebbe nei guai. E conviene pure a Renzi, che ha poche aspettative dal voto, e a Berlusconi, idem con patate. In una situazione così difficile, non avendo neanche un po’ lavorato per costruire un governo ma solo per fabbricare il consenso immediato, a presa rapida, i sovranisti, e Salvini in particolare, si troverebbero tra le mani una patata bollente ed esplosiva.Non hanno lavorato su alleanze interne e internazionali, non hanno predisposto una compagine efficace di governo, non hanno selezionato il personale viaggiante, hanno scelto e stanno scegliendo candidati regionali spesso inadeguati e sbagliati, non stanno pensando la politica ma solo esprimendosi a gesti, gag e battute per tenere sui sondaggi; in questa situazione, meglio aspettare, meglio rivedere gli equilibri interni al centro-destra. E non lo diciamo col senno di poi, lo abbiamo già scritto prima, più volte. La vittoria di Bonaccini, su cui ho sempre scommesso, ha dato una boccata d’ossigeno al governo e al Pd, ma è stata anche l’estrema unzione per i grillini, e la certificazione della loro irrilevanza politica; oggi, se si votasse a livello nazionale rischierebbero di scivolare da primo partito a quinto, dopo Fratelli d’Italia e forse anche Forza Italia. Se escono dal gioco di governo i grillini finiscono la loro parabola subito; se resistono al governo la parabola finirà comunque col governo. Chi invece ha solo da perdere dalla permanenza di questo governo e del suo illusionista premier è quella trascurabile massa chiamata “gli italiani”.Loro sì, hanno solo da perdere su troppi piani se resta in piedi un governo d’incapaci in malafede, ridicoli agli occhi del mondo, che puntano solo alla propria sopravvivenza. La sinistra riprende fiato in Emilia in una campagna elettorale falsa e asimmetrica, in cui Bonaccini nascondeva il Pd e il governo, e Salvini nascondeva la Borgonzoni. Le sardine, di cui già si figurano decorazioni al valore e cavalierati al merito, sono servite solo a rendere esplicito quel che era implicito; con la loro illusione ottica/ittica di piazza, non hanno spostato consensi ma hanno restituito qualche astensionista di sinistra alle urne. Hanno svolto la funzione degli ascari nelle truppe coloniali. Zingaretti si salva nascondendosi nei pantaloni di Bonaccini, sopravvive se non si fa vedere, il Pd passa la dogana elettorale travestito da clandestino, confuso tra le casse di sardine. Non so davvero come possa rilanciarsi un Pd sotto falso nome e con falso leader; non so che futuro possa avere restando in quelle mani così inadeguate e in quella situazione surreale, con falso passaporto.Dalle elezioni non si impara quasi mai qualcosa. Men che meno se le vinci. Però quando si allenta la tensione per il voto, magari è possibile sospendere la tattica e gli slogan e cominciare la strategia e la riflessione politica. Con la vittoria di Bonaccini in Emilia e del centro-destra in Calabria, riprende forma il bipolarismo. L’unico dato politico che si conferma ormai per la terza volta è che il grande equivoco dei grillini sta finendo ingloriosamente e precipitosamente. Non sono capaci di governare, potevano funzionare finché urlavano dall’opposizione e intercettavano i rancori, le pernacchie e i vaffa del paese. Ma da statisti sono ridicoli, inadeguati, dannosi. A un certo punto molti temettero e alcuni si illusero che stesse nascendo un nuovo bipolarismo tra populisti gialloverdi ed establishment italo-europeo. Quell’ipotesi tramontò, il populismo non trovò una sintesi col sovranismo, e non riuscì a spazzare l’establishment euro-italiano; il populismo fu sconfitto e assorbito, sopravvisse a sé stante solo il sovranismo.Salvini cresce da solo, non cresce in compagnia della Meloni e di Berlusconi, ma non ha altra via se vuole tradurre il suo consenso in possibilità di governo. Lo conferma ormai il quadro delle regioni in mano al centro-destra. Certo, dire centro-destra contro sinistra significa tornare indietro, arrotolare il nastro, regredire a dieci, vent’anni fa. Il fatto positivo di questa fase è il ritorno del bipolarismo, il fatto negativo è il ritorno dei fantasmi. Forse bisogna fare un salto di qualità, battezzare già in altro modo l’alleanza per un’Italia sovrana e popolare. Poi bisogna capire che incidenza avrà l’incognita del nostro paese, il fu Matteo Pascal, al secolo Renzi. Ho l’impressione che altre veloci meteore si stiano scaldando ai bordi della galassia politica. Intanto possiamo dire: l’Italia resta nei guai, ma Conte ha salvato le sue preziose chiappe. Un paese sacrificato a pochi casi personali.