Archivio del Tag ‘decenza’
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Giannuli: leggi elettorali su misura per questi gangster
Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.Ad esempio la clausola di sbarramento al 5% del sistema tedesco, in teoria fu fatta per impedire l’eccessiva frammentazione del sistema politico, ma in realtà fu fatta per escludere dal Bundestag il Partito Comunista che aveva intorno al 3%. Allo stesso modo, la clausola N+2 del quoziente Imperiali fu fatta ufficialmente per favorire i piccoli partiti, facilitando l’acquisto di un quoziente necessario per accedere al riparto dei resti, ma, in realtà, determinava un meccanismo di calcolo favorevole ai partiti maggiori per cui la Dc ebbe sempre 20 o 30 seggi in più rispetto a quelli che le sarebbero spettati ed il Pci fra i 10 ed i 15. E potremmo fare mille altri esempi. Ma va detto che mai il proponente di una clausola truffaldina del genere avrebbe proclamato essere quello il suo fine, avrebbe sempre ammantato la sua proposta delle più nobili motivazioni, rispondendo indignato a chi denunciasse i motivi reali. Qui, invece, siamo alla perdita del più elementare senso del pudore: si dichiara apertamente di voler cambiare la legge elettorale perché con questa –appena approvata e mai sperimentata – vince il M5S.La governabilità qui non c’entra, anche perché, quando si è fatto questo aborto di legge elettorale, ci è stato spiegato che i suoi meccanismi erano pensati per fare in modo di sapere, già dalla sera delle elezioni, chi avrebbe governato nel quinquennio successivo. Qui il ragionamento apertis verbis è il seguente: “Noi quella legge la avevamo fatta perché assicurasse la nostra vittoria, ma visto che non è così e che a vincere sono gli altri, noi la cambiamo in modo che vinciamo noi”. Cioè, dei parlamentari che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, dicono apertamente che stanno usando (cioè : abusando) del loro potere per farsi una legge elettorale per proprio uso e consumo. Un atto di disonestà inaudita e per di più candidamente confessato. Poi, giusto per non farsi mancare nulla, il ministro dell’interno Alfano – con decenza parlando – propone, papale papale, di abolire il doppio turno, ripristinare le coalizioni e di far scendere al 35% (o anche meno) la soglia per il premio di maggioranza, cioè di ripristinare pari pari il Porcellum (salvo la fissazione di una quota nominale) dimenticando che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge elettorale proprio per l’eccessivo premio di maggioranza.Ma, si osserverà, qui abbiamo una soglia minima per accedere al premio, cosa che prima non c’era. Solo che, in un sistema politico diviso in tre poli è quasi matematico che uno dei tre superi di un poco il terzo dei voti. D’altra parte, fissare una soglia al 35% per un premio che dia il 54% dei seggi, significa dare un premio di ben il 19% e, se già è discutibile l’attuale 14% (che non ha pari in nessun altro sistema di maggioritario su lista), figuriamoci un premio del 19%. A questo punto, perché non il 25% o il 20% come soglia minima? Cioè mettiamo un numero a caso che, di fatto, garantisca che al primo turno, quello che ha un voto più degli altri fa “asso prende tutto”.Già, ma se poi ci accorgiamo che il M5S diventa partito di maggioranza relativa che si fa? Semplicissimo: cambiamo di nuovo la legge elettorale. Anzi do qualche suggerimento utile: stabilire che il premio viene dato al secondo e non al primo, oppure che c’è il “premio di minoranza” ma anche che i voti del Pd valgono il doppio degli altri. Perché no? Io mi chiedo con quale faccia il Presidente della Repubblica possa controfirmare una legge elettorale nata con questi presupposti e mi chiedo come potrebbe evitare la declaratoria di incostituzionalità la Consulta. Ricordo nuovamente lo stupore del mio amico danese Morten che, di fronte alla candida ammissione di Berlusconi di aver fatto “solo” tre leggi nel suo interesse, disse: “Ha detto proprio così? E non succede niente?!” Già: e non succede niente?!(Aldo Giannuli, “Leggi elettorali, decenza e codice penale”, dal blog di Giannuli del 26 luglio 2016).Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.
