Archivio del Tag ‘donne’
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Ricatto: vogliono vaccinarci tutti. E’ una guerra, fermiamoli
Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.Questo rende chiaro che i vaccini, la salute pubblica, la scienza, in questa vicenda alla fine non c’entrano un cazzo. Sono un alibi, uno strumento con cui produrre un cambiamento percettivo di massa. Produrre a tavolino una popolazione che accetta, anzi festeggia, la demolizione controllata dei propri diritti, la cancellazione della propria sovranità. Sul proprio corpo, sulla propria famiglia, sul proprio Stato. Non so voi, io non ci sto. Io nel mio corpo ci vivo e nessuno, per nessun motivo, potrà mai decidere di farci cose senza il mio consapevole, libero e indipendente consenso. Quindi non mi basta che questo obbligo venga cancellato. Ogni trattamento sanitario obbligatorio deve essere dichiarato illegale. Le leggi devono venire cambiate. Il principio della sovranità deve venire ristabilito e garantito in modo chiaro e inequivocabile: sovranità dell’individuo sul proprio corpo e sulla propria mente, di cui è unico proprietario e responsabile; sovranità della famiglia, comunque essa venga intesa, sovranità prioritaria rispetto allo Stato nelle decisioni sui propri figli minorenni; sovranità dello Stato nelle proprie decisioni economiche, sociali, culturali, che devono rispecchiare la volontà del popolo, non quelle di arroganti élite sovranazionali che si credono una razza superiore.Questo deve essere l’obiettivo, chiaro e inequivocabile. Ogni altro obiettivo di minore ampiezza sarebbe comunque una finta vittoria: una concessione temporanea da parte di chi detiene il vero potere dentro cui viviamo oggi prigionieri, che un domani verrà ritirata. Non so voi, ma io non mi sono svegliato a metà: ho gli occhi bene aperti e non li chiuderò di nuovo. La seconda cosa che ho da dirvi riguarda il metodo. In questi due anni abbiamo protestato in ogni modo ragionevole, cercato ogni tipo di dialogo possibile, e non ha funzionato: perché, molto semplicemente, quando non ci hanno insultato, accusato di colpe odiose e immaginarie o preso in giro, ci hanno totalmente ignorato. Quindi è tempo che noi si prenda una decisione fondamentale: se vogliamo soltanto continuare a ribadire le nostre ragioni restando inascoltati, o se invece vogliamo tradurle in realtà. Credo che l’esperienza del governo in vigore lo abbia chiarito a tutti: non cambieranno nulla. Non importa cosa hanno promesso, non importa nemmeno cosa stanno ancora promettendo: non cambieranno nulla perché non vogliono cambiare nulla. Che costi troppo politicamente, che temano ritorsioni delle controparti o che si siano fatti conquistare da qualche lusinga non cambia un emerito cazzo: non cambieranno nulla.Se vogliamo che questo obbligo scompaia, non basta più chiederlo, e non basta nemmeno più pretenderlo: dobbiamo costringerli. Dobbiamo costringere lo Stato a cancellare questo abuso. E come li possiamo costringere? Con azioni: pratiche e concrete azioni di pressione. Facciamo parte del paese Italia. Bene, ci sono migliaia di modi in cui possiamo ostacolare il paese Italia. Possiamo boicottarne settori, piccoli e grandi, con azioni di gruppo mirate e specifiche. Possiamo infilare tanti di quei bastoni negli ingranaggi di questo paese da arrivare persino a bloccarlo del tutto. Ma se lo facciamo, smettiamo di essere un fenomeno da baraccone, dei rompiscatole folkloristici i cui voti cercare di fottersi con qualche promessina, o da prendere per il culo sui giornali di regime, e comunque di cui ignorare costantemente le richieste: diventiamo un pericolo concreto. E se diventiamo un pericolo concreto, ci combatteranno seriamente. Non come succede oggi.Oggi violano i nostri diritti, i diritti dei nostri figli, ma non ci stanno affatto combattendo; perché gli serviamo, dopotutto. Siamo gli untori contro cui motivare fanatismo. Ma se diventiamo una minaccia concreta al sistema, il sistema ci colpirà con tutta la sua forza. Saremo denunciati, anche con reati inventati su misura. Perseguiti, arrestati, condannati. Come lo sono stati tutti coloro che hanno combattuto per i loro diritti, per i diritti del loro popolo. Che fosse il diritto di voto delle donne o la fine dell’apartheid, la abolizione della schiavitù o la fine della discriminazione dell’orientamento sessuale, persone hanno combattuto, sono state perseguitate, imprigionate, persino torturate o uccise. Questa battaglia non ha nulla di differente: vuole cancellare delle imposizioni, sostenute da una struttura che è insieme economica, culturale e militare e che non ha la minima intenzione di riconoscere questi diritti – anzi, lavora attivamente per cancellarli definitivamente dalla storia. Quindi, se combattiamo davvero, queste cose succederanno anche ad alcuni tra noi.La cosa importante è capire, mettere bene a fuoco che non stiamo parlando di una passeggiata. Tutti vogliamo sentirci gli eroi dei film che abbiamo visto, impavidi e pronti a tutto contro i potenti cattivi. Ma qui, nel mondo reale, si pagano costi alti anche solo a provarci. Questo dobbiamo per prima cosa capire a fondo, per poi decidere se vogliamo farlo o meno. La domanda è: siete pronti a questo? Perché se preferite onestamente continuare a fare battaglia solo a parole, a livello di principi, per me va anche bene: basta esser chiari sul fatto che non cambieremo un cazzo, perlomeno non per i prossimi trecento anni. Se è così, diciamocelo chiaro e smettiamo di illuderci con speranze inutili. Io scriverò altri libri, pubblicherò post e articoli, voi farete un po’ quel che vi pare. I bambini continueranno a venire esclusi dagli asili, poi dalle scuole, poi dalle mense, e così gli adulti. Le nostre Sovranità continueranno a venire violate, compresse, cancellate. Oppure, raccogliamo il coraggio e combattiamo. Sapendo che pagheremo prezzi alti, che verremo colpiti duramente, personalmente. Che le nostre vite potrebbero venire stravolte, spezzate.Fatemelo dire chiaro: la battaglia sarà lunga, non durerà meno di un decennio. E lo sappiamo benissimo: i mezzi a disposizione del nemico sono enormi rispetto ai nostri. Eppure, possiamo vincere. Vi sembra impossibile? Beh, Gandhi ha combattuto contro un impero. Equipaggiato soltanto un paio di sandali ha fronteggiato un esercito. Ha chiesto, gentilmente, a quell’esercito di andarsene dalla sua terra, dal suo Stato. Ha insistito, ha promosso scioperi e sabotaggi, ci sono voluti oltre trent’anni costellati da centinaia di morti, migliaia di feriti e decine di migliaia di imprigionati. Ma alla fine ha vinto. Io di fare passerella a ribadire soltanto concetti teorici ne ho francamente avuto abbastanza. Se vogliamo iniziare a combattere davvero, ci sono. Voi, sul serio, ci siete? Pensateci e decidete, liberamente e responsabilmente.Io la mia decisione la ho presa: si chiama Rete Nazionale di Sostegno per la Libertà, in breve ReNaSoLi. Ne ho già parlato anche a Bologna il 23 settembre del 2018. Molto in breve, ha la finalità ideologica di ristabilire la piena sovranità, in ordine di importanza, dell’individuo, della famiglia e dello Stato. E si pone come obiettivi due finalità concrete: 1. avviare una rete di agevolazioni reciproche volontarie; 2. creare una struttura operativa di difesa e reazione. Dedicherò altri post a descriverne meglio sia l’impianto teorico che la struttura organizzativa; per ora posso dire che sta già sommando le forze di molte realtà e di molti individui. Il sito di riferimento, ancora assolutamente temporaneo, è http://www.renasoli.it. Io la mia decisione la ho presa. Adesso la scelta sta a voi.(Stefano Re, intervento pronunciato alla manifestazione contro l’obbligo vaccinale svoltasi a Torino il 23 marzo 2019, ripreso in video su YouTube e trascritto da “Luogo Comune”).Ho due cose da dirvi: la prima riguarda lo scenario. Ed è che la lotta contro l’obbligo vaccinale non è solo la lotta contro l’obbligo vaccinale. Ormai lo abbiamo messo tutti a fuoco: qui si parla della sovranità sul proprio corpo. Qualcuno vuole cancellarla di fatto, prima ancora che di legge. Io non ci sto. Il 28 dicembre il Consiglio Europeo ha approvato tra le raccomandazioni vaccinali quella di istituire un “passaporto vaccinale”. E questo aggredisce il diritto alla libertà di spostamento. Il piano nazionale vaccini presentato dalla ministra Grillo prevede l’esonero dai concorsi pubblici per chi non sia in regola con le vaccinazioni. E questo aggredisce il diritto al lavoro. Il Ddl 770 prevede l’allargamento delle esclusioni scolastiche ad ogni ordine e grado. E questo aggredisce il diritto all’istruzione. E ovviamente, l’obbligo vaccinale di per sé aggredisce l’inviolabilità del corpo. Se non assumiamo i farmaci che decidono loro, ci vogliono impedire di lasciare uno Stato, limitare le possibilità di lavorare, impedire di studiare e conseguire titoli di studio e fondamentalmente vogliono poter fare del nostro corpo quello che gli pare e piace anche contro la nostra stessa volontà.
