Archivio del Tag ‘donne’
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La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice
«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?«Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
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Strage di poliziotti e carabinieri, 44 suicidi negli ultimi mesi
Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.La fascia di età “a rischio” va dai 45 e ai 64 anni, che racchiude il 58,13% di suicidi. Segue la fascia tra i 25 e i 44 anni, con il 34,48%. I picchi si sono registrati tra i 43 e 44 anni, e tra 52 e i 49 anni. Il 30,7 % lo ha fatto in un luogo privato, il 27,9% sul posto di posto di lavoro. Il 31% dei casi in estate, il 24% inverno. «Il problema va affrontato con estrema cautela perché i casi sono in aumento», spiega Graziano Lori, presidente dell’associazione Cerchio Blu: «Ci sono paesi, come la Francia, dove la situazione è addirittura più drammatica della nostra». Nel 2014 i suicidi erano stati 43; 34 nel 2015 e nel 2016; 28 nel 2017 e 29 nel 2018. Le polizie locali o municipali, ex vigili urbani, registrano il più alto tasso di suicidi femminili: il 52,6%. I corpi di polizia locale accolgono il 36% di donne in divisa, percentuale più alta rispetto alle altre forze dell’ ordine. A livello nazionale ci sono stati 5 episodi, di cui 2 in un arco temporale di 5 mesi nella sola provincia di Torino.«Spesso i comandanti o i funzionari apicali – spiega Emiliano Bezzon, comandante della polizia municipale di Torino – affrontano il problema da un punto di vista di puro rispetto delle norme per evitare ripercussioni sul piano della responsabilità. Non basta togliere l’arma d’ordinanza quando si manifesta un disagio. Io la vedo diversamente. Bisogna andare al di là della semplice gestione del personale. Bisogna prendersi cura delle persone, occuparsi delle criticità individuali». Quali sono i fattori che incidono di più? I contesti lavorativi o le dinamiche personali? Il fenomeno è seguito da un osservatorio nazionale ma i correttivi «andrebbero affrontati con maggior coraggio dalle amministrazioni centrali, che invece preferiscono nascondere il problema», dicono i sindacati. «Tra le valutazioni del rischio lavorativo non è compresa quella dello stress correlato», afferma Nicola Rossiello, segretario regionale del Silp Cgil della polizia e coordinatore nazionale sicurezza sul lavoro. «Dobbiamo obbligare le nostre amministrazioni a confrontarsi con la tragicità del fenomeno. A discutere apertamente dei rischi psicosociali che affliggono tutti gli operatori di polizia, qualunque sia la loro divisa».(Massimiliano Peggio, “Il suicidio è la prima causa di morte violenta tra le forze dell’ordine”, da “La Stampa” del 28 settembre 2019; articolo ripreso da “Dagospia”. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, indagatore di molti misteri italiani, è sospetta l’altissima percentuale di suicidi tra le forze dell’ordine: i fatti di sangue spesso colpiscono agenti in buona salute psicofisica, senza la minima avvisaglia di depressione. Secondo Franceschetti, è possibile che in alcuni casi i “suicidi”, specie tra ispettori di polizia e sottufficiali dei carabinieri e della Guardia di Finanza, siano in realtà omicidi mascherati).Né mafia né criminalità comune. La prima causa di morte violenta tra le forze di polizia è il suicidio. Strisciante e imprevedibile, la belva dell’anima azzanna nel silenzio e non molla la presa. Dall’inizio dell’anno sono 44 gli appartenenti alle forze dell’ordine che si sono tolti la vita. Per lo più con l’arma di ordinanza. «Un morto a settimana. È un dato impressionate che dovrebbe indurre i vertici delle varie amministrazioni a riflettere. Non cerchiamo colpevoli, ma antidoti. Se non iniziamo a interrogarci sul fenomeno, rischiamo di piangere altri morti», dice Roberto Loiacono, della Funzione Pubblica della Cgil di Torino. Un dibattito organizzato presso la Camera del lavoro di Torino, rivolto agli operatori del settore, ha delineato un quadro inquietante. E sono soprattutto i dati raccolti a livello nazionale dall’associazione Cerchio Blu, che da anni si occupa di sostegno psicologico per le forze di polizia, a rappresentare la gravità del fenomeno. L’86% di chi si toglie la vita, tra carabinieri, polizia, finanza, penitenziaria e polizie locali, lo fa utilizzando la pistola d’ordinanza. La maggiore concentrazione di casi si registra nel Nord: 42% contro il 31,4% di eventi avvenuti nel Sud e nelle isole.
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Salvini santifica la Thatcher, cioè la nonna dell’Ue-horror
Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.Anche se non lo sanno, i leghisti di Pontida si comportano come i NoTav degli esordi, diffidenti verso la stampa, ostili alle istituzioni centrali come qualsiasi gruppetto di antagonisti: invitano Mattarella ad “andare a quel paese”, coprono di insulti Gad Lerner, rifilano un pugno a una telecamera di “Repubblica”. A eccedere in animosità non sono i giovinastri dei centri sociali demonizzati da Salvini, ma pensionati e casalinghe (come tanti NoTav, appunto), tutti esasperati dallo sconcio in mondovisione del ripugnante Conte-bis rifilato come punizione biblica alla larghissima maggioranza degli italiani. Di Salvini alla fine i leghisti approvano tutto: l’esibizione dei bambini “strappati” (da proteggere dagli abusi del sistema-Bibbiano), l’esposizione delle donne candidate alle regionali a Perugia e Bologna, i neo-leghisti sardi e campani. Virulento l’attacco sul fisco, da campagna elettorale permanente: Flat Tax secca, aliquota unica al 15%. Toni lontanissimi dalla prudenza governativa del Salvini ministro, irridente verso le “letterine” di Juncker ma poi anche troppo silenzioso di fronte all’umiliazione rimediata di fronte alla richiesta di espansione del deficit.«Mai con la sinistra», tuona Salvini, come se ancora esistesse una sinistra italiana, schierata coi lavoratori: una bandiera comoda da sventolare, in un senso o nell’altro, solo per fare cassa. Specie se si distingue tra l’attuale Pd e “i comunisti di una volta, persone serie”, a partire dal Berlinguer santificato a Pontida (emblema di abnegazione trasparente alla causa degli ultimi, salvo poi convincere gli operai ad accettare l’austerità come destino, la piena sottomissione sociale). Suscita inquietudine il richiamo a Oriana Fallaci, eletta come maestra di pensiero “da studiare nelle scuole”, come se la grande giornalista – evocando lo “scontro di civiltà” con l’Islam – non avesse preso una madornale cantonata, non vedendo cosa c’era davvero (e chi c’era, dalle parti della Casa Bianca) dietro la strage mostruosa dell’11 Settembre. Il Salvini di Pontida prende lucciole per lanterne anche su un altro cavallo di battaglia della propaganda più stantia del tradizionalismo provinciale italiano – la droga – senza distinguere tra narcotraffico, mafia e cannabis terapeutica.Il colmo, il Salvini post-ministeriale lo raggiunge elevando la peggior governante europea del dopoguerra, Margaret Thatcher, al rango di regina della politica: il faro del sovranista Salvini è dunque la madrina del cancro neoliberista che ha sventrato le nazioni europee, demolendo dalle fondamenta la legittimità democratica e la missione civile dello Stato sociale? Frastornati dal cocente tradimento subito a Roma, i leghisti si stringono comprensibilmente attorno al loro leader: capiscono che non aveva alternative, non poteva far altro che “staccare la spina” e tornare in campo dall’esterno, come outsider, ma con alle spalle una vastissima quota di elettorato. Di fronte ai leghisti di Pontida, Salvini potrà anche magnificare la Thatcher (detestata dagli inglesi, che hanno impiegato decenni a dimenticarla). Agli altri italiani, non leghisti ma delusi dai 5 Stelle e stomacati dal Pd, Salvini farà bene a spiegare perché allora ce l’ha tanto con i Thatcher italiani, come Monti e Fornero, che si sono limitati ad applicare alla lettera le feroci ricette della Strega del Nord, la loro grande maestra. E’ sicuro, Salvini, di sapere davvero cosa vuol fare da grande?(Giorgio Cattaneo, “Salvini santifica la Thatcher, cioè il neoliberismo dell’Europa-horror”, dal blog del Movimento Roosevelt del 16 settembre 2019).Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.