(Marcello Veneziani, “Il governo non casde? Meglio per tutti, salvo gli italiani”, da “La Verità” del 28 gennaio 2020).Dunque, il governo non cadrà. Almeno così appare dal voto in Emilia, così incautamente caricato di valenze simboliche e nazionali. A dir la verità, avevo forti dubbi che il governo cadesse anche in caso di vittoria del centro-destra a Bologna; l’intenzione era quella di restare comunque al governo perché, se cadono, Conte, Zingaretti e i grillini tornano nel niente da cui provengono. Solo la fine rapida e ingloriosa dei 5 Stelle può produrre a questo punto un’accelerazione sulla sua caduta, ma è difficile immaginare chi possa essere il kamikaze. Aggiungo una considerazione insolita: se il governo non cade adesso è meglio per tutti. Salvo per gli italiani. Ma tutto sommato conviene sia a chi ci governa, altrimenti sparirebbe nel nulla, sia all’opposizione, altrimenti al governo finirebbe nei guai. E conviene pure a Renzi, che ha poche aspettative dal voto, e a Berlusconi, idem con patate. In una situazione così difficile, non avendo neanche un po’ lavorato per costruire un governo ma solo per fabbricare il consenso immediato, a presa rapida, i sovranisti, e Salvini in particolare, si troverebbero tra le mani una patata bollente ed esplosiva.
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Carceri private e schiavi al lavoro: l’ultimo scandalo Usa
L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavorari a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».In passato, ricorda Craig Roberts, i detenuti lavoravano alla manutenzione delle strade pubbliche e non venivano pagati. Ma attenzione: «Lavoravano per la comunità, che a sua volta pagava le spese della loro incarcerazione». Oggi invece «lavorano per le aziende private e generano profitti per le aziende private». Secondo l’analista, «quello che stiamo vivendo è il ritorno del feudalesimo». Sintetizzando: «Lo Stato arresta la gente e la incarcera nelle prigioni private». Sempre lo Stato, poi, «usa i soldi dei contribuenti per pagare le aziende private che gestiscono queste prigioni». A quel punto, «questi centri di detenzione privati affittano il lavoro dei prigionieri ad altre società private che, a loro volta, rivendono i prodotti di questo lavoro a multinazionali e ad enti governativi sulla base del salario minimo sindacale». Si noti: «Questo totale sfruttamento del lavoro è perfettamente legale». Per Craig Roberts, «non è diverso dai signori feudali che mettevano sotto servaggio gli uomini liberi e si appropriavano del loro lavoro». E parliamo, nella maggior parte dei casi, di detenuti non condannati: «Il 96% circa dei carcerati non ha mai ricevuto un processo. Sono stati costretti ad autoincriminarsi, accettando un “patteggiamento” per evitare una punizione più severa».Il restante 4%, secondo Craig Roberts, non ha comunque avuto un procedimento equo, «perché i processi equi non garantiscono le massime percentuali di condanne», e secondo l’analista «le carriere dei funzionari di polizia, dei pubblici ministeri e dei giudici vengono prima della giustizia». Per Roberts, «oggi, una pena detentiva andrebbe considerata alla stregua di un servaggio, anche più pesante di quello dell’era feudale». Nel medioevo, almeno, esisteva ancora una certa reciprocità: «Gli uomini liberi, che coltivavano i propri terreni, non avevano protezione contro le bande dei predoni, vichinghi, saraceni, magiari, ed entravano al servizio di un signore in grado di dar loro la protezione di una fortezza e dei cavalieri con la corazza». Invece, «il servo della gleba di oggi deve dare alla prigione privata tutto il suo lavoro». Accusa Roberts: «Le privatizzazioni sono il canto delle sirene dei libertari fautori del libero mercato», che però nella maggior parte dei casi «avvantaggiano gli interessi privati a spese dei contribuenti». Nella vicenda delle carceri privatizzate, «i contribuenti forniscono profitti alle società private che gestiscono le carceri», e le aziende «guadagnano ulteriormente affittando il lavoro dei prigionieri», offerto a basso costo alle multinazionali.