Archivio del Tag ‘grillini’
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I 5 Stelle: rassegnatevi, la Tav Torino-Lione non si farà più
«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».Anche dalla valle di Susa si è alzata la protesta che ha investito Toninelli, appena ha solo accennato alla volontà di «migliorare» la Tav invece di confermare la rinuncia al tunnel. «Luigi Di Maio non può permettersi di liquidare entrambe le promesse elettorali, figlie di campagne identitarie per i grillini», sostiene Lombardo. Il post in cui tre giorni fa Toninelli annunciava un veto su qualsiasi ulteriore firma «ai fini dell’avanzamento dell’opera» è stato un avvertimento e un primo segnale. Rivolto anche all’alleato di governo, la Lega, che invece è stata una grande sostenitrice della Tav. Conte, aggiunge “La Stampa”, sarebbe ormai pronto ad abbracciare il piano di Di Maio e Toninelli, che ha un obiettivo chiaro: «La chiusura della tratta piemontese dell’alta velocità, nascosto dietro a una dichiarazione di intenti più fumosa che parla di “ridiscutere integralmente l’infrastruttura”, esattamente quello che c’è scritto nel contratto di governo, e che per i grillini può essere interpretato anche in maniera radicale». Lo stesso Toninelli, sul “Blog delle Stelle”, non usa però mezzi termini, riguardo al progetto Torino-Lione: «E’ stato enorme lo sperpero di danaro pubblico per favorire i soliti potentati, certe cricche politico-economiche e persino la criminalità organizzata».Impietosa l’analisi del ministro: la parte internazionale della Torino-Lione in teoria dovrebbe costare 9,6 miliardi (il 40% a carico dell’Ue, il 35% a spese Italia e il 25% della Francia), ma già nel 2007 era emerso che il costo vero arriverebbe a 20 miliardi di euro, o addirittura 26 secondo la Corte dei Conti francese, sulla base delle stime del Tesoro di Parigi aggiornate al 2012. Costi folli, per un’opera giudicata inutile: è infatti ormai semi-deserta la linea Torino-Modane che già collega Italia e Francia attraverso la valle di Susa, nonostante il recente ammodernamento del Traforo del Fréjus, costato 400 milioni. Peggio: nel caso della Torino-Lione sarebbero davvero eccessivi gli oneri gravanti sull’Italia, nonostante il nostro paese sia interessato solo da 12,5 chilometri dell’ipotetico traforo internazionale da scavare per 57,5 chilometri sotto il Moncenisio. «Uno degli aspetti più scandalosi sta proprio lì», sottolinea Toninelli: «I nostri governanti del tempo, stiamo parlando dei primissimi anni Duemila, decisero di accollarsi la parte maggiore delle spese per convincere la Francia, che era giustamente riluttante rispetto alla costruzione dell’opera. Anche perché negli ultimi venti anni lo scambio di merci tra Italia e Francia ha avuto una discesa costante». Da neo-ministro, Toninelli accusa: «Mi son trovato a mettere le mani in un verminaio di sprechi, connivenze corruttive, appalti pilotati, varianti in corso d’opera che hanno fatto esplodere i costi negli anni. E’ difficile raddrizzare la barra, ma dobbiamo farlo. Lo dobbiamo ai nostri concittadini e soprattutto alle generazioni future».Scandalosa la gestione dell’alta velocità ferroviaria in Italia: ci costa in media 28 milioni di euro a chilometro contro i 12 milioni della Spagna, i 13 della Germania e i 15 della Francia. Cifra che sale a 33 milioni di euro a chilometro con le linee in via di costruzione. «E’ per questo che abbiamo avviato una seria revisione progettuale su queste infrastrutture», spiega Toninelli: «Non si può più fare a meno di una rigorosa analisi costi-benefici». Rifarsi al “contratto” di governo, scrive il ministro, pensando soprattutto a Salvini, significa «voler ridiscutere integralmente l’infrastruttura, senza preclusioni ideologiche ma senza subire il ricatto che ci piove in testa e che scaturisce dalle scandalose scelte precedenti». Di qui l’intimazione ai tecnocrati: «Nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera, lo considereremmo come un atto ostile: le opere si fanno se servono ai cittadini, non a chi le costruisce». Il progetto Tav Torino-Lione (tuttora solo cartaceo) è nato da un accordo con la Francia ratificato dal Parlamento. Un’intesa che però, secondo Palazzo Chigi e il ministero dei trasporti, può essere stracciato attraverso una legge e un altro voto alle Camere, sempre che la maggioranza regga e la Lega non si sfili.A oltre 15 anni dal tentativo di avvio del primo cantiere a Venaus, letteralmente fermato dalla protesta popolare, i lavori – sul versante italiano – sono ancora limitati alla sola galleria esplorativa di Chiomonte. Secondo i ministri grillini, scrive la “Stampa”, si tratterebbe semplicemente di restituire i fondi all’Europa (800 milioni di euro) senza penali. «I contatti con i francesi sono continui, ma la parte grillina del governo è decisa ad andare avanti anche a costo di scontri diplomatici con Parigi, con conseguente richiesta di risarcimenti». Il “no” definitivo è previsto per il prossimo autunno, tra ottobre e novembre, quando si concluderà l’analisi costi-benefici, inclusi quelli ambientali. «Ma il destino dell’alta velocità piemontese si incrocia anche con la partita delle nomine in corso in queste ore», aggiunge Lombardo sul quotidiano torinese. «Telt, la società responsabile della realizzazione della Torino-Lione, è per il 50% in mano allo Stato francese e per il restante 50% controllata da Ferrovie, i cui vertici sono stati azzerati da Toninelli l’altro ieri». Tra i valsusini prevale la prudenza: riusciranno davvero, i 5 Stelle, a fermare l’inutile ecomostro che ha finora attratto potentissimi interessi economici, politici e finanziari, al punto da apparire impossibile da fermare?«Quando studio dossier come quello della Tav Torino-Lione, non posso che provare rabbia e disgusto per come sono stati sprecati i soldi dei cittadini italiani». Le parole di Danilo Toninelli, ministro delle infrastrutture, suonano come campane a morto per il progetto che ha fatto letteralmente impazzire la valle di Susa, scatenando una protesta che si è conquistata un posto importante nell’agenda politica italiana. Sulla scrivania di Giuseppe Conte, scrive la “Stampa”, ora c’è una relazione che il premier ha letto e riletto, «prima di caricarsi anche pubblicamente una decisione che ormai è presa: la Tav non si farà più». Secondo il quotidiano torinese sarebbe scelta quasi obbligata, per il Movimento 5 Stelle, votato in massa dai NoTav. «Erano l’avanguardia territoriale dei grillini contro le grandi opere», scrive Ilario Lombardo, e ora si sentirebbero traditi dalle voci di un possibile ripensamento sulla maxi-opera più controversa d’Europa. Secondo un sondaggio piovuto sul tavolo dei vertici dei 5 Stelle, aggiunge Lombardo sulla “Stampa”, impegni come l’Ilva, la Tav e il Tap potrebbero costare una buona fetta di consenso. «Così, l’alta velocità Torino-Lione verrebbe sacrificata anche per indorare l’ok al Tap, il gasdotto che dovrebbe adagiarsi sulle spiagge pugliesi che è già costato dolenti ferite alla ministra del Sud, la grillina Barbara Lezzi per le forti contestazioni subite».
