LIBRE

associazione di idee
  • idee
  • LIBRE friends
  • LIBRE news
  • Recensioni
  • segnalazioni

Archivio del Tag ‘cibo’

  • Migranti? Salvini ci distrae dal Mostro: il pareggio di bilancio

    Scritto il 05/9/18 • nella Categoria: idee • (15)

    Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?
    Senza una drastica inversione di tendenza, scrive Barnard nel suo blog, l’Italia farà la fine della Svezia: pur essendo dotato di moneta sovrana, il paese scandinavo (patria storica del welfare avanzato) per reggere l’accoglienza dei migranti – tantissimi, 600.000 negli ultimi 5 anni, in un paese di 10 milioni di abitanti, «che in proporzione è come se l’Italia ne avesse avuti 3.600.000» – il governo di Stoccolma, socialdemocratico ma plagiato dal dogma neoliberista dell’Ue, ha letteralmente massacrando la popolazione svedese a suon di tasse. Risultato: le imminenti elezioni rischiano di vincerle a mani basse i populisti Democratici Svedesi, feroci sui migranti ma letteralmente muti sul vero dramma, il pareggio di bilancio. Proprio come Salvini, accusa Barnard, che di fronte all’esodo africano sembra «il vigile tonto che con la paletta pensa di fermare lo tsunami in spiaggia». La sinistra? «Fa venir da vomitare, usa i neri con un cinismo da impiccagione sul posto: non sanno proporre una soluzione sistemica al motivo per cui migrano, e predicano invece la loro accoglienza (a casa e a spese degli italiani sfigati, non certo a casa loro). Questo insulto alla geopolitica gli lava l’anima, ma poi lascia 389 milioni di africani nella disperazione e non risolve un cazzo da 26 anni». Sono almeno 500 milioni, scrive Barnard, gli esseri umani a rischio di migrazione: per ogni sorta di motivo, dal neo-colonialismo europeo all’emergenza climatica, «e non li fermerai mai coi divieti di Salvini». La soluzione? «Deve essere un accordo economico sistemico internazionale».
    In ogni caso, sottolinea Barnard, i migranti sono il problema numero 300 del nostro “portafoglio”: prima vengono sanità, pensioni, scuola e lavoro. Ben prima dei migranti ci cadono addosso le “chemiotasse” imposte dall’euro, il credito che le banche non concedono, l’Italia che non cresce più da vent’anni. Il problema numero uno è lui: il pareggio di bilancio, «cioè la dittatura Ue che dice che lo Stato deve darti 100 e poi tassarteli tutti e 100, cioè lasciarti nulla nel portafoglio – sanità, pensione, scuola, crescita». Eppure, fateci caso: «La lotta della Lega al nero che sbarca è diventata una tempesta solare», mentre l’opposizione leghista al vero nemico – il pareggio di bilancio – ormai «assomiglia sempre più a un petardo». Salvini? «Sta facendo sbiadire la mostruosità del pareggio di bilancio, che è la prima causa delle pene degli italiani, e li incoraggia a cercare da un’altra parte un capro espiatorio per la loro rabbia da crescente povertà e insicurezza: nell’immigrazione». Per Barnard «è un bypass velenoso, che Salvini alimenta ogni minuto». Il meccanismo «ha una presa micidiale sulla gente» ma è anche «distruttivo», come sta accadendo in Svezia, cioè il paese in crisi verso cui ci starebbe spingendo la Lega, con la sua miopia. Il paradosso, aggiunge Barnard, è che la Lega sulla carta doveva fare l’esatto contrario: mantenerci tutti concentrati sul pericolo numero 1, il pareggio appunto, non distrarci da esso con l’ossessione del pericolo numero 300, cioè gli sbarchi dei migranti.
    In Svezia ne hanno accolti una quota enorme, sopra il 5% della popolazione nazionale. Tutti assorbiti nel sistema produttivo: industria, sanità, servizi sociali. Economia in crescita, quindi: il Pil è salito del 3,3%, contro la media europea del 2%. Ottimo? No, niente affatto, spiega Barnard: perché poi, dati alla mano, nelle zone meno popolate (il 90% del paese) stanno chiudendo ospedali e consultori. «Ne soffrono le donne, a cui ora le autorità stanno insegnando come partorire in auto perché spesso la maternità più vicina è a oltre 100 km di distanza. Non solo: a volte le partorienti svedesi vengono respinte dai consultori perché sono stipati di pazienti, fra cui anche migranti». Le liste d’attesa in sanità sono letteralmente esplose: non per colpa dei migranti, però, ma per via dei tagli decisi – a monte – dal governo, preoccupato in modo demenziale di raggiungere ogni anno il pareggio di bilancio imposto dall’Ue. Ormai, «quello che viene vantato nel mondo come un sistema di welfare che assiste “dalla culla alla tomba” e che mantiene chi perde il lavoro in relativo agio, oggi fa acqua da tutte le parti». Idem il lavoro: «La disoccupazione svedese, che dovrebbe essere inesistente, è al 7%, e questo nonostante la già citata crescita». Un dato che «fa vergognare la nazione scandinava a confronto con la spietata America, dove i disoccupati sono al 3,9%».
    Crisi da rigore di bilancio, in salsa nordica: «Gli svedesi non trovano abbastanza case, e se le trovano costano una fortuna. In parte il problema è dovuto al fatto che i 600.000 migranti hanno assorbito alloggi, ma molto di più è dovuto a un mercato immobiliare selvaggio causato da politiche di governo e banca centrale che hanno permesso liquidità a costo quasi zero, quindi incentivato acquisti sempre più frenetici che hanno alzato i prezzi alle stelle, che a loro volta hanno costretto gli svedesi a indebitarsi con le banche da pazzi per avere una casa. Nel frattempo lo Stato non è affatto intervenuto con edilizia popolare per aiutare gli esclusi». Ecco allora il vero motivo del disastro che sta esasperando gli svedesi: e cioè «l’ossessione da parte del governo, persino in una nazione sovrana nella moneta, di pareggiare i bilanci, e addirittura di fare il surplus di bilancio». Per cosa, poi? «Solo poter vantare nelle casse dello Stato un assurdo bottino che contabilmente non ha senso, ma soddisfa i “numerini degli economisti europei”. Ecco come agiscono i pareggi e surplus di bilanci, cioè la macchina d’impoverimento peggiore della storia, in Svezia». E questa, aggiunge Barnard, è «la vera fucina dell’esasperazione dei cittadini, che poi sbagliano clamorosamente target e se la prendono coi migranti (come da noi)».
    Follia: il governo svedese «non solo pareggia i bilanci da anni, ma ora addirittura fa surplus di bilancio da 4 anni, e intende insistere in questa strage delle tasche dei cittadini fino al 2021 almeno». Questo, sottolinea Barnard, «è il motivo dei drastici tagli governativi a sanità, alloggi pubblici per gli ultra-indebitati, sicurezza e persino welfare. I fondi ai migranti, qui, sono irrilevanti». Altra follia: «Mentre il governo spende 100 per gli svedesi e li tassa 120, ha avuto la buona idea di aumentare le tasse, con l’aliquota massima oltre il 70%, e di tagliare a raffica una serie di sconti fiscali». Chi sta quindi sta assassinando i redditi svedesi? «Risposta: svedesi con pelle bianchissima seduti a Stoccolma, non stranieri di pelle scura (per noi italiani invece è il contrario: gli assassini economici sono in effetti stranieri, ma sempre di pelle bianca, e stanno a Bruxelles)». Terza follia: «Questa idrovora di tassazione e tagli di spesa pubblica nel portafoglio di aziende e famiglie svedesi accade mentre, secondo i dati del ministero delle finanze, il costo per ogni nativo svedese per l’accoglienza dei migranti è di 6.800 euro all’anno in ulteriori tasse. E questo grida vendetta, perché la Svezia è paese a moneta sovrana, e per definizione non necessita di tasse per spendere per qualsiasi cosa, inclusi i migranti. Quindi, se i migranti pesano in parte sui portafogli degli svedesi, la colpa è tutta e solo della scelta di governo di ubbidire ai diktat imperanti in Europa».
    Ed ecco che scatta il micidiale bypass delle colpe, conclude Barnard: un numero sempre maggiore di svedesi «mica se la prendono col loro demenziale governo e con le sue devastanti politiche fiscali». Al contrario, «se la prendono coi migranti». In pole position, nei sondaggi per le vicinissime elezioni, c’è il partito «di estrema desta e rabbiosamente anti-immigrazione», i Democratici Svedesi, dato addirittura vincente. E qui sta il dramma: se si osserva la piattaforma politica dei Democratici Svedesi, si scopre che il nazionalismo, la patria, l’identità e la xenofobia sono il 98%, mentre il resto «è un’accozzaglia di belle intenzioni su lavoro, anziani, sanità, commercio, ma nulla di specifico sulla vitale necessità di demolire ciò che davvero sta devastando famiglie e aziende svedesi, che è il pareggio (o surplus) di bilancio». Nel loro programma non esiste la voce “abolizione pareggi e surplus di bilancio”. «Strombazzano solo contro le politiche troppo generose sui migranti». Risultato? «Il dramma nordico rimarrà inalterato, esattamente come rimarrà inalterato il dramma italiano se Matteo Salvini, come i Democratici Svedesi, continua a gonfiare l’ipertrofica bolla delle navi nei porti, mentre pacatamente sta costruendo un nulla di fatto su “no euro”, “no pareggio di bilancio”, e su Italexit». E siatene certi, chiosa Barnard: «Dopo le roboanti boutade “macho” dell’uomo forte italiano, nel vostro portafoglio, nella sanità, nelle pensioni, nelle scuole, nel lavoro tuo e dei figli, nelle ‘chemiotasse’, nei crediti che non ti danno, e nell’Italia che non cresce da 20 anni non ci sarà un nero. Ci sarà Salvini».

    Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?