«Forse questo è un motivo per cui gli Stati Uniti hanno non solo la più alta percentuale di popolazione carceraria, ma anche il più alto numero di detenuti in assoluto: l’America ha più persone in carcere di quante ne abbia la Cina, un paese la cui popolazione è quattro volte maggiore». La privatizzazione del settore pubblico investe anche l’esercito americano, continua Craig Roberts: «Molte attività precedentemente svolte dagli stessi militari sono ora affidate a società private. I cuochi dell’esercito e la corvè cucina sono spariti. Anche il settore rifornimenti è stato dato in appalto. Persino la vigilanza armata nelle basi militari è fornita da compagnie private». Tutti questi esempi «rappresentano l’uso del denaro pubblico per la creazione di profitti privati, tramite l’esternalizzazione di quelle che dovrebbero essere le funzioni di un governo». E la privatizzazione dei servizi dell’esercito «è una delle ragioni per cui le spese degli Stati Uniti nel settore della difesa sono così elevate». In Florida, lo Stato ha privatizzato persino l’ispettorato della motorizzazione, creando ritardi e disservizi persino per il pagamento delle multe, transazioni di cui ora beneficia (con la sua percentuale) un soggetto privato.«In sostanza, le privatizzazioni delle funzioni pubbliche sono un modo per trasformare i pagamenti delle tasse in profitti per gruppi privati particolari», riassume Roberts, che smentisce la tesi secondo cui le privatizzazioni ridurrebbero i costi: «Aggiungendo ulteriori passaggi che generano profitti privati, le privatizzazioni aumentano i costi. Nella maggior parte dei casi, le privatizzazioni sono un modo per favorire chi è ben ammanigliato». Oltre a creare flussi di reddito per interessi privati, le privatizzazioni «creano anche ricchezza privata trasferendo beni pubblici in mani private a prezzi sostanzialmente inferiori al valore di mercato». E’ accaduto per la svendita delle società statali britanniche e francesi e del servizio postale britannico. «Le privatizzazioni forzate imposte alla Grecia dall’Ue hanno creato ricchezza per gli Europei del nord a spese della popolazione greca». In una parola, «le privatizzazioni sono un metodo di saccheggio». Letteralmente: «Dal momento che le opportunità per un profitto onesto sono sempre di meno, si fanno strada le razzie. Aspettatevene sempre di più», avverte Craig Roberts, pensando anche agli affaroni che si accumulano, negli Usa, sfruttando gli stessi detenuti.L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte“. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavoratori a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».
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Carpeoro: se fossi Mattarella. Più Stato, Italia da ribaltare
Se alla presidenza della Repubblica, oltre che una persona per bene, ci fosse anche uno statista, si preoccuperebbe di fare un’inversione di rotta, una specie di rivoluzione copernicana, per la quale l’Italia dovrebbe cominciare a pensare al proprio futuro in termini diversi. L’Italia dovrebbe darsi il coraggio di affermare delle priorità diverse dalle attuali, e in base alle quali richiedere con fermezza ciò che le è necessario. L’Italia non riceverà le risorse che dovrebbe ricevere dai meccanismi finanziari del progetto generale europeo, e invece queste risorse le servono disperatamente. L’Italia ha il suo Welfare State gravemente pregiudicato dal fatto che l’Inps è in stato pre-fallimentare. L’Italia non ha fatto nessun investimento produttivo, negli ultimi anni: ha i cantieri fermi, le grandi opere, i trasporti, le infrastrutture ferme. Tutto è vecchio, desueto, e niente è in grado di produrre innovazione. Ci vorrebbe un cambiamento di paradigma molto forte, con dei segnali che inevitabilmente ci metterebbero in conflitto con le burocrazie europee: ma nella vita i conflitti bisogna affrontarli, sia pure in modo incruento. L’Italia deve capovolgere una serie di cose: deve capovolgere parzialmente la logica delle privatizzazioni riducendole al minimo, deve rifare subito il ministero delle partecipazioni statali, deve ripristinare l’Iri (e possibilmente non farla presiedere mai più a Prodi).