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Giannuli: sinistra, non vali niente. Facci un favore, sparisci
Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui. E, in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd. E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.In questi giorni, si affannano a difendere l’indecente Tsipras. “Non c’era altro da fare”, in Grecia? «Ma allora perché sbrodolarsela per 5 mesi e non chiudere subito, prima di svuotare le banche?». Tsipras “ci ha insegnato cosa significa lottare”? «Veramente ci ha insegnato come prenderle di santa ragione, dopo una manfrina di cinque mesi». Giannuli distingue tra dirigenti e militanti. «Per quanto riguarda i secondi il discorso è presto fatto: l’eredità del comunismo da caserma, per cui il gruppo dirigente va sempre difeso, con fede e senza riguardo per la ragione. La critica per loro è un’oziosa perdita di tempo, loro “credono”, non ragionano e sfidano impavidi il ridicolo. E poi ci sono le ragioni sentimentali: a questi militanti della sinistra, romanticamente, piace perdere, li fa sentire migliori, sfortunati ma migliori. Loro vogliono perdere ed è giusto accontentarli. E’ bene che questa sinistra perda sempre e chiudiamola qui». Dei dirigenti, invece, emerge un «assoluto cinismo»: a loro, «di Tsipras e del popolo greco non potrebbe interessare di meno». E’ solo una questione di marketing: appena 14 mesi fa avevano lanciato la lista “L’Altra Europa con Tsipras”, ora non possono rimangiarsi tutto. E’ troppo presto.Con quel “brand”, continua Giannuli, erano riusciti a superare per il rotto della cuffia lo sbarramento del 4%. «Poi la cosa, come era prevedibile e previsto, si è sfasciata due giorni dopo, fra accordi non rispettati, seggi contesi e slealtà varie», ma questo non toglie che, per ragioni di immagine, non si possa demolire «quello che è stato il marchio di impresa». Anche perché, solo pochi giorni fa, in occasione del referendum greco, «l’icona di santo Alexis era stata innalzata più luminosa che mai, senza far caso alle ambiguità e giravolte dei giorni precedenti, che facevano presagire che uso si sarebbe fatto della vittoria del “no”». Altrettanto cinico il risvolto elettorale italiano: «Il soggetto “nuovo” che sta per nascere sotto l’egida di Sel, al di là dei roboanti proclami anti-renziani, già pensa di entrare nella lista del Pd, come imposto dall’Italicum (o di coalizzarsi con il Pd se dovesse tornare il premio di coalizione)», sicché i suoi promotori «non possono presentarsi con trascorsi da estremisti che non danno affidamento». E’ tutto già scritto, insomma: questa sinistra italiana che ancora di dipinge come radicale è pronta, in realtà, ad accodarsi al Pd, proprio come un tempo si accodò a Prodi.«Questo è il cuore della questione», insiste Giannuli: «Loro farebbero ancora una volta come hanno fatto con il governo Prodi, piegandosi a votare le cose più indecenti come le missioni militari all’estero sotto comando militare americano, espellendo chi non era d’accordo. Fu così che raggiunsero l’obiettivo di perdere 3 elettori su 4 e restare fuori del Parlamento. Una sconfitta presto rimossa, a cui non ha fatto seguito alcuna riflessione critica. Per cui è evidente che oggi farebbero la stessa cosa di Tsipras, perché non hanno gli strumenti culturali per immaginare nulla di diverso». In altre parole: non hanno un’alternativa al dirigismo neoliberista autoritario dell’Ue. «Questo ci porta ad un altro aspetto drammatico della questione: i gruppi dirigenti della Brigata Kalimera non capiscono assolutamente nulla di economia monetaria e, più in generale, di economia. Secondo un suo autorevole esponente – racconta Giannuli – il cambio 1 a 1 fra marco orientale e marco occidentale fu un atto di generosità di Kohl. Peccato che, con l’arrivo dell’euro, poi quell’atto di generosità si sia spalmato su tutti gli altri paesi, per cui la Germania si è pagata la riunificazione – evitando l’equivalente di una “questione meridionale” – con il contributo del resto d’Europa. Khol è stato generoso, ma con i soldi degli altri».Secondo un altro illustre esponente di quella che Giannuli chiama “Brigata Kalimera”, «bisogna emettere liquidità evitando l’inflazione». Emettere liquidità attraverso la Bce di Draghi al guinzaglio della Merkel e di Schaeuble? «Si può provare con una novena alla Madonna di Lourdes», scrive Giannuli. Per un dirigente, ancora più autorevole, la Bce dovrebbe essere “prestatore di ultima istanza”, esattamente come lo era lo Stato nei confronti delle banche e dei soggetti di diritto privato in difficoltà. «Peccato che questa volta siano gli Stati ad aver bisogno di quel prestatore, che è un soggetto di diritto privato», replica Giannuli. «L’autorevole personaggio, che mette nelle mani di Francoforte le speranze di una Europa federale, evidentemente ignora come è fatto il board della Bce e come sono fatti i board delle banche nazionali che lo compongono». E’ come sperare che sia il lupo a far la guardia alle pecore. Nessuno si è accorto che neppure la Francia ha osato alzare la testa, tanto è grave ormai l’infiltrazione capillare dell’affarismo neoliberista privatizzatore, determinato a radere al suolo quel che resta degli Stati?Siamo nel 2015: com’è possibile dire ancora, seriamente, tante idiozie? Semplice: «Questi signori non leggono un accidenti, non sanno niente e non gli importa nulla di sapere qualcosa», scrive Giannuli. «Il loro “pensiero” politico si forma fra un articolo di “Repubblica”, una chiacchierata nella terrazza romana della signora Fulvia, un incontro alla bouvette di Montecitorio con un giornalista “bene informato” e, quando va bene, qualche veloce consultazione di Wikipedia. Mai la lettura di un libro, un seminario di studio, un convegno». Da tempo immemorabile, continua Giannuli, non compare una rivista teorica, non si fa una iniziativa di formazione, non si discute un documento politico di respiro, non si verifica un dibattito di qualche dignità. «Il risultato è un certo politico di cialtroncelli, che non sanno nulla e non pensano nulla, ma hanno solo il problema di vivere della rendita di qualche incarico istituzionale. E non sarebbe meglio che una cosa del genere sparisse definitivamente?».La sparizione storica della sinistra radicale – quella vera – era uno dei capisaldi del famigerato Memorandum di Lewis Powell, avvocato di Wall Street, ingaggiati già all’inizio degli anni ‘70 per liquidare i sindacati e la sinistra dei diritti, anche attraverso “istituzioni” come la Trilaterale e il Wto. Ora siamo al Ttip, e l’Europa fino a ieri ricchissima è letteralmente devastata dall’euro, ma né Tsipras né i suoi emuli italiani vedono il problema, nonostante il martirio della Grecia e la crisi che devasta l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia. Né si può sperare in una vera alternativa da parte dei pur volenterosi 5 Stelle: nonostante gli appelli ad approfondire le ragioni della crisi economica, verso una necessaria svolta sovranista, agli italiani non pervengono piani alternativi al rigore cieco. «Sono convinto – scrive Giannuli – che il M5S stia procedendo troppo lentamente nel processo di maturazione e stia facendo sciocchezze come la proposta del reddito di cittadinanza (solenne fesseria, peraltro condivisa da Sel, da Landini e, suppongo, anche da Rifondazione). Anche questo è il frutto di questo modo impressionistico e facilone di far politica e sono convinto che se il M5S non si dà una mossa, iniziando a fare più sul serio, non ha un grande futuro davanti a sé. Non si può vivere sempre di rendita delle brutture che fanno i governi in carica».Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui (in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd). E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.