  • Progressisti, smettete di votare il fascismo bianco del Pd

    Scritto il 23/8/18 • nella Categoria: idee • (6)

    Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.
    Questa Unione Europea è un fulgido esempio di come il Fascismo Bianco – l’Econocrazia – possa mantenere le apparenze di una democrazia liberale nonostante le istituzioni democratiche ne vengano quotidianamente svuotate. L’Europa unita – che doveva essere l’Europa dei Popoli – è un infatti esempio di come le istituzioni democratiche possano essere controllate ed usate per perseguire interessi finanziari particolari piuttosto che il volere ed il benessere della collettivitá; non a caso il Parlamento Europeo è l’unico Parlamento al mondo a non avere il potere legislativo. La condizione politica in cui viviamo si concretizza in un paradosso che è ancora difficile da affrontare e capire per molti: chi si definisce progressista non può che combattere i partiti della sedicente sinistra; chi si dice sinceramente europeista non può non criticare queste istituzioni europee… Per ritornare a lottare per la realizzazione di un modello di società basato su libertà, pari opportunità e giustizia sociale, bisogna combattere una dittatura che usa l’economia, e gli indicatori economici, per svuotare di democrazia sostanziale le democrazie liberali.
    Noi europei non siamo più abituati alla dittatura e, al momento, i nostri bisogni primari (sicurezza, cibo) ci sono garantiti (il diritto alla salute e quello all’istruzione sono i primi ad essere sotto attacco). Ma c’è chi, essendo abituato alla dittatura, aveva uno sguardo più smaliziato e attento alla sostanza delle cose, e capì benissimo che ruolo aveva il cosiddetto “debito pubblico” (che altri chiamano “ricchezza pubblica”) nel limitare il potere delle democrazie. Sankara, personaggio politico sconosciuto a molti (non era un fulgido liberale, come avrei preferito io, ma piuttosto aveva tendenze marxiste), è morto per difendere il proprio popolo dallo strumento principe di controllo della dittatura bianca: il debito. A coloro che si considerano europeisti, democratici, e liberali, consiglio vivamente di vedere questo video del discorso di Sankara alle Nazioni Unite. Oggi, la strategia del debito che veniva usata per controllare l’Africa, viene usata per controllare le democrazie europee.  A tutti coloro che sono animati da sentimenti davvero progressisti, umanitari, libertari e sociali, consiglio davvero di considerare cosa si cela dietro la narrativa che compara il debito pubblico al debito privato.
    A tutti coloro che continuano a votare la sedicente sinistra consiglio di chiedersi se le persone cui fanno riferimento, esperti di politica da anni, davvero non siano consapevoli di come le attuali (mancate) politiche economiche siano strumentali a guidare una involuzione antidemocratica.  Anche nel ‘32, quando Roosevelt vinse le elezioni, il mondo della finanza premeva affinché “il popolo” pensasse al benessere delle generazioni future, evitando politiche di carattere espansivo. Roosevelt vinse le elezioni e, attraverso politiche economiche liberali di carattere fortemente espansivo (la celebre frase «dobbiamo solo avere paura della paura stessa», si riferiva proprio al debito) rilanciò l’economia americana.  Quanta confusione c’è tra i sostenitori di +Europa tra liberalismo e neoliberismo… Anche l’Europa che conosciamo e tanto vogliamo difendere – quella liberale, dello stato sociale e delle pari opportunitá – è stata costruita su politiche economiche di carattere espansivo: si chiamava Piano Marshall. Nella storia recente, tutte le “crisi” economiche si sono superate con politiche economiche di carattere espansivo (o invasioni militari), non certo con misure di austerità volte a permettere il drenaggio di capitali e la conservazione del loro valore assoluto.
    Coloro che oggi sostengono questa Unione Europea, le sue istituzioni e le sue politiche economiche – considerando l’Ue come un fine e non come un mezzo per la difesa e la diffusione di libertà, giustizia sociale e democrazia – non sono europeisti, non sono liberali e non sono progressisti. Sono piuttosto persone manipolate dalla narrativa del mondo della finanza che mette Cbas (cost benefit analysis) davanti al benessere della collettività. Sono la finta intelligentija del fascismo bianco, usata dall’Econocrazia per fare propaganda. Pensando alle molte persone che ancora supportano i partiti della sedicente sinistra, mi domando come mai non riescano più a distinguere la narrativa dai fatti e a capire che sono stati raggirati: su tutti i temi politici sostanziali. È davvero incredibile come gli elettori del Pd e di +Europa, persone spesso di grande sensibilità social-liberale e progressista, siano completamente confuse. Anche quando si parla di immigrazione, oramai queste persone sembrano solo abituate a reagire con il loro grande cuore, senza però ricorrere alla mente e alla strategia.
    Certo, il cuore ci dice che bisogna aiutare e accogliere chi proviene da territori di guerra (anche se Roosevelt insegna che per aiutate gli altri bisogna prima combattere gli oppressori “interni”: povertà e mancanza di democrazia). Non potrei mai chiudere le porte a coloro che scappano da guerra e morte. Ma non si può aiutare il viandante che chiede copertura dal freddo se questo è l’unico, nel suo villaggio, ad essere riuscito a raggiungerci. Bisogna piuttosto dargli ago e filo e insegnarli a cucire, di modo che questo possa insegnare a cucire coperte a tutto il suo villaggio. Invece di coprire un uomo solo, un fortunato, avremo coperto tutti coloro che avevano freddo, ed avranno deciso di rimboccarsi le maniche. Spesso, i cosiddetti immigrati “economici” (definizione che odio, ma che userò) sono le persone piú avvantaggiate, colte e indignate; sono coloro che piú potrebbero aiutare il loro paese a rialzarsi. Invece di fare loro l’elemosina (con il solito senso di superiorità che caratterizza il “buonismo”) sarebbe meglio considerare quelle persone capaci di guidare una rivoluzione democratica e armarle di danaro, risorse e sponde politiche.
    Guardo oggi con simpatia e amarezza a coloro che, animati da un sentire progressista, social-liberale e democratico, votano partiti che di progressista non hanno nulla, e che criticano persino il principio della sovranità del popolo – cosí bene espresso nella nostra Costituzione. Guardo con simpatia e amarezza quegli amici che continuano a votare i partiti della sedicente sinistra. In fondo, anche loro come gli “immigrati economici”, preferiscono avere “fede” e chiedere aiuto all’alto (politica, religione) piuttosto che usare il loro senso critico e la loro iniziativa per rimboccarsi le maniche e combattere coloro che li raggirano quotidianamente, sfruttando la loro moralità e “insegnando” loro che bisogna obbedire al debito… Cari amici, usate il vostro senso critico; distinguete la narrativa dai fatti e mettetevi in gioco in prima persona. Decidete di tornare a lottare per democrazia, libertà e giustizia sociale – questo sì, per le generazioni future.
    (Marco Moiso, “Un pensiero per gli amici di Pd, +Europa e LeU”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2018. Già coordinatore nazionale del movimento, Moiso è supervisore MR per il Regno Unito).

    Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.

  • Stare lontani dalla natura: è una sindrome, causa malattie

    Scritto il 19/8/18 • nella Categoria: idee • (7)

    Noi tutti soffriamo di quella che Richard Louv, autore di “L’ultimo bambino nei boschi” (Rizzoli, 2006) ha denominato “disturbo da deficit di natura”. Due o tre generazioni fa si viveva molto più a contatto con la natura. Le nostre radici agricole furono precedute da millenni di caccia, raccolta, allevamento e pesca. Tutte queste attività richiedevano una connessione innata con l’ambiente naturale. Dovevamo saper decifrare i canti degli uccelli, interpretare le nuvole, conoscere la direzione del vento, seguire le correnti, riconoscere gli insetti nocivi e curare una mucca malata. La nostra stessa sopravvivenza era legata a quelle forme di sapere e i nostri antenati hanno risalito la catena alimentare padroneggiando quelle preziose abilità. Provavano un rispetto sacro e profondo per la natura, perché comprendevano il legame di nutrimento vitale che essa offriva… La nostra memoria genetica e la nostra linea di ascendenza ci vedevano vicini alle erbe, agli alberi, al suolo e agli elementi. Ricevere una quantità sufficiente di pioggia era una questione di vita o di morte. Si conservava l’acqua perché qualcuno, quella mattina presto, aveva dovuto fare 3 chilometri a piedi per procurarla.
    Quando si trovava del cibo, ci si rallegrava e si rendeva grazie: se cadeva a terra, si soffiava via la polvere e lo si mangiava. Non c’erano margini di spreco. Gli scarti finivano nel concime e le ossa andavano ai cani che proteggevano il nostro territorio e ci aiutavano nella caccia; perfino esse avevano uno scopo e un senso. Oggi molti di noi vivono in aree in cui la terra è ricoperta di asfalto e il nostro unico e vero modo di entrare in contatto con essa è offerto da quegli “zoo della natura” che chiamiamo parchi. Dai parchi locali alle foreste nazionali, abbiamo imprigionato Madre Terra nel tentativo di preservarla e proteggerla da noi. Noi violiamo, distruggiamo, inquiniamo. Siamo arrivati a identificarci in “quell’animale che cammina attraverso il Giardino e lo distrugge”. Nell’arco di solo un paio di generazioni abbiamo sviluppato tecnologie e sostanze chimiche sintetiche che ci hanno permesso di isolarci dal mondo naturale e di scollegarci da questo legame vitale. Eliminiamo i germi con gli antibiotici; abbiamo l’aria condizionata nelle nostre auto veloci; bruciamo il combustibile naturale che proviene da terre lontane anziché tagliare la legna per tenere calde le nostre case, e il nostro cibo è pensato nei laboratori e prodotto nelle fabbriche.
    Un tempo mangiavamo le piante. Oggi mangiamo schifezze prodotte negli impianti industriali. Tutto questo ha un prezzo sia fisico sia psicologico per noi. Ora ci sono tizi come Ethan che se ne vanno in giro per le grandi città bevendo bibite strane che li rendono più assetati e mangiando barrette avvolte nella plastica. Si combattono guerre per assicurarsi il petrolio che permette di costruire quella plastica, e si combatte il cancro che proviene dal mangiare il cibo finto che viene venduto dentro quella plastica. Poi ci si lamenta di essere stanchi, grassi, malati e depressi e ci si chiede quale medico o guru detenga il segreto per sbloccare i nostri problemi, mentre non dovremmo far altro che guardare al passato. Abbiamo dimenticato da dove veniamo. Abbiamo perso la connessione con la fonte di tutta la vita e con il nutrimento che ne traiamo, e questo sta creando un vuoto nella nostra capacità di guarire noi stessi e di connetterci con la vita che ci circonda. Perdere il contatto tra il nostro corpo e il cibo che mangiamo ha rappresentato un potente cuneo che ha frantumato l’umanità in una massa di fantasmi affamati che incespicano alla ricerca di automobili, borsette, diete, pillole o di un partner per sentirsi felici e integri nella vita.
    (Pedram Shojai, “Che cos’è il disturbo da deficit di natura?”, dal blog “La Crepa nel Muro” del 22 dicembre 2017; estratto da “Il Monaco Urbano”, saggio che Shojai ha scritto per Macro Edizioni – 355 pagine, 14 euro).

    Noi tutti soffriamo di quella che Richard Louv, autore di “L’ultimo bambino nei boschi” (Rizzoli, 2006) ha denominato “disturbo da deficit di natura”. Due o tre generazioni fa si viveva molto più a contatto con la natura. Le nostre radici agricole furono precedute da millenni di caccia, raccolta, allevamento e pesca. Tutte queste attività richiedevano una connessione innata con l’ambiente naturale. Dovevamo saper decifrare i canti degli uccelli, interpretare le nuvole, conoscere la direzione del vento, seguire le correnti, riconoscere gli insetti nocivi e curare una mucca malata. La nostra stessa sopravvivenza era legata a quelle forme di sapere e i nostri antenati hanno risalito la catena alimentare padroneggiando quelle preziose abilità. Provavano un rispetto sacro e profondo per la natura, perché comprendevano il legame di nutrimento vitale che essa offriva… La nostra memoria genetica e la nostra linea di ascendenza ci vedevano vicini alle erbe, agli alberi, al suolo e agli elementi. Ricevere una quantità sufficiente di pioggia era una questione di vita o di morte. Si conservava l’acqua perché qualcuno, quella mattina presto, aveva dovuto fare 3 chilometri a piedi per procurarla.