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Boat People: quando l’Italia andò a salvarli in capo mondo
Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.Le immagini di questi disperati fanno il giro del mondo e dividono l’opinione pubblica mondiale, ancora divisa per ideologie pre-muro di Berlino. Il comunismo non può essere contestato né fare errori, sono «menzogne raccontate dai media che ingigantiscono la faccenda per strumentalizzarla». Mentre l’Occidente blatera, i rifugiati sui barconi scoprono di non poter sbarcare da nessuna parte. Vengono ribattezzati “boat people”, disperati con a disposizione due cucchiai d’acqua e due di riso secco al giorno che raccolgono l’acqua piovana coi teli di plastica e sono in balia di tempeste e crudeltà. Il governo della Malesia li rimorchia a terra per spennarli di tutti i loro averi, poi li rimette sulle barche dicendogli che stanno arrivando degli aiuti e li rimorchia in alto mare, dove taglia le funi e li abbandona a morire. A volte le tempeste tropicali li affondano, altre volte pescatori armati saltano a bordo e uccidono e stuprano finché sono stanchi, poi li abbandonano lì. A bordo c’è così tanta puzza da far svenire, e la fame è tale che ci sono episodi di cannibalismo. Navi occidentali si affiancano e gettano qualcosa da mangiare per fotografarli, poi se ne vanno.Intanto, l’Italia è un mondo diverso. Sono anni difficilissimi tra inflazione alle stelle, bombe e attentati, ma il neonato benessere è ancora troppo recente per far dimenticare agli italiani il loro passato di povertà, ruralità ed emigrazione. Quando le immagini dei boat people vengono rese pubbliche da Tiziano Terzani il 15 giugno 1979, invece di aggiungersi al dibattito globale di opinionisti e intellettuali impegnati a decidere se salvare dei profughi di un regime comunista sia un messaggio capitalista o no, Pertini capisce che ogni minuto conta, chiama Andreotti e dà ordine di recuperarli e portarli in Italia. Andreotti è presidente del Consiglio, ma è stato prima ministro della difesa. Quella che riceve è una richiesta folle, perché l’Italia non ha mai fatto missioni simili né per obiettivo né per distanza. Ora però il ministro della difesa è Ruffini, e dice che in teoria è fattibile. Insieme scelgono come braccio destro Giuseppe Zamberletti, uno che aveva già dimostrato un’estrema capacità organizzativa in situazioni di crisi, e si mettono a studiare il da farsi. Non sanno quanti sono, né in che zona precisa; sono fotografie sfocate in mezzo al nulla.Se il primo problema è il dove, subito dopo vengono tempo e lingua. Il mondo del 1979 non parla inglese, figurarsi il vietnamita. Anche gli interpreti scarseggiano e non c’è tempo di trovarli, però c’è la Chiesa. Andreotti domanda al Vaticano se ha a immediata disposizione preti vietnamiti e gli arrivano padre Domenico Vu-Van-Thien e padre Filippo Tran-Van-Hoai. Per un terzo interprete, i carabinieri piombano all’università di Trieste, scorrono i registri e reclutano sul posto uno studente, Domenico Nguyen-Hun-Phuoc. A quel punto, Ruffini può alzare il telefono. L’incrociatore Vittorio Veneto dell’ottavo gruppo navale è alla fonda a Tolone, in Francia, dopo aver finito la stagione. L’equipaggio di 500 uomini non vede l’ora di sbarcare per abbracciare le proprie famiglie, quando nelle mani del comandante Franco Mariotti arriva un cablogramma urgentissimo dall’ammiraglio di Divisione Sergio Agostinelli, a bordo dell’Andrea Doria. Ordina di tenere a bordo solo il personale addetto alle armi, poi di riadattare l’assetto della nave e salpare alla volta di La Spezia per riunirsi all’Andrea Doria per una missione di recupero. Quando capiscono di cosa si tratta, gli equipaggi si esaltano.Mariotti lascia a terra 350 uomini, che invece chiedono di restare a bordo per aiutare. Predispone 300 posti letto per donne e bambini su letti a castello nell’hangar a poppa, e 120 posti per gli uomini a prua. L’alloggio sottufficiali diventa un’estensione dell’infermeria, e sotto il ponte di volo viene adibita la zona d’aria. Servono almeno dieci bagni in più, ma ce la fa. Impiega cinque giorni a cambiare l’assetto, e solo al quarto giorno, prima di partire, ordina agli uomini di scendere a salutare le famiglie. Arrivano a La Spezia il 4 luglio, dove vengono caricati e istruiti medici, infermieri, interpreti, medicinali e vestiti. Il giorno dopo salpano alle 10 diretti verso il sud di Creta, dove si riuniscono con la nave logistica Stromboli, comandata dall’ammiraglio Sergio Agostinelli; in totale ci sono 450 posti letto sulla Vittorio Veneto, 270 sulla Doria e 112 sulla Stromboli. È un viaggio orrendo, nella stagione peggiore. Oltre al caldo mostruoso del Mar Rosso, i monsoni dell’Oceano Indiano portano il vento a forza 7. Onde lunghe e gigantesche che mettono a dura prova i 73.000 cavalli vapore degli incrociatori.Dopo 10 giorni di navigazione ininterrotta, il 18 luglio ormeggiano a Singapore e caricano le provviste supplementari, così da dare il tempo all’intelligence di fare “ricognizione informativa” e di improntare un piano. In quattro giorni parlano con l’ambasciatore della Malesia, con l’addetto della marina militare inglese, i portavoce di World Vision International e definiscono le zone da pattugliare. Le direttrici di fuga sono cinque: due verso Thailandia e Hong Kong, di scarso interesse perché passano per acque territoriali. Le altre tre sono di preminente interesse, cioè dall’estremo sud del Vietnam verso la Thailandia (costa occidentale del Golfo del Siam), verso Malesia e isole Anambas dell’Indonesia. Le ultime due sono le più probabili perché sono vicine alla piattaforma petrolifera della Esso, che per chi mastica poco il mare è l’unico polo di attrazione. Alle 10 del 25 luglio salpano alla volta del Mar Cinese Meridionale e Golfo del Siam. Durante la notte, va e viene un eco-radar. Il giorno dopo il mare è a forza 4 (esempio), e il ponte viene spazzato da raffiche di vento e acqua. Alle 8.15, con un coraggio notevole, l’Agusta Bell 212 si alza in volo per investigare le coordinate e localizza la prima barca alla deriva. È un catorcio di 25 metri carico fino all’inverosimile che sta colando a picco davanti alla piattaforma della Esso.L’Andrea Doria dà l’avanti tutta e arriva a prenderli alle 9.20, carica su un gommone interprete, medici, scorta e glielo manda incontro in mezzo alla burrasca che monta, raccomandandosi di rispettare norme di prevenzione e contagio. Il gommone si affianca e gli interpreti recitano un testo che hanno imparato a memoria. «Le navi vicine a voi sono della Marina Militare Italiana e sono venute per aiutarvi. Se volete potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi ci porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e assistenza medica. Dite cosa volete e di cosa avete bisogno». Un’onda allontana il gommone, e una donna vietnamita, convinta che gli italiani li stiano abbandonando come tutti, gli lancia il proprio figlio a bordo. I marinai erano italiani del 1979, un mondo in cui non esistevano i social e queste scene non erano già state raccontate. A quella vista, impazziscono. Tutte le procedure per evitare contagi vengono infrante, e dallo scafo tirano fuori 66 uomini, 39 donne e 23 bambini.Teodoro Porcelli, all’epoca marinaio di vent’anni, è sul barcarizzo di dritta quando riconsegna il figlio alla madre. Lei per tutta risposta gli accarezza i capelli e si mette a piangere, poi portano insieme il bambino dal dottore. Sono i primi di tanti altri che arriveranno nei giorni successivi. A bordo degli incrociatori, gli uomini sgobbano come animali. Infermerie, lavanderie, forni e cucine lavorano senza sosta, coi panettieri che danno il turno e i cuochi che devono allestire 1000 pasti al giorno, di cui una doppia razione per i macchinisti che sono ridotti a pelle e ossa per a far andare le quattro caldaie Ansaldo-Foster Wheeler contro le onde, il tutto con temperature tropicali e navi tutt’altro che adatte. Medici e marinai devono stare attenti a 125 bambini che una volta nutriti corrono dovunque, ma ovviamente prediligono il ponte di volo. Il 31 luglio a bordo dell’Andrea Doria nasce un bambino che la madre battezza col nome di Andrea. Pasquale Marsicano lo avvolge con un vestitino di seta che doveva regalare a sua figlia. I vietnamiti più in salute vogliono essere d’aiuto e fare qualcosa, così vengono messi a fare i lavori del mozzo secondo il vecchio e famosissimo proverbio della Marina: “Pennello e pittura, carriera sicura”.Il 1° agosto a bordo delle navi non c’è più spazio fisico; hanno navigato per 2.640 miglia, esplorato 250.000 kmq di oceano e salvato 907 anime. L’ammiraglio dà ordine di tornare a casa, e il 21 agosto 1979 gli incrociatori entrano in bacino San Marco. Ad accoglierli c’è un oceano di gente, oltre a chi ha pianificato l’operazione fin dall’inizio: Andreotti, Ruffini, Zamberletti e Cossiga, che in seguito alla crisi di governo ha sostituito Andreotti. A bordo ci sono malattie anche tropicali e uomini malmessi, così a qualcuno viene in mente che Venezia, riguardo a importazioni di merci e uomini, qualcosina ne sa. Così, proprio come faceva la Serenissima novecento anni prima, i vietnamiti vengono messi in quarantena nel Lazzaretto vecchio e in quello nuovo. Quelli che non ci stanno vengono spediti in Friuli. Sono entrati così in simbiosi con l’equipaggio