Archivio del Tag ‘distopia’
-
Giovani servi contro i senior, in ufficio: guerra alla memoria
Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…Così osserviamo la schizofrenia in base a cui da una parte si ritarda sempre più il pensionamento, dall’altra si tende a eliminare la persona “anziana” che non regge alla supposta produttività imposta. Quindi cosa facciamo di tutta questa massa di persone, “non più in grado” di reggere ai ritmi produttivi? La eliminiamo? E dopo, come già proposto da “eminenti soloni”, gli togliamo il diritto di voto? Nel più bel e illuminato esempio di uguaglianza, libertà, democrazia? Una società sana si avvale proprio di un equilibrato rapporto tra l’esperienza e la memoria storica di una parte anziana, e la freschezza e la capacità di portare nuove idee di una parte giovane. Ma è proprio la “memoria storica”, l’esperienza, a dare fastidio, perché questa tende a scoprire e sfatare abbastanza facilmente le cazzate fatte anche per inesperienza, pressapochismo e scarso buon senso, quindi l’inadeguatezza di chi dirige e non è facilmente manipolabile e indirizzabile come i giovani senza esperienza. Tra l’altro l’età anagrafica spesso abbaglia: ci sono anziani che sono più freschi, innovativi e “giovani mentalmente” di chi ha trent’anni meno di loro, e certi giovani che sono “vecchi” già a trent’anni.E non è vero che la persona più anziana pensa meno al futuro di una più giovane; forse invece di più, perché ha a cuore l’avvenire dei propri figli, dei propri nipoti, altrimenti non si sacrificherebbe per farli studiare, cosa che spesso non avviene in senso contrario. Il futuro per un giovane è cosa lontana nel tempo, con la prospettiva di una lunga vita da trascorrere; per un anziano il futuro è già domani, anche se non lo vedrà, ma sa che i suoi figli lo vedranno. Il modello più vicino che mi viene in mente è Pol Pot, (ma forse il giovane virgulto non l’ha mai sentito nominare), la Cambogia dove gli anziani, le persone con gli occhiali (intellettuali, quindi persone pensanti) venivano eliminate per selezionare una popolazione giovanissima, senza esperienza del passato per non far paragoni, e facilmente manipolabile e soggetta a lavaggio di cervello. Di contro mi viene in mente un bel film di fantascienza, “La fuga di Logan”, in cui in una società distopica venivano eliminati tutti i maggiori di trent’anni. Cosa si vuole quindi proporre? Quella società distopica? Certi film precorrono i tempi….Due esempi assolutamente reali: in una media azienda del Nord-Est il proprietario decide che l’Ebitda deve aumentare, così come la produttività. Cosa fa? Chiama un consulente della scuola bocconiana. Cosa fa il consulente? Quello che tutti noi sapremmo fare. Prende un foglio Excel con gli stipendi dei dipendenti e taglia il 20% delle persone con gli stipendi più alti – cioè, vista l’anzianità e l’abilità, quelle appunto più vecchie. Facile, no? Peccato che la produttività diminuisce con oggetti in cui sono sbagliati i progetti e macchinari che si fermano per non adeguata manutenzione, o per inadeguate tecniche di produzione magari di progetti sulla carta perfetti, senza contare il calo di motivazione e di senso di appartenenza all’azienda di tutto il personale rimanente. Secondo episodio, una grande azienda chiede a una piccola di produrre maniglie per mezzi di trasporto. La piccola azienda si accorge subito che i pezzi che le vengono commissionati potrebbero avere problemi di compatibilità con il progetto complessivo, e lo fa presente. Risposta: lasciate perdere, fate così; tutti gli ingegneri anziani e con esperienza sono stati prepensionati o mandati via, quelli rimasti non hanno esperienza e non sanno progettare bene nemmeno le cose più semplici. Quella azienda oramai non è più italiana, è stata venduta, appunto perché sempre meno produttiva.Nei tempi antichi erano gli anziani a governare (forse troppo, in effetti) perché erano dei “superstiti” che erano arrivati a quel punto perché avevano appreso dai propri errori, ne avevano fatto tesoro, avevano visto gli errori fatali altrui e insegnavano alle nuove generazioni a non ripeterli. Non è forse un caso che la Storia con la S maiuscola venga insegnata sempre meno (ed era stata tolta dagli esami di maturità). Una società senza storia è una società senza anima. Ma una cosa si può dire, a certi giovani virgulti: ricordatevi che voi siete gli anziani di domani, che è poco saggio avviare guerre generazionali al servizio di chi vi vuol blandire – meglio, inculcare – e asservirvi alla loro visione (che di solito sono a loro volta persone molto anziane ma anche molto potenti e facoltose). Non avete ancora la percezione che il tempo passa per tutti, avete dentro di voi un senso di immortalità (come l’avevo io) ma farete esattamente la stessa fine, espulsi dalle filiere produttive perché non riuscirete a sostenere ritmi ancor più forsennati. Negli occhi anziani che adesso accusate di essere la causa della scarsa produttività, potete scorgere i vostri futuri occhi e la vostra futura fine.(Roberto Hechich, “Giovani servi contro gli anziani, sul lavoro: guerra alla memoria”, dalla pagina Facebook del gruppo ufficiale del Movimento Roosevelt, 2 dicembre 2019).Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…
-
Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta, anzi, il sistema si è parato il culo e ha fatto credere si trattasse della solita mela marcia da dare in pasto ai media e agli indignati di ogni dove, affinché le persone ingenuamente pensassero che l’autorità, lo status quo, li difende come un buon padre di famiglia è solito fare, rimuovendo, come nella sindrome di Stoccolma, il vero padre padrone pedofilo.Cambiare tutto per non cambiare nulla: Trump prova a colpire il Deep State per proteggersi dagli attacchi dei nemici e dal “fuoco amico”, c’è una guerra in atto fatta a suon di scandali sessuali; ma lo stesso Stato Parallelo lo controlla, nel senso che si aspetta proprio questo dal suo operato, essendo in qualche modo un suo prodotto o sottoprodotto. Il presidente Usa, essendo da sempre uomo di quel sistema, conoscendolo ed avendolo frequentato assiduamente in passato, ha piazzato trappole e uomini chiave in molte stanze dei bottoni, per salvarsi e difendersi dalle minacce di morte che riguardano la sua persona e anche i suoi figli. A sua volta, però, Trump è stato costretto, “convinto”, a scendere in campo, come successe in piccolo in Italia per Berlusconi, proprio perché è un prodotto di questo sistema, restituendo in questo modo favori all’entità, che sono stati parte della sua fortuna imprenditoriale. Tutti gli attori sono coinvolti loro malgrado nella stessa sceneggiatura; anche se talvolta se lo scordano o fingono di non saperlo, sono manipolabili dallo stesso network di potere.Esiste una sovrastruttura che attende in silenzio si “faccia un po’ di apparente pulizia”, tramite araldi come Trump, tramite inchieste come quella contro Epstein e altri personaggi, per aggiornare il sistema. Un po’ come per Mani Pulite, lo schema è identico; i giudici furono occultamente protetti e spinti nella loro opera di destrutturazione della 1° Repubblica dai servizi Usa, utilizzati come cavalli di Troia, strumentalmente per poter aggiornare il nostro sistema in termini più liberisti, creando i presupposti di una nuova Italia che rispondesse maggiormente ai bisogni della globalizzazione in atto. Una sovragestione “permette” si colpiscano alcuni attori, alcune comparse, alcuni più noti (per rendere credibile l’operazione), altri meno, 4 mosche in croce in una palude immensa di insetti, per cambiare alcuni vertici nelle posizioni chiave dello Stato Parallelo, per spostare in termini reazionari e sempre più antidemocratici il sistema e magari giustificare nuovi Patriot Act, leggi liberticide, implementare lo stato marziale, ove questo ancora non ci fosse.Tre sono i livelli di potere in campo. 1- Il primo livello è quello del backstage di certi poteri massonici che hanno favorito strumentalmente l’ascesa di Trump, proprio per cercare di produrre discontinuità positiva e costruttiva nel sistema, in modo da poter impostare in futuro nuove politiche keynesiane che ribaltino l’attuale paradigma neocon, ma che rischiano di aver creato un mostro che si ribella al proprio creatore e che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, la fazione dei poteri forti avversari. Una trappola rischiosa che, a mio avviso, si sta rivelando una fregatura. 2- Il secondo livello è quello che riguarda il Deep State, quello che controlla il traffico di bambini, la vendita illegale di organi, si occupa della gestione e delle controversie riguardo la guerra per il controllo del narcotraffico, produce conflitti e colpi di Stato, invisibili e meno invisibili, nel terzo mondo, e di cui spesso ignoriamo l’esistenza, con i relativi indotti bellici, ma anche come agenzia criminale di omicidi mediatici, politici, rituali; una sovragestione assolutamente apolitica, anche se, nel metodo, conservatrice e reazionaria.3- Infine, esiste un terzo livello che riguarda la sovragestione complessiva che “contiene” tutte le fazioni in campo e le guerre fratricide interne in atto, che permette possa accadere qualcosa, per poi raccoglierne i frutti. Questo processo occulto e magico servirà a favorire una trasformazione più dispotica e distopica dell’intera globalizzazione, colpendo il cuore delle democrazie mondiali, facendola accettare alla popolazione, attraverso i vari capri espiatori o pesci piccoli sbattuti in prima pagina, veicolandosi sistema buono e saggio dalla parte della gente. I social giocano un ruolo importante, ovvero: far credere ci sia un vero cambiamento, per far accettare nuove visioni totalitarie e incanalare il pensiero e la psicologia di massa verso altri lidi. L’avallo politico, energetico e religioso dei sudditi è fondamentale per la riuscita del progetto. L’accettazione dal basso di certe dinamiche è di primaria importanza. Ogni attore in campo lavora per il suo livello di appartenenza, spesso non conosce e non ha interesse a comprendere il progetto e la sua visione complessiva.Il 3° livello, che oltre ad essere incarnato da uomini, è anche un modello astratto e concettuale, potrebbe coincidere con tutto ciò che incarna lo schema del potere attuale e che, a mio modesto avviso, sta ben sopra le massonerie, le Ur-logge, le Corporation, l’apparato militare, i servizi segreti e ovviamente la politica, che conta poco più di zero. Vive come “idea del potere”, questa è la sua linfa vitale. Anche all’interno di questo livello di potere “arcontico” esistono scissioni dell’atomo infinite e contrapposizioni fratricide, perché esse fanno parte della natura di tutti gli esseri viventi. Questo permettere di scorgere gli scheletri nei vari armadi, di capire le contraddizioni e le dinamiche del potere al suo interno, e ci consente di sopravvivere in questo inferno. Quando non sarà più così, se un giorno mai ci sarà solo un grande vecchio al timone dell’arca – e la visione generale del progetto tende proprio a questo modello unico – saremo in pieno transumanesimo realizzato e potremo candidamente implodere. “Snowpiercer”, capolavoro del sud-coreano Bong Joon-ho, è un film che parla in termini metaforici di come la testa del serpente caldeggi e prepari il terreno per colui che lo sostituirà; con la sua morte favorirà una rinascita, nuova vita e nuova linfa allo schema del potere: quello che, in altri termini, chiamo “aggiornamento di sistema”.(“Epstein sacrificato in nome della Rosa”, post pubblicato il 29 agosto 2019 dal blog “Maestro di Dietrologia”, curato da Simone Galgano).La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.
-
Crypto-Libra, allarme: deleghiamo il futuro a Zuckerberg?