  • Francia cannibale, si mangia l’Africa: il bilancio dell’orrore

    Scritto il 10/8/18 • nella Categoria: segnalazioni • (23)

    Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi? Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’élite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese. Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie: il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto. Lentamente la paura serpeggiò tra le élite africane e nessuno, dopo gli eventi della Guinea, trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù”.
    Sylvanus Olympio, il primo presidente della Repubblica del Togo, un piccolo paese in Africa occidentale, trovò una soluzione a metà strada con i francesi. Non voleva che il suo paese continuasse ad essere un dominio francese, perciò rifiutò di siglare il patto di continuazione della colonizzazione proposto da de Gaulle, tuttavia si accordò per pagare un debito annuale alla Francia per i cosiddetti benefici ottenuti dal Togo grazie alla colonizzazione francese. Era l’unica condizione affinché i francesi non distruggessero tutto prima di lasciare il paese. Tuttavia, l’ammontare chiesto dalla Francia era talmente elevato che il rimborso del cosiddetto “debito coloniale” si aggirava al 40% del debito del paese nel 1963. La situazione finanziaria del neo-indipendente Togo era veramente instabile; così, per risolvere la situazione, Olympio decise di uscire dalla moneta coloniale francese Fcfa (il Franco Cfa delle colonie africane francesi), e coniò la moneta del suo paese. Il 13 gennaio 1963, tre giorni dopo aver iniziato a stampare la moneta del suo paese, uno squadrone di soldati analfabeti appoggiati dalla Francia uccise il primo presidente eletto della neo- indipendente Africa.
    Olympio fu ucciso da un ex sergente della Legione Straniera di nome Etienne Gnassingbe, che si suppone ricevette un compenso di 612 dollari dalla locale ambasciata francese per il lavoro di assassino. Il sogno di Olympio era quello di costruire un paese indipendente e autosufficiente. Tuttavia ai francesi non piaceva l’idea. Il 30 giugno 1962, Modiba Keita, il primo presidente della Repubblica del Mali, decise di uscire dalla moneta coloniale francese Fcfa imposta a 12 neo-indipendenti paesi africani. Per il presidente maliano, che era più incline ad un’economia socialista, era chiaro che il patto di continuazione della colonizzazione con la Francia era una trappola, un fardello per lo sviluppo del paese. Il 19 novembre 1968, proprio come Olympio, Keita fu vittima di un colpo di stato guidato da un altro ex soldato della Legione Straniera francese, il luogotenente Moussa Traoré. Infatti durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex legionari stranieri per guidare colpi di stato contro i presidente eletti.
    Il 1° gennaio 1966, Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della Legione Straniera, guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana. Il 3 gennaio 1966, Maurice Yaméogo, il primo presidente della Repubblica dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, fu vittima di un colpo di stato condotto da Aboubacar Sangoulé Lamizana, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei paesi. Il 26 ottobre 1972, Mathieu Kérékou (che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin) guidò un colpo di Stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970. Negli ultimi 50 anni, un totale di 67 colpi di Stato si sono susseguiti in 26 paesi africani; 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di Stato si sono verificati nell’Africa francofona.
    Cinque i golpe subiti dal Burkina Faso e dalle Comore, quattro i colpi di Stato attuati in Burundi, Repubblica Centrafricana, Niger e Mauritania. Sempre tra le ex colonie francesi, hanno vissuto almeno tre colpi di Stato il Congo e il Ciad – due, invece, l’Algeria e il Mali, la Guinea Konakry e la Repubblica Democratica del Congo. Almeno un violento “regime change” ha poi investito Togo, Tunisia, Costa d’Avorio, Magagascar e Rwanda. Altri paesi africani sottoposti a colpi di Stato sono Egitto, Libia e Guinea Equatoriale (un golpe ciascuno), Guinea Bissau e Liberia (due golpe), Nigeria ed Etiopia (tre colpi di Stato), Uganda (quattro) e Sudan (cinque). In totale 45 golpe nell’Africa ex francese, più 22 in altri paesi africani. Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione. Nel marzo del 2008, l’ex presidente francese Jacques Chirac disse: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». Il predecessore di Chirac, François Mitterand, già nel 1957 profetizzava che «senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21° secolo».
    Proprio in questo momento, 14 paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca Centrale Francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi. Finora, il Togo e altri 13 paesi africani dovranno pagare un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di Stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici, mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione. E’ un sistema malvagio, denunciato dall’Unione Europea; ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del Tesoro ogni anno. Spesso accusiamo i leader africani di corruzione e di servire gli interessi delle nazioni occidentali, ma c’è una chiara spiegazione per questo comportamento. Si comportano così perché hanno paura di essere uccisi o di restare vittime di un colpo di Stato. Vogliono una nazione potente che li difenda in caso di aggressione o di tumulti. Ma, contrariamente alla protezione di una nazione amica, la protezione dell’Occidente spesso viene offerta in cambio della rinuncia, da parte di quei leader, di servire il loro stesso popolo e i suoi interessi.
    I leader africani lavorerebbero nell’interesse dei loro popoli se non fossero continuamente inseguiti e provocati dai paesi colonialisti. Nel 1958, spaventato dalle conseguenze di scegliere l’indipendenza dalla Francia, Leopold Sédar Senghor dichiarò: «La scelta del popolo senegalese è l’indipendenza; vogliono che ciò accada in amicizia con la Francia, non in disaccordo». Da quel momento in poi la Francia accettò soltanto un’ “indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il franco), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali. Qui sotto ci sono le 11 principali componenti del patto di continuazione della colonizzazione dagli anni ‘50.
    #1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese. I neo “indipendenti” paesi dovrebbero pagare per l’infrastruttura costruita dalla Francia nel paese durante la colonizzazione. #2. Confisca automatica delle riserve nazionali. I paesi africani devono depositare le loro riserve monetarie nazionali nella banca centrale francese. La Francia detiene le riserve nazionali di 14 paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon. La politica monetaria che governa un gruppo di paesi così diversi non è complicato perché, di fatto, è decisa dal ministero del Tesoro francese senza rendere conto a nessuna autorità fiscale di qualsiasi paese che sia della Cedeao (la Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale) o del Cemac (Comunità degli Stati dell’Africa Centrale). In base alle clausole dell’accordo che ha fondato queste banche e il Cfa, la banca centrale di ogni paese africano è obbligata a detenere almeno il 65% delle proprie riserve valutarie estere in un “operations account” registrato presso il ministero del Tesoro francese, più un altro 20% per coprire le passività finanziarie.
    Le banche centrali del Cfa impongono anche un tappo sul credito esteso ad ogni paese membro equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Anche se la Beac e la Bceao hanno un fido bancario col Tesoro francese, i prelievi da quel fido sono soggetti al consenso dello stesso ministero del Tesoro. L’ultima parola spetta al Tesoro francese, che ha investito le riserve estere degli Stati africani alla Borsa di Parigi a proprio nome. In breve, più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche Cfa sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente. Gli introiti degli investimenti di questi fondi presso il Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al conteggio, ma non c’è nessuna notizia che venga fornita al riguardo né alle banche né ai paesi circa i dettagli di questi scambi. Al ristretto gruppo di alti ufficiali del ministero del Tesoro francese che conoscono le cifre detenute negli “operations accounts”, sanno dove vengono investiti questi fondi e se esiste un profitto a partire da quegli investimenti, viene impedito di parlare per comunicare queste informazioni alle banche Cfa o alle banche centrali degli stati africani, scrive il dottor Gary K. Busch (economista, docente universitario a Londra).
    Si stima che la Francia detenga all’incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli Stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero. Gli stati africani non hanno accesso a quel denaro. La Francia permette loro di accedere soltanto al 15% di quel denaro all’anno. Se avessero bisogno di più, dovrebbero chiedere in prestito una cifra extra dal loro stesso 65% da Tesoro francese a tariffe commerciali. Per rendere le cose ancora peggiori, la Francia impone un cappio sull’ammontare di denaro che i paesi possono chiedere in prestito da quella riserva. Il cappio è fissato al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Se i paesi volessero prestare più del 20% dei loro stessi soldi, la Francia ha diritto di veto. L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto recentemente qualcosa circa i soldi delle nazioni africane detenuti nelle banche francesi. In un VIDEO parla dello schema di sfruttamento francese. Parla in francese, ma questo è un piccolo sunto: «Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano».
    #3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel paese. La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovate nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners. #4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici. Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime e, solo dopo, questi paesi possono guardare altrove. Non importa se i paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove. Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities – acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura. Infine, come ho scritto in un precedente articolo, “gli africani ora vivono in un continente di proprietà degli europei”.
    #5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del paese. Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi. La situazione nel continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di Stato o per qualsiasi altro scopo! #6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel paese per difendere i propri interessi. In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli Stati africani e anche di stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei paesi, gestiti interamente dai francesi.
    Poi ci sono le basi militari francesi in Africa. Quando il presidente Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio cercò di porre fine allo sfruttamento francese del paese, la Francia organizzò un colpo di Stato. Durante il lungo processo per estromettere Gbagbo, i carri armati francesi, gli elicotteri d’attacco e le forze speciali intervennero direttamente nel conflitto sparando sui civili e uccidendone molti. Per aggiungere gli insulti alle ingiurie, la Francia stima che la “business community” francese abbia perso diversi milioni di dollari quando, nella fretta di abbandonare Abidjan nel 2006, l’esercito francese massacrò 65 civili disarmati, ferendone altri 1.200. Dopo il successo della Francia con il colpo di Stato, e il trasferimento di poteri ad Alassane Outtara, la Francia ha chiesto al governo Ouattara di pagare un compenso alla “business community” francese per le perdite durante la guerra civile. Il governo Ouattara, infatti, pagò il doppio delle perdite dichiarate mentre scappavano.
    #7. Obbligo di dichiarare il francese lingua ufficiale del paese e lingua del sistema educativo. “Oui, Monsieur. Vous devez parlez français, la langue de Molière!” (sì, signore. Dovete parlare francese, la lingua di Molière!). Un’organizzazione per la diffusione della lingua e della cultura francese chiamata “Francophonie” è stata creata con diverse organizzazioni satellite e affiliati supervisionati dal ministero degli esteri francese. Come dimostrato in quest’articolo, se il francese è l’unica lingua che parli, hai accesso al solo 4% dell’umanità, del sapere e delle idee. Molto limitante.
    #8. Obbligo di usare la moneta coloniale francese Fcfa. Questa è la vera mucca d’oro della Francia, tuttavia è un sistema talmente malefico che finanche l’Unione Europea lo ha denunciato. La Francia però non è pronta a lasciar perdere il sistema coloniale che inietta all’incirca 500 miliardi di dollari africani nelle sue casse. Durante l’introduzione dell’euro in Europa, altri paesi europei scoprirono il sistema di sfruttamento francese. Molti, soprattutto i paesi nordici, furono disgustati e suggerirono che la Francia abbandonasse quel sistema. Senza successo. #9. Obbligo di inviare in Francia il budget annuale e il report sulle riserve. Senza report, niente soldi. In ogni caso il ministero delle banche centrali delle ex colonie, e il ministero dell’incontro biennale dei ministri delle finanze delle ex colonie è controllato dalla banca centrale francese e dal ministero del Tesoro.
    #10. Rinuncia a siglare alleanze militari con qualsiasi paese se non autorizzati dalla Francia. I paesi africani in genere sono quelli che hanno il minor numero di alleanze militari regionali. La maggior parte dei paesi ha solo alleanze militari con gli ex colonizzatori (divertente, ma si può fare di meglio!). Nel caso delle ex colonie francesi, la Francia proibisce loro di cercare altre alleanze militari eccetto quelle che vengono offerte loro. #11. Obbligo di allearsi con la Francia in caso di guerre o crisi globali. Più di un milione di soldati africani hanno combattuto per sconfiggere il nazismo e il fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il loro contributo è spesso ignorato o minimizzato, ma se si pensa che alla Germania furono sufficienti solo 6 settimane per sconfiggere la Francia nel 1940, quest’ultima sa che gli africani potrebbero essere utili per combattere per la “Grandeur de la France” in futuro.
    C’è qualcosa di psicopatico nel rapporto che la Francia ha con l’Africa. Primo, la Francia è molto dedita al saccheggio e allo sfruttamento dell’Africa sin dai tempi della schiavitù. Poi c’è questa mancanza di creatività e di immaginazione dell’élite francese a pensare oltre i confini del passato e della tradizione. Infine, la Francia ha due istituzioni che sono completamente congelate nel passato, abitate da “haut fonctionnaires” paranoici e psicopatici che diffondono la paura dell’apocalisse se la Francia cambiasse, e il cui riferimento ideologico deriva dal romanticismo del 19° secolo: sono il ministero delle finanze e del bilancio e il ministero degli affari esteri. Queste due istituzioni non solo sono una minaccia per l’Africa ma anche per gli stessi francesi. Tocca a noi africani liberarci, senza chiedere permesso, perché ancora non riesco a capire, per esempio, come possano 450 soldati francesi in Costa d’Avorio controllare una popolazione di 20 milioni di persone. La prima reazione della gente, subito dopo aver saputo della tassa coloniale francese, consiste in una domanda: “Fino a quando?”. Per paragone storico, la Francia ha costretto Haiti a pagare l’equivalente odierno di 21 miliardi di dollari dal 1804 al 1947 (quasi un secolo e mezzo) per le perdite subite dai commercianti di schiavi francesi dall’abolizione della schiavitù e la liberazione degli schiavi haitiani. I paesi africani stanno pagando la tassa coloniale solo negli ultimi 50 anni, perciò penso che manchi ancora un secolo di pagamenti!
    (Mawuna Remarque Koutonin, “Quattordici paesi africani costretti a pagare la tassa coloniale francese”, da “Africa News” dell’8 febbraio 2014).

    Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi? Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’élite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese. Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie: il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto. Lentamente la paura serpeggiò tra le élite africane e nessuno, dopo gli eventi della Guinea, trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù”.

  • Oligarchia per popoli superflui: così vorrebbero sterminarci

    Scritto il 09/8/18 • nella Categoria: segnalazioni • (7)

    La rivoluzione del XXI secolo è che, nel sistema tecnologico globalizzato e finanziarizzato, i popoli diventano sempre più intercambiabili e superflui per i nuovi processi di acquisizione di ricchezza e mantenimento del potere. Questa è la causa non detta della continua perdita di diritti sociali, civili, politici, del lavoro, oltre che di reddito, per la popolazione generale a vantaggio delle ristrette élites che prendono le decisioni esautorando o ricattando governi e parlamenti. E’ da questo che viene anche il crescente controllo manipolatorio e il tentativo di risolvere il problema ecologico applicando la biotecnologia alle masse. Nella crisi economico-monetaria e nella sua conduzione, al posto della democrazia trasparente e responsabile della narrazione ufficiale, è apparsa come potere politico effettivo, decidente, un’oligarchia bancaria irresponsabile, dinastico-familiare (assieme a un retrostante Stato-ombra fatto di apparati governativi più o meno segreti, insidiosi e altrettanto irresponsabili), che ha ripetutamente piegato la volontà dei popoli: un dato di fatto sempre più difficile da negare e da gestire, per istituzioni e mass media, che mette in crisi la legittimità giuridica del potere politico, la quale si basa sulla sua proclamata natura democratica.
    Se il potere non è democratico, se non ci rappresenta, se fa gli interessi di pochi, perché mai dovremmo obbedirlo e pagargli le tasse, anziché rifiutarlo, soprattutto quando ci affligge con misure ingiuste e illogiche? Machiavelli deve essere ignorato per credere nella possibilità della legalità, della democrazia, della trasparenza – per credere che la competizione per il potere e la sua gestione, nei rapporti interni come quelli internazionali, si svolgano secondo norme di legge e di etica, e in modo scoperto, senza ricorso a falsi scopi e all’inganno, che, di fatto, sono invece la regola. Sociologi e politologi sanno e scrivono da secoli su come stanno le cose, ma alla gente (che non legge quei libri) si è sempre raccontato il contrario, per ovvie ragioni. Del resto, in precedenza la gente a lungo ha creduto che i re regnassero per diritto datogli da Dio. Tra governanti e governati vi è una complementarità di bisogni: i primi abbisognano di illudere i secondi per governarli, i secondi hanno bisogno di credere nella giustizia e nel futuro per vivere meglio. Vulgus vult decipi.
    Associata a plutocrazia e imperialismo, due caratteristiche tanto dominanti quanto innominabili dell’attuale politica mondiale, la questione dell’oligarchia ultimamente è balzata al centro della discussione per come la gestione delle crisi serve a concentrare la ricchezza nel mondo nelle mani di pochi. Ma oligarchia oggi significa molto più che nel secolo scorso, perché oggi i popoli sono divenuti superflui e sacrificabili per il meccanismo del potere e radicalmente manipolabili con la tecnologia. L’ingabbiamento definitivo, zootecnico, della gente nel sistema avviene oggi mediante risorse genetiche, farmacologiche, alimentari, neuroelettriche, oltre che attraverso l’indebitamento e le riforme volute dai mercati e dall’“Europa”. Lo stesso arricchimento è passato in secondo ordine, come obiettivo delle classi dominanti, rispetto al fine del controllo sociale e biologico, anche in preparazione della soluzione della crisi ecologico-demografica. Per eseguirlo, la legislazione introduce strumenti giuridici come somministrazioni forzate o nascoste di sostanze chimiche (inclusi i vaccini) dalla composizione e dagli effetti in parte sistemici non dichiarati. Con la manipolazione biologica di massa, l’uomo viene privato di se stesso, quindi della stessa possibilità di liberarsi dal potere.
    (Marco Della Luna, presentazione della seconda edizione del saggio “Oligarchia per popoli superflui”, pubblicata sul blog dell’avvocato Della Luna il 3 agosto 2018. Un libro, spiega l’autore, utile per comprendere alla radice i cambiamenti in corso e la meta della “decrescita infelice” che sta procedendo di crisi in crisi. Alla sua prima uscita nel 2010, “Oligarchia per popoli superflui” parve a molti contenere previsioni azzardate. «Oggi una buona parte di esse è storia, purtroppo». Il libro: Marco Della Luna, “Oligarchia per popoli superflui, seconda edizione – l’ingegneria sociale della decrescita infelice”, Aurora Boreale Editrice, ordinabile da ora scrivendo a edizioniauroraboreale@gmail.com).

    La rivoluzione del XXI secolo è che, nel sistema tecnologico globalizzato e finanziarizzato, i popoli diventano sempre più intercambiabili e superflui per i nuovi processi di acquisizione di ricchezza e mantenimento del potere. Questa è la causa non detta della continua perdita di diritti sociali, civili, politici, del lavoro, oltre che di reddito, per la popolazione generale a vantaggio delle ristrette élites che prendono le decisioni esautorando o ricattando governi e parlamenti. E’ da questo che viene anche il crescente controllo manipolatorio e il tentativo di risolvere il problema ecologico applicando la biotecnologia alle masse. Nella crisi economico-monetaria e nella sua conduzione, al posto della democrazia trasparente e responsabile della narrazione ufficiale, è apparsa come potere politico effettivo, decidente, un’oligarchia bancaria irresponsabile, dinastico-familiare (assieme a un retrostante Stato-ombra fatto di apparati governativi più o meno segreti, insidiosi e altrettanto irresponsabili), che ha ripetutamente piegato la volontà dei popoli: un dato di fatto sempre più difficile da negare e da gestire, per istituzioni e mass media, che mette in crisi la legittimità giuridica del potere politico, la quale si basa sulla sua proclamata natura democratica.

  • Migranti, il business dei predoni globalisti condanna l’Africa

    Scritto il 07/8/18 • nella Categoria: segnalazioni • (12)