che a parte pianti, abbracci, baci e giuramenti, alcuni si rifiutano di scendere dalla nave chiedendo se possono arruolarsi.Alla fine ci sarà uno scambio di dichiarazioni tra vietnamiti ed equipaggio: «Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie». L’ammiraglio risponde da parac… da italiano: «Noi siamo dei militari; ci è stata affidata una missione e abbiamo cercato di eseguirla nel modo migliore. Siamo felici d’aver salvato voi e così tanti bambini e di portarvi nel nostro paese. L’Italia è una bella terra anche se gli italiani, a volte, hanno uno spirito irrequieto. Marco Polo andò con pochi uomini alla scoperta dell’Asia; voi venite in tanti nel nostro piccolo mondo. Sappiate conservare la libertà che avete ricevuto». Vengono creati campi d’accoglienza a Chioggia, Cesenatico e Asolo. Il popolo italiano si mobilita in massa; vengono raccolti 26.500.000 di lire tramite raccolta di abiti usati e altrettanto arriva tramite donazioni private.Arrivano offerte di lavoro e di abitazione, una famiglia si offre di costruire una casa alle famiglie, una ditta si offre di arredarla. Una scolaresca raccoglie i soldi per comprare un motorino e una macchina da cucire, i dipendenti della Banca Antoniana si tassano lo stipendio fino all’agosto del 1980, versando ogni mese i loro risparmi nel conto corrente della Caritas. I commercianti padovani inviano generi alimentari, molti ospitano i rifugiati nelle loro case ad Arsego, San Giorgio delle Pertiche, Fratte e Zugliano. Ruffini, ricordando la storia, dirà: «Potevo considerarmi soddisfatto della mia intera esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza di quei fratelli asiatici». I vietnamiti si integrano alla perfezione, diventano italiani o disperdendosi per l’Italia arrivando oggi alla terza generazione. Parecchi marinai prenderanno la medaglia di bronzo. Quarant’anni dopo, i marinai e i profughi hanno aperto un gruppo Facebook per ritrovarsi. State attenti ad aprirlo se avete la lacrima facile. «A tutti i marinai della “Stromboli”, noi vietnamiti vi siamo molto riconoscenti. Se non ci foste venuti in aiuto, noi ora non saremmo probabilmente vivi. Vi pensiamo spesso, ora che siamo qui al sicuro e ricordiamo quanto buoni e gentili siete stati con noi. Il vostro ricordo rimarrà sempre nel nostro cuore e anche se non ci vediamo più, noi vi penseremo che con affetto, riconoscenza e nostalgia. Grazie ancora!».(Nicolò Zuliani, “Quando negli anni ’80 la marina militare italiana riuscì a fare l’impossibile”, da “Termometro Politico” del 3 agosto 2019. Le foto presentate a corredo dell’articolo sono di Roberto Vivaldi).Premessa importante: questa è Storia, non opinioni. Ho raccontato e raccolto testimonianze di fatti accaduti quarant’anni fa di cui oggi ricorre l’anniversario. Chiunque desideri fare parallelismi o “interpretarlo” lo fa di sua iniziativa, non mia. 30 aprile 1975: Saigon cade, e assieme a lei tutto il Vietnam del Sud. I comunisti si scatenano in un vortice di vendette verso militari e civili, instaurando un regime totalitario. Al loro arrivo un milione di persone viene prelevato per essere “rieducato”; sono sacerdoti, bonzi, religiosi, politici regionali, intellettuali, artisti, scrittori, studenti. A ogni angolo di strada spuntano “tribunali del popolo” in cui gli accusati non hanno diritto alla difesa, e a cui seguono esecuzioni sommarie. A migliaia vengono tolte case, beni, proprietà e vengono gettati nelle paludi, dette “Nuove Zone Economiche”, dove avrebbero dovuto creare fattorie e coltivazioni dal nulla. In realtà, li mandano a morire di fame. L’intero Vietnam del Sud diventa un grande gulag, dove accadono orrori simili a quelli della Kolyma di Stalin. Nel 1979, la popolazione cerca di scappare. Non possono farlo via terra, perché i paesi confinanti li respingono; l’unica opzione per intere famiglie consiste nel prendere barconi improvvisati e gettarsi in mare, lontano dai fucili e dai “tribunali del popolo”.
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Giulietto Chiesa: incombe una rivoluzione, come attuarla?
Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.Quindi il primo compito, per chi ragiona come me, è quello di individuarli, censirli, convincerli a camminare insieme: perché solo in questo modo si potrà creare una massa critica sufficiente a rovesciare il corso delle cose. Queste donne e uomini ci sono; non sono numerosissimi, ma ci sono. Sono in gran parte isolati e fuori dalla politica (e sono tali proprio perché la politica attuale li esclude e li isola, temendoli). Il fatto più serio, tuttavia, è che non c’è ormai quasi nulla che possa unirli. Non c’è una visione comune della crisi epocale in cui viviamo. Che non è “italiana”, né “europea” soltanto. È mondiale, è globale, è universale. Per essere compresa richiede nuovi paradigmi, visto che quelli vecchi sono ormai inutilizzabili. Il mondo brucia e il tempo stringe. Dunque quello che manca è una comune interpretazione della crisi, che è crisi dell’Uomo e della sua collocazione nell’Universo. È questo quello che manca e che, a mio avviso dev’essere costruito. Non ri-costruito, ma proprio costruito. Senza questo passaggio non ci può essere alcun movimento o partito capace di avviare la trasformazione. Si resterà divisi, ciascuno a contemplare il proprio tassello di sapere. Che, in quanto tale, sarà inutile.È una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla. Altrimenti essa non sarà certamente guidata dall’Uomo, perché sarà immensamente più vasta e potente di lui. All’uomo resterà il compito di comprenderla, se ne sarà capace, e di adattarvisi, se vuole sopravvivere. Ecco perché ci vuole adesso molta pazienza e umiltà, per cominciare a costruire quello che manca. La politica farà il suo corso miope e superficiale, ma non potrà affrontare quello che incombe. Ecco perché non credo alla fretta, alle fughe in avanti, alle speranze senza fondamento, a una palingenesi rapida e indolore. Penso che l’impatto con forze enormi, che l’Uomo ha evocato irresponsabilmente, provocherà dolori immensi e aiuterà a temprare gli spiriti molli che questa società umana ha lasciato putrefare. Il che significa rimboccarsi le maniche e mettere ordine nelle nostre idee, prima di tutto. Solo dall’ordine, dalla saggezza e dalla solidarietà tra sapienti e popolo può venire il riscatto.(Giulietto Chiesa, estratto del post “E’ una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla”, pubblicato su “Megachip” il 1° settembre 2019. Il testo integrale, in risposta a una lettera di Enrico Sanna, si apre con una citazione biblica dal Libro dei Re: “Concedi al tuo servo un cuore prudente, capace di giudicare il tuo popolo innumerevole e discernere il bene dal male”).Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.
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Non morì in croce e aveva 43 anni: l’altro Gesù, quello vero
Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità.E’ la possibile, vera storia di Yehoshua di Gàmala, poi ribattezzato Gesù di Nazareth (villaggio che all’epoca probabilmente non esisteva ancora), secondo l’affascinante ricostruzione che il biblista Mauro Biglino fornisce insieme a Francesco Esposito, studioso del cristianesimo delle origini. Ne parlano nell’avvincente saggio “Dei e semidei”, che esplora “il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”. A differenza dei negazionisti, anche autorevoli, che escludono categoricamente la reale storicità del personaggio, i due ricercatori sono propensi a credere che quel “rabbi giudeo messianista”, poi trasformato nella fonte stessa del successivo cristianesimo, sia realmente esistito. Doveva essere un individuo temerario, capace di sfidare il peggior potere: cioè le armi dei colonialisti romani e quelle dei loro alleati e collaborazionisti, i vari Erode e la potente casta sacerdotale del Sinedrio di Gerusalemme. Caduto il Tempio nel 70 dopo Cristo, quella stessa nomenklatura (che era stata capace di denunciare a Pilato il rivoltoso) finirà poi per trasferirsi a Roma, ottenendo di beneficiare di una vita dorata tra i lussi della capitale, come premio per aver ceduto all’impero l’ingente tesoro ebraico, mettendo così fine a ogni ulteriore tentativo di insurrezione nazionalistica. E proprio Roma, secoli dopo, diverrà la capitale della nuova religione.