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Segnatevi i nomi di chi oggi difende quel cretino di Tsipras
Il senso dell’operato della Commissione, che ha respinto la proposta di accordo dei greci (coincidente per il 95% con quella avanzata dalla stessa commissione tre settimane fa) è molto chiaro: farla pagare a Tsipras per il referendum. Le richieste di addolcimento avanzate da Atene erano ridicolaggini già al di sotto della decenza: rinviare l’aumento dell’Iva per le isole ad ottobre, in modo da salvare la stagione in atto, chiedere una dilazione delle prossime rate di pagamento, riservarsi di dettagliare i beni da privatizzare ad un secondo momento. E la speranza di ottenere un taglio del debito. La risposta è stata: non se ne parla nemmeno. E’ evidente il carattere tutto politico del No della Commissione e la sua valenza punitiva. Il referendum è stato uno sgarbo inaccettabile: Tsipras ha fatto passare il precedente di una consultazione popolare su un terreno che deve restare di stretta pertinenza delle tecnocrazie finanziarie dell’Unione. Dunque, possiamo dire che Tsipras “cade in piedi” uscendone da “vincitore morale”? Neanche per sogno: la sua è stata una mossa tardiva e mal congegnata: non si lancia una sfida di quel peso se poi non si è sicuri di difendere il risultato.Se fai un referendum, e di quel tipo, dopo devi difenderne l’esito sino all’ultima goccia di sangue. Mentre, già con la sua proposta di accordo, Tsipras ha perso la faccia: se dopo che il No vince con quelle percentuali, offri una intesa al 95% coincidente con la proposta bocciata, sei un pagliaccio ed è lecito chiedersi cosa avresti proposto se avessero vinto i Sì. Dunque, Tsipras aveva già perso, ma questo No della commissione, fa tracollare definitivamente Syriza. Questa non è una proposta di accordo, è un diktat: “niente promesse, le riforme le devi fare e in sette giorni, seguiranno altre richieste e non sappiamo nemmeno se così va bene perché di te non ci fidiamo”. Questo è quello che Tsipras si è sentito dire ed ora gli scenari che si aprono sono questi due: o si piega totalmente ai voleri berlinesi ed offre obbedienza pronta, rispettosa e leale anche per il futuro, o niente aiuti se non quelli umanitari e finisce fuori dell’euro in men che non si dica.Se sceglie la prima cosa Siryza si spacca, la piazza insorge, si va a nuove elezioni e lui non prende nemmeno il 15% dei voti. Se sceglie la seconda le banche non possono dare neppure 10 euro, lo Stato non può più pagare stipendi e pensioni e il paese è alla fame. E, a questo punto, non è nemmeno sicuro di trovare ancora la disponibilità di russi e cinesi a soccorrerlo, perché di uno così non si fida più nessuno. Ormai è diventato “a Dio spiacente e a li nimici sui”. Ha solo una mossa possibile da fare: dimettersi, passare la mano ad un presidente del consiglio più benaccetto nel salotto della Commissione (che, naturalmente farà tutto quel che gli si ordina). Si può solo sperare che, se l’interlocutore non è più il vituperato Alexis, non si senta dire “Di te non ci fidiamo” e, magari, ottenga qualche piccolo sconto. Ovviamente, anche in questo caso Siryza è finita.C’è chi dice che Alexis sia stato un ingenuo perché non si aspettava la mossa di bloccare i rifornimenti alle banche, paralizzando la vita quotidiana del greci. Uno che non si aspetta una mossa del genere non è un ingenuo, è un cretino. La verità è molto più semplice: Tsipras è un piccolo opportunista con niente in testa, che prova mossa per mossa ad ottenere qualcosa. Lui non ha nessun progetto per il suo paese, non sa dove mettere le mani, “campa” alla giornata e ha condotto le trattative senza nessun disegno. L’errore iniziale, da cui è disceso tutto il resto, è stato il non avere un piano di rilancio dell’economia del suo paese, un piano che non poteva non comportare l’uscita dall’euro, che è un lusso che un paese come la Grecia non si può permettere. Lui ha illuso l’elettorato promettendo di restare nell’euro e finirla con l’austerità e che questo sarebbe bastato a far rifiorire l’economia greca.Dimenticando (o non sapendo) che: a- lui poteva decidere di uscire dall’euro ma non di restarci, perché questo dipendeva dalla volontà degli altri di tenercelo; b- che l’euro non è separabile dalle politiche di austerity per i paesi indebitati; c- che anche ottenendo, per qualche miracolo speciale, permanenza nell’euro e fine delle politiche di austerity, resterebbe comunque il problema di reimpiantare un tessuto di imprese che risollevi l’economia nazionale esportando, e questo non lo fai con una moneta come l’euro. Pertanto, avere come caposaldo indiscutibile la permanenza nella moneta unica, la partita era già compromessa dall’inizio e la politica di tracheggiamento di questi mesi ha solo peggiorato la condizione di Atene. Per cui, se da un punto di vista tattico Tsipras non vale niente, in compenso, strategicamente è uno zero assoluto. Ed è anche un disonesto: una persona onesta non promette quel che non è certo di poter mantenere. Può dire al massimo “ci proverò”, ma non può promettere per certo.Uno che dice una cosa del genere o è un incompetente assoluto o è un truffatore, e truffare l’elettorato è l’azione più spregevole che un uomo politico possa fare, peggiore anche del prender tangenti. E mi pare che della stessa pasta siano tutti i neo-socialdemocratici (compresa la nuova stella del firmamento: Podemos) che promettono l’euro e la fine dell’austerità. Come dire: la botte piena, la moglie ubriaca e l’amante della moglie che paga il conto. Ragazzi: ogni tanto studiate qualcosa. Un’ultima considerazione: chi oggi difende Tsipras, sostenendo che si è comportato al meglio, ci sta dicendo che, al suo posto, avrebbe fatto lo stesso e, nel caso si trovasse al governo in Italia, farà lo stesso. Matita e taccuino, segnare i nomi e ricordarsene il giorno delle elezioni politiche. Io me ne ricorderò e, a suo tempo, ripubblicherò quei nomi.