La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.Nel 1933, dichiarando che «l’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa» e sfidando il mondo della finanza americano, Roosevelt lancia un grande piano di investimenti pubblici (quindi generando “debito pubblico”) volto a creare occupazione: il New Deal. Il piano funziona e l’economia americana riparte grazie ad un modello di sviluppo che verrà anche ripreso e migliorato, con il Piano Marshall, per il rilancio delle economie europee alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie a questo intervento economico di tipo espansivo, l’economia americana si riprese, tanto da riuscire a sanare il debito iniziale. Nell 1944 ha luogo Bretton Woods. Viene negoziato un nuovo sistema monetario internazionale: 44 nazioni decidono di legare (“pegging”) il valore delle loro valute a quello del dollaro, il quale a sua volta viene legato al prezzo dell’oro. Nel 1971, il presidente americano Nixon, preoccupato dell’ammontare dei dollari in circolazione, slega il dollaro dal valore dell’oro (fine del “gold standard”). Le nazioni diventano così libere di lasciare che i mercati (e non le riserve d’oro nazionali) determinino il valore delle loro valute, e la quantità di moneta erogabile diventa virtualmente illimitata.Dopo il boom economico dei ’50 e dei ’60, negli anni ‘70 in Italia, ad un’alta spinta inflattiva si accompagnano anche un significativo aumento della qualità della vita e una crescente domanda di diritti sociali, civili ed economici. Tra gli anni ’80 e i ’90 inizia la globalizzazione: viene presentata come una grande opportunità per diffondere su scala globale benessere e democrazia, Stato sociale e Stato di diritto. Di fatto, la globalizzazione diviene un processo nel quale vengono deregolamentati i mercati, i flussi di capitali e il mondo della finanza, senza accompagnare alla globalizzazione economico-finanziaria istituzioni giuridiche capaci di regolamentarne le attività, nell’interesse della collettività. In questi anni comincia anche a realizzarsi il cosiddetto modello economico neoliberista. Questo modello diffonde una serie di dogmi, utili a tutelare gli interessi del mondo della finanza. Per evitare la svalutazione dei capitali accumulati, il neoliberismo considera l’inflazione come una cosa negativa; tratta la moneta come risorsa scarsa (se non limitata); ritiene che le banche centrali non debbano essere controllate da poteri politici in quanto questi potrebbero eccedere nell’erogazione della moneta, minandone il valore; ritiene che gli Stati debbano finanziarsi sui mercati, con tassi d’interesse determinati dai mercati stessi; che la moneta debba essere erogata dalla banche centrali con un tasso d’interesse; e relega la politica ad un ruolo subordinato rispetto alla finanza ed all’economia, le quali determinano cosa sia possibile o impossibile fare in base ai capitali disponibili ai governi (capitali finanziati dai mercati).In questo contesto arrivano le criptovalute. Monete private, la cui erogazione viene gestita autonomamente e non certo nell’interesse degli Stati e dei popoli. Finora, queste valute non hanno comportato un grande rischio: piuttosto una opportunità di investimento. La Libra è un’altra cosa. La Libra di Facebook nasce con la forza di una rete che conta 2.4 miliardi di persone in tutto il mondo e l’appoggio di colossi finanziari ed economici privati come Visa, Mastercard, Paypal, Coinbase, Spotify, eBay, Vodafone, Farfetch, Uber, Lyft e molti altri. La Libra ha la forza di cambiare la faccia sia del commercio che della finanza, diventando la vera valuta globale. Che problema c’è? Facebook ha prodotto un bel video che dimostra come questa valuta renderà le transazioni facili e sicure in tutto il mondo. Ma che vuol dire sicure? Sicure per chi? Al momento, Facebook ci tiene a rassicurare mercati, governi e persone, dicendo che il valore della monetà sarà “pegged” (legato) ad un paniere di valute nazionali. Ma cosa succederà se la Libra dovesse diventare, magari proprio grazie alla sua scarsità e globalità, una risorsa più appetibile delle valute legate alle banche centrali?La Libra sembra avere nella sua ‘raison d’etre’la lotta alla volatilità. Vuol dire forse che, in caso di contraccolpi o debolezza delle valute del paniere di riferimento, la Libra potrebbe staccarsi da queste? E nello scenario non troppo distopico in cui la Libra, nel tempo, diventasse una valuta più voluta e accettata delle valute legate alle banche centrali, potrebbe diventare persino una riserva internazionale, nelle mani di un privato? Stiamo per delegare l’economia dei governi, il finanziamento degli Stati e il Welfare State mondiale (lo Stato sociale mondiale) al buon cuore di Zuckerberg? Sono molte le domande e le preoccupazioni che sorgono di fronte alla nascita della Libra. Infatti, se è vero che negli ultimi anni la Dis-Unione Europea ha mostrato di favorire gli interessi di poteri economico-finanziari, rispetto a quelli della collettività, la Libra potrebbe portare il livello di conflitto economico ad un nuovo, imprevedibile livello. Noi del Movimento Roosevelt staremo bene attenti allo sviluppo di questo progetto. Certo, fa ridere come lo Stato italiano non possa fare i minibot, ma un ragazzo di New York di 35 anni abbia la fiducia per lanciare una nuova moneta, privata e globale. C’è molto da fare.(Marco Moiso, “Libra, attacco alla democrazia”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 giugno 2019).La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.
-
Stiamo diventando sempre più stupidi: crolla il Qi in Europa
Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Secondo gli studiosi norvegesi, le ragioni dell’incremento nell’intelligenza fino agli anni ‘70 sarebbero legate a un miglioramento di diversi fattori e condizioni di vita, dall’istruzione alla sanità, passando per l’alimentazione e il benessere generale. Ma a cosa è dovuto il preoccupante crollo del Qi avviatosi negli anni ‘70? Secondo gli scienziati di Oslo, la colpa sarebbe principalmente dei media, che avrebbero allontanato i giovani dalla lettura “intrappolandoli” davanti alla televisione e ai videogiochi, fino a indurli – negli ultimi anni – a trascorrere moltissime ore sui social network. I risultati dello studio, pubblicati sull’autorevole rivista scientifica “Pnas”, seguono quelli di un’altra ricerca condotta dallo stesso Flynn, nella quale emerse che il Qi medio degli adolescenti britannici era sceso di 2 punti in 28 anni. Poi, la caduta è diventata ancora più vistosa: in soli dieci anni, fra il 1999 e il 2009, gli inglesi avrebbero perso 14 punti di quoziente intellettivo, mentre i francesi 4 punti. In base a uno studio della rivista “Intelligence”, i britannici avevano un Qi medio di 114 punti nel 1999, e oggi invece sono appena 100 (dal canto loro, i francesi sarebbero ancora più in basso: appena 98 punti).“Vox News” cita una recente segnalazione di Maurizio Blondet: tutti gli studi ormai confermano che il Qi medio delle popolazioni occidentali sta scemando vistosamente da una quindicina d’anni. «Il calo è tanto più allarmante – sottolinea lo stesso Blondet – perché tutto il ventesimo secolo, al contrario, ha visto un aumento del Qi in Occidente, forse a causa del miglioramento generale della salute e dell’accesso all’educazione». Sulle cause del fenomeno, però, non c’è ancora nessuna certezza scientifica. «C’è chi chiama in causa i perturbatori endocrini, molecole contenute nella plastica che hanno l’effetto (fra gli altri) di ostacolare l’azione dello iodio, così importante nello sviluppo cerebrale: ricordiamo il “cretinismo alpino” di un tempo, che colpiva popolazioni carenti di sale iodato». “Vox News” punta il dito contro l’immigrazione, sostenendo che staremmo “importando” individui dall’intelligenza meno pronta: «Il mulatto è mediamente più intelligente del subsahariano ma meno dell’europeo. Mischiate Europa e Africa e avrete le favelas brasiliane». Proprio sicuri, che la spiegazione possa essere etno-lombrosiana? «Quando ti stai instupidendo – scrive “Vox” – figurati se ti accorgi del tuo instupidimento».Paolo Barnard, impietoso analista della contemporaneità, nel saggio “Il più grande crimine” punta il dito contro quella che chiama “esistenza commerciale”, l’avvento della mercificazione universale che ha spazzato via di colpo molti valori fondanti del vivere civile. Risultato: il mondo distopico di oggi, fatto di mera apparenza e popolato di individui resi apatici, indifferenti a tutto e ormai incapaci di lottare, sul piano sociale e politico. La generazione ruggente della rivolta studentesca del Sessantotto? Liquidata con un sapiente dosaggio di droghe immesse sul mercato. Poi il resto l’hanno fatto la globalizzazione e i signori del Wto, ma anche il web di massa, lo smartphone, lo stupidario di Facebook. Si legge meno: per questo si diventa stupidi? «Ha vinto Walt Disney, quindi abbiamo perso tutti», ebbe a sentenziare il sempre laconico Bob Dylan. Come dire: il dominio dell’apparenza è ormai planetario, non abbiamo scampo. Davvero? Punti di vista, sostiene a “Border Nights” l’eccentrico Fausto Carotenuto, approdato allo spiritualismo dopo anni di ruvido lavoro nell’intelligence Nato. La sua tesi: se inorridiamo di fronte alle tante aberrazioni cui ci tocca assistere, è perché i grandi poteri ricorrono sempre più spesso ai colpi bassi, puntando alla manipolazione di massa. Ma la buona notizia è che lo farebbero perché preoccupati dal nostro “risveglio” collettivo.Da qualche anno, Carotenuto ripete – in solitaria – la medesima diagnosi: i padroni della Terra scatenano guerre anche per abbassare il tono vitale delle moltitudini che si starebbero letteralmente ribellando al mainstream. La riprova? Almeno un cittadino su tre non crede più a quello che gli viene raccontato, da chi comanda. Per questo, aggiuge Carotenuto, sta salendo l’intensità del “bombardamento” cui siamo sottoposti: terrorismo, stragi, cibo inquinato, vaccini imposti a tappeto, scie chimiche. Tutto fa brodo, per spegnere l’energia dei singoli (e magari abbassare anche la loro intelligenza, il famoso quoziente intellettivo). Una tesi originale ma mai convalidata, ad esempio, dal saggista Gianfranco Carpeoro, che si domanda: dove mai sarebbero tutti questi indizi di risveglio coscienziale? Prendiamo le elezioni: votiamo sempre con odio, contro qualcuno – mai per qualcosa. Dove pensiamo di andare, per questa strada? La caccia alle streghe è sempre in voga: il nemico è l’Uomo Nero, non il sistema che lo produce. Morto un mostro, se ne fa un altro. Ma difficilmente ci accorgiamo del trucco: ci basta poter sparare contro il cattivone del momento. E’ così che il sistema, la fabbrica dei mostri, finisce sempre per farla franca.Se Carotenuto evoca il ruolo di un antagonista esterno, annidato in quelli che chiama “mondi spirituali”, Carpeoro resta sul terreno del visibile: possibile, dice, che non ci rendiamo conto che facciamo tutto da soli? E dire che non ci mancherebbe niente. Le doti fondamentali sono già in noi: e si chiamano conoscenza, fiducia e coraggio. Siamo capaci di imparare e di amare. Il problema? Costa fatica. Bisogna impegnarsi, studiare, crescere. E per farlo ci serve la risorsa più preziosa: il tempo. Se corri dal mattino alla sera, non ti resta il tempo per niente. Hai bisogno di informazioni? C’è Google, sullo smartphone: tutto e subito, senza sforzo. Risulato immediato: la memoria si addormenta, e alla lunga si atrofizza. Un guaio: senza memoria non c’è conoscenza. Non puoi fare confronti tra ieri e oggi, finisci per ripetere gli stessi errori, non riesci a collegare fatti lontani nel tempo. Come uscirne? Lottando, per riconquistare il tempo. E’ l’unica chance, per diventare più consapevoli, quindi più liberi. E inevitabilmente, alla fine, anche più intelligenti.Gli esseri umani starebbero diventando sempre più stupidi. Il nostro quoziente intellettivo (Qi), infatti, risulta letteralmente in caduta libera rispetto a quello misurato nei giovani degli anni ‘70. Basti pensare che dal 1975 ad oggi, in media, sono andati perduti 7 punti per ogni generazione. Una vera e propria ecatombe di materia grigia, scrive “Fanpage”: a portarla alla luce sono due ricercatori norvegesi del Centro Ragnar Frisch per la Ricerca Economica di Oslo, Bernt Bratsberg e Ole Rogeberg. I due hanno condotto un approfondito studio statistico sui dati di 730.000 giovani uomini, raccolti tra il 1970 e il 2009. «Tutti i partecipanti si preparavano a iniziare il servizio militare per il paese nordico, e sono stati così sottoposti ai test standard per valutare il loro quoziente intellettivo», spiega “Fanpage”. «Mettendo a confronto i risultati dei test, è emerso che i ragazzi di oggi sono sensibilmente più “stupidi” di quelli di 40-50 anni fa». In pratica, gli scienziati hanno dimostrato una inversione a U del cosiddetto “effetto Flynn”, dal nome del professor James Flynn: è lo scienziato (statunitense, emigrato in Nuova Zelanda) che per primo osservò l’aumento nel valore medio del quoziente intellettivo nella popolazione di alcuni paesi, che era salito di circa tre punti ogni decennio a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
-
Vietato fumare in auto, il M5S dichiara guerra agli italiani?