    Esiste un nesso fra crescita demografica, povertà ed emigrazione? La popolazione africana sta subendo una vera e propria esplosione demografica: mentre, infatti, nel 1960 si attestava intorno ai 300 milioni di abitanti, oggi è di circa 1,2 miliardi e raggiungerà i 2 miliardi e mezzo entro il 2050. L’Africa si trova intrappolata in una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione. L’emigrazione viene percepita dagli africani come unica opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita e uscire dallo stato di miseria. Essa in realtà non fa che peggiorare i problemi economici del Continente, che viene privato così della sua forza lavoro più giovane e intraprendente. Il vaso di Pandora delle Ong è molto difficile da scoperchiare, a causa della fitta trama di interessi economici, politici e finanziari. In particolare esiste una grossa Ong, la più grande al mondo ma poco conosciuta dai media, di nome Brac, che svolge attività di “microcredito per l’emigrazione”. Essa è nata ed è particolarmente attiva in Bangladesh, dove ha finanziato l’imponente emigrazione dei cittadini verso altri paesi ma, come dichiara esplicitamente nel suo sito, fornisce prestiti per l’emigrazione (migration loans) anche in altri paesi, in particolare quelli dell’Africa.
    Esiste poi la Ong francese Positive Planete (prima Planet Finance), fondata dal francese Jacques Attali – colui che ha scoperto Macron – e dal bengalese Yunus, padre del microcredito, che si prefigge di “combattere la povertà in Africa attraverso lo sviluppo della microfinanza”. Un sodalizio, quello tra finanza, Ong ed emigrazione, molto redditizio e ben occultato. Tutti i paesi che si sono sviluppati l’hanno fatto avviando un piano di sviluppo economico basato sulla protezione dell’industria locale nascente e su politiche pubbliche di tipo keynesiano. Nell’Africa postcoloniale questo non è stato possibile, poiché le forze economiche internazionali hanno imposto il loro modello neoliberista, fatto di massima apertura al commercio estero, liberalizzazioni, privatizzazioni dei servizi pubblici e tagli alla spesa dello Stato. Ciò ha impedito qualsiasi possibilità di sviluppo dell’economia africana. Ogni tentativo in tale direzione è stato represso nel sangue, come nel caso di Lumumba in Congo e di Sankara in Burkina Faso. Questo è esattamente il modus operandi dell’attuale modello unico economico su scala globale: “keynesismo per i ricchi e neoliberismo per i poveri”, utilizzato come strumento di depredazione dei paesi.
    Mentre sappiamo molto della storia coloniale, quello che è accaduto in Africa con la decolonizzazione è poco conosciuto ai più e distorto da una narrazione mistificatrice che imputa ai vecchi imperi coloniali la causa dell’attuale e persistente stato di sottosviluppo del Continente Nero. Con la nascita degli Stati indipendenti in Africa, come in gran parte del Terzo Mondo, si stava avviando un percorso di crescita economica e di sviluppo locale. I paesi africani avevano adottato la cosiddetta politica di “industrializzazione per sostituzione”, secondo la quale le merci importate venivano sostituite con la produzione interna per tutelare le economie e le industrie nascenti dalla concorrenza internazionale. Questa politica, in aggiunta al riconoscimento da parte del Gatt del “diritto alla protezione asimmetrica” per i paesi in via di sviluppo (1964), generò in molti paesi dell’Africa subsahariana un periodo di crescita e relativo benessere. Ma le ingerenze esterne non tardarono a farsi sentire da parte dei grandi interessi economici internazionali.
    Con lo scoppiare della crisi del debito del Terzo Mondo nel 1982, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale imposero definitivamente le loro politiche macroeconomiche, che non favorivano lo sviluppo locale, non prevedevano alcun investimento nell’economia nazionale, ma incentivavano gli Stati a importare ingenti quantità di beni di consumo e a destinare la propria produzione all’esportazione per il pagamento del debito. Attraverso la previsione di “condizionalità” legate ai prestiti concessi, si venne a realizzare una nuova forma di imperialismo globale, il colonialismo del debito, da cui banche e prestatori di denaro hanno tratto enormi profitti, congiuntamente alle grandi multinazionali, che hanno depredato il Continente del suo ricco patrimonio di risorse naturali, inibendo ogni possibilità di sviluppo economico locale.
    La chiusura che incontro è più ideologica che scientifica. Purtroppo non si può parlare di neoliberismo e del fenomeno migratorio senza incorrere in divisioni ideologiche e pregiudizi. Dimostrare che il modello economico imposto dalle grandi istituzioni internazionali in Africa, che è lo stesso a distanza di decenni attuato ora in Italia, sia la causa del suo sottosviluppo lascia sconcertati. Sostenere poi che l’emigrazione non è una soluzione, ma anzi aggrava i problemi del continente africano, arricchendo solo chi specula sulla mercificazione degli esseri umani, suscita contrarietà da parte dei fautori acritici dell’accoglienza illimitata. Rompere dei tabù e dei luoghi comuni non è mai semplice, ma sto riscontrando anche molto interesse e consenso da parte di chi conosce e vive in prima persona la realtà africana. Da parte dei media sapevo, quando ho intrapreso questo percorso, iniziato col mio primo libro sottotitolato “Storia di una bocconiana redenta”, che non sarebbe stato per nulla facile rompere il muro nel mainstream. Tuttavia, l’interesse mostrato nei miei confronti da alcuni programmi televisivi e radiofonici è andato oltre le mie aspettative.
    Credo che, seppur con grande difficoltà, ci sia un piccolo spiraglio per chi affronta temi scomodi in modo serio e supportato da evidenze scientifiche. Il Decreto Dignità proposto da Di Maio? L’attuale modello economico è basato sulla precarizzazione del lavoro e, di conseguenza, della vita umana. Il Decreto Dignità ha il grosso merito di riportare al centro il lavoratore e i suoi diritti. Mettere un limite alla durata e al numero di rinnovi dei contratti a termine, aumentare la tutela e l’indennità del lavoratore nei casi di licenziamento, sanzionare le imprese che delocalizzano dopo aver usufruito di aiuti di Stato, nonché avviare una dura lotta alla ludopatia sono tutte misure che operano in questa direzione. Lo Stato in questo modo torna a occuparsi del cittadino e del lavoratore, ripudiando il ruolo di servitore dei mercati e degli interessi transnazionali, come vorrebbe il modello neoliberista universale, perfettamente rappresentato dall’attuale Unione Europea.
    (Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Marina Simeone per l’intervista “I coloni dell’austerity” pubblicata da “Il Pensiero Forte” il 25 luglio 2018. Economista attiva anche sul proprio seguitissimo blog, laureata alla Bocconi, scrittrice di libri coraggiosi e di successo sul neoliberismo, dopo la risonanza ottenuta dal primo lavoro “Neoliberismo e manipolazione di massa (storia di una Bocconiana redenta)”, Ilaria Bifarini ha presentato “I coloni dell’Austerity. Africa, neoliberismo e immigrazioni di massa”).

    Esiste un nesso fra crescita demografica, povertà ed emigrazione? La popolazione africana sta subendo una vera e propria esplosione demografica: mentre, infatti, nel 1960 si attestava intorno ai 300 milioni di abitanti, oggi è di circa 1,2 miliardi e raggiungerà i 2 miliardi e mezzo entro il 2050. L’Africa si trova intrappolata in una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione. L’emigrazione viene percepita dagli africani come unica opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita e uscire dallo stato di miseria. Essa in realtà non fa che peggiorare i problemi economici del Continente, che viene privato così della sua forza lavoro più giovane e intraprendente. Il vaso di Pandora delle Ong è molto difficile da scoperchiare, a causa della fitta trama di interessi economici, politici e finanziari. In particolare esiste una grossa Ong, la più grande al mondo ma poco conosciuta dai media, di nome Brac, che svolge attività di “microcredito per l’emigrazione”. Essa è nata ed è particolarmente attiva in Bangladesh, dove ha finanziato l’imponente emigrazione dei cittadini verso altri paesi ma, come dichiara esplicitamente nel suo sito, fornisce prestiti per l’emigrazione (migration loans) anche in altri paesi, in particolare quelli dell’Africa.

  • Tecno-vaccini per annientarci, se la scienza “impazzisse”

    Scritto il 05/8/18 • nella Categoria: idee • (7)