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Grillo, fai un regalo all’Italia: chiudi il Movimento 5 Stelle
Quelli che sin dagli esordi avrebbero voluto che non esistesse e quelli come me, furibondi con il Movimento da almeno tre anni, commenteranno: “Cosa parli ancora del M5S, che è bene che sparisca dalla faccia della Terra!?” (aggiungendo magari qualche comprensibile insulto a Grillo e al sottoscritto, in quanto editorialista costantemente controvento). Secondo la mia interpretazione, costoro hanno ragione al 90% perché, in realtà, finché è stato in vita Gianroberto Casaleggio questa forza politica era davvero qualcosa di straordinario e solo chi ha militato può saperlo: l’essere antisistema (aristocrazie finanziarie parassitarie), la partecipazione dal basso, le leggi create sulla piattaforma, eccetera.Il successo del 2018 preparato dai media (ricordate gli applausi a Di Maio a La7?) e da loro incensato fu un detonatore sotto le terga dei pentastellati: promuovevano il 5S se si prostrava agli “europeones”, al pensiero dominante franco-germanocentrico razzista contro gli italiani, ma in itinere creavano le basi per distruggerlo avvicinando esponenti grillini di spicco nelle istituzioni, per “blandirli” e infine utilizzarli per creare divisioni ovviamente mal tollerate dai cittadini, soprattutto quando riguardavano temi caldi come l’immigrazione.La naturale tendenza al cambiamento del 5S doveva essere avvelenata e stravolta: l’unico irrinunciabile valore grillino condiviso da tutti gli italiani con un cervello non delegato era la fine dell’austerity, della deindustrializzazione, della colonizzazione estera; e doveva essere terminato. A causare la fine del Movimento non è stata quindi la scelta di essere né di destra né di sinistra, e infatti la stessa Lega è votata in modo trasversale e ha sostituito abilmente il 5S nella lotta all’establishment; la vera causa della fine del 5S era nella sua radice! Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, dopo anni di Berlusconi, credettero fosse sensato imperniare questa forza politica sin dagli albori sul progressismo (quello che uccise il Pci sull’altare del “Washington Consensus”), ma non si resero conto che la vittoria auspicata contro i cosiddetti “poteri forti stranieri” dentro questo schema non sarebbe stata possibile, dato che le lobbies si nutrono proprio di questo paradigma! E’ stato semplice per l’establishment agire su schiere di eletti ad esso affini e su attivisti pseudo-ribelli in cerca di posto al sole, fancazzisti e adolescenti perenni; bastavano una Carola o una Greta, figuriamoci qualche comoda poltrona.Paradossalmente, visto che si autodefiniscono progressisti, non è da loro che potrà giungere a noi qualsivoglia cambiamento, perché la loro “anima” ed arma è una forma di feroce conformismo pronto alla discriminazione; e quindi, se dovrà nascere qualcosa di nuovo dovrà essere pragmatico e agli antipodi rispetto al “fu M5S”. Le orde di piddini inconsapevoli interni al 5S non studiavano (e sposavano) quelle battaglie geopolitiche ed economiche vitali per l’Italia (ma purtroppo complesse e poco comprese dalle masse), ma in linea con i pochi neuroni di cui disponevano si vestivano di stereotipi emotivi berciando su questioni orecchiabili come la pace, l’ambiente, gli omosessuali, la corruzione, l’Europa, l’anticlericalismo, i migranti (da assistere una volta resi degli straccioni apolidi, anziché da emancipare nei loro paesi), e tutto per ottenere quella ottantina di voti con i quali approdare in Parlamento nel 2013. Successivamente, in rispetto del dogma che gli incapaci di norma sono furbissimi nelle dinamiche da branco, costoro si sono impossessati gerarchicamente del potere interno al Movimento.A questo punto per loro è stato semplice “ragionare da casta” prostituendo tutto il prostituibile; non mi riferisco solo a Di Maio, ma a quelli che lo affiancano al governo e soprattutto a chi adesso lo accusa e ha cercato di trasformare il 5S nella succursale del Pd, tra cui l’inguardabile Lombardi, Luigi Gallo e la Ruocco. Un avvelenamento dei pozzi, quindi, quello agito sul povero Movimento premendo costantemente sui peones e sul solito principio attivo letale dell’establishment: “glebalizzare” le maggioranze facendosi servire dalle minoranze arcobaleniche (lobbies Lgbt, pseudo-pacifisti, pseudo-femministi, pseudo-ambientalisti, anticlericalisti, “decresciuti felicemente”, ecc) che se ne fregano di temi quali il lavoro e la vita delle famiglie perché interessate patologicamente al loro monotema. Con questi presupposti, approdare al fantastico mondo