Vietato fumare, se sei alla guida dell’auto. Motivo: potresti distrarti, dovendo staccare una mano dal volante. A premere per la crociata destinata a colpire gli automobilisti fumatori è il Movimento 5 Stelle, lo stesso che – attraverso Giulia Grillo, ministro della sanità – ha di fatto confermato l’obbligo vaccinale introdotto da Beatrice Lorenzin in assenza di emergenze sanitarie e senza alcuna disposizione precauzionale per i neonati. Secondo il saggista e filologo Igor Sibaldi, già il primo storico divieto – l’interdizione al fumo nei locali pubblici – servì anche e soprattutto a testare la reattività politica della popolazione, di fronte a una ingiunzione così perentoria. Nel 2003, si temette che potesse drammaticamente crollare il giro d’affari di bar e ristoranti, divenuti improvvisamente “off limits” per i fumatori più accaniti. Annullare il disagio per i non-fumatori, facendo installare opportuni aspiratori per ripulire l’aria? Alternativa saggia, ma neppure presa in considerazione: si preferì colpire i fumatori in modo indiscriminato, generando negli amanti della sigaretta lo stesso senso di colpa che affligge i bevitori, criminalizzati dalle recenti normative che limitano in modo drastico il consumo di alcolici per chi poi si mette al volante. Vaccini, fumo, alcol: oltre all’aspetto della salute e della sicurezza, salta agli occhi l’evidente volontà di mettere in crisi moltissimi cittadini, rendendoli insicuri e intimoriti di fronte all’autorità.Nessun governo, oggi, riesce a incidere se non in minima parte sulle scelte di fondo, da cui dipende il benessere o il malessere della società nel suo complesso. I paesi dell’Unione Europa sono costretti a rinunciare allo strumento strategico del deficit e quindi a esercitare un’anomala pressione fisciale, che accorcia il respiro dell’economia. Clamoroso il caso italiano: i Comuni non hanno più neppure i soldi per riparare le buche nelle strade. Ma, anziché dar voce a una protesta politica, si rassegnano a munirsi di autovelox per fare disperatamente cassa. Risultato: multe esorbitanti, a carico di automobilisti costretti a viaggiare su strade-colaborodo. Rispetto agli anni Novanta, per chi guida, l’Italia è diventata un paese irriconoscibile: si viaggia dribblando le buche per non scassare l’auto e si rischiano sanzioni salatissime se si “corre” ai 70 all’allora. C’è il ritiro della patente assicurato se a pranzo s’è bevuto qualche bicchiere di vino. E ora – ulteriore accanimento – chi ha sempre fumato guidando dovrà semplicemente smettere di farlo, o sarà punito esattamente come i pirati della strada, quelli che si distraggono davvero (loro sì) con l’orecchio incollato allo smartphone e magari le dita impegnate a inviare messaggi.Si dirà che il fumo fa male, così come l’abuso di alcol. Ma punire con lo stesso provvedimento una pratica criminale (l’uso del telefono mentre si guida) e un’abitudine che non ha mai compromesso la sicurezza stradale (il fumo) autorizza più di un sospetto. In Europa, la crociata contro il tabacco sta spingendo un paese-pilota come la Svezia a proibire il fumo anche negli spazi pubblici all’aperto, equiparando il fumatore a un pericoloso drogato. Non a caso, la Svezia – un tempo all’avanguardia nella tutela dei diritti – è lo Stato che oggi incentiva la sconcertante pratica dell’introduzione del microchip sottopelle. L’Europa è in pezzi, l’ordoliberismo finanziario ha gambizzato un potenziale gigante economico, ma la “colpa” sembra sia dei cattivi cittadini: fumatori, bevitori, automobilisti, mamme che pretendono chiarimenti sull’improvviso obbligo vaccinale, non motivato da reali implicazioni sanitarie. Distopia orwelliana? Post-democrazia ipocrita e grottesca? L’economia soffre e il futuro svanisce – ma la “colpa” è nostra, si vorrebbe far credere, se nel vuoto cosmico della politica si colpisce chi ha bevuto una birra o fumato una sigaretta. E chi preme più di ogni altro, in Italia, per limitare la libertà dei cittadini? Indovinato: il Movimento 5 Stelle.Vietato fumare, se sei alla guida dell’auto. Motivo: potresti distrarti, dovendo staccare una mano dal volante. A premere per la crociata destinata a colpire gli automobilisti fumatori è il Movimento 5 Stelle, lo stesso che – attraverso Giulia Grillo, ministro della sanità – ha di fatto confermato l’obbligo vaccinale introdotto da Beatrice Lorenzin in assenza di emergenze sanitarie e senza alcuna disposizione precauzionale per i neonati. Secondo il saggista e filologo Igor Sibaldi, già il primo storico divieto – l’interdizione al fumo nei locali pubblici – servì anche e soprattutto a testare la reattività politica della popolazione, di fronte a una ingiunzione così perentoria. Nel 2003, si temette che potesse drammaticamente crollare il giro d’affari di bar e ristoranti, divenuti improvvisamente “off limits” per i fumatori più accaniti. Annullare il disagio per i non-fumatori, facendo installare opportuni aspiratori per ripulire l’aria? Alternativa saggia, ma neppure presa in considerazione: si preferì colpire i fumatori in modo indiscriminato, generando negli amanti della sigaretta lo stesso senso di colpa che affligge i bevitori, criminalizzati dalle recenti normative che limitano in modo drastico il consumo di alcolici per chi poi si mette al volante. Vaccini, fumo, alcol: oltre all’aspetto della salute e della sicurezza, salta agli occhi l’evidente volontà di mettere in crisi moltissimi cittadini, rendendoli insicuri e intimoriti di fronte all’autorità.
-
Boccia contro il governo, ma tutela solo il 5% delle imprese
Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.Dalle dichiarazioni di Boccia assolutamente non si capisce dove voglia andare la classe imprenditoriale italiana, ma forse si capisce fin troppo bene. Valerio Malvezzi ci fornisce una prima chiave di lettura. Infatti nell’industria e nei servizi le imprese italiane sono poco più di quattro milioni. Orbene, su quattro milioni di imprese, le grandi imprese, quelle con oltre duecentocinquanta addetti, sono 3.140 e assorbono il 18% dei lavoratori. Le restanti aziende, pari al 94,9% del totale, hanno una media di 3,8 lavoratori ed impiegano il 48% di tutti gli addetti, praticamente assorbono la metà dell’occupazione italiana. Dette imprese, con meno di 10 operai, giuridicamente sono denominate micro-imprese. In definitiva, il sistema Italia si regge sugli artigiani, sui commercianti, sui piccoli agricoltori, sui piccoli imprenditori. Boccia parla nell’interesse di queste micro-imprese o delle poche aziende che hanno dimensioni tali per potere esportare? La risposta è univoca. La Confindustria è strettamente legata al progetto globalista degli anni ‘90, che assume la forma più compiuta con la creazione dell’Unione Europea, e che può essere così riassunto: stabilità dei prezzi, indipendenza della banca centrale, basso costo del denaro, delocalizzazioni, grande attenzione all’export.Sappiamo anche, però, che questo nel medio-lungo periodo ha comportato la ristrutturazione del sistema-paese, da grande potenza industriale a mera piattaforma logistica di trasformazione e consumo di prodotti non nazionali. Ma perché portare avanti questa visione ottusa, che ormai da anni caratterizza tutto l’ambiente confindustriale, priva di impegno per la stragrande maggioranza degli imprenditori? Per il potere. I vincoli esterni, il giudizio dei mercati, l’arbitraggio fiscale, le strutture sovranazionali non elette hanno marginalizzato il ruolo della politica, ridotto il Parlamento o mero gabelliere di Bruxelles, hanno evirato le organizzazioni sindacali e impedito qualsiasi lotta di classe degna di questo nome conferendo così un grande potere politico e decisionale alle imprese multinazionali. In definitiva, che la politica economica del governo 5 Stelle-Lega possa avere successo e alleviare i problemi del 95% degli imprenditori italiani alla Confindustria interessa poco. In fondo essa rappresenta solamente ed esclusivamente gli interessi delle lobby nostrane, che sono pronte ad immolare l’Italia nel perseguimento del progetto distopico globalista secondo i dettami dei suoi cattivi maestri. Ça va sans dire: cummannari è megghiu ca futtiri.(Raffaele Salomone-Megna, “Cummannari è megghiu ca futtiri”, da “Scenari Economici” del 10 dicembre 2018).Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.