    Hai bisogno di un cuore o un polmone di ricambio? Nessun problema: la Monsanto te ne crea uno nuovo di zecca, utilizzando una specie di maiali trans-genici alimentati da mangimi Ogm e sottoposti con regolarità ad espianto di organi mentre sono ancora in vita, per mantenere “freschi” gli organi espiantati. Avvertenza: il tuo governo ha già approvato simili pratiche. Possibile? No, ovviamente. Sono soltanto fantasie decisamente horror, sulle quali si interroga il blog “La Crepa nel Muro”. Ai confini della realtà, si esplorano aberrazioni a 360 gradi: come i vaccini “comportamentali” per rendere docili i cittadini e reprimere il dissenso, il monitoraggio “da remoto” del nostro stato di salute, la totale segretezza sull’origine degli alimenti. Un mondo da incubo: pandemie globali scatenate da armi biologiche, controllo a distanza sul codice genetico della prole, ingegneria genetica per tranquillizzare le folle o, al contrario, “fabbricare” soldati spietati. E scie in cielo, naturalmente, per “attivare metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. Un film spaventoso, che comincia con l’espianto “brevettato” di organi di maiali geneticamente modificati. Ha senso, questa fantascienza abominevole? Impossibile escluderla a priori, secondo “La Crepa nel Muro”, visto che la scienza ormai assoggettata all’industria «ha in mente per noi un futuro molto diverso dai paradisi utopistici previsti dai media mainstream».
    Secondo l’ufficialità, come sappiamo, la scienza sarebbe sempre e comunque benigna per l’umanità: «Ogni conseguimento scientifico è sempre stato dipinto come “progresso”, anche se molti di essi alla lunga si sono rivelati disastrosi (le bombe atomiche, ad esempio, oppure gli Ogm)». E mentre la scienza pura «risulta essere una componente necessaria di qualsiasi civiltà che cerchi di espandere la propria comprensione dell’universo», il tipo di scienza che oggi domina il paesaggio «è industriale, quindi al servizio dei profitti aziendali più che della umana comprensione». E’ la scienza-business, quella che «sta per partorire una nuova nidiata di tecnologie proprio terrificanti, le quali potrebbero trasformare il mondo». Tecnologie in vitro, che di umano non hanno più niente? Il blog ne propone un intero campionario, francamente agghiacciante. Come i “vaccini comportamentali”, che potrebbero essere sviluppanti, orwellianamente, per “reprimere il dissenso”, da chi considerasse la disobbedienza una patologia, una vera e propria malattia. La “cura per la disobbedienza” (o “disturbo oppositivo”) potrebbe essere nuovo vaccino che «rimodellerà biologicamente il cervello per renderlo più socialmente mansueto e controllabile». Una sorta di lobotomia chimica: sarebbe «la pietra di fondazione dello stato di polizia globale, che non avrà tolleranza per il pensiero indipendente e il pensiero critico di qualsiasi tipo».
    E che dire del “monitoraggio da remoto di tutti i valori sanitari e impulsi vitali”? «Pensate che le cartelle cliniche siano davvero riservate? Pensateci bene: già attualmente il governo degli Stati Uniti detiene un database centralizzato dei campioni di sangue prelevati a tutti i neonati». E’ pensabile che nel prossimo futuro, ai cittadini, possa essere «impiantato un chip diagnostico»? In tempo reale, il dispositivo potrebbe trasmettere al governo «una serie di informazioni circa il polso, la respirazione, la presenza di droghe illegali o legali (le quali sono spesso le stesse sostanze chimiche contenute nelle droghe illegali, ripresentate sotto forma di farmaco)». Funzione: «Controllare che ogni ammalato assuma regolarmente i propri farmaci», ma anche «individuare e arrestare coloro che assumano sostanze stupefacenti senza prescrizione medica». Nella versione horror, il chip potrebbe «monitorare i livelli nutrizionali», magari elininando la vitamina D – dichiarata pericolosa, in un futuro da incubo – per fissare «soglie di tolleranza ben distanti da quella del risveglio cognitivo, facendo in modo che tutti restino prigionieri di uno stato di torpore mentale». Alla stessa strategia (perversa, demoniaca) potrebbe corrispondere anche la “totale segretezza circa qualsiasi ingrediente alimentare e luoghi di origine dei prodotti”, con un doppio risultato: spacciare alimenti-spazzatura molto redditizi e, fatalmente, pericolosi per la salute.
    Anche per questo, aggiunge “La Crepa nel Muro”, nel peggior futuro possibile potrebbe scattare anche la “assoluta criminalizzazione di alimenti e farmaci di produzione locale”, con “obbligo di affidarsi esclusivamente ai grandi gruppi industriali alimentari e farmaceutici”. A proposito di cibo, scrive il blog, “scienziati” corrotti potrebbero affermare che la coltivazione autonoma di un orto nel proprio giardino sia estremamente pericolosa, perché causa il diffondersi di batteri. Basterebbe a mettere al bando il giardinaggio domestico: vietato mettersi a coltivare pomodori sul balcone. «Il fine ultimo di tutto ciò è rendere la popolazione completamente dipendente dalle grandi industrie alimentari centralizzate». I soliti “scienziati” potrebbero sostenere che solo le grandi industrie alimentari producono cibo sicuro, «in quanto completamente pastorizzato, irradiato e sottoposto a fumigazione». Senza contare, poi, gli scenari di guerra. Esempio: “Scatenamento di una pandemia globale a colpi di armi biologiche aggregate ai vaccini”.
    «L’intero sistema dei vaccini – si legge nel fanta-post della “Crepa nel Muro” – fa ovviamente capo ad una politica di eugenetica su larga scala». Ovvero: «Qualcuno ha progettato di eliminare tutti i quozienti intellettivi più bassi del pianeta, persone così stupide da lasciarsi iniettare qualsiasi cosa sia spacciata per un vaccino», comprese le inutili vaccinazioni antinfluenzali. «E’ realmente un programma di eugenetica, con cui i globalisti sono convinti di poter estirpare la stupidità dal genere umano, non importa quale sia il costo in termini di sofferenza». Per questa via completamente folle, si potrebbe arrivare un giorno anche al “totale controllo del governo sulla riproduzione e sul codice genetico della prole”. «Copulare con una persona di vostra scelta e produrre la vostra discendenza a vostro piacimento non sarà più permesso, nello stato di polizia scientifica», si sbilancia “La Crepa nel Muro”. «La riproduzione sarà attentamente controllata tramite la concessione di licenze per assicurarsi che non vi siano risultati imprevisti». Orrore: «Prima di avere figli, i genitori dovranno chiedere al governo il permesso di riprodursi». A quel punto «saranno analizzati geneticamente e psicologicamente, dopodiché sarà loro concesso un permesso di riproduzione controllata il cui iter dovrà essere rigorosamente seguito per evitare il carcere».
    «Alle persone che mostrino tendenze ribelli e atteggiamenti anti-statali – va da sé – sarà negato il privilegio della riproduzione». E quindi, «solo agli schiavi più obbedienti e bianchi saranno concessi i privilegi di riproduzione, di cui gli schiavi andranno orgogliosi, data la responsabilità di mettere al mondo le successive generazioni di schiavi». Paranoia letteraria? Universi paralleli? Quanto può esservi, di verosimile, nella dilatazione – volutamente provocatoria e spettacolare – delle più recenti mostruosità (tragicamente autentiche) di alcune sperimentazioni tecno-scientifiche? Un abisso, nel quale “La Crepa nel Muro” arriva a ipotizzare “impianti cerebrali attivabili da remoto ​​per la sedazione delle folle”. E’ un fatto: il futuro ormai coinvolge tutti i tipi di apparecchiature elettroniche impiantabili nel corpo umano. Una di quelle più convenienti potrebbe essere il “chip pacificazione”, addirittura «imposto ai cittadini in cambio di una somma di crediti virtuali». Un dispositivo subdolo, «attivato in modalità remota da parte del governo attraverso flussi cellulari, o attraverso impulsi locali emessi dalle forze di polizia, per placare immediatamente qualsiasi grande folla di manifestanti e rivoltosi». Gli studenti stanno protestando in favore della libertà di parola? «Basterà attivare il “chip pacificazione”, e tutti si sdraieranno sul prato e per qualche minuto faranno qualche sogno ad occhi aperti».
    Al bisogno, un simile chip potrebbe essere usato anche per “eccitare” il cervello in frangenti politicamente convenienti: «Per esempio, se un altro attacco terroristico dovesse compiersi sul territorio americano, il chip potrà essere d’aiuto per stimolare il sostegno della gente ad una ritorsione bellica». Ed ecco quindi il passo successivo, “ingegneria genetica e allevamento di super-soldati obbedienti”. «In un lontano futuro – ipotizza il blog – i soldati sul campo di battaglia saranno effettivamente degli umanoidi dotati di armi da fuoco e armature. Pensate al modello Terminator T-1000. Tutto ciò al momento resta abbastanza fuori portata, data la incredibile complessità di una simile tecnologia. Nel frattempo le nazioni più potenti investono denaro nella tecnologia dei super-soldati geneticamente modificati, i quali sono concepiti, allevati e addestrati per pensare ed agire come automi». Potrebbero essere “fabbricati” nuovissimi soldati-Ogm, dotati di elevati valori biologici (alta ossigenazione del sangue, cornice corporea di grandi dimensioni) in combinazione con piccoli cervelli, «in grado di elaborare solo le informazioni sufficienti per eseguire gli ordini ricevuti senza metterli in discussione». Invitabilmente, «saranno anche dotati di numerosi impianti elettronici che li renderanno più simili a cyborg che ad esseri umani». E quindi, «potenziamenti ottici applicati alle retine, chip Gps connessi al cervello, cablaggi nelle orecchie».
    Dulcis in fondo, ecco “l’attivazione di metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. «Oltre che per la diffusione di malattie infettive – scrive il blog, nella sua “profezia” da incubo – i vaccini potranno essere utilizzati per iniettare nano-cristalli sintonizzati per risuonare a determinate frequenze». Nano-cristalli? «Sono stati rinvenuti anche nelle scie chimiche». Potrebbero rimanere inerti in un organismo anche per decenni, per poi essere di colpo “attivati” con l’emissione di specifiche frequenze. «Le applicazioni pratiche sarebbero infinite; dalla follia collettiva ai focolai di violenza di massa (tumulti, ecc) o a poche decine di milioni di persone che di colpo muoiono contemporaneamente. Una qualsiasi di tali applicazioni potrebbe essere sfruttata dal governo per vendere la versione ufficiale di un “attacco terroristico”. E tutto ciò potrebbe essere fatto in nome della “scienza”». Per “La Crepa nel Muro”, si tratta di «possibili tecnologie future» con cui la “scienza abusiva” potrebbe «supportare futuri governi tirannici e industrie corrotte». Nulla di tutto ciò è ancora in agenda, per fortuna, ma alcune idee aberranti «sono sulla buona strada per diventare realtà già nei prossimi anni». Fantascienza a parte, il problema sull’impiego della scienza è ovviamente serissimo: guai, se viene utilizzata «per dominare e ridurre in schiavitù le persone». Troppo spesso si è rivelata il grande alibi per operazioni “sporche”, progettate sulla pelle di tutti.

    Hai bisogno di un cuore o un polmone di ricambio? Nessun problema: la Monsanto te ne crea uno nuovo di zecca, utilizzando una specie di maiali trans-genici alimentati da mangimi Ogm e sottoposti con regolarità ad espianto di organi mentre sono ancora in vita, per mantenere “freschi” gli organi espiantati. Avvertenza: il tuo governo ha già approvato simili pratiche. Possibile? No, ovviamente. Sono soltanto fantasie decisamente horror, sulle quali si interroga il blog “La Crepa nel Muro”. Ai confini della realtà, si esplorano aberrazioni a 360 gradi: come i vaccini “comportamentali” per rendere docili i cittadini e reprimere il dissenso, il monitoraggio “da remoto” del nostro stato di salute, la totale segretezza sull’origine degli alimenti. Un mondo da incubo: pandemie globali scatenate da armi biologiche, controllo a distanza sul codice genetico della prole, ingegneria genetica per tranquillizzare le folle o, al contrario, “fabbricare” soldati spietati. E scie in cielo, naturalmente, per “attivare metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. Un film spaventoso, che comincia con l’espianto “brevettato” di organi di maiali geneticamente modificati. Ha senso, questa fantascienza abominevole? Impossibile escluderla a priori, secondo “La Crepa nel Muro”, visto che la scienza ormai assoggettata all’industria «ha in mente per noi un futuro molto diverso dai paradisi utopistici previsti dai media mainstream».

  • Barnard: la Chiesa è marcia, con che faccia accusa Salvini?

    Scritto il 23/7/18 • nella Categoria: idee • (6)

    La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.
    Nel 2014 il ministro delle finanze vaticane, cardinale George Pell, disse che «abbiamo scoperto centinaia di milioni di euro nascosti in conti dimenticati di cui non avevamo rendicontazione». E questi sono solo gli spiccioli di Papa Bergoglio. Secondo l’“International Business Times”, il Vaticano gestisce strumenti d’investimento per 6 miliardi di euro; ha 700 milioni investiti sulle Borse; tiene 20 milioni di dollari in oro alla Federal Reserve in Usa. Il gioielliere Bulgari a Londra paga l’affitto alla Chiesa di Roma in uno dei palazzi meglio prezzati del mondo a New Bond Street. L’investment bank Altium Capital idem, nella prestigiosa St James’s Square. Secondo il Consiglio d’Europa il merchant banker dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Aps), Paolo Mennini, nel 2012 da solo gestiva 680 milioni di euro per i cardinali, i quali solamente dallo Ior ricevono dividendi per 60 milioni annui. I valori delle proprietà immobiliari usate per profitto commerciale e speculativo dalla Santa Sede sono impossibili da calcolare, ma ecco un’idea: il “Sole 24 Ore” ha stimato che la sola ‘agenzia immobiliare’ vaticana chiamata Apsa, diretta fino al 2016 dal cardinale Domenico Calcagno, gestisce 10 miliardi di euro in immobili commerciali (esclusi quindi chiese, canoniche, seminari, ecc.) che, si ribadisce, è solo una vaga idea del totale in mano alla Santa Sede nel mondo.
    Allora, è accettabile che le “belle anime” cattoliche italiane, di cui l’innominabile catto-sinistra è pregna, si permettano di tuonare dalle pagine ad esempio di “Famiglia Cristiana” contro Salvini perché «ha mosso critiche al mondo cattolico che accoglie i migranti»? Accoglie i migranti? Ah, davvero? E come li accoglie? Con quanti denari concretamente sborsati fra i sopraccitati miliardi che tengono in speculazioni finanziarie e di Borsa? Può la Santa Sede mostrarci le cifre? In quanti immobili milionari che posseggono li hanno accolti, quanti sono stati allestiti per loro? Può la Santa Sede, che millanta di “accogliere”, fornirci le mappe? Ma con che inguardabile faccia questi ipocriti intimidiscono con l’abietta superstizione del senso di colpa il Salvini e i suoi elettori? Allora, Papa Bergoglio, prima di condannare i peccatori, veda di mettere le gabbane dei suoi preti, i miliardi delle vostre speculazioni e le migliaia di proprietà dove stanno le vostre parole. E se proprio dovete sdoganare la politica leghista sulla tragedia dei migranti come politica criminale contro gli innocenti – c he non è, perché al peggio è gretta insensibilità dettata da meschina ignoranza personale o da vere difficoltà economiche – ecco chi davvero ha fatto in epoca contemporanea una politica criminale di massa contro gli innocenti, col crocifisso al collo.
    Da un mio articolo di 2 anni fa: “Nel 2012 persino Jp Morgan ha dovuto prendere le distanze dallo Ior per sospetti di riciclaggio in armi. “Vatileaks”, scatenato da Gianluigi Nuzzi, già 3 anni fa rivelava il marciume criminale delle finanza vaticana. Mentre l’adorato Papa Francesco scalava in diligente silenzio i ranghi della Chiesa in Argentina, la P2 con lo Ior e Calvi erano i maggiori canali di forniture di missili Exocet proprio alla Giunta di Buenos Aires (30.000 morti), oltre ad armare criminali di massa e torturatori in Guatemala, Perù, Ecuador e Nicaragua. E scrive Vittorio Cotesta nel libro “Global Society, Cosmopolitanism and Human Rights”: «Uno dei maggiori obiettivi di questo network (Ior ecc.)… è di sostenere i golpisti che gli Stati Uniti e il Vaticano usano per schiacciare la Teologia della Liberazione». Papa Francesco ne fu complice ideologico e, in due casi, anche fisico fino al 2013”. Sono l’ultimo a sostenere Matteo Salvini in Italia, ma odio gli ipocriti. Creano molta più sofferenza dei razzisti, perché sono loro che al temine di epoche di disgustoso finto buonismo (vero, Pd?) tradiscono i popoli sui diritti fondamentali e li spingono all’aspetto più deteriore del populismo, quello di rabbia cieca e poi infine anche disumana.
    (Paolo Barnard, “La Chiesa condanna Salvini, ma con che faccia?”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2018).