“Dei e semidei” esplora lo strano rapporto tra il futuro “Cristo” e Giovanni Battista, di cui era forse cugino. Entrambe le madri, Maria ed Elisabetta, erano rimaste incinte dopo aver incontrato “l’arcangelo Gabriele”, cioè il Ghevèr-El (ambasciatore di un El, personaggio in carne e ossa), che secondo il teologo e cardinale Jean Daniélou verrà poi chiamato “spirito santo”, nel corso della plurisecolare spiritualizzazione con cui le religioni hanno deformato gradualmente il testo biblico, ex-post, fino a introdurvi elementi mistici del tutto assenti nella versione letterale. Nell’ebraico originario, infatti, non esiste neppure la parola Dio, né l’idea stessa di divinità universale onnisciente, così come non c’è traccia dei concetti di eternità, spirito, onnipotenza. L’Antico Testamento racconta semplicemente la storia del patto stipulato tra la sola tribù di Giuda, uno dei 12 figli di Giacobbe-Israele, e l’El chiamato Yahwè, uno dei tanti Elohìm presenti nel testo. Quello che compare per primo, presentandosi ad Abramo, si fa chiamare El-Shaddài, cioè “signore della steppa” secondo la prestigiosa École Biblique di Gerusalemme, fiore all’occhiello dell’esegesi domenicana. In altri passi della Bibbia viene citato Elyòn, il capo supremo, che a un certo punto ammonisce gli Elohìm in assemblea: fate gli arroganti solo perché siete potenti e molto longevi, ma – li avverte – un giorno morirete anche voi, proprio come gli umani.Sempre la Bibbia parla spesso degli “angeli”, i messaggeri degli Elohìm. In ebraico, sono i “malachìm”. Il greco traduce correttamente il termine “malàch” con “ànghelos”, portaordini, mentre il latino – anziché adeguarsi al greco, (magari con il termine “legatus”?) – preferisce coniare il neologismo “angelus”, importandolo direttamente dalla lingua greca senza tradurlo, e preparandosi poi – nell’iconografia successiva – a sfornare angioletti alati e asessuati. Paolo di Tarso, l’inventore del cristianesimo, è il primo a scrivere – nelle sue lettere – che è meglio che le ragazze si coprano i capelli, nelle assemblee in cui sono presenti “gli angeli”, perché quei tizi poco raccomandabili non vanno tanto per il sottile, con le donne giovani. Le successive traduzioni bibliche tradiranno il testo in modo sconcertante: gli angeli cominceranno ad “apparire e scomparire”, persino a “volare con leggerezza”, quando invece la Bibbia scrive che erano fatti come noi, sudavano e soffrivano, e li si vedeva arrivare arrancando, “sfatti di fatica”. I cosiddetti arcangeli? Dal greco: angeli-capi. I “Gabriele”, per esempio: essere un “Ghevèr-El” significava avere la statura di un pezzo da novanta, che gestisce il potere per conto di un El. Fu proprio un “Gabriele”, forse addirittura lo stesso, a ingravidare (come, non si sa) prima Elisabetta e poi Maria.I loro figli, Giovanni e Yehoshua (Giosuè) secondo i Vangeli si incontrano e si conoscono benissimo: hanno lo stesso mandato, o funzioni parallele? Forse il primo ha un’investitura sacerdotale (discendente da Aronne), mentre l’altro politica, davidica (ereditata da Israele). Nelle acque del Giordano, Giovanni battezza i giudei zeloti, cioè i membri della fazione ostile ai romani: lo si capisce dai loro nomi. Ed è uno strano battesimo: razza di vipere, li chiama. E li avverte: se non cambiate subito mentalità, per voi la scure è già pronta, e i vostri corpi bruceranno nella Gheenna, o meglio il Ghe-Hinnom (la discarica lungo il torrente Hinnom, dove venivano gettati e arsi i cadaveri dei guerrieri sconfitti). In un mondo come quello giudeo, ultra-materiale e privo di qualsiasi cognizione di spiritualità – è la tesi del libro – sembra lecito domandarsi se, più che redimere “anime”, a Giovanni non interessasse reclutare guerriglieri: l’elenco dei loro “peccati”, infatti, è una sfilza di crimini cruenti (peraltro quasi esibiti, rivendicati con fierezza). Preparativi di una rivolta?Così dovette vederla Erode, che non ci pensò due volte: prima che fosse troppo tardi, fece decapitare il sedizioso “battista”. Di fronte alla cui morte, il suo alter ego Yehoshua-Giosuè pensò che era meglio cambiare aria. I testi evangelici dicono che si ritirò “nel deserto”, cioè sulle alture della Galilea, per 40 giorni. Ma probabilmente – secondo Biglino ed Esposito – la pausa di riflessione durò anni. Al suo ritorno, poi, ci mise poco e reclutare gli ex discepoli di Giovanni. Lo conoscevano già e in fondo lo aspettavano, per il grande momento: rovesciare finalmente la corrotta oligarchia del Sinedrio, che aveva svenduto il paese ai romani in cambio dei privilegi concessi dal potere imperiale. Il primo tentativo doveva essere fallito, con la cacciata dei mercanti dal Tempio. Il secondo, quello decisivo, fu preparato con l’ipotetica “resurrezione” di Lazzaro a Betania, paese d’origine della Maddalena. Il crisma del messia? Forse proprio questo doveva emergere, nell’evento raccontato come miracoloso: alla portata solo di un profeta, cioè un individuo prescelto e autorizzato a parlare e agire in nome di un El. Ma il carisma di Yehoshua, che non bastò a infiammare il popolo (che infatti non lo riconobbe come “mashiàh” e quindi non lo sostenne), fu sufficiente ad allarmare la casta sacerdotale, che provvide a denunciarlo per sbarazzarsene.Poi la storia si appanna, tra possibili doppi giochi: da un lato il presunto traditore Giuda l’Iscariota, e dall’altro l’uomo-ombra, il misterioso Giuseppe d’Arimatea, a sua volta membro del Sinedrio ma segretamente alleato dei “gesuani”, capace di reclamare il corpo del condannato e forse anche di salvargli la vita, tirandolo giù dalla croce in extremis e poi facendolo curare. Ricostruzione coerente? Sì, ma solo se “facciamo finta” che quella storia sia realmente accaduta, dicono Biglino ed Esposito: le tracce disponibili sono davvero esigue e frammentarie. Stando al gioco, gli autori prendono per buoni i Vangeli canonici, facendoli però letteralmente a pezzi: inevitabile, perché offrono versioni lacunose e discordanti, spesso inverosimili. L’ipotetico puzzle si completa solo attingendo ad altri testi, come i Vangeli apocrifi e gli scritti di storici come Giuseppe Flavio. “Dei e semidei” resta una lettura complessa, che procede con la massima cautela in una selva di citazioni, con il supporto di decine di autori e non meno di 90 volumi puntualmente chiamati in causa. «Restiamo nel campo legittimo delle semplici ipotesi», ammettono alla fine i due studiosi, la cui unica sicurezza è «la non certezza del dato tradizionale». Nel corso dei secoli, infatti, la tradizione «ha volontariamente coperto, attraverso sempre più complicate elaborazioni teologiche, quella che può essere una storia semplice e allo stesso tempo affascinante».E’ questo, infatti, il vero cuore del libro: con estrema accuratezza, dimostra come si sia potuti arrivare a fabbricare un culto che ha cambiato la storia dell’umanità, pretendendo di poggiarlo su documenti solidi ma in realtà franosi, se non inesistenti. La vicenda dell’aspirante messia ebraico? Umanissima, e affrontata dagli autori con profondo rispetto. Non senza rilevarne, però, le patetiche contraddizioni – non del messia, ma dei successivi narratori (evidentemente infedeli). Si racconta ad esempio che ad essere giustiziato sul Golgota fu un personaggio fenomenale, sovrumano, capace di ridestare i defunti. Ma chi sarebbe così pazzo – si domandano gli autori – da condannare un individuo capace davvero di resuscitare i morti? Non sarebbe meglio pregarlo, cortesemente, di resuscitare tutti? E allora dove sta l’inghippo? Nella datazione delle opere. Tutti i Vangeli – i cui reali autori restano tuttora sconosciuti – sono di gran lunga successivi alle famose lettere di Paolo, vero punto di partenza della nuova fede. A coniare quella religione, decenni dopo la crocifissione, è stato l’autoproclamatosi apostolo di Tarso, che però il messia non l’aveva mai conosciuto. Va da sé che i “gesuani”, gli autentici seguaci di Yehoshua, andassero su tutte le furie, nello scoprire che Paolo spacciava per vera una storia che s’era inventato da capo a piedi. Da quella narrazione di fantasia, purtroppo, nacquero in seguito i testi evangelici.Davvero uno strano cristiano, San Paolo: un perfetto politeista. «Sappiamo che vi sono molti dèi», scrive, «ma noi ne seguiamo uno solo». Dunque la sua era monolatria, non certo monoteismo. Ebreo colto, Paolo conosceva la Bibbia. Ma sapeva che il pubblico delle sue lettere – greco e romano – non sapeva leggere l’ebraico. E così ebbe buon gioco nell’inventare la fiaba che sarà poi Sant’Agostino a perfezionare. Si racconta infatti che Adamo ed Eva fossero addirittura immortali, prima del peccato originale. Si sa perfettamente che non è vero, e gli ebrei sanno anche che – nell’Antico Testamento – il peccato originale non esiste: la cacciata dall’Eden è preventiva, non punitiva, dopo che Adamo ed Eva hanno scoperto di poter avere una loro discendenza virtualmente autonoma dai guardiani del “giardino”. Ma peggio: Paolo di Tarso si mette a parlare del rabbi messianista (che non ha mai conosciuto) raccontando che aveva a cuore le sorti dell’intera umanità, non solo quella del suo popolo. Nasce qui il primo germe del geniale universalismo cattolico: la speranza della vita eterna offerta a tutti, indistintamente, proviene dall’esclusiva creatività letteraria di Paolo. Ed è qui che il contrasto coi “gesuani”, indignati, diventa insanabile: chi ha vissuto con Giosuè, standogli accanto fino alla fine, non può tollerare che sul suo conto vengano impunemente spacciate simili fandonie.Ma neppure Paolo arriva, da subito, all’idea della resurrezione: vi perviene in corso d’opera, per necessità, quando – con crescente impazienza – i nuovi fedeli gli chiedono come mai il famoso messia non sia ancora tornato, instaurando il nuovo regno (terreno) che aveva promesso, dandolo per imminente. Al che, il teorico del cristianesimo comincia a parlare di “regno dei cieli”, garantendo la sicura resurrezione anche dei primissimi fedeli, nel frattempo defunti insieme alla loro speranza di fare in tempo a veder ritornare, gloriosamente, il “salvatore”. La cui identità ufficiale, comunque – aggiungono sempre Biglino ed Esposito – verrà definita soltanto tre secoli dopo, al Concilio di Nicea, nel quale sarà l’imperatore Costantino a imporre un canone teologico univoco ai tanti cristianesimi dell’epoca. La religione imperiale nasce