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Orsetti: morire a 33 anni per un ideale, la libertà dei curdi
«Era un forte idealista, affascinato dalla realtà dei curdi: hanno saputo creare uno Stato unico nel Medio Oriente, una democrazia dove le donne hanno pari diritti. Non era lì solo per combattere, il suo desiderio era vivere in questa sorta di realtà inedita». Così Fausto Biloslavo, inviato di guerra del “Giornale”, ricorda Lorenzo Orsetti, il trentatreenne fiorentino ucciso in Siria dall’Isis, contro cui combatteva da quasi due anni come “foreign fighter”. «Abbiamo ucciso un crociato», ha sentenziato Daesh il 18 marzo, diffondendo anche una foto del suo corpo senza vita. Orsetti è morto nella battaglia che dura da settimane a Baghuz, l’ultima roccaforte dello Stato Islamico, dove si concentrano gli ultimi miliziani: una battaglia difficile da chiudere, perché nella zona si trovano anche moltissimi civili. Biloslavo – racconta Paolo Vites, che l’ha intervistato per il “Sussidiario” – aveva conosciuto personalmente Orsetti in Siria: «Era da tempo con i curdi e aveva intenzione di restare molto a lungo, se non addirittura per sempre», racconta Biloslavo.«L’ho incontrato l’ultima volta lo scorso mese, reduce dai combattimenti a Baghuz perché questi combattenti fanno turni di un mese. Faceva parte di questa brigata antifascista internazionale composta da persone di tutto il mondo che si sono innamorate della causa curda». Orsetti era un veterano, non certo un novellino: aveva anche combattuto anche contro i turchi. «Diceva sempre che non era un eroe, preferiva indicare così i curdi». Racconta Biloslavo: «Mi mostrò il proiettile che teneva in tasca, dicendomi che l’avrebbe usato contro se stesso piuttosto che cadere vivo nelle mani dell’Isis». Molti combattenti internazionali sono stati uccisi dai miliziani jihadisti: «I loro corpi fatti a pezzi, tutto messo su Internet, la solita tattica propagandistica dell’orrore». Orsetti «era di sinistra», lo ricorda il reporter del “Giornale”: «Pensava con ragione di combattere dalla parte giusta, contro una minaccia che è contro il mondo intero: e su questo aveva ragione». Laggiù, spiega Bisloslavo, gli italiani come lui sono pochi: sono arrivati in Siria negli ultimi due anni, quando è cominciato l’assedio di Raqqa. Una trentina di persone, tra cui anche delle donne. «Il grosso di questa brigata è fatto da inglesi, francesi e americani».La brigata internazionale filo-curda si è formata all’inizio della grande battaglia di Raqqa, la capitale storica dello Stato Islamico, poi liberata dall’esercito siriano con l’appoggio della Russia, di reparti speciali dell’Iran e dei combattenti libanesi di Hezbollah, anch’essi in prima linea per liberare il Medio Oriente dall’orrore dell’Isis. «Tra gli italiani – racconta Biloslavo – c’erano anarchici e NoTav, e mi raccontavano stupiti di trovarsi gomito a gomito con ex legionari francesi ed ex marines. Tutta gente che pensa che quella dei curdi sia una causa giusta». Erano stupiti, i volontari italiani, di questa strana fratellanza internazionale. «Ma come dicevo – aggiunge Biloslavo – le bandiere nere sono una minaccia per il mondo intero: era questa idea a muoverli». Come si possono definire: degli eroi romantici? «Chiamiamoli foreign fighters dalla parte giusta», risponde Biloslavo. Sicuramente, aggiunge, Lorenzo Orsetti era molto idealista, «uno che ha detto: metto a disposizione anche la vita, oltre alle idee. Non lo faceva certo per i soldi, al massimo queste persone hanno qualche soldo per le sigarette».Da due anni, aggiunge il reporter del “Giornale”, i curdi combattono con l’appoggio americano il loro vero nemico, che è la Turchia. «Orsetti aveva combattuto a Erin contro i turchi e mi diceva che era come il Vietnam, città rase al suolo dai caccia turchi, bombardamenti selvaggi. I turchi a loro volta li considerano dei terroristi perché hanno naturalmente legami con il Pkk». La scelta di Lorenzo Orsetti, aggiunge Biloslavo, non era solo quella di prendere le armi: aveva anche una passione per il mondo che i curdi hanno creato nel nord-est della Siria. «A Lorenzo piaceva la loro democrazia, l’uguaglianza con le donne che combattono e comandano, l’idea un po’ rivoluzionaria di un mondo che i curdi sono riusciti a creare in una zona della Siria anche piuttosto vasta».«Era un forte idealista, affascinato dalla realtà dei curdi: hanno saputo creare uno Stato unico nel Medio Oriente, una democrazia dove le donne hanno pari diritti. Non era lì solo per combattere, il suo desiderio era vivere in questa sorta di realtà inedita». Così Fausto Biloslavo, inviato di guerra del “Giornale”, ricorda Lorenzo Orsetti, il trentatreenne fiorentino ucciso in Siria dall’Isis, contro cui combatteva da quasi due anni come “foreign fighter”. «Abbiamo ucciso un crociato», ha sentenziato Daesh il 18 marzo, diffondendo anche una foto del suo corpo senza vita. Orsetti è morto nella battaglia che dura da settimane a Baghuz, l’ultima roccaforte dello Stato Islamico, dove si concentrano gli ultimi miliziani: una battaglia difficile da chiudere, perché nella zona si trovano anche moltissimi civili. Biloslavo – racconta Paolo Vites, che l’ha intervistato per il “Sussidiario” – aveva conosciuto personalmente Orsetti in Siria: «Era da tempo con i curdi e aveva intenzione di restare molto a lungo, se non addirittura per sempre», racconta Biloslavo.
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Imane Fadil, terza morte sul caso Ruby. Evocò il satanismo
È morta Imane Fadil, giovane modella e testimone-chiave nei processi Ruby, che vedono Berlusconi tra gli imputati. Trentatreenne, marocchina, era stata la prima a far aprire il caso nel 2011, e poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al processo Ruby ter. Ma il 29 gennaio è stata ricoverata in ospedale, dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. «Prima di morire – scrive Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto” – ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata». Dall’esito dell’esame tossicologico è emersa la morte per avvelenamento. Secondo Gianfranco Carperoro, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, a Milano Sud. Quella di Imane Fadil, osserva Stefania Nicoletti, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: la ragazza stava per pubblicare, in un libro, la sua versione – decisamente horror – sulle famose “notti di Arcore”.Impossibile, scrive Stefania Nicoletti, non richiamare alla memoria l’intervista che la Fadil aveva rilasciato l’anno scorso al “Fatto Quotidiano”. «Parlò di una sorta di “setta satanica” che praticava riti». Ovvero, fatti molto più gravi di qualche cena a sfondo sessuale. Facile screditarla, la ragazza, anche perché aveva detto di essere “una sensitiva” e di aver “sentito e visto presenze ed entità negative e malefiche”. «Quando uscì quell’articolo, molti commentarono che non era credibile, che queste cose non esistono, che lei era solo una in cerca di visibilità, eccetera. Ma chi dice questo – obietta Stefania Nicoletti – non sa che queste organizzazioni esoteriche ai piani alti del potere esistono eccome, e che parlarne pubblicamente non ti dà fama, anzi: ti espone a dei rischi notevoli». Infatti, continua Stefania Nicoletti, «leggendo quell’intervista pensai che la ragazza rischiava di essere fatta fuori: anche perché annunciò che stava scrivendo un libro su tutta la vicenda, dove avrebbe raccontato tutto questo e molto di più». Un libro che a quanto pare stava ormai finendo di scrivere, prima di morire avvelenata.Raccontò la ragazza, nell’intervista pubblicata dal “Fatto” il 24 aprile 2018: «La cosa non si limita a un uomo potente che aveva delle ragazze: c’è molto di più in questa storia, cose molto più gravi». Un’accusa esplicita: satanismo. «Questo signore – disse Imane di Berlusconi – fa parte di una setta che invoca il demonio». Ammise: «Sì, lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri». Una sorta di setta, dunque, «fatta di sole donne». Tante: «Decine e decine di femmine complici». In quella saletta «dove si faceva il Bunga Bunga», racconta Imane, «c’era uno stanzino con degli abiti, tutti uguali, come delle tuniche, circa venti o trenta: a cosa servivano?». Poi, continua la ragazza, «c’era un’altra stanzetta sotterranea con una piscina, con a fianco un’altra saletta, totalmente buia, senza nessuna luce». Una piscina sotterranea e una stanza senza luci: perché? Aggiunge Imane: «Ho visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata». Insiste Imane, parlando con Luca Sommi del “Fatto”: «Le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero».Da parte sua, Carpeoro – che non crede all’esistenza del demonio, anche se non si nasconde l’esistenza del satanismo – ritiene che quelle dell’allira giovanissima Imane Fadil fossero essenzialmente suggestioni. Il che non migliora il giudizio su Berlusconi, che allora era primo ministro. Le notti brave di Arcore? «Non credo che abbia commesso reati – dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – ma a me non piace un premier che si comporta in quel modo: come la prenderebbe, Berlusconi, se a partecipare a feste di quel tipo fossero le sue figlie?». Stefania Nicoletti, intanto, sottolinea la presenza delle altre due morti «inquietanti e anomale», legate al caso in questione. Verzini, ex avvocato di “Ruby”, il 4 dicembre 2018 aveva dichiarato pubblicamente che Berlusconi avrebbe versato 5 milioni di euro alla sua assistita. «Il giorno dopo è morto, tramite eutanasia, in una clinica svizzera». Randacio invece si stava occupando del caso, seguendo il processo, ed è morto improvvisamente il 13 febbraio per un “malore” (forse un infarto), «ma pare che i risultati dell’autopsia non siano mai stati comunicati». Insomma: Egidio Verzini, Emilio Randacio, Imane Fadil: «Tre morti strane nell’arco di tre mesi, e tutte legate al processo Ruby. Un po’ troppe per essere un caso».È morta Imane Fadil, giovane modella e testimone-chiave nei processi Ruby, che vedono Berlusconi tra gli imputati. Trentatreenne, marocchina, era stata la prima a far aprire il caso nel 2011, e poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al processo Ruby ter. Ma il 29 gennaio è stata ricoverata in ospedale, dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. «Prima di morire – scrive Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto” – ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata». Dall’esito dell’esame tossicologico è emersa la morte per avvelenamento (da metalli, probabilmente). Secondo Gianfranco Carpeoro, avvocato e saggista, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, a Milano Sud. Quella di Imane Fadil, osserva Stefania Nicoletti, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: la ragazza stava per pubblicare, in un libro, la sua versione – decisamente horror – sulle famose “notti di Arcore”.
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La fantasia al potere, per davvero: cent’anni fa, a Fiume
Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.Il rituale politico-cameratesco annuncia il fascismo ma Mussolini è freddo e scettico sull’impresa fiumana perché la considera velleitaria; e il poeta lo attacca sul suo stesso “Popolo d’Italia”, lo accusa d’avere paura e di tradire la Vittoria. A Fiume arrivano un po’ tutti, Guglielmo Marconi a bordo del suo bianco yacht Elettra, e poi torna per divorziare, consigliato da Mussolini, perché a Fiume è facile separarsi: Toscanini con la sua orchestra fa concerti devolvendo gli incassi ai poveri; Filippo Tommaso Marinetti, accolto trionfalmente, si produce in vari discorsi show; arrivano ufficiali giapponesi, belgi e ungheresi che diventano legionari fiumani. Difende Fiume anche Gramsci da chi lo presenta come «un luogo di bestialità, prepotenza, possesso di donne»; anche Lenin è affascinato da Fiume. Per la prima volta partecipano all’impresa alcune donne, come Fiammetta, pseudonimo di una nobildonna milanese, Margherita Besozzi; o donna Ninetta, splendida moglie dell’aviatore Casagrande, bionda ed elegante contessa; ragazze in grigioverde e qualche prostituta. A Fiume si svolgono convegni suggestivi notturni al chiarore delle fiaccole, baccanali in spiaggia, feste dionisiache con vino, donne, sesso e cocaina, “la polvere folle” del Poeta.Battaglie simulate, orge in costume, soldati inghirlandati, che danzano e vestono in modo stravagante, si fanno crescere barba e capelli o se li rasano a zero, e fondano la Congregazione del Pelo. Lui guerrafondaio inventa lo slogan pacifista “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, infilando un fiore nel moschetto e parlando di fiori e libero amore. Ci sono gli animalisti, un ufficiale gira con una volpe al guinzaglio, Keller vive con un’aquila e si presenta alla mensa con un pappagallo sul petto; una volta carica sul velivolo un asino… Spopola a Fiume un romanzo futurista, “L’isola dei baci”, ambientato a Capri, di Corra e Marinetti, dove si immagina il primo gay pride, un congresso di omosessuali il cui motto è “raffinati di tutto il mondo unitevi”. Importanti sono i diari fiumani, come quello di Comisso che descrive Fiume come «una città in amore», in cui «tutti si diedero a un godimento irruente». Il Comandante