-
Sdoganare la pedofilia: vogliono far cadere l’ultimo tabù
La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.I più grandi ideologi e pensatori della rivoluzione sessuale scoppiata nell’epoca della grande contestazione sono stati anche degli strenui sostenitori della caduta degli ultimi tabù sessuali, come incesto e pedofilia, ritenuti dei lasciti dell’eteronormatività fallocentrica e patriarcale: Jacques Derrida, il coniatore del termine fallocentrismo, Michael Warner, colui che ha popolarizzato il concetto di eteronormatività, Jack Halberstam, autore prolifico sulle identità di genere e sulla mascolinità tossica, e in generale i maggiori esponenti del postmodernismo francese come Michel Foucault, Guy Hocquenghem, Jean Danet, Françoise Dolto, e la controversa coppia Simone de Beauvior-Jean Paul Sartre. Nel 1977 i capofila della critica esistenzialista e del postmodernismo francesi, tra i quali Foucault, Derrida, de Beauvior, Sartre, Gilles Deleuze e Louis Althusser, inviarono una petizione al Parlamento per chiedere l’abolizione dell’età del consenso e la depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di 15 anni. Foucault, inoltre, infervorò il dibattito pubblico intervenendo insieme a Hocquenghem nel programma “Dialogue” dell’emittente radiofonica “France Culture”, spiegando le ragioni del suo sostegno alla causa pedofila.Contemporaneamente a Londra fu fondato il Paedophile Information Exchange da Michael Manson, un piccolo gruppo pro-pedofilia dipendente dall’Outright Scotland, una delle più grandi e longeve sigle presenti nella galassia lgbt britannica. Sebbene numericamente esiguo e ufficialmente isolato dalle maggiori organizzazioni omosessuali, il Pie riuscì a trasformare in un dibattito nazionale l’abolizione dell’età del consenso e curò la pubblicazione di un proprio periodico, “Understanding Paedophilia”, riuscendo ad ottenere finanziamenti pubblici per circa 70 mila sterline dall’Home Office (secondo una recente inchiesta del “Daily Mirror”) e ad ottenere l’affiliazione al National Council for Civil Liberties, oggi noto semplicemente come Liberty, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili e umani presenti in Inghilterra. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, David Thorstad, ex troskista poi divenuto il più importante attivista pro-pedofilia della storia occidentale recente, fonda la North American Man/Boy Love Association (Nambla), il più grande ed influente gruppo di pressione attivo nell’abolizione dell’età del consenso e nella promozione delle relazioni sessuali tra adulti e minori.Le posizioni estremiste della Nambla hanno causato la sua scomunica dall’International Lesbian and Gay Association nel 1994, a seguito di una controversia giunta in sede di Nazioni Unite, e nonostante le numerose inchieste federali e gli scandali sessuali che hanno coinvolto diversi membri, non è mai stata sciolta dalla giustizia statunitense. La Nambla ha avuto il merito di realizzare contatti con le principali sigle della galassia pro-pedofilia, riuscendo nell’obiettivo di trasformare l’International Pedophile and Child Emancipation in una vera e propria internazionale della pedofilia, composta da più di 80 fra organizzazioni e partiti politici di Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale. La situazione organizzativa e associativa dei movimenti pro-pedofilia in Europa occidentale è comparabile a quella statunitense, sebbene il dibattito sia meno acceso per via del minore spazio garantito dai grandi media a questa ala estrema della più vasta galassia Lgbt. La Germania è il paese europeo con più organizzazioni pro-pedofilia del Vecchio Continente, oltre 15, e ha ospitato fra gli anni ’70 e ’90 un dibattito politico molto serio inerente l’abolizione dell’età del consenso, la depenalizzazione dei rapporti tra adulti e minori e la decriminalizzazione sociale della pedofilia, che ha coinvolto anche attori politici di spessore come il partito dei Verdi, e vanta una triste, quanto sconosciuta, storia di esperimenti sociali miranti a capire gli effetti dei rapporti pedofili sulla psiche degli adolescenti.Negli anni ’70 il dipartimento di sociologia dell’università di Hannover guidò una serie di ricerche sotto l’egida del professore Helmut Kentler, luminare noto nell’ambiente accademico nazionale per le sue innovative idee di ingegneria sociale. Il programma di Kentler prevedeva l’affidamento di adolescenti senzatetto o senza famiglia con problemi comportamentali, di tossicodipendenza o di alcolismo, presso pedofili noti, ossia con precedenti penali per abusi su minori o segnalati alle autorità, con il duplice obiettivo di fornire alle cavie una figura genitoriale e ai pedofili una possibilità di trasformarsi in modelli comportamentali positivi. Il programma fu finanziato con fondi pubblici e fu scoperto soltanto alla morte di Kentler avvenuta nel 2008. La giustizia tedesca non è stata capace di appurare il numero di giovani tedeschi, soprattutto berlinesi, affidati a pedofili come parte del cosiddetto esperimento Kentler, sebbene le indagini abbiano concluso possano essere stati più di mille.I Paesi Bassi hanno ospitato le attività dell’organizzazione Vereniging Martijn e del partito politico Carità, Libertà e Diversità, impegnati nella revisione dell’età del consenso, nell’inserimento della pedofilia tra i temi affrontati dall’educazione sessuale nelle scuole, e nella depenalizzazione della pedopornografia. Sebbene questi due movimenti siano stati dissolti dalla giustizia olandese, anche per via dei crimini sessuali che hanno visti coinvolti i loro membri, il contesto intellettuale nel quale sono sorti, ossia la Società Olandese per la Riforma Sessuale, è ancora in fermento e continua a propagandare la normalizzazione di ogni perversione sessuale, dalla pedofilia alla zoofilia. Il dibattito pubblico e accademico sulla pedofilia nei Paesi Bassi inizia nell’immediato secondo dopoguerra con la fondazione dell’Enclave Kring, il primo movimento pro-pedofilia del mondo, da parte dell’eminente psicologo e attivista omosessuale Frits Bernard.Bernard sfruttò la sua notorietà per tentare di sdoganare questo tabù, portando la sua battaglia anche nel vicino mondo omosessuale, in quanto collaboratore del Coc, la più longeva organizzazione per i diritti omosessuali del mondo. Il movimento pro-pedofilia nazionale riuscì a riscuotere ulteriore visibilità tra gli anni ’50 e ’80 per via dell’intenso attivismo di Edward Brongersma, senatore appartenente al Partito del Lavoro poi convertitosi in un prolifico autore di opere sulla sessualità infantile e sui rapporti adulto-bambino. Brongersma lottò durante la sua intera carriera politica per revisionare l’età del consenso e sdoganare la pedofilia, dando vita ad una fondazione avente il suo nome con l’obiettivo di realizzare i suoi progetti politici in tema di sessualità. Coerentemente con il suo credo anticattolico e progressista, nel 1998 decise di porre fine alla sua esistenza tramite eutanasia volontaria.La pedofilia, intesa come rapporto sessuale consenziente tra adulti e bambini, gode quindi di un supporto ideologico e di una rete organizzativa molto più vaste di quanto si creda comunamente e la lotta per il suo sdoganamento sarà un importantissimo terreno di scontro della guerra culturale tra le forze tradizionaliste-conservatrici e progressiste-liberali d’Occidente. Attingendo dalle principali teorie sulla costruzione del consenso e sul condizionamento delle opinioni e del comportamento è facile capire in che modo i tabù vengono normalizzati e i loro detrattori accusati di oscurantismo e retrogradezza: il sociologo Joseph Overton, il teorico della Finestra di Overton, ha illustrato quanto sia semplice trasformare un’idea impensabile o radicale in una diffusa e legalizzata attraverso un processo di accettazione e razionalizzazione, la Scuola di Francoforte ha illustrato il potere persuasivo dei grandi media sugli spettatori attraverso le teorie della spirale del silenzio, dell’agenda setting o del falso consenso.I grandi media anglofoni, come il “The Telegraph”, il “The Independent”, la “Bbc”, la “Cnn” o il “New York Times”, producono periodicamente degli approfondimenti pro-pedofilia, da titoli accattivanti come “We Have Met the Pedophiles and They Are Us”, “Pedophilia: A Disorder, Not a Crime”, “Paedophilia is natural and normal”, “Paedophilia a sexual orientation – like being straight or gay”, dando voce ad accademici, politici, opinionisti ed intellettuali che attraverso discutibili presentazioni basate sul disconoscimento delle conseguenze, sul ridimensionamento, sul giustificazionismo morale, o sull’idea del progresso, tentano di aprire un dibattito pubblico su questo tabù. Negli ultimi anni Ted, l’internazionale delle conferenze sulle società del futuro, finanziata tra gli altri dalla famiglia Clinton, da Bill Gates, da Jimmy Wales e da Google, ha organizzato diversi eventi sul tema della pedofilia, della sessualità contemporanea e delle questioni di genere. Il 5 maggio 2018 nell’ambito di un convegno all’università di Würzburg, l’intervento di Mirjam Heine intitolato “Why our perception on pedophilia must change: pedophilia is a natural sexual orientation”, registrato e pubblicato su YouTube, ha avuto una eco mediatica globale e attirato forti critiche verso gli organizzatori.Negli Stati Uniti il dibattito sulla pedofilia è tornato in auge con l’affermazione della cosiddetta “alt-right”, alimentato da personaggi pubblici come Milo Yiannopoulos e Nathan Larson, mentre nel resto del mondo occidentale proliferano le partecipazioni delle sigle pro-pedofilia ai gay pride, dopo un ventennio di damnatio memoriae, assume sempre più importanza il 25 aprile, la data scelta annualmente per celebrare l’Alice Day, ossia la giornata dell’orgoglio pedofilo, e dei bambini come Desmond Napoles o Nemis Quinn, sono diventati dei giovanissimi drag queen ed icone culturali idolatrate dalla comunità gay occidentale, dai media e dall’establishment dello spettacolo. L’insieme di questi accadimenti lascia supporre che la guerra culturale per l’accettazione della pedofilia sia molto viva ed intensa e ben lontana dal finire. La costruzione dell’Occidente del futuro passerà anche da questo: dal rendere socialmente accettabile la perversa convinzione che anche i bambini abbiano il diritto a sperimentare la sessualità, meglio se con adulto, e che in un mondo ruotante attorno al sesso, alla concupiscenza edonistica e al soddisfacimento di ogni desiderio secondo una visione distopica huxleyana non ci sia nulla di sbagliato nell’educare i fanciulli alla normalità della pedofilia.(Emanuel Pietrobon, “Guerra all’ultimo tabù”, da “L’intellettuale dissidente” del 19 agosto 2018).La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.
-
Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
-
Insetti e Ogm: per l’élite sarà quello il nostro cibo del futuro