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Il governo Tria-Draghi-Mattarella spaventa Lega e 5 Stelle
Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente mininistro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.Il problema dei problemi, rileva Del Duca, è che – con l’attuale assetto del bilancio, allineato ai vincoli di Bruxelles – non ci sono abbastanza soldi per finanziare reddito di base, tagli alle tasse e pensioni più dignitose. Secondo l’analista del “Sussidiario”, non sarà facile trovare un equilibrio che consenta a 5 Stelle e Lega di poter dare segnali positivi, almeno parziali, al proprio elettorato. «Nel mirino è il titolare dell’economia, Giovanni Tria, cui spetterà di sicuro l’ingrato compito di trasformarsi nel “signor no” della spesa pubblica». Tanti i segnali già emersi in questa direzione: «Sono soprattutto i grillini ad adombrare un Tria nemico, arcigno guardiano dei conti pubblici, in nome e per conto di Mario Draghi, e con la benedizione del Quirinale». Il ministro, dal cantro suo, ha preparato la trincea per la battaglia che lo aspetta proprio nello scontro di questi giorni sulle nomine: «In cambio del via libera a Francesco Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti ha incassato la blindatura del dicastero di via XX Settembre con la nomina di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro, che si affianca alla permanenza di Daniele Franco alla Ragioneria generale dello Stato».In questa fase, aggiunge Del Duca, la Lega ha svolto con Giancarlo Giorgetti un ruolo sostanzialmente di mediazione, «ma non è che il Carroccio abbia il desiderio di fare esclusivamente il donatore di sangue». Il bilanciamento della nomina di Palermo, scrive Del Duca, potrebbe avvenire sulle Ferrovie, ma anche sulla presidenza della Rai. E non va trascurato il desiderio leghista di poter contare su un vicepresidente del Csm “amico”, come contraltare del ministro della giustizia pentastellato. «La partita delle nomine non è affatto chiusa, quindi, anzi è destinata a durare tutto l’autunno, in parallelo alla discussione della legge di bilancio». Il clima in cui avverrà lo ha descritto con crudezza lo stesso Di Maio: «C’è da lavorare nell’ottica di una legge che deve essere coraggiosa e non che tiri a campare». Il vicepremier grillino ha detto a chiare lettere che questo comporta anche l’avvio della ridiscussione dei parametri economici a livello europeo, anche perché faceva parte del programma sia della Lega che del Movimento 5 Stelle. «La prospettiva è quindi di un autunno caldo sul fronte parlamentare», sottolinea Del Duca: «Ce n’è abbastanza per far crescere il livello di ansia dalle parti del Quirinale».Delle prospettive dei prossimi mesi, aggiunge l’analista, si è parlato nel lungo colloquio (oltre un’ora) che a sorpresa il premier Conte ha avuto con il presidente della Repubblica. E’ a Conte, secondo Del Duca, che Mattarella guarda come «l’unico che può riuscire a tenere insieme le dispendiose richieste dei due partiti di governo e le necessità di tenere i conti pubblici in equilibrio». Il rischio di strappi è concreto, sottolinea il “Sussidiario”, e nel caso della Cassa Depositi e Prestiti ci si è andati vicino. «Giovanni Tria ha rischiato di fare la fine di Renato Ruggiero, ministro tecnico degli esteri del governo Berlusconi, costretto a lasciare per incompatibilità. Lo ha capito lo stesso Giorgetti, proconosole di Matteo Salvini in tutte le trattative sulle nomine: è bene non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi per davvero». In altre parole: «Le dimissioni di Tria, se mai ci si dovesse arrivare, sarebbero un colpo davvero troppo duro da sopportare per il governo». E’ pur vero, però, che l’esecutivo gialloverde morirebbe, politicamente, solo se il “partito di Bruxelles” gli imponesse di ispirare al rigore anche la prossima finanziaria, costringendolo cioè a rinunciare al suo programma dichiaratamente anti-austerity.Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente ministro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.
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Mattarella, blitz contro Salvini sui migranti. Cade il governo?
Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.Le eventuali dimissioni del “governo del cambiamento”, che farebbero felici tutti i nemici dell’Italia – da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Francoforte – sarebbero ovviamente una tragedia per l’opposizione post-renziana, ormai tenuta in vita solo dal tifo anti-Salvini orchestrato dai media mainstream e da eterne comparse come Laura Boldrini a Roberto Saviano. L’attacco concentrico contro la Lega, vero perno dell’ipotesi sovranista europea sorretta a distanza dalla presidenza Trump, ha assunto tratti spettacolari: ai puntuali sgambetti di Mattarella si somma l’iniziale attacco della finanza neoliberista franco-tedesca sotto forma di spread, seguito dalla clamorosa gita turistica di Macron, invitato a Roma da Papa Bergoglio come super-ospite, dopo che il presidente francese, uomo Rothschild ed esponente della supermassoneria reazionaria, si era esercitato a insultare l’Italia e gli italiani. Macron, che dà lezioni all’Italia sui diritti umani, ha ordinato il pestaggio dei migranti al confine di Ventimiglia e fatto intervenire la gendarmeria transalpina a Bardonecchia, violando gli accordi di frontiera tra i due paesi.Dulcis in fundo, il macigno che la magistratura ha caricato sulle spalle di Salvini, costretto a rispondere – in solido – di 49 milioni “fantasma”, teoricamente scomparsi dalle casse del partito durante la gestione Bossi e ora messi in conto alla Lega salviniana, con provvedimento esecutivo, senza neppure attendere il secondo grado di giudizio. Una sentenza, quella sui presunti fondi scomparsi, che equivale a privare la Lega della possibilità di fare politica, esercitando il mandato democratico ottenuto dagli elettori il 4 marzo. Variegate forze – dalla Bce alla Banca d’Italia, dall’Ubi (l’unione della banche italiane) fino a Confindustria – stanno combattendo all’arma bianca contro la possibilità che il governo gialloverde possa durare. Pericolosi, ovviamente, i distinguo di alcuni grillini di peso: il ministro della difesa Elisabetta Trenta contesta a Salvini le modalità del blocco dei porti, mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, invoca il valore dell’accoglienza “senza se e senza ma”, bocciando di fatto la politica del governo sull’immigrazione.Nelle ultime settimane, intanto, emerge finalmente l’altra verità sul traffico di migranti promosso dalle Ong sostenute dalla rete Open Society di George Soros: non si tratterebbe di un “esodo della disperazione”, ma di un trasferimento di massa programmato. Decine di migliaia di africani (non i più poveri, solo quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti) verrebbero incoraggiati a lasciare i loro paesi con il miraggio di un welfare assistenziale generoso, in Italia e nel resto d’Europa. Naturalmente il problema-Africa è devastante, nelle sue proporzioni: Salvini lo utilizza ruvidamente in chiave anti-Ue, mentre i “vedovi” della sinistra di potere lo cavalcano, disperatamente, solo in funzione anti-Salvini. Spuntando – con l’aiuto del Quirinale – l’arma principale dell’Italia contro i diktat di Bruxelles, la corda potrebbe spezzarsi: Salvini sa che la maggioranza degli italiani è con lui, nuove elezioni potrebbero trasformarsi in plebliscito. Resta però da capire come la vede il convitato di pietra del governo Conte: cioè Donald Trump, che sembra puntare proprio sul governo gialloverde per “smontare” l’euro-orrore capitanato dalla Germania merkelizzata.Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.