rimprovera gli eccessi sessuali dei legionari, ma ha varie avventure erotiche a Fiume (si auto-definì “porco con le ali”, antesignano di Lidia Ravera).Da una porticina segreta faceva entrare una canzonettista chiamata Lilì di Montresor, che poi ripartiva con ben 500 lire in borsetta; o una donna sensuale e selvaggia chiamata Barbarella nei suoi Taccuini, una quindicenne per lui 53enne, “Bianca, la piccola”, “Gr, Bruna e molle”, una maestrina di Merano. Nella sala del comando, racconta Nino d’Aroma, passarono «molte donne di tutta Europa, vecchi amori, spente fiamme e nuove conquiste». Leggendaria la nascita del profilattico a Fiume battezzato Habemus Tutorem, poi noto come Hatù (ma un’altra versione attribuisce il nome nientemeno che al cardinal Nasalli Rocca). Arrivano a Ronchi pure i frati modernisti, che disobbediscono alla chiesa per seguire il patriottismo del Comandante, espongono alla finestra del monastero il motto dannunziano “Hic manebimus optime” e alla fine sette cappuccini abbandonano il saio. L’amministratore apostolico di Fiume, don Celso Costantini, accusa il poeta di paganesimo. La reggenza del Carnaro, col sindacalista Alceste de Ambris, dura sedici mesi, da settembre al Natale dell’anno dopo. Poi sarà cannoneggiata.Provano prima con le trattative e le promesse – c’è anche Badoglio, mandato dal presidente del consiglio Nitti, detto dal Poeta il “Cagoja” – poi sarà Giolitti a far bombardare Fiume e costringere alla resa. L’ultimo discorso del Comandante a Fiume si conclude con un Viva l’Amore. Quasi un promo del ’68, degli hippy e un riassunto delle rivoluzioni, da quella fascista a quella sovietica, che allora il Vate ammirava (sognava un comunismo senza dittatura, libertario, aristocratico, anarchico e nazionalista). Insomma un microcosmo-manicomio di utopisti, sognatori e velleitari. Un film d’immaginazione, ma la storia è vera, come il mitico Comandante-Poeta. Cent’anni fa la fantasia andò davvero al potere, ma non vi restò molto. Ps: il poeta in questione, l’avrete capito, è Gabriele d’Annunzio, su cui ieri si è aperta una mostra al Vittoriale. Sulla sua impresa fiumana uscirà tra un paio di settimane un’opera ponderosa di Giordano Bruno Guerri. Anni fa Tinto Brass e Pasquale Squitieri mi proposero di scrivere la sceneggiatura di un film dedicato a D’Annunzio a Fiume. Eccone l’abbozzo postumo…(Marcello Veneziani, “La fantasia al potere, cent’anni fa”, da “La Verità” del 10 marzo 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani. Nell’appendice storiografica del romanzo “Il volo del pellicano”, pubblicato da Melchisedek nel 2016, Gianfranco Carpeoro svela la profonda motivazione dell’impegno civile di D’Annunzio, grande poeta e fine letterato: è stato il terz’ultimo “Ormùs” – gran maestro – dei Rosa+Croce, leggendaria confraternita sapienziale di natura iniziatica; i successori di D’Annunzio sarebbero stati l’artista francese Jean Cocteau e poi il genio surrealista spagnolo Salvador Dalì; poi i Rosa+Croce si sarebbero eclissati, in realtà per effetto di una decisione programmata già dai tempi della conferenza di Yalta, dove emersero i germi della futura guerra fredda e del conflitto israelo-palestinese, concepito per colonizzare militarmente il Medio Oriente petrolifero. L’ispirazione “rosacrociana” è evidente nella Carta del Carnaro, in vigore nell’effimera reggenza dannunziana di Fiume: a detta degli storici resta la Costituzione più avanzata – la più moderna, democratica e rivoluzionariamente libertaria che sia mai stata varata, nel mondo. Non è strano, sottolinea Carpeoro: i Rosa+Croce sono i progenitori culturali del socialismo, avendo “firmato” già nel ‘600 opere come “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, “Utopia” di Tommaso Moro e “La Città del Sole” di Tommaso Campanella, tutte ispirate dal sogno di un mondo più giusto).Vi propongo la trama di un film per celebrare un fantasioso centenario. Un poeta rimasto orbo, reduce da imprese eroiche e spettacolari come la trasvolata su Vienna o la Beffa di Buccari, marcia su Fiume con poeti, letterati, musicisti, donne e soldati. Il mondo lo osserva curioso. Lui progetta la marcia su Fiume dalla casetta rossa di Venezia, dove riceve donne e ufficiali, e poi arriva in Istria nel settembre del 1919 con un’auto scoperta, il monocolo e i legionari al seguito. La compagnia che lo segue è di personaggi straordinari. Giovani letterati come Giovanni Comisso, Henri Furst, Raffaele Carrieri, ufficiali come l’ebreo russo polacco Leòn Kochnitsky, di nascita belga, nordico affascinato dalla solarità mediterranea, musicista e letterato; o un ufficiale che ha compiuto imprese folli come Guido Keller che lanciò in una trasvolata un pitale su Montecitorio e fiori sul Vaticano e per la regina sul Quirinale; vive nudo e sfrenato a Fiume, defeca da un albero, ha una dieta assurda, fa amore di gruppo. A Fiume nasce lo Yoga, associazione trasgressiva di spiriti liberi, tra ladri, prostitute, tossicomani. Ha come simbolo la svastica ma nel verso tradizionale, opposta a quella che sarà poi del nazismo. E progetta il castello d’Amore, dove simulare feste medievali con donne e soldati.
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Pensate davvero che la conoscenza stia nella mela di Eva?
Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?Questo è l’anello mancante, per essere “Dio di se stessi” – non Dio degli altri, che è potere e prevaricazione. Dio di se stessi, Re di se stessi. Esiste una regalità del sé, che non è la prepotenza del sé, una sopraffazione. Ed esiste una libertà del sé, una dignità del sé. E soprattutto esiste l’auto-consapevolezza, la proprietà del sé. Questa cosa, che è l’anello che ci manca nella maggior parte dei giorni, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte delle nostre azioni, la possiamo lentamente modificare e riquilibrare quotidianamente, perché il guinzaglio a cui San Bernardo tiene legato il diavolo, il “barboncino con le corna”, non si adopera solo nei giorni pari o nei giorni dispari: è quotidiano. Ogni giorno abbiamo un avversario, dentro di noi, da sottomettere. E questo lavoro quotidiano, per il quale abbiamo il pieno controllo di noi stessi, ci può portare alla consapevolezza – che è sempre provvisoria (ora per ora, minuto per minuto) – di quello che veramente vogliamo.E’ legato ai tarocchi anche lo schema simbolico del giardino proibito. Qualcuno dice, ad Adamo ed Eva, che da un certo albero non devono mangiare. Quello, però, è l’albero della conoscenza – non del sesso: della conoscenza. Cioè, c’è un Dio che dice a un uomo: tu non devi mangiare dall’albero della conoscenza (il che dà un certo valore, alla disobbedienza, anche secondo buon senso). Ma il contenuto implicito di quell’ordine è che la conoscenza non è un frutto appeso a un albero. La disposizione contiene un concetto sottostante: stabilire cos’è veramente la conoscenza. Il bene e il male sono cose appese a un albero? Il bene il male li facciamo noi. Non so se sarebbe piacevole, mangiare una mela e poi conoscere tutto. La conoscenza è un’appropriazione interiore. Quindi, in realtà, nel compiere il loro gesto, Adamo ed Eva sembrano volere una cosa, e invece ne vogliono un’altra. Il significato di quella simbologia è questo: noi attribuiamo con grande facilità a un albero la possibilità di erogare conoscenza, senza riuscire a definire che cos’è veramente la conoscenza.Quella di oggi, io la chiamo “la società della magia”, perché è dominata dal pensiero magico, che è molto elementare. I bambini, fino a una certa età, il pensiero magico non lo possiedono. Sapete da cosa si distingue, il pensiero magico, da quello che io chiamo pensiero simbolico? Dalla domanda che ti fai. Se ti chiedi perché, sei nel pensiero simbolico; se ti chiedi solo come, sei nel pensiero magico. I bambini cosa chiedono, sempre? Perché. E quando diventiamo grandi, cosa ci chiediamo sempre? Ci chiediamo perché comprare una macchina, o come comprarla? Ci chiediamo perché fare qualcosa, o come farlo? La libertà non è fare o avere, la libertà è sapere. Sant’Agostino ci lascia una frase bellissima: fatti sapiente, e sarai libero. Noi italiani post-latini abbiamo tradotto male: la conoscenza rende l’uomo libero. Non è la conoscenza, a rendere l’uomo libero. E’ l’uomo che conosce, a diventare libero. La conoscenza, in senso astratto, non esiste. E’ per quello che l’albero e la mela del giardino proibito sono una cretinata anche loro. Non esiste una conoscenza astratta; esiste una conoscenza concreta che si costruisce giorno per giorno, tamite un percorso. Non è qualcosa che si può astrarre: la conoscenza è un concetto concreto, che si esplica e si auto-asserisce di giorno in giorno.La frase di Sant’Agostino è fondamentale: fa’ in modo di sapere, e sarai libero. Invece, fin dalla patristica cristiana, è stata tradotta male: la conoscenza vi rende liberi. E sapete qual è la differenza, tra le due cose? La prima è pensiero simbolico (fa’ in modo di conoscere, e sarai libero), mentre la seconda è pensiero magico (sarà la conoscenza e renderti libero: come una magia, un incantesimo). Sapete, l’amore è una forza straordinaria. Tu ami una donna e lei ancora non ti ricambia? Hai due strade: o fai in modo di acquisire e mostrare quelle caratteristiche per cui lei si possa innamorare di te, o vai dalla zingara e ti fai preparare una pozione. Indipendentemente dal fatto che la pozione funzioni o meno, è la costruzione che è diversa. Perché poi ti potrei chiedere: ma, tramite la pozione, ammesso che funzioni, lei si innamora di te? Perché quello dovresti volere: che ti ami – non solo che ti sposi, o che passi un po’ di notti con te. Di nuovo: devi sapere quello che veramente vuoi.Questo percorso, che io sottolineo anche con i tarocchi, fa la differenza, rispetto a chi ti mette seduto e ti dice “usa la mano sinistra, piglia sei carte e disponile a ruota”. Perché i tarocchi sono altro, sono proprio un altro pianeta. Hanno ancora tante cose da dire, ammesso che noi siamo in grado di chiedergliele. Se girate in un museo, quelle cose parlano. Ma non è un atto magico: parlano perché c’è un nostro impegno nel ricostruire da dove vengono, come ha operato la mano che ha assemblato quel manufatto. In questo modo parlano. Ma se invece non facciamo un percorso di comprensione per capire cosa sono, non parlano. Il 99% dei simboli che ci circondano non lo vediamo nemmeno: non gli diamo alcun peso, alcun significato. Per noi non parlano, perché non esistono. E i tarocchi sono questo: se abbiamo attrezzato i sensi giusti, sono delle porte che ci conducono in mondi. Non parlo di dimensioni parallele o viaggi astrali: intendo i viaggi che facciamo con la nostra mente. E la costruzione di questi percorsi è anche la scoperta che il vero valore sono proprio i percorsi.Scoprirai che l’obiettivo è sempre diverso da quello prefissato: e questa è l’evoluzione. Sappiamo che l’avventura di Colombo, per come ci è stata raccontata, non è vera, storicamente. Ma in quello schema – per cui Colombo scopre l’America cercando l’India – c’è la forma evolutiva principale dell’essere umano. Fra’ Luca Pacioli, personaggio assolutamente geniale, nel secondo capitolo del “De Divina Proportione” scrive che “li errori” sono “la prova della divinità dell’omo”, perché solo tramite gli errori si può arrivare a fare “le cose juste”. Io la trovo una premessa straordinaria. E’ per questo che il labirinto è la prova del libero arbitrio: perché là dentro puoi sbagliare. Se ti avessi dato un percorso perfetto – la spirale, per esempio – non ci sarebbe più libero arbitrio: sarebbe un percorso obbligato, unico. E quando un percorso è unico, diventa inesorabilmente anche un arbitrio non libero.(Gianfranco Carpeoro, estratto della conferenza “Il vero significato dei tarocchi”; video pubblicato su YouTube nel febbraio 2019).Quando avrete consapevolezza delle linee-guida della vostra vita, magari stabilendo quelle che volete far evolvere e quelle che non volete far evolvere, allora riuscirete con facilità a identificare i percorsi spirituali che evochino gli archetipi che più vi interessa che emergano, in quel periodo. Condizionare la propria vita è meno difficile di quanto si pensi, ed è sicuramente meno pericoloso che continuare a cercare di condizionare quella degli altri, senza mai condizionare la propria. Condizionare la propria vita significa guidare un’evoluzione nel senso che preferite, stabilendo delle priorità. Noi abbiamo un’unica, enorme risorsa: è fatta di fede, coraggio e razionalità. La nostra aspirazione è quella di essere veramente liberi: perché, se siamo veramente liberi – siccome siamo tutte le altre cose positive che possiamo immaginare – queste cose positive si potranno esprimere. Quello dei tarocchi è un percorso alla ricerca della libertà: non per essere dei “liberi pensatori”, ma per essere dei pensatori liberi (perché anche essere un “libero pensatore” è uno schema; è essere un pensatore libero che non è uno schema). La prima cosa da capire, allora, è che la vera libertà non è fare quello che vuoi, ma sapere quello che vuoi. Noi immaginiamo sempre una libertà fattiva, il poter fare quello che vuoi – ma sei sicuro di sapere quello che vuoi? Quello che pensi di sapere di volere è veramente quello che vuoi?