quindi politicamente, per votazione: dopo aver tentato di sbarazzarsene con le persecuzioni (4-5.000 vittime), il potere romano ha capito che è meglio farseli amici, i cristiani, dal momento che sono destinati a conquistare il popolo, essendo gli unici a promettere a tutti l’impensabile, cioè la resurrezione dalla morte.Nei primi due secoli, però, l’antico rabbi messianista ebraico – nel frattempo ribattezzato Gesù Cristo – è tante cose insieme, l’una in contraddizione con l’altra: risorto o non risorto, morto sulla croce o non morto, figlio di Dio o emanazione di Dio stesso, oppure un semplice profeta, o meglio ancora un semidio come tanti. «In passato ne furono inviati sulla terra anche 70 per volta», scrive Celso, citando i cristiani (che combatte). Un autore ultra-cristiano come il filosofo e poi martire Giustino, futuro Padre della Chiesa, spiega invece all’imperatore Antonino Pio che, in fondo, Gesù di Nazareth è fatto della stessa pasta di tutti gli altri semidei: «Non è che uno dei tanti figli di Zeus», nientemeno. Tracce evidenti, annotano Biglino ed Esposito, del lungo viaggio – da Oriente a Occidente – compiuto dalle cosiddette “sacre scritture”, incessantemente ritoccate e manipolate, fino al medioevo, per adeguarle agli umori culturali delle varie epoche. Atto d’inizio: il ritorno del popolo ebraico dall’esilio babilonese, all’alba del 500 avanti Cristo. Già allora si rompe l’integrità della tradizione mosaica, strettamente materialista, quando nutriti gruppi di ebrei – anziché tornare in Palestina – si disperdono ai quattro angoli del Mediterraneo, assorbendo gradualmente la cultura ellenistica, impregnata di filosofia greca.Il colpo più grave alla tradizione veterotestamentaria è inferto dalla Bibbia dei Settanta, redatta nel III secolo avanti Cristo dagli ebrei riparati in Egitto nella colonia ellenica di Elefantina: scritta in greco e destinata al pubblico non ebreo, la Septuaginta inaugura la consuetudine delle traduzioni più arbitrarie e spericolate, spiritualizzando il testo, in un’operazione che poi contaminerà la stessa Bibbia in latino. Ancora oggi, per molte comunità ebraiche come quelle italiane, il lavoro dei Settanta è considerato «una disgrazia, per l’umanità». E’ in quelle pagine, infatti, che il Khavod (il velivolo bellico di Yahwè) diventa “doxa”, insegnamento, mentre il Ruach (astronave?) si trasforma magicamente in “pneuma”, spirito. A suggerire l’ipotesi delle “macchine volanti”, pericolose e fragorose, Biglino arriva per deduzione, leggendo in modo coerente il contesto degli episodi narrati nell’Antico Testamento, in cui questi “oggetti misteriosi” agiscono. In ogni caso, in ebraico – alla lettera – Khavòd significa “pesante”, e Ruach “vento”. Eppure, con la Septuaginta, si dà fiato alle traduzioni di fantasia (anima, conoscenza) in omaggio alla cultura egemonica dell’ellenismo, in un paesaggio dominato da divinità olimpiche e mitologie letterarie, platonismo filosofico e spiritualità misterica e gnostica.Tutte espressioni culturali estranee all’ebraismo originario, adottate – con la riscrittura integrale della Bibbia – per indurre egiziani, romani e greci ad accettare gli ebrei della diaspora come depositari di una tradizione culturale altrettanto antica, e per di più allineata alla temperie religiosa del momento. Nulla, comunque, in confronto alla surreale distorsione teologica dell’Antico Testamento condotta per quasi un millennio, dai primi secoli fino al medioevo, dai Padri della Chiesa. Erano alle prese con una missione impossibile: far discendere “Gesù” dal presunto “Dio unico” dell’Antico Testamento. «Come ci sono riusciti? Facendo come se la Bibbia non esistesse proprio, cioè infischiandosene del contenuto ebraico e del suo significato originario», spiegano Biglino ed Esposito. Stessa sorte per Giosuè, alias Yehoshua di Gàmala, cittadina del Golan forse depennata fin dall’inizio per allontanare collegamenti indesiderati, visto che proprio Gàmala – roccaforte degli zeloti anti-romani – era stata un importante centro della resistenza militare ebraica contro l’invasione imperiale.Nessun rispetto, sottolineano gli autori di “Dei e semidei”, per il futuro protagonista dei Vangeli. E’ stato infatti impunemente trasformato, all’occorrenza, da rabbi giudeo messianista a salvatore del mondo, passando attraverso stadi intermedi: “logos” gnostico, oppure rassicurante semidio, perfettamente sovrapponibile alle altre divinità del periodo, adorate dai pagani, allora largamente maggioritari. La situazione si sarebbe invertita solo con l’Editto di Teodosio del 380 dopo Cristo, quando i neo-cristiani avrebbero potuto cominciare a perseguitare con ferocia, anche compiendo stragi efferate, i seguaci del paganesimo. I nodi, comunque, secondo Esposito e Biglino stanno venendo al pettine, sia pure con lentezza. Uno dei “cerotti” storicamente usati per tenere insieme Antico e Nuovo Testamento si è appena scollato: è il caso della presunta profezia “cristica” di Isaia, in realtà inesistente, con cui si pretendeva di sostenere che la Bibbia ebraica anticipasse l’avvento del redentore.“La vergine concepirà”, si traduceva fino a ieri, lasciando intendere che il sommo profeta ebraico alludesse a Maria e Gesù. Ora è emersa anche ufficialmente la traduzione corretta, recepita in primis dai vescovi tedeschi: “La ragazza è incinta”, si legge ora. Dunque non era vergine (si scriverebbe “betulà”, in ebraico), ma semplicemente giovinetta (“almà”, come infatti è scritto), e aveva il concepimento già alle sue spalle. Non era Maria, infatti, la donna citata da Isaia, ma una fanciulla vissuta secoli prima, di nome Abià, da cui si sperava nascesse un bambino destinato a trasformarsi in liberatore politico di Israele. Chi era, invece, il vero Yehoshua di Gàmala, meglio noto come Gesù di Nazareth? Certo non il personaggio che è stato raccontato, ovvero fabbricato. E questa è l’unica certezza di Biglino ed Esposito. Che si congedano dal lettore regalandogli un ultimo dubbio, dedicato all’arcangelo Gabriele: siamo proprio così sicuri che il futuro Cristo non fosse davvero un semidio, come tanti altri dell’antichità, discesi sulla terra “anche in numero di 70 alla volta”, come ricordava Celso? Erano tutti mezzosangue: nati in modo anomalo, con un genitore terrestre e l’altro celeste, o comunque non umano. Valoroso e sfortunato, “Gesù”, come gli eroi omerici figli di uomini e dèi, formidabili ma non immortali?(Il libro: Mauro Biglino e Francesco Esposito, “Dei e semidei. Il Pantheon dell’Antico e del Nuovo Testamento”, UnoEditori, 340 pagine, euro 16.90).Non credeva nella vita dopo la morte, come del resto nessuno dei suoi, e non si sognò mai di fondare un culto. Finì sulla croce per sedizione, ma non aveva 33 anni: era ben oltre la quarantina (probabilmente era nato 43 anni prima). Voleva il riscatto dell’umanità? Niente affatto: tutto quello che gli interessava era liberare il suo popolo dalla dominazione imperiale, ma gli è andata male. Morto e risorto? Nemmeno: fu tramortito probabilmente con la mandragora raccomandata da Ippocrate. Di quella pozione speciale, già usata come anestesia dai proto-chirurghi, doveva essere imbevuta la “spongia soporifera” con cui si dissetò, un istante prima di perdere conoscenza. Poté così essere calato dal patibolo senza che gli venissero spezzate le ginocchia, cosa che gli sarebbe costata la vita. Fu quindi curato, nel finto sepolcro, con un’overdose da 45 chili di farmaco: una potentissima mistura a base di aloe, usata non per i defunti ma per i feriti in battaglia. Dopodiché, in capo a 36 ore (non tre giorni) fu estratto dalla grotta da due individui che, per raggiungerlo, avevano spostato a fatica la pesante pietra che ne ostruiva l’ingresso. Ancora malconcio, sorretto dai due misteriosi soccorritori, sparì in una “nube” di luce: esattamente come l’eroe Prometeo nonché lo stesso Romolo (il fondatore di Roma, figlio di Marte e della comune mortale Rea Silvia). “Rapito” dalla nuvola luminosa, come tutti gli altri semidei dell’antichità?
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Migranti d’oro: finanziare la disperazione “vale” 445 miliardi
È una domanda che tutti, almeno una volta, ci siamo posti: chi finanzia i costosi viaggi della morte che spingono migliaia di disperati su imbarcazioni di fortuna, tra mille peripezie e l’incognita dell’approdo? Molti giornalisti si sono impegnati nella ricostruzione dei calvari degli emigranti per arrivare al porto di partenza, delle condizioni schiavistiche cui sono sottoposti dalla criminalità locale. Ma rimane irrisolto il tassello iniziale di queste tragiche diaspore, ossia la disponibilità di somme di denaro ragguardevoli, esorbitanti se rapportate al tenore di vita locale, per intraprendere il viaggio. Le inchieste in merito sono limitate e le nostre domande cadono nel vuoto. Nel cercare di comprendere questo enigmatico fenomeno ci viene in aiuto uno studio condotto dalla sociologa Maryann Bylander in Cambogia tra il 2008 il 2010. Analizzando la frequenza e le modalità di emigrazione della popolazione si scopre una correlazione diretta tra espansione del microcredito e aumento dei flussi migratori verso l’estero. Stesso nesso si riscontra in un altro Stato del Terzo Mondo, il Bangladesh, paese di origine di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia (oltre 10.000 nel solo 2017).