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Veneziani: addio sinistra, lobby di potere senza più popolo
Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».«Se evaporò in poco tempo la Dc, riducendosi a pochi reduci – aggiunge Veneziani – non vedo perché non possa sparire la sinistra e se ne debba fare una malattia. Tanto più che il declino è mondiale, come ben si vede, e a furor di popolo». Lo stesso Veneziani trova «grottesca» quella che definisce «la sfilata dei maestrini che hanno rimproverato alla sinistra di essersi allontanata dalla realtà, dal popolo, dai suoi disagi e dal suo sentire». E lo dicono mentre, dappertutto, proprio loro, cioè «i maestrini, i loro giornaloni, le loro Tv, continuano a somministrare al paese la stessa pappa che ha portato al disastro la sinistra: pro-migranti, prima loro poi gli italiani, pro-Rom e pro-gay come se fossero temi di priorità epocale, antifascisti e antirazzisti». Protesta Veneziani: «Ma non avete capito che la sinistra è crollata proprio perché si è identificata col messaggio ossessivo che i suoi mass media, i suoi agenti, funzionari, ideologi propinano ogni giorno, disertando la realtà e i suoi disagi?».A questo punto, continua Veneziani, è inutile arrovellarsi su chi sarà il miracoloso resuscitatore della sinistra: sfilano in tanti, da Zingaretti a Calenda, «che è entrato tre mesi fa nel Pd e ora vuole già seppellirlo per collocarlo all’incrocio pigliatutto», senza contare «il coro delle prefiche piangenti della sinistra perduta o della cattosinistra, appena usciti disfatti dalle esperienze di governo». Chiosa Veneziani: «Sullo sfondo dal sarcofago di D’Alema si sentono risate sataniche». Scherzi a parte, sostiene il politologo, la sinistra che verrà non sarà più radical chic o proveniente dalla Ditta, come Bersani chiamava la filiera dell’ex Pci. «Il prossimo leader della sinistra, come il suo popolo del resto, sarà un Papa straniero», scrive Veneziani, tra il serio e il faceto. «Sarà negro. Sarà venuto dai barconi o avrà trovato nei barconi il suo elettorato maggiore e la sua base militante. Sarà pop, e non snob. Che saranno poi i milioni di migranti che la sinistra, il Papa, i mattarelli umanitari, avranno agevolato a far entrare nel paese e in Europa. Riprenderà, come è giusto, la bandiera del proletariato e farà la concorrenza ai grillini pauperisti».Ragiona Veneziani: «Non ha senso, per la marea di migranti, avere tutori che parlano in loro nome pur vivendo da agiatissimi borghesi, lontani dai sobborghi e dagli spazi pubblici affollati dai migranti. Lo faranno direttamente loro». Seriamente: «Finché dominerà il populismo, la sinistra continuerà ad essere quella che è stata, un centro di potere mediatico, culturale, bioetico, giudiziario; una fabbrica di influenze, codici e sentenze, una lobby trasversale che raggruppa al suo interno tante altre lobby che fanno setta, business o potere sui temi sensibili». Sempre secondo Veneziani, la cosiddetta sinistra smetterà pure di essere un partito, «perché è un’oligarchia capace di orientare le opinioni ma non di prevalere nel voto». E aggiunge: Fino a che ci saranno democrazia, sovranità e libertà, «la sinistra sarà minoritaria, perché avvertita non dalla parte del suo popolo ma fuori, sopra e contro di esso». Renzi? Gli è stata attribuita «una disfatta molto più grande e molto più radicale di lui». Come già Veltroni, ora si darà alla Tv, dimostrandosi essenzialmente un animatore, più che un politico. «Sono piccoli esempi vistosi di un processo più grande: la sinistra proletaria e sudata la faranno i neri, magari islamici; la sinistra da passeggio e da salotto sarà nei poteri che non passano dal consenso popolare».Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».
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Niente bavaglio al web, Strasburgo boccia il piano Oettinger
Sventato, per il momento, il temutissimo “bavaglio” al web. L’aveva predisposto la commissione giuridica del Parlamento Europeo su input della Commissione Ue, in particolare del commissario Günther Oettinger, l’uomo che – all’indomani delle elezioni del 4 marzo – disse che sarebbero stati “i mercati” a insegnare a gli italiani come votare. In pratica: con il pretesto della revisione (necessaria) della tutela del copyright, ferma al 2001, l’Unione Europea avrebbe, di fatto, proibito la libera circolazione di contenuti, idee e immagini su Internet, mettendo a tacere blog e social. Ma il passaggio democratico cercato dalla Commissione – la validazione (peraltro non vincolante) del Parlamento Europeo – ha dato esito negativo: 318 i voti contrari e 278 i favorevoli, più 31 astenuti. Merito anche della tambureggiante opposizione scatenatasi proprio via web, a partire dall’allarme lanciato in Italia da Claudio Messora su “ByoBlu”: quasi un milione le firme raccolte in pochi giorni dalla petizione online su “Change.org”. «Oggi è un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiando anche a livello di Parlamento Europeo», afferma Luigi Di Maio il 5 luglio, a poche ore dal voto di Strasburgo.La seduta plenaria dell’Europarlamento, scrive il vicepremier grillino sul “Blog delle Stelle”, ha rigettato il mandato sul copyright al relatore Axel Voss, smontando l’impianto della direttiva-bavaglio. La proposta della Commissione Europea ritorna dunque al mittente, rimanendo lettera morta. Per Di Maio il segnale è chiaro: «Nessuno si deve permettere di silenziare la Rete e distruggere le incredibili potenzialità che offre in termini di libertà d’espressione e sviluppo economico». La direttiva avrebbe infatti costretto a ricorrere a speciali iter autorizzativi – anche a pagamento – per la semplice possibilità di inserire un link: procedura che avrebbe segnato in Europa la fine del web così come lo conosciamo, fondato sulla libera condivisione dei contenuti in tempo reale, attraverso la rete dei social media. «In ogni caso, anche qualora il testo fosse passato al vaglio di Strasburgo – avverte Di Maio – ci saremmo battuti in sede di Consiglio; a livello nazionale saremmo invece stati disposti a non recepirla». Lo disse subito, il leader dei 5 Stelle: se l’Ue dovesse malauguratamente adottare quella norma-vergogna, l’Italia eviterebbe di applicarla.«Voglio ringraziare tutti i nostri rappresentanti a Bruxelles e anche gli altri europarlamentari che hanno deciso di seguirci in questa battaglia per la libertà d’informazione», aggiunge lo stesso Di Maio. «Ora si apre una nuova battaglia: nella prossima plenaria si terrà infatti un dibattito politico e la possibilità di presentare emendamenti». Di Maio si dice sicuro che gli articoli più pericolosi della direttiva – l’11 e il 13 – verranno definitivamente rimossi. «Questa direttiva – spiega – riportava infatti due concetti inaccettabili: il primo prevedeva un diritto per i grandi editori di autorizzare o bloccare l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni introducendo anche una nuova remunerazione, la cosiddetta “link tax”, mentre il secondo imponeva alle società che danno accesso a grandi quantità di dati di adottare misure per controllare ex ante tutti i contenuti caricati dagli utenti». Assicura Di Maio: «Questo governo vigilerà affinché la libertà di Internet venga salvaguardata, senza scendere ad alcun compromesso e rifiutando ogni bavaglio».Sventato, per il momento, il temutissimo “bavaglio” al web. L’aveva predisposto la commissione giuridica del Parlamento Europeo su input della Commissione Ue, in particolare del commissario Günther Oettinger, l’uomo che – all’indomani delle elezioni del 4 marzo – disse che sarebbero stati “i mercati” a insegnare a gli italiani come votare. In pratica: con il pretesto della revisione (necessaria) della tutela del copyright, ferma al 2001, l’Unione Europea avrebbe, di fatto, proibito la libera circolazione di contenuti, idee e immagini su Internet, mettendo a tacere blog e social. Ma il passaggio democratico cercato dalla Commissione – la validazione (peraltro non vincolante) del Parlamento Europeo – ha dato esito negativo: 318 i voti contrari e 278 i favorevoli, più 31 astenuti. Merito anche della tambureggiante opposizione scatenatasi proprio via web, a partire dall’allarme lanciato in Italia da Claudio Messora su “ByoBlu”: quasi un milione le firme raccolte in pochi giorni dalla petizione online su “Change.org”. «Oggi è un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiando anche a livello di Parlamento Europeo», afferma Luigi Di Maio il 5 luglio, a poche ore dal voto di Strasburgo.