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Niente preservativo: e la Chiesa fabbrica migranti e orrori
Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».Secondo Barnard, nel 2019, «il vero anti-razzista e umanitarista deve guardare in faccia l’africano e l’africana e dirgli di smetterla di figliare come pazzi». Il giornalista punta il dito contro «la perversione mentale chiamata fede cristiana che noi abbiamo esportato e che continuiamo a esportare là, e che fisicamente impedisce ai metodi contraccettivi e all’educazione ai diritti riproduttivi di raggiungere le donne del continente, anche quando sono laiche e consapevoli». In Africa una donna negli anni di fertilità partorisce dai 5 ai 7 figli, in media. L’Onu prevede che, fra 30 anni, più di un miliardo di umani si aggiungerà alla già stipata Africa. «Nonostante i cosiddetti aiuti umanitari – con missionari laici o religiosi, con l’industria delle donazioni e della “caritas cristiana” – il numero totale di poveri estremi nell’Africa Sub-Sahariana è oggi più alto che nel 1981. E di nuovo: l’abnorme tasso di natalità gioca, in questo, un ruolo infernale». Le cause storiche della povertà africana le conosciamo, e sono «il nostro furto delle loro risorse ma anche la loro corruzione». Ma figliare a questo ritmo scriteriato, aggiunge Barnard, «creerebbe disperazione economica anche nella Svizzera delle banche, disintegrerebbe il potere di spesa sociale della Fed degli Stati Uniti».Insiste Barnard: il flusso dei profughi economici che vediamo oggi è solo la minuscola frazione dei fuggitivi africani che riescono ad arrivare in Libia. Ma il 99% dei futuri migranti stanno appena più a Sud, «e sono quelli che arriveranno quando la vera crisi dei migranti esploderà: sono gli africani dell’immenso bacino cattolico». Che fare? Tanto per cominciare, bisognerebbe «distribuire su scala intensiva preservativi agli africani», attraverso «programmi di educazione ai diritti riproduttivi (come evitare gravidanze non volute), in un accordo non solo con i politici, ma con le due maggiori religioni africane, cattolicesimo e Islam». Significherebbe «aiutare a prevenire almeno una notevole fetta di sofferenze umane che negli ultimi 40 anni hanno di molto superato in numeri quelle dell’Olocausto nazista». E di conseguenza, «prevenire la crisi dei migranti». Al contrario, ostacolare la contraccezione in un’Africa già irresponsabilmente riproduttiva «significa pianificare a tavolino uno sterminio, con tragedie incalcolabili, con la destabilizzazione peggiore mai vissuta dall’Europa moderna». Un fenomeno che, fra l’altro, «alimenta la proliferazione dei nuovi fascismi europei».In un’intervista del 1952, ricorda Barnard, il filosofo della scienza Bertrand Russell «non solo predisse il globale dramma delle migrazioni per povertà, ma dettò la ricetta per fermarle, auspicando allo stesso tempo equità economica nell’intero pianeta». Barnard considera Russell «la mente forse più lucida, autorevole e umanitarista del XX secolo». Nodo irrisolto, da allora: il problema demografico e la proibizione cristiana della contraccezione. «Sarà impossibile ridurre la diseguaglianza globale – disse Russell – se non raggiungeremo popolazioni numericamente stabili». Altro pericolo: i poveri oggi possono vedere come vivono i ricchi, cioè noi. «La consapevolezza, da parte di immense masse di poveri, della disparità di ricchezza fra loro e noi, ci porterà pericoli alla pace e calamità», aggiunse Russell. «E’ assolutamente giusto che Africa e Asia ottengano eguaglianza nella ricchezza con l’Occidente. Ma se si vuole evitare che l’Africa e l’Asia travolgano il mondo con immense popolazioni in estrema povertà – concluse il filosofo – esse dovranno però imparare a mantenere popolazioni numericamente stabili. E se non impareranno a controllare questo, allora inevitabilmente perderanno la loro rivendicazione di eguaglianza economica».Cosa si deve aggiungere – dice Barnard – a parole del genere? Furono pronunciate «cinquant’anni prima che chiunque, qui da noi, sentisse parlare di barconi, crisi migranti, neo-razzismo e di Salvini». Profezia lampante: «Il controllo delle nascite, quindi la contraccezione, sono vitali per l’economia e la giustizia globali». La soluzione è proprio la contraccezione, «non la demente astinenza predicata dalla Chiesa». E chi si oppone a questa politica salva-pianeta che mitigherebbe guerre, migrazioni e drammi incalcolabili? «Due fanatici della croce vaticana, Bergoglio e Salvini», scrive Barnard. Per il Vaticano «la contraccezione, in ogni sua forma, è dannazione divina, è perdizione: equivale al peggior sudiciume morale, addirittura all’infanticidio». Non importa se poi la mancata contraccezione miete milioni di vittime: «Conta la croce vaticana, che purtroppo proprio nell’Africa più disperata ha una presa pandemica sui suoi abitanti». Per Barnard, il pontefice romano e il capo leghista «sono disgustosi entrambi», per ipocrisia: il primo contribuisce direttamente alla strage, l’altro campa politicamente sull’esodo. Bergoglio? «Nell’encefalo di milioni di fessi passa come un “francescano” riformatore», come il volto nuovo (decente) della «vomitevole Chiesa storica», cioè «quella dell’opzione per i ricchi e morte ai poveri».Ma per fortuna esiste Wikileaks, continua Barnard: il network di Julian Assange rivela che Papa Francesco intervenne «in un mefitico guazzabuglio di potere» con il cattolico Ordine di Malta, il quale «per un errore di un tal Gran Cancelliere» dell’ordine religioso vaticano, di nome Albrecht Freiherr von Boeselager, «aveva osato finanziare l’uso di contraccettivi per non sovrappopolare l’Africa, e quindi per evitare non solo le infezioni da Aids ma anche per diminuire le crisi dei migranti che finiscono sui barconi». Dai documenti pubblicati da Wikileaks, il Papa si sarebbe «prodigato nel suo decennale doppiogiochismo». Barnard ricorda che Bergoglio «fu pro/anti torturatori argentini, fu pro/anti teologi della liberazione, fu pro/anti-preti pedofili, fu pro/anti Fondo Monetario Internazionale alla gola dei poveri latinoamericani, infatti aiutava una manciata di poveracci ma ostacolava la “socialista” Kirchner». Secondo Wikileaks, se da un lato ha messo sotto scacco la parte più conservatrice del vaticanissimo Ordine di Malta («dopotutto deve figurare come Francesco il progressista, no?»), dall’altro avrebbe imposto «con feroce autoritarismo» la proibizione dei contraccettivi e dei diritti riproduttivi su tutta l’Africa, «con morti per Aids, sovrappopolazione e povertà disperata come conseguenze».Ipocrisia su ipocrisia: non sono certo «i miliardi vaticani investiti in hedge funds o immobili miliardari a pagare per l’accoglienza». Per Barnard, siamo di fronte a «oggettivi crimini contro l’umanità, dettati da una fede religiosa da sempre genocida». Crimini che però «farebbero poca strada, se poi non esistessero vaste masse di complici». Fra queste, «il “popolo del capro espiatorio” in drammatica espansione in Ue, cioè le destre populiste, quelli che “tutto è colpa del migrante, anche il deficit strutturale”». Peggio di loro si comportano le “anime belle”: «Sono l’altro popolo, cioè il “popolo della caritas”, quello che in nome della propria auto-santificazione alimenta l’orrore, abbracciando la croce del genocidio anti-contraccettivo». In patria, i buonisti «lavorano per l’inutile e controproducente industria della “caritas” verso i dannati della Terra», ma spesso «vanno anche a far danni diretti nelle ormai secolari scorribande missionarie vaticane».Si indigna, Barnard: «Se questo “popolo della caritas” dedicasse quella montagna di energie a pretendere dalla politica occidentale soluzioni sistemiche alla povertà e alla sovrappopolazione del mondo, senza neppure spostarsi da casa, se questo avessero fatto da anni invece di sentirsi “buoni” e dare l’obolo o fare il viaggetto santo, noi nel 2019 non avremmo mai sentito parlare di un trionfante Salvini, di barconi, di cadaveri sul fondo del Mediterraneo, di neofascismi in tutto l’Occidente e, soprattutto, la tragedia del Terzo Mondo sarebbe ora solo un brutto ricordo». E invece ecco ogni giorno in televisione «il Santo Signore di tutti gli Ipocriti, con al seguito il vostro beniamino padano che sbraita contro l’invasione dei disperati ma bacia la croce che l’alimenta a tutta forza». Però «mica se la prende con le gabbane, il Matteo: no, solo coi disperati». Ribadisce Barnard: «Priorità per la tragedia migranti: contraccettivi e educazione ai diritti riproduttivi. Ora. Perché mentre ne respingete uno, là se ne creano 10.000».Verrà il giorno in cui, finalmente, l’ipocrita Chiesa romana oserà pretendere una soluzione per abolirla, la povertà? Anziché predicare l’aiuto ai poveri, nascerà un Papa capace di imporre alla politica di eliminarla dalla faccia della Terra, la miseria? Se lo domanda Paolo Barnard, nell’esprimere un giudizio impietoso sulla situazione di oggi, con l’Africa che si prepara a inondare l’Europa di migranti. E non è che l’inizio dell’esodo, visto il boom demografico in corso nel continente nero. Nessun impegno, dal Vaticano, per limitare la natalità mediante l’uso dei contraccettivi. Anzi: il pontefice è intervenuto per censurare l’Ordine di Malta, che aveva tentato di promuovere gli anticoncezionali in Africa. Così i barconi continuano a solcare il Mediterraneo, dando poi modo allo sceriffo Salvini di fare il “signor no”. Tutto teatro, dice Barnard: facendosi fotografare mentre agita la croce e il rosario, il capo della Lega chiarisce che non si permetterebbe mai di contestare il potere religioso, che secondo Barnard è il vero motore dell’emigrazione. «Il tasso di natalità africano – scrive il giornalista sul suo blog – è una macchina di disperazione e di morte di proporzioni infernali: non esiste guerra, sfruttamento neo-coloniale, franco Cfa o malapolitica africana che gli possa stare vicino, come causa nella monumentale tragedia della loro povertà oggi».