(Aldo Giannuli. “Tsipras: tutto è perduto, anche l’onore”, dal blog di Giannuli dell’11 luglio 2015).Il senso dell’operato della Commissione, che ha respinto la proposta di accordo dei greci (coincidente per il 95% con quella avanzata dalla stessa commissione tre settimane fa) è molto chiaro: farla pagare a Tsipras per il referendum. Le richieste di addolcimento avanzate da Atene erano ridicolaggini già al di sotto della decenza: rinviare l’aumento dell’Iva per le isole ad ottobre, in modo da salvare la stagione in atto, chiedere una dilazione delle prossime rate di pagamento, riservarsi di dettagliare i beni da privatizzare ad un secondo momento. E la speranza di ottenere un taglio del debito. La risposta è stata: non se ne parla nemmeno. E’ evidente il carattere tutto politico del No della Commissione e la sua valenza punitiva. Il referendum è stato uno sgarbo inaccettabile: Tsipras ha fatto passare il precedente di una consultazione popolare su un terreno che deve restare di stretta pertinenza delle tecnocrazie finanziarie dell’Unione. Dunque, possiamo dire che Tsipras “cade in piedi” uscendone da “vincitore morale”? Neanche per sogno: la sua è stata una mossa tardiva e mal congegnata: non si lancia una sfida di quel peso se poi non si è sicuri di difendere il risultato.
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Barare e rubare senza vergogna, così si diventa Germania
Volete essere l’economia leader di questa (putrefatta) Eurozona? Facile: barate, ma barate proprio in modo disgustoso, senza vergogna. Ecco le ricette. A) Inventatevi una Cassa Depositi e Prestiti, dategli il nome di Kfw, fatele investire soldi pubblici nelle aziende private nazionali senza che neppure un centesimo di questi soldi compaia nei famigerati conti di Stato, così nessuno a Bruxelles se ne accorge e vi mette le manette. B) Fate riforme del lavoro che fanno ristagnare i salari nazionali per 12 anni, così le vostre mega-industrie nazionali possono esportare a prezzi concorrenziali succhiando il sangue ai loro dipendenti. Ma quando questi s’infuriano (perché non sono tutti idioti), date la colpa delle loro pene non al governo né ai giganti dell’export, no! La colpa è di altri paesi europei, quelli spendaccioni, stupidi e incapaci.C) Create un sistema di moneta unica europea che ha in sé un complesso meccanismo finanziario per cui il vostro concorrente industriale numero uno, l’Italia, verrà spazzato via, messo in crisi e deprezzato all’estremo. Così le vostre patetiche Pmi (che in questo caso si chiamano Mittelstand) potranno venire in Italia a rubarci i nostri super-brevetti e le nostre prodigiose tecnologie per due soldi bucati, e portarsele a casa loro. Oh!, e i lavoratori/imprenditori italiani… bè c’è sempre un gabinetto dove metterli, no? D) Dettate la legge suprema della competitività in Europa, dove la regola numero uno è, ad esempio, prendere un Monti o una Fornero, promettergli la paghetta finale (consulenze private milionarie in ambito finanziario) a patto che diminuiscano drammaticamente sia i salari italiani che le pensioni. Ma a casa vostra fate esattamente il contrario: diminuite l’età pensionabile e fate addirittura intervenire la Banca Centrale (!) a dire che i salari vanno aumentati.F) Strombazzate in tutte le sedi di potere tecnocratico che la vostra disoccupazione è la minore in Europa, quando la verità è che barate da prendervi a schiaffi, perché avete il più alto tasso di lavoratori sottopagati rispetto alla media di reddito nazionale di tutta Europa, ma guarda caso risultano come occupati! G) Fate la voce grossa sulle RIFORME, che tutti ’sti paesi mollicci del sud Europa devono assolutamente fare perché sono spendaccioni, corrotti, incapaci zavorre all’economia del continente. Ma poi nascondete con oculatezza che l’Ocse vi mette al ventottesimo posto su 34 paesi come efficienza nelle… RIFORME! Cioè siete dei brocchi da vergognarsi. Ma con gli altri fate la voce grossa. H) Cambiate rapidamente discorso quando qualcuno vi ricorda che prima dell’introduzione dell’euro, cioè della macchina monetaria che vi permette di barare, c’era un piccolo industrioso paese chiamato Italia che vi faceva un c… così sia in termini di esportazioni, che come innovazione tecnologica, ed era esattamente al vostro pari nei maggiori parametri macroeconomici come Posizione Patrimoniale sull’Estero, Conto delle Partite Correnti e Debito Privato (qui poi noi italiani siamo ancora di gran lunga messi meglio).I) Vantate di avere una grande autorevole seria mega-banca, leader mondiale… mica ’ste botteghe di pochi spiccioli come hanno gli altri. Ma nascondete di nuovo che ’sta vostra illustrissima banca non è solo stra-fallita, con un equity capital ratio (l’opposto del leverage ratio) del 2,5%, cioè come avere 15 euro in cassa e avere debiti di miliardi con il Pentagono. E nascondete che ’sta vostra big bank si è anche accumulata scommesse in derivati (dinamite senza pompieri) per un totale di 20 volte il Pil del vostro stesso paese. E quando salta quella, la vostra illustrissima banca, salta il mondo. Ma voi zitti! Mentite con la faccia come il c… sul modello mondiale che ’sta vostra banca putrefatta rappresenta. Insomma, volete primeggiare in questa Eurozona? Mentite, barate, spogliatevi della minima decenza, siate bugiardi oltre il tollerabile… in altre parole chiamatevi Germania e Deutsche Bank.Ps: poi hanno il più alto giro di mazzette in termini assoluti di tutta Europa (Craxi era un pivello). E siccome hanno dato il pretesto (la tragedia dell’Olocausto) ai sionisti ebrei per massacrare i palestinesi, dovrebbero pagare di tasca loro un piano Marshall per tutta la Palestina. Ma non solo: i tedeschi dovrebbero essere processati per crimini contro l’umanità in Grecia, oggi. Dai, i tedeschi sono nazisti nel Dna, inutile, o l’Onu commissaria la Germania in blocco, oppure continueranno a fare Olocausti. Ce l’hanno nel Dna di essere nazisti.