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Nella Terza Repubblica non c’è posto per i finti progressisti
Fine della farsa: siamo nella Terza Repubblica, dove le parole di ieri – per lo più false – non valgono più. Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si apre sotto i migliori auspici una nuova stagione, il ritorno alla democrazia, dopo la Notte della (Seconda) Repubblica fondata sull’equivoco di slogan europeisti snocciolati per mascherare l’inganno di politiche a senso unico – austerity, tagli, privatizzazioni, guerra al deficit – progettate dall’oligarchia finanziaria ai danni dei popoli europei. Ne è la prova il terremoto politico in corso in Italia, che sta gettando nel panico sia i rottami del Pd che i suoi padrini, italiani e non. «Sono forze politiche, economiche, meta-politiche e massoniche europee e internazionali quelle che guardano con paura e avversione a questo governo Conte, che potrebbe avviare un cambiamento epocale, non solo nei rapporti Italia-Europa ma proprio nella rivisitazione politica, economica, sociale di questa Disunione Europea», sostiene Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Proprio per questo, accanto a Lega e 5 Stelle, conviene pensare ad altri soggetti politici del tutto nuovi, utili per la Terza Repubblica. Ed è con questo spirito – annuncia – che a Roma, il 14 luglio, faremo la prima tavola rotonda sul “partito che serve all’Italia”».Premessa: massimo rispetto dell’asse gialloverde. Salvini? «Lo giudico uno dei politici più interessanti, oggi, per l’Italia e per l’Europa, e continuerò a difenderlo da ogni accusa pretestuosa di razzismo, xenofobia e atteggiamenti fascistoidi: ogni volta che viene attaccato, puntualmente, basta andare oltre i titoli e i lanci sensazionalistici di agenzia per scoprire che ha detto cose spesso condivisibili e comunque pacate, sobrie e ragionevoli». Magaldi parla (anche) a nome dei circuiti massonici progressisti che sostengono il “governo del cambiamento”. Sia chiaro, avverte: «Non faremo sconti, né a Salvini né a Di Maio né al governo Conte, rispetto a quello che ci aspettiamo da loro. Su certi temi, se vi fossero scivoloni di natura illiberale o non democratica saremo i primi a denunciarli». Ma intanto, aggiunge, Salvini è stato soprattutto «oggetto di campagne di odio e disinformazione, da parte di chi vorrebbe che tutto restasse così com’è». La Lega come vettore di cambiamento, che – da Pontida – propone addirittura trent’anni di governo in tandem con i 5 Stelle? «Sono felice del reciproco riconoscimento tra questi due partiti, che l’elettorato ha premiato», dichiara Magaldi. «La Lega si è completamente rinnovata proprio grazie a Salvini e ad altri giovani dirigenti, e anche i 5 Stelle sono in corso di progressiva maturazione».L’elettorato semmai ha bastonato il centrodestra, ridimensionando Forza Italia, e ha sanzionato anche le forze del sedicente centrosinistra, cioè «gli epigoni della Seconda Repubblica, bocciati dagli elettori che hanno invece espresso una fiducia chiarissima alla Lega e ai 5 Stelle». Futuro gialloverde? Ottima prospettiva: «Sarebbe molto utile se Lega e 5 Stelle si presentassero insieme, in future competizioni elettorali», ipotizza Magaldi, impegnato con il Movimento Roosevelt a «supportare e consolidare un futuro asse tra leghisti e pentastellati». E non è tutto: bisogna anche «offrire una occasione di partecipazione politica a quei soggetti, cittadini, gruppi sociali e associazioni che non si riconoscono nella Lega e nei 5 Stelle ma neppure più nel centrodestra e nel centrosinistra, e quindi cercano un nuovo veicolo politico nel quale vedere rappresentata la loro sovranità». Da qui l’assise romana del 14 luglio, anniversario della Presa della Bastiglia, con politologi e sociologi, storici e giuristi: «E’ un modo per festeggiare la democrazia: prima l’idea, poi l’utopia e infine la realtà della democrazia, quella democrazia che noi vogliamo difendere da chi l’ha calpestata, vilipesa e svuotata di sostanza», dice Magaldi. «Lega, 5 Stelle e governo Conte, del resto, nascono proprio per ridare democrazia sostanziale ai cittadini – e quindi diritti, prospettive economiche».Salvini a Pontida annuncia la volontà di negoziare in Europa condizioni economiche che siano a vantaggio dei popoli, mentre Di Maio presenta finalmente iniziative di sviluppo dell’economia. Magaldi non teme di usare parole altisonanti: «Forse è l’avvio di una rivoluzione, la nascita della Terza Repubblica in Italia e l’alba di una nuova Europa», checché ne pensino i reduci del renzismo. A proposito: che dire dell’ex ministro Carlo Calenda e dei suoi ripensamenti “salviniani” sulla politica per i migranti, in linea con il blocco dei porti che avrebbe voluto attuare lo stesso Minniti? Su Calenda, Magaldi è scettico: «E’ un personaggio che potrebbe fare l’interprete di un film, “Renzi 2 – la vendetta”». In fondo, Calenda «è un Renzi aggiornato alla situazione attuale, sgangherata, dove in tanti dicono di voler andare oltre il Pd». Tutte chiacchiere: l’ex ministro già montiano «appartiene allo stesso establishment che ha mal gestito politica ed economia italiana». E poi, cosa propone Calenda? «Non riconosco particolare spessore né a lui né ad altri candidati a ereditare quel che resta di quella forza politica», afferma Magaldi. «Anziché sottoscrivere queste ammissioni di colpa fuori tempo massimo, Calenda e soci dovrebbero dirci cosa vogliono fare, nel presente e nel futuro».Il problema del Pd, aggiunge Magaldi, non sta nella mancata chiusura dei porti, all’epoca di Minniti. Il vero guaio è che «ha preteso di essere l’erede di una tradizione progressista, laddove invece – da molti anni – si è fatto interprete del conservatorismo e della reazione neoliberista più becera, nonostante le aspettative anche di quei ceti popolari che un tempo hanno votato partiti sedicenti progressisti, di cui il Pd è erede». Proposte concrete? Non pervenute. A dire il vero «Nicola Zingaretti qualcosina l’ha detta, ma è anche molto bravo ad arrivare a cose fatte: ai tempi in cui il Pd veniva gestito in una certa direzione, non ricordo uno Zingaretti che si fosse messo a fare un’opposizione dura e pura alla traiettoria renziana. Adesso, certo, arrivano tutti e si accreditano come rinnovatori». Magaldi li esorta a riflettere su un punto chiave: «La scena politica della Terza Repubblica sarà di coloro i quali smetteranno di fingersi quello che non sono, e cercheranno di rappresentare le istanze della sovranità popolare». Istanze che ovviamente «sono molto diverse da quelle linee-guida di governo della politica e dell’economia che hanno caratterizzato la Seconda Repubblica, cioè gli ultimi 25 anni». Per intenderci: «Chi si fa paladino dei diritti civili ha trascurato del tutto quelli sociali ed economici. Avrà la capacità di capire che tutti i diritti vanno saldati insieme? Solo allora ci sarà una speranza, anche per quell’area politica, di rigenerarsi». E dunque porte aperte, nel “partito che serve all’Italia”, anche «ai dirigenti del Pd in crisi di coscienza e di identità, oltre che a tutti gli elettori che sono in crisi di appartenenza e di fiducia».Fine della farsa: siamo nella Terza Repubblica, dove le parole di ieri – per lo più false – non valgono più. Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, si apre sotto i migliori auspici una nuova stagione, il ritorno alla democrazia, dopo la Notte della (Seconda) Repubblica fondata sull’equivoco di slogan europeisti snocciolati per mascherare l’inganno di politiche a senso unico – austerity, tagli, privatizzazioni, guerra al deficit – progettate dall’oligarchia finanziaria ai danni dei popoli europei. Ne è la prova il terremoto politico in corso in Italia, che sta gettando nel panico sia i rottami del Pd che i suoi padrini, italiani e non. «Sono forze politiche, economiche, meta-politiche e massoniche europee e internazionali quelle che guardano con paura e avversione a questo governo Conte, che potrebbe avviare un cambiamento epocale, non solo nei rapporti Italia-Europa ma proprio nella rivisitazione politica, economica, sociale di questa Disunione Europea», sostiene Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”. «Proprio per questo, accanto a Lega e 5 Stelle, conviene pensare ad altri soggetti politici del tutto nuovi, utili per la Terza Repubblica. Ed è con questo spirito – annuncia – che a Roma, il 14 luglio, faremo la prima tavola rotonda sul “partito che serve all’Italia”».