delle politiche del rigore spacciate per espansive (!?!) e da lì al vergognoso tentativo di alleanza definitiva con il Pd (con la Lega era solo un contratto) il passo è stato breve. Tutto perfetto, se non ci fosse un fattore stranamente ancora presente e fastidioso per i nostri padroni esteri: gli elettori.E pensare che con nuove elezioni un binomio Di Battista – Salvini avrebbe potuto fare moltissimo per la nostra nazione (termine legato antropologicamente ai diritti umani e alla cultura, ditelo alle capre radical chic): magari eleggere un presidente della Repubblica libero e con a cuore il nostro Stato. Invece qualcuno, cioè Beppe Grillo con la sua corte di scherani (uno tra tutti, il presidente della Camera Roberto Fico) per qualche ragione oscura, manco fosse un ricattato, ha operato improvvisamente e violentemente in direzione opposta. Tranquilli, ciò significa che anche quel binomio di cui sopra non avrebbe funzionato a causa dei peones; quindi meglio così, il M5S deve chiudere baracca per il nostro bene. Beppe Grillo se vorrà salvare la faccia dovrà dovrà portare profonde scuse pubbliche agli italiani, esporre le scomode verità elencate in pezzi come questo e lasciare a chi è rimasto fuori da questa immondizia il compito di fondare qualcosa di differente.Questo soggetto dovrà “imporre” democraticamente ai cittadini una grammatica differente, una nuova visione con determinate linee valoriali e con fondamenta coerenti con l’obiettivo della liberazione dal giogo neoliberista sfrenato, perbenista-schiavista (e non ad esso funzionale). Ferme restando alcune regole presenti nel M5S incentrate sull’opportuno concetto “di cittadino punto e basta” (no condanne, no tessere di altri partiti da almeno 5 anni, massimo 2 mandati, no alle correnti – tutti contributi che riconosco ai fondatori del Movimento) il nuovo soggetto politico non dovrà “ripartire” ma iniziare da capo senza temere di prendere anche un misero 5%. Questa volta al centro di questo movimento dovrà esserci un paradigma identitario, patriottico, che si ponga a difesa delle nostre splendide tradizioni a cominciare dalla riscoperta dei valori cristiani della famiglia tradizionale, del Natale (iniziando da quello alle porte) festa bellissima ma ormai umiliata, rarefatta strategicamente dall’attuale Pontefice e derisa dagli adepti di ideologie massonico-anticlericali come il gender e il suicidio assistito (confuso a dovere con l’eutanasia, vedasi “Suicidio assistito, l’ennesimo abuso della lobby massonica”).Se davvero un simile nuovo soggetto politico si affaccerà nel panorama democratico, esso innanzitutto dovrà manifestare concreta vicinanza ai pilastri dello Stato come le forze di sicurezza, carabinieri e polizia, come le università e i suoi giovani, come i sindacati. Meritocrazia, competenza, capacità, scuola, ricerca, innovazione tecnologica e ambientale, giustizia sociale (salario orario minimo garantito), efficienza della pubblica amministrazione, sicurezza (idrogeologica e cittadina), lotta alle grandi evasioni ed elusioni dovranno fare il resto. Come target economico di questo movimento dovranno esservi la valorizzazione dell’economia reale regolamentando la finanza selvaggia ed estremista, la fine della austerity, l’abolizione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio, l’attuazione di politiche davvero espansive, la piena occupazione anche “di cittadinanza attiva” e il riaffermare del principio che vede la Costituzione sopra ogni trattato internazionale. Nessun attuale eletto nelle fila degli attuali partiti-movimenti potrà candidarsi per almeno 5 anni.A livello strettamente geopolitico il nuovo movimento dovrà porsi come obiettivo l’Italia, sostenuta nelle sue peculiarità: se il nostro Stato continuerà ad appiattirsi sulla Ue come fosse una realtà continentale (lo sono Francia e Germania), finirà per condannarsi alla desertificazione socioeconomica e ad essere ininfluente. L’Italia perciò dovrà guardare fortemente verso Mosca, verso il Mediterraneo e verso le correnti di Trump e Johnson nel mondo anglosassone senza comunque chiudere alla Via della Seta; con i vicini centroeuropei la scelta più sensata sarà edificare rapporti simili a quelli presenti in passato in ambito Cee (un po’ come fanno gli inglesi specularmente col Brexit), concordando inoltre l’uscita dalla moneta unica. Sui temi migratori l’Italia dovrà tornare a chiudere i porti alle Ong (fermo restando l’aiuto verso i veri profughi) ma allo stesso tempo dovrà stabilire quote annuali di stranieri da integrare lavorativamente (esiste anche una fisiologica richiesta di manodopera