    La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.

  • Cremaschi: sono 10 milioni (non 5) i nuovi poveri in Italia

    Scritto il 03/7/18 • nella Categoria: segnalazioni • (35)

    Sulla crescita della povertà tutto ciò che che oggi prevale è mistificazione. Innanzitutto i numeri: sono inferiori alla realtà o sono costruiti in modo da far apparire meno grave la situazione, scrive Giorgio Cremaschi su “Micromega”. Dal 2005 l’Istat suddivide i poveri in assoluti e relativi con due diverse classificazioni di reddito. Così oggi ci sarebbero 5 milioni di poveri assoluti e tanti altri milioni di “poveri relativi”. Ma è una distinzione che, secondo Cremaschi, serve solo ad attenuare l’impatto della catastrofe sociale che ha colpito il nostro paese (dopo l’adozione dell’euro). Tra l’altro, aggiunge, i mass media hanno tutti diffuso la notizia che i 5 milioni di poveri assoluti sarebbero il numero più alto dal 2005, come se prima fossero stati di più. No, naturalmente: il 2005 è solo l’anno di avvio della classificazione, e allora i più poveri dei poveri erano solo 1,5 milioni. In tredici anni sono triplicati. Eurostat, l’istituto europeo di statistica, usa piuttosto dei criteri sociali per contare i poveri, partendo da ciò di essenziale a cui essi debbono rinunciare. Sono considerati poveri i cittadini che, tra l’altro, hanno difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a riscaldare a sufficienza la casa, a pagare in tempo l’affitto e a comprarsi un paio di scarpe per stagione e abiti decorosi. Sulla base di questi e altri criteri nel 2017 l’Italia risulta il paese europeo con più poveri. Sono 10,5 milioni, su un totale a livello Ue di 75 milioni. Un numero enorme, quasi pari agli abitanti di tutta la Germania.
    Ma i vertici europei – in guerra tra loro sull’emergenza-migranti, innescata da feroci ingiustizie contro l’Africa e il Medio Oriente – non fanno nulla per le decine di milioni che nella Ue già ci stanno. «I poveri si contano e poi vengono cancellati dall’agenda politica», sottolinea Cremaschi: sono lavoratori, pensionati, precari e disoccupati, donne e giovani. «Sono la parte più sfruttata e oppressa del mondo del lavoro, sono le prime vittime della lotta di classe dall’alto dei ricchi, che più i poveri aumentano, più vedono accrescere i propri patrimoni». I 14 italiani più ricchi – Ferrero, Del Vecchio, Berlusconi, Armani e gli altri – possiedono beni per un ammontare di 107 miliardi di dollari, come ciò che riescono a mettere assieme milioni di poveri. «Il 5% più ricco del paese detiene il 40% della ricchezza nazionale, cioè 4.000 miliardi». I poveri aumentano, aggiunge Cremaschi, «perché i ricchi sono sempre più ricchi, perché la ricchezza si concentra sempre di più in alto e viene espropriata e rapinata in basso». E così, «la diseguaglianza sociale che dilaga senza freni nel nome del libero mercato è la causa dell’enorme incremento della povertà in Italia e in tutta Europa».
    Il quadro macroeconomico dell’Eurozona è tristemente noto: «Le misure di austerità e di rigore di bilancio, le privatizzazioni, la flessibilità e la precarietà del lavoro, le politiche fiscali di agevolazioni alle imprese e di riduzione delle tasse ai ricchi, i Jobs Act e le Flat Tax che dilagano in tutta Europa, impoveriscono sempre più persone ed arricchiscono sempre di più una piccola minoranza». Se non si combatte la concentrazione della ricchezza non si può ridurre la povertà, conclude Cremaschi, «ma tutti i governi europei, tecnocratici o populisti che siano, di fronte alla sola ipotesi di contrastare la diseguaglianza redistribuendo ricchezza si fermano atterriti». Cremaschi, sostenitore di “Potere al Popolo”, accusa «anche chi ha preso i voti nel nome della lotta contro le élites», in primis lo stesso Salvini. Alla fine, sostiene Cremaschi, il neo-sovranismo «fa proprio l’imbroglio liberista secondo il quale, per redistribuire ricchezza, prima bisogna produrla». E’ la teoria neoliberista dello “sgocciolamento”, in base alla quale «per dare soldi ai poveri, prima bisogna darne ai ricchi». Per questo, insiste l’ex sindacalista Fiom, «vertici europei per la lotta alla povertà non se ne sono mai fatti». In altre parole: «Contro i ricchi nulla si può, nulla si deve fare: e questo è il primo articolo della “Costituzione reale” della Ue».

    Sulla crescita della povertà tutto ciò che che oggi prevale è mistificazione. Innanzitutto i numeri: sono inferiori alla realtà o sono costruiti in modo da far apparire meno grave la situazione, scrive Giorgio Cremaschi su “Micromega”. Dal 2005 l’Istat suddivide i poveri in assoluti e relativi con due diverse classificazioni di reddito. Così oggi ci sarebbero 5 milioni di poveri assoluti e tanti altri milioni di “poveri relativi”. Ma è una distinzione che, secondo Cremaschi, serve solo ad attenuare l’impatto della catastrofe sociale che ha colpito il nostro paese (dopo l’adozione dell’euro). Tra l’altro, aggiunge, i mass media hanno tutti diffuso la notizia che i 5 milioni di poveri assoluti sarebbero il numero più alto dal 2005, come se prima fossero stati di più. No, naturalmente: il 2005 è solo l’anno di avvio della classificazione, e allora i più poveri dei poveri erano solo 1,5 milioni. In tredici anni sono triplicati. Eurostat, l’istituto europeo di statistica, usa piuttosto dei criteri sociali per contare i poveri, partendo da ciò di essenziale a cui essi debbono rinunciare. Sono considerati poveri i cittadini che, tra l’altro, hanno difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a riscaldare a sufficienza la casa, a pagare in tempo l’affitto e a comprarsi un paio di scarpe per stagione e abiti decorosi. Sulla base di questi e altri criteri nel 2017 l’Italia risulta il paese europeo con più poveri. Sono 10,5 milioni, su un totale a livello Ue di 75 milioni. Un numero enorme, quasi pari agli abitanti di tutta la Germania.

  • La Terra ora ci presenta il conto di un mondo senza giustizia

    Scritto il 22/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (6)

    Guardate che non basta, raddrizzare uno sviluppo – finora ingiusto – sostituendolo con il miraggio di una crescita economica globale finalmente equa. La voce “decrescita” (del Pil) risulta sempre sgradevole, dissonante, preoccupante: ma è purtroppo coerente con tutte le previsioni sistemiche dei climatologi, che danno alla Terra altri vent’anni, al massimo, prima del collasso ecologico che già sta avanzando in modo inquietante, con le temperature balneari registrare alle Svalbard e lo scioglimento inesorabile della calotta artica. Nel lontanissimo ‘700, il padre della fisica Isaac Newton predisse – in base a complessi calcoli – che le risorse terrestri si sarebbero esaurite entro il 2060: un pronostico, sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro – sinistramente coincidente con quello del governo Usa, secondo cui fra quarant’anni, di questo passo, arriveremo alla morte biologica degli oceani. Ragionamenti che possono apparire letterari e strampalati, semplici suggestioni millenaristiche calate in un mondo distratto dai mondiali di calcio o appassionato al derby Italia-Francia su Salvini, gli sbarchi selvaggi e l’opaco traffico malavitoso gestito dalle Ong. Vero, l’Europa ladrona nega all’Italia un’espansione vitale del deficit, mentre c’è chi muore in mare per un tozzo di pane. E se si tracolla tutti, sotto la furia di un pianeta stremato dai nostri abusi suicidi?

  • L’esodo condanna l’Africa, e gli africani saranno 2,5 miliardi

    Scritto il 21/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (12)