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La lebbra europea: quella del vomitevole, xenofobo Macron
La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia (e di Francia) disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano anti-Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa orrenda e mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?Parole che ricordano quelle del mentore di Macron, il tristemente celebre Jacques Attali: ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità? Un grande economista francese, Alain Parguez, invitato a Rimini da Paolo Barnard per il primo, storico summit sulla sovranità monetaria, lavorò all’Eliseo – insieme ad Attali – con il presidente socialista Mitterrand, ai tempi in cui la Francia era ancora la Francia, e non un mero ingranaggio dell’euro-imbroglio. Insigne accademico, Parguez racconta dello smottamento “reazionario” dello stesso Mitterrand, fortemente propiziato dal potente gruppo di pressione incarnato proprio da Attali, che Parguez definisce «un monarchico, travestito da socialista». Avvertimenti: dopo l’omicidio del leader socialdemocratico Olof Palme in Svezia, Mitterrand deve aver intuito quale trattamento sarebbe stato riservato ai “ribelli”, ai leader contrari al nuovo ordine neoliberista in fase di insediamento, in Europa. Dopo la parentesi di Jacques Chirac, che tenne la Francia fuori dalla Guerra del Golfo, il potere “nero” conquistò direttamente l’Eliso, non più restando dietro le quinte ma piazzando il suo uomo – Nicolas Sarkozy – sulla poltrona presidenziale. Risultati tangibili: orrore e violenza, il Medio Oriente in fiamme, la nascita dell’Isis, la macelleria della Libia.Da Sarkozy – ora finalmente nei guai con la giustizia francese – lo stesso linguaggio da saloon esibito da Macron: «Ne avete abbastanza di questa feccia», disse, agli abitanti “bianchi” delle banlieues parigine “infestate” di migranti. «Ora ci penseremo noi a toglierli di mezzo». Poi venne il tempo del socialista incolore François Hollande, fotocopia (molto sbiadita) del repubblicano Chirac. Hollande, ha svelato Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni”, militava nella superloggia progressista “Fraternitè Verte”, a cui aveva promesso la fine del rigore socio-economico. Ma il suo governo è stato letteralmente travolto dall’emergenza terrorismo, dalla strage di Charlie Hebdo a quella del Bataclan, fino al massacro di Nizza. Sotto ricatto, con servizi segreti “colabrodo” e ministri sempre più “di destra” (fino all’esordiente Macron), Hollande ha tradito ogni promessa elettorale, imponendo ai lavoratori francesi l’harakiri della Loi Travail, il Jobs Act transalpino, destinato a favorire le aziende penalizzando i dipendenti. Contro l’ectoplasmatico Hollande, ennesimo politico di sinistra passato armi e bagagli al neoliberismo dell’ultra-destra economica, in Francia si è levata la protesta sovranista di Marine Le Pen, votata però alla sconfitta per via delle tare xenofobe del suo Front National. A quel punto, l’élite “nera” ben rappresentata da personaggi come Attali ha fatto la sua mossa, lanciando l’erede di Sarkozy: Emmanuel Macron.Un enfant prodige venuto dal nulla, lo presentarono i giornali, per i quali “il nulla” può essere, eventualmente, anche la filiale bancaria francese della famiglia Rothschild. Corressero il tiro: Macron, scrissero, almeno sul piano politico è un self-made assoluto. Falso, anche questo: il suo maestro Attali è stato (ed è) uno degli uomini di potere più influenti d’Europa. Milita saldamente ai vertici della massoneria sovranazionale di stampo oligarchico, abilissima nell’infiltrare la sinistra europea traviandone i leader, dall’anziano Mitterrand all’allora giovane D’Alema. Banche e multinazionali, con un’unica cabina di regia per le grandi operazioni politiche: una su tutte, l’Unione Europea senza democrazia e la moneta europea senza sovranità. Da quella scuola – la più pericolosa, per l’Europa – proviene Emmanuel Macron: è l’ennesimo avatar del potere nero, insinuatosi nelle istituzioni per svuotarle ulteriormente di democrazia, sulla rotta della privatizzazione universale. Una teologia funesta e spacciata per verità di fede, insieme al dogma dell’austerity – tagliare la spesa pubblica per impoverire la classe media, moltiplicando i profitti stellari dell’élite anche grazie al dumping salariale garantito dai migranti, a loro volta costretti a fuggire dai paesi d’origine, saccheggiati sempre dalla medesima oligarchia.Sarebbe un errore madornale equiparare Macron alla Francia o, peggio ancora, ai francesi come popolo: il piccolo monarca per conto terzi, insediato all’Eliseo dalla peggior risma di parassiti in circolazione in Europa, ha ormai contro la maggioranza dei suoi connazionali. Lo contestano i sindacati, la sinistra di Mélenchon, il Fronte Nazionale della Le Pen. L’elettore medio – operaio, impiegato, agricoltore, imprenditore – ha capito che Emmanuel Macron non è l’uomo che sembrava essere: non sta dalla parte dei francesi, è manovrato da padroni potenti che non amano nessuno e detestano tutti – i francesi, gli italiani, i greci e ogni altra “plebaglia europea”, per citare l’ineffabile Attali. E’ questa, fin fondo, la buona notizia: i popoli stanno cominciando a capire con chi hanno davvero a che fare. E in questa spettacolare procedura di sofferta autocoscienza ha un ruolo di primissimo piano proprio il neonato governo italiano, antropologicamente diversissimo dai predecessori: per i padroni occulti di Macron dev’essere un film dell’orrore, l’inaudito spettacolo dei ministeri italiani occupati da grillini e leghisti. Ringhia, Macron, perché è il cane da guardia di un palazzo oscuro che adesso comincia ad avere paura del popolo. Insulta e minaccia, Macron, perché – come i suoi padroni – sa che i popoli di tutta Europa (cominciando da quello francese) guardano l’Italia che sfida Bruxelles, e prendono nota. Il tempo dei Macron potrebbe finire prima del previsto.La prima a capirlo è stata Angela Merkel, sveltissima a indossare i panni improbabilissimi dell’amicona dell’Italia, paese che il suo governo ha letteralmente azzoppato a colpi di rigore: la sola operazione Monti, decisa tra Berlino e Francoforte nei santuari supermassonici frequentati da ex italiani come Mario Draghi, è costata al nostro paese la perdita di 400 miliardi di Pil e del 25% del potenziale industriale del “made in Italy”. Rideva, Angela Merkel – insieme al suo compagno di merende Sarkozy – quando i media italiani colonizzati dallo straniero bombardavano a tappeto il lebbroso di turno, l’inguardabile Berlusconi. Oggi alla Merkel (e al suo nuovo sodale, Macron) è passata di colpo la voglia di ridere: finalmente, l’Italia li preoccupa. «L’Italia traccia le strade», disse il l’esoterista rosacrociano Rudolf Steiner, pensando al Rinascimento: una quasi-profezia ben nota ai massoni reazionari del massimo potere, quali Sarkozy, Merkel, Macron e compagnia complottante.La loro paura è che la strada tracciabile oggi dall’Italia gialloverde, vera e propria incognita politica, sia quella di un’Europa da rivoltare da cima a fondo, sfrattando dai loro troni gli usurpatori regnanti, i piccoli boss del nuovo, deprimente Sacro Romano Impero costruito con l’imbroglio, la frode finanziaria, la menzogna economistica, il crimine sociale dell’ordoliberismo mercantilista post-capitalistico e parassitario. Un regime occulto, a cui i governi fanno da paravento istituzionale. Un sistema autoritario e privatistico, sleale, scorretto e bugiardo, governato nell’ombra da élite che detestano il popolo, la democrazia e la plebaglia europea nel suo insieme, mezzo miliardo di straccioni e lebbrosi, a cui oggi l’Italia potrebbe tracciare una nuova strada, meno lorda di sangue greco e africano, di strazio italiano inferto dai tagli – senza anestesia – su lavoro e pensioni, sanità e scuola. Il consenso democratico di cui oggi godono Salvini e Di Maio, almeno il 60% degli elettori, l’ometto Macron se lo può solo sognare. Infatti gracchia, stizzito come un qualsiasi dittatore pericolante, i suoi insulti razzisti e xenofobi – un regalo illuminante, per chi ancora non aveva capito chi fosse, davvero, il micro-napoleonico Emmanuel Macron.La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia, insieme a una parte di Francia, disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano contro l’Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, insicurezza sociale, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?
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Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?
Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.«La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
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Lilli e i suoi fratelli, la guerra dei media contro il popolo bue
Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, come di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.A Salvini, in prima serata, “Lady Bilderberg” ha riservato tutte le domande tenute nel cassetto per anni, mai poste a nessuno in precedenza: ma più che le risposte del neo-ministro, a fare notizia era l’evidente dispetto dipinto sul volto dell’dell’ex anchorman del Tg2 craxiano, poi eletta europarlamentare dell’Ulivo prima di tornare, come se niente fosse, a fare “informazione”. Dietlinde Gruber, detta Lilli, di fronte al capo leghista ha sfoderato un piglio bellicoso da Watergate – ma Bob Woodward e Carl Bernstein, vincitori del Pulitzer, mai avrebbero accettato (per dignità professionale) di farsi arruolare ufficialmente tra le fila degli avversari politici di Nixon. E se proprio fossero stati invitati al Bilderberg, avrebbero messo in messo in piazza qualche notizia, intercettata tra quelle segrete stanze. La giornalista de La7 invece partecipa ai “caminetti” a porte chiuse, di cui non riferisce nulla ai suoi telespettatori, e poi – come se niente fosse – carica Salvini a testa bassa, ricordandogli che George Soros è in realtà un grand’uomo, un vero filantropo, essendo la sua Open Society dedita essenzialmente a opere di bene. Lui, Soros: il più celebre speculatore della storia, il più noto supermassone di potere, profeta delle rivoluzioni colorate e ispiratore di “home jobs” insanguinati come il golpe in Ucraina, coi cecchini sui tetti a sparare sulla polizia di Yanukovich per poi far ricadere la colpa sul governo, da abbattere con mezzi criminali.Dopo aver terremotato l’Africa, l’élite francese neoliberista e neocoloniale gioca allo scaricabarile e prova a colpire direttamente l’Italia, anche per distrarre un’opinione pubblica che, oltralpe, ha già perso la fiducia che aveva nell’oscuro, opaco Macron, sodale occulto dei peggiori Soros in circolazione? Niente paura: a reti unificate, le testate italiane – giornali che più nessuno legge – si schierano compatte col francese e contro l’italiano, scelgono il paese che sta cercando di sfrattare l’Italia dalla Libia e si avventano contro il ministro che ha avuto l’ardire di rimettere in discussione l’ipocrisia europea. Salvini fa politica: per la prima volta, un italiano riesce a spaccare in due la Germania e a dividere Berlino da Parigi. Ragione in più per trattarlo da nemico pubblico, in Italia. A malmenarlo, con inaudita violenza, è proprio la Gruber, che utilizza una scheda televisiva per dimostrare che la Francia ha accolto più rifugiati, rispetto all’Italia. Salvini però la smentisce all’istante: i dati esibiti a “Otto e mezzo” sono vecchi, risalgono al 2015. La verità, oggi, è ribaltata: l’Italia accoglie, la Francia non più. Dati ufficiali, del Viminale: una notizia, in teoria – ma non per Lilli Gruber e soci: a loro, le notizie sono l’ultima cosa che interessano, impegnati come sono nella loro rabbiosa crociata contro il popolo italiano e i mascalzoni che ha osato mandare al governo.Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, nemmeno fossero di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.
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Via 250 miliardi di debito: è questo a spaventare l’oligarchia
Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, cioè i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».Qualcuno – si domanda Conditi, presidente dell’associazione Moneta Positiva – ha provato a capire che cosa, all’interno di quel programma “gialloverde”, spaventa l’attuale sistema al punto da costringere il presidente della Repubblica a rischiare l’impeachment, facendo cadere sul nascere – con mossa platealmente irrituale, politicamente sconcertante – il primo governo voluto dalla maggioranza degli italiani? Conditi mette in fila una serie di indizi e segnali, sul clima che in Italia starebbe vorticosamente cambiando verso una progressiva presa di coscienza. Parla da solo il successo della trasmissione televisiva del 4 maggio su “Canale Italia”, in cui Conditi – insieme a Nino Galloni, Marco Mori, Giovanni Zibordi, Giovanni Lazzaretti e Paolo Tintori – ha spiegato, in prima serata, “come si creano i soldi”, ovvero «come lo Stato può e deve creare soldi e come il debito pubblico può essere cancellato». Il 23 maggio è Carlo Freccero, nel super-prudente salotto di Lilli Gruber su La7, a gelare la conduttrice e il suo sodale, Massimo Giannini, dichiarando con semplicità «due verità scomode e rivoluzionarie: che il debito può essere cancellato e che uno Stato sovrano non può fallire perchè può sempre stampare soldi». Reazioni: la Gruber preoccupata, Giannini imbarazzato.Poi la mossa inaudita di Mattarella il 27 maggio, il siluramento di Savona. L’indomani, Conditi è tornato negli studi di Canale Italia – con Vito Monaco, Marco Mori, Gianfranco Amato e il cantautore Povia. La sintesi: «Da oggi l’articolo 1 della Costituzione deve essere riscritto. L’Italia è una Repubblica non democratica fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla finanza che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari». La decisione di Mattarella? Inaccettabile. E carica di conseguenze: di fatto, ha esposto il Quirinale a una crisi inaudita. La scusa? Per le sue critiche all’euro, Savona spaventa i mercati finanziari: per questo, secondo Mattarella, sarebbero a rischio i risparmi degli italiani. Per Conditi, il vero motivo del devastante sabotaggio del governo Conte è un altro: «Il programma di governo del M5S e della Lega contiene secondo noi alcuni obiettivi che non sono ritenuti accettabili dal potere economico e finanziario che in Italia ha sempre condizionato le nostre scelte politiche degli ultimi 40 anni». Mattarella? «Non doveva e non poteva esercitare questa sua prerogativa, rifiutando un governo formato da partiti e movimenti regolarmente eletti, che hanno la maggioranza in Parlamento e hanno stipulato un accordo di governo addirittura votato e approvato dai cittadini». Lo stop a Conte imposto il 27 maggio resta «un atto grave e pericoloso per la democrazia».Attenzione, però: «Se sono stati costretti ad una mossa così ingenua come quella di non far nascere un governo che, per la prima volta da anni, è stato regolarmente votato e voluto dalla maggioranza dei cittadini italiani – aggiunge Conditi – significa che il vento del cambiamento sta finalmente spirando nella direzione giusta». Quel famoso “contratto”, «volente o nolente, ha davvero la capacità di incidere e realizzare un cambiamento reale in questo paese a vantaggio di tutti, e non solo dei soliti privilegiati: per questo motivo non lo vogliono». Cosa prevede, infatti? Un provvedimento di inaudita importanza: la cancellazione di 250 miliardi di euro di debito pubblico, titoli di Stato detenuti da Bankitalia. Non solo: c’è anche «la possibilità per lo Stato di stampare Minibot, cioè una moneta di Stato». Ancora: «La creazione di un sistema di banche pubbliche, una per gli investimenti ed un’altra per il credito». Tutto questo, per finziare «politiche economiche espansive al posto delle politiche di austerity». Per esempio: reddito di cittadinanza, pensioni dignitose e abattimento delle tasse. Anche una sola di queste ipotesi – sottolinea Conditi – farebbe «vedere i sorci verdi al potere economico e finanziario che ci ha ridotto in schiavitù». Sicché, «vederle tutte insieme deve aver fatto prendere un coccolone nei piani alti: sono soddisfazioni che non hanno prezzo».Pur tra mostruose difficoltà politiche, ben rappresentate dalla minaccia telecomandata dello spread e dall’inaudito boicottaggio del presidente della Repubblica (il primo nella storia a rifiutare un candidato ministro per motivi ideologico-politici), i 5 Stelle la Lega – secondo Fabio Conditi – hanno comunque «imboccato finalmente la strada giusta». In estrema sintesi: «Il 99% della popolazione più povera deve essere unito per combattere contro quell’1% che ci vuole schiavi del debito e rassegnati alla miseria». E’ un fatto: nonostante le posizioni inizialmente distanti, il “contratto” di governo è stato costruito con fatica e in modo trasparente. Conditi incoraggia grillini e leghisti: «Avete una squadra di governo, avete la maggioranza della popolazione che vi approva, avete contro il potere economico e finanziario mondiale: l’unico errore che potete fare è tornare indietro sui vostri passi». Lo spread? Neutralizzabile con una sola mossa, secondo Conditi: «Basterebbe emettere titoli di Stato a valenza fiscale, cioè utilizzabili alla scadenza anche per pagare le tasse: in questo modo non ci sarebbe più il rischio che lo Stato possa non rimborsarli e quindi sarebbero impossibili le manovre speculative al ribasso di questi giorni. Inoltre queste nuove emissioni sarebbero più “appetibili” per gli investitori perché meno rischiose».Questo per dire che i mercati – quelli veri – non coincidono esattamente con i ristretti gruppi del potere oligarchico europeo che manovrano lo spread come una clava. Al menù del riscatto, Conditi aggiunge anche il Sire, sistema di riduzione erariale. «Serve assolutamente un sistema di pagamenti alternativo a quello del sistema bancario italiano, dove circoli uno strumento monetario a valenza fiscale che non possa essere “bloccato” dalla Bce e dalla Commissione Europea». Esiste un modo, quindi, per respingere il rigore (che è interamente politico) senza neppure violare i trattati-capestro su cui si fonda il sistema Ue. Con il Sire, dice Conditi, «si possono tranquillamente finanziare – senza fare debito – sia il reddito di cittadinanza che soprattutto la Flat Tax. In pratica come succede alla Coop, paghi le tasse normali, ma te ne restituisco una parte in buoni-sconto per le tasse future». E vogliamo parlare della banca centrale italiana, presso cui Mattarella ha “spedito” il povero Conte? «E’ necessario che lo Stato riprenda il controllo totale di Bankitalia – chiosa Conditi – riacquistando le quote di partecipazione attualmente in mano alle istituzioni e banche private». Per il resto, avanti tutta: euro o non euro, si tratta di riconquistare la sovranità della moneta: «Sarà comunque di proprietà dei cittadini e libera dal debito».Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia parassitaria Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, facendoli acquistare dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».
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Imbrigliare Salvini: Mattarella e Di Maio sotto pressione Usa
«Può essere che nella storia scopriremo che tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare ci hanno fregato, ma io preferisco passare per una brava persona che per un furbo o per qualcuno che cerca di fregare la gente». Più che la storia, saranno banalmente le prossime ore a svelarlo. Questa dichiarazione di Luigi Di Maio – scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario” – sembra infatti fatta apposta per scaricare la colpa di un eventuale ritorno alle urne sul solo Salvini. «Una dichiarazione da furbo, insomma. E infatti dopo poco è seguita da un’altra». La buona riuscita della proposta di un nome alternativo a Paolo Savona, con l’economista sardo comunque nella squadra di governo, «non dipende da noi», dice Di Maio, ma dalla Lega. «Manovra di accerchiamento nei confronti di Salvini, insomma. Ed effettivamente la pressione sul capo della Lega è aumentata a dismisura nelle ultime ore». A quasi tre mesi dall’apertura della crisi, la nuova improvvisa apertura di Mattarella a Di Maio e Salvini dopo lo schiaffo istituzionale del 27 maggio, con il gran rifiuto di Savona all’economia e l’evocazione dell’impeachment, rivelerebbe il ruolo degli Usa dietro le quinte: se l’oligarchia Ue ha inizialmente posto il veto sul governo “gialloverde”, la Casa Bianca – secondo Fanna – avrebbe premuto sul Quirinale per far riaprire i giochi e portare Di Maio al governo, anche per meglio controllare Salvini.Mattarella, ricorda l’analista del “Sussidiario”, ha concesso 24 ore a Di Maio perché convinca Salvini ad aderire alla nuova proposta: possibile premier leghista (lo stesso Salvini o Giorgetti) ma con Savona non più all’economia, dicastero che andrebbe a un tecnico di area grillina – cioè: decide il Quirinale. «Questa linea – scrive Fanna – è stata imposta al Colle dagli americani, che non disdegnano un governo dei 5 Stelle e temono invece Salvini ed i suoi stravaganti rapporti in politica estera, ma ritengono altresì di poterlo condizionare meglio se nascerà un governo in cui per il momento sia ancora azionista di minoranza». Altro fattore: Carlo Calenda ed altri esponenti di area Pd premono per la nascita di un nuovo soggetto politico che si proponga come “fronte repubblicano”, in difesa dell’euro. «Un fronte antipopulista, che dovrebbe far convergere su quello che resta del Pd i voti degli euroimpauriti». Peccato, aggiunge Fanna, che questa logica faccia il paio con la teoria di Salvini sullo scontro tra élites e popolo: «Una contrapposizione fatta su misura per far stravincere i populisti pur di assicurarsi qualche strapuntino in più nel prossimo Parlamento».A Mattarella questo schema appare folle, rileva Fanna: mentre il Quirinale «si sforza di costituzionalizzare i 5 Stelle», i reduci del Pd pensano di superare lo schema destra-sinistra «come già auspicato dallo stesso Renzi in passato», illudendosi di far trionfare “il nuovo” in politica. «Ma questo nuovo sa di antico», scrive Fanna. «Il fronte costituzionale che non piace al canuto presidente della Repubblica sa tanto del Fronte popolare che si schiantò contro gli agili comitati civici democristiani del 1948. Meglio troncare, sopire e diluire la furia delle piazze giallo-verdi in un governo che duri un paio d’anni». E intanto la roulette post-elettorale italiana continua: «I bookmaker danno la nascita di un governo politico al 40 per cento delle possibilità. Salvini lo hanno cercato fino a notte tarda. Lui ha fatto il prezioso. Come Di Maio pensa di essere il solo ingenuo del Palazzo».«Può essere che nella storia scopriremo che tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare ci hanno fregato, ma io preferisco passare per una brava persona che per un furbo o per qualcuno che cerca di fregare la gente». Più che la storia, saranno banalmente le prossime ore a svelarlo. Questa dichiarazione di Luigi Di Maio – scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario” – sembra fatta apposta per scaricare la colpa di un eventuale ritorno alle urne sul solo Salvini. «Una dichiarazione da furbo, insomma. E infatti dopo poco è seguita da un’altra». La buona riuscita della proposta di un nome alternativo a Paolo Savona, con l’economista sardo comunque nella squadra di governo, «non dipende da noi», dice Di Maio, ma dalla Lega. «Manovra di accerchiamento nei confronti di Salvini, insomma. Ed effettivamente la pressione sul capo della Lega è aumentata a dismisura nelle ultime ore». A quasi tre mesi dall’apertura della crisi, la nuova improvvisa apertura di Mattarella a Di Maio e Salvini dopo lo schiaffo istituzionale del 27 maggio, con il gran rifiuto di Savona all’economia e l’evocazione dell’impeachment, rivelerebbe il ruolo degli Usa dietro le quinte: se l’oligarchia Ue ha inizialmente posto il veto sul governo “gialloverde”, la Casa Bianca – secondo Fanna – avrebbe premuto sul Quirinale per far riaprire i giochi e portare Di Maio al governo, anche per meglio controllare Salvini.
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Scanzi: governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella
Tutti in piedi, perché siamo già dritti dritti dentro la leggenda. E’ tutto bellissimo. Domenica, quando Re Sergio ha preso a pretesto il vecchio trombone Savona facendolo passare per un Bakunin scavezzacollo, la cosa più bella era vedere i renziani e gli annessi cortigiani che esultavano, ovviamente ignari di qualsivoglia competenza costituzionale e del tutto sconnessi da qualsiasi analisi politica minima: “Ha salvato il paese”, “Ha salvato la democrazia”. Come no. E magari ha pure salvato la buonanima di stocazzo. Per carità: l’impeachment proposto da M5S e Meloni è una buffonata, che oltretutto porta pure sfiga (chiedere a Occhetto, che poi si sfracellò nel ’94, e al M5S, che di lì a poco fu disintegrato alle Europee 2014). Quello di Mattarella non è un atto eversivo: molto più semplicemente, è una delle più grandi puttanate politiche nella storia della galassia. Leggo che ora sono in molti a voler votare il 29 luglio. Non solo M5S e Lega, ma pure Pd, magari quella quota anti-renziana (si fa per dire) che spera così di mondare le liste dal mosciume andrearomanico-renzista-migliorista. Ohibò: ricordo male o votare a luglio era esattamente ciò che più non voleva Mattarella?Domenica sera ho letto molti commenti, ora renzisti e ora sinistrorsisti, che dicevano: “Alè, abbiamo evitato Salvini agli Interni! #iostoconmattarella”. Bravi: non avrete Salvini al Viminale, ma lo avrete come Presidente del Consiglio. Son soddisfazioni. Intanto lo spread cresce ancora (ma non era colpa del Salvimaio?), Cottarelli ha la grinta di Orfini in ciabatte e Renzi ha ricominciato a parlare da solo su Facebook, dispensando le consuete battute da Panariello irrisolto. C’è poi Gunther Oettinger, Commissario Ue al Bilancio, che dichiara: “Mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti”. Giusto per ricordarci che votiamo in Italia, ma decidono in Germania. Non male anche la grande pensata dei sinistrorsi, in prima fila Boldrini e D’Alema, antichi sfollatori di consensi, che esortano a unirsi a tutti (anche e soprattutto con Renzi) per difendere Mattarella (che Renzi sfanculava fino a ieri poiché colpevole di non averci fatto votare “in una delle finestre del 2017”) e “per arginare la deriva sovranista”, come fosse Antani e con tapioca prematurata. La poraccitudine imperversa e sciaborda con sicumera crassa.Con il suo gesto costituzionalmente spericolato (lo dicono Onida e Villone, non proprio grillo-leghisti) e politicamente folle, il rutilante Mattarella ha regalato il paese proprio a chi detesta di più. Cioè i populisti. A partire dalla Lega. Che infatti, a giudicare dai sondaggi, è già a un passo dal 30% (a marzo non arrivava al 18). Dopo il voto Salvini potrà scegliere: o governare (con ruolo dominante) con M5S, realizzando un governo ancora più forte – e quindi più detestabile dai mattarellisti – del governicchio Conte. Oppure, ed è l’ipotesi più probabile, sarà il dux indiscusso di un governo di centrodestra con Berlusconi ridotto a vassallo, ma comunque ben presente. Un capolavoro di cui dovremo ringraziare il Capo dello Stato, fenomeno vero e idolo imperituro delle galassie. Daje.(Andrea Scanzi, “Governo, il suicidio perfetto del mitologico Mattarella”, dal “Fatto Quotidiano” del 29 maggio 2018).Tutti in piedi, perché siamo già dritti dritti dentro la leggenda. E’ tutto bellissimo. Domenica, quando Re Sergio ha preso a pretesto il vecchio trombone Savona facendolo passare per un Bakunin scavezzacollo, la cosa più bella era vedere i renziani e gli annessi cortigiani che esultavano, ovviamente ignari di qualsivoglia competenza costituzionale e del tutto sconnessi da qualsiasi analisi politica minima: “Ha salvato il paese”, “Ha salvato la democrazia”. Come no. E magari ha pure salvato la buonanima di stocazzo. Per carità: l’impeachment proposto da M5S e Meloni è una buffonata, che oltretutto porta pure sfiga (chiedere a Occhetto, che poi si sfracellò nel ’94, e al M5S, che di lì a poco fu disintegrato alle Europee 2014). Quello di Mattarella non è un atto eversivo: molto più semplicemente, è una delle più grandi puttanate politiche nella storia della galassia. Leggo che ora sono in molti a voler votare il 29 luglio. Non solo M5S e Lega, ma pure Pd, magari quella quota anti-renziana (si fa per dire) che spera così di mondare le liste dal mosciume andrearomanico-renzista-migliorista. Ohibò: ricordo male o votare a luglio era esattamente ciò che più non voleva Mattarella?