(Paolo Barnard, “Per essere Germania bisogna rubare, barare… fare proprio schifo”, dal blog di Barnard del 2 agosto 2014).Volete essere l’economia leader di questa (putrefatta) Eurozona? Facile: barate, ma barate proprio in modo disgustoso, senza vergogna. Ecco le ricette. A) Inventatevi una Cassa Depositi e Prestiti, dategli il nome di Kfw, fatele investire soldi pubblici nelle aziende private nazionali senza che neppure un centesimo di questi soldi compaia nei famigerati conti di Stato, così nessuno a Bruxelles se ne accorge e vi mette le manette. B) Fate riforme del lavoro che fanno ristagnare i salari nazionali per 12 anni, così le vostre mega-industrie nazionali possono esportare a prezzi concorrenziali succhiando il sangue ai loro dipendenti. Ma quando questi s’infuriano (perché non sono tutti idioti), date la colpa delle loro pene non al governo né ai giganti dell’export, no! La colpa è di altri paesi europei, quelli spendaccioni, stupidi e incapaci.
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Torino, l’Hotel Gramsci e la sinistra che rinnega tutto
L’hotel di lusso a cinque piani sorgerà nel centro di Torino, in Piazza Carlo Emanuele: si chiamerà Hotel Gramsci. Sorgerà sulle ceneri della casa in cui Antonio Gramsci abitò dal 1919 al 1921, fondando “L’Ordine Nuovo” e gettando le basi del futuro Pci. Non conosco, personalmente, miglior modo di descrivere la storia della sinistra italiana: il passaggio dalla nobile figura di Antonio Gramsci all’hotel di lusso a lui dedicato, con il pieno sostegno della sinistra cittadina. È l’emblema dell’involuzione indecente della sinistra, la tragicomica vicenda del “serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd” (la definizione è di Costanzo Preve): in essa è possibile leggere, in filigrana, una dialettica di progressivo abbandono dell’anticapitalismo e di graduale integrazione, oggi divenuta totale, alle logiche illogiche del mercato divinizzato da parte delle forze di sinistra.L’Hotel Gramsci presenta una sinistra (!) analogia con il Grand Hotel Abisso di cui diceva Lukács nella “Distruzione della ragione”. Il paradosso sta nel fatto che la sinistra oggi, per un verso, ha ereditato il giacimento di consensi inerziali di legittimazione proprio della valenza oppositiva dell’ormai defunto Partito Comunista e, per un altro verso, li impiega puntualmente in vista del traghettamento della generazione comunista degli anni Sessanta e Settanta verso una graduale “acculturazione” (laicista, relativista, individualista e sempre pronta a difendere la teologia interventistica dei diritti umani) funzionale alla sovranità irresponsabile dell’economia. I molteplici rinnegati, pentiti e ultimi uomini che popolano le fila della sinistra si trovano improvvisamente privi di ogni sorta di legittimazione storica e politica, ma ancora dotati di un seguito identitario inerziale da sfruttare come risorsa di mobilitazione conservatrice.Per questo, la sinistra continua inflessibilmente a coltivare forme liturgiche ereditate dalla fede ideologica precedente nell’atto stesso con cui abdica completamente rispetto al proprio originario spirito di scissione, aderendo alle logiche del capitale in forme sempre più volgari. Si tratta del tradizionale zelo dei neofiti, a cui peraltro – accanto ai riti di espiazione – si aggiunge il fatto che, sulla testa dei pentiti, pende sempre la spada di Damocle del loro passato comunista, che, ancorché rinnegato, può sempre essere riesumato all’occasione. Lungo il piano inclinato che dalla nobile figura di Antonio Gramsci porta a Massimo D’Alema, si è venuto consumando il tragicomico transito dalla passione trasformatrice di matrice marxiana al disincanto weberiano fondato sulla consapevolezza della morte di Dio, con annessa riconciliazione con l’ordo capitalistico. Con i versi di Shakespeare, “lilies that fester smell far worse than weeds”: orribile più di quello delle erbacce è l’odore dei gigli sfioriti.(Diego Fusaro, “Hotel Gramsci”, da “Lo Spiffero” del 15 aprile 2014).L’hotel di lusso a cinque piani sorgerà nel centro di Torino, in Piazza Carlo Emanuele: si chiamerà Hotel Gramsci. Sorgerà sulle ceneri della casa in cui Antonio Gramsci abitò dal 1919 al 1921, fondando “L’Ordine Nuovo” e gettando le basi del futuro Pci. Non conosco, personalmente, miglior modo di descrivere la storia della sinistra italiana: il passaggio dalla nobile figura di Antonio Gramsci all’hotel di lusso a lui dedicato, con il pieno sostegno della sinistra cittadina. È l’emblema dell’involuzione indecente della sinistra, la tragicomica vicenda del “serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd” (la definizione è di Costanzo Preve): in essa è possibile leggere, in filigrana, una dialettica di progressivo abbandono dell’anticapitalismo e di graduale integrazione, oggi divenuta totale, alle logiche illogiche del mercato divinizzato da parte delle forze di sinistra.
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Suicidio Pd: al ballottaggio solo Grillo e Berlusconi?
Renzi o non Renzi, con il Pd non ci si annoia mai. Puoi pensare che questa volta abbia superato ogni limite e invece no: la prossima volta andrà oltre. «Una delle cose per cui non finirà mai di stupirmi – dice Aldo Giannuli – è l’autolesionismo accoppiato all’assoluta incompetenza quando si parla di leggi elettorali». Nel 1993, l’allora Pds sognò di fare il “colpo grosso” e andare al governo per la liquefazione dei partiti di centro seguita a Mani Pulite. Ma, siccome sapeva di non avere i consensi necessari, fece ricorso all’ortopedia elettorale del maggioritario, così da trasformare in una maggioranza assoluta di seggi la sua maggioranza relativa di voti. Solo che non calcolò che un sistema maggioritario, all’epoca, «avrebbe cancellato i partiti ma solo per aprire la porta ad un populismo plebiscitario contro il quale non era affatto attrezzato». Dettaglio: un certo Berlusconi, proprietario della televisione commerciale, era già pronto a cavalcare l’onda populista scatenata dai suoi telegiornali.Nonostante ciò, «il Pds-Ds-Pd non ha mai cercato di capire in cosa avesse sbagliato». Al contrario, ha continuato imperterrito a «inseguire il suo sogno di centralità governativa sorretta dall’ortopedia elettorale», fino a convertirsi «al mantra berlusconiano del “partito del leader”», per cui «si è messo penosamente alla ricerca di un leader forte che lo portasse alla vittoria». Risultato: 8 segretari di seguito in 20 anni (Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi) e 4 presidenti del consiglio (Prodi, D’Alema, Amato, Letta) per meno di 8 anni di governo. Motivo: il Pd non è affatto un “partito del leader”, ma «la confederazione di una mezza dozzina di tribù di ceto politico (a loro volta suddivise in un certo numero di sotto-tribù), che ha mantenuto l’impronta di apparato burocratico del vecchio Pci, ma senza il rigoroso costume e le regole del vecchio partito».Il risultato è un partito «troppo burocratico per essere libertario, troppo privo di regole per essere la vecchia falange tebana del Pci, troppo frammentato per essere efficiente e, soprattutto, troppo rissoso». Per cui, alla prima difficoltà, «la congiura dei boiardi disarciona il segretario o il presidente del Consiglio». Dunque un partito «vocato alla sconfitta» che, «anche quando è riuscito per sbaglio a vincere, ha subito rimediato mettendo in crisi il proprio governo appena possibile: di solito il primo avversario di un governo di centrosinistra è il segretario del Pds-Ds-Pd (D’Alema con Prodi, Veltroni con D’Alema, ora Renzi con Letta)». Oggi, continua Giannuli, il Pd si difende (al solito proiettando automaticamente nel futuro i numeri attuali e fidandosi troppo dei sondaggi) ricorrendo di nuovo all’ortopedia elettorale, che dovrebbe «far fuori i piccoli partiti con soglie di sbarramento stellari», ovviamente «rendere irrilevante il M5S con la solita storia del duopolio Pd-Fi (perfetto pendant del duopolio televisivo)» e inoltre «fregare Fi con il doppio turno sulla base di questo calcolo: “Il 20% circa del M5S al secondo turno che fa? Un pezzo si asterrà ed un pezzo voterà per noi, nessuno per Berlusconi, ergo vinciamo sicuro”».Peccato che i piccoli partiti «fatti fuori da clausole di sbarramento così alte» potrebbero non essere interessati a far parte di coalizioni alle quali porterebbero voti per il premio, restando però esclusi dal Parlamento, quindi potrebbero presentarsi in ordine sparso, con risultati imprevedibili. Inoltre, Berlusconi potrebbe raggiungere il 35% da solo al primo turno, mentre il Pd resta sotto anche per pochissimo e il resto va a M5S e liste minori. Senza contare che proprio il Movimento 5 Stelle potrebbe rivelarsi il secondo partito, aprendo nuovi scenari. Il primo, più clamoroso: ballottaggio tra Forza Italia e Grillo, con Pd escluso dai giochi e avviato «ad una rapida disgregazione, per effetto della stessa legge voluta». Si richia anche gli elettori di Forza Italia (come a Parma) di fronte a un derby Pd-M5S votino per i grillini, «in odio al Pd». E se le intenzioni di Renzi sono quelle di far fuori i suoi nemici interni epurando le prossime liste per la Camera, «questo porterebbe facilmente ad una scissione del Pd, per cui tutti i conti andrebbero seriamente rifatti». Ipotesi che «l’ineffabile gruppo dirigente del Pd non prende neppure in considerazione».Dopo di che, bisogna anche vedere che fine farà «questa porcheria di riforma elettorale». Se la commissione resta divisa, in aula si andrà con un testo grezzo, sottoposto alla votazione punto per punto. Risultato: «Tutti contro tutti, in un bagno di sangue generalizzato di emendamenti». Perché Renzi ha sì avuto il 70% dei voti alle primarie, ma i gruppi parlamentari sono quelli formati da Bersani, «per cui occorrerà vedere come voteranno i parlamentari Pd (della cui granitica compattezza si è detto)». Inoltre, la “riforma” disegnata da Renzi e Brlusconi ha senso se contestualmente si abroga il Senato o gli si toglie il voto di fiducia al governo. Peccato che questo lo dovrebbero decidere (a scrutinio segreto) anche i senatori, «che quindi dovrebbero abrogare se stessi».Dopodiché, se restasse in piedi il Senato, ci sarebbe da chiarire con che sistema lo si eleggerebbe: il vecchio Porcellum? Un Porcellum rivisto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale? Un nuovo sistema – senza premio di maggioranza – fatto in fretta e furia? E cosa ne penserebbe la Corte? Peraltro, la minoranza interna «non si sente vincolata a difendere una legge per cui non è stata interpellata», e quindi «non assicura affatto di votarla». Per cui, «se alla conta dovessero mancare i voti necessari – o, peggio, dovesse esserci una defezione di massa dei parlamentari Pd – decenza vorrebbe che Renzi si dimettesse», anche perché qualsiasi interlocutore potrebbe dirgli: «Ma tu chi rappresenti e a nome di chi tratti?». Conclude Giannuli: «Cuperlo ha giustamente detto che il Pd non è una caserma. Infatti: è una casa di tolleranza con una maitresse autoritaria».Renzi o non Renzi, con il Pd non ci si annoia mai. Puoi pensare che questa volta abbia superato ogni limite e invece no: la prossima volta andrà oltre. «Una delle cose per cui non finirà mai di stupirmi – dice Aldo Giannuli – è l’autolesionismo accoppiato all’assoluta incompetenza quando si parla di leggi elettorali». Nel 1993, l’allora Pds sognò di fare il “colpo grosso” e andare al governo per la liquefazione dei partiti di centro seguita a Mani Pulite. Ma, siccome sapeva di non avere i consensi necessari, fece ricorso all’ortopedia elettorale del maggioritario, così da trasformare in una maggioranza assoluta di seggi la sua maggioranza relativa di voti. Solo che non calcolò che un sistema maggioritario, all’epoca, «avrebbe cancellato i partiti ma solo per aprire la porta ad un populismo plebiscitario contro il quale non era affatto attrezzato». Dettaglio: un certo Berlusconi, proprietario della televisione commerciale, era già pronto a cavalcare l’onda populista scatenata dai suoi telegiornali.
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Qualcosa di sinistra: solo Civati rispetta gli elettori Pd
Il Pd un partito di destra? Certamente sì, se lo si giudica dalla linea politica: al confronto, il Pri di Ugo La Malfa (Prima Repubblica) «sarebbe stato un partito di estrema sinistra». E persino il Pli di Giovanni Malagodi, ultra-liberale, avrebbe tranquillamente “scavalcato a sinistra” l’attuale partito di Renzi e D’Alema. Ma attenzione: la base del Pd resta interamente di sinistra. E il fatto che continui a tollerare un gruppo dirigente «di destra» – o meglio ancora, di semplici «cretini» – non deve impedire all’elettorato di sinistra di riconoscere il problema: lo stesso vecchio Pci, accanto ai suoi meriti storici, ha coltivato grandi difetti, tra cui proprio l’abitudine a fidarsi dei dirigenti, anche se «allevati come polli in batteria» specie dopo l’estinzione dei padri nobili. Un difetto tipico della sinistra italiana, rimediabile forse soltanto con una forte rottura nel gruppo dirigente: cioè con un leader come Civati, l’unico in fondo a rispettare davvero l’ispirazione di sinistra dell’elettorato Pd.
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Maradona, gli evasori e i pagliacci (tra sdegno e fiction)
Maradona, il calcio e le tasse: quando il senso civico «finisce nelle mani dei pagliacci». Che sarebbero, nell’ordine: l’ex grande giocatore argentino e il tele-intrattenitore più coccolato d’Italia, Fabio Fazio. Con la “complicità” indiretta di un grande eretico della televisione italiana, Gianni Minà, “colpevole” di aver contribuito a mitizzare il Pibe de Oro, facendone una sorta di eroe da presentare in prima serata – tra la Littizzetto e l’anonimo Raffaele Fitto – nel bel mezzo del Grande Nulla italiano. E’ il grigio campo di gioco nel quale il mainstream di regime cincischia a bordo campo, proprio come il Dieguito dei bei tempi, pur di non parlare della crisi che sta scotennando il paese. Perfetto, nella grande finzione, anche il sapiente dosaggio emotivo del vicedirettore della “Stampa”, Massimo Gramellini, bravissimo nel dispensare ai telespettatori il suo Libro Cuore
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Chiesa: il cimitero degli ipocriti e le loro leggi disumane
Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?L’altro modo di affrontare la situazione è quello di guardare in faccia la realtà. L’ondata migratoria è destinata ad aumentare. E’ uno tsunami annunciato. Non ci sono dei o provvidenze che potranno fermarlo. Gli economisti stupidi che sorreggono la baracca con le loro sgangherate ricette, ci ripetono da decenni che bisogna favorire il libero flusso di capitali. Appunto: i capitali si sono mossi molto liberamente (tra le tasche dei padroni dell’Universo). Ma la conseguenza è che anche gli uomini si muovono: più lentamente, perché sono fatti di materia, non come i bit dei computer, ma si spostano – per vivere, per bere, per mangiare; per sognare, perfino. Dunque arriveranno altre centinaia di barconi, con decine di migliaia di disperati. E noi avevamo come ministro della Repubblica un demente che pensa e pensa che ci vuole una legge per fermarli. Pensate a che livello si collocano, lui e il presidente che ha firmato una legge sul reato di clandestinità!Certo, l’Italia, da sola, non può farcela. Ma potrebbe fare subito molte cose importanti. Potrebbe prepararsi allo tsunami – organizzativamente, in primo luogo, perché non siamo preparati. Bisogna dirlo forte e chiaro. Prepararsi significa molte cose. Ci vuole un piano d’emergenza e un piano strategico. Ci vuole un centro di comando composto da persone competenti e oneste, che siano messe in grado di rispettare il diritto sacrosanto di asilo, e di non permettere altre tragedie. Cioè bisogna predisporre misure di accoglienza. A questo non c’è alternativa se non vogliamo essere costretti a costruire cimiteri, o a scavare fosse comuni. Cioè ci vogliono mezzi. E persone qualificate. Per esempio un esercito (sarebbe meglio tornare all’esercito di leva) che, invece di allenarsi a sparare, sia messo in grado di svolgere funzioni estese di protezione civile. E, per il piano strategico, ci vuole una chiara visione dell’azione politica da svolgere in campo internazionale.L’Italia di questi anni balbetta o è assente dalla scena. Non ha voce e, del resto, essendo un paese commissariato dalla Trojka, non si preoccupa di averla. Invece dovrebbe farsi sentire: è l’Europa, con i suoi cosiddetti principi universali, che deve rispondere. E se non lo fa, è l’Italia che deve prendere l’iniziativa e imporre una risposta collettiva. Molto di più che un “corridoio umanitario” di emergenza (non basterebbe comunque). Ci vuole una politica! E ci vuole il coraggio necessario per dire – e dirsi – come stanno le cose. Siamo noi ricchi – e privilegiati – parte del problema. Lo abbiamo creato anche noi. E dunque dobbiamo mettere mano al portafogli. Non regalando motovedette alla Libia, perché fermi e ricacci indietro i disperati, ma cambiando la politica degli aiuti al cosiddetto terzo mondo. Non mandando truppe in Afghanistan e in Iraq, cioè cambiando la nostra politica estera: fuori dalla Nato, perché non abbiamo nemici; fuori dalla guerra. Questo è l’unico modo per contribuire alla soluzione del problema. Per questo ci vuole un’altra classe politica e un altro governo, italiano ed europeo.(Giulietto Chiesa, “Lampedusa, non siamo preparati allo tsunami”, testo del video-editoriale pubblicato da “Megachip” l’8 ottobre 2013).Ci sono due modi di vivere questa tragedia: uno è l’ipocrisia e la malafede. Coloro che ci portano al disastro (e molti di noi, anche) si strappano adesso il capelli, piangono, fingono solidarietà con le vittime, gridano vergogna – ma a chi la gridano, essendo loro i primi responsabili? Uno spettacolo indecente davvero. Il Pd, per bocca di Epifani, dice che «bisogna abrogare la legge Bossi-Fini». Adesso? Ma il Pd è stato al governo dal 2006 al 2008 e non l’ha nemmeno toccata. Napolitano invoca leggi per i profughi: proprio lui, che ha firmato nel 2009 la legge Maroni sul reato di clandestinità. E poi, un paese che si fa guidare da gente come Bossi e Fini (cioè che sceglie plebei incolti e rapaci, oltre che incompetenti) cosa infine può aspettarsi se non tragedie?
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Rodotà: e invece di governare, insidiano la Costituzione
Giù le mani dalla Costituzione. Piuttosto, abbiano la decenza di cestinare il Porcellum e cambiare la legge elettorale. E dimostrino che non sono soltanto marionette agli ordini dei boss della finanza e della grande industria. Stefano Rodotà vota contro le larghe intese: «Stiamo vivendo il grado zero della politica, e in questo vuoto di politica rischia di precipitare l’intera società italiana». Il governo Letta? «Un azzardo politico, e ora ne stiamo pagando il prezzo, prevedibile e elevatissimo». L’esecutivo era nato «fin dall’inizio prigioniero delle smanie di un autocrate», Berlusconi, che l’ha paralizzato con lo stallo infinito sull’Imu, senza contare la speranza di avere uno sconto sulla giustizia, fonte di «fibrillazioni continue». Ricatti incrociati per una partita truccata, «fino a giungere alle indegne vicende dell’ultima fase», col suicidio del Cavaliere e l’evaporazione del Pd, appiattito sulla pura sopravvivenza del governo, «considerando come unico e supremo bene il solo fatto che il governo riuscisse a durare».
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Giap: onore, per una volta, al giornalismo americano
L’edizione del 5 ottobre dell’“International Herald Tribune” si apre con un “obituary”, un necrologio a sei colonne, con fotografia e titolo: “Vo Nguyen Giap, un rivoluzionario”. Non ricordo nulla di analogo nella mia esperienza di giornalista. La potenza imperiale s’inchina, rende l’onore delle armi e della vittoria a colui che la sconfisse nel lontanissimo 30 aprile 1975, quando Saigon cadde e le immagini degli elicotteri in fuga che si alzavano in volo dai tetti dell’ambasciata americana fecero il giro del mondo. Oggi, per l’“Iht”, evidentemente, non c’era notizia più importante di quel ricordo. E non c’era cosa più giusta da fare che ricordare quella sconfitta in cui furono cancellate circa 58.000 vittime americane. Adesso proviamo a confrontare questa prima pagina con quelle dei giornali italiani, cioè dei servi. Si parla, è ovvio, solo di Berlusconi e della spazzatura di questo paese.
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Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere
Il governo Letta è andato a gambe all’aria. L’annuncio, con le dimissioni dei ministri Pdl, è arrivato un sabato di settembre e subito è partito il coro greco degli italiani, abituati al pianto a comando. Un governo sciapo, inconsistente, immobile. Perché piangere? Guardi Letta, imbronciato come un bimbo cui sia stato rotto il trenino e pensi, quest’uomo conosce la coerenza? Il 24 giugno 2012, intervistato da Arturo Celletti di “Avvenire”, s’era scagliato contro Berlusconi e Di Pietro parlandone come di «un male per l’Italia» e, della crisi, come «ossigeno per le forze antisistema», tanto da augurarsi un «grande progetto per il paese» sotto forma di «offerta politica capace di attrarre e convincere: noi, Casini e Vendola. Funzionerebbe. Avrebbe appeal europeo. Avrebbe forza». Sappiamo com’è andata a finire. E ancora, il 26 giugno, intervistato da Teresa Bartoli del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, eccitato dall’idea di un patto per arginare il populismo incarnato da Berlusconi, Di Pietro e Grillo: «La questione chiave è l’esclusione del populismo.