Archivio del Tag ‘declino’
-
Macché Renzi, la carta di Napolitano si chiama Draghi
Non fatevi incantare dal talent show per la scalata del Pd: nessuno dei partecipanti ha il cosiddetto x factor. Uno dei tre moschettieri, quasi certamente Renzi, riuscirà a conquistare il partito. Ma per andare al governo dovrà attendere il 2015. Non perché Letta reggerà fino a quel momento. Ma proprio perché Letta, «come il latte, è già scaduto». Mentre alle sue spalle «s’avanza un altro bidone di latta e di governo, con la convocazione del Quirinale in tasca». Secondo Gianni Petrosillo, «sta per rientrare dall’estero il miglior fusto made in Italy che c’è in circolazione», ovvero Mario Draghi. Napolitano? «Tirerà presto fuori questo coniglio dal cilindro, per saldare definitivamente i pezzi del suo piano», che dopo la decadenza di Berlusconi ha di fronte una vistosa accelerazione. Infatti, la maggioranza in Parlamento è cambiata: i numeri più risicati «richiedono l’investitura di un condottiero di maggior spessore e prestigio». Meglio: «Un portatore di grandi interessi internazionali (tanto di cerchie finanziarie che di potenze globali) ai quali deputati e senatori non possono opporsi». Letta? «Non è adatto alla nuova “impresa”».Quindi, prima ancora di vedersela con gli elettori italiani e con «il prossimo burattino di Berlusconi, si tratti di un figlio o di un altro figlioccio», il nuovo segretario del Pd «si troverà davanti uno scenario prefabbricato, puntellato da soluzioni imprescindibili ed impegni ineludibili e già sottoscritti, rispetto ai quali non avrà nessun potere decisionale», scrive Petrosillo in un post su “Conflitti e Strategie”, ripreso da “Come Don Chisciotte”. In altre parole, il futuro segretario Pd «non potrà mettere becco in niente e dovrà limitarsi ad amministrare l’esistente, cioè la devastazione e la desolazione totale». Perché «l’uomo del miracolo», al contrario, cioè «il profeta che sta per approdare sulle nostre coste, ha il nome di un mostro mitologico che sputa fuoco e prescrizioni dell’Ue». A lui, l’uomo che cena a casa di Eugenio Scalfari in compagnia di Letta e dell’uomo del Colle, «toccherà il compito di ingabbiare la nazione secondo i diktat di Bruxelles e di svendere il patrimonio pubblico secondo dettami che provengono da molto più lontano».Il super-curriculum del presidente della Bce «è garanzia di servilismo e sottomissione ai nostri tradizionali padroni, continentali e soprattutto extracontinentali», sostiene Petrosillo, alludendo evidentemente al ruolo-chiave di Draghi all’epoca delle grandi privatizzazioni degli anni ’90 pianificate con la lobby britannica degli “Invisibili” e poi il ruolo di stratega della Goldman Sachs e privatizzatore del sistema bancario italiano. «Tra qualche giorno si aprirà ufficialmente la crisi e i draghi invaderanno i nostri cieli per toglierci tutto quello che abbiamo», continua Petrosillo. «Questa non è una profezia, questa è la soluzione pro-zio-Sam trovata dal nostro sovrano Napolitano». Fantapolitica? «Può essere, ma è sempre meglio farsi trovare preparati dopo quanto successo in questi ultimi miserabili vent’anni». Questa volta «potrebbe trattarsi dell’assalto finale alla nostra sovranità nazionale», ovvero «pene nuove, che si assommano a dolori atavici».Non fatevi incantare dal talent show per la scalata del Pd: nessuno dei partecipanti ha il cosiddetto x factor. Uno dei tre moschettieri, quasi certamente Renzi, riuscirà a conquistare il partito. Ma per andare al governo dovrà attendere il 2015. Non perché Letta reggerà fino a quel momento. Ma proprio perché Letta, «come il latte, è già scaduto». Mentre alle sue spalle «s’avanza un altro bidone di latta e di governo, con la convocazione del Quirinale in tasca». Secondo Gianni Petrosillo, «sta per rientrare dall’estero il miglior fusto made in Italy che c’è in circolazione», ovvero Mario Draghi. Napolitano? «Tirerà presto fuori questo coniglio dal cilindro, per saldare definitivamente i pezzi del suo piano», che dopo la decadenza di Berlusconi ha di fronte una vistosa accelerazione. Infatti, la maggioranza in Parlamento è cambiata: i numeri più risicati «richiedono l’investitura di un condottiero di maggior spessore e prestigio». Meglio: «Un portatore di grandi interessi internazionali (tanto di cerchie finanziarie che di potenze globali) ai quali deputati e senatori non possono opporsi». Letta? «Non è adatto alla nuova “impresa”».
-
Benetazzo: scordiamoci l’Italia, sta per essere cancellata
Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.La svendita del paese, ricorda Benetazzo sul suo blog, è una ingloriosa esclusiva del centrosinistra: prima Amato, poi D’Alema e quindi Prodi. «Si vende l’argenteria, per pagare i debiti contratti per giocare alle slot machine». Ormai ci siamo: senza un Piano-B, si salvi chi può. «Non ci saranno scialuppe per tutti, molti faranno la fine di tante povere pecore: scannati vivi». E non serviranno a nulla «il pianto in diretta presso il talk show di turno, l’appello di qualche autorità rinsavita o le esternazioni prosaiche formulate dagli ambienti cattolici». Non si scappa: la strada è segnata da quella maledetta lettera firmata da Draghi e Trichet, col pretesto di «mettere il paese in sicurezza economica e finanziaria», dopo l’esplosione dello spread gonfiato dallo stesso super-potere finanziario con l’obiettivo di mettere in crisi l’Italia per poi sbranarla comodamente, a prezzi di saldo, con la complicità del personale politico nazionale. Le chiamano “riforme strutturali”: quanto accadrà nei prossimi mesi non è altro che l’applicazione di quella lettera. «Andatevela a rileggere e studiare, nei minimi dettagli», scrive Benetazzo. Era tutto scritto: dopo aver messo mano a pensioni e risparmi, sarà “obbligatorio” intervenire su quei gangli vitali che finora nessuno ha avuto il coraggio di modificare.Quelli della lettera? Potranno sembrare «capisaldi di buon senso, necessari per sgravare il peso della attuale fiscalità diffusa», almeno per provare a rimettere in moto «un paese che tra otto anni sarà scalzato dal Messico e dal Brasile». Chi non ha “visto” subito il pericolo – lo smantellamento del sistema-Italia – tenterà una retromarcia per salvarsi. Ma ormai sarà troppo tardi anche per i «diversamente rinsaviti». Quelli che pagheranno il conto più amaro, continua Benetazzo, saranno proprio quei soggetti che hanno vissuto per decenni «dentro una cupola intoccabile», cioè i dipendenti pubblici e parastatali: «Finalmente capiranno che cosa significa, semanticamente, il termine di “equità sociale” quando calerà la scure del Memorandum of Undestanding affiancato dalle Omt, Outright Monetary Transactions». Sarà la fine del paesaggio socio-economico al quale siamo abituati da sempre. Se qualcuno dei tagli farà piazza pulita di alcune storture, il risultato sarà devastante: terra bruciata, là dove c’era la comunità nazionale italiana.Succederà a colpi di imposizioni europee, quando non avremo più risorse a cui attingere: aumento della concorrenza nei servizi pubblici (fine delle baronie e dei feudi di famiglia, ma probabilmente tariffe più care) e nuova fiscalità, per rendere le imprese italiane più competitive (fine dell’Irap e diminuzione dell’Ire). Poi: “razionalizzazione” dell’assistenza sanitaria, ovvero «assicurazioni private ove non sussista più l’intervento generico dello stato sociale», con tanti saluti al welfare sanitario universale. Il mercato del lavoro? Più “dinamico ed efficiente”. Traduzione: «Libertà di licenziamento senza obblighi di reintegro». In agenda anche la “liberalizzazione dei servizi professionali”, quindi la fine degli ordini professionali, e la “riforma della contrattazione sindacale”, cioè il ridimensionamento del potere contrattuale di sindacati ormai rassegnati a negoziare solo la perdita dei diritti del lavoro. Altro capitolo, il “miglioramento dell’efficienza amministrativa”, ovvero: «Inserimento di indicatori di performance per i dipendenti pubblici per la valutazione del loro operato». E naturalmente, “snellimento dei centri di responsabilità”. Leggasi: abolizione del Senato e delle Province, e accorpamento dei Comuni, cioè gli ultimi centri istituzionali ancora controllabili dai cittadini mediante l’istituto delle elezioni. A volte la democrazia ha funzionato? Niente paura: laddove rischia di ostacolare il business, verrà semplicemente rimossa.Scordatevi questa Italia: sarà cancellata. Finito nella tagliola dell’euro che priva lo Stato della capacità di finanziarsi a costo zero, il governo di turno è “costretto” a super-tassare famiglie e aziende. E non potendo più far ricorso alla banca centrale per controllare il debito, ricorre alla svendita dei gioielli di famiglia: Sace, Enav, Fincantieri, Grandi Stazioni e per finire anche l’Eni. Enrico Letta si appresta a svendere per battere cassa, nella speranza di racimolare almeno 10 miliardi? «Ormai ci siamo: a farla grande, si tratta di aspettare ancora 18 mesi». Dopodiché, secondo Eugenio Benetazzo, «il destino di contribuenti, pensionati e risparmiatori italiani sarà presto delineato». E stavolta «non ci saranno mezze misure», perché «il declino del paese si trasformerà nella dipartita della nazione». Chi spera nell’avvento del “Regno di Renzi” si illude: anche il sindaco di Firenze pensa a una colossale dismissione del patrimonio pubblico. Eseguendo, alla lettera, il famoso diktat della Bce che detronizzò Berlusconi a fine 2011, aprendo la strada al governo Napolitano-Monti.
-
Galtung: è un impero di assassini, il mondo ora si ribella
Il mondo si sta ribellando agli Usa: lo scandalo Datagate conferma che il centro dell’impero sta perdendo il controllo della periferia. Nel suo libro “This Town”, Mark Leibovich ritiene improbabile che il conglomerato politica-media di Washington riesca a trovare soluzioni a calamità tanto drammatiche come quelle che oggi ha di fronte Obama. La superpotenza sta letteralmente evaporando, sostiene Johan Galtung. Basta misurare la stizza di Angela Merkel di fronte alla scoperta di esser stata spiata dalla Nsa. O prendere alla lettera quello che ha dichiarato il generale Keith Alexander, direttore dell’intelligence digitale smascherata da Snowden: «Alla Nsa era stato richiesto da responsabili delle politiche Usa di scoprire le “intenzioni delle leadership” dei paesi stranieri». Alleati di cui Washington non si fida più: sta saltando il patto su si è retto l’Occidente per oltre mezzo secolo, protezione militare in cambio di obbedienza. Anche perché frana la moneta di scambio: il benessere, minacciato dalla grande crisi.Finora, scrive Galtung in un post ripreso da “Megachip”, il sistema ha funzionato con élite di periferia disposte a servire il centro: «Per dire, uccidere in Libia, in Siria, quando richiesto; assicurare gli interessi economici del centro in cambio di un taglio sostanzioso, servendo culturalmente da testa di ponte». Affinché ciò funzioni, le élite devono credere nell’impero. «Si nascondono dietro belle parole – democrazia, diritti umani, Stato di diritto – usate come scudi umani». Ma attenzione: «I costi possono essere ingenti, i benefici in calo». Periferie irrequiete, rivendicazioni. O peggio: cresce «la sensazione che l’impero non stia funzionando, che avanzi verso il declino e la caduta», e quindi i satelliti «vogliono uscirne». E’ per questo che la Nsa li ha “marcati a uomo”. Certo, resta il club esclusivo degli “affidabili”: Canada e Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda. Chi sono? Famigerati stragisti e genocidi, risponde senza esitazioni il grande sociologo norvegese.Per Galtung, gli Usa e gli eredi del Commonwealth sono «un circolo di paesi selezionati su base razzista-culturalista». Sono tutti «bianchi e anglo, uccisori di popoli indigeni ovunque», gli Usa degli indiani nativi, il Canada idem. L’Australia ha sterminato gli aborigeni, la Nuova Zelanda ha emarginato i maori. Quanto al Regno Unito, ha compiuto stragi dappertutto, «facendo sì che gli altri si lanciassero su quel pendio scivoloso del genocidio e del sociocidio». Attenzione: «Lo sanno. Sanno che la maggioranza del mondo è costituita da quel tipo di genti che loro hanno ucciso, e sentono intensamente di dover restare insieme, diffidando dei non-membri». Ma gli Usa «spiano il partito laburista e il Parlamento britannici». E, insieme, Washington e Londra a loro volta spiano Canada, Australia e Nuova Zelanda. La Germania? Grosso problema: «Vuole entrare nel circolo al fine di un altro 5+1, per godere del potere di veto del Consiglio di Sicurezza Onu». Dettaglio: «La razza non è un problema, ma la cultura sì», perché i tedeschi «non sono anglo».Tanto più l’impero declina, osserva Galtung, quanto più ci si aspetta di spiare ancora per identificare il nemico all’interno. «Com’è la condizione dell’impero? Non buona». In Afghanistan, gli Usa «hanno guadagnato delle basi e un oleodotto», ma possono anche perdere tutto. L’Iran sta accrescendo la sua leadership in Medio Oriente e nel Golfo, le conquiste imperiali in Iraq non sono al sicuro, l’operazione di spaccatura della Siria è fallita. Un vero disastro in Egitto: «Gli Usa hanno frainteso la situazione nel suo insieme, sono arenati in una scelta fra due mali che non padroneggiano». In Libia, «altro fraintendimento, senza capire come un imperialismo laico occidentale (Italia-Regno Unito-Francia-Usa-Israele) abbia acceso un risveglio islamista (anziché arabo) e berbero-tuareg (anziché arabo)». Poi, ovviamente Israele: che spia la stessa élite Usa («la politica della coda che muove il cane»), mentre Tel Aviv ha contro anche i media, e si contorce «nella morsa angosciosa fra uno Stato ebraico e la democrazia», con di fronte «uno scenario sudafricano».Quanto ai Brics, siamo di fronte a una vera e propria orchestra sinfonica anti-Usa. In Brasile, la presidente Dilma Rousseff, è stata la prima a parlare all’Assemblea Generale dell’Onu con una critica devastante del programma spionistico Nsa, richiedendo server Internet alternativi. In Russia, Putin «può aver posto termine alla crisi siriana in quanto parte di una crisi generale del Medio Oriente – come Gorbaciov pose fine alla guerra fredda, non alla perenne guerra e minaccia di guerra Usa – richiedendo una fine alle armi di distruzione di massa, comprese quelle nucleari, nella regione». In Cina, l’agenzia mediatica Hsinhua si è appellata a una deamericanizzazione generale e a una fine del dollaro come “valuta di riserva mondiale”, proponendo «un paniere di valute», non più una sola moneta. «I “capi esteri” lo sanno – conclude Galtung – e tradirebbero i rispettivi popoli qualora non esplorassero le opzioni. La questione è come, quando». I satelliti di Washington «possono usare lo spionaggio Nsa come pretesto per ritirarsi dall’impero». Prima mossa: cancellare, o ritardare, il super trattato Ttip (Trans-Atlantic Partnership) con cui le multinazionali Usa progettano di sostituirsi – per gli arbitrati legali – alla magistratura dei paesi vassalli. Come uscirne? Servirebbe una leadership straordinaria, di cui non c’è traccia.Il mondo si sta ribellando agli Usa: lo scandalo Datagate conferma che il centro dell’impero sta perdendo il controllo della periferia. Nel suo libro “This Town”, Mark Leibovich ritiene improbabile che il conglomerato politica-media di Washington riesca a trovare soluzioni a calamità tanto drammatiche come quelle che oggi ha di fronte Obama. La superpotenza sta letteralmente evaporando, sostiene Johan Galtung. Basta misurare la stizza di Angela Merkel di fronte alla scoperta di esser stata spiata dalla Nsa. O prendere alla lettera quello che ha dichiarato il generale Keith Alexander, direttore dell’intelligence digitale smascherata da Snowden: «Alla Nsa era stato richiesto da responsabili delle politiche Usa di scoprire le “intenzioni delle leadership” dei paesi stranieri». Alleati di cui Washington non si fida più: sta saltando il patto su si è retto l’Occidente per oltre mezzo secolo, protezione militare in cambio di obbedienza. Anche perché frana la moneta di scambio: il benessere, minacciato dalla grande crisi.
-
Casta, cosca e cupola: le tre C che ci stanno divorando
Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo si sono guadagnati un posto nella storia recente di questo sfortunato paese usando una definizione di una categoria sociale privilegiata e separata – la casta – per intitolare il più famoso dei loro instant-book: quello che metteva in fila nomi, cognomi e indirizzi dello sperpero del denaro pubblico e degli abusi di potere. Ma, dopo sei anni, ci si domanda: il loro indagare è servito a qualcosa? Oggi si scopre che «parlare di casta ha rappresentato quantomeno un limite», nonostante l’irrompere sulla scena di un movimento anti-casta come il 5 Stelle. «Quel che caratterizza infatti la causa prima della decadenza conclamata del nostro paese – osserva Claudio Giorno – non è ascrivibile solo alla inettitudine e alla corruzione, cresciute in modo esponenziale negli ultimi vent’anni, ma al legame indissolubile con altri due fenomeni di cui si parla, e molto, ma come fossero collegati solo occasionalmente tra di loro». La cosca e la cupola. Insieme alla casta, formano «le tre C che io credo siano indissolubilmente legate tra di loro». Sono «metastasi del cancro di cui l’Italia sembra affetta in forma terminale».
-
Barnard a Grillo: non sei all’altezza dei tuoi parlamentari
Ieri io e Warren Mosler, il capo economista della ME-MMT, cioè l’economia salva vite e salva nazione di cui l’Italia ha disperato bisogno per non schiantarsi definitivamente, per non condannare i nostri giovani a 60 anni di nuova povertà, siamo stati ascoltati dalla Commissione Finanze della Camera a Roma. L’incontro è stato positivo anche se fortemente penalizzato dalle difficoltà di traduzione che hanno in qualche modo stemperato i contenuti dirompenti della ME-MMT che Warren portava in aula. Inaspettato l’interesse del Pd… il cui maggior rappresentante in Commissione ha voluto contatti stretti con Mosler per capire meglio. Il Pd! E’ proprio vero che esistono fenomeni che la scienza non saprà mai spiegare. Ma ok. A margine del suddetto evento, io e Warren Mosler siamo incappati in un gruppo di deputati del M5S, i quali hanno improvvisato una sorta di happening con noi al termine dei lavori parlamentari di quel giorno.Una quindicina di legislatori, giovani, in parte esperti di bilancio e finanza, si sono intrattenuti con i cervelli incollati a Mosler e a me fino alle nove di sera e oltre. Tralascio i contenuti tecnici della discussione perché non sono, qui, il punto. Io li ho guardati, ne ho fatto le risonanze magnetiche, quindi ben più che radiografati, e poi ho ripassato il tutto dal mio filtro di inflessibile cinismo e realismo. Parliamo, dopotutto, dei figli di Casaleggio e di Beppe Grillo, cioè di deputati di un partito azienda zeppo di seguaci acritici fino al fanatismo e che perde pezzi da tutte le parti, a tratti persino grottesco. Ma questi uomini di ieri erano un’altra cosa. Erano competenti, agguerriti, e vorrei, Dio mi sia testimone di quanto lo vorrei, dire che erano e sono una speranza per il Paese. Tutti gli assembramenti umani sono fatti di percentuali più o meno valide, questo è normale, ma se il M5S fosse fatto anche solo al 40% da legislatori come quelli che ho conosciuto ieri, avremmo un partito capace di cambiare la storia dell’Italia e dell’Europa. E qui parlo a te, Beppe Grillo.Non so quanti tuoi figli politici siano al livello di quelli con cui ho dialogato poco fa. Non lo sai neppure tu. Ma essi sono il tuo capitale. Gli altri sono numeri, che per carità servono, perché la manovalanza serve sempre in tutto, non potremmo fare senza, non costruiremmo neppure una casa senza la manovalanza, ma alla fine la Storia ci insegna che è sempre un gruppo ristretto che la cambia. E tu l’hai. Bene. Ma loro non hanno te. Beppe, tu non sei all’altezza dei tuoi deputati che io e Warren Mosler abbiamo incontrato ieri. Io ti ricordo da molti anni addietro, quando ci incrociavamo da Milena Gabanelli, o con Vermigli e Gherardo Colombo. Allora tu eri come i tuoi migliori di cui sopra. Poi cosa ti è successo? Il tuo è stato un declino impressionante, e tutto d’un colpo. Cosa sia passato fra te e Gian Roberto Casaleggio è un mistero, che forse sarà conosciuto un giorno, ma qui non importa. Di fatto Casaleggio ti ha rimpicciolito, scoordinato, deprezzato, e proprio sequestrato. Tu oggi non ci sei più, e i tuoi migliori in Parlamento sono soli.Io, la Me-Mmt, Warren e altri ci offriamo di aiutarli, se lo meritano, si meritano, questi tuoi migliori, di ergersi a Roma con l’autorevolezza di chi ha gli strumenti per cambiare l’Italia per la prima volta dopo la sua morte civica di quasi 40 anni fa. Ma tu non ci sei, non hai idee alla loro altezza, e anzi, ora tu e Casaleggio gli state mettendo imbarazzanti sciocchezze politiche e deliranti progetti internettiani fra le gambe, fra le ruote. Ma che fai, Grillo? Ma dove sei con la testa? I tuoi migliori sono soli, mi stai ascoltando? Sono soli. E ora mi rivolgo a voi che leggete queste parole, voi lettori. Come sarebbe se fra qualche ora Grillo rispondesse a questo post sul suo blog? Se magari stanotte mentre si corica pensasse a come tornare Beppe Grillo e a come tornare a essere un pari fra i suoi migliori? A come ritornare al loro fianco con la statura politica che loro si meritano. A come congedarsi da Gian Roberto Casleggio con un “grazie per tutto, ma non credo che tu e le tue idee aziendali siate ciò che i miei ragazzi necessitano per diventare statisti.” Statisti. Perché i giovani deputati di ieri ne avrebbero la stoffa. Ma sono soli.(Paolo Barnard, “Il grande capitale abbandonato da Beppe Grillo”, dal blog di Barnard del 14 novembre 2013).Ieri io e Warren Mosler, il capo economista della Me-Mmt, cioè l’economia salva vite e salva nazione di cui l’Italia ha disperato bisogno per non schiantarsi definitivamente, per non condannare i nostri giovani a 60 anni di nuova povertà, siamo stati ascoltati dalla Commissione Finanze della Camera a Roma. L’incontro è stato positivo anche se fortemente penalizzato dalle difficoltà di traduzione che hanno in qualche modo stemperato i contenuti dirompenti della Me-Mmt che Warren portava in aula. Inaspettato l’interesse del Pd… il cui maggior rappresentante in Commissione ha voluto contatti stretti con Mosler per capire meglio. Il Pd! E’ proprio vero che esistono fenomeni che la scienza non saprà mai spiegare. Ma ok. A margine del suddetto evento, io e Warren Mosler siamo incappati in un gruppo di deputati del M5S, i quali hanno improvvisato una sorta di happening con noi al termine dei lavori parlamentari di quel giorno.
-
Chomsky: liberarsi dagli Usa, lo Stato-canaglia impunito
Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale – ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica»: un grave pericolo per la società. Il partito è al servizio dei più ricchi e delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale. La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la popolazione – privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l’Affordable Care Act (Atto sulla Salute Conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come ObamaCare, ndt) e il quasi shutdown del governo federale. L’osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l’analista politico Samuel Huntington avvertiva che, per gran parte del mondo, gli Usa stavano diventando «la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società». A pochi mesi dall’inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «agli occhi di gran parte del mondo, il primo Stato-canaglia oggi sono gli Stati Uniti». Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, uno dei principali giornali, David Kaye esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport». Kaye spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare – Ctbt), nel 1999». Per altri trattati si preferisce non agire, se riguardano «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, la discriminazione contro le donne». Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, scrive Kaye, che «i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con la tranquilla accettazione, all’interno della nazione, della dottrina secondo cui gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno Stato-canaglia. Per fare un esempio, un paio di settimane fa le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio, senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha informato la stampa che quelle azioni sono “legali” perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento. I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.Tali azioni sono limitate agli Stati-canaglia. Più precisamente, a quegli Stati-canaglia abbastanza potenti da agire impuniti, in questi ultimi anni, fino a svolgere aggressioni a volontà e terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni e molto altro. E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di ottobre. Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio». Cuba ha commesso quel delitto quando ha sconfitto un’invasione proveniente dagli Stati Uniti e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. E’ per questo che la Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il “rispetto delle opinioni dell’umanità”. Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l’espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell’ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale. Poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e ad espandere la schiavitù, una istituzione così “odiosa” che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l’illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L’evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata. Il diventare una “nazione degna di stipulare trattati” conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria. Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato-canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto-inflitte.(Noam Chomsky, “De-americanizzare il mondo”, intervento pubblicato su “Truth Out” il 5 novembre 2013 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
-
Hedges: quest’impero di depravati sta per travolgerci
Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.Uomini e donne dalla sbalorditiva mediocrità e depravazione guidavano le monarchie d’Europa e della Russia alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. E l’America, nel suo stesso declino, ha offerto una parte del suo essere rammollita, stolta e imbecille fino alla totale distruzione. Una nazione che era ancora radicata nella realtà non avrebbe mai glorificato ciarlatani come il senatore Ted Cruz, il portavoce della Casa Bianca John Boehner e l’ex-portavoce Newt Gingrich che hanno corrotto le onde radio. Se avessimo avuto la minima idea di cosa realmente ci sarebbe accaduto ci saremmo rivoltati con furia contro Barack Obama, la cui eredità sarà la capitolazione totale alle esigenze di Wall Street, all’industria del combustibile fossile, al complesso dell’industria militare e allo stato di sicurezza e sorveglianza. Avremmo dovuto manifestare con quei pochi, come Ralph Nader, che hanno denunciato il sistema monetario basato sul gioco d’azzardo, l’interminabile stampa di denaro e ha condannato la distruzione ostinata dell’ecosistema. Dovevamo ammutinarci. Dovevamo far tornare indietro la nave.Le popolazioni dell’impero in caduta sono passive perché spensierate. E’ in atto una narcotizzazione del sogno ad occhi aperti tra coloro che rotolano verso l’oblio. Si rifugiano nella sessualità, nelle cose scadenti e nell’insensatezza, rifugi che al momento sono piacevoli ma di sicura auto-distruzione. Credono ingenuamente che tutto funzionerà. Come specie umana, osserva Margaret Atwood nel suo romanzo distopico “Oryx and Crake”, siamo condannati alla speranza. E assurde promesse di speranza e gloria sono continuamente servite dall’industria dell’intrattenimento, dell’élite politica ed economica, dalla classe dei cortigiani che fingono di essere giornalisti, guru autodidatti come Oprah e sistemi di credo religiosi che assicurano ai seguaci che Dio li proteggerà sempre. E’ una auto-delusione collettiva, un ritirarsi nel pensiero magico.«Il cittadino americano finora è vissuto in un mondo dove la fantasia è più reale della realtà stessa, dove l’immagine ha più dignità dell’originale», scrisse Daniel J. Boorstin nel suo libro “L’immagine: guida agli pseudo-eventi in America”. «Difficilmente affrontiamo il nostro sconcerto, perché la nostra esperienza ambigua è piacevolmente iridescente, e il conforto nella fede della realtà artificiosa è completamente reale. Siamo diventati accessori desiderosi nella grande era delle bufale. Queste sono le bufale che giochiamo a noi stessi». Cultura e alfabetismo, nella fase finale del declino, sono sostituiti da rumori diversivi e stereotipi vuoti. Lo statista romano Cicerone inveiva contro il loro equivalente dell’epoca – l’arena. Cicerone, a causa della sua onestà, fu inseguito e ucciso; le mani e la testa tagliate. La testa mozzata e la mano destra, con la quale aveva scritto le Filippiche, furono inchiodate sul palco dove parlavano al Foro. Mentre l’élite romana gli sputava sulla testa, dicevano allegramente alla folla inferocita che non avrebbe più parlato o scritto di nuovo.Nell’era moderna questa tossica cacofonia insensata, la nostra versione di spettacolo e di combattimenti di gladiatori, di “panem et circenses”, viene pompata ciclicamente ventiquattrore su ventiquattro dalle onde radio. La vita politica si è fusa con il culto della celebrità. L’educazione è principalmente professionale. Gli intellettuali sono scacciati e disprezzati. Gli artisti non possono vivere del proprio lavoro. Poche persone leggono libri. Il pensiero è stato bandito soprattutto nelle università e nei college, dove pedanti, timidi e carrieristi sfornano banalità accademiche. «Anche se la tirannia, che non ha bisogno di consenso, può governare con successo sui popoli stranieri», scrisse Hannah Arendt nel suo libro “Le origini del totalitarismo”, «si può restare al potere solo se si distruggono prima di tutto le istituzioni nazionali del popolo». E le nostre sono state distrutte.Le nostre ossessioni prioritarie sono il piacere sensuale e l’eterna giovinezza. L’imperatore romano Tiberio si ritirò nell’isola di Capri e convertì il suo palazzo al mare in una casa di lussuria sfrenata e violenza. «Gruppi di ragazze e giovani uomini, che erano stati raccattati da ogni parte dell’impero come adepti a pratiche innaturali, conosciute come spintriae, avrebbero copulato prima di lui in gruppi di tre, per eccitare il suo desiderio scemante», scrisse Svetonio ne “I dodici Cesari”. Tiberio addestrava ragazzini, che lui chiamava i suoi pesciolini, a folleggiare con lui in acqua e a fare sesso orale. E dopo aver osservato una tortura prolungata, li avrebbe poi obbligati a buttarsi da una scogliera vicino al suo palazzo. A Tiberio sarebbero seguiti Caligola e Nerone. «A volte, quando viene voltata la pagina», scrisse Louis-Ferdinand Céline in “Da un castello all’altro”, «quando la storia raggruppa insieme tutti i pazzi, apre le sue epiche sale da ballo! Cappelli e capi nel turbine! Mutandine in mare!».Nel suo libro “Il collasso delle società complesse”, l’antropologo Joseph Tainter osserva il collasso delle civiltà, dai Romani ai Maya. Conclude dicendo che si disintegrarono perché alla fine non potevano sostenere le complessità burocratiche che avevano creato. Strati di burocrazia richiedono sempre maggiore sfruttamento, non solo dell’ambiente ma anche delle classi operaie. Diventano calcificati da sistemi che non sono in grado di rispondere ai cambiamenti che avvengono attorno a sé. Come succede nelle nostre università d’élite e nelle scuole aziendali, vengono prodotti in serie informatici gestionali, ai quali insegnano non a pensare, ma a far funzionare ciecamente il sistema. Questi informatici gestionali sanno solo come perpetuare se stessi e il sistema al quale sono al servizio, anche se significa sventrare la nazione e il pianeta. Le nostre élite e i burocrati logorano il pianeta per sostenere un sistema che in passato ha funzionato, senza riconoscere che ora non funziona più.Invece di prendere in considerazione delle riforme che metterebbero a rischio i loro privilegi e il loro potere, le élite si rifugiano nel crepuscolo dell’impero, nelle cinta murate, come nella città perduta o Versailles. Inventano la propria realtà. Continuano a ripetere questi comportamenti a Wall Street e nelle sale del consiglio: gli stessi che insistono che la dipendenza dai combustibili fossili e le speculazioni sosterranno l’impero. Le risorse dello Stato, come fa notare Tainter, alla fine sono sempre più sprecate in progetti insensati e stravaganti e in avventure imperiali. E poi tutto collasserà. Il nostro collasso porterà con sé tutto il pianeta. Ammetto che è più piacevole starsene ipnotizzati davanti alle nostre allucinazioni elettroniche. E’ più facile darci mentalmente un’occhiata. E’ più gratificante assorbire l’edonismo e la malattia del culto di se stessi e del denaro. E’ più confortante chiacchierare del gossip delle celebrità e ignorare o respingere la realtà.Thomas Mann ne “La montagna incantata” e Joseph Roth in “Hotel Savoy” raccontano brillantemente questo peculiare stato mentale. Nell’hotel di Roth i primi tre piani destinati alla lussuria ospitano i ricchi boriosi, i politici immorali, i banchieri e gli imprenditori. I piani superiori sono affollati da gente che lotta per pagare i propri debiti e che sta costantemente svendendo le sue proprietà; gente che in questo modo diventerà povera e verrà scacciata. Non c’è un’ ideologia politica tra la classe dominante deteriorata, nonostante dibattiti inscenati ed elaborati teatri politici. E’, e alla fine lo è sempre stato, una vasta cleptocrazia. Appena prima della Seconda Guerra Mondiale, un amico chiese a Roth, intellettuale ebreo che era fuggito a Parigi dalla Germania nazista: «Perché bevi così tanto?». Roth rispose: «Pensi che riuscirai a scappare? Anche tu sarai spazzato via».(Chris Hedges, “La follia dell’impero”, post pubblicato da “Truthdig” e ripreso da “Come Don Chisciotte” il 24 ottobre 2013. Già corrispondente del “New York Times” per quasi vent’anni, Hedges ha scritto saggi su guerra, imperialismo e nuovo fascismo. Il suo libro più recente: “L’impero dell’illusione: la fine della letteratura e il trionfo dello spettacolo”).Gli ultimi giorni dell’impero danno gran lavoro e potere agli inetti, agli squilibrati ed agli imbecilli. Questi politici e propagandisti di corte, assunti per essere la faccia pubblica della nave che affonda, mascherano il vero lavoro dell’equipaggio, il quale saccheggia sistematicamente i passeggeri mentre la nave affonda. I mandarini del potere stanno nella timoniera, impartendo ordini ridicoli e osservando in quanto tempo riescono a distruggere i motori. Combattono come bambini al timone di una nave, mentre la barca va a tutta velocità contro un iceberg. Passeggiano in coperta facendo discorsi pomposi. Urlano che la nave Ss America è la migliore mai costruita. Insistono che ha la tecnologia più avanzata e che incarna le più alte virtù. E poi, con una furia improvvisa e inaspettata, andremo giù nelle acque gelide. Gli ultimi giorni dell’impero sono un carnevale di follia. Siamo nel mezzo di noi stessi, spinti dai nostri leader di corte che si intestardiscono sull’economia e l’auto-distruzione. Sumeri e Romani caddero in questo modo, come pure gli Ottomani e l’impero Austro-Ungarico.
-
Ecco Iron Man, il cyber-guerriero per la fine del mondo
Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?Nessun contratto è ancora stato firmato e il Pentagono sta tuttora selezionando le idee, precisa Alessandra Baldini sul sito dell’Ansa. Ma l’obiettivo è chiarissimo: affidandosi a micro-motori, l’esoscheletro (cioè la struttura cibernetica esterna) permetterebbe al soldato di correre e saltare senza fatica, pur portandosi addosso un carico di decine di chili. Ad esempio, il modello “Exoskeleton Xos 2” prodotto dalla Raytheon può sollevare 77 chili con uno sforzo percepito dal soldato che lo indossa pari a 4,5 chili. «Almeno in teoria, questo cyber-soldato sarebbe in grado di curarsi da solo le ferite sul campo applicando tourniquet gonfiabili nel raro evento che l’indistruttibilità dell’armatura venisse violata». La super-corazza conterrebbe anche scorte di ossigeno in caso di attacco coi gas, un sistema di raffreddamento per mantenere la temperatura a livelli accettabili e una serie di sensori per trasmettere al quartier generale i segnali vitali del combattente.«Vogliono una corazza alla Iron Man: sono stati chiarissimi», ha riferito al “Los Angeles Times” Adarsh Ayar, un ingegnere di Bae Systems, uno dei colossi contattati per lavorare sul tipo di armatura chiesta dalle forze speciali. Anche il nome ufficiale del progetto è un omaggio al supereroe della Marvel: si chiama “tactical assault lihght operator suite”, o Talos, come il guerriero gigante fatto di bronzo della mitologia greca che difese, non sempre con successo, l’isola di Creta dagli invasori. Ma a preoccupare i comandanti di Iron Man sarebbero ancora i “barbari” o gli eventuali concittadini in rivolta? «Siamo di fronte a un ridimensionamento generale del mondo sviluppato», avvertiva già nel 2012 il finanziere George Soros: «La gente non capisce quello che sta succedendo, ma è paragonabile alla caduta dell’Unione Sovietica». O magari, per dirla con Giulietto Chiesa, a quella dell’Impero Romano. «Sarà una scusa per dare il giro di vite definitivo usando maniere forti per mantenere legge e ordine», disse Soros a “Newsweek”. Mantenere legge e ordine: grazie a minacciosi robocop come Iron Man?Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?
-
L’oro di Berlino contro il dollaro? Finiremo nella bufera
Giusto il tempo di chiudere il capitolo “guerra in Siria” sbattendo la porta in faccia all’ambasciatore di Al-Qaeda, il capo dei servizi segreti sauditi Bandar Bin Sultan, ed ecco che la violenza terrorista esplode simultaneamente al confine con l’Iran, a Volgograd in Russia e in piazza Tienanmen a Pechino, cioè a casa dei sostenitori di Assad che hanno appena fermato i missili Nato nel Mediterraneo. L’America di Obama? Infangata dagli imbarazzi del Datagate e decisa a farla pagare cara a Snowden e Assange, il quale – fra le rituali proteste dei governi europei, coinvolti fino al collo nello spionaggio Usa – rivela che «un ministro dell’Ue collabora attivamente con la Cia». Il clamore per lo scandalo planetario, sostiene Antonio De Martini, in realtà nasconde la vera “bomba” in arrivo, e cioè la crisi dell’euro. E se collassa l’Europa, salta in aria l’unico soggetto «in grado di competere con gli Usa a livello mondiale», e di mettere in crisi l’arma principale del dominio americano: il dollaro.Nel clamore generale, scrive De Martini sul “Corriere della Collera”, l’unica cosa che i leader europei hanno certamente capito è «che persino le loro telefonate più private – anche quelle sentimentali delle signore – sono state registrate». Quindi, un “leak” potrebbe «tradire i loro più riposti rapporti con il governo americano». Faranno meglio a tenerlo a mente, aggiunge De Martini, il giorno – ormai non lontano – in cui collasserà l’insostenibile Eurozona. «L’attuale quotazione dell’euro non è così forte da provocare una grave crisi diplomatica con gli Usa, ma è abbastanza forte da provocare un restringimento della base occupazionale e delle esportazioni dei paesi europei». Attenzione: questa crisi farà traboccare il vaso, perché «si aggiunge alla crisi della bolla Internet, a quella dei subprime, a quella immobiliare, a quella bancaria, a quella produttiva e a quella occupazionale». Il detestato euro, la moneta che doveva unire il continente, rischia di spezzarlo, lasciando l’Europa totalmente indifesa di fronte al declinante dominio dell’impero americano.Ormai, un euro vale quasi un dollaro e mezzo. E’ considerato troppo forte dagli acquirenti mondiali di beni industriali, cosa che penalizza le esportazioni europee (non certo quelle statunitensi). «In pratica è come se le imprese americane vendessero col 40% di sconto rispetto a noi». L’inflazione, in Eurozona? «Praticamente inesistente: il tasso d’interesse della Bce è ormai dello 0%», quindi la banca centrale «non è in grado di stimolare l’economia». Contraccolpi: i bond italiani franano, la Francia continua a perdere 50.000 posti di lavoro al mese. Il solo ossigeno possibile, dice De Marini, è il “quantitative easing”, che il governo Letta rifiuta, preferendo la ricetta tedesca: più tasse e meno spesa pubblica. «La Germania, forte di un surplus commerciale quasi triplo in termini reali e assoluti rispetto alla stessa Cina, vuole tornare al Gold Standard», anche se questa scelta antinflazionistica penalizza i paesi come l’Italia, che dispone sì della quarta riserva aurea mondiale, ma ha i conti pubblici devastati.Secondo De Martini, la scelta tedesca di puntare sull’oro «comporta il crollo americano», profilando scenari da guerra mondiale. Gli Usa, ricorda l’analista, abbandonarono il vincolo aureo per la quotazione del dollaro nel 1971: stampare tanto denaro quanto necessario al rilancio dell’economia significa considerare che «la vera ricchezza su cui misurare un paese è il suo apparato produttivo e la sua capacità di penetrazione commerciale nel mondo». Oggi, gli Usa stampano 85 miliardi di dollari al mese. «Questo potrebbe creare un problema di credibilità nell’ipotesi di una richiesta di rientro dal debito, ma nessuno si sogna di chiedere il rientro a un debitore manesco che domina i mari del globo con diciannove portaerei». Durante la recente crisi per l’approvazione del bilancio americano, in cui aleggiava lo spettro del default, i tassi d’interesse del debito Usa non si sono mossi di un millimetro: «Chi spera nel default del dollaro si disilluda», avverte De Martini. «La legge per i forti non è la stessa nostra. Il ferro pesa più dell’oro».Insieme agli Usa, a non temere più il rischio-inflazione per decenni agitato dai neoliberisti sono oggi Gran Bretagna e Giappone. «Alla lunga, dicono gli economisti ortodossi, il default è inevitabile». Alla lunga, appunto: mentre il respiro corto dell’Europa “tedesca”, quell’euro tenuto al guinzaglio dalla Bce, segna già oggi la fine economica di tutto ciò che non è Germania. I riflessi geopolitici dello scontro che si profila sono di vastissima portata, scrive De Martini: al confronto planetario tra Usa, Cina e Russia si aggiunge ora la collisione economica e ideologica fra «la triade del quantitative easing», cioè Usa, Regno Unito e Giappone, e la Germania, «attorniata dai vari paesi della Ue, alcuni dei quali stanno dando segnali di esaurimento economico e politico». La Russia «non sfida apertamente il dominio del dollaro», mentre i cinesi cercano di affermare la loro valuta sugli scambi internazionali, per ora solo bilaterali, con India, Indonesia e Giappone. E mentre un paese come l’Italia è alla canna del gas, la Merkel continua a barare: dopo averci tenuto col fiato sospeso in attesa del traguardo elettorale tedesco «facendoci soffrire in attesa di un momento di sollievo», ora attende le elezioni europee «per distinguere gli alleati buoni dai cattivi e i fedeli dagli infedeli». Ma ormai «sono in molti a ritenere che stia tirando troppo la corda».Giusto il tempo di chiudere il capitolo “guerra in Siria” sbattendo la porta in faccia all’ambasciatore di Al-Qaeda, il capo dei servizi segreti sauditi Bandar Bin Sultan, ed ecco che la violenza terrorista esplode simultaneamente al confine con l’Iran, a Volgograd in Russia e in piazza Tienanmen a Pechino, cioè a casa dei sostenitori di Assad che hanno appena fermato i missili Nato nel Mediterraneo. L’America di Obama? Infangata dagli imbarazzi del Datagate e decisa a farla pagare cara a Snowden e Assange, il quale – fra le rituali proteste dei governi europei, coinvolti fino al collo nello spionaggio Usa – rivela che «un ministro dell’Ue collabora attivamente con la Cia». Il clamore per lo scandalo planetario, sostiene Antonio De Martini, in realtà nasconde la vera “bomba” in arrivo, e cioè la crisi dell’euro. E se collassa l’Europa, salta in aria l’unico soggetto «in grado di competere con gli Usa a livello mondiale», e di mettere in crisi l’arma principale del dominio americano: il dollaro.
-
Della Luna: morte lenta, la nostra fine decisa all’estero
«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.Si è tutto tragicamente avverato: lo dicono Pil, occupazione, flussi di capitale, investimenti, quote di mercato internazionale, qualità della scuola, prospettive per i giovani e per i pensionati. Una manovra che viene da lontano: blocco dei cambi, divieto di protezioni doganali, privatizzazione della gestione delle banche centrali, politiche di tagli e nuove tasse. «Queste mosse hanno prodotto e continuano a produrre esattamente i risultati opposti a quelli promessi e per cui erano stati imposti», scrive Della Luna nel suo blog. Ed è un declino “irreversibile”: «Il che dimostra che il vero fine per cui sono stati concepiti e imposti è molto diverso da quello dichiarato, probabilmente opposto, ossia di creare disperazione, paura, miseria, distruzione, la fine delle democrazie parlamentari, della responsabilità dei governanti verso i governati, della possibilità di un’opposizione e persino di un dissenso culturale, scientifico, giuridico».Lo stesso Fmi ha riconosciuto che, su 167 paesi colpiti da misure di “risanamento” e rigore, nessuno si è risanato né rilanciato, ma tutti sono peggiorati, soprattutto in quanto a Pil e debito pubblico. «I paesi che crescono sono quelli che non applicano questa ricetta e che mantengono il dominio della loro propria moneta: i Brics. La Russia ha superato l’Italia in fatto di Pil e ora l’Italia è nona, fuori dal G8». Già lo si era visto col primo aumento dell’Iva, quello di Monti, aumentata dal 20 al 21%: consumi scoraggiati, crollo della domanda, ulteriore recessione. Con Letta, obbligato a non sforare il tetto europeo del 3% per il deficit, l’Iva è al 22%. Risultato? Scontato: depressione. Che poi, per Della Luna, è esattamente l’obiettivo voluto, come già per Monti. Tutto a va a rotoli? Non è certo un caso: «I vent’anni di stagnazione, declino, delocalizzazioni ed emigrazioni, senza capacità di recupero, di questo paese, nonostante i diversi cambi di maggioranze parlamentari e di inquilini del Quirinale, sono un aspetto di questo processo di lungo termine. Vent’anni inaugurati dal Britannia Party e da Mani Pulite».A questo, continua Della Luna, sono serviti l’architettura dell’Ue, del mercato comune, dei parametri di convergenza, e soprattutto di quel sistema di blocco dei naturali aggiustamenti dei cambi monetari noto come “euro”. «A questo piano hanno lavorato molti governi e gli ultimi capi dello Stato: ne ho parlato ampiamente nei miei ultimi tre saggi, “Cimit€uro”, “Traditori al governo”, e “I signori della catastrofe”», pubblicati da Arianna-Macro Edizioni. E chi ha collaborato al piano di liquidazione dell’Italia «non ha mai avuto problemi giudiziari e, se ne aveva, gli sono stati risolti». Grande svendita del paese, a bordo del famoso panfilo inglese. Fine dell’Italia, altro che Ruby o diritti Mediaset. L’attuale governante Letta? Un continuatore: la sua finanziaria 2014 è pura «policy del dissanguamento lento e pacifico in favore dei paesi e dei capitali dominanti», e si basa sui due pilastri della politica italiana degli ultimi decenni: mantenere l’Italia sottomessa alla super-casta mondiale dell’élite finanziaria e, necessariamente, continuare a foraggiare la mini-casta nazionale incaricata di portare a termine la missione, agli ordini dell’euro-regime.«Una sorta di patto: tu, casta italiana, aiutaci a estrarre tutto quello che c’è di buono per noi in Italia, e ad annientare la capacità italiana di competere con noi sui mercati; in cambio, noi ti lasceremo continuare a mangiare come sei abituata sulle spalle della cosa pubblica, dei lavoratori, dei risparmiatori – ma non troppo voracemente, altrimenti il paese collassa o insorge, vanificando l’esecuzione del piano». Naturalmente l’operazione «deve apparire all’opinione pubblica come perfettamente legittima e democratica», meglio quindi se al governo ci sono larghe intese. Parliamoci chiaro: «Che cosa può mai fare, per rilanciare un paese, un governo che non può permettersi, nemmeno per fronteggiare una tragedia nazionale, di ridurre gli sprechi e le mangerie di una partitocrazia-burocrazia ladra e incapace quanto trasversale?». E’ una casta incompetente ma «selezionata, da decenni, solo per intercettare le risorse pubbliche». Non ci saranno svolte, ma solo promesse.Poi, continua Della Luna, l’Italia è invecchiata, tecnologicamente arretrata, sorpassata per le infrastrutture e in più sovra-indebitata, vessata da maxi-interessi. E infine devastata dalla disoccupazione. Il paese vacilla: «Non vi sono abbastanza giovani lavoratori per pagare le pensioni e le cure dei vecchi». Succede tutto questo perché l’Italia «è sottomessa a potenze straniere che la condizionano e la limitano». Lo profetizzò quarant’anni fa l’economista Nikolas Kaldor: bloccando i cambi e introducendo l’unione monetaria europea, sarebbe ulteriormente aumentato il vantaggio competitivo dei più forti, che avrebbero assorbito industrie, capitali e lavoratori dai paesi più fragili. Vent’anni fa ribadivano questa previsione economisti come Paul Krugman e Wynne Godley. Quindi, «tutti quelli che hanno architettato l’euro sapevano benissimo su che scogli era diretta la nave: il loro scopo era appunto quello di farla naufragare».Le previsioni continuano ad avverarsi in modo sempre più violento da almeno sette anni, ma non è stato introdotto alcun correttivo; al contrario, sono state inasprite le misure di squilibrio e sopraffazione. E chi ha osato anche solo accennare a un referendum sull’euro – Berlusconi, Papandreou – è stato «sostituito dalla Merkel», che ha imposto governi compiacenti (Monti, Letta) patrocinati dal Quirinale. Mentre in Gran Bretagna si fa largo l’Ukip di Nigel Farage e in Francia il Front National di Marine Le Pen, due formazioni fieramente all’opposizione di Bruxelles, «l’Italia si trova nella condizione di protettorato», quasi fosse tornata alla debolezza strutturale pre-unitaria, di entità politica «messa insieme artificialmente, per volontà straniera, mediante conquiste militari». Napolitano? «Si conferma un realista e un saggio disincantato». Inutile opporsi allo strapotere di forze soverchianti: «Poiché gli italiani sono in questa condizione, bisogna farli obbedire e agire anche contro il loro interesse, onde risparmiare loro un male peggiore». La consapevolezza? «Renderebbe la gente solo più infelice e inquieta» e anche «più esposta alle violenze repressive» se osasse ribellarsi. Come dice Obama, fiduciario del Washington Consensus e dei suoi super-banchieri, quella dell’Italia è proprio la “right way”.«Italy is going the right way», dice l’umorista Obama al fido Enrico Letta. Solo che la “giusta via” ricorda la macellazione per dissanguamento: morte lenta. Così funziona la politica economica italiana, da qualche decennio al servizio di interessi stranieri: il trucco, sostiene Marco Della Luna, sta nello svuotare il paese di tutta la sua linfa, ma lentamente, in modo che non “muoia” e che non soffra troppo, perché potrebbe ribellarsi. All’avvio dell’euro, è bastato qualche anno di bassi tassi per la finanza pubblica, per gonfiare fabbisogno strutturale e debito. «Poi, di colpo, austerità e tassi alti (spread), per creare l’emergenza, imporre il presidenzialismo de facto e la “sospensione della democrazia” a tempo indeterminato». Ma già con la riforma monetaria del 1981-83 poi col Trattato di Maastricht, era stata scardinata la Costituzione: sovranità nazionale e primato del lavoro. «Fatto questo, tutto il resto è stato in discesa»: svuotare il paese di industrie pregiate, capitali e cervelli, in favore della finanza apolide e del suo feudatario-kapò europeo, la Germania.