«La frutta era l’unico elemento della loro dieta. Quegli esseri del futuro erano vegetariani rigorosi, e per tutto il tempo che rimasi con loro, pur desiderando un pezzo di carne, fui frugivoro anch’io». È l’anno 802.701. Il Viaggiatore del Tempo ha appena incontrato una delle due razze che popolano il futuro della Terra: si tratta degli Eloi, creature bellissime, fragili, pacifiche, piccole di statura come bambini, dalla pelle color porcellana e simili tra loro anche nel sesso. Conducono una vita di puro divertimento e sono dotati di scarsa immaginazione e intelletto. Si tratta di una citazione de “La macchina del tempo”, uno dei racconti più celebri di H.G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1895. Nell’Inghilterra di fine Ottocento, uno scienziato racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto. Otto giorni dopo, durante una cena a casa sua, il protagonista ricompare in uno stato alterato, i vestiti in disordine e il volto spettrale: racconterà davanti a una platea sbigottita, di aver viaggiato avanti e indietro nel tempo fino a raggiungere l’anno 802.701, periodo in cui l’umanità è divisa in due tronconi differenti: gli Eloi, appunto, e i Morlock, esseri mostruosi che vivono nelle viscere della terra.Costoro escono la notte per cibarsi delle carni degli Eloi, da loro accuditi e allevati come bestie da macello. Se gli Eloi sono fruttariani, i Morlock non solo sono carnivori ma si cibano addirittura della carne dei fragili Eloi. Gli Eloi di Wells prefigurano alcune caratteristiche che ritroveremo nel capolavoro distopico di Aldous Huxley, “Il mondo nuovo”. Gli abitanti del futuro (un futuro remoto in Wells, più vicino a noi in Huxley) sono creature pacifiche che vivono in apparenza in una società perfetta e felice. Gli Eloi però sono il cibo dei Morlock, così come gli abitanti del mondo nuovo di Huxley sono creature create in laboratorio e manipolate fin dalla nascita: sono cioè “cavie” per il potere, distratte dai problemi della vita tramite la saturazione del piacere. Non vengono “mangiati” come gli Eloi, ma è la loro “anima”, la loro capacità intellettiva e artistica a essere stata annullata dai governanti. Viene da citare, seppur impropriamente, Charles Fort quando scrisse «the Earth is a farm. We are someone else’s property».Queste due opere hanno anche prefigurato molte tematiche ora più che mai attuali che ho approfondito ampiamente in altre sedi con Gianluca Marletta (“Governo Globale”, “La fabbrica della manipolazione”, “Unisex”). Tornando alla citazione iniziale, è però interessante notare come l’attuale moda “vegetariana” e “vegana” abbia preso una deriva bizzarra, arrivando ad accettare di introdurre sulle nostre tavole carne e pesce artificiale (in linea con l’orizzonte post-umano del Transumanesimo che si pone come dottrina “spirituale” del mondialismo) oppure una dieta che accolga nei nostri piatti anche gli insetti, ossia l’entomofagia. Premesso che sono vegetariana da 21 anni e che dunque non è mia intenzione “giudicare” regimi dietetici alternativi, mi sembra però che si stia “spingendo” per l’assunzione di alimenti alternativi, quasi si prefigurasse per il nostro futuro una divisione in caste tra i poveri costretti a mangiare insetti, frutta e verdura (che ovviamente saranno Ogm, mica biologici!) e i sempre più ricchi a cui nulla sarà interdetto, tantomeno la carne che sarà appunto un lusso per pochi eletti.Mi sembra che oltre al mantra buonista e politicamente corretto del Love is Love (che dal poliamore arriverà presto a battersi per la legalizzazione della pedofilia), si stia andando di pari passo verso la sponsorizzazione di una moda culturale hippie-chic-newaggiarola che impone come modello per l’uomo del futuro un pacifista a tempo determinato (cioè buono e amorevole solo nei confronti di coloro che sono come lui, per gli altri nessuna pietà), empatico a intermittenza, irrazionale, incapace di pensiero critico (sarà ormai schiavo del bipensiero orwelliano) e di assumersi le proprie responsabilità. Insomma, un bambino o al massimo un perenne adolescente emotivo, vittima delle mode inculcate dalla propaganda e intrappolato nella visione estetico-dongiovannesca dell’esistenza. La teoria della gradualità, declinata nel Principio della Rana Bollita di Noam Chomksy o nella Finestra di Overton, sembra ora voler sdoganare nell’opinione pubblica occidentale anche l’introduzione di insetti sulle nostre tavole. Nascono così start-up che si occupano di creare cibi a base di farina di grilli o di altri insetti commestibili che presto saranno disponibili anche in Italia.La Fao ha lanciato da alcuni anni il programma “Edible insects” per promuovere la diffusione dell’entomofagia, già seguita da circa 2 miliardi di persone nel mondo, principalmente in Asia, Africa e America Centrale. Ciò avviene in base alle stime di sovrappopolazione che vedono la Terra, nell’anno 2050, popolata da circa 9 miliardi di persone. Gli insetti, pertanto, potrebbero diventare una “necessaria” fonte di cibo, sia per la loro ricchezza nutrizionale sia per il minor impatto ambientale del loro allevamento. Per ovviare al problema della sovrappopolazione rientra anche la produzione di carne e pesce artificiali, prodotti cioè in laboratorio. L’obiettivo, in apparenza “legittimo”, sarebbe anche in questo caso, quello di risparmiare al pianeta lo sfruttamento delle risorse ambientali. Ma è proprio questo lo scopo? Il “progresso” legittima tutto ciò che è “sintetico” e dall’altra rimodella la società in due macro caste metaforicamente simili agli Eloi e ai Morloch. Forse i ricchi del futuro non mangeranno fisicamente i più poveri, ma costoro rappresenteranno per loro “carne da macello”, come lo siamo ora per i governanti. E come lo siamo sempre stati. Manodopera da sfruttare, sorvegliare e controllare.Torniamo a “La macchina del tempo” e al “Mondo nuovo”. Si tratta in apparenza di due romanzi, uno fantascientifico, l’altro “distopico”. Eppure hanno molto in comune se non fosse per gli interessi e il legame tra i due romanzieri. Entrambi si inseriscono infatti nell’alveo mondialista britannico di quegli anni, fervidi sostenitori del dogma evoluzionistico, dell’eugenetica e del mondialismo, appassionati critici del problema della sovrappopolazione e quindi neomalthusiani. H.G. Wells era socio della Fabian Society (come entrambi i fratelli Huxley) e del Coefficent Club, già allievo dello zio di Aldous, il biologo darwinista Thomas Huxley, amico e collega del fratello di Aldous, Julian, con cui aveva collaborato alla stesura nel 1927 di “The Science of Life”. Il saggio proponeva il tema dell’evoluzione come fondamento dell’etica di quello Stato mondiale a cui Wells avrebbe dedicato il lavoro negli ultimi anni della sua vita. Wells, nel 1928 pubblicò, ricorda Enzo Pennetta in “Inchiesta sul darwinismo”, «un libro intitolato “The Open Conspiracy”, in cui manifestò il proprio ideale di un mondo unificato sotto l’egemonia anglosassone e ispirato agli ideali socio economici della Fabian Society».Nella raccolta “Idee per un nuovo umanesimo” (1961), premesso che «la nuova organizzazione del pensiero deve essere globale», Julian Huxley precisava che «la religione del prossimo futuro potrebbe essere una buona cosa. Crederà nella conoscenza», conciliando così il neodarwinismo e la filosofia positiva di Comte. Infatti, concludeva, «la religione può essere utilmente considerata ecologia spirituale applicata». L’umanesimo promosso infatti da pensatori come Wells e i fratelli Huxley ha dato vita a un’ideologia ibrida che unisce eugenetica, malthusianesimo, denatalismo, socialismo e una spiccata attenzione per le scienze e il controllo sociale. Da lì a pochi anni il nazismo avrebbe mostrato al mondo quali rischi implicava l’eugenetica, ma i suoi princìpi base sarebbero sopravvissuti al crollo del Terzo Reich e sarebbero confluiti in organizzazioni di stampo mondialista come l’Unesco, fondata nel novembre del 1945. Julian Huxley, sostenitore di svariati metodi di “selezione” della specie, ne sarebbe stato nominato primo direttore. Il cerchio così si chiude, lasciando intravedere il “filo conduttore” che anima ideologicamente molte fra le scelte sociali, culturali e politiche degli anni che stiamo vivendo. E su cui forse dovremmo riflettere… per non fare la fine degli Eloi.(Enrica Perucchietti, “Insetti e Ogm: il cibo del futuro secondo i padroni del mondo”, dal blog “Interesse Nazionale”, novembre 2017).«La frutta era l’unico elemento della loro dieta. Quegli esseri del futuro erano vegetariani rigorosi, e per tutto il tempo che rimasi con loro, pur desiderando un pezzo di carne, fui frugivoro anch’io». È l’anno 802.701. Il Viaggiatore del Tempo ha appena incontrato una delle due razze che popolano il futuro della Terra: si tratta degli Eloi, creature bellissime, fragili, pacifiche, piccole di statura come bambini, dalla pelle color porcellana e simili tra loro anche nel sesso. Conducono una vita di puro divertimento e sono dotati di scarsa immaginazione e intelletto. Si tratta di una citazione de “La macchina del tempo”, uno dei racconti più celebri di H.G. Wells, pubblicato per la prima volta nel 1895. Nell’Inghilterra di fine Ottocento, uno scienziato racconta ai suoi più stretti amici di aver trovato il modo di viaggiare nel tempo, ma non viene creduto. Otto giorni dopo, durante una cena a casa sua, il protagonista ricompare in uno stato alterato, i vestiti in disordine e il volto spettrale: racconterà davanti a una platea sbigottita, di aver viaggiato avanti e indietro nel tempo fino a raggiungere l’anno 802.701, periodo in cui l’umanità è divisa in due tronconi differenti: gli Eloi, appunto, e i Morlock, esseri mostruosi che vivono nelle viscere della terra.
-
Ha inghiottito il mondo, è il mostro chiamato neoliberismo
Il neoliberismo è come la mafia: non esiste, si diceva un tempo, in Sicilia. Poi sono arrivate le bombe: così, la mafia “esiste”, ormai ufficialmente, da decenni. E adesso che anche la bomba neoliberista ha fatto morti e feriti in tutto il mondo, lo ammettono: il neoliberismo esiste, parola del Fmi. Nell’estate 2017, tre ricercatori del Fondo Monetario hanno ribaltato l’idea quella parola non sia altro che un artificio politico: il loro “paper”, scrive Steven Metcalf sul “Guardian”, individua chiaramente un’agenda neoliberista, che ha sravolto il pianeta: ha spinto la deregolamentazione delle economie in tutto il mondo, ha forzato l’apertura dei mercati nazionali al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali, ha richiesto la riduzione del settore pubblico tramite l’austerità o le privatizzazioni. Parlano i dati statistici: la diffusione delle politiche neoliberali a partire dal 1980 ha coinciso con la crisi della crescita, i cicli economici a singhiozzo e il dilagare delle diseguaglianze. Neoliberismo? «E’ un termine vecchio, risalente agli anni Trenta, ma è stato rivitalizzato come un modo per descrivere la nostra politica attuale o, più precisamente, l’ordine delle idee consentite dalla nostra politica», fino al punto da plagiare la nostra mente: siamo meno umani e più soli, individui in feroce competizione tra loro.All’indomani della crisi finanziaria del 2008, scrive Metcalf in un articolo ripreso da “Voci dall’Estero”, il termine neoliberismo è stato un modo per attribuire la responsabilità della débacle: non a un partito politico di per sé, ma ad un establishment che aveva ceduto la sua autorità al mercato. Per i democratici Usa e i laburisti inglesi, questa cessione è stata descritta come un grottesco tradimento dei loro principi: Bill Clinton e Tony Blair, è stato detto, hanno abbandonato gli impegni tradizionali della sinistra, in particolare nei confronti dei lavoratori, a favore di un’élite finanziaria globale e di politiche autoritarie (che li hanno arricchiti). E nel fare questo, hanno permesso un terribile aumento delle diseguaglianze. Ormai l’accusa di neoliberismo è un’arma retorica, «un modo per la gente di sinistra di gettare le colpe su quelli che stanno anche un centimetro alla loro destra». Ma il neoliberismo, osserva Metcalf, è anche un filtro attraverso cui guardare il mondo: «I pensatori politici più ammirati da Thatcher e da Reagan hanno contribuito a modellare l’ideale della società come una sorta di mercato universale (e non, ad esempio, una polis, una sfera civile o una sorta di famiglia) e gli esseri umani come dei calcolatori di profitti e perdite (e non come beneficiari di previdenze o titolari di diritti e doveri inalienabili)».Naturalmente, si trattava di «indebolire lo Stato sociale e l’obiettivo della piena occupazione», nel frattempo abbattendo le tasse e spianando la strada al business senza regole. E’ anche e soprattutto «un modo per riordinare la realtà sociale, e ripensare il nostro status come individui isolati». Basta vedere «in quale maniera pervasiva siamo invitati a pensare a noi stessi come proprietari dei nostri talenti e iniziative, con quanta disinvoltura ci viene detto di competere e adattarci». Lo stesso linguaggio, prima limitato alle semplificazioni didattiche che descrivono i mercati delle materie prime (concorrenza, trasparenza, comportamenti razionali) ora «è stato applicato a tutta la società, fino a invadere la realtà della nostra vita personale», ridotta a marketing permanente. Neoliberismo non significa solo «politiche a favore del mercato o compromessi col capitalismo finanziario fatti dai partiti socialdemocratici falliti». È anche «la denominazione di una premessa che, silenziosamente, è arrivata a regolare tutta la nostra pratica e le nostre credenze», come se la concorrenza fosse «l’unico legittimo principio di organizzazione dell’attività umana».Non appena il neoliberismo – certificato come reale – ha «reso evidente l’ipocrisia universale del mercato», allora «i populisti e i fautori dell’autoritarismo sono arrivati al potere». Negli Usa, Hillary Clinton, cioè «il super-cattivo dei neoliberal», ha perso nei confronti di Trump, «un uomo che sapeva solo quanto basta per fingere di odiare il libero scambio». Contro la globalizzazione, scrive Metcalf, si è riaffermata l’identità nazionale nel modo più duro possibile: da una parte la Brexit e, oltreoceano, «un folle a ruota libera» alla Casa Bianca. «Non è solo che il libero mercato produce una piccola squadra di vincitori e un enorme esercito di perdenti – e i perdenti, in cerca di vendetta, si sono rivolti alla Brexit e a Trump. C’era, sin dall’inizio, una relazione inevitabile tra l’ideale utopistico del libero mercato e il presente distopico in cui ci troviamo; tra il mercato come dispensatore unico di valore e tutore della libertà, e la nostra attuale caduta nella post-verità e nell’illiberalismo», afferma l’analista inglese, secondo cui – per capire bene il fenomeno – è meglio archiviare i Clinton e tornare alla radice del male: «C’era una volta un gruppo di persone che si definivano neoliberali, e lo facevano con molto orgoglio, e ambivano a una rivoluzione totale nel pensiero».Il più importante fra di loro, l’economista austriaco Friedrich von Hayek, «non pensava di conquistare una posizione nello spettro politico, o di giustificare i ricchi, o aggrapparsi ai margini della microeconomia: pensava di risolvere il problema della modernità». Per Hayek, «il mercato non agevolava semplicemente il commercio di beni e servizi: rivelava la verità». Solo che «la sua ambizione si è rovesciata nel suo opposto». Ovvero: «Grazie alla nostra venerazione sconsiderata del libero mercato, la verità potrebbe essere scacciata del tutto dalla vita pubblica», scrive Metcalf. Quando nel 1936 Friedrich Hayek ebbe “l’illuminazione”, pensò di aver incontrato qualcosa di inedito: «Come può la combinazione di frammenti di conoscenze esistenti in menti diverse – ha scritto – portare a risultati che, se dovessero essere perseguiti deliberatamente, richiederebbero una conoscenza da parte del regista che nessuno può possedere?». Non era tecnicismo economistico, né una polemica reazionaria contro il collettivismo: «Era un modo di far nascere un mondo nuovo», sostiene Metcalf. «Con crescente eccitazione, Hayek capì che il mercato potrebbe essere considerato come una sorta di mente».La “mano invisibile” di Adam Smith ci aveva già consegnato la concezione moderna del mercato: una sfera autonoma dell’attività umana e quindi, potenzialmente, un oggetto valido di conoscenza scientifica. Ma Smith era un moralista del XVIII secolo, «pensava che il mercato fosse giustificato solo alla luce della virtù individuale, e temeva che una società governata da nient’altro che dall’interesse personale allo scambio non fosse affatto una società». Il neoliberismo? «E’ Adam Smith senza il suo timore», dice Metcalf. «Che Hayek sia considerato il padre del neoliberalismo – uno stile di pensiero che riduce tutto all’economia – è un po’ assurdo, dato che era un economista mediocre. Era solo un giovane e oscuro tecnocrate viennese quando era stato reclutato alla London School of Economics per competere con la stella nascente di John Maynard Keynes a Cambridge, o addirittura contrastarla». Il piano fallì, e l’Hayek contrapposto a Keynes fu una disfatta. La “Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di Keynes, pubblicata nel 1936, fu accolta come un capolavoro. «Dominava la discussione pubblica, specialmente tra i giovani economisti inglesi in formazione, per i quali Keynes, brillante, affascinante e ben inserito socialmente, rappresentava un modello ideale».Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, continua Metcalf, molti eminenti sostenitori del libero mercato si erano avvicinati al modo di pensare di Keynes, riconoscendo che il governo aveva un ruolo da svolgere nella gestione di un’economia moderna. L’eccitazione iniziale su Hayek si era dissipata. La sua peculiare idea che non fare niente avrebbe potuto curare una depressione economica era stata screditata in teoria e nella pratica. Più tardi, lo stesso Hayek ammise addirittura di aver sperato che il suo lavoro di critica a Keynes venisse semplicemente dimenticato. Nel 1936 era un accademico senza pubblicazioni e senza un futuro scontato. «Adesso viviamo nel mondo di Hayek, come abbiamo vissuto una volta in quello di Keynes». Lawrence Summers, il consigliere di Clinton ed ex rettore dell’università di Harvard, ha affermato che la concezione di Hayek del sistema dei prezzi è «un’impresa penetrante e originale, alla pari della microeconomia del XX secolo», nonché «la cosa più importante da imparare oggi in un corso di economia». Il pensiero di Keynes, un uomo che non ha vissuto né previsto la guerra fredda, era comunque «riuscito a penetrare in tutti gli aspetti del mondo della guerra fredda». Allo stesso modo, osserva Metcalf, «anche ogni aspetto del mondo post-1989 è imbevuto del pensiero di Hayek».L’economista austriaco aveva una visione globale: un modo di strutturare tutta la realtà sul modello della concorrenza. Comincia col dire che le attività umane sono una forma di calcolo economico e possono così assimilate ai concetti fondamentali di ricchezza, valore, scambio, costo – e soprattutto: prezzo. «I prezzi sono un mezzo per allocare le risorse scarse in modo efficiente, secondo necessità e utilità, in base alla domanda e all’offerta». Perché il sistema dei prezzi funzioni in modo efficiente, i mercati devono essere liberi e concorrenziali. «Da quando Smith aveva immaginato l’economia come una sfera autonoma – prosegue Metcalf – esisteva la possibilità che il mercato non fosse solo un pezzo della società, ma la società nel suo complesso». Uomini e donne che «hanno bisogno solo di seguire il proprio interesse personale e competere per le risorse scarse». Attraverso la concorrenza diventa possibile, per citare il sociologo Will Davies, «discernere chi e che cosa ha valore». E così, rileva Metcalf , nel pensiero di Kayek non ha più alcun posto «tutto ciò che una persona che conosce la storia vede come necessari baluardi contro la tirannia e lo sfruttamento: una classe media prospera e una sfera civile, istituzioni libere, suffragio universale, libertà di coscienza, dimensione collettiva, religione e stampa».In Hajek viene mancare «il riconoscimento di fondo che l’individuo è portatore di dignità». L’austriaco, infatti, «ha incorporato nel neoliberalismo l’ipotesi che il mercato fornisca tutta la protezione necessaria contro l’unico reale pericolo politico: il totalitarismo. Per evitare questo, lo Stato deve solo mantenere libero il mercato. Quest’ultimo è ciò che rende il neoliberalismo “neo”. È una modifica fondamentale della credenza precedente in un mercato libero e uno Stato minimo, noto come “liberalismo classico”». Nel liberalismo classico, infatti, i commercianti semplicemente chiedevano allo Stato di “lasciar fare” a loro. Il neoliberismo, invece, «riconosce che lo Stato deve essere attivo nell’organizzazione di un’economia di mercato». E quindi, «le condizioni che consentono il libero mercato devono essere conquistate politicamente». Per questo, «lo Stato deve essere riprogettato per sostenere il libero mercato in modo costante e continuativo». E non è tutto: «Ogni aspetto della politica democratica, dalle scelte degli elettori alle decisioni dei politici, deve essere sottoposto ad un’analisi puramente economica. Il legislatore è obbligato a lasciare abbastanza le cose come stanno per non distorcere le azioni naturali del mercato e così, idealmente, lo Stato fornisce un quadro giuridico fisso, neutrale e universale in cui le forze di mercato operano spontaneamente».La direzione consapevole del governo non è mai preferibile ai “meccanismi automatici di aggiustamento“, cioè il sistema dei prezzi, che non è solo efficiente, ma massimizza la libertà, o l’opportunità per gli uomini e le donne di fare scelte libere sulla propria vita. «Mentre Keynes volava tra Londra e Washington, creando l’ordine del dopoguerra, Hayek se ne stava imbronciato a Cambridge». Era stato mandato lì durante le evacuazioni di guerra, e si lamentava di essere circondato da «stranieri» e «orientali di tutti i tipi», nonché da «europei di praticamente tutte le nazionalità, ma solo pochissimi dotati di una reale intelligenza». Bloccato in Inghilterra, senza alcuna influenza o credibilità, Hayek aveva solo la sua idea a consolarlo: «Un’idea così grande che un giorno avrebbe fatto mancare il terreno sotto i piedi a Keynes e a qualsiasi altro intellettuale». Lasciato libero di funzionare, il sistema dei prezzi funziona come una sorta di mente: «E non come una mente qualsiasi, ma una mente onnisciente: il mercato calcola ciò che gli individui non possono afferrare».Rivolgendosi a lui come a un compagno d’armi intellettuale, il giornalista americano Walter Lippmann scrisse a Hayek dicendo: «Nessuna mente umana ha mai colto l’intero schema di una società. Nella migliore delle ipotesi, una mente può cogliere la propria versione dello schema, qualcosa di molto più limitato, che sta alla realtà come una sagoma sta a un uomo reale». Affermazione forte: il mercato è un sistema per conoscere le cose che supera radicalmente la capacità di ogni mente individuale. «Un tale mercato non è tanto una convenzione umana, da manipolare come qualsiasi altra cosa, quanto una forza da studiare e da placare», scrive Metcalf. «L’economia cessa di essere una tecnica – come credeva Keynes – per raggiungere fini sociali desiderabili, come la crescita o la stabilità del valore della moneta. L’unico fine sociale è il mantenimento del mercato stesso. Nella sua onniscienza, il mercato costituisce l’unica forma legittima di conoscenza, davanti alla quale tutti gli altri modi di riflessione sono parziali, in entrambi i sensi della parola: comprendono solo un frammento di un intero e rispondono a un interesse particolare. A livello individuale, i nostri valori sono solo personali, o semplici opinioni; a livello collettivo, il mercato li converte in prezzi, o fatti oggettivi».Via dall’ateneo, Hayek non ebbe mai un incarico permanente che non fosse pagato da grandi sponsor aziendali. «Anche i suoi colleghi conservatori dell’università di Chicago – l’epicentro globale del dissenso libertario negli anni ’50 – consideravano Hayek come un portavoce reazionario, un “uomo di squadra della destra” con uno “sponsor di squadra della destra”, come si suol dire». Ancora nel 1972, quando un amico andò a trovare Hayek a Salisburgo, «trovò un uomo anziano prostrato nell’autocommiserazione, convinto che il lavoro della sua vita era stato inutile: nessuno si interessava a quello che aveva scritto!». C’era, però, qualche segno di speranza: Hayek era il filosofo politico preferito di Barry Goldwater e a quanto si dice anche di Ronald Reagan. Poi c’era Margaret Thatcher, che «esaltava Hayek di fronte a tutti e prometteva di mettere insieme la sua filosofia del libero mercato con una ripresa dei valori vittoriani: famiglia, comunità, lavoro duro». Hayek si incontrò privatamente con la “lady di ferro” nel 1975, proprio nel momento in cui lei, appena nominata leader dell’opposizione, si stava preparando a mettere in pratica la sua Grande Idea per consegnarla alla storia.L’incontro durò mezz’ora. Al termine, lo staff della Thatcher chiese ad Hayek cosa ne pensasse. «Per la prima volta in 40 anni, il potere restituiva a Friedrich von Hayek la tanto preziosa immagine che egli aveva di se stesso, l’immagine di un uomo che poteva sconfiggere Keynes e ricostruire il mondo». Rispose: «Lei è veramente bella». La Grande Idea di Hayek non è granché, come idea, fino a che non la ingigantisci. Continua Metcalf. «Processi organici, spontanei ed eleganti che, come un milione di dita sul tavolo di una seduta spiritica, si coordinano per creare risultati che altrimenti sarebbero accidentali. Applicata ad un mercato reale – il mercato della pancetta di maiale o i futures del granturco – questa rappresentazione dei fatti è poco più che un’ovvietà. Può essere ampliata per descrivere come i vari mercati, delle materie prime e del lavoro e anche lo stesso mercato della moneta, compongano