Archivio del Tag ‘intelligenza artificiale’
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Big Pharma democratica? Forse non tutto è in sfacelo
Voglio essere breve ma istruttivo. Tempo fa scrissi un articolo dove dimostravo che oggi il pensiero più avanzato sulla tutela del lavoro non sta nelle putrefatte puttane grandi sigle sindacali, ma sta nei cervelli delle aziende di Silicon Valley o addirittura nei cervelli di Goldman Sachs. Il segnale inequivocabile è che il Vero Potere ha due facce. Quella nota, di poco differente da Satana, o da un barracuda sifilitico, o da un pitbull con la rabbia; e un’altra faccia che incredibilmente coesiste con quanto detto prima, cioè intelligenze veramente progressiste, avanzatissime anche nei regni dei… diritti. Yes, è così. Quindi per uno come me, che iniziò il precipizio della sua carriera di affermato reporter nazionale proprio producendo un’inchiesta Rai sul conflitto d’interessi fra medici e giganti del farmaco (Big Pharma), è oggi di sollievo leggere ciò che i dottori Michael Rosenblatt e Sachin Jain hanno pubblicato pochi giorni fa per la Harvard Univesity. Chi sono? Sono due baroni della medicina sia pubblica che privata americana, entrambi ex dirigenti di punta del colosso del farmaco Merck ma anche universitari, quindi profondi conoscitori del… conflitto d’interessi tra profitto di Big Pharma e medici, sia pubblici che privati.Non ripeto qui la loro analisi, ma io conosco molto bene la materia e vi garantisco che questi due baroni hanno non solo ammesso sulle pagine di Harvard ogni singolo angolo dello scandaloso conflitto d’interessi fra Big Pharma, professori universitari ricercatori, primari e medici di famiglia (inclusa l’insidiosa pratica della pubblicazione scientifica per far carriera negli atenei, che non coinvolge soldi ma ‘spintoni’ dai raccomandatori privati), ma hanno anche proposto le basi per una legislazione in materia che abbia senso pratico e morale. Il senso morale è scontato, inutile qui ri-raccontarlo. In molti Stati Usa oggi se un medico (letteralmente) prende un caffè con un informatore farmaceutico, è tenuto a denunciare il fatto a un comitato apposito, se no rischia l’espulsione dall’albo alla denuncia di un passante. Le vie per raggirare ci sono, ovvio, ma questo controllo esiste in Italia? No.Il senso pratico, qui, è essenziale. Oggi il mercato è ovunque, è come l’ossigeno sul pianeta Terra, s’infiltra ovunque. L’utopia di una sanità di puro investimento pubblico è fuffa. Il problema è allora, Michael Rosenblatt e Sachin Jain sostengono, sfruttare l’immenso potenziale di ricerca finanziata dalla Stato (di fatto per 50 anni il vero partoriente di tutta la tecnologia che conosciamo) assieme all’immenso potenziale di ricerca di Big Pharma. Ciò va fatto con regolamentazioni che, dicono i due esperti, «non vadano a strangolare alla cieca i contatti fra Big Pharma e medici, ma che incoraggino più la dichiarazione pubblica di un potenziale conflitto d’interessi nascente, che il conflitto stesso». Tradotto: quando un brillante ricercatore medico pubblico fa una scoperta essenziale per la salute di tutti, più che chiuderlo in una gabbia pubblica dalla quale non potrà mai comunicare con Big Pharma, si deve per prima cosa annunciare che un conflitto d’interessi ne può nascere, e poi sedersi al tavolo di ministero della sanità e Big Pharma e discutere come i privati possono aiutare lo Stato a maturare quella grande scoperta senza sfruttare o corrompere nessuno. Meno che meno sfruttare gli ammalati. E viceversa, la stessa cosa quando Big Pharma scopre una cura salvavita. Al tavolo col ministero… prima di tutto.Che questi concetti escano dagli americani, da due ex pezzi grossissimi della Merck, è un risultato immenso, insperato, dà un senso di micro-speranza, come quando appunto Paolo Barnard è l’unico in Italia ad accorgersi che il welfare del futuro dei salariati è in mano ai cervelli della Artificial Intelligence, non ai fossili della Cgil e soci. Loro, i cervelli A.I. hanno le vere idee e le condividono pubblicamente. Ministro del lavoro, fatti avanti (non tu cazzaro, in It). Bè, come posso concludere questa nota, se non con due cose. Voi che vivete nel web gettate al cesso i webeti della serie “Il mondo è diviso fra la cupola satanica dei Rothschild privati, e i buoni”, guardate dentro il Vero Potere, e ci troverete delle sorprese eccezionali. Secondo… bè, think.(Paolo Barnard, “Forse non tutto è in sfacelo – lasciamo perdere l’It”, dal blog di Barnard dell’11 giugno 2017).Voglio essere breve ma istruttivo. Tempo fa scrissi un articolo dove dimostravo che oggi il pensiero più avanzato sulla tutela del lavoro non sta nelle putrefatte puttane grandi sigle sindacali, ma sta nei cervelli delle aziende di Silicon Valley o addirittura nei cervelli di Goldman Sachs. Il segnale inequivocabile è che il Vero Potere ha due facce. Quella nota, di poco differente da Satana, o da un barracuda sifilitico, o da un pitbull con la rabbia; e un’altra faccia che incredibilmente coesiste con quanto detto prima, cioè intelligenze veramente progressiste, avanzatissime anche nei regni dei… diritti. Yes, è così. Quindi per uno come me, che iniziò il precipizio della sua carriera di affermato reporter nazionale proprio producendo un’inchiesta Rai sul conflitