Archivio del Tag ‘grillini’
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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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In manette la libertà: chi ha brindato all’arresto di Assange
È stato interessante nei giorni scorsi osservare la composita compagnia che ha esultato per l’arresto a Londra di Julian Assange: alcuni dei suoi corifei erano prevedibili ma altri onestamente meno. Tra i primi, diversi capi di Stato e di governo, qualche potente delle varie forze armate e dei servizi di intelligence, taluni rauchi esponenti di destra che non hanno mai nutrito una smisurata idea di libertà. Tra i secondi – quelli che hanno fatto la ola più a sorpresa – si sono distinti diversi esponenti della sinistra “progressista”, che fino a pochi anni fa simpatizzavano per WikiLeaks, ma adesso l’hanno in uggia, vedremo poi il perché. Accanto a questi, fra gli esultatori imprevisti, si sono esibiti anche non pochi giornalisti di discreta fama, per i quali invece la ragione dell’astio è più psicoanalitica: invidia del collega che ha realizzato scoop storici e mondiali, gioia per la restaurazione di antiche gerarchie professionali che il boom di WikiLeaks aveva ribaltato (Assange a marcire in galera è un bel Congresso di Vienna), soddisfazione intestinale nel vedere al gabbio chi ha fatto del giornalismo uno strumento di rivelazione di segreti dei potenti – mettendo in gioco la propria vita – anziché di accomodamento delle proprie chiappe accanto ai potenti medesimi.Di questi ultimi – le grandi firme che oggi si fregano le mani – si dovrebbero occupare appunto i rispettivi strizzacervelli: se arrivati oltre i sessant’anni non riescono a far pace con il loro ego e i loro compromessi di vita, è solo un problema loro. Più interessante invece la svolta della sinistra “progressista” (o presunta tale). Che aveva coccolato Assange per anni (in particolare quando WikiLeaks aveva rivelato le stragi di civili in Afghanistan compiute al tempo di George W. Bush) ma lo ha drasticamente mollato dopo il Russiagate. E, per quanto riguarda l’Italia, dopo che lo sventurato ha ricevuto nella sua tana-prigione dentro l’ambasciata ecuadoregna una delegazione di parlamentari grillini (Di Battista compreso, stiamo parlando di qualche anno fa) manifestando la sua simpatia e il suo appoggio per il Movimento 5 Stelle. A seguito di questi due eventi, adesso Assange è diventato “l’amico di Trump”, il “complice dei sovranisti” o (ad andar bene) “il controverso hacker”.Ora, a questa ipocrita svolta anti Assange di buona parte dei “progressisti” italiani va risposto con la forza dei fatti e dell’onestà intellettuale: 1. L’appoggio al Movimento 5 Stelle non è un’argomentazione contro Assange e ancor meno contro WikiLeaks. Probabilmente Assange (peraltro poco interessato alla politica italiana) al tempo ha visto nel M5S un partito vicino alla sua idea di trasparenza e di uso della Rete a questo scopo. In ogni caso, non è in base a uno statement su un partito italiano che possiamo giudicare quanto sta avvenendo attorno a lui. Sarebbe ridicolo, oltre che sommamente provinciale. 2. Julian Assange non è in alcun modo indagato nell’inchiesta Russiagate. Non c’è alcun capo di imputazione nei suoi confronti. E la stessa inchiesta sul Russiagate nel suo complesso ha dimostrato che i “progressisti” su questa vicenda si devono mettere un po’ l’anima in pace: se Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti è per un complesso di macrocause economiche, politiche, sociali e culturali (tra cui gli stessi errori storici della sinistra fattasi establishment), non per un complotto degli hacker russi spalleggiati da Assange.3. Solo un cieco felice di esserlo – quindi molto affezionato ai suoi pregiudizi – oggi non vede il motivo sostanziale per cui da anni è perseguitato Assange, con le accuse formali più diverse: per aver dato fastidio (e che fastidio!) ai potentati dell’economia (non dimentichiamo che centinaia dei primi leaks erano su banche e industriali), della diplomazia, dei servizi, dei militari e della politica. Su tutti costoro Assange e il suo sito avevano rivelato solo e sempre verità. Ma verità che non dovevano essere dette. Assange aveva realizzato nei fatti il famoso motto di Horacio Verbitsky, spesso citato ma raramente implementato: «Giornalismo è pubblicare qualcosa che qualcuno non vorrebbe venisse pubblicato; tutto il resto è propaganda». Questo non è stato perdonato ad Assange, per questo ora Assange è in carcere, dopo aver passato sette anni chiuso in venti metri quadri dentro un’ambasciata.Ma, detto tutto questo, non c’è alcun bisogno di apprezzare Assange per difenderlo. Non c’è alcun bisogno di considerarlo un “eroe” (categoria a cui è sempre meglio non appartenere), né un “paladino della libertà” e neppure un “giornalista senza paura”. Anzi, oggi si può e si deve difendere Assange anche se ci sta antipatico, anche se ne siamo distanti politicamente, perfino se lo consideriamo (pur senza prove) un “hacker al servizio di Putin”. Lo dobbiamo difendere perché non è in gioco lui, ma il principio del giornalismo che ha il diritto (se non il dovere) di pubblicare notizie vere e verificate proteggendo la propria fonte e indipendentemente dalla propria fonte. È, questo, un principio base della libertà di stampa, della sua forza storica, della sua funzione di controllo in una società aperta. È questo principio ad essere stato messo in manette l’altro giorno in una strada del centro di Londra, non l’uomo stanco con la barba bianca che in quel momento lo impersonava. Voi state con questo principio o con quelle manette?(Alessandro Gilioli, Assange e le manette alla libertà di stampa”, da “Micromega” del 15 aprile 2019).È stato interessante nei giorni scorsi osservare la composita compagnia che ha esultato per l’arresto a Londra di Julian Assange: alcuni dei suoi corifei erano prevedibili ma altri onestamente meno. Tra i primi, diversi capi di Stato e di governo, qualche potente delle varie forze armate e dei servizi di intelligence, taluni rauchi esponenti di destra che non hanno mai nutrito una smisurata idea di libertà. Tra i secondi – quelli che hanno fatto la ola più a sorpresa – si sono distinti diversi esponenti della sinistra “progressista”, che fino a pochi anni fa simpatizzavano per WikiLeaks, ma adesso l’hanno in uggia, vedremo poi il perché. Accanto a questi, fra gli esultatori imprevisti, si sono esibiti anche non pochi giornalisti di discreta fama, per i quali invece la ragione dell’astio è più psicoanalitica: invidia del collega che ha realizzato scoop storici e mondiali, gioia per la restaurazione di antiche gerarchie professionali che il boom di WikiLeaks aveva ribaltato (Assange a marcire in galera è un bel Congresso di Vienna), soddisfazione intestinale nel vedere al gabbio chi ha fatto del giornalismo uno strumento di rivelazione di segreti dei potenti – mettendo in gioco la propria vita – anziché di accomodamento delle proprie chiappe accanto ai potenti medesimi.
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Finti nemici, già finti amici: la recita di Salvini e Di Maio
«Io e Matteo Salvini abbiamo fatto grandi cose insieme» (Luigi Di Maio). Leghisti e grillini, il governo Grilloverde ha due facce. Entrambe come il culo. Infatti i Gemelli Diversi che adesso fingono di litigare, per gli stessi squallidi motivi opportunistici per i quali prima fingevano d’andare d’accordo, sono entrambi prodotti della stessa linea commerciale. Secondo la propaganda, Salvini è un leader naturale, sorto dal popolo per mano del popolo. È una stronzata. Salvini è al 100% un prodotto della propaganda. Fin da quando ha ereditato la Lega dal clan Bossi, è stato sistematicamente ospitato tutte le sere da tutti i talk show esistenti, e lasciato padrone di sparare qualsiasi cazzata per ore senza contraddittorio, fra gli applausi scroscianti della claque. Intanto, politologi ed editorialisti già elogiavano in coro il suo “acume politico” e il suo “irresistibile carisma”, definendolo l’unica alternativa possibile a Renzi. Salvini è stato costruito come “fail safe” di Renzi. È un Renzi riuscito. Finora. È la faccia (semi)nuova del solito vecchio sistema di potere politico-affaristico.Mentre lui secerne le sue stronzate quotidiane sui social, malcelati dietro il suo faccione ghignante tutti gli affari continuano esattamente come prima. Il Movimento 5 Stelle finora ha fatto finta di niente solo per restare al governo. Se adesso Pupazzetto Di Maio, prodotto dalla Casaleggio come Ken dalla Mattel, improvvisamente sembra essersene accorto, è nel tentativo di recuperare qualche punto nei sondaggi. Mentre l’Ilva, che il M5S aveva promesso di riconvertire, continua a intossicare e uccidere peggio di prima. Ignorata finora dai media mainstream e dall’opposizione, perché quello firmato da Di Maio per l’llva è il piano Calenda. Del Pd, che sta recuperando qualche punto nei sondaggi.Il consenso si controlla coi media. I media si controllano col denaro. In un regime capitalista, la democrazia non può funzionare. Può soltanto sfornare prodotti, pupazzi acchiappavoti, diversi solo nella maschera, nel rivestimento, nell’etichetta, identici nella sostanza. Senza principi, senza ideali, senza neanche idee proprie che non siano decise da un algoritmo Facebookinaro, o da un generatore automatico di motti del Duce. “Noi molleremo dritto”. “Molti nemici, molti boia”. Contractor di governo, complici e/o nemici a seconda delle convenienze del momento. Droni, smontabili e rimontabili fra loro come pezzi d’un ingranaggio. Un ingranaggio che uccide. Prodotti d’un sistema di potere e di pensiero che tutto considera, e tutto punta a trasformare in un prodotto di consumo. Per consumarlo.(Alessandra Daniele, “Caino e Caino”, da “Carmilla” del 28 aprile 2019).«Io e Matteo Salvini abbiamo fatto grandi cose insieme» (Luigi Di Maio). Leghisti e grillini, il governo Grilloverde ha due facce. Entrambe come il culo. Infatti i Gemelli Diversi che adesso fingono di litigare, per gli stessi squallidi motivi opportunistici per i quali prima fingevano d’andare d’accordo, sono entrambi prodotti della stessa linea commerciale. Secondo la propaganda, Salvini è un leader naturale, sorto dal popolo per mano del popolo. È una stronzata. Salvini è al 100% un prodotto della propaganda. Fin da quando ha ereditato la Lega dal clan Bossi, è stato sistematicamente ospitato tutte le sere da tutti i talk show esistenti, e lasciato padrone di sparare qualsiasi cazzata per ore senza contraddittorio, fra gli applausi scroscianti della claque. Intanto, politologi ed editorialisti già elogiavano in coro il suo “acume politico” e il suo “irresistibile carisma”, definendolo l’unica alternativa possibile a Renzi. Salvini è stato costruito come “fail safe” di Renzi. È un Renzi riuscito. Finora. È la faccia (semi)nuova del solito vecchio sistema di potere politico-affaristico.
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Giannuli: difficile che i gialloverdi sopravvivano al caso Siri
Questa di Siri è la grana peggiore capitata al governo gialloverde sin qui, perché avviene su un terreno come quello dei principi su cui nessuno dei due può fare un passo indietro; perché questo accade alla vigilia di una consultazione elettorale generale; perché non ha soluzioni di compromesso possibili. Se la Lega accetta di far dimettere Siri, dopo averlo difeso, la cosa suonerebbe come una resa a discrezione nei confronti dell’alleato, come l’accettazione del principio grillino delle dimissioni automatiche in caso di avviso di garanzia, e come l’indebolimento dell’immagine di Salvini che è stato, sin qui, l’uomo forte dell’alleanza. Viceversa, se i 5 Stelle cedessero, sarebbe la rinuncia ad un principio già seriamente messo in discussione sulla questione della Diciotti e, considerando anche quello che sta emergendo in tema di compromissioni con la mafia, anche al di là del semplice avviso di garanzia, la situazione non è tollerabile, pena spezzarsi il collo alle elezioni fra un mese. Mantenere l’attuale situazione di stallo, con l’interessato che resta sottosegretario senza deleghe, non sembra cosa che possa durare a lungo.Dunque, la logica porterebbe a pensare che stavolta è crisi senza rinvio. Però la cosa ha implicazioni inaccettabili sia per Di Maio che per Salvini: far cadere il governo dopo tutte le volte che si è giurato che il governo godeva di buona salute e che sarebbe durato 5 anni, e invece il governo cade prima ancora delle europee, suonerebbe come l’aperta ammissione di un fallimento. Sarebbe come dire che la formula di maggioranza è stato un errore sin dall’inizio perché i due contraenti non avevano nulla in comune; contratto o non contratto, hanno litigato su tutto per un anno, hanno fatto finta di fare qualcosa, non hanno realizzato alcun cambiamento e ora tutto viene a galla. Alla vigilia delle europee potrebbe costare molto caro a tutti due, e allora la soluzione del sottosegretario congelato per un mese non è poi così impossibile. Bisogna vedere anche se Conte avrà il coraggio di chiedere a Siri le dimissioni. Comunque, sarebbe il solito papocchio in attesa che si chiariscano i rapporti di forza elettorali.Dunque una crisi prima delle europee non appare probabile, anche se per evitarla bisognerà fare il doppio salto mortale carpiato. E quindi, per ora niente crisi, ma dopo le europee che si fa? A meno di un risultato imprevedibile (ad esempio la Lega resta al palo di partenza e il M5S resiste bene, per fare un esempio) il governo durerà anche dopo? Qui le cose si complicano: certamente superare le elezioni farebbe scendere la febbre, ma i danni prodottisi nel frattempo resterebbero tutti, e ormai il patto politico è in frantumi. Certo, l’opposizione fa di tutto per aiutare i due partiti al governo. Prendiamo il Pd: ha presentato una mozione di sfiducia al governo che con ogni probabilità sarà respinta da Lega e M5S, che si ritroverebbero compattati; quindi la questione Siri finirebbe nel polverone generale, senza esiti, aiutando i gialloverdi a uscire dall’imbarazzo. Avrebbe avuto più senso proporre una mozione in cui si invitava Siri a dimettersi, mettendo il M5S nell’imbarazzo di scegliere se votarla, spezzando così il patto con la Lega, oppure respingerla spiaccicandosi così di fatto sulla posizione della Lega. Ma tanta finezza non pare che faccia parte del modo di pensare del Pd.(Aldo Giannuli, “Siamo alla crisi di Pasqua? Non credo, però…”, dal blog di Giannuli del 24 aprile 2019).Questa di Siri è la grana peggiore capitata al governo gialloverde sin qui, perché avviene su un terreno come quello dei principi su cui nessuno dei due può fare un passo indietro; perché questo accade alla vigilia di una consultazione elettorale generale; perché non ha soluzioni di compromesso possibili. Se la Lega accetta di far dimettere Siri, dopo averlo difeso, la cosa suonerebbe come una resa a discrezione nei confronti dell’alleato, come l’accettazione del principio grillino delle dimissioni automatiche in caso di avviso di garanzia, e come l’indebolimento dell’immagine di Salvini che è stato, sin qui, l’uomo forte dell’alleanza. Viceversa, se i 5 Stelle cedessero, sarebbe la rinuncia ad un principio già seriamente messo in discussione sulla questione della Diciotti e, considerando anche quello che sta emergendo in tema di compromissioni con la mafia, anche al di là del semplice avviso di garanzia, la situazione non è tollerabile, pena spezzarsi il collo alle elezioni fra un mese. Mantenere l’attuale situazione di stallo, con l’interessato che resta sottosegretario senza deleghe, non sembra cosa che possa durare a lungo.
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Magaldi: giù le mani da Armando Siri (e dai suoi giudici)
Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».Cattiva politica, made in Italy, inaugurata da Tangentopoli: quello fu un golpe bianco, in cui finiva sul rogo qualsiasi politico colpito da un semplice avviso di garanzia. La vittima veniva isolata «dai colleghi di partito, pusillanimi, che si illudevano di farla franca», senza capire che quel sistema «sarebbe crollato per la sua stessa fragilità». Mani Pulite ha spazzato via la Prima Repubblica fondata sul patto atlantico: fare da argine rispetto all’Urss. Ma nella Seconda Repubblica – a lungo dominata da Berlusconi – quel male oscuro è rimasto: l’ombra dell’uso politico della giustizia. «Io non voglio nemmeno essere sfiorato dal sospetto che un’indagine, anziché essere mirata ad accertare la verità, persegua invece finalità improprie», dice Magaldi: «Questi dubbi sono perniciosi per lo stesso prestigio della magistratura, che resta uno dei cardini della democrazia». In altre parole: si deve poter indagare tranquillamente Armando Siri, per appurare se è innocente o colpevole, lasciando però che nel frattempo svolga il suo ruolo di sottosegretario. Se così fosse, nessuno a quel punto penserebbe più che ti mandano un avviso di garanzia perché c’è qualcosa di losco nel tuo operato: la magistratura farebbe semplicemente il suo dovere, senza che questo possa turbare l’agenda politica.Con un simile approccio, nessuno avrebbe più il minimo interesse a tentare di usare la carta giudiziaria per far fuori i rivali. E invece «si è creato un clima improprio, corrotto moralmente e politicamente, da quando l’opportunità politica e morale si è opposta allo Stato di diritto». Era la famosa “questione morale”, agitata innanzitutto da Berlinguer: «Come si fa ad anteporre una presunta morale allo Stato di diritto? La moralità pubblica è proprio quella che promana dallo Stato di diritto», sottolinea Magaldi, che denuncia lo «stile inappropriato», usato da Di Maio e anche dal ministro Toninelli, che ha tolto le deleghe a Siri: «Un atto improprio, becero e inopportuno, in un momento così delicato nei rapporti tra 5 Stelle e Lega». Pur critico sull’operato del governo Conte, troppo timido con Bruxelles, il presidente del Movimento Roosevelt apprezza l’impegno di Siri: ha dato più spessore e più maturità all’ex Carroccio, ispirando la scuola politica del partito e lanciando l’idea della Flat Tax. Una misura – il taglio della pressione fiscale – che va nella direzione giusta: «Non sarà risolutiva, ma contribuisce comunque ad aggredire la malattia socio-economica dell’Italia, che è il rigore imposto dal neoliberismo».Coincidenze: si attacca Siri proprio ora che si riparla di Flat Tax. Un modo per colpire Salvini e affondare il governo, in un momento così delicato per il precario “matrimonio” gialloverde? «Dobbiamo liberare i magistrati da qualunque ombra», insiste Magaldi. «E quindi bisogna che il ceto politico la smetta di pensare che si possa sovrapporre una seconda morale alla morale pubblica, già garantita per principio dalla presunzione di innocenza». Per Magaldi, si tratta di «metodologia costituzionale in ambito democratico, in uno Stato di diritto». Come tutelarsi dal sospetto che vi possa essere una giustizia eterodiretta o deviata verso finalità politiche improprie? «Basta mantenere il presupposto – tipico dell’ordinamento democratico e liberale – che ciascuno di noi è innocente fino a prova contraria». Purtroppo, aggiunge Magaldi, da Tangentopoli in poi «abbiamo vissuto un rigurgito di cultura inquisitoriale – di tempi bui, antichi e pre-moderni», in un’Italia «vessata per secoli da una cultura clericale, da una brutta versione del cristianesimo: quella che considera tutti peccatori, in attesa di redenzione».Meglio partire invece dall’idea di dignità umana come riflesso divino, «rilanciata da un grande cristiano come Giovanni Pico della Mirandola». Le democrazie hanno raccolto proprio questa idea: siamo dotati di dignità e di innocenza presunta, e il potere «appartiene agli uomini, non a un dio interpretato da caste sacerdotali o da aristocrazie laiche». Se è così, «si resta innocenti anche di fronte a una condanna non definitiva». Applicare questa regola, sottolinea Magaldi, sarebbe la migliore salvaguardia, sul piano politico, da qualunque sospetto di interferenza impropria della magistratura. Tutti innocenti fino a prova contraria, dunque, incluso Armando Siri: «Qualunque giurista democratico non potrebbe che sottoscrivere questo principio, che invece è stato pervertito dagli anni di Tangentopoli». Aggiunge Magaldi: «Dobbiamo liberarci di questa immoralità istituzionale. La cultura del sospetto appartiene ai regimi liberticidi. In democrazia invece i magistrati fanno il loro dovere, svolgono inchieste in modo libero e senza essere sospettati di lavorare a orologeria, sapendo che il ceto politico non metterà in discussione un soggetto solo perché è sottoposto a indagine».In questa vicenda emergono «ostilità e doppiopesismo», continua Magaldi: «Giustamente Salvini ha fatto notare che anche Virginia Raggi è stata ed è nuovamente indagata, e nessuno – nella Lega – si è sognato di chiedere le sue dimissioni. Semmai la Raggi dovrebbe dimettersi per la sua conclamata incapacità di governare Roma». Per Magaldi ci sono molti motivi per criticare lo scarso coraggio politico del governo, che anziché puntare al cambiamento «tira a campare, con pannicelli caldi per curare una malattia – quella economico-sociale dell’Italia – che ha bisogno di ben altre cure». Quello che non è accettabile, però, è che si strumentalizzi il lavoro della magistratura per colpire Salvini e seminare zizzania tra 5 Stelle e Lega». In questo, svetta il cinismo di Di Maio: «Un ipocrita, che tuona pubblicamente contro la massoneria ma poi fa il giro delle sette chiese per chiedere in segreto di essere accolto nei peggiori circuiti massonici sovranazionali, di segno neo-aristocratico, fingendo anche di non sapere che il governo Conte è affollato di massoni, sia tra i ministri che fra i sottosegretari». E ora si mette a far la morale ad Armando Siri, “colpevole” di aver trasmesso al governo le istanze di alcuni imprenditori?Decisamente sconcertante, l’harakiri gialloverde imposto da Di Maio: anziché serrare i ranghi per fronteggiare l’avversario comune, l’oligarchia di Bruxelles che impedisce all’Italia di crescere, il leader dei 5 Stelle preferisce “speronare” l’alleato leghista in vista delle europee, traguardo temutissimo dai grillini. Anche in questo, Di Maio ha brillato per doppiezza: prima ha omaggiato in modo clamoroso e irrituale i Gilet Gialli facendo infuriare Macron, poi s’è genuflesso davanti ad Angela Merkel, che di Macron è l’interfaccia in salsa prussiana. Una manfrina indecorosa, secondo Magaldi, per sperare di essere accolto nella Golden Eurasia, la superloggia massonica della Cancelliera. A che gioco sta giocando, Di Maio? Il presidente del Movimento Roosevelt, massone progressista, ha le idee chiare: il capo dei pentastellati ha ormai capito che il governo Conte ha fallito l’obiettivo del cambiamento, e spera – con l’aiuto delle superlogge – di sopravvivere politicamente al declino del Movimento 5 Stelle. Comunque la si veda, il risultato non cambia: la guerra intestina indebolisce l’Italia, cioè il paese che avrebbe dovuto sfidare la “dittatura” tecnocratica di Bruxelles. I guai per il Belpaese – aggredito dai poteri forti europei, con la complicità del Deep State italico – cominciarono con Tangentopoli: uso politico della giustizia. Non è un caso, forse, che dopo un quarto di secolo sia lo stesso Di Maio a ricorrere, ancora e sempre, al giustizialismo sommario che ha “suicidato” l’economia italiana, trasformando il paese in terra di conquista per le potenze straniere.Giù le mani da Armando Siri, e anche dalla magistratura: la si smetta di strumentalizzare l’operato dei Pm per silurare gli avversari politici. In un paese civile non ci si dimette neppure per un rinvio a giudizio o magari una condanna in primo grado, figurarsi per un avviso di garanzia. «I magistrati devono poter operare liberamente, senza il sospetto che svolgano indagini a orologeria». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, attacca il giustizialismo dei 5 Stelle, che pretendono le dimissioni del sottosegretario leghista ai trasporti solo perché indagato (per presunte agevolazioni verso imprese del settore dell’energia eolica). «Vorrei stigmatizzare l’analfabetismo costituzionale e politico di Luigi Di Maio, che non perde occasione per mostrare la sua inadeguatezza ad essere il capo politico di un soggetto importante come il Movimento 5 Stelle», afferma Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Intonando la cantilena che negli ultimi decenni hanno cantato tanti politici, Di Maio ha detto che Siri, in attesa che la magistratura appuri se è innocente o colpevole, dovrebbe intanto dimettersi “per opportunità politica e morale”. E se Siri è innocente – protesta Magaldi – quale moralità gli dovrebbe imporre di essere eliminato dallo scenario politico solo perché sottoposto a un’inchiesta che magari alla fine si riconoscerà sbagliata?».
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Federico Caffè fu fatto sparire dai killer di Palme e Sankara
Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punzione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».Unico indizio a disposizione, per ora: la sicurezza italiana. Tra il 2015 e il 2016, dopo la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo, l’intera Europa sembrava sul punto di trasformarsi in un mattatoio. Eppure, Magaldi annunciò: vedrete che il nostro paese non subirà attentati. Motivo: l’antiterrorismo italiano è “pulito” e coopera strettamente con settori della Cia altrettanto leali. Il terrorismo targato Isis, aggiunse, può colpire solo in paesi dove i servizi segreti sono infiltrati dagli agenti della strategia della tensione: la Francia in primis, ma anche – come si è visto – il Belgio e la Spagna, il Regno Unito e la Germania. In altre parole: se i “cattivi” hanno orchestrato il terrore per affermare il loro potere (magari impaurendo Hollande per poi lanciare Macron), sul fronte opposto i “buoni” si sono accordati per unire le forze e proteggere almeno uno Stato europeo: non un paese a caso, naturalmente, ma l’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gialloverde. Messaggio: non siete più onnipotenti, se c’è un pezzo di Europa che resta al riparo del vostro stragismo che spara nel mucchio, mietendo vittime tra i passanti. E sarà proprio l’Italia la prima pietra su cui costruire una nuova Europa, finalmente democratica.Missione compiuta? Solo a metà: gli ultimi anni in Italia sono trascorsi senza sangue, ma il governo Conte si è lasciato ugualmente spaventare da Bruxelles. Colpa del Deep State, ammette il deputato grillino Pino Cabras: al governo, dice, insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche un terzo incomodo, lo “Stato profondo” che ha potentissimi terminali anche al Quirinale, e lavora per sabotare il cambiamento. Nel bloccare la nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia, Sergio Mattarella spiegò che “i mercati” (veri padroni della situazione, quindi, a prescindere dalle elezioni) non l’avrebbero gradito, quel ministro. Con Savona all’economia, non avrebbero esitanto a mettere nei guai l’Italia con il ricatto dello spread. Dal convegno londinese sul New Deal Europeo, organizzato dal Movimento Roosevelt, Cabras ha rincarato la dose: lo “Stato profondo” è insediato ovunque, anche nei ministeri oltre che al Colle, e sta frenando qualsiasi cambio di paradigma: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, tranne che su un punto: resistere al Deep State, nel tentativo di dare più soldi agli italiani». Magaldi apprezza il coraggio di Cabras, la cui denuncia – clamorosa – è passata sotto silenzio, letteralmente ignorata dai media. «Il Deep State, però, non può diventare un alibi: perché il governo gialloverde non ci ha nemmeno provato, a rompere le regole Ue con un bel 10% di deficit. Si è limitato a quel misero e inutile 2%, prendendo schiaffoni a Bruxelles e tornando a Roma con la coda tra le gambe».Poteva andare diversamente? «Doveva», dice Magaldi. Che spiega: tutto sta cambiando, ai piani alti. «E già oggi, i politici intenzionati a lavorare per il benessere della collettività non hanno più motivo di avere paura di essere soli, di fronte a chi vorrebbe delegittimarli con la diffamazione o addirittura ucciderli, come nel caso di Palme e Sankara, o magari farli sparire, come accadde a Federico Caffè». Ed ecco la rivelazione, che Magaldi anticipa il 15 aprile a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming settimanale del lunedì, su YouTube: al convegno milanese del 3 maggio (“Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”) sarà lo stesso Magaldi a fornire dettagli inediti sui mandanti della sparizione di Caffè. Altre notizie clamorose saranno fornite dall’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e già allievo di Federico Caffè. Il professore era il più importante economista keynesiano: formò personaggi come Mario Draghi e Marcello De Cecco, Bruno Amoroso e Ignazio Visco (Bankitalia), Franco Archibugi e Giorgio Ruffolo. E poi Luigi Spaventa, Enrico Giovannini, Ezio Tarantelli (assassinato dalle Br) e lo stesso Alberto Bagnai, ora senatore leghista.Persino Wikipedia scrive che Federico Caffè fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche che di “economia del benessere”: «Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli». In altre parole, era il “cervello” dell’economia democratico-progressista: piena occupazione e welfare, cioè l’esatto contrario della politica del rigore che avrebbe preso il sopravvento, diventando un dogma – lo strapotere dei “mercati” – cui sembra piegarsi anche il Quirinale. La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto? Ufficialmente sì, ma non per Magaldi: secondo il presidente del Movimento Roosevelt, il convegno di Milano strapperà finalmente il velo sul caso Caffè. «C’è un filo rosso – avverte – che lega la sua sparizione agli omicidi di Olof Palme e Thomas Sankara». Palme, carismatico leader socialdemocratico svedese, era il faro del socialismo europeo: aveva varato il miglior welfare del continente e stava per essere eletto segretario generale dell’Onu. Una carica che gli avrebbe consentito di vegliare anche sull’Europa, scongiurando l’avvento del feroce ordoliberismo mercantilista che, da Maastricht in poi, ha rimesso in sella l’élite impoverendo il 99% della popolazione.Quanto a Sankara, parla per lui l’esodo dei migranti che sbarcano in Italia partendo dall’Africa Subsahariana affamata dal neocolonialismo: tre mesi prima di essere assassinato, il giovane leader del Burkina Faso aveva chiesto la cancellazione del debito estero e la fine degli aiuti finanziari all’Africa, vere e proprie catene post-coloniali. Il sogno del socialista Sankara? Un’Africa libera e sovrana, padrona a casa propria, capace di crescere basandosi sulle sue forze. «C’è un nesso che collega l’omicidio di Sankara e quello di Palme alla sparizione di Federico Caffè», insiste Magaldi, preparandosi a fornire dettagli inediti su quegli eventi che, nella seconda metà degli anni ‘80, hanno contribuito a plasmare lo sconfortante scenario di oggi. Un nome esemplare? Mario Draghi: il super-banchiere della Bce «non ha seguito il suo maestro, Federico Caffè, e oggi è nel gotha dei burattinai, degli artefici della involuzione post-democratica dell’Europa e del mantenimento del paradigma ideologico neoliberista in Europa e nel mondo». Paradigma spietato, per il quale ha duramente lavorato il Deep State massonico reazionario di cui lo stesso Draghi, secondo Magaldi, è un autorevolissimo esponente.Si può credere, a Magaldi? Qualcuno, di fronte al saggio “Massoni” (bestseller italiano, ignorato dai media mainstream) si è ritratto, rifugiandosi dietro l’assenza di prove documentali. Falso problema, assicura l’autore, che in premessa avverte: «Chiunque si senta diffamato me lo segnali, ed esibirò le carte che lo riguardano: dispongo di 6.000 pagine di documenti, troppo ingombranti per essere inseriti in un volume». Corollario: nessuno dei tantissimi big menzionati – Napolitano e Monti, lo stesso Draghi – si è azzardato a smentire alcunché. Meglio la consegna del silenzio. Ma il meccanismo innescato da quel libro sembra inesorabile: operazione trasparenza. Nel 2015, Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt. A fine marzo, ha promosso a Londra un confronto strategico tra economisti e politologi per mettere a fuoco un possibile New Deal europeo, basato sul recupero di Keynes (spesa pubblica strategica) per abbattere l’ideologia dell’austerity e restituire benessere alla popolazione. E ora è in arrivo l’assise milanese su Rosselli, Palme e Sankara, con anche le inedite news sulla sorte di Federico Caffè. «Questo incontro serve a dire: viviamo da decenni sotto la cappa di un’ideologia imperante e pervasiva, egemonizzante – il neoliberismo – che noi adesso rifiutiamo radicalmente».Il Movimento Roosevelt, continua Magaldi, si ispira alla lezione di Rosselli, Palme e Sankara: «Il nostro è un laboratorio politico che ha iniziato il suo percorso rivoluzionario a Londra, e a Milano affronta la sua seconda tappa». Teoria e pratica del Piano-B: «La nostra è un’ideologia social-liberale, opposta al neoliberismo: vogliamo proporla in Europa e nel mondo, ridando fiato a una corrente di pensiero che è stata rimossa, nei vari centrosinistra e centrodestra di tutto l’Occidente, a favore di una pervasività dogmatica del neoliberismo». Non si scherzava, ai tempi di Rosselli, ucciso su mandato del regime fascista di Mussolini. Ma c’era poco da ridere anche all’epoca di Palme, unico premier europeo assassinato mentre era in carica: freddato nella civilissima Svezia all’uscita di un cinema, nel cuore dell’Europa democratica. Il killer? Rimasto nell’ombra, ma fino a un certo punto: gli svedesi ricordano benissimo la strana morte del giallista Stieg Larsson, che al caso Palme si era interessato svolgendo indagini accurate, fino a consegnare alla polizia svariati documenti. La pista: servizi segreti, Deep State oscuro. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Gianfranco Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt – ricorda che, alla vigilia dell’omicidio Palme, un certo Licio Gelli indirizzò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente telegramma: “La palma svedese sta per cadere”.Se ti metti contro il Deep State, puoi rischiare la pelle: succede spesso, ed è capitato anche a Julian Assange. «Puoi essere fatto fuori con la diffamazione e la delegittimazione, con il fango che ti gettano addosso, oppure puoi essere eliminato». Assange? «Ha avuto coraggio», ammette Magaldi: «C’è dell’eroismo, nel suo agire». Per Magaldi, però, il destino del fondatore di Wikileaks non è segnato: «La questione è estremamente complessa», si limita per ora a dire l’autore di “Massoni”, lasciando capire che attorno al giornalista australiano si muovono forze diverse e opposte, e che l’estradizione richiesta da Trump potrebbe non trasformarsi in una feroce vendetta nei confronti di Assange. Il motivo? Sempre lo stesso: starebbe cambiando la natura del Deep State. O meglio, la sua composizione. «Oggi, se si ha il coraggio di svolgere il proprio mandato democratico – dichiara Magaldi – lo si può fare senza più il timore di essere eliminati, perché nel Deep State c’è stata, è in corso e si sta irrobustendo di mese in mese una riorganizzazione dei circuiti massonici progressisti, i quali non consentiranno – come è stato in passato – che nessun sincero politico democratico venga assassinato o eliminato in modo improprio».Beninteso: il nemico è ancora molto potente. Uomini che hanno conquistato i posti chiave della finanza, dell’economia, degli Stati. Magaldi li definisce «gli alfieri della massoneria neoaristocratica, i costruttori dell’ideologia neoliberista: quelli che tuttora gestiscono una globalizzazione di merci e capitali che non è fatta anche di diritti, di democrazia e di giustizia sociale». Ma aggiunge: «Credetemi, oggi a quei signori non conviene giocare sporco, nel momento in cui nella questione sono coinvolti anche i massoni democratico-progressisti che hanno la stessa consuetudine con il Deep State. Non gli conviene, è un problema di calcolo». E insiste: «Se c’è qualcuno che vuole agire a beneficio del popolo non abbia paura, non si lasci fermare da minacce o blandizie. Vada avanti per la sua strada, perché c’è chi è in grado, con la sua sola presenza, di frapporsi alle indebite interferenze da parte di rappresentanti del Deep State che vogliono sovvertire le regole del gioco democratico, piegandole a interessi opachi di natura privata». Per questo, aggiunge Magaldi, non hanno più scuse tutti quei politici «divenuti maggiordomi e camerieri, senza più quella forza di elaborazione politica che a molti, nel Novecento, è costata la vita».Oggi, assicura Magaldi, i politici che volessero davvero «difendere il senso e la dignità del proprio mandato, operando al servizio della collettività», possono evitare di farsi intimidire o corrompere per eseguire gli ordini dei soliti burattinai: «Li invito a cercare proprio nell’ambito del Deep State quei circuiti progressisti che sono impegnati per la difesa della democrazia, e che quindi potranno garantire che il Deep State oscuro non interferisca più con lo svolgimento di una normale dialettica democratica». Magaldi è stato affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle 36 Ur-Lodges che gestiscono il back-office del potere mondiale. Il suo Grande Oriente Democratico, movimento massonico d’opinione, è collegato alle superlogge progressiste. E’ in corso una sorta di guerra inframassonica: dopo decenni di letargo, la componente democratica si starebbe risvegliando. Le prove del contrattacco in corso? Tanto per cominciare, la sicurezza di cui ha goduto l’Italia durante l’ultima stagione dell’infame auto-terrorismo europeo, targato Isis ma gestito da settori inquinati dell’intelligence. E ora, dice Magaldi, i cavalieri oscuri del peggior Deep State si preparino: il convegno di Milano svelerà dettagli clamorosi anche sulla misteriosa scomparsa di Federico Caffè.Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punizione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».
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Massoni: Di Maio bussa alla Golden Eurasia, in barba al M5S
Luigi Di Maio omaggia Angela Merkel con un obiettivo preciso: spera di essere accolto nella Ur-Lodge della Cancelliera. Lo afferma il movimento massonico d’opinione “Grande Oriente Democratico”, presieduto da Gioele Magaldi, secondo cui il vicepremier grillino «bacia la pantofola della libera muratrice Angela Merkel per entrare nella superloggia Golden Eurasia e assicurarsi un avvenire a prescindere dal governo gialloverde e dalla sorte del M5S». Forte la polemica di Magaldi con Di Maio, accusato di essersi riproposto nei panni di «aspirante massone neoaristocratico», nonostante i 5 Stelle vietino ai propri esponenti (a parole) di avvicinarsi alla massoneria, a cui peraltro appartengono svariati uomini del governo Conte, inclusi i ministri Tria e Moavero. Di Maio? «Tradisce gli elettori pentastellati», lo accusa Magaldi, se dichiara – come ha fatto – che politici come la Merkel farebbero tanto bene anche all’Italia. «Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere», scrive “Grande Oriente Democratico”: «Ci auguriamo che Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e tutti quei parlamentari, dirigenti, attivisti, elettori e simpatizzanti pentastellati che hanno sempre individuato in Angela Merkel la campiona dell’austerity e dei dogmi neoliberisti che hanno funestato l’Europa e l’Italia prendano Luigi Di Maio a pedate nel sedere e a pomodori in faccia».Non è senza precedenti, l’accusa rivolta a Di Maio dal presidente del Movimento Roosevelt, che nel saggio “Massoni” racconta che le 36 Ur-Lodges planetarie (sovranazionali e apolidi) reggono di fatto il potere mondiale. E’ il caso della stessa “Golden Eurasia”, alla quale secondo Magaldi sarebbero affiliati – oltre alla Merkel – anche il presidente russo Vladimir Putin, nonché l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder (poi arruolato dalla russa Gazprom come super-consulente) e l’ex manager industriale Peter Hartz, da cui Schröder mutuò la riforma neoliberista che precarizzò il lavoro in Germania, introducendo la flessibilità, la perdita dei diritti e i micro-salari (mini-job) che hanno poi fatto da battistrada in tutta Europa nell’annientare le storiche conquiste sindacali. «L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scriveva Magaldi su “Grande Oriente Democratico” già nel febbraio 2018, durante la campagna elettorale per le politiche che poi avrebbero incoronato i 5 Stelle come primo partito, proiettandoli insieme alla Lega verso il futuro governo gialloverde.Secondo Magaldi, lo scorso anno, il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington ai quali aveva bussato, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante, la quale privatamente anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». C’è un diffuso meccanismo, aggiungeva Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio – che si affrettò a dichiarare a “La7” che non avrebbe voluto massoni tra i piedi – non è stata affatto casuale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza», disse Magaldi. Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», in realtà indirizzato – in codice – a soggetti ai quali Di Maio si sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».E adesso Di Maio che fa, ci riprova? Il leader dei 5 Stelle, scrive ora “Grande Oriente Democratico”, «non si è mai fatto scrupolo di demonizzare da una parte la massoneria e i massoni genericamente intesi (per titillare una porzione dell’elettorato italiano, massonofobico in modo becero, indifferenziato e insipiente), dall’altra, ipocritamente, di far insediare nel governo Conte diversi massoni e di sollecitare lui stesso, prima dell’esperienza della maggioranza gialloverde, una iniziazione presso qualche Ur-Lodge (superloggia sovranazionale) di segno neoaristocratico». In effetti, continua “God” sul proprio sito, «dopo la costruzione del governo attuale sembrava che Di Maio avesse optato per un avvicinamento alla “libera muratoria progressista” (al netto della perdurante e ipocrita massonofobia ostentata in pubblico)», visto che «almeno nominalmente i massoni del governo Conte appartengono a tali circuiti». Ma le dichiarazioni rese l’altro giorno al quotidiano tedesco conservatore “Die Welt” dimostrerebbero tutt’altro scenario: «Uno scenario inquietante, verminoso, squallido e scandaloso», sottolinea “Grande Oriente Democratico”, perché – bussando alla “Golden Eurasia” – Di Maio chiederebbe di essere accolto tra i massimi esponenti dell’ordoliberismo Ue a trazione tedesca, quello che ha schiantato l’economia italiana».Luigi Di Maio omaggia Angela Merkel con un obiettivo preciso: spera di essere accolto nella Ur-Lodge della Cancelliera. Lo afferma il movimento massonico d’opinione “Grande Oriente Democratico”, presieduto da Gioele Magaldi, secondo cui il vicepremier grillino «bacia la pantofola della libera muratrice Angela Merkel per entrare nella superloggia Golden Eurasia e assicurarsi un avvenire a prescindere dal governo gialloverde e dalla sorte del M5S». Forte la polemica di Magaldi con Di Maio, accusato di essersi riproposto nei panni di «aspirante massone neoaristocratico», nonostante i 5 Stelle vietino ai propri esponenti (a parole) di avvicinarsi alla massoneria, a cui peraltro appartengono svariati uomini del governo Conte, inclusi i ministri Tria e Moavero. Di Maio? «Tradisce gli elettori pentastellati», lo accusa Magaldi, se dichiara – come ha fatto – che politici come la Merkel farebbero tanto bene anche all’Italia. «Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere», scrive “Grande Oriente Democratico”: «Ci auguriamo che Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e tutti quei parlamentari, dirigenti, attivisti, elettori e simpatizzanti pentastellati che hanno sempre individuato in Angela Merkel la campiona dell’austerity e dei dogmi neoliberisti che hanno funestato l’Europa e l’Italia prendano Luigi Di Maio a pedate nel sedere e a pomodori in faccia».
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Magaldi: Di Maio omaggia la Merkel e “suicida” i gialloverdi
Magari ce l’avessimo noi, un politico come Angela Merkel. Giù il cappello: inchino firmato da Luigi Di Maio, intervistato da “Die Welt”. Ma come, il terribile leader “populista” italiano ora cinguetta parole d’amore per la cancelliera tedesca, donna-simbolo dell’eurocrazia teutonica che ha disastrato il nostro paese? Così, gli elettori 5 Stelle sono serviti: ecco fin dove s’è abbassato, il campione del “cambiamento” all’italiana, solo per tentare di differenziarsi dall’alleato-concorrente Salvini, che ha scelto di prendere il treno per Strasburgo in compagnia dei “sovranisti” Orban e Le Pen. «Viltà inaudita e imperdonabile, consegnare il Movimento 5 Stelle a questo esito: l’incredibile “genuflessione” alla Merkel fa di Luigi Di Maio un cialtroncello», sentenzia Gioele Magaldi: «Da ex “monello”, ora Di Maio è diventato “allievo modello”: spero venga defenestrato dal movimento, che non merita di avere questa classe dirigente». Durissimo, il presidente del Movimento Roosevelt, sul vicepremier grillino: dove sarebbe il coraggio che il valente Pino Cabras attribuisce a Di Maio, nel fronteggiare l’insidioso Deep State ramificato da Bruxelles al Quirinale? Eccolo, il vero Di Maio: «Un personaggio opportunista, preoccupato di salvarsi la poltrona avendo compreso che il cambiamento promesso è fallito». Per chi non l’avesse ancora capito, «il governo gialloverde non fa paura a nessuno». E se persino Di Maio tifa per la Merkel, tanto vale rinunciare alle urne delle europee: voto inutile.Salvini? Più bravo, se non altro, a salvare la faccia: «Almeno a parole, la Lega mantiene ancora un atteggiamento meno arrendevole verso Bruxelles», ammette Magaldi, in web-streaming su YouTube. «Però – aggiunge – ha anch’essa ceduto rovinosamente sul deficit, rinunciando alla linea di Paolo Savona». In più, la Lega «insiste nel baloccarsi con i sovranismi farlocchi come quello di Orban, che strizza l’occhio ai Popolari Europei». Quanto alla Le Pen, è «condannata a consegnare la Francia a qualsiasi avversario, da Hollande a Macron». Certo, Matteo Salvini «parla bene», ma nel momento della verità «se la fa sotto, anche lui, di fronte alle letterine di Juncker». Rispetto a Di Maio, almeno, «nel leader della Lega c’è un barlume di dignità, ma purtroppo senza consistenza: non ci sono parole per commentare la resa italiana di fronte al veto di Bruxelles sull’espansione del deficit». Attenzione: per Magaldi, le «frasi infelici» di Di Maio dimostrano la grande preoccupazione che agita il governo gialloverde: «Il Pil peggiora, l’Italia è malata e non c’è stata nessuna cura. Cosa si inventeranno, adesso? Quanto a lungo può reggere ancora, il bluff? Avanti così saranno spazzati via dalla storia: non è più tempo di piccoli uomini».E se frana l’esperienza gialloverde, aggiunge Magaldi, certo non rinasce il centrodestra berlusconiano: «Il popolo è stanco di chi propone le stesse solfe da 25 anni». Non sta meglio il Pd che attacca l’esecutivo Conte: «In passato, al governo, ha fatto anche di peggio». Nessuno infatti può rimpiangere Letta, Renzi e Gentiloni. La franosità della situazione italiana, per Magaldi, rivela una triste verità: «Il sistema non ha nessuna paura del “governo del cambiamento”, che infatti non ha cambiato niente. E oggi in Italia non c’è nessuna novità politica, né al governo né all’opposizione». Secondo il presidente del Movimento Roosevelt, promotore del “Partito che serve all’Italia” (prossima assemblea il 25 aprile a Roma), queste elezioni europee non cambieranno niente: un voto perfettamente sterile. «Non usciranno nuovi assetti di potere. Del resto, perché mai votare Di Maio se loda la Merkel? Tanto vale votare esponenti del Ppe». Per Magaldi occorre creare «un fronte democratico reale, che in Europa sconfigga gli equilibri attuali, basati sulla globalizzazione post-democratica». Persino il terrorismo targato Isis, aggiunge, «è alimentato dai gestori del sistema, per aumentare il potere di controllo sui cittadini».Di fronte a questo, aggiunge Magaldi, «non bastano più le sole analisi, offerte sporadicamente da voci alternative invitate in televisione solo come “sparring partner” degli esponenti dell’establihment». Insiste, il presidente del Movimento Roosevelt: «Non c’è più tempo per le riforme: serve una rivoluzione, che abbatta il paradigma dell’ideologia neoliberista». Come agire? «In modo nonviolento, ma risoluto: a muso duro, come Gandhi». Gli italiani, insiste Magaldi, capiranno ben presto che la missione del governo Conte è fallita, e che il sistema ordoliberista di Bruxelles «non può essere riformato dall’interno, ma solo rovesciato con una rivoluzione democratica su scala europea». Una rivoluzione, annuncia, «a cui il Movimento Roosevelt e il “Partito che serve all’Italia” daranno un decisivo contributo», partendo da una mobilitazione generale, porta a porta. Funzionerà? E’ inevitabile, sostiene sempre Magaldi, perché la situazione sociale è insostenibile, è l’inconsistenza dell’offerta politica è ormai palese. In campagna elettorale, Lega e 5 Stelle avevano denunciato chiaramente il problema. Poi però si sono fatti ingabbiare dal potere eurocratico: e ora – con il Pil in frenata – non potranno più gestire in modo indolore nemmeno il modestissimo deficit ottenuto per gentile concessione di Bruxelles. Un finale che sembra già scritto: “game over”, per i gialloverdi.Dettaglio ulteriormente increscioso, la smaccata giravolta di Di Maio in favore della Merkel, emblema vivente dell’austerity che i gialloverdi avevano promesso di contrastare: il Movimento 5 Stelle, con questa dirigenza, dimostra di non avere alcuna utilità per l’Italia, sostiene Magaldi. «A che serve fare la piattaforma Rousseu se poi è opaca, con i profili taroccati?», attacca ancora il presidente del Movimento Roosevelt, citando il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, l’inventore del “contratto sociale”, a cui deve il nome la piattaforma di Casaleggio. «Quale contratto sociale è possibile – aggiunge Magaldi – se Di Maio ora bacia la pantofola della Merkel, esattamente come tutti i suoi predecessori?». Era stato tra i pochi osservatori esterni, Magaldi, a difendere l’esordio gialloverde, meno di un anno fa, al punto da chiedere le dimissioni del Mattarella che aveva sbarrato a Savona le porte del dicastero dell’economia. Persino Di Maio aveva evocato l’impeachment, per attentato alla Costituzione. Ora – ammainate tutte le bandiere – eccolo prostrarsi ai piedi della Cancelliera. Non è nuovo, il Movimento 5 Stelle, a clamorosi voltafaccia (con relative figuracce, come il “no” rimediato dagli ultra-euristi dell’Alde quando Grillo chiese a Guy Verhofstadt di “traslocare” sotto le sue bandiere, in compagnia di Mario Monti, il gruppo europarlamentare pentastellato). Ora ci risiamo: gli ex “rivoluzionari” italiani tornano a bussare umilmente alle porte dei padroni d’Europa.Da posizioni oltranziste, un giornalista come Paolo Barnard l’aveva detto fin dall’inizio: è una follia, fidarsi della Lega e dei 5 Stelle come ipotetici paladini dell’Italia. Altri, invece – come Magaldi – all’esperimento gialloverde avevano concesso un’apertura di credito, sia pure condizionata, se non altro perché non c’erano alternative, in Parlamento, a leghisti e grillini: da una parte gli zombie del Pd renziano, dall’altra le salme (politiche) di Berlusconi e Tajani. Contro il governo gialloverde anche tutti i grandi media, a reti unificate. Di Maio pasticcione, Toninelli gaffeur. E soprattutto, Salvini “fascista”. Non ha avuto vita facile, il governo Conte: è stato continuamente sabotato dallo “Stato profondo”, avverte lo stesso Cabras, neo-parlamentare pentastellato. A maggior ragione: quale tipo di demenza autolesionistica ha spinto Di Maio a omaggiare la Merkel? Così si accelera soltanto la rottamazione dei gialloverdi, e in particolare dei 5 Stelle. Senza che l’Italia – stando così le cose – abbia una sola speranza di veder cambiare la situazione. Tanto vale stare a casa, il 26 maggio: ora – chiosa Magaldi – sappiamo definitivamente che votare per Di Maio e Salvini non servirà proprio a niente.Magari ce l’avessimo noi, un politico come Angela Merkel. Giù il cappello: inchino firmato da Luigi Di Maio, intervistato da “Die Welt”. Ma come, il terribile leader “populista” italiano ora cinguetta parole d’amore per la cancelliera tedesca, donna-simbolo dell’eurocrazia teutonica che ha disastrato il nostro paese? Così, gli elettori 5 Stelle sono serviti: ecco fin dove s’è abbassato, il campione del “cambiamento” all’italiana, solo per tentare di differenziarsi dall’alleato-concorrente Salvini, che ha scelto di prendere il treno per Strasburgo in compagnia dei “sovranisti” Orban e Le Pen. «Viltà inaudita e imperdonabile, consegnare il Movimento 5 Stelle a questo esito: l’incredibile “genuflessione” alla Merkel fa di Luigi Di Maio un cialtroncello», sentenzia Gioele Magaldi: «Da ex “monello”, ora Di Maio è diventato “allievo modello”: spero venga defenestrato dal movimento, che non merita di avere questa classe dirigente». Durissimo, il presidente del Movimento Roosevelt, sul vicepremier grillino: dove sarebbe il coraggio che il valente Pino Cabras attribuisce a Di Maio, nel fronteggiare l’insidioso Deep State ramificato da Bruxelles al Quirinale? Eccolo, il vero Di Maio: «Un personaggio opportunista, preoccupato di salvarsi la poltrona avendo compreso che il cambiamento promesso è fallito». Per chi non l’avesse ancora capito, «il governo gialloverde non fa paura a nessuno». E se persino Di Maio tifa per la Merkel, tanto vale rinunciare alle urne delle europee: voto inutile.
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Rai e cultura restano al Pd: nessuno “racconta” i gialloverdi
Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione. Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale. Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.Sembra che al Tg1 il carneade che ne ha assunto la guida vada a lezioni private dal predecessore. Ad eccezione del Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano, sembra che tutto sia rimasto invariato in tutte le testate, a partire dalla linea, salvo lo spazio inevitabile alle iniziative del governo e un minuto di celebrità ai suoi esponenti. Il linguaggio è lo stesso e la suddivisione degli spazi risulta sbilanciata ancora a favore della sinistra: in generale le voci filogovernative vengono di solito sommerse e doppiate dal coro invariante e polemico delle opposizioni. In media: due opinioni governative contro quattro antigovernative. La formula è stanca e si ripete in modo meccanico, le dichiarazioni dei microfonisti di partito suonano come nenie e mantra, testi imparati a memoria da foche ammaestrate. Non diverso è il clima che si respira nelle reti televisive, dove l’immagine della Rai resta ancorata a personaggi-simbolo, come Fabio Fazio che cercando il martirio ha perfino aumentato le dosi del suo sinistrismo becero e untuoso per rimarcare la sua gloriosa opera di Dissidente Eroico, pagato pochi milioni di euro per dire, fare, invitare tutto ciò che è contrario a quel che dice, pensa e fa l’opinione “salviniana” oggi prevalente in Italia.Ma il coro resta lo stesso ed è linciaggio se qualcuno osa dire qualcosa di buon senso, come per esempio, restituire la compagnia di giro della sinistra televisiva a un suo canale dedicato, come era RaiTre, evitando lo sconfinamento che ferisce la maggioranza degli utenti non allineati al loro catechismo. Pagano un canone e non vogliono subire un canone ideologico. Ma il discorso sulla Rai fa il paio con le istituzioni culturali rimaste invariate nei loro assetti. Un esempio tra tanti, la Dante Alighieri in cui è stato confermato il fondatore della comunità di sant’Egidio ed ex-ministro dei governi di sinistra, Andrea Riccardi; ma la stessa cosa accade nelle direzioni dei musei e degli istituti culturali in Italia e all’estero, rimasti d’impronta renziana e franceschiniana, o all’Enciclopedia italiana, il cui direttore generale, il dalemiano Massimo Bray, è anche presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura. Per non dire del ruolo dell’Anpi e di altri organismi politicamente orientati a sinistra nelle scuole, nelle istituzioni pubbliche e nelle ricerche finanziate con denaro pubblico.Non basta l’egemonia culturale nelle università o nell’editoria, i festival del libro, gli organismi culturali ma anche ciò che dipende direttamente dal governo, resta tutto invariato. Certo, alcuni ruoli non sono in scadenza, altri non dipendono direttamente dal governo, ma tutto resta come prima. Qualcosa faticosamente si muove a livello locale, ma la spiegazione di questa diversità è semplice: nei governi locali non ci sono i grillini che sono il cavallo di troia del politically correct, i portatori sani di cultura radical-progressista. Oltre l’acquiescenza e la complicità dei grillini quali sono i motivi di questa neutralità o remissività sul piano culturale? Paura di attacchi e quieto vivere; ignoranza della materia; assenza di nomi e conoscenze alternative; penuria di visione culturale, di strategia e lungimiranza. Non capiscono, i governativi, che nessuna rivoluzione sarà mai possibile se non parte e non passa dalle idee, dai luoghi chiave in cui si forma e si stratifica il consenso, dai messaggi, dalla cultura e dalla mentalità.Pensare di cambiare un paese solo a colpi di tweet e boutade, appelli di pancia e grandi annunci di leggi e riforme, senza nessun racconto, nessuna profonda trasformazione, nessun cambiamento di verso e di simboli, è una puerile, rovinosa illusione. Così facendo e persistendo, passeranno senza lasciar traccia quando il vento cambierà e gli umori si sposteranno su altri temi e altre facce. Non è bastata la lezione del centro-destra che non ha lasciato eredità di alcun tipo sul piano culturale-istituzionale? Tutto questo accade mentre Zingaretti e gli altri esponenti della sinistra, con sprezzo del ridicolo, continuano a denunciare la spartizione dei posti e l’occupazione vorace delle poltrone da parte del governo. Col supporto e la risonanza della stampa e propaganda fiancheggiatrice. Se lo occupano loro è norma, se lo fanno gli altri è anomalia. Ma il ridicolo è che nemmeno lo fanno, e restano quasi dappertutto le tanto detestate “élite” del precedente establishment. Accusati di spartirsi le poltrone che restano saldamente sotto i glutei sinistri…(Marcello Veneziani, “La rivoluzione apparente”, da “La Verità” del 4 aprile 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione. Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale. Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.
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Auto blu: ma perché comprare banali Audi, anziché Alfa?
Ma perché scandalizzarsi per il costo delle auto blu, e non invece per il tipo di modelli acquistati? Più precisamente: perché i carabinieri devono viaggiare a bordo delle francesi Renault Clio e le scorte di Stato devono usare le berline tedesche Audi? Ve le vedete, Francia e Germania, fare incetta di auto italiane? No, ovviamente: per le loro flotte ufficiali, usano solo i rispettivi marchi nazionali. Appello al governo, da “Scenari Economici”: possibile che un paese produttore come l’Italia sia l’unico ad aver smesso di rifornirsi solo “in casa”, per le auto blu e quelle “grigie”, cioè in dotazione alla pubblica amministrazione? L’auto italiana sarà anche in crisi, ma non è che manchi la scelta: se la Fiat dispone delle comode Tipo e di fuoristrada Jeep, l’Alfa Romeo esibisce una berlina accattivante come la Giulia, mentre la Maserati – Ghibli, Levante, Quattroporte – non teme rivali, in fatto di supercar extra-lusso. Perché allora rivolgersi all’estero, si domanda Guido da Landriano, rinunciando quindi a una sana ricaduta positiva sul nostro Pil industriale e dunque sull’occupazione del nostro paese? E dire che se ne spendono, di soldi: si parla di 170 milioni, che potrebbero finire interamente nel made in Italy.A tener banco in questi giorni, scrive Landriano, sono gli ultimi bandi per rinnovare le flotte. Le auto blu sono le vetture di rappresentanza vere e proprie: 380 auto blindate per 48 milioni e mezzo di euro (berline blindate, fuoristrada blindati e altri veicoli; bando scaduto lo scorso 28 gennaio). Poi ci sono le cosiddette “auto grigie” a noleggio, in tutto sette lotti per un valore complessivo di 120 milioni di euro. Di queste vetture, 1.500 sono destinate alle forze di polizia (costo, quasi 40 milioni di euro). Va bene non esagerare, con la spesa per le flotte di rappresentanza, ma il problema – sottolinea “Scenari Economici” – è che questi beni, probabilmente, rischiano di essere acquistati all’estero, con componenti non costruite in italia e quindi alcuna ricaduta interna sul sistema-Italia. «A parte un po’ di componentistica – scrive Guido da Landriano – queste auto non portano nulla all’economia italiana, e nemmeno all’immagine dell’Italia». Tanto più che, secondo l’analista, le dilaganti Audi hanno «il design più banale e brutto visto in Europa dai tempi della Nsu Prinz». Alzi la mano che gli riesce a rintracciare qualche innovazione stilistica nei vari modelli che Audi e Mercedes sfornano in fotocopia da anni.Bei tempi, quando le pattuglie della polizia e dei carabinieri sfrecciavano alla guida delle vecchie, rombanti Giulia e poi Alfetta. «Erano prodotte all’interno dello Stato, da un’azienda di Stato, per cui la ricaduta economica era immediata». Come prestazioni, poi – aggiunge Landriano – le Alfa «non avevano nulla da invidiare alle omologhe tedesche dell’epoca», come il Maggiolone o il furgone Westfalia, sempre della Volkswagen. «In un momento in cui è necessario aiutare la produzione industriale italiana – aggiunge “Scenari Economici” – Di Maio non dovrebbe scandalizzarsi per l’acquisto di auto di servizio dello Stato», ma piuttosto «chiedersi quale sia il vantaggio per la crescita e per l’industria italiana in questo momento». Tempi duri, infatti: «Si parla di scomparsa sicura del marchio Lancia e di quasi completa scomparsa del marchio Fiat, con la riduzione ai minimi termini delle produzioni in Italia (il piano Marchionne sembra proprio tramontato con lui)». A maggior ragione: se la Fiat è “scappata” a Detroit, non sarebbe opportuno trattenere in Italia almeno la fetta di mercato riguardate le flotte pubbliche?«Dato che si parla di mobilità ecologica, e visto che poche case europee sembrano interessate veramente al suo sviluppo – aggiunge Landriano – forse sarebbe tempo di rivedere da zero le politiche industriali e valutare una produzione “in house” per la pubblica amministrazione che sia il perno per lo sviluppo di un’auto ecologicamente sostenibile, magari studiata come parte dell’economia circolare». Un appunto ad personam, dedicato al vicepremier grillino nonché ministro dello sviluppo economico: cambi politica, Di Maio, e trovi «il coraggio di intraprendere nuove strade». L’idea di concordare la produzione di un modello, o almeno di una versione dedicata allo Stato, non sembra poi così peregrina. E soprattutto, lo implora Guido da Landriano, almeno «smettiamola di comprare queste orride, squallide, banali Audi!».Ma perché scandalizzarsi per il costo delle auto blu, e non invece per il tipo di modelli acquistati? Più precisamente: perché i carabinieri devono viaggiare a bordo delle francesi Renault Clio e le scorte di Stato devono usare le berline tedesche Audi? Ve le vedete, Francia e Germania, fare incetta di auto italiane? No, ovviamente: per le loro flotte ufficiali, usano solo i rispettivi marchi nazionali. Appello al governo, da “Scenari Economici”: possibile che un paese produttore come l’Italia sia l’unico ad aver smesso di rifornirsi solo “in casa”, per le auto blu e quelle “grigie”, cioè in dotazione alla pubblica amministrazione? L’auto italiana sarà anche in crisi, ma non è che manchi la scelta: se la Fiat dispone delle comode Tipo e di fuoristrada Jeep, l’Alfa Romeo esibisce una berlina accattivante come la Giulia, mentre la Maserati – Ghibli, Levante, Quattroporte – non teme rivali, in fatto di supercar extra-lusso. Perché allora rivolgersi all’estero, si domanda Guido da Landriano, rinunciando quindi a una sana ricaduta positiva sul nostro Pil industriale e dunque sull’occupazione del nostro paese? E dire che se ne spendono, di soldi: si parla di 170 milioni, che potrebbero finire interamente nel made in Italy.
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Magaldi: gialloverdi al 70% se osano sfidare il Deep State
Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).Non se ne esce mai, dal trappolone europeo? Certo, e non se ne uscirà fino a quando il cosiddetto Deep State sarà saldamente radicato in tutti i gangli vitali dello Stato. Burocrati e tecnocrati, servizi segreti pubblici e privati, banca centrale, uffici ministeriali, Quirinale. Ne ha parlato apertamente un parlamentare pentastellato, Pino Cabras, il 30 marzo a Londra. Eletto alla Camera in Sardegna lo scorso anno, Cabras – storico collaboratore di Giulietto Chiesa – ha partecipato al convegno “Un New Deal per l’Italia e per l’Europa”, promosso dal Movimento Roosevelt, soggetto meta-partitico fondato da Magaldi per rigenerare in senso democratico la politica italiana, stimolando i partiti a fare di più per recuperare la perduta sovranità popolare. Decisamente fuori programma l’esplicita ammissione di Cabras: a unire Lega e 5 Stelle, alleati ma sostanzialmente divisi su tutto, è l’impegno a resistere insieme alle “mostruose” pressioni del Deep State, che si è attivato per frenare il cambiamento promesso: dare più soldi agli italiani, ampliando il welfare e tagliando le tasse. Ed è intervenuto sin dal primo giorno, lo “Stato profondo”, inserendo le sue pedine nell’esecutivo Conte. Postilla: senza i “controllori di volo” (esempio, Tria al posto di Savona), il governo non sarebbe mai nato.Di Maio e Salvini hanno accettato la sfida: meglio di niente, si sono detti, perché solo il governo gialloverde (benché azzoppato in partenza) avrebbe potuto almeno tentare di cambiare qualcosa, liberando l’Italia dall’incubo dell’austerity. Ce l’ha fatta? No, purtroppo. Si è visto bocciare persino la timida richiesta di portare il deficit al 2,4%, cioè ben al di sotto del famigerato tetto del 3% imposto da Maastricht (e che la Francia di Macron violerà, con l’alibi della protesta dei Gilet Gialli). Proprio i Gilet Jaunes, sostiene Magaldi, erano un regalo della massoneria progressista internazionale. Il piano: destabilizzare la Francia, sentinella dell’euro-rigore, proprio mentre l’Italia friggeva, per quel misero 2,4%, sulla graticola della Commissione Europea. Ma il governo Conte non ne ha saputo approfittare: raro caso di insipienza politica e di mancanza di coraggio, di assenza di visione. Ora i pericoli sono dietro l’angolo: senza la necessaria benzina finanziaria per mantenere le promesse, i 5 Stelle sono già in picchiata nei sondaggi. Regge la Lega, ma solo per ora, grazie alla muscolarità (verbale) di Salvini. Però il tempo vola: in soli due anni, Matteo Renzi è passato dal 40% all’estinzione politica.Si spera nelle europee, per erodere il potere dello “Stato profondo” neoliberista che utilizza come clava l’asse franco-tedesco? Pie illusioni: secondo Magaldi non cambierà proprio niente, fino a quando la bandiera della protesta sarà agitata dai sedicenti sovranisti, velleitari demagoghi delle piccole patrie. Per chi non se ne fosse accorto, impera la globalizzazione: tutto è fatalmente interconnesso. Nessun paese, da solo, può sperare di uscire indenne da una fiera diserzione. Parla per tutti la Grecia, che disse “no” all’euro-tagliola. Risultato: Tsipras fu intimidito e costretto a piegarsi, tradendo la volontà del popolo. Alla Grecia arrivarono aiuti finanziari, ma solo per soccorrere le banche tedesche e francesi esposte con Atene. Il paese è stato sventrato, svenduto e distrutto, riducendo i greci in povertà. E nessuno Stato europeo è intervenuto in suo soccorso. In Francia, era stato François Hollande a candidarsi come anti-Merkel, promettendo di allentare il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. Esito inglorioso: blandizie e minacce, compresi gli attentati terroristici targati Isis. In pochi mesi, Hollande ha ceduto su tutta la linea, rassegnandosi al ruolo di docile esecutore dell’ordoliberismo Ue.Anni fa, proprio Magaldi sosteneva che solo l’Italia avrebbe potuto accendere la miccia del cambiamento. «L’Italia traccia le strade», diceva Rudolf Steiner, attribuendo al Belpaese un ruolo storico di battistrada. Una specie di destino: prima il “format” dell’Impero Romano, poi il Rinascimento e la democrazia comunale, le prime università, le prime banche. Italia caput mundi, nel bene e nel male: in fondo, Hitler si considerava allievo del maestro Mussolini. Proprio l’Italia primeggiò ancora una volta nel dopoguerra: fece il record mondiale di crescita, con il boom economico, anche se non tutti applaudivano. L’uomo-simbolo di quegli anni ruggenti, Enrico Mattei, fu disintegrato a bordo del suo aereo. Oggi, dopo mezzo secolo, l’Europa è ancora una volta alle prese con il “problema” Italia, grazie a un governo teoricamente non-allineato a Bruxelles. Esecutivo capace di firmare un memorandum d’intesa commerciale con la Cina, che irrita pericolosamente gli Usa e manda su tutte le furie Parigi e Berlino, ovvero i due maggiori nazionalismi anti-europeisti su cui si regge l’infame Disunione Europea, quella che ha lasciato morire impunemente i bambini greci, negli ospedali rimasti senza medicine.Non bastano più, dice Magaldi, le sole analisi degli economisti democratici che in questi anni hanno smascherato tutte le bugie del neoliberismo. La prima: tagliare il debito pubblico risana l’economia. Falso: lo dimostra la scienza economica, da Keynes in poi, e lo confermano Premi Nobel come Krugman e Stiglitz. Ovvero: il deficit strategico – a patto che sia massiccio, e investito con oculatezza – può valere anche il 400%, in termini di Pil. Tradotto: oggi spendo dieci, e domani incasserò quattro volte tanto (lavoro, salari, consumi, e infine anche tasse). Beninteso: lo sanno tutti, a cominciare da quelli che fingono di non saperlo. Come Mario Draghi, che fu allievo del maggior economista keynesiano europeo – italiano, tanto per cambiare: il professor Federico Caffè. Tesi di laurea del giovane Draghi: l’insostenibilità di una moneta unica europea. Farebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Specie se si calcola che Draghi fu accolto a bordo del Britannia, all’epoca della grande spartizione della Penisola, alla vigilia delle privatizzazioni degli anni ‘90 che hanno sabotato la nostra florida economia. Lo stesso Draghi ha lasciato il segno anche in Grecia: prima come manager della Goldman Sachs, la banca-killer che gonfiava i bilanci di Atene, e poi – a disastro compiuto – come inflessibile censore della Bce, in seno alla spietata Troika europea.Ancora lui, Mario Draghi, è l’uomo a cui risponde, di fatto, il governatore di Bankitalia. E proprio da Ignazio Visco, il presidente Mattarella – con una mossa senza precedenti – spedì l’allora premier incaricato, Conte, a prendere appunti su come non attuarlo affatto, il cambiamento appena promesso agli elettori. Pino Cabras lo chiama “Stato profondo”, e difende la strategia di Di Maio e Salvini: accettare la logica di una guerra di logoramento, dice Cabras, è l’unica soluzione praticabile. Non la pensa così Gioele Magaldi: a suo parere, è una tattica perdente. Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, ridisegna la mappa del Deep State, presentandolo come interamente massonico. Un potere a due facce: quella progressista (da Roosevelt ai Kennedy, fino allo svedese Olof Palme) spinse avanti la modernità dei diritti sociali in senso democratico, nei decenni del grande benessere diffuso. L’altra faccia, oligarchica – Merkel e Macron, Prodi e D’Alema, lo stesso Draghi – ha chiuso i rubinetti della finanza pubblica, inaugurando la globalizzazione del rigore e quindi l’impoverimento generale della popolazione occidentale, fino alla quasi-sparizione della classe media (che infatti oggi in Italia vota Salvini e Di Maio).Contro questo regime, insiste Magaldi, non valgono più né le pregevoli rivelazioni dei tanti economisti onesti, né i recenti tatticismi dei gialloverdi. Serve una rivoluzione, a viso aperto. Un paese che dica: “Adesso sforiamo il tetto di Maastricht. E se non vi va bene, sospendiamo la vigenza dei trattati europei”. Addirittura? Certo, altra via non esiste. Se ci si piega al racket, l’estorsione continua all’infinito. Anche in politica: la molla su cui fa leva il prevaricatore è sempre la stessa, la paura. Se si smette di avere paura, tutto il castello crolla. Perché quel ricatto è basato su un sortilegio psicologico, come quello che rende misteriosamente tenebroso l’invisibile Mago di Oz, in apparenza invincibile: in realtà è soltanto una bolla, che può dissolversi in un attimo. E’ già successo, nella storia. Sotto la sferza della Grande Depressione, la destra economica consigliò a Roosevelt di tagliare il debito – pena, l’apocalisse. Ma il presidente, ispirato da Keynes, fece l’esatto contrario: espansione smisurata del deficit. Risultato: l’America, che era alle prese con l’incubo quotidiano della fame, divenne una superpotenza. Non è che siano cambiate, le regole: il sistema è sempre quello capitalista. Non solo: è diventato universale, incorporando anche Russia e Cina (che infatti, così come gli Usa e il Giappone, non hanno nessuna paura di fare super-deficit, sapendo che è il solo modo per alimentare il mercato interno dei consumi, e quindi l’occupazione).Il Mago di Oz ora si chiama Unione Europea, si chiama Eurozona. Una vergogna mondiale, senza più democrazia: comanda la Bce, insieme alla Commissione formata da tecnocrati non-eletti. Non c’è una vera Costituzione, e il Parlamento Europeo non può eleggere il governo europeo. Siamo precipitati nella barbarie di un neo-feudalesimo, una specie di Sacro Romano Impero. D’accordo, ma per volere di chi? Magaldi non ha esitazioni nell’indicare i responsabili: massoni reazionari. Militano nelle Ur-Lodges neoaristocratiche. Sono strutture segrete e trasversali, spregiudicate e apolidi, senz’altra patria che il denaro. Hanno deformato la stessa geopolitica: quando parliamo di Russia, Europa, Cina e Stati Uniti, dovremmo invece saper distinguere tra élite oligarchiche ed élite a vocazione democratica. Esistono anche quelle, infatti: sono di segno progressista. Negli ultimi decenni sono state costrette a cedere il passo alla plutocrazia neoliberista, ma adesso stanno rialzando la testa. Lo stesso Magaldi ammette di agire d’intelligenza con alcune di queste strutture, come la superloggia Thomas Paine. Problema pratico, innanzitutto: se è stata la supermassoneria a creare il problema, non può che essere la stessa supermassoneria (lato B, progressista) a contribuire a risolverlo.Magaldi non demonizza le Ur-Lodges, non ne fa una speculazione complottistica. Se la massoneria sa di aver fondato la modernità – Stato di diritto, laicità delle leggi, suffragio universale democratico – è umano che pensi (sbagliando) di poter fare quello che vuole, della sua “creatura”. La distorsione è cominciata negli anni ‘70, con il saggio sulla “Crisi della democrazia” commissionato dalla Trilaterale, potente entità paramassonica. La tesi: troppa democrazia fa male. Dove siamo arrivati, oggi? Lo si è visto: un certo signor Pierre Moscovici, non votato da nessuno, ha il potere di bocciare il bilancio del governo italiano regolarmente eletto. Lo si può subire in silenzio, un affronto simile? Nossignore: la verità va gridata. Lo stesso Moscovici sa benissimo che un deficit robusto farebbe volare l’economia. Una volta, lo sapeva anche la sinistra (che oggi tace). Lega e 5 Stelle? Si limitano a brontolare, ma poi ingoiano il rospo. Peggio: sparano a vanvera contro la massoneria, fingendo di non sapere che sono proprio i supermassoni oligarchici a ostacolare il loro governo. Cosa aspettano a vuotare il sacco?Magaldi è esplicito: le Ur-Lodges progressiste sono pronte ad aiutarli, se smetteranno di essere ipocriti sulla massoneria, come se non sapessero che persino il governo gialloverde pullula di massoni occulti, non dichiarati. Sperano nelle europee, leghisti e grillini? Errore grave: nessuno verrà in aiuto dell’Italia, se non sarà il nostro paese – per primo – ad alzare la testa. Come? Nell’unico modo possibile: una rivoluzione gandhiana, basata sull’obiezione ideologica. Può svanire in attimo, la grande paura del Mago di Oz, se solo qualcuno avrà l’elementare coraggio democratico che oggi ancora manca, ai gialloverdi. Una rivoluzione potrebbe spazzarli via in un amen, i mammasantissima del peggior Deep State. Restano invece al loro posto, i boiardi dello “Stato profondo”, proprio perché a proteggerli – prima di ogni altra cosa – è proprio la nostra stessa paura. Per Magaldi, scontiamo anche un vuoto culturale: da riempire, per la precisione, ricorrendo al socialismo liberale teorizzato da Carlo Rosselli. Una corrente di pensiero illuminante ma rimasta in ombra, schiacciata dal fascismo e dallo stesso socialismo massimalista, prima ancora che dal comunismo. Poi venne l’atroce neoliberismo, nelle due versioni: quella sfrontata, della destra economica reaganiana, e quella – più ambigua nella forma ma identica della sostanza – del “terzismo” di Anthony Giddens adottato dall’ex-sinistra occidentale, da Blair fino a D’Alema, grandi protagonisti dell’attuale post-democrazia.Il succo non cambia: Stato minimo. Il privato ha sempre ragione. Nei fatti, il neoliberismo è un imbroglio: santifica l’impresa, ma a spese dello Stato. E quando scoppia Wall Street, è il bilancio pubblico a tenere in piedi le banche-canaglia. Turbo-globablizzazione mercantile, e addio diritti. Delocalizzazioni, privatizzazioni. Parola d’ordine, per i non privilegiati: arrangiarsi. Dogma assoluto: demolire l’impresa pubblica, che era il cemento armato del boom italiano. In Svezia, Olof Palme impegnò lo Stato a salvare le aziende traballanti, a due condizioni: management statale, e lavoratori coinvolti come azionisti (con tanto di dividendi, a fine anno). Fu ucciso a Stoccolma nel 1986, all’uscita di un cinema. Tuttora sconosciuto il killer, ma non il mandante: possiamo chiamarlo Deep State. Con Palme, questa Europa cialtrona non sarebbe mai potuta nascere. Al leader svedese, il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano il 3 maggio. Sul podio altri due giganti, lo stesso Rosselli e l’africano Thomas Sankara, anch’essi assassinati. Non difettavano di coraggio: sapevano di dover combattere, sfidando il potere ostile a viso aperto. E’ quello che dovrebbe fare anche l’Italia, ribadisce Magaldi. Sapendo che, da sole, le élite possono fare poco. Se però si sveglia il popolo, allora non c’è Deep State che tenga. E’ così che funzionano, le rivoluzioni che mandano avanti, da sempre, la storia dell’umanità.(Le riflessioni di Gioele Magaldi sono tratte dalla diretta web-streaming su YouTube “Gioele Magaldi Racconta” del 1° aprile 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”).Primo round: il governo gialloverde fa qualcosa di veramente eretico, straordinario e rivoluzionario. Ovvero: annuncia un deficit del 7-8%, o anche del 10%. Secondo round: l’eurocrazia insorge, massacrando l’Italia con ogni mezzo. E quindi minacce, ritorsioni, spread a mille, bocciatura del bilancio (e assedio dei media pro-Ue, a reti unificate). Terza mossa: il governo si dimette, clamorosamente, appellandosi agli elettori. Magari indice un referendum, come quello voluto in Grecia da Tsipras. Poi affronta nuove elezioni, e incassa un plebiscito: gialloverdi al 70% dei consensi. A quel punto, finalmente, la resa dei conti: epurazione di tutti i burocrati infiltrati dal potere-ombra negli uffici che contano, cominciando dai ministeri. Un sogno? Per ora, sì. Ma se non si agisce in questo modo, sostiene il sognatore Gioele Magaldi, la rivoluzione non l’avremo mai. E attenzione: per come siamo ridotti, proprio una rivoluzione – pacifica, democratica – è l’unica soluzione possibile, l’unica via d’uscita dignitosa dall’euro-stagnazione inflitta a tutta l’Europa, e in particolare all’Italia, dai signori del neoliberismo. Sono i super-oligarchi che impongono regole di ferro agli altri, ma campano alla grande facendosi fare leggi su misura per il loro business, anche truccando i conti pubblici come fa la Germania (che dichiara un debito all’80% del Pil mentre quello reale è il triplo).
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Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla massoneria non li invoglia certo a impegnarsi per assistere Di Maio e Salvini, alle prese con i tecnocrati di Bruxelles e i loro terminali italiani, da Bankitalia al Quirinale.Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista internazionale, si candida a fare da “sindacalista”, in appoggio al governo. A una condizione: che i gialloverdi, e in particolare i 5 Stelle, smettano di dicriminare (a parole) i massoni. Dal canto suo, Cabras fornisce una lucida analisi sul vero potere che condiziona pesantemente il governo a partire dalla sua nascita. «Avremmo voluto altri ministri», ammette, alludendo anche al veto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona al dicastero strategico dell’economia. «Sappiate che quel potere di firma è decisivo, fa la differenza», sottolinea Cabras, che aggiunge: «Ci sono strutture molto “profonde”, che non possono essere ignorate, e che determinano ancora molto l’orientamento del potere. E non sono strutture facili da scardinare». Magaldi lo chiama “back-office”. Da noi, dice Cabras, «il back-office sta in un edificio molto in alto, a Roma, ed è il punto di equilibrio di tante realtà – che sono corpose, nella vicenda di uno Stato, e probabilmente sono diverse dal modo di pensare abituale della politica. Attenzione, questa cosa esiste in tutti gli Stati del mondo: non penserete che Trump sia il decisore unico, vero?».Pino Cabras prova a difendere l’operato del governo, fin dal primo giorno avversato dai media a reti unificate. Stando ai giornali sarebbe crollato l’export, che invece è cresciuto. Lo spread? La tempesta paventata non s’è vista. «Avevano detto che non sarebbe stato possibile fare una misura come “Quota 100”, che invece ha dato respiro a famiglie e lavoratori». Quanto al “decreto dignità”, «ha cercato di incentivare i contratti a lungo termine, e invece i media mainstream hanno ripetuto che avrebbe causato solo licenziamenti e disastri (e invece sta funzionando bene, lo dice l’Istat)». Il reddito di cittadinanza? Non è la cuccagna promessa in campagna elettorale, «ma almeno è una prima risposta al dilagare della nuova povertà». Troppo poco? Forse, ammette Cabras, ma non si può certo volare alto, con un deficit bloccato al 2%. «Ci hanno fatto davvero la guerra, un mare di pressioni. Hanno cercato di usare ogni possibile “waterboarding”, contro di noi». Lo si è visto: la macchina del fango si è avventata su Di Maio, mentre Salvini è stato accusato di sequestro di persona solo per non aver lasciato sbarcare i migranti della Diciotti, in realtà liberissimi di andarsene dove volevano.«Tra il dire e il fare c’è lo “Stato profondo”, che determina la libertà di decisione su tante cose», insiste Cabras, senza con questo voler accampare alibi. La sua, al contrario, è una denuncia esplicita. Il tema del convegno londinese era l’economia? Benissimo: ma il Piano-B a cui sta lavorando Cabras (moneta completamentare, sotto forma di crediti fiscali scambiabili come forma di pagamento alternativa) rischia di andare per le lunghe. «Eppure – rileva Fabio Zoffi – Lega e 5 Stelle avrebbero i numeri per attuarla in 24 ore, una misura del genere». Certo, ammette Cabras. Ma è impossibile fare i conti senza l’oste. Un esempio clamoroso? «I decreti attuativi per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche, con la complicità dei governi precedenti. Stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, già a bilancio», precisa Cabras. «Bene, quelle carte sono pronte da mesi: stanno su qualche scrivania al ministero delle finanze, ma nessuno le ha ancora firmate». Perché non denunciarli, i boiardi che remano contro, facendo nomi e cognomi? «Ci abbiamo provato, e ricordate cos’è successo? Tutti i media ci hanno dato addosso, facendoci passare per “sfasciacarrozze”». Memorabile la gogna mediatica cui fu sottoposto Rocco Casalino, per aver osato annunciare un “repulisti” nei ministeri.E quello della burocrazia ministeriale, sottolinea Magaldi, è solo lo strato più basso del Deep State: esecutori e passacarte. A monte c’è ben altro, ovviamente: Mattarella arrivò a “invitare” l’incaricato Conte a visitare Bankitalia, cioè il terminale italiano del supermassone Draghi. Pino Cabras, per ora, mostra una certa fiducia verso le elezioni europee in arrivo: spera che contribuiscano a indebolire l’euro-sistema. Ammette, francamente, che Lega e 5 Stelle sono divisi praticamente su tutto: famiglia, legittima difesa, concezione dello Stato, politica estera. «Però siamo uniti nell’impegno a “smontare”, poco alla volta, lo “Stato profondo”». Come? «Conquistando gradualmente alcune “casematte”». A chi rimprovera scarso coraggio ai gialloverdi, Cabras risponde: «Ho rispetto per Di Maio, ha solo 31 anni e ha già affrontato prove tali da far tremare i polsi. Lega e 5 Stelle hanno dimostrato un coraggio di cui non c’era traccia da anni, nella politica italiana». Il nocciolo è questo: «Vogliamo aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, e rimettere l’Italia nelle condizioni di esprimere una politica economica». Il nemico è il Deep State, e siede nei posti-chiave. Di Maio e Salvini lo sanno, e hanno accettato di affrontare una guerra di logoramento. Per Magaldi non basta: serve una sfida frontale, perché la crisi italiana non aspetta. E senza veri risultati, gli elettori si ribelleranno: stanno già “scaricando” i 5 Stelle, e domani potrebbero dire addio allo stesso Salvini, anche se oggi sembra inaffondabile. Lo sembrava anche Renzi, che aveva il 40%.«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».