estera) ma anche da formare culturalmente, spiegando loro cosa è stato fatto loro dal neocolonialismo, in primis francese, con particolare riguardo alla tematica del franco Cfa.La linea scelta da Grillo negli ultimi tempi invece è quella del kamikaze, perché al sistema mafioso internazionale poco importa se il M5S scompare: ciò che importa ad esso è il piazzare Mario Draghi (ne sia consapevole o meno) alla presidenza della Repubblica a costo di sacrificare vecchi e nuovi servi. Se notate ogni mossa dei media, del Pd, delle più alte cariche della Repubblica e via discorrendo, fino all’ultimo mandarino di sistema di provincia, è sotto sotto quello di difendere una moneta privata e straniera che paghiamo a caro prezzo: l’euro. Per il bene dell’Italia, il M5S deve scomparire perché qualsiasi cosa venisse riproposta da Di Maio e soci sarebbe una minestra riscaldata, la fase dell’innamoramento (cit. Alberoni) è terminata, e pure quella dell’amore visto che siamo addirittura alla sopportazione e alla commiserazione (Di Maio). E’ un vero peccato, non perché ne sia l’autore, che questo pezzo passi inosservato e poco condiviso sui social (mi auguro l’opposto) perché il sogno di tanti 5S è stato distrutto da qualcuno che a mio avviso passerà alla storia come un giullare traditore, mentre le energie contenute in questo sogno potrebbero ancora emancipare l’Italia e portarla fuori dal soffocamento organizzato da Parigi e Berlino, permesso sin dai decenni precedenti da una classe politica di complici e incapaci.(Marco Giannini, “Grillo passerà alla storia come un giullare traditore se non chiuderà la baracca pentastellata”. Fino al 2016, con la svolta “eurista” dei 5 Stelle al Parlamento Europeo, Giannini aveva sostenuto il M5S. Antropologo, è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, edito da Andromeda).Quelli che sin dagli esordi avrebbero voluto che non esistesse e quelli come me, furibondi con il Movimento da almeno tre anni, commenteranno: “Cosa parli ancora del M5S, che è bene che sparisca dalla faccia della Terra!?” (aggiungendo magari qualche comprensibile insulto a Grillo e al sottoscritto, in quanto editorialista costantemente controvento). Secondo la mia interpretazione, costoro hanno ragione al 90% perché, in realtà, finché è stato in vita Gianroberto Casaleggio questa forza politica era davvero qualcosa di straordinario e solo chi ha militato può saperlo: l’essere antisistema (aristocrazie finanziarie parassitarie), la partecipazione dal basso, le leggi create sulla piattaforma, eccetera. Il successo del 2018 preparato dai media (ricordate gli applausi a Di Maio a La7?) e da loro incensato fu un detonatore sotto le terga dei pentastellati: promuovevano il 5S se si prostrava agli “europeones”, al pensiero dominante franco-germanocentrico razzista contro gli italiani, ma in itinere creavano le basi per distruggerlo avvicinando esponenti grillini di spicco nelle istituzioni, per “blandirli” e infine utilizzarli per creare divisioni ovviamente mal tollerate dai cittadini, soprattutto quando riguardavano temi caldi come l’immigrazione.
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Voltagabbana non-eletto, è Grillo a tagliare la democrazia
Dopo il taglio dei parlamentari ci sarà la loro vivisezione? Per anni ho sostenuto la necessità di dimezzare il numero dei parlamentari a livello nazionale e regionale, dimezzando contestualmente le costose e inutili authority con i rispettivi impiegati e commessi annessi alle Camere e agli uffici, che ricevono stipendi spropositati pur essendo commessi e impiegati come gli altri dipendenti pubblici. La riduzione del numero dei parlamentari fu un cavallo di battaglia della destra che lo propose tanti anni fa e che fu poi bocciato nel referendum del 2006. Ma ora che si sta convertendo in legge la proposta grillina di portare a 600 i parlamentari, sento puzza d’inganno e d’imbroglio. A cosa doveva servire il taglio? A rendere più agili e spediti i lavori parlamentari, a diminuire i rischi di corruzione e trasmigrazione, ad avere candidati più selezionati e dunque migliori, circoscrizioni più ampie in cui contava di più il prestigio dei candidati e contava di meno il potere clientelare. Era un modo per elevare la qualità della rappresentanza, la responsabilità dei parlamentari e per diminuire le possibilità del voto di scambio. Il taglio che si promuove ora spunta da tutt’altro contesto. La preoccupazione principale non è qualificare il Parlamento, innalzare il livello qualitativo diminuendo la quantità, scegliere parlamentari più prestigiosi, ma esattamente il contrario.