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L’infame guerra di Bergoglio, che ora insulta la democrazia
Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.Scomunicandoli, Bergoglio si è lanciato in uno spericolato paragone tratto dalla propaganda corrente, tra il sovranismo di oggi e il nazismo e la guerra di ieri e di domani. Sarebbe come accusare di comunismo antioccidentale o di complicità col fanatismo islamico chiunque voglia far sbarcare i clandestini e imporne l’accoglienza. Un processo alle intenzioni senza fondamento. Del resto quante guerre recenti sono state combattute nel nome della pace e del Bene contro le potenze del Male; quante guerre pacifiste, quanti stermini umanitari, quante bombe progressiste sganciate sulle popolazioni, quante invasioni a fin di bene, quanti maltrattamenti e respingimenti democratici di immigrati clandestini. Fu il democratico e pacifista Kennedy a far la guerra in Vietnam e a sfiorare la guerra a Cuba con l’Urss; toccò al “cattivo conservatore” Nixon chiudere la sciagurata guerra in Vietnam e dialogare col comunismo cinese.Con la sua dichiarazione di guerra ai sovranisti, Bergoglio ha compiuto tre atti ostili in uno: ha offeso i cattolici che liberamente votano per i “sovranisti” riducendoli a potenziali seguaci di Htler e nemici dell’umanità e della cristianità, erigendo così un muro d’odio e disprezzo nei loro confronti; proprio lui che dice di voler abbattere tutti i muri ne ha eretto uno gigantesco, insormontabile. Ha poi schiacciato la Chiesa su un versante politico a fianco di movimenti, governi e organi laicisti, atei, massonici, di sinistra radicale o all’opposto filo-islamici, comunque avversi alla cristianità e ai suoi valori, alla civiltà cattolica e alla famiglia cristiana. E si è schierato con l’Europa anticristiana degli eurocrati, con l’establishment laicista e col peggior capitalismo finanziario, contraddicendo anche il suo populismo cristiano-terzomondista. Peraltro Bergoglio deve ancora raccontarci che rapporti ebbe con la dittatura argentina quando era influente prelato in patria.I catto-bergogliani sono insorti con livore e disprezzo (ma sempre in nome della carità) contro chi muove queste obiezioni al Papa, accusandoli d’insolenza. E’ ridicolo che questi cattolici progressisti ricorrano al dogma dell’infallibilità del Papa e si trincerino dietro quel principio di autorità che hanno calpestato fino a ieri, diciamo fino a che era Papa Ratzinger. Il problema è opposto: non è chi critica le dichiarazioni politiche di Bergoglio a mettersi al di sopra del Papa, ma è Bergoglio a scendere al di sotto del suo ruolo di Papa, fino a usare strumenti della propaganda politico-mediatica di sinistra che accusa di nazismo chiunque non la pensi come loro. Un vero Pontefice dovrebbe innalzare ponti e non steccati, dovrebbe porsi al di sopra delle parti e delle ideologie, esortare a trovare un punto di sintesi, sforzandosi di salvare un nucleo di verità in ciascuna delle parti in campo. Per i catto-bergogliani la verità del Vangelo e della cristianità non è quella trasmessa da duemila anni di tradizione cristiana, di fede, dottrina, esempio di santi e teologi, di papi e martiri. Ma è solo nella lettura che ne fa ora Bergoglio in un volo pindarico dal cristianesimo delle origini al Concilio Vaticano II, con un breve scalo francescano. Il resto è cancellato.È puerile e riduttiva questa rappresentazione manichea del Bene e del Male. I mali di cui è infestata la società sono molteplici, evidenti e remoti dal sovranismo: la droga e la criminalità derivata, il terrorismo e il fanatismo, la persecuzione dei cristiani nel mondo, la delinquenza diffusa e il traffico di bambini, di uteri, di organi, di donne, di migranti, solo per citarne alcuni. Mali rispetto a cui il sovranismo è considerato da molti come argine e antidoto. Elevando il sovranismo a male sovrano dell’epoca, passano in sordina questi mali globali, coi loro agenti e alleati. In un mondo dominato dall’ateismo e minacciato dall’islamismo, Bergoglio addita come nemico principale il sovranismo e come suo gesto di massimo sfregio l’esibizione del rosario. Intanto la civiltà cristiana e la fede cristiana vengono cancellate dalla vita pubblica e privata, le chiese, i fedeli e le vocazioni sono in caduta libera, il senso religioso sparisce nell’orizzonte della gente; ma quel che conta è la mobilitazione umanitaria pro-migranti e resistenza contro un presunto pericolo nazista. E intanto i cattolici praticanti in Europa, una volta esclusi i sovranisti, si riducono all’otto per mille della popolazione…(Marcello Veneziani, “Bergoglio va alla guerra” dal numero 38 di “Panorama”, ripreso dal blog di Veneziani).Condannando senza appello il sovranismo e accostandolo alla guerra e al nazismo, Papa Bergoglio ha fatto nell’agitato clima d’agosto una dichiarazione di guerra mondiale nel nome della pace e dei migranti. Non ha solo scomunicato Salvini e benedetto la santa alleanza tra grillini e Pd, come molti hanno sottolineato, ma ha colpito tutti i sovranisti del mondo, da Trump a Putin, dal nazionalista indiano Modi al cattolico Orban e al brasiliano Bolsonaro che guida il paese cattolico più popoloso al mondo. Non ricordo un’accusa politica così radicale ed esplicita da parte di un Papa, almeno negli ultimi settant’anni con un paragone così infamante col nazismo e la guerra. Per trovare un vago precedente bisogna risalire alla scomunica di Papa Pio XII, nell’estate del 1949, nei confronti dei comunisti. Ma il comunismo era un regime totalitario e ateo in atto, perseguitava i credenti e i dissidenti, soffocava nel sangue e nel gulag la libertà. Qui siamo a una scomunica a priori nei confronti di leader e movimenti popolari, democratici e liberamente eletti che non si sono macchiati di alcun crimine e non hanno fatto nessuna azione o dichiarazione ostile verso la fede, la Chiesa e i credenti.
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Cacciari: manovra indecente. Ma l’inciucio piace al Vaticano
«E’ una manovra indecente» l’accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd. Massimo Cacciari, in una intervista a “Il Giorno”, stronca l’asse tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio: «Trovo surreale che, dopo aver sparato a palle incatenate per anni, essersi insultati, essersene dette di tutti i colori, adesso Pd e 5 Stelle cerchino accordi senza aver fatto un minimo di autocritica. Non erano dei populisti terribili? E allora perché tentare un governo assieme? Qualche passo per fare in modo che non appaia una manovra di Palazzo mi parrebbe opportuno». Non la pensa così padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, braccio destro di Papa Francesco: per il responsabile della rivista dei gesuiti, è bene che Salvini venga espulso dalla scena politica italiana. Padre Spadaro accusa il leader della Lega per «il modo di trattare la questione migratoria, le numerose manifestazioni di chiusura e di grettezza», ma anche «il discorso politico ridotto a contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo», nonché «il linguaggio d’odio sdoganato, l’uso dei simboli religiosi per la propaganda». Rincara la dose, Antonio Spadaro: «Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale».Bene, per Spadaro, un’alternativa di governo per evitare il voto anticipato: «Stanno percorrendo la strada giusta», dice Spadaro, pensando a Renzi e Grillo, Zingaretti e Di Maio. Il Movimento 5 Stelle «ha vissuto una stagione di smarrimento, a contatto con la macchina elettorale salviniana». Ora, con il Pd, i grillini dovranno trovare «un punto di sintesi sul quale lavorare». Rottamato l’impresentabile Conte, con quale premier nascerebbe il nuovo esecutivo anti-Salvini, posto che si evitino le elezioni anticipate? Secondo Luigi Bisignani, Mattarella vorrebbe una donna premier, «possibilmente Marta Cartabia», la vicepresidente della Corte Costuzionale «che coccola da anni», mentre il suo braccio destro al Quirinale, Ugo Zampetti, anch’esso proveniente dalla sinistra Dc e intenzionato a riportare il Pd al governo, «sta facendo carte false per spingere il suo intimo sodale, Enrico Giovannini». Stando a Bisignani, Mattarella e Zampetti lavorano per mettere in piedi un governo che duri fino alle prossime elezioni presidenziali del 2022. A quel punto, il candidato in pole position per il Quirinale sarebbe Mario Draghi? Solo Berlusconi – tramite Sallusti – lo ha lanciato nel toto-nomine per Palazzo Chigi: puntando al Colle, Draghi sa benissimo che la guida di un governo “lacrime e sangue” non sarebbe certo un buon viatico per diventare poi capo dello Stato.Intanto, l’inattesa “crisi di ferragosto” pare stia facendo male a Matteo Salvini: secondo un sondaggio Winpoll commissionato dal “Sole 24 Ore”, la Lega passerebbe dal 38,9% del 30 luglio al 33,7%, perdendo così più di cinque punti. Il Movimento 5 Stelle e il Pd di Zingaretti sarebbero in risalita, anche se nessuno dei due beneficia significativamente dell’ipotetico calo del Carroccio. In proporzione, cresce di più Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Intenzioni di voto a parte, il 41% degli elettori vorrebbe tornare al voto in autunno, come invocato da Salvini. «Questo dato nasconde però una netta differenza tra destra e sinistra», osserva Roberto D’Alimonte: «Solo il 21% degli elettori del Pd vorrebbero le urne mentre il 62% preferisce un governo con il M5S». Dall’altra parte, «l’83% degli elettori della Lega vogliono le elezioni, insieme a quelli di Fdi e di Forza Italia». Gli elettori grillini invece si collocano a tentà strada: «Solo il 22% vuole il voto in autunno, mentre il 43% preferisce un governo con il Pd. Questi ultimi non sono la maggioranza assoluta, ma non sono pochi, e fino a poche settimane fa erano molti meno», aggiunge D’Alimonte. «Sono pochissimi invece gli elettori della Lega (solo il 7%) che preferiscono tornare al governo con i 5 Stelle, e altrettanto pochi sono gli elettori M5S (16%) che vorrebbero tornare con la Lega».«E’ una manovra indecente» l’accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd. Massimo Cacciari, in una intervista a “Il Giorno”, stronca l’asse tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio: «Trovo surreale che, dopo aver sparato a palle incatenate per anni, essersi insultati, essersene dette di tutti i colori, adesso Pd e 5 Stelle cerchino accordi senza aver fatto un minimo di autocritica. Non erano dei populisti terribili? E allora perché tentare un governo assieme? Qualche passo per fare in modo che non appaia una manovra di Palazzo mi parrebbe opportuno». Non la pensa così padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, braccio destro di Papa Francesco: per il responsabile della rivista dei gesuiti, è bene che Salvini venga espulso dalla scena politica italiana. Padre Spadaro accusa il leader della Lega per «il modo di trattare la questione migratoria, le numerose manifestazioni di chiusura e di grettezza», ma anche «il discorso politico ridotto a contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo», nonché «il linguaggio d’odio sdoganato, l’uso dei simboli religiosi per la propaganda». Rincara la dose, Antonio Spadaro: «Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale».