quella parte della società conosciuta come “l’economia“. Questo è meno banale, ma ancora irrilevante; un keynesiano accetta tranquillamente questa rappresentazione. Ma cosa succede se le facciamo fare un passo avanti? Cosa succede se concepiamo tutta la società come una sorta di mercato?».Più l’idea di Hayek si espande, più diventa reazionaria, più si nasconde dietro la sua pretesa di neutralità scientifica – e più permette alla scienza economica di collegarsi alla tendenza intellettuale più importante dell’Occidente sin dal 17° secolo, continua Metcalf. «L’ascesa della scienza moderna ha generato un problema: se il mondo universalmente obbedisce alle leggi naturali, cosa significa essere esseri umani? L’essere umano è semplicemente un oggetto nel mondo, come qualsiasi altra cosa?». Tutta la cultura politica del dopoguerra gioca a favore di Keynes e di un forte ruolo dello Stato nella gestione dell’economia. Ma tutta la cultura accademica postbellica si trova a favore della Grande Idea di Hayek. «Prima della guerra, anche l’economista più conservatore pensava al mercato come lo strumento per un obiettivo limitato, l’efficiente allocazione delle risorse scarse. Fin dai tempi di Adam Smith a metà del 1700, e fino ai membri fondatori della scuola di Chicago negli anni del dopoguerra, vi era la credenza comune che gli obiettivi finali della società e della vita, si trovavano nella sfera non-economica». Lo scrive nel 1922 il saggio “Etica e interpretazione economica” di Frank Knight, che giunse a Chicago due decenni prima di Hayek: «La critica economica razionale dei valori dà risultati ripugnanti per il buon senso: l’uomo economico è egoista e spietato, degno di condanna morale».Gli economisti, prosegue Metcalf, avevano dibattutto aspramente per 200 anni su come considerare i valori sui quali si organizza una società mercantile, al di là di un semplice calcolo e interesse personale. Knight, insieme ai suoi colleghi Henry Simon e Jacob Viner, si trovava davanti a Franklin Delano Roosevelt e agli interventi sul mercato del New Deal. Quegli economisti «fondarono l’università di Chicago facendone quel tempio intellettualmente rigoroso dell’economia del libero mercato che rimane ancora oggi». Tuttavia, Simons, Viner e Knight iniziarono tutti la loro carriera prima che l’inarrivabile prestigio dei fisici atomici riuscisse a far fluire enormi somme di denaro nel sistema universitario e lanciasse la moda postbellica per la scienza “dura”. «Non adoravano le equazioni o i modelli, e si preoccupavano di questioni non scientifiche. Più esplicitamente, si preoccupavano di questioni di valore, dove il valore era assolutamente distinto dal prezzo». Non che fossero meno dogmatici di Hayek o più disposti a “perdonare” lo Stato per e le tasse e la spesa pubblica. «Semplicemente, riconoscevano come principio fondamentale che la società non era la stessa cosa del mercato, e che il prezzo non era la stessa cosa del valore».Questo, continua Metcalf, ha fatto sì che Simons, Viner e Knight venissero completamente dimenticati dalla storia. «È stato Hayek che ci ha mostrato come arrivare dalla condizione senza speranza della relatività umana alla maestosa oggettività della scienza. La Grande Idea di Hayek funge da anello mancante tra la nostra natura umana soggettiva e la natura stessa. Così facendo, pone qualsiasi valore che non possa essere espresso come un prezzo – il verdetto del mercato – su un piano incerto, come nient’altro che un’opinione, una preferenza, folklore o superstizione». Ma più di chiunque altro, «anche più di Hayek stesso», è stato il grande economista del dopoguerra di Chicago, Milton Friedman, che «ha contribuito a convertire i governi e i politici al potere alla Grande Idea di Hayek». Prima, però, ha dovuto rompere con i due secoli precedenti e dichiarare che l’economia è «in linea di principio indipendente da qualsiasi posizione etica particolare o da giudizi normativi», e che è «una scienza oggettiva, nello stesso senso di qualsiasi scienza fisica». I valori del vecchio ordine mentale normativo erano viziati, erano «differenze su cui gli uomini alla fine possono solo combattere». Detto con altre parole, da una parte c’è il mercato, e dall’altra il relativismo. «I mercati possono essere facsimili umani di sistemi naturali, e come l’universo stesso, possono essere senza autori e senza valore».Ma l’applicazione della Grande Idea di Hayek ad ogni aspetto della nostra vita, sottolinea Metcalf, nega ciò che di noi è più caratteristico: «Nel senso che assegna ciò che è più umano degli esseri umani – la nostra mente e la nostra volontà – agli algoritmi e ai mercati, lasciandoci meccanici, come zombi, rappresentazioni rattrappite di modelli economici». Espandere l’idea di Hayek sino a promuovere radicalmente il sistema dei prezzi a una sorta di “onniscienza sociale” significa «ridimensionare radicalmente l’importanza della nostra capacità individuale di ragionare, la nostra capacità di trovare le giustificazioni delle nostre azioni e credenze e valutarle». Di conseguenza, la sfera pubblica, cioè lo spazio in cui offriamo ragioni e contestiamo le ragioni degli altri, «cessa di essere lo spazio della deliberazione e diventa un mercato di click, “like” e “retweet”». Internet? «E’ la preferenza personale enfatizzata dall’algoritmo: uno spazio pseudo-pubblico che riecheggia la voce dentro la nostra testa. Piuttosto che uno spazio di dibattito in cui facciamo il nostro cammino, come società, verso il consenso, ora c’è un apparato di affermazione reciproca chiamato banalmente “mercato delle idee”».«Quello che appare pubblico e chiaro è solo un’estensione delle nostre preesistenti opinioni, pregiudizi e credenze, mentre l’autorità delle istituzioni e degli esperti è stata spiazzata dalla logica aggregativa dei grandi dati», sostiene Metcalf. «Quando accediamo al mondo attraverso un motore di ricerca, i suoi risultati vengono classificati, per come la mette il fondatore di Google, “ricorrentemente” – da un’infinità di singoli utenti che funzionano come un mercato, in modo continuo e in tempo reale». A parte l’utilità straordinaria della tecnologia digitale, «una tradizione più antica e umanistica, che ha dominato per secoli, aveva sempre distinto fra i nostri gusti e preferenze – i desideri che trovano espressione sul mercato – e la nostra capacità di riflessione su quelle preferenze, che ci consente di stabilire ed esprimere valori». Un sapore è definito come una preferenza su cui non si discute, dice il il filosofo ed economista Albert Hirschman: un gusto che si può contestare diventa un valore. Uomini e donne, dice Hirschman, hanno anche la capacità di rivedere i loro desideri, volontà e preferenze, per chiedersi se valga la pena di volere quelle cose. E’ decisivo: «Modelliamo noi stessi e le nostre identità sulla base di questa capacità di riflessione».Ragiona Metcalf: «L’uso del potere di riflessione del singolo individuo è la ragione; l’uso collettivo di questi poteri di riflessione è la ragione pubblica; l’uso della ragione pubblica per approvare le leggi e la linea politica è la democrazia. Quando forniamo ragioni per le nostre azioni e credenze, ci realizziamo: individualmente e collettivamente, decidiamo chi e che cosa siamo». Secondo la logica della Grande Idea di Hayek, invece, queste espressioni della soggettività umana senza la ratifica del mercato sono senza significato – come ha detto Friedman, «non sono altro che relativismo, ogni cosa risultando buona come qualsiasi altra». Quando l’unica verità oggettiva è determinata dal mercato, tutti gli altri valori hanno lo status di mere opinioni; tutto il resto è aria fritta relativistica. Ma il “relativismo” di Friedman «è un insulto assurdo, visto che tutte le attività umane sono “relative”, a differenza delle scienze». Sono relative alla condizione (privata) di avere una mente, e alla necessità (pubblica) di ragionare e comprendere, anche quando non possiamo aspettarci delle prove scientifiche. E quando i nostri dibattiti non sono più risolte con ragionamenti, allora l’esito sarà determinato dall’arbitrio del potere. «È qui che il trionfo del neoliberismo si traduce nell’incubo politico che viviamo oggi».Il grande progetto di Hayek, concepito negli anni ’30 e ’40 per impedire di ricadere nel caos politico e nel fascismo, «ha sempre coinciso con questo abominio stesso che voleva impedire che accadesse», rivela Metcalf. Era un’idea «fin dall’inizio intrisa della cosa stessa da cui sosteneva di proteggereci», anche perché «la società riconcepita come un gigante mercato porta ad una vita pubblica ridotta a uno scontro tra mere opinioni, finché il pubblico frustrato non si rivolge, infine, ad un uomo forte come ultima risorsa per risolvere i suoi problemi, altrimenti ingestibili». Nel 1989, un giornalista americano bussò alla porta di un ormai novantenne Hayek. «Non era più l’uomo di una volta, sprofondato nella sconfitta per mano di Keynes». La Thatcher gli aveva appena scritto, con un tono di trionfo epocale, che niente di ciò che lei e Reagan avevano compiuto «sarebbe stato possibile senza i valori e le idee che ci hanno portato sulla strada giusta e fornito la giusta direzione». Hayek ora era soddisfatto di se stesso e ottimista sul futuro del capitalismo. Vedeva «un maggiore apprezzamento per il mercato tra le giovani generazioni». Diceva: «Oggi i giovani disoccupati di Algeri e Rangoon non protestano per uno Stato sociale pianificato a livello centrale, ma per le opportunità: la libertà di acquistare e vendere – jeans, automobili, qualunque cosa – a qualsiasi prezzo che il mercato possa sostenere».Sono passati trent’anni, e si può giustamente dire che la vittoria di Hayek non ha rivali, conclude Metcalf: viviamo in un “paradiso” costruito dalla sua Grande Idea. E’ vero, purtroppo: ogni giorno «ci sforziamo di diventare più perfetti come acquirenti e venditori, isolati, discreti, anonimi, e ogni giorno consideriamo il desiderio residuo di essere qualcosa di più di un consumatore come un’espressione di nostalgia, o di elitismo». Tutto era iniziato come una visione intellettuale «onestamente apolitica», ma quel pensiero si è trasformato «in una politica ultra-reazionaria». Aggiunge Metcalf, amaramente: «Quando abbiamo abbandonato, per il suo imbarazzante residuo di soggettività, la ragione come una forma di verità e abbiamo reso la scienza l’unico arbitro del reale e del vero, abbiamo creato un vuoto che la pseudo-scienza è stata ben felice di riempire». L’autorità del professore, del riformatore, del legislatore o del giurista «non deriva dal mercato, ma da valori umanistici come la passione civile, la coscienza o il desiderio di giustizia». Ma queste figure erano state private di rilevanza molto tempo prima che Trump cominciasse a squalificarle. E’ una storia ormai lunga quasi un secolo: e non c’è ancora in circolazione un vaccino efficace contro il virus mortale, il veleno psico-economico del neoliberismo.Il neoliberismo è come la mafia: non esiste, si diceva un tempo, in Sicilia. Poi sono arrivate le bombe: così, la mafia “esiste”, ormai ufficialmente, da decenni. E adesso che anche la bomba neoliberista ha fatto morti e feriti in tutto il mondo, lo ammettono: il neoliberismo esiste, parola del Fmi. Nell’estate 2017, tre ricercatori del Fondo Monetario hanno ribaltato l’idea quella parola non sia altro che un artificio politico: il loro “paper”, scrive Steven Metcalf sul “Guardian”, individua chiaramente un’agenda neoliberista, che ha sravolto il pianeta: ha spinto la deregolamentazione delle economie in tutto il mondo, ha forzato l’apertura dei mercati nazionali al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali, ha richiesto la riduzione del settore pubblico tramite l’austerità o le privatizzazioni. Parlano i dati statistici: la diffusione delle politiche neoliberali a partire dal 1980 ha coinciso con la crisi della crescita, i cicli economici a singhiozzo e il dilagare delle diseguaglianze. Neoliberismo? «E’ un termine vecchio, risalente agli anni Trenta, ma è stato rivitalizzato come un modo per descrivere la nostra politica attuale o, più precisamente, l’ordine delle idee consentite dalla nostra politica», fino al punto da plagiare la nostra mente: siamo meno umani e più soli, individui in feroce competizione tra loro.