    «Incentivare la popolazione giovane locale ad abbandonare la propria terra e rinunciare a ogni possibilità e speranza di sviluppo dell’economia nazionale non è la soluzione, ma parte del problema». Lo afferma l’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e autrice del saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. La popolazione africana, scrive Bifarini sul suo blog, sta subendo un’esplosione demografica senza precdenti. Se nel 1960 contava meno di 300 milioni di abitanti (285 per l’esattezza) oggi si attesta a circa un miliardo e duecento milioni di persone. Secondo le stime dell’Onu in pochi decenni raddoppierà: nel 2050 gli africani ammonteranno a qualcosa come 2 miliardi e 500 milioni di persone. Secondo la teoria economica della cosiddetta “transizione demografica”, ogni popolazione umana tende a passare da una situazione iniziale negativa – elevata mortalità e alta fecondità – a una situazione più favorevole, con parametri invertiti: scarsa mortalità e bassa fecondità. La transizione, spiega Bifarini, avviene con un’iniziale riduzione del livello di mortalità, cui fa seguito un consistente aumento del tasso di crescita demografica, che si attesterà presto intorno allo zero grazie a una riduzione del livello di fecondità, completando così il percorso della transizione demografica.
    Generalmente, prosegue l’analista, a innescare questo processo sono le migliori condizioni igienico-sanitarie raggiunte: proprio la salute ingenera un declino del tasso di mortalità. «Ne segue un mutamento di stile di vita della popolazione adulta, che rivolgerà ai figli maggiori cure e aspettative e sceglierà spontaneamente di pianificare una riduzione delle nascite». Questa transizione, che nei paesi sviluppati è avvenuta nel XIX e nella prima parte del XX secolo, nella seconda metà del Novecento si è estesa a molti dei paesi in via di sviluppo, ad eccezione proprio dell’Africa. «L’Africa subsahariana costituisce un unicum, nel panorama demografico contemporaneo», scrive Ilaria Bifarini: a sud del Sahara, «a fronte di una mortalità che ha conosciuto una diminuzione generalizzata negli ultimi decenni, persiste un tasso di fecondità tra i più elevati nel mondo». Si muore molto meno, ma si continua a nascere “troppo”. «È venuta a concretizzarsi una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione».
    Attivo alla fine del ‘700, l’inglese Thomas Robert Malthus sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili, con conseguente penuria di generi di sussistenza, fino a giungere all’arresto dello sviluppo economico: secondo Malthus, infatti, la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti (che crescerebbero invece in progressione aritmetica). Di fatto, il fenomeno geo-economico noto come “trappola malthusiana” condanna i paesi colpiti a una situazione di vera e propria stagnazione economica. Per spezzare la trappola in cui ormai si trovano gran parte dei paesi dell’Africa subsahariana, secondo Ilaria Bifarini sono necessarie «politiche economiche e sociali orientate alla qualificazione della forza lavoro e all’educazione sessuale della popolazione». Viceversa, «l’unica via di fuga, per una fetta sempre più ampia di giovani condannati alla disoccupazione, rimarrà quella dell’emigrazione, che non fa altro che aggravare la condizione di sottosviluppo del continente». In altre parole: ogni migrante che sbarca sulle coste del Mediterraneo aggrava la crisi dell’Africa, sottraendole preziose risorse umane.

    «Incentivare la popolazione giovane locale ad abbandonare la propria terra e rinunciare a ogni possibilità e speranza di sviluppo dell’economia nazionale non è la soluzione, ma parte del problema». Lo afferma l’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e autrice del saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. La popolazione africana, scrive Bifarini sul suo blog, sta subendo un’esplosione demografica senza precdenti. Se nel 1960 contava meno di 300 milioni di abitanti (285 per l’esattezza) oggi si attesta a circa un miliardo e duecento milioni di persone. Secondo le stime dell’Onu in pochi decenni raddoppierà: nel 2050 gli africani ammonteranno a qualcosa come 2 miliardi e 500 milioni di persone. Secondo la teoria economica della cosiddetta “transizione demografica”, ogni popolazione umana tende a passare da una situazione iniziale negativa – elevata mortalità e alta fecondità – a una situazione più favorevole, con parametri invertiti: scarsa mortalità e bassa fecondità. La transizione, spiega Bifarini, avviene con un’iniziale riduzione del livello di mortalità, cui fa seguito un consistente aumento del tasso di crescita demografica, che si attesterà presto intorno allo zero grazie a una riduzione del livello di fecondità, completando così il percorso della transizione demografica.

  • Siamo lo 0,01% della vita sulla Terra, e la stiamo uccidendo

    Scritto il 17/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (6)

    E’ ufficiale: siamo la peste della Terra. Lo si sapeva già, ma ad aggravare il quadro provvede una sconvolgente ricerca statistica: i 7,6 miliardi di umani rappresentano solo lo 0,01% di tutti gli esseri viventi. Eppure, dagli albori della civiltà, l’umanità ha provocato la scomparsa dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e della metà delle piante viventi. Su tutto domina il bestiame destinato alle nostre tavole: il 60% dei mammiferi terrestri è ormai costituito da bovini e suini d’allevamento, mentre il pollame rappresenta il 70% degli uccelli viventi sul pianeta. Lo afferma il professor Ron Milo, del Weizmann Institute of Science di Israele, che ha diretto il lavoro, pubblicato negli atti del National Academy of Sciences. Questa ricerca, scrive Damian Carrington sul “Guardian”, è la prima stima completa sul peso percentuale esercitato da ciascuna classe di creature viventi. Lo studio ribalta i presupposti che finora ci avevano sempre accompagnato. In sintesi: dopo i batteri (il 13% del totale) la forma di vita più importante sono le piante: la vetegazione costituisce l’82% di tutta la materia vivente. Tutto il resto – insetti, funghi, pesci, specie terrestri – arriva appena al 5% della biomassa mondiale. Altra sorpresa: gli oceani ospitano solo 1% della vita sulla Terra. Il problema? L’uomo: stiamo divorando tutto, alla velocità della luce.
    «Non avrei mai creduto che non esistesse ancora una valutazione completa e ufficiale di tutte le diverse componenti della biomassa», ammette il professor Milo. «Spero che questo studio permetta alla gente di prendere coscienza della vera prospettiva del ruolo tanto vessatorio che l’umanità sta giocando sulla Terra». Impressionante, ad esempio, l’impatto ambientale che ha il semplice consumo quotidiano di carne. La trasformazione del pianeta per effetto delle attività umane, ricorda il “Telegraph” in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte”, ha portato gli scienziati ad essere vicini a dichiarare una nuova era geologica: l’Antropocene. «Un segnale di questo cambiamento lo possiamo vedere nei resti delle ossa di pollo domestico, che ormai sono sparse per tutto il mondo». Un quadro desolante: gli uccelli in libertà sono appena il 30%, mentre la quota di mammiferi selvatici si riduce ad appena il 4% (al 60% rappresentato dal bestiame, infatti, bisogna aggiungere i “mammiferi umani”, che sono il 36% del totale). Attenzione: «La distruzione dell’habitat selvaggio prodotta dall’agricoltura, dal disboscamento e dallo sviluppo (industriale) ha portato all’inizio di quella che molti scienziati considerano la sesta estinzione di massa della vita che si sta producendo nella storia della Terra da quattro miliardi di anni».
    Si è valutato che circa la metà degli animali esistenti sulla Terra si sia estinta negli ultimi 50 anni, aggiunge il “Telegraph”, citando lo studio israeliano. Ma solo il confronto del risultato di queste nuove stime con quello che esisteva prima che gli umani diventassero contadini stanziali, e che poi cominciasse la rivoluzione industriale, rivela la vera portata di questo enorme declino. «E’ stata una sorpresa anche per gli scienziati rendersi conto che solo un sesto dei mammiferi selvatici sono sopravvissuti, dai topi agli elefanti. E dopo tre secoli di  caccia alle balene sono rimasti, negli oceani, solo un quinto dei mammiferi marini». Da quando è cominciata la civiltà umana, si è estinto l’83% dei mammiferi selvatici, l’80% dei cetacei, il 50% delle piante e il 15% dei pesci. «È qualcosa di veramente sorprendente, la sproporzione del posto che occupa l’uomo sulla Terra», dice Milo. «Quando faccio un puzzle con le mie figlie, di solito trovo un elefante accanto a una giraffa e accanto un rinoceronte. Ma se provo a rendere più realistico il modo di guardare il mondo, dovrei trovare una mucca accanto a una mucca accanto a una mucca e poi accanto a un pollo».
    Nonostante la supremazia assunta dall’umanità, in termini di peso, l’Homo Sapiens sulla Terra è ben piccola cosa. I virus, da soli, messi insieme hanno un peso percentuale combinato di tre volte superiore a quello degli esseri umani e così pure i vermi. I pesci sono 12 volte più delle persone e i funghi sono 200 volte di più. Le piante rappresentano l’82% di tutte le biomasse del pianeta – 7.500 volte di più degli esseri umani. Comparando il totale della massa degli umani – aggiunge il “Telegraph” – troviamo che i virus sono tre volte di più, i vermi sono tre volte di più, i pesci 12 volte di più e insetti, ragni e crostacei 17 volte di più. Ma l’impatto dell’uomo sul mondo della natura rimane immenso – insiste Milo – soprattutto per le nostre scelte alimentari, «che hanno un enorme effetto sull’habitat di animali, piante e altri organismi». Lo scienziato si augura che il pubblico prenda coscienza delle dimensioni, sconcertanti, del fenomeno: per esempio, cominciando a mangiare meno carne. Oggi non possiamo più fingere di non sapere. Paul Falkowski, della Rutgers University statunitense, conferma: quella di Milo «è la prima analisi completa sulla distribuzione della biomassa di tutti gli organismi viventi sulla terra, inclusi i virus». La sorpresa? Il virus di gran lunga più pericoloso, sulla Terra, siamo proprio noi.

    E’ ufficiale: siamo la peste della Terra. Lo si sapeva già, ma ad aggravare il quadro provvede una sconvolgente ricerca statistica: i 7,6 miliardi di umani rappresentano solo lo 0,01% di tutti gli esseri viventi. Eppure, dagli albori della civiltà, l’umanità ha provocato la scomparsa dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e della metà delle piante viventi. Su tutto domina il bestiame destinato alle nostre tavole: il 60% dei mammiferi terrestri è ormai costituito da bovini e suini d’allevamento, mentre il pollame rappresenta il 70% degli uccelli viventi sul pianeta. Lo afferma il professor Ron Milo, del Weizmann Institute of Science di Israele, che ha diretto il lavoro, pubblicato negli atti del National Academy of Sciences. Questa ricerca, scrive Damian Carrington sul “Guardian”, è la prima stima completa sul peso percentuale esercitato da ciascuna classe di creature viventi. Lo studio ribalta i presupposti che finora ci avevano sempre accompagnato. In sintesi: dopo i batteri (il 13% del totale) la forma di vita più importante sono le piante: la vegetazione costituisce l’82% di tutta la materia vivente. Tutto il resto – insetti, funghi, pesci, specie terrestri – arriva appena al 5% della biomassa mondiale. Altra sorpresa: gli oceani ospitano solo 1% della vita sulla Terra. Il problema? L’uomo: stiamo divorando tutto, alla velocità della luce.

  • Page 7 of 31
  • <
  • 1
  • ...
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
  • 6
  • 7
  • 8
  • 9
  • 10
  • 11
  • ...
  • 31
  • >

Libri

UNA VALLE IN FONDO AL VENTO

Pagine

  • Pubblicità su Libreidee.org
  • Siberian Criminal Style
  • UNA VALLE IN FONDO AL VENTO

Archivi

Link

  • Cadavre Exquis
  • Il Cambiamento
  • Movimento per la Decrescita Felice
  • Nicolai Lilin
  • Penelope va alla guerra
  • Rete del Caffè Sospeso
  • Rialto Sant’Ambrogio
  • Shake edizioni

Tag Cloud

politica Europa finanza crisi potere democrazia storia Unione Europea media disinformazione Ue Germania Francia élite elezioni diritti mainstream banche sovranità rigore lavoro tagli euro welfare libertà Italia Pd sistema debito pubblico oligarchia Gran Bretagna tasse Bce neoliberismo terrorismo giustizia industria Russia disoccupazione globalizzazione sinistra pericolo movimento 5 stelle futuro paura Occidente Cina diktat sicurezza umanità popolo cultura verità Stato mondo Bruxelles Costituzione Grecia Matteo Renzi austerity