-
Al-Qaeda non serve più, e gli Usa “licenziano” i sauditi
Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.Secondo Meyssan, se Riyadh non si adegua alla nuova linea di Obama, è a rischio la stessa sopravvivenza dell’Arabia Saudita come Stato: l’emirato petrolifero potrebbe facilmente essere smembrato in cinque unità. «È improbabile che Washington si lasci dettare la propria condotta da alcuni facoltosi beduini, mentre è prevedibile che li rimetterà a posto. Nel 1975, non esitarono a far assassinare il re Faysal. Questa volta, dovrebbero essere ancora più radicali». Lo conferma la presenza alla guida della Cia di un uomo come Brennan, «strenuo oppositore del sistema messo in atto dai suoi predecessori assieme a Riyadh: lo jihadismo internazionale». Secondo Meyssan, Brennan ritiene che, «ancorché questi combattenti abbiano svolto bene il loro compito, un tempo in Afghanistan, Jugoslavia e in Cecenia, siano nondimeno diventati troppo numerosi e troppo ingestibili». Quella che all’inizio era costituita da alcuni estremisti arabi partiti per sparare all’Armata Rossa, è poi diventata una costellazione di gruppi, presenti dal Marocco alla Cina, che si battono per far trionfare il modello saudita di società, più che per sconfiggere gli avversari degli Stati Uniti.Già nel 2001, continua Meyssan, gli Usa avevano pensato di eliminare Al-Qaeda «attribuendole la responsabilità degli attentati dell’11 Settembre». Tuttavia, «con l’assassinio ufficiale di Osama Bin Laden nel maggio 2011, hanno deciso di riabilitare questo sistema per farne ampio uso in Libia e in Siria: senza Al-Qaeda non si sarebbe mai potuto rovesciare Muhammar Gheddafi, come dimostra oggi la presenza di Abdelkader Belhaj, ex numero due dell’organizzazione, come governatore militare di Tripoli». Licenziare i terroristi e i loro gestori mediorientali? “Gettare i Saud fuori dall’Arabia” era il titolo di un powerpoint del 2002 presentato dal Pentagono allora diretto da Donald Rumsfeld. Sono i sauditi, oggi, a mettersi nei guai. Il principe Bandar Bin Sultan, capo dei servizi segreti, in pochi mesi si è messo contro il resto del mondo: ha minacciato la Russia (terrorismo sulle Olimpiadi di Soči), bocciato la politica dell’Onu sulla Siria (promossa anche dalla Cina, super-cliente saudita), rifiutato di parlare al Palazzo di Vetro e annunciato che non userà mai il seggio offerto all’Arabia Saudita al Consiglio di Sicurezza. Quindi ha accusato Israele e l’Iran di accumulare “armi di distruzione di massa”, e ha addirittura annunciato il ritiro dagli Usa degli investimenti sauditi. Gioco pericoloso. Riyadh non ha ancora capito che è terminata la fiction della dittatura medievale travestita da “alleato arabo moderato”, perché – oltre al petrolio – è finita in soffitta la sua arma migliore: il terrorismo “islamico” pilotato dall’intelligence occidentale.Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte su “Megachip” il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.
-
Caro Letta, il dio della sinistra è lo stesso di Berlusconi
Si è chiuso un ventennio, come dice Enrico Letta? Il premier si sbaglia, replica Diego Fusaro, «perché lui stesso e il suo partito sono pienamente organici – in senso gramsciano – alla stessa visione del mondo di Berlusconi e del suo schieramento». Portatrici della stessa visione ultra-capitalistica del mondo, «destra e sinistra accettano oggi in maniera ugualmente remissiva la sovranità irresponsabile di organismi economici sistemici», dal Fmi alla Bce, «che svuotano interamente la decisione politica, costretta a una funzione meramente ancillare». Ridotte a pura gestione dell’esistente, politica e democrazia «non fanno altro che ratificare quanto viene autonomamente deciso dalla sapienza infallibile degli economisti, dalle multinazionali e dal mercato divinizzato». Quale ventennio, dunque, sarebbe finito? Forse quello del politico Berlusconi, ma «non certo lo spirito del tempo neoliberale, giacché di esso si sostanziano in egual misura Berlusconi e il partito di Letta».Fusaro lo chiama, «il tragicomico serpentone metamorfico Pci-Pds-Ds-Pd». Un ibrido politico che, «dalla lotta per l’emancipazione di tutti è oggi passato armi e bagagli a difendere le ragioni del capitale finanziario globalizzato». La cultura della sinistra? E’ da tempo «il luogo di riproduzione simbolica del capitale: nichilismo, relativismo, distruzione dei retaggi borghesi». Da Marx alla Dandini, da Gramsci a D’Alema: «La parabola sta tutta qui: farebbe ridere se non facesse piangere», scrive Fusaro su “Lo Spiffero” in un intervento ripreso da “Megachip”. L’eclissi della sinistra, quella vera? «Una tragedia politica e sociale di tipo epocale». Ridotta a «protesi di manipolazione simbolica del consenso e di addomesticamento organizzato del dissenso», la falsa dicotomia tra destra e sinistra – con buona pace di Letta – oggi «occulta il totalitarismo del mercato». La propaganda delle due fazioni non lo nomina neppure più, avendolo ormai metabolizzato «come dato naturale-eterno».Siamo in una gabbia di finzioni: «Si è liberi di scegliere tra gruppi, schieramenti, partiti e fazioni», sapendo però che hanno tutte aderito al dogma, alla «supina adesione all’integralismo economico presentato come destino», come futuro senza alternative al dominio del capitale. «Oggi il monoteismo del mercato risulta letteralmente invisibile nel proliferare ipertrofico delle dicotomie ingannatorie», e può persino spacciarsi come “male minore”, rispetto agli estremismi che hanno popolato il drammatico ‘900. Perversioni politiche: «Essere antifascisti in assenza completa del fascismo o anticomunisti a vent’anni dall’estinzione del comunismo storico novecentesco costituisce un alibi per non essere anticapitalisti, facendo slittare la passione della critica dalla contraddizione reale a quella irreale perché non più sussistente».Destra e sinistra? Sono entrambe colpevoli di una «adesione cadaverica al nomos dell’economia e all’ordine neoliberale». Letta e Berlusconi? Sono soltanto “maschere di carattere”, per dirla con Marx. «Può darsi che sia finito il ventennio di Berlusconi, ma il suo spirito continua a vivere negli “eroi” del centrosinistra, che di Berlusconi sono da anni i più preziosi alleati». L’unica differenza? Sta nel fatto che i “sinistri” «fanno finta di non essere berlusconiani, disapprovando sempre e solo gli aspetti folkloristici del Cavaliere (Arcore, Olgettina, Ruby)». Di fatto, però, condividono in toto «l’idea perversa della politica come continuazione dell’economia con altri mezzi», nonché «il disinteresse totale e conclamato per la questione sociale e per i diritti degli esclusi dal sistema». Se la sinistra smette di interessarsi a questi temi, conclude Fusaro, allora è meglio «smettere di interessarsi alla sinistra».Si è chiuso un ventennio, come dice Enrico Letta? Il premier si sbaglia, replica Diego Fusaro, «perché lui stesso e il suo partito sono pienamente organici – in senso gramsciano – alla stessa visione del mondo di Berlusconi e del suo schieramento». Portatrici della stessa visione ultra-capitalistica del mondo, «destra e sinistra accettano oggi in maniera ugualmente remissiva la sovranità irresponsabile di organismi economici sistemici», dal Fmi alla Bce, «che svuotano interamente la decisione politica, costretta a una funzione meramente ancillare». Ridotte a pura gestione dell’esistente, politica e democrazia «non fanno altro che ratificare quanto viene autonomamente deciso dalla sapienza infallibile degli economisti, dalle multinazionali e dal mercato divinizzato». Quale ventennio, dunque, sarebbe finito? Forse quello del politico Berlusconi, ma «non certo lo spirito del tempo neoliberale, giacché di esso si sostanziano in egual misura Berlusconi e il partito di Letta».