-
Stalin risorto a Bruxelles per ‘raddrizzare’ paesi come l’Italia
Perché non modellare un sistema finanziario e monetario sulle esigenze strutturali del paese, anziché cercare di rimodellare il paese per adattarlo a un sistema finanziario e monetario preconcetto? Fanfare, incensi e fervorini: l’Unione Europea celebra se stessa nella Roma che sappiamo. Emblematico. L’insuccesso e i danni della costruzione europea calata dall’alto, soprattutto in termini di crescente divergenza delle economie e degli interessi dei vari paesi, erano prevedibili perché sono quelli tipici di tutti i modelli ideali imposti ideologicamente dall’alto alla realtà dell’uomo e della società. Sono quelli tipici di tutti i modelli che vogliono correggere l’esistente per produrre l’uomo nuovo o la nuova società. Il loro errore di metodo è che partono da un progetto astratto e non considerano la naturale e organica resistenza della società reale o ogni cambiamento comandato. Si chiama utopia. Quanto sopra vale anche e visibilmente per l’imposizione dall’alto sulla realtà italiana del modello finanziario e monetario detto europeo, con la sua difesa del potere d’acquisto del singolo euro anziché dei redditi e dell’occupazione, con i suoi vincoli ai pubblici e investimenti, con la sua tassazione. Un modello adatto e concepito per sistemi paese molto diversi dall’Italia.Per contro, un approccio non velleitario ma realistico si dovrebbe basare sull’individuazione oggettiva di quali sono le caratteristiche storiche, costanti e di fatto non modificabili di ciascun sistema paese concreto, e dovrebbe disegnare un sistema finanziario e monetario adatto a queste sue caratteristiche. Se L’Italia ha la gobba, allora è meglio farle una giacca con la forma della gobba, in modo che si possa abbottonare, e non una col di dietro diritto, bella ma che non si chiude e ostacola i movimenti, perché la gobba di un adulto non si può raddrizzare. Le caratteristiche costanti dell’Italia, dalla sua unificazione in poi, non modificate, anzi consolidate dall’imposizione dall’alto del modello finanziario e monetario europeo, le conosciamo bene, e sono: le due velocità, cioè l’arretratezza permanente e rigida del Meridione e la conseguente necessità di un’altra spesa pubblica di sostegno al Meridione per mantenere la coesione del paese – e questo è il costo dell’utopia dell’unità politica italiana; da qui l’esigenza di poter fare spesa pubblica a deficit finanziandola a bassi tassi di interesse ed escludendo la possibilità che i titoli del debito pubblico non siano accettati dalla banca centrale per erogare credito allo Stato, così da garantire i loro detentori che non ci sarà default, e tenere quindi bassi i rendimenti.Una fortissima propensione, specie al nord, a fare piccola impresa, quindi l’esigenza di assicurarne la disponibilità di credito a tassi moderati e che non erodano il margine operativo aziendale. Una fortissima propensione al risparmio e in particolare all’investimento immobiliare, con uso degli immobili, sia da parte delle imprese che da parte dei cittadini, per ottenere credito, quindi l’esigenza di tutelare il valore degli immobili e il mercato immobiliare. Un alto livello di corruzione e illegalità nel settore pubblico, peggiorato dopo le campagne giudiziarie contro la corruzione, congiunto a una scarsa efficienza della spesa pubblica, che viene in grande parte intercettata da una classe politica e burocratica scarsamente competente, e usata per produrre consenso clientelare; ciò richiede vieppiù che la spesa pubblica sia finanziabile a basso tasso di interesse. Una bassa produttività conseguente da quanto sopra, che richiede periodici ribassi del cambio valutario onde mantenere la competitività e l’occupazione.L’euro e le regole finanziarie europee sono pertanto direttamente opposte e incompatibili con le suddette esigenze, e lo dimostrano i fatti. Non sono un prezzo da pagare per diventare migliori, perché non fanno diventare migliori. E’ avvenuto il contrario. E’ ovvio che alcune di queste caratteristiche dell’Italia sono deteriori e sarebbe meglio poterle correggere, ma ciò non è avvenuto in molti decenni e nonostante molti interventi energici e costosissimi, di tutti i tipi. Anzi, il divario è aumentato. Insistendo negli sforzi di cambiare la fisiologia dell’organismo Italia, sia per integrare il Sud col Nord, sia per integrare l’intero paese con l’Europa efficiente, si è solo peggiorato il suo funzionamento e le condizioni di vita dei suoi abitanti e le prospettive per il suo futuro. L’unità politica italiana è un’utopia molto onerosa da sostenere, e se le aggiungiamo i costi del mantenimento dell’utopia dell’unità politica europea, le due utopie si uniscono in una distopia.I detentori del potere hanno l’opzione di usare la forza per raddrizzare la “gobba”, cioè spezzare l’organismo sociale esistente e costringere la gente a seguire il nuovo modello. Questa è la via che è stata percorsa, nel secolo scorso, da personaggi storici come Stalin e Ceausescu (in forma estrema e mostruosa, da Pol Pot), che, per riuscire a imporre i loro modelli di società ideale eliminando le caratteristiche consolidate e la mentalità delle popolazioni che governavano, sono ricorsi ai trasferimenti forzati di intere popolazioni, alla distruzione dell’economia di altre popolazioni, alla censura e alla propaganda sistematiche, alla proibizione della religione, e ad altre forme di violenza. Sostanzialmente, nonostante queste potenti misure, non sono riusciti nel loro intento, hanno solo danneggiato e degradato la società, anziché realizzare il loro modello ideale.Oggi, per imporre i modelli ideali di Europa e di euro, seguire la suddetta via può tradursi nell’imporre ai popoli “con la gobba”, per fargli perdere le loro abitudini e mentalità indesiderate, una permanente povertà e precarizzazione assieme alla dissoluzione dell’identità storica e nazionale attraverso l’uso mirato dell’informazione e soprattutto mediante l’immigrazione di massa di genti portatrici di culture molto diverse, così da sfibrare il tessuto sociale storico, la volontà di azione politica e la capacità di resistenza dal basso. Ma credo che l’esito sarà solo la degradazione,non rieducazione, esattamente come nei precedenti esperimenti di questo tipo.(Marco Della Luna, “La fiera delle velleità”, dal blog di Della Luna del 3 aprile 2017).Perché non modellare un sistema finanziario e monetario sulle esigenze strutturali del paese, anziché cercare di rimodellare il paese per adattarlo a un sistema finanziario e monetario preconcetto? Fanfare, incensi e fervorini: l’Unione Europea celebra se stessa nella Roma che sappiamo. Emblematico. L’insuccesso e i danni della costruzione europea calata dall’alto, soprattutto in termini di crescente divergenza delle economie e degli interessi dei vari paesi, erano prevedibili perché sono quelli tipici di tutti i modelli ideali imposti ideologicamente dall’alto alla realtà dell’uomo e della società. Sono quelli tipici di tutti i modelli che vogliono correggere l’esistente per produrre l’uomo nuovo o la nuova società. Il loro errore di metodo è che partono da un progetto astratto e non considerano la naturale e organica resistenza della società reale o ogni cambiamento comandato. Si chiama utopia. Quanto sopra vale anche e visibilmente per l’imposizione dall’alto sulla realtà italiana del modello finanziario e monetario detto europeo, con la sua difesa del potere d’acquisto del singolo euro anziché dei redditi e dell’occupazione, con i suoi vincoli ai pubblici e investimenti, con la sua tassazione. Un modello adatto e concepito per sistemi paese molto diversi dall’Italia.
-
Monbiot: malati di solitudine, questo sistema ci fa impazzire
Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.In Gran Bretagna, uomini che hanno passato tutta la loro vita in circoli privilegiati – a scuola, all’università, al bar, in Parlamento – ci insegnano che dobbiamo sempre camminare con le nostre gambe. Il sistema dell’istruzione diventa ogni anno più brutalmente competitivo. Trovare lavoro è una lotta all’ultimo sangue con una massa di altri disperati che inseguono i sempre meno posti disponibili. I moderni sorveglianti dei poveri attribuiscono a colpe individuali la loro situazione economica. Gli incessanti concorsi televisivi alimentano aspirazioni impossibili come le opportunità reali. Il vuoto sociale è riempito dal consumismo. Ma, lungi dal curare la malattia dell’isolamento, questo intensifica il confronto sociale, al punto che, dopo aver consumato tutto quello che c’era da consumare, iniziamo ad avventarci su noi stessi. I social media ci uniscono ma anche ci dividono, consentendoci di quantificare con precisione la nostra posizione sociale, e di constatare che altre persone hanno più amici e seguaci di noi.Come Rhiannon Lucy Cosslett ha brillantemente documentato, le ragazze e le giovani donne modificano abitualmente le foto che pubblicano per sembrare più levigate e sottili. Alcuni telefoni lo fanno perfino automaticamente, basta attivare l’impostazione “bellezza”; così ci si può trasformare anche da soli in modelli di magrezza da inseguire. Benvenuti nella distopia post-hobbesiana: una guerra di tutti contro se stessi. C’è da stupirsi, in questa solitudine interiore, in cui il contatto è stato sostituito dal ritocco, se le giovani donne stanno annegando nel disturbo mentale? Una recente indagine condotta in Inghilterra suggerisce che tra i 16 e i 24 anni una donna su quattro si è autoinflitta una ferita, e uno su otto oggi soffre di disturbo da stress post-traumatico. Ansia, depressione, fobie o disturbo ossessivo-compulsivo colpiscono il 26% delle donne in questa fascia di età. Dati di questo tipo assomigliano da vicino a una crisi di salute pubblica. Se la frammentazione sociale non è presa in seria considerazione, come si prende sul serio una gamba rotta, è perché non possiamo vederla. Ma i neuroscienziati possono.Una serie di affascinanti articoli suggerisce che il dolore sociale e il dolore fisico sono elaborati dagli stessi circuiti di neuroni. Questo potrebbe spiegare perché in molte lingue è difficile descrivere l’impatto della rottura dei legami sociali senza ricorrere alle parole che usiamo per indicare dolore fisico e lesioni. Negli esseri umani come negli altri mammiferi sociali il contatto sociale riduce il dolore fisico. Questo è il motivo per cui abbracciamo i nostri figli quando si fanno male: l’affetto è un potente analgesico. Gli oppioidi alleviano sia l’agonia fisica sia l’angoscia della separazione. Forse questo spiega il legame tra isolamento sociale e tossicodipendenza. Alcuni esperimenti riassunti sulla rivista “Physiology & Behaviour” il mese scorso suggeriscono che, data la possibilità di scegliere tra dolore fisico o isolamento, i mammiferi sociali scelgono il primo. Alcune scimmie cappuccino prive di cibo e tenute in isolamento per 22 ore, prima di mangiare si sono riunite alle loro compagne. I bambini che sono trascurati dal punto di vista emotivo, secondo alcuni studi, subiscono peggiori conseguenze per la salute mentale rispetto ai bambini che soffrono sia trascuratezza emotiva sia violenza fisica: per quanto orribile, la violenza comporta essere notati e toccati.L’autolesionismo è spesso usato come tentativo di alleviare la sofferenza: un’altra indicazione che il dolore fisico è meno terribile del dolore emotivo. Come il sistema carcerario sa fin troppo bene, una delle forme più efficaci di tortura è proprio l’isolamento. Non è difficile capire quali potrebbero essere le ragioni evolutive per la presenza del dolore sociale. La sopravvivenza tra i mammiferi sociali è notevolmente più alta quando sono fortemente legati al resto del branco. Sono gli animali isolati ed emarginati che hanno più probabilità di essere attaccati dai predatori, o morire di fame. Così come il dolore fisico ci protegge dai danni fisici, il dolore emotivo ci protegge dai danni sociali. Ci spinge a ricostruire connessioni. Ma per molte persone è diventato quasi impossibile.Non è sorprendente che l’isolamento sociale sia fortemente associato alla depressione, al suicidio, all’ansia, all’insonnia, alla paura e alla sensazione di essere minacciati. È più sorprendente scoprire la gamma di malattie fisiche che provoca o aggrava. Demenza, ipertensione, malattie cardiache, ictus, abbassamento della resistenza ai virus, perfino gli incidenti sono più comuni tra le persone sole. La solitudine ha un impatto sulla salute fisica paragonabile al fumare 15 sigarette al giorno: sembra aumentare il rischio di morte prematura del 26%. Questo in parte è perché la solitudine aumenta la produzione dell’ormone dello stress, il cortisolo, che deprime il sistema immunitario. Studi condotti su animali e sull’uomo suggeriscono che mangiare sia motivo di conforto: l’isolamento riduce il controllo dell’impulso, portando all’obesità. Visto che le persone situate nella parte più bassa della scala socioeconomica sono anche quelle più a rischio di soffrire di solitudine, questa potrebbe essere una delle spiegazioni per il forte legame tra basso livello economico e obesità?Chiunque può rendersi conto che qualcosa di molto più importante della maggior parte dei problemi di cui ci si preoccupa è andato storto. Ma allora, perché siamo così impegnati in questa frenesia che distrugge il mondo e si autoannienta, devastando l’ambiente e riducendo in pezzi le società, se tutto ciò che produce è un dolore insopportabile? Questo problema non dovrebbe essere considerato il più scottante nella vita pubblica? Ci sono enti di beneficenza meravigliosi che fanno quello che possono per lottare contro questa marea, con alcuni dei quali ho intenzione di lavorare come parte del mio progetto contro la solitudine. Ma per ogni persona aiutata, molte altre vengono spazzate via. Non basta una risposta politica per tutto questo. Ci vuole qualcosa di molto più grande: ripensare un’intera visione del mondo. Di tutte le fantasie degli esseri umani, l’idea che ce la si possa fare da soli è la più assurda e forse la più pericolosa. O restiamo uniti o andiamo in pezzi.(George Monbiot, “Il nuovo ordine liberale crea solitudine, ecco cosa sta facendo a pezzi la nostra società”, dal “Guardian” del 12 ottobre 2016, articolo tradotto da “Voci dall’Estero”).Un’epidemia di malattie mentali sta distruggendo mente e corpo di milioni di persone. È arrivato il momento di chiederci dove stiamo andando e perché. Quale maggiore atto d’accusa potrebbe esserci, per un sistema, di una epidemia di malattie mentali? Eppure problemi come ansia, stress, depressione, fobia sociale, disturbi alimentari, autolesionismo e solitudine oggi si abbattono sulle persone in tutto il mondo. Le recenti, catastrofiche statistiche sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale. Ci sono una moltitudine di ragioni secondarie per spiegare questo disagio, ma a me sembra che la causa di fondo sia ovunque la stessa: gli esseri umani, mammiferi estremamente sociali, i cui cervelli sono cablati per rispondere agli altri, sono stati scorticati. I cambiamenti economici e tecnologici in questo svolgono un ruolo importante, ma lo stesso vale per l’ideologia. Benché il nostro benessere sia indissolubilmente legato alla vita degli altri, ci viene spiegato da ogni parte che il segreto della prosperità è nell’egoismo competitivo e nell’individualismo estremo.