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Scandalosi Clinton: 50 testimoni morti, Epstein è l’ultimo
Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.1. James McDougal – Il socio dei Clinton condannato per il caso Whitewater era morto per un apparente attacco cardiaco mentre si trovava in isolamento. Era un testimone chiave nelle indagini di Ken Starr. 2. Mary Mahoney – Una ex stagista della Casa Bianca, era stata assassinata nel luglio 1997 in una caffetteria Starbucks a Georgetown. L’omicidio era avvenuto subito prima che rendesse di pubblico dominio il fatto di avere subito molestie sessuali alla Casa Bianca. 3. Vince Foster – Ex consigliere della Casa Bianca e collega di Hillary Clinton presso lo studio legale Rose di Little Rock. Era morto per una ferita da arma da fuoco alla testa, risolta come suicidio. 4. Ron Brown – Segretario al Commercio ed ex presidente del Dnc [Comitato Nazionale Democratico]. La causa ufficiale della morte era stata impatto da incidente aereo. Un patologo che aveva partecipato alle indagini aveva riferito che c’era un buco nella parte superiore del cranio di Brown molto simile ad un ferita da arma da fuoco. Al momento della sua morte, Brown era sotto indagine e non aveva fatto segreto della sua volontà di concludere un accordo con gli inquirenti. Erano morti anche tutti gli altri passeggeri dell’aereo. Pochi giorni dopo, il controllore del traffico aereo si era suicidato.5. C. Victor Raiser, II – Raiser, uno dei principali responsabili dell’organizzazione per la raccolta fondi dei Clinton, era morto nella caduta di un aereo privato, nel luglio 1992. 6. Paul Tulley – Direttore politico del Comitato Nazionale Democratico era stato trovato morto in una stanza d’albergo a Little Rock, nel settembre 1992. Descritto dai Clinton come “caro amico e consigliere fidato”. 7. Ed Willey – Responsabile della raccolta fondi per i Clinton, era stato trovato morto nel novembre 1993 in un bosco della Virginia, con una ferita da arma da fuoco alla testa. Risolto come suicidio. Ed Willey era morto lo stesso giorno in cui sua moglie, Kathleen Willey, aveva affermato che Bill Clinton l’aveva palpeggiata nello Studio Ovale della Casa Bianca. Ed Willey era stato coinvolto in numerosi eventi di raccolta fondi per i Clinton. 8. Jerry Parks – Capo della squadra di sicurezza governativa di Clinton a Little Rock. Ucciso con un’arma da fuoco mentre era in macchina in un incrocio deserto fuori Little Rock. Il figlio di Parks aveva riferito che il padre stava allestendo un dossier su Clinton. Aveva presumibilmente minacciato di rendere pubbliche queste informazioni. Dopo la sua morte, i documenti erano misteriosamente spariti dalla sua abitazione.9. James Bunch – Deceduto per suicidio da arma da fuoco. Sembra possedesse un “libro nero” contenente i nomi di persone influenti che frequentavano prostitute in Texas ed Arkansas. 10. James Wilson – Era stato trovato morto nel maggio 1993, apparentemente si era suicidato impiccandosi. Sembra avesse legami con il caso Whitewater. 11. Kathy Ferguson – Ex moglie del poliziotto dell’Arkansas Danny Ferguson, era stata trovata morta nel maggio 1994 nel salotto di casa sua, uccisa con un colpo di pistola alla testa. Era stato considerato un suicidio, anche se c’erano diverse valigie piene, come se la donna fosse stata in procinto di recarsi altrove. Danny Ferguson era un co-imputato, insieme a Bill Clinton, nella causa intentata da Paula Jones. Kathy Ferguson era una possibile testimone a favore di Paula Jones. 12. Bill Shelton – Agente della polizia di Stato dell’Arkansas e fidanzato di Kathy Ferguson. Scettico sul suicidio della sua fidanzata, era stato trovato morto nel giugno 1994 per una ferita da arma da fuoco e si era stabilito che si era suicidato sulla tomba della sua fidanzata. 13. Gandy Baugh – Avvocato dell’amico di Clinton, Dan Lassater, era morto nel gennaio 1994 lanciandosi da una finestra di un alto edificio. Il suo cliente era un distributore di droga già condannato.14. Florence Martin – Ragioniera e subappaltatrice per la Cia, era legata al caso Barry Seal, Mena, Arkansas, un caso di traffico di droga all’aeroporto. Era morta per tre ferite da arma da fuoco. 15. Suzanne Coleman – Secondo quanto riferito, aveva avuto una relazione con Clinton quando quest’ultimo era procuratore generale dell’Arkansas. Era morta per una ferita da arma da fuoco alla nuca, risolta come suicidio. Al momento della morte era incinta. 16. Paula Grober – Traduttrice simultanea di Clinton per i non udenti, dal 1978 fino alla sua morte, il 9 dicembre 1992. Era morta in un incidente automobilistico. 17. Danny Casolaro – giornalista investigativo, indagava sull’aeroporto di Mena e sull’organo per il finanziamento dello sviluppo dell’Arkansas. Si era tagliato i polsi, apparentemente nel bel mezzo della sua indagine. 18. Paul Wilcher – L’avvocato che indagava sulla corruzione all’aeroporto di Mena con Casolaro e sula “sorpresa di ottobre” del 1980, era stato trovato morto in bagno, il 22 giugno 1993, nel suo appartamento di Washington Dc. Aveva consegnato un rapporto a Janet Reno tre settimane prima della sua morte.19. Jon Parnell Walker – Investigatore del caso Whitewater per la Resolution Trust Corporation. Era morto gettandosi dal balcone del suo appartamento di Arlington, in Virginia, il 15 agosto 1993. Stava indagando sullo scandalo Morgan Guaranty. 20. Barbara Wise – Collaboratrice del Dipartimento del Commercio. Aveva lavorato a stretto contatto con Ron Brown e John Huang. Causa del decesso: sconosciuta. Era morta il 29 novembre 1996. Il suo corpo nudo e pieno di lividi era stato trovato chiuso a chiave nel suo ufficio, presso il Dipartimento del Commercio. 21. Charles Meissner – Sottosegretario al Commercio, che aveva concesso a John Huang il nulla osta di sicurezza, era morto poco dopo in un incidente aereo. 22. Dr. Stanley Heard – Presidente del Comitato Consultivo Nazionale per la Terapia Chiropratica era morto con il suo avvocato, Steve Dickson, in un incidente aereo. Il dottor Heard, oltre a prestare servizio nel consiglio consultivo dei Clinton, aveva curato personalmente la madre, il patrigno e il fratello di Clinton. 23. Barry Seal – Un pilota della Twa che contrabbandava droga dall’aereoporto di Mena, Arkansas, la sua morte non è stata casuale [assassinato il 19 febbraio 1986].24. Johnny Lawhorn, Jr. – Meccanico, aveva trovato un assegno intestato a Bill Clinton nel bagagliaio di un’auto lasciata nella sua officina. Era stato trovato morto dopo che la sua macchina aveva colpito un palo della luce. 25. Stanley Huggins – Indagava sulla Madison Guaranty Savings and Loan Association. La sua morte era stata dichiarata un presunto suicidio e il suo rapporto non era mai stato pubblicato. 26. Hershell Friday – Avvocatessa e responsabile della raccolta fondi per Clinton, era morta il 1° marzo 1994, quando il suo aereo era esploso. 27. Kevin Ives e Don Henry – Noto come il caso dei “ragazzi che avevano trovato una pista”. I rapporti dicono che due i ragazzi potrebbero essersi imbattuti nel traffico di droga dell’aeroporto di Mena, Arkansas. Un caso controverso, secondo il rapporto iniziale della morte, i due ragazzi si sarebbero addormentati sui binari della ferrovia. Rapporti successivi avevano stabilito che i due giovani erano stati uccisi prima di essere messi sulle rotaie. Molte persone legate al caso erano morte prima che la loro testimonianze potessero arrivare davanti al Gran Giurì.Queste persone avevano informazioni sul caso Ives/Henry: 28 – Keith Coney: era morto quando, con la sua moto, aveva tamponato un camion, luglio 1988. 29 – Keith McMaskle: deceduto, pugnalato 113 volte, novembre 1988. 30 – Gregory Collins: morto per una ferita da arma da fuoco nel gennaio 1989. 31 – Jeff Rhodes: ucciso con un’arma da fuoco, mutilato e trovato bruciato in una discarica nell’aprile 1989. 32 – James Milan: trovato decapitato. Tuttavia, il medico legale aveva stabilito che la sua morte era dovuta a “cause naturali”. 34 – Richard Winters: uno dei sospettati nelle morti di Ives/Henry. Ucciso in una rapina organizzata nel luglio 1989. Anche queste guardie del corpo di Clinton sono morte: 35 – Maggiore William S. Barkley, Jr. 36 – Capitano Scott J. Reynolds. 37 – Sergente Brian Hanley. 38 – Sergente Tim Sabel. 39 – Maggiore Generale William Robertson. 40 – Colonnello William Densberger. 41 – Colonnello Robert Kelly. 42 – Specialista Gary Rhodes. 43 – Steve Willis. 44 – Robert Williams. 45 – Conway LeBleu. 46 – Todd McKeehan. E il più recente, Seth Rich, il collaboratore del Comitato Democratico, assassinato e “derubato” (di niente) il 10 luglio 2016. Il fondatore di Wikileaks, Assange, afferma che Rich era in possesso di informazioni sullo scandalo della posta elettronica del Dnc. In questa lista non sono inclusi i 4 eroi uccisi a Bengasi. Ed ora potete aggiungere all’elenco il multimilionario Jeffrey Epstein…(Jim Hoft, “L’elenco completo delle persone collegate ai Clinton morte in circostanze misteriose o ‘suicidatesi’ prima di testimoniare”, da “Gateway Pundit” dell’11 agosto 2019, post tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.