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Hellyer: “L’alieno è tra noi” (e lo dicono anche i testi ’sacri’)
L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono tra noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.A dire il vero sarebbero i nostri effettivi “genitori”: lo sostiene Zecharia Sitchin, lo studioso azero naturalizzato statunitense, secondo cui gli antichi testi sumeri raccontano la “fabbricazione” dell’homo sapiens da parte degli Anunnaki, gli “dei” venuti dallo spazio. Secondo Mauro Biglino, a lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, l’Antico Testamento riproduce fedelmente i testi sumeri: la Genesi racconta la clonazione del maschio (l’Adàm) per dare origine alla femmina (Hawà, Eva). Figli delle Stelle, Anunna o Elohim biblici? Erano sempre loro: i testi antichi, poi trasformati in “libri sacri” con la successiva divinizzazione dei “theoi” operata dal pensiero greco-ellenistico, non fanno che parlare di loro. Le grandi religioni? «Sono nate, tutte insieme e in tutto il mondo, attorno al V secolo avanti Cristo, cioè quando questi personaggi – prima visibili, come Yahvè che parlava “faccia a faccia” con Mosè – sono improvvisamente scomparsi dalla circolazione». Biglino cita un padre della Chiesa vissuto nel III secolo, Eusebio di Cesarea. Nella sua “Praeparatio Evangelica”, Eusebio attinge al greco Filone di Biblos, che a sua volta riprende gli studi di Sanchuniaton, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Il fenicio racconta di aver rinvenuto, in un tempio egizio dedicato ad Amon-Ra, un memoriale sconcertante, secondo cui gli “dei” antichi – poi trasformati in oggetto di culto – erano in realtà individui in carne e ossa.Uno di loro, il babilonese Nergal, si narra che sganciò dal cielo armi micidiali, annientando intere città e provocando l’improvvisa desertificazione della Mesopotamia. Anche in questo caso la Bibbia fornisce una sorta di “fotocopia”, narrando la distruzione, mediante l’impiego dell’“arma del terrore”, di Sodoma, Gomorra e le altre città della Pentapoli sulle rive del Mar Morto. Armi in realtà descritte con precisione nei Veda indiani: Enrico Baccarini, appassionato ricercatore, rivela che le “tejas astras” (armi a energia) fuorono impiegate dai Deva (i “theoi” asiatici) nelle loro guerre stellari combattute anche sulla Terra. Un bombardamento di quel genere avrebbe raso al suolo la grande citttà di Mohenjo Daro, nella valle dell’Indo, scoperta dagli inglesi solo a metà dell’800. L’intera civiltà Arappa, spiega Baccarini, costringe gli archeologi a riconsiderare datazioni e sequenze storiche: fiorì infatti 11.000 anni fa. E rivela indizi che portano alla misteriosa presenza di paleo-astronauti. Per la verità, gli stessi Veda sostengono che l’universo sia abitato da 400.000 specie umanoidi. C’è da credere, a quegli antichi testi in sanscrito? Sulle “istruzuioni” dei Veda si sono basati scienziati aerospaziali indiani per realizzare un modellino di astronave (curiosamente, a forma di pagoda). E sempre i Veda, scritti migliaia di anni fa, indicano – con sconcertante precisione – la misura della circonferenza terrestre e la stessa velocità della luce.Ha ragione il fenicio Sanchuniaton, secondo cui il pensiero magico-religioso non sarebbe stato che un colossale depistaggio, organizzato dalla casta sacerdotale per tentare di mantenere i propri antichi privilegi? Ex dignitari di corte si trasformarono in clero, sostituendo (con l’adorazione di “divinità” invisibili) l’antica obbedienza a “theoi” un tempo visibilissimi, e tutti giunti sulla Terra – pare – dalle Pleiadi e dalla costellazione di Orione? Suggestioni sempre più insistenti, man mano che le istituzioni cominciano ad ammettere la possibilità di forme di vita extraterrestre. Roberto Pinotti (fondatore del Cun, centro ufologico nazionale) è uno degli ufologi più importanti al mondo, storico collaboratore dell’aeronautica militare italiana. Sostiene che gli avvistamenti anomali registrati negli ultimi decenni sono stati un milione, di cui il 40% (ben 400.000) classificati dalle autorità come “non terrestri”. Sembra che da più parti si stia lavorando per preparare l’umanità a rivelazioni clamorose riguardo ai “fratelli dello spazio”, come li chiama il gesuita Gabriel José Funes, argentino come Papa Francesco.Padre Funes è il direttore del potente osservatorio astronomico installato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham in Arizona. A che serve, ai gesuiti, un centro astrofisico come quello? Dichiaratamente: a indagare proprio sull’esobiologia, cioè sulla “vita extraterrestre”, a quanto pare sempre meno ipotetica: per il canadese Hellyer, a nostra insaputa, vivremmo già in compagnia dei “biondi nordici” (o anche “bianchi alti”), da non confondere con i “bassi grigi”, alti appena un metro e 20 – più o meno come la creatura che si racconta sia apparsa nel 1858 nella grotta di Lourdes alla giovanissima Bernadette Soubirous, che la chiamava “aquerò” (in occitano, “quella là”). «Se vedeste un grigio, vi rendereste subito conto di vedere qualcosa che non avete mai visto prima», dice Hellyer. «Se invece vedeste una delle “bionde nordiche”, allora potreste pensare di aver incontrato una donna della Danimarca». I “grigi”, aggiunge l’ex vicepremier canadese, sono piccini. Hanno braccia e gambe sottili, testa grossa e grandi occhi marroni. «Sono quelli che si vedono nella maggior parte dei film». A proposito: sicuri che la fantascienza non contenga precisi messaggi, come per abituarci progressivamente all’idea degli inevitabili incontri ravvicinati?Biglino ricorda che erano ebrei gli ideatori di un supereroe dei fumetti come Flash Gordon, proveniente dal pianeta Krypton (nascosto). Creato negli anni Trenta, Flash Gordon è l’antenato di Superman. Nome originario, in ebraico: Kal-El, cioè “El rapido e leggero”. La presunta “divinità” con la quale viene in contatto Abramo si presenta con il nome di El Shaddai. La traduzione in italiano (“Dio l’onnipotente”) è totalmente inventata: lo dice la Bibbia di Gerusalemme curata dagli autorevoli biblisti domenicani, secondo cui “El Shaddai” vuol dire, semplicemente, “signore della steppa”, laddove “El” è la radice di Elohim, vocabolo convenzionalmente tradotto con “Dio” ma in modo arbitrario, «visto che nessun traduttore al mondo – sottolinea Biglino – è tuttora in grado di spiegare il significato della parola “Elohim”». La Bibbia? Dibattito infinito: bisogna però sapere, ribadisce Biglino, che quell’insieme di testi è stato incessantemente manipolato a partire dal II secolo avanti Cristo, e la manipolazione è terminata solo con la vocalizzazione introdotta dai Masoreti. Un lavoro di revisione proseguito fino all’epoca di Carlomagno. Risultato: dall’Antico Testamento “masoretico” sono spariti 11 libri, ripetutamente citati in vari passi della Bibbia stessa. Uno di questi riguarda “le guerre di Yahvè”.Il teologo cattolico Ermis Segatti conferma che la Bibbia non racconta la “creazione” dell’uomo: dice solo che «siamo stati fatti», cioè “fabbricati”, utilizzando materia preesistente. Corrado Malanga, ricercatore universitario a Pisa, sottolinea l’abisso che separa l’australopiteco dagli ominidi successivi: gli stessi genetisti, oggi, convergono sull’opportunità di riconsiderare i testi antichi come “libri di storia” ante litteram, capaci di spiegare il “missing link” tra uomo e scimmia. Un analogo “anello mancante” differenzia la patata commestibile dal tubero suo progenitore, e lo stesso grano dal farro selvatico: tutte specie comparse sulla Terra all’improvviso, grossomodo nel periodo che la Genesi indica come quello in cui erano in corso le sperimentazioni genetiche del Gan, in “giardino protetto e recintato” posto nella regione geografica di Eden, fra Turchia e Mar Caspio. In antica lingua persiana, è il termine “pairidaēza” a indicare il giardino recintato (da cui il greco “parádeisos”, fino al nostro “paradiso”). Se il pensiero “essoterico” ha fondato religioni, quello esoterico tende a fidarsi solo dei simboli: conterrebbero le tracce degli archetipi, cioè gli “eventi, materiali e immateriali” all’origine della nostra storia. Un corpus sapienziale che gli esoteristi riconducono a quella che chiamano “tradizione unica primordiale”. La sua provenienza? Ignota.Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor (nipote del più volte premier Mariano Rumor) racconta di un’unica dinastia di potere che reggerebbe il mondo da 12.000 anni. Sarebbe nata in Mesopotamia per poi trasferirsi in Egitto, quindi in Grecia e nel resto del Mediterraneo, dando vita a tutte le civiltà di cui si occupano gli storici. La chiama, semplicemente, “la Struttura”. Fonte: i diari del padre, Giacomo Rumor, che nel dopoguerra fu messo a parte di questo ipotetico grande segreto dall’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo. Mesopotamia, Anunnaki: chi erano, in realtà, i Sumeri? Possibile che tuttora non si conoscano le origini di una fiorentissima civiltà nata dal nulla ma in possesso di conoscenze avanzatissime – agricoltura, architettura, diritto, astronomia – proprio sulle rive dell’Eufrate, cioè non lontano da quel Gan-Eden da cui, secondo la Genesi, fu cacciato Caino? Lo scozzese Graham Hancock suggerisce di rileggerle con occhi nuovi, le “impronte degli dei”, perché potrebbero riservarci grosse sorprese. Lo stanno già facendo: le piramidi scoperte a Visoko, in Bosnia, hanno 28.000 anni. E l’ipotetica metropoli appena rinvenuta in Sudafrica, a due passi dalle più antiche miniere d’oro del pianeta, ne avrebbe addirittura 160.000. Notizie, spunti, segnalazioni e ricerche al cui confronto, forse, rimpiccioliscono un po’ anche gli alieni di canedesi di Paul Hellyer.L’alieno è fra noi, e ci protegge: lavora segretamente per evitare che l’uomo distrugga la Terra, impiegando le armi atomiche. E’ la tesi rilanciata dall’ingegner Paul Hellyer, già vicepremier e ministro della difesa del Canada, perfettamente al corrente – quand’era in carica – dei segreti strategici del Norad, la difesa missilistica nordamericana. Clamorose le sue prime esternazioni, nel 2005 all’università di Toronto: gli extraterrestri sono con noi da sempre e si sono installati nel Nevada (Area 51) dopo le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Obbiettivo: dialogare con gli Usa e convincerli a non ripetere l’esperimento. «Il loro aspetto umanoide li rende simili a noi, e ben 6 di loro siedono nel Congresso statunitense». Temono che l’umanità possa annientarsi, distruggere la Terra e creare ripercussioni nel cosmo. Nel 2004, aggiunse Hellyer, il presidente Bush chiese alla Nasa di creare una base avanzata sulla Luna entro il 2020: vero obiettivo, monitorare il traffico alieno e intercettare minacce dallo spazio, da parte di entità ostili. Tesi rilanciate nel 2014 in un’intervista a “Rt”: sarebbero almeno 80 le specie extraterrestri, anche “residenti” nel sistema solare, e alcune di queste collaborano con le autorità terrestri da mezzo secolo: dobbiamo a loro l’introduzione delle luci a led, dei microchip e di materiali come il kevlar. Ma in realtà, sottolinea l’ex ministro canadese, gli alieni sono tra noi da migliaia di anni.