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I 5 Stelle contro Di Maio e Rousseau: vogliamo democrazia
Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».«In nome di una fraintesa responsabilità di governo – si legge, nella Carta di Firenze – il Movimento ha rinunciato ai propri principi identitari: dalla lotta per la ricostruzione di uno stato sociale massacrato da trent’anni di neoliberismo fino alla battaglia per la conquista della piena sovranità nazionale». Aggiungono i firmatari: «Riceviamo sia per strada che sul web accuse sempre più sferzanti sulle promesse non mantenute e sui compromessi al ribasso». E ne soffrono: «La nostra coscienza di attivisti si ribella e ci impone di riportare il M5S al pieno rispetto dei suoi valori con perseveranza e soprattutto coerenza». I dissidenti sono convinti che «in questo momento così delicato per il futuro del M5S» si debba «ristabilire un rapporto paritetico» tra la base e gli eletti, a ogni livello, «poi aprire un confronto trasparente e partecipato sugli obiettivi politici e sulle forme organizzative del Movimento stesso». Secondo loro «si tratta di una necessità impellente, assolutamente essenziale» per continuare insieme quello che definiscono «questo progetto meraviglioso», e quindi «ritrovare quell’identità che oggi appare sbiadita».Gli aspiranti riformatori grillini avanzano alcune proposte, come riassume Elisa Calessi: vorrebbero convocare un’assemblea nazionale (la prima, nella storia storia) per avviare «un processo di riforma dello Statuto». In altre parole, democrazia: vorrebbero infatti «attribuire all’assemblea il potere di esprimersi sulle cariche interne, tutte elettive». Premono inoltre per «la revisione dello Statuto e il superamento della figura del capo politico», cioè Luigi Di Maio, «con l’introduzione di organi elettivi e collegiali a livello nazionale, regionale e provinciale». Infine, chiedono «piena proprietà e gestione del sistema operativo Rousseau», da togliere alla Casaleggio Associati e consegnare al Movimento 5 Stelle. Per quanto riguarda il rispetto dei principi non trattabili spunta la «libertà di autodeterminazione al trattamento sanitario», quindi contro l’obbligo vaccinale introdotto da Beatrice Lorenzin e confermato da Giulia Grillo. Il bersaglio evidentemente è Luigi Di Maio, insieme al gruppo dirigente a lui vicino, annota Calessi. L’ex vicepremier gialloverde, ora impalpabile ministro degli esteri, è accusato di «aver accentrato troppi poteri, tradendo la natura del Movimento». Critiche che, sia pure senza essere espresse con piena chiarezza, «vengono condivise anche da tanti portavoce eletti in Parlamento».Altro che festa: nel decimo compleanno del Movimento 5 Stelle, scrive Elisa Calessi su “Libero”, i malumori di tanti attivisti e portavoce prendono forma in un documento che è un atto di accusa agli attuali vertici. È la Carta di Firenze 2019, pubblicata a mezzanotte, allo scadere del giorno che segna l’anniversario della nascita del Movimento. «Si chiede maggiore trasparenza e democrazia interna, coerenza e rispetto dei principi non trattabili, una riorganizzazione che parta dal basso, una rivisitazione dei processi partecipativi, e una riformulazione dei metodi di selezione delle candidature, delle nomine e di valutazione dei portavoce». Fa male, aggiunge la Calessi, perché a scriverla è chi sta ancora dentro il Movimento e non vuole andarsene: «Sono quelli che lamentano un tradimento delle origini. E sono tanti. Molto più dei firmatari della Carta». A dieci anni dal giorno in cui la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha preso vita, scrivono, «il nostro cuore batte ancora per il Movimento 5 Stelle», definito «un modello concreto, un profondo cambiamento culturale, una rivoluzione pacifica e non violenta, un grande esempio mondiale di democrazia dal basso». Eppure, aggiungono, «da tempo assistiamo al dissolversi di questo progetto politico».