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Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
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Sei di destra? Allora sei un cretino, oppure un delinquente
Se sei di destra sei deficiente o delinquente. La destra è una massa di deficienti guidata da delinquenti. Anzi a volte basta non essere di sinistra per essere proclamato deficiente o delinquente. Prendi il caso di Jerry Calà. O prendi il caso di Salvini, prototipo dei delinquenti politici nella definizione di Roberto Saviano. Cerchiamo di capire le origini di questa teoria razzista. L’anno scorso, a Macerata, dopo l’orrendo massacro di una ragazza ad opera di spacciatori nigeriani, un giovane fanatico spara alla vetrina di un bar dove ci sono nigeriani. Non ci sono vittime ma il gesto oscura il crimine orrendo che lo ha originato. E non solo. Quel giovane isolato diventa il prototipo dell’uomo di destra, del suprematista bianco o del sovranista nero, diventa l’emblema del mondo di Putin, Trump e Salvini. Gli si dedicano perfino libri per dimostrare che c’è l’uomo “normale” (di destra) dietro il cretino-delinquente. Voltiamo pagina. A Bibbiano si scopre la storia orrenda di bambini strappati ai genitori tra false accuse, menzogne e lavaggi del cervello, padri a cui vengono sottratti i figli perché considerati omofobi, beatificazioni delle coppie lesbiche, affidi sconcertanti, ecc.Una rete criminale che coinvolge onlus, psicologi, assistenti sociali, attivisti lgbt, sindaci del Pd. Ma guai a parlare di sistema. Perché non si dovrebbe elevare Bibbiano, come nel caso di Macerata, a emblema e prototipo della sinistra radical-progressista, politically correct e famigliofoba? Perché un caso isolato a Macerata diventa la prova del razzismo in Italia e serve a criminalizzare chi è di destra e invece un sistema “collettivo” d’intrusione nelle famiglie dev’essere sottratto a ogni generalizzazione politica, ideologica, antropologica? Perché a sinistra sono solo casi isolati, a destra sono prototipi di genere. Se sei di destra sei deficiente o delinquente. Se sei di destra, sei per forza di estrema destra, dunque sei fascista, o di CasaPound, e perciò sei razzista, cioè nazista. Nella reductio sommaria a destra rientra tutto ciò che merita pubblico disprezzo: sovranisti, nazional-populisti, leghisti, conservatori, catto-tradizionalisti, e in genere chiunque sia alleato alla destra o simili. Detto con mirabile sintesi a priori: sono tutti carogne.Per la proprietà transitiva, ogni caso Macerata ti vede moralmente e ideologicamente complice nel crimine. Anzi è la prova che il razzismo, il nazifascismo è alle porte, bisogna perciò mobilitarsi contro il pericolo imminente (benché perpetuo). Nel caso raro e malaugurato tu sia un intellettuale di destra sappi che la definizione è un ossimoro impossibile, inammissibile: se sei intellettuale non puoi essere di destra, e viceversa se sei di destra non puoi essere intellettuale. Dunque sei un impostore o un ignorante. A volte per farti un complimento ti dicono: ma tu sei intelligente, non puoi essere davvero di destra. Sei un fingitore, fingi d’essere di destra per godere di tutti gli svantaggi previsti dalla collocazione. Sei in malafede (e sei per giunta un fesso masochista). Puoi salvarti in extremis solo in tre casi: se sei di destra ma disprezzi ogni destra vigente e soprattutto vincente, se sei di destra ma voti a sinistra, se sei di destra ma sei defunto. Un tempo si procedeva all’eliminazione fisica del dissidente, oggi si prevede l’eliminazione morale, civile, intellettuale, cioè ti considerano morto o mai vissuto.Se qualcuno dal versante opposto ripagasse con lo stesso odio assoluto e militante il loro razzismo etico e ideologico, il risultato sarebbe il seguente. Se sei di sinistra sei deficiente o delinquente, sei per la dittatura, la violenza partigiana e i gulag. Se sei di sinistra sei per forza di estrema sinistra, ergo sei comunista, quindi sei brigatista rosso, terrorista o anarco-insurrezionalista, stai coi violenti dei centri sociali, sei un seguace di Pol Pot, Mao e Stalin. Se leggi Saviano stai coi terroristi islamici. Se leggi la “Repubblica” sei tra lo spacciatore nero e lo psicologo di Bibbiano. Ogni episodio vero o presunto d’abuso, corruzione e violenza attribuito a uno di sinistra ti vede colluso e correo. Bibbiano è il tuo modo di concepire il rapporto genitori-figli, ogni delinquente anarco-comunista conferma la matrice criminale della sinistra intera, ogni violenza di migrante che la sinistra copre, giustifica o minimizza, mostra la tua complicità coi delinquenti. Capisco la tentazione di ripagare la faziosità con la faziosità e di ritorcere gli stessi argomenti, perché in tanti non ce la fanno più a vedere così distorta la realtà e mortificata la dignità di chi non la pensa come loro. Ma così non se ne esce dalla spirale di odio e demenza.Sarà più difficile e impopolare, ma preferisco dire che a destra come a sinistra e altrove, ci sono tanti deficienti e non pochi delinquenti; ma non tutti sono così, c’è anche gente per bene, intelligente e in buona fede. Che essere di destra o di sinistra non comporta automaticamente l’iscrizione all’albo dei mostri, al nazismo o al comunismo, al terrorismo rosso o nero. Che un immigrato delinquente non prova che la sinistra stia sempre coi delinquenti, per la stessa ragione che un aggressore di migranti, gay o donne non è il top model della gente di destra, il suo prototipo. Che si può essere buoni o pessimi padri, madri, nonni e figli sia se si è di destra che se si è di sinistra. Che si può essere intellettuali di destra o di sinistra, senza vergognarsi, quel che conta è la qualità che si esprime; e ci sono più cose in cielo, in terra e nell’intelligenza, che non passano dalla destra o dalla sinistra. Insomma, smettetela di dividere il mondo in due razze. Provate a fare uno sforzo, a non seguire l’incarognimento bilaterale e il rincoglionimento generale e andare oltre. Il comune buonsenso diventa uno sforzo epico, titanico…(Marcello Veneziani, “Cretini o delinquenti”, da “La Verità” del 28 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Se sei di destra sei deficiente o delinquente. La destra è una massa di deficienti guidata da delinquenti. Anzi a volte basta non essere di sinistra per essere proclamato deficiente o delinquente. Prendi il caso di Jerry Calà. O prendi il caso di Salvini, prototipo dei delinquenti politici nella definizione di Roberto Saviano. Cerchiamo di capire le origini di questa teoria razzista. L’anno scorso, a Macerata, dopo l’orrendo massacro di una ragazza ad opera di spacciatori nigeriani, un giovane fanatico spara alla vetrina di un bar dove ci sono nigeriani. Non ci sono vittime ma il gesto oscura il crimine orrendo che lo ha originato. E non solo. Quel giovane isolato diventa il prototipo dell’uomo di destra, del suprematista bianco o del sovranista nero, diventa l’emblema del mondo di Putin, Trump e Salvini. Gli si dedicano perfino libri per dimostrare che c’è l’uomo “normale” (di destra) dietro il cretino-delinquente. Voltiamo pagina. A Bibbiano si scopre la storia orrenda di bambini strappati ai genitori tra false accuse, menzogne e lavaggi del cervello, padri a cui vengono sottratti i figli perché considerati omofobi, beatificazioni delle coppie lesbiche, affidi sconcertanti, ecc.