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Reddito e pensioni, la truffa gialloverde che piace a Juncker
Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.Naturalmente qui faccio un esempio limite; ci sono spese, c’è la famiglia, si possono cumulare più redditi se in una famiglia ci sono più disoccupati maggiorenni, insomma bisogna andare al Caf e poi all’Inps con una pila di documenti, ad esempio per dimostrare quanto è vecchia l’auto, se se ne ha una. Tuttavia alla fine il concetto è chiaro: saranno davvero pochi coloro che incasseranno tutti i 780 euro mensili, che titolano il provvedimento. Anche il governo, per chiarire, ha scritto che comunque nessuno degli aventi diritto potrà avere meno di 480 euro all’anno, 40 al mese. Il reddito viene assegnato a tutti i residenti in Italia che ne abbiano diritto. Attenzione però, perché bisogna essere residenti da almeno 10 anni. Questo vale per i migranti, ma anche per cittadini italiani che siano andati a lavorare all’estero e poi siano tornati avendo perso lì il lavoro. Il limite avrebbe dovuto essere di soli 5 anni, ma Salvini è intervenuto per evitare che troppi migranti avessero il reddito. Così, per togliere soldi ai migranti, li hanno tolti anche agli italiani in difficoltà. Meditate, razzisti, meditate.Il reddito va anche ai pensionati con più di 65 anni che prendano meno di 780 euro mensili. Siccome questi sono milioni e si prevede di sostenerne solo una piccola quota, spetterà all’Inps fare una selezione sociale (come, lo vedremo). Il reddito verrà versato in una social card che ha degli obblighi di spesa. Chi la detiene potrà prelevare solo 100 euro al mese in contanti. Il resto dovrà essere speso direttamente e mensilmente. Ci sarà un controllo su come vengono spesi i soldi. In ogni caso i soldi sono sempre quelli, quanti che siano coloro che ne avrebbero diritto. In una clausola chiaramente concordata con Bruxelles, il governo si impegna a tenere fissa la spesa per il reddito. Per capirci: se alla fine ne avesse diritto un milione di persone, la spesa è 6 miliardi. Se però fossero tre i milioni a fare domanda, la spesa sarebbe sempre di 6 miliardi, quindi gli stessi soldi sarebbero divisi tra più persone. Altro che 780 euro. “Rimodulare”, si chiama, nel linguaggio del governo.Tutti gli interessati al reddito che hanno meno di 65 anni dovranno rendersi disponibili al cosiddetto Patto di Lavoro. Esso è indispensabile per ottenere il reddito, e chi lo sottoscrive entra nel gorgo della collocabilità. Che ha il doppio scopo di costringere le persone ad accettare lavori purchessia, o di far risparmiate tanti soldi allo Stato. Infatti il reddito dura 18 mesi, poi si salta un mese e successivamente lo si può riavere, ma a terribili condizioni. La principale delle quali è che non si può rifiutare nessuna proposta di lavoro in tutto il territorio nazionale. Un disoccupato calabrese che rifiuti un lavoro di 800 euro a Milano perderà il reddito. Ma la tagliola scatterà anche prima. Infatti solo la prima proposta di lavoro “congruo” (chissà che vuol dire) sarà entro 100 km e nei primi 6 mesi di reddito, poi scatteranno 250 km, che sono tanti, implicano già il trasferimento, e dopo 12 mesi questa proposta non potrà essere rifiutata. Insomma, alla fine o emigri o perdi tutto. Salvini odia i migranti esteri e vuole rimpiazzarli con tanti migranti interni.Il Patto di Lavoro implica 35 ore mensili medie di lavori socialmente utili, partecipazione obbligata a corsi di formazione e una partecipazione quotidiana alle piattaforme informatiche di collocamento istituite apposta. Il tutto sotto gli occhi di un tutore-collocatore. Le aziende che assumeranno i titolari di reddito riceveranno un premio se non li licenziano prima di 24 mesi; questo, per il governo, è l’assunzione a tempo indeterminato. Il premio sarà pari almeno a 5 mensilità di reddito. Lo stesso premio lo riceveranno i tutori-collocatori o gli enti bilaterali tra sindacati e imprese, che avranno un ruolo centrale in tutto il percorso formativo e che riceveranno almeno 5 mensilità per ogni lavoratore collocato. Sa un po’ di caporalato di Stato, ma tanti termini inglesi aggiusteranno tutto. In conclusione, il reddito di cittadinanza era stato presentato come un strumento atto a rendere più forti le persone nel mercato del lavoro, per impedire la concorrenza al ribasso sui salari. Qui invece si fa l’opposto, si usa il reddito per l’avviamento coatto al lavoro alle condizioni peggiori, “o mangi ’sta minestra o salti dalla finestra” è il motto che guida il reddito di cittadinanza sfruttata di Di Maio.Vediamo ora la “cosiddetta” quota 100. Come era chiaro da tempo, non c’è nessuna abolizione e neppure riforma della legge Fornero, che resta pienamente in vigore con alcuni interventi temporanei e con una finestra di pensionamenti anticipati e penalizzati che si chiuderà. Dal 1° aprile cominceranno ad andare in pensione coloro che hanno già maturato il requisito di 62 anni di età e 38 anni di contributi. Si procederà per scaglioni e, tra la maturazione del diritto e l’effettivo pensionamento, dovranno passare almeno tre mesi per i privati, sei mesi per i pubblici. Il provvedimento vale per il 2019, 2920 e 2021, poi scatterà l’innalzamento in base al legame con l’aspettativa di vita. Cioè è una finestra una tantum. La pensione viene penalizzata sulla base dei meccanismi, che restano in vigore, della legge Fornero. Cioè: si svalutano i contributi in proporzione alla distanza anagrafica dalla pensione di vecchiaia. Il governo riconosce questo, e pertanto favorisce gli accordi tra aziende e sindacati per integrare la pensione. Per capirci: così si aiutano banche e grandi aziende a svecchiare il personale. Per questo Confindustria & C sono felici del provvedimento: via dipendenti anziani e costosi, dentro giovani pagati la metà e senza articolo 18.Viene soppresso l’aumento di 5 mesi dell’età della pensione di vecchiaia e di quella d’anzianità, scattato il primo gennaio. Però c’è anche qui il trucco dei tre mesi. Chi arriva all’età della pensione deve aspettare almeno in questa misura. Così viene abolito l’aumento di cinque, ma se ne introduce uno di tre mesi, per giunta non pagato. Non so quanto convengano i due mesi risparmiati rispetto alla Fornero. Vengono confermate opzione-donna ed Ape Social, che però sono state fatte proprio da chi ha votato la legge Fornero e non hanno cambiato in nulla le iniquità del sistema pensionistico. I dipendenti pubblici che andranno in pensione a 62 anni dovranno aspettare quasi cinque anni per avere la liquidazione, anche qui in base alla legge Fornero. Tuttavia potranno farsi prestare i soldi da banche con cui le amministrazioni pubbliche dovrebbero definire apposite convenzioni, con i relativi interessi. Cambiano i governi, ma porcate con le banche si fanno sempre.E a proposito di porcate, non ci saranno sostituzioni per chi esce, visto che le assunzioni pubbliche sono bloccate fino a novembre, cioè fino alla prossima finanziaria lacrime e sangue. Tutto qui, solo la propaganda menzognera del governo, con la stupidità complice delle opposizioni di Pd e Forza Italia, può far credere che qui si sia davvero istituito il reddito di cittadinanza o che sia stata colpita la legge Fornero, che invece continuerà a far danni. Salvini e Di Maio hanno solo varato una versione povera e feroce della legge tedesca Hartz IV e hanno concesso un prepensionamento per alcune generazioni di impiegati, cosa che fanno tutti i governi in tutti i paesi. Per questo Juncker ha messo il suo bollino sulla manovra: essa è perfettamente compatibile con le politiche liberiste della Ue. Anzi le realizza, finanziandole con un poderoso aumento dell’Iva e con i tagli alla scuola e allo stato sociale. Che naturalmente andranno in vigore dopo le elezioni europee. Intanto la montagna di promesse di Salvini e Di Maio ha partorito il topolino di Juncker.(Giorgio Cremaschi, “E la montagna di promesse di Salvini e Di Maio partorì il topolino di Juncker”, da “Micromega” del 9 gennaio 2019).Finalmente abbiamo il decreto su reddito di cittadinanza e sulla “cosiddetta” (lo dice anche il testo della legge) quota 100. Vengono tutte confermate le peggiori anticipazioni di questi giorni, che spesso sui social erano state bollate come “fake news” dai fanatici del governo. Purtroppo non è così. Vediamo i punti cardine dei due provvedimenti. Cominciamo dal reddito. Di cittadinanza ce ne è davvero poca, e anche di reddito; naturalmente non si può che essere contenti se lo Stato dà dei soldi ai poveri, tuttavia non possiamo certo chiamare dignitoso e civile un sistema che sottopone il povero disoccupato a clausole sempre più vessatorie fino a diventare insopportabili. Questo è il modello Thatcher che vediamo denunciato nei film di Ken Loach: ti dò dei soldi ma tu sei a disposizione della burocrazia e delle imprese. Vediamo. Il reddito viene assegnato a chi ha un Isee inferiore a 9.360 euro, i famosi 780 euro mensili che rappresenterebbero la soglia della povertà assoluta. Il principio è che lo stato concorre con quanto manca per raggiungere quella cifra. Quindi hai Isee zero? Allora prenderai tutti i 9.360 euro, ma tutto ciò che guadagni (o il valore della casa che eventualmente possiedi) ti verrà scalato da quella cifra.
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Rolling Stone: ma che rabbia, quel Rinaldi sempre in tivù
Ma come si permette, Antonio Maria Rinaldi, di dire quello che pensa? Come osa trascinare il suo ciuffo argenteo nei migliori salotti televisivi, da cui dispensare il suo sub-pensiero economico declinandolo sfrontatamente in romanesco? Non sa, Rinaldi, che negli studi di Giletti, di Floris e della Gruber, come in quelli di Mediaset e della Rai, devono avere accesso solo personaggi collaudati come Beppe Severgnini, Paolo Mieli, Massimo Cacciari e altri analoghi, rassicuranti esponenti del clero regolare? Se qualcuno si domandasse come mai l’Italia è classificata al 46esimo posto nella graduatoria di “Reporters sans frontières” sulla libertà d’informazione, forse una risposta potrebbe trovarla dando uno sguardo alla demolizione programmata di Antonio Maria Rinaldi, eseguita dal giovane Steven Forti sul magazine musicale “Rolling Stone”. Non vive di sola musica, “Rolling Stone”. Lo si capisce da titoli come questo: “Il troll di Salvini è meglio di Salvini”. Oppure: “Sapreste riconoscere il fascismo, se tornasse?”. O ancora, sotto una foto di Beppe Grillo: “La politica non fa più ridere”. Quanto all’autore della sommaria rottamazione cartacea di Rinaldi, per lui parlano titolazioni altrettanto eloquenti: “La bestia, ovvero del come funziona la propaganda di Salvini”. Va da sé: “Un fantasma si aggira per l’Europa: il rossobrunismo”, dal momento che “Piccoli Salvini crescono”.
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Cristo e la Maddalena: così Raffaello smentisce Dan Brown
Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.Lo rivela il simbologo Gianfranco Carpeoro, analizzando l’Estasi raffaellita dipinta nel 1514 e custodita alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Raffaello riproduce alla perfezione la misteriosa figura dell’affresco di Leonardo: osservandola, «non si può non riscontrarne la assoluta somiglianza, nelle fattezze, alla omologa raffigurazione leonardesca del Cenacolo: stessi tratti efebici, stessa impostazione», scrive Carpeoro sulla sua pagina Facebook. Ma attenzione: nel quadro di Raffaello «la figura della Maddalena è presente», e quindi «la raffigurazione di San Giovanni è al di sopra di ogni sospetto». C’è lui, e c’è la Maddalena. Certo, Giovanni è ritratto giovanissimo – esattamente come la figura del Cenacolo, scambiata per la Maddalena. «Così i cosiddetti maddaleniani, compreso Dan Brown e il suo “Codice da Vinci” sono serviti a dovere». La somiglianza tra i due Giovanni è impressionante: Raffaello “cita” in modo esplicito Leonardo. E’ come se dicesse: credevate fosse la Maddalena? No, è Giovanni. Ergo: tra i Dodici, nell’ultima cena di Cristo, la Maddalena non c’era. Nell’analisi simbologica, Raffaello è lo “specchio” di Leonardo: offre la stessa identica immagine, ma capovolta nel suo significato. Come dire: per cogliere l’insieme, conviene esaminare le due opere in modo complementare, come fossero parte di un unico messaggio cifrato.Autore del ciclo saggistico “Summa Symbolica” nonché di romanzi sui Rosa+Croce, confraternita iniziatica a cui si suppone appartenessero sia Leonardo che Raffaello, Carpeoro ha condotto approfonditi studi storici e simbologici su Leonardo, figura in realtà misteriosissima e quasi comparsa dal nulla, con quel non-cognome (“da Vinci”), che indica solo una provenienza geografica, in un secolo – il ‘400 – in cui i cognomi erano regolarmente presenti. Carpeoro ipotizza che il geniale Leonardo fosse in realtà un formidabile “depistatore”, incaricato da un lato di fissare nelle sue opere la “conoscenza segreta” tramandata dalla confraternica rosacrociana (i Fidelis in Amore di Dante Alighieri, poi Giordaniti con Giordano Bruno) e dall’altra di allontanare da quel gruppo sapienziale le attenzioni delle occhiute polizie dell’epoca, a cominciare da quella vaticana. Cent’anni dopo, la firma Rosa+Croce siglerà i clamorosi manifesti pubblici apparsi in Francia (Fama Fraternitatis e Confessio Fraternitatis), scritti con l’evidente intento di suscitare una radicale riforma di una società dominata dal doppio giogo dell’assolutismo monarchico e dell’oscurantismo teocratico cattolico.Non a caso, sottolinea Carpeoro, a quel periodo appartiene la straordinaria fioritura della letteratura utopistica rosacrociana: da “Utopia” di Tommaso Moro a “La città del Sole” di Tommaso Campanella, fino a “Christianopolis” di Johann Valentin Andreae, considerato l’autore della Fama Fraternitatis, manifesto politico-programmatico che adotta il tema evangelico per stimolare la nascita di un’umanità migliore, fraterna e unita, non più divisa dai confini tra le nazioni. Giustizia sociale: «I Rosa+Croce propongono addirittura l’abolizione della proprietà privata: sono, a tutti gli effetti, i progenitori del socialismo», sostiene Carpeoro. E dato che proprio quella confraternita iniziatica decise di “parlare” a tutti attraverso i capolavori artistici, fino a permeare le maggiori opere del Rinascimento, ricchissime di letture a più strati, è sicuramente utile – suggerisce Carpeoro – esaminare con attenzione un’opera fondamentale come quella di Raffaello, che sembra “rispondere”, a distanza, al celeberrimo Cenacolo leonardesco. L’Estasi di Santa Cecilia è un olio su tavola poi trasferito su tela. Raffigura Santa Cecilia, patrona della musica, nel momento della sua rinuncia agli strumenti musicali in favore della voce. Traduzione simbolica: meglio il canto, per produrre «una musica vicina a Dio», visto che l’ugola è un dono “divino”, mentre gli strumenti restano una creazione umana.Come comprovato da un disegno preparatorio conservato a Parigi, aggiunge Carpeoro, è stato accertato che, nel dipinto, «il dualismo originario era tra la musica divina degli angeli, anch’essi raffigurati mentre suonavano degli strumenti, e la musica umana». Evidentemente, «in un momento successivo l’artista ha deciso di sottolineare diversamente la contrapposizione». Un altro rilievo evidente, annota sempre Carpeoro, riguarda l’analisi geometrica del dipinto: «Santa Cecilia è collocata al centro di un quadrato, formato da quattro santi», ovvero San Paolo, San Giovanni evangelista, Sant’Agostino e Santa Maria Maddalena. «Ciò può assumere il significato che Santa Cecilia simboleggi la quintessenza, il quinto elemento degli alchimisti, lo spirito universale della materia». E non è tutto: «C’è anche il sottile simbolismo di una croce spaziale e assiale, raffigurata dagli sguardi dei santi». Infatti San Paolo guarda in basso e Santa Cecilia verso l’alto, San Giovanni e Sant’Agostino «realizzano un asse destra-sinistra, incrociando reciprocamente i loro occhi», mentre la Maddalena fissa chi guarda il quadro, e quindi «stabilisce una asse tra l’interno e l’esterno dell’opera, tra il passato e il presente».A loro volta, i santi sono simboli: se Cecilia può raffigurare la quintessenza, Sant’Agostino (riprodotto col bastone) può essere la Terra. La Maddalena può simboleggiare l’acqua, visto che tiene in mano un’anfora, mentre San Paolo, «raffigurato come sempre con la spada», incarna lo spirito del fuoco. San Giovanni invece può simboleggiare l’aria, «secondo il suo simbolo evangelico, cioè l’aquila». Elementi fondamentali: terra, acqua, fuoco e aria (più la quintessenza, Cecilia: la musica). Alchimia, appunto: «La spada di San Paolo e il bastone di Sant’Agostino possono essere definiti come il “solve” e il “coagula” degli alchimisti». Quanti indizi può contenere un singolo quadro, se è opera di un genio? Carpeoro lo definisce «l’ultimo messaggio di Raffaello», dato che l’Estasi fu dipinta poco prima che l’artista si spegnesse. Un avvertimento chiarissimo, ignorato dai seguaci di Dan Brown: all’epoca di Cristo (secondo Raffaello, almeno) la Maddalena non era un’adolescente scambiabile per un ragazzino, ma una donna perfettamente compiuta.Il che non esclude di per sé la possibilità che la stessa Maddalena si sia poi davvero imbarcata per approdare nel Sud della Francia, insieme alle altre Marie del Mare, sulle spiagge della Camargue dove ancora oggi i gitani eleggono la loro regina, di nome Miriam. Proprio alla Maddalena, i francesi hanno dedicato le loro chiese più importanti, a cominciare da Notre-Dame de Paris. La storia non fornisce appigli certi: la stessa vicenda del Cristo è supportata unicamente dai Vangeli, che restano testi privi di fonti attendibili (sono attribuiti agli evangelisti solo in base alla convenzione tradizionale). Proprio per questo, può essere interessare scavare tra le pieghe delle narrazioni dei primi secoli, per scoprire l’importanza di una figura elusiva ma determinante: quella di Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che avrebbe guidato la leggendaria spedizione navale dalla Palestina alla Provenza, dopo aver avuto il coraggio di riscattare il corpo di Cristo da Pilato per poi inumarlo nella sua tomba di famiglia. Ma le notizie biografiche su Giuseppe d’Arimatea sono scarne quanto quelle sulla genealogia di Leonardo. Solo un caso?Quel racconto è di capitale importanza, per la tradizione religiosa: alla Maddalena (come anche a San Giacomo) è legata l’introduzione del Cristianesimo in Europa. Due narrazioni controverse, entrambe imbarazzanti per la Chiesa dell’epoca: il messaggio di Cristo sarebbe giunto nel continente europeo grazie a una donna, vicinissima al Maestro, e grazie all’apostolo attorno a cui fu cucita la fiaba del Campo di Stelle per battezzare il santuario di Santiago de Compostela in Galizia. Un evento miracoloso, cioè magico – la straordinaria pioggia di stelle cadenti nel campo in cui spirò Giacomo, alla fine della sua predicazione – fu inventato di sana pianta per travisare il senso del vero Campo di Stelle, tratto di Via Lattea che si riteneva visibile dalla Palestina all’Italia, che per l’antica Chiesa di Giacomo (diversa da quella di Pietro) aveva un significato simbolico preciso: riportare a Roma “la verità di Gerusalemme”, cioè la reale identità del Cristo, interpretabile come simbolo del Dio presente in ogni essere umano. Declinato in mille modi, il tema è sempre lo stesso: un pensiero che viaggia dal Medio Oriente all’Europa. Anche di questo parlarono, Leonardo e Raffaello, dietro il Cenacolo e l’Estasi, insistendo sulla Maddalena? Di certo non accennarono minimamente, neppure loro, a quella che probabilmente resta la figura più misteriosa della narrazione evangelica: Giuseppe d’Arimatea, sfuggente quanto Leonardo.Il “Codice da Vinci”? Un equivoco da 80 milioni di copie, grazie all’abilità di Dan Brown. Lo scrittore fa dire a Leonardo che c’era la Maddalena accanto a Gesù nell’ultima cena: dunque il messia aveva una compagna segreta? E il Santo Graal (in realtà “Sang Real”, sangue reale) non sarebbe stato altro che la discendenza occulta di Cristo, sbarcata in Francia insieme alla donna clandestina del Nazareno? Un segreto inconfessabile, secondo il bestseller americano, in cui alla fine dell’800 si sarebbe imbattuto Bérenger Saunière, il famoso parroco di Rennes-le-Château, scavando sotto l’altare della sua chiesetta di campagna. Di quel segreto, secoli prima, sarebbe stato il massimo custode il sommo Leonardo, rappresentato come “gran maestro” di un ipotetico e leggendario ordine iniziatico, il Priorato di Sion. Nel suo capolavoro, il Cenacolo affrescato nel refettorio milanese di Santa Maria delle Grazie, Leonardo avrebbe lasciato un indizio rivelatore: la presenza della Maddalena, tra i Dodici riuniti per l’ultima cena. A smentire i dietrologi, però, provvede – già vent’anni dopo – un altro grande del Rinascimento italiano: Raffaello Sanzio. Nella sua Estasi di Santa Cecilia, Raffaello riproduce quella stessa figura, scambiata per la Maddalena. Solo che non è una donna, è un giovanissimo dai tratti efebici: l’apostolo Giovanni, futuro San Giovanni evangelista. Nel quadro di Raffaello, infatti, c’è anche la Maddalena: una donna, non un soggetto dall’identità incerta.
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Tav, la strana guerra contro i palestinesi della val di Susa
Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.Nemmeno l’umorismo iperbolico di Paolo Villaggio, forse, sarebbe riuscito a dipingere il carattere lunare, gaglioffo e cialtrone del fantasma ferroviario che insidia da più di vent’anni l’estremo nord-ovest italiano: un ipotetico super-treno pensato negli anni ’80 del secolo scorso per i passeggeri, surclassato in capo a un decennio dall’avvento dei voli low-cost e infine umiliato anche dal traffico merci, defunto pure quello. La globalizzazione “cinese” sbarca a Genova e punta verso Rotterdam, snobbando il Piemonte e le Alpi del Rodano. Dalla Fortezza Bastiani del Tav, a lungo presidiata dall’ineffabile Pd con la collaborazione del centrodestra (leghisti compresi), ormai si guarda con malinconia ai dati, impietosi, sciorinati ufficialmente anche a Palazzo Chigi: il flusso di merci è crollato, e la ferrovia internazionale che già collega Torino a Lione attraversando l’infelice valle di Susa (via Modane, traforo del Fréjus) potrebbe tranquillamente reggere un incremento di traffico del 900%, se solo ci fossero merci da trasportare. Bel guaio: cosa bisognerà inventare, ancora, per spillare soldi euro-italiani da spalmare su appalti e subappalti? Avverte il giallista Massimo Carlotto, vicino ai NoTav: le grandi opere sono perfette per riciclare denaro, nell’immensa “lavanderia a cielo aperto” chiamata Europa. Business is business: non è che si possa smontare così, su due piedi, un grande affare destinato a pompare milioni (miliardi) in una filiera che include industria e indotto cantieristico, studi e consulenze, progettisti, banche e partiti.Se sento ancora parlare di Tav Torino-Lione, scrisse Giorgio Bocca nel 2005, vado a ripescare il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo gettato alla fine della guerra partigiana. Si era documentato, l’ultimo grande vecchio del giornalismo italiano: aveva capito che i palestinesi inermi le avevano buscate in modo selvaggio, riempiti di botte – uomini e donne, ragazzi e anziani – dai robocop venuti da lontano, in piena notte, per sgomberare il prato di Venaus occupato dalle famiglie impegnate in una sorta di sit-in permanente. Ne seguì una sommossa popolare a carattere insurrezionale: qualcosa che in Italia s’era visto soltanto nei moti di Reggio Calabria del 1970. Un popolo sulle barricate, armato solo di indignazione. Scudi umani, i sindaci in fascia tricolore (e le loro auto, quelle dei vigili urbani, spedite a sbarrare le strade, coi lampeggianti accesi). Due giorni di follia collettiva, dopo il pestaggio notturno, fino alla paralisi della tangenziale di Torino e alla capitolazione del governo: progetto sospeso, ritirato, archiviato. Clamorosa vittoria dei palestinesi, che da quel momento cominciarono a credersi invincibili. O meglio: ritennero invincibile la forza della ragione, la sovranità democratica del cittadino, la legittimità della protesta di una comunità coesa e fasciata di tricolore.Durò anni, l’illusione. Una speranza radicata: il governo centrale si sarebbe deciso a cestinare il dossier – poi bocciato anche da 360 tecnici universitari – per concludere che sì, avevano ragione i palestinesi della valle di Susa: quella ferrovia andava dimenticata, gettata nella spazzatura della storia. Ma le trivelle tornarono, dopo un quinquennio di silenzio. Era il 2010. La tensione emotiva era scemata, molti sindaci erano spariti – non rieletti, o semplicemente rimasti a casa, non più disposti a fare da caschi blu. Fu allora che cominciò l’accerchiamento, lento e inesorabile. Senza più i sindaci in prima fila, i NoTav erano nudi. “Siete finiti”, li avvertì cordialmente il sindaco di Torino, Chiamparino. Risposero in quarantamila, con una marcia sotto la neve. I piani di Roma, intanto, erano cambiati: il cantiere per la prima galleria esplorativa, inizialmente programmato nel prato poi “espugnato” a Venaus nel 2005, sarebbe stato reimpiantato a Chiomonte, sopra le gole della Dora Riparia, in posizione militarmente difendibile. I NoTav risposero asserragliandosi proprio lì, tra le loro Termopili. Nacque la Libera Repubblica della Maddalena, il villaggio di Asterix attrezzato – con barricate – per tentare di resistere all’esercito imperiale. I reparti antisommossa, duemila uomini, si presentarono puntuali all’alba del 27 giugno 2011. Agirono con calma, minimizzando la loro forza d’urto. In cabina di regia il ministro Maroni e il capo della polizia Manganelli. Niente più cariche, solo lacrimogeni.Ci rimasero malissimo, i palestinesi: avevano sperato di ripetere il “miracolo” del 2005, quand’erano riusciti – sciamando in 80.000 attraverso i boschi – a sfrattare la polizia da Venaus. Una settimana dopo lo sgombero della “Libera Repubblica”, il 3 luglio 2011 tentarono di riprendersi Chiomonte. Erano in centomila: un corteo lungo chilometri. Pullman da tutta Italia, decine di migliaia di valsusini. E anche giovani dei centri sociali: quelli che poi, nel pomeriggio, avrebbero contribuito a trasformare la protesta in guerriglia. “Volevano il morto”, dichiarò Maroni. Bilancio ufficiale: 200 feriti per parte. E fine di una lunga, gloriosa anomalia: la lotta popolare esclusivamente nonviolenta, nata e cresciuta in mezzo ai monti, che tanto aveva spaventato la politica. Inammissibile che una comunità di sessantamila valligiani riuscisse a fermare le ruspe. Intollerabile, che lo facesse in modo pacifico. Inaccettabile, che imponesse al governo di lasciarsi ascoltare, e lo costringesse a prender nota del fatto che, secondo tutti gli esperti, la linea Tav Torino-Lione era (ed è) una pazzia completamente inutile, destinata a pesare per decine di miliardi sul debito pubblico dopo aver reso invivibile il territorio, cioè i 50 chilometri che separano Torino dalla Francia. Rocce piene di amianto, montagne dove l’Agip scavò decine di gallerie per estrarre l’uranio al tempo del nucleare italiano. Falde acquifere a rischio, salute in pericolo e addio agricoltura. Dissesto idrogeologico irrimediabile, apocalisse urbanistica, catastrofe idrica incombente sulla stessa area metropolitana torinese. Ma perché, di grazia? A beneficio di chi?“Diteci almeno a cosa servirebbe, tutto questo”. Domanda rimasta sempre inevasa. Lo vuole l’Europa, c’è un impegno con la Francia. Davvero? Sì e no. L’Europa ha cambiato idea: ha archiviato l’originaria, fantascientifica direttrice Kiev-Lisbona, di cui la Torino-Lione sarebbe stata il passante alpino. Quanto alla Francia, varie istituzioni parigine hanno via via intiepidito la loro posizione. Analoga retromarcia tattica dal governo Renzi: è vero, la nuova linea costa troppo; meglio limitarsi al solo traforo, facendo poi passare i treni sull’attuale linea (perfettamente idonea, dunque – percorsa, già oggi, dal Tgv francese). Nel frattempo, sui NoTav si è scatenata una campagna di demonizzazione parossistica, da parte della politica istituzionale e dei grandi media. E il movimento valsusino, senza più la tutela diretta dei sindaci, ha fatto miracoli per arginare il pericolo di infiltrazioni da parte delle frange virtualmente violente (un conto è gestire un corteo, un altro controllare manifestanti in ordine sparso, nei boschi). Anni durissimi, rischiosi, in bilico, ma durante i quali – nonostante tutto – la resistenza dei palestinesi ha conquistato piena cittadinanza in larghi strati del paese, anche grazie al generoso impegno di opinion leader di prima grandezza, scrittori e artisti, cantanti, giuristi, intellettuali. Senza con questo riuscire minimamente a scalfire il muro di omertoso silenzio che ancora protegge, misteriosamente, il progetto della grande opera: un dogma marmoreo, quasi mistico, che sembra imposto da una religione sconosciuta, alla quale gli stessi politici (ministri, premier) appaiono sottomessi.C’è altro, poi, che i valsusini sanno e gli altri italiani per lo più ignorano. E’ una storia complicata, tra loro e il governo. Una storia tormentata e opaca, per molti aspetti, che risale addirittura alla Liberazione, quando molti partigiani – in maggioranza comunisti – rifiutarono di consegnare le armi agli alleati, per poi tirarle fuori, occupando fabbriche, in risposta all’attentato a Togliatti. Ha radici antiche, il ribellismo della valle di Susa, industriale e operaia già alla fine dell’800. Dopo il Sessantotto, mentre i padri issavano bandiere rosse sui cotonifici, decine di figli cedettero alla tentazione della lotta armata. La valle di Susa è stata l’unica area non metropolitana, in tutta Italia, ad allevare una colonna di terroristi, arruolati tra le file di Prima Linea. Poi vennero gli anni ’80, con l’autostrada del Fréjus che la valle non voleva. Le solite mazzette e, a seguire, la relativa Tangentopoli, con arresti eccellenti, mentre la commissione parlamentare antimafia denunciava il radicamento della ‘ndrangheta nell’alta valle, il paradiso sciistico che a Sestriere avrebbe ospitato i Mondiali di sci e poi le Olimpiadi Invernali. Quello di Bardonecchia è stato il primo Consiglio comunale italiano, a nord del Po, a essere disciolto per mafia.L’onorata società tornò a occupare la cronaca della valle di Susa poco dopo gli attentati siciliani costati la vita a Falcone e Borsellino, quando la magistratura di Torino scoprì che erano finite a una cosca calabrese le pistole uscite illegalmente, a centinaia, da un’armeria di Susa. Chi avrebbe dovuto vigilare non l’aveva fatto: emerse l’ombra dei servizi segreti. Gli inquirenti avevano scoperto il traffico di armi grazie a un pentito della ‘ndrangheta, che smise di parlare (di colpo) dopo che gli fu ucciso il fratello, proprio in valle di Susa, da un ex agente del Sismi, reo confesso. Uno stillicidio di notizie inquietanti, che il valsusino medio – non ancora palestinese – apprendeva con sgomento, a metà degli anni ’90. A seguire, cominciarono a esplodere bombe: una dozzina di attentati dinamitardi, notturni e devastanti ma tutti incruenti, colpirono le prime trivelle del futuro Tav ma anche centraline Enel, tralicci telefonici, ripetitori televisivi. I giornali, in coro, parlarono di eco-terrorismo anarco-insurrezionalista. Comparve una sigla, “Lupi Grigi”, con rivendicazioni deliranti contro le grandi opere. Finirono in manette tre giovani anarchici, due dei quali (“Sole e Baleno”) poi trovati morti in stato di detenzione, impiccati. L’accusa: banda armata e associazione sovversiva. Lui, Edoardo Massari, un anarchico piemontese. Lei, Maria Soledad Rosas, argentina, giovanissima, venuta in Europa in vacanza premio, dopo il liceo, e poi rimasta in Italia perché innamoratasi del suo “Edo”. Il pm annunciò di avere “prove granitiche”, contro di loro. Salvo poi ammettere il tragico errore, fuori tempo massimo. Scagionati post mortem, alla fine del processo: non erano stati quei ragazzi, a far saltare in aria mezza valle di Susa. Chi, allora?Aveva in testa anche questi pensieri, il valsusino medio (mediamente colto e informato, mediamente scettico) quando cominciò a diventare un po’ palestinese, trascinando la famiglia nei prati di Venaus dove, nel 2005, si era accampata la polizia, spedita lassù da un governo che sosteneva fosse fondamentale far passare proprio di lì, spianando l’intera vallata, la famosa super-ferrovia miliardaria destinata a collegare il Portogallo all’Ucraina. Non può essere, si dicevano i valligiani: avranno capito male, a Roma. E così studiarono, si documentarono, mobilitarono i migliori specialisti. Non sta né in cielo né in terra, conclusero: è un’opera faraonica e devastante, tragicamente inutile. Ne parlavano anche coi poliziotti infreddoliti, inviati a Venaus a presidiare il prato prescelto per accogliere il primo cantiere. Dai NoTav, una protesta formato famiglia: bambini, polenta, bicchieri di tè caldo offerti agli stessi agenti – non quelli che li avrebbero sgomberati (per l’operazione, il reparto presidiario fu avvicendato). Gli incursori notturni colpirono alla cieca, travolgendo tende e sacchi a pelo. Una gradine di manganellate, al buio. Le ambulanze, le urla, i feriti. L’inizio della saga, già l’indomani: i valsusini, a migliaia, nelle strade. La circolazione paralizzata, i treni fermi. Il ministro dell’interno, Pisanu, scomparso dai radar. Imbarazzo, fra i palazzi romani. I palestinesi in rivolta ospitati per la prima volta in televisione, da Gad Lerner, per poi ricevere i primi rumorosi endorsement a reti unificate: Beppe Grillo, Dario Fo. E quei benedetti sindaci, avvolti nel tricolore, a ripetere che la legalità comincia dal rispetto del cittadino, democraticamente sovrano e tutelato da diritti costituzionali.Era solo il 2005, ma sembrano passati cent’anni. Le famiglie di allora avevano una luce particolare, negli occhi. La crisi era ancora lontana. C’era lavoro per tutti, i negozi non avevano ancora cominciato a chiudere, uffici e fabbriche funzionavano. All’ora dell’aperitivo i bar tracimavano di giovani – tutti palestinesi, naturalmente, tra svolazzi di bandiere NoTav. Un clima festoso, di fiducia. “Capiranno, a Roma. Si decideranno a ragionare”. I valsusini: riscopertisi comunità, proprio grazie allo scampato pericolo. Idee politiche forse rudimentali, antiche: la destra, la sinistra. A dire il vero, nella valle ribelle non s’era visto nessuno dei big: tutti spariti, i grandi partiti. La parte del cattivo era toccata a Berlusconi, ma poi Prodi (frenato dai ministri filo-valsusini Paolo Ferrero e Alfonso Pecoraro Scanio) non aveva comunque mai mostrato entusiasmo, per il fervore democratico dei palestinesi garibaldini, alle prese con quello strano risorgimento alpino, montanaro, periferico ma non provinciale. E’ come se si fosse laureato honoris causa, il valsusino medio, in questi anni grami: si è probabilmente conquistato il suo diploma di cittadino di prima classe, quanto a consapevolezza, mentre buona parte dell’Italia dormiva ancora sugli allori, prima di essere svegliata nel peggiore dei modi dal professor Monti, dalla professoressa Fornero.Si racconta che dal massiccio dell’Ambin, nel quale si è andato scavando il dannato tunnel esplorativo, sia disceso Annibale coi suoi elefanti. In direzione opposta avanzò Giulio Cesare alla conquista delle Gallie, facendo base a Susa, dove poi l’imperatore Costantino assediò Massenzio. Poco più a valle, Carlomagno sbaragliò i Longobardi manzoniani di Adelchi e Desiderio per poter fondare il Sacro Romano Impero, il cui erede Barbarossa mise a soqquadro Susa. Napoleone aprì la strada del Moncenisio, Cavour fece scavare il traforo del Fréjus. Quasi ogni sasso, in valle di Susa, ha molti secoli da raccontare, all’ombra dell’imponente Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, eretto prima dell’anno Mille. Sul versante opposto, da una roccia emerge il Giove Dolicheno, scolpito dai soldati mediorientali arruolati da Roma nella Legione Siriana, di stanza nella valle conquistata dai Cesari. I valsusini amano le loro montagne, le frequentano con devozione. Le guardano diventare rosse, e poi viola, quando il tramonto illanguidisce nel crepuscolo lungo la cordigliera transalpina, dalla piramide del Rocciamelone alla mole nevosa del Niblè. Prima di altri, a loro spese, hanno imparato che il nuovo impero ha un’unica legge davvero sacra, quella dei soldi. A loro modo, da palestinesi, sono stati tra gli ultimi difensori di una repubblica di cui tutti gli italiani, oggi, hanno nostalgia.(Giorgio Cattaneo, “Tav, la strana guerra contro i palestinesi della valle di Susa”, dal blog “Petali di Loto” dell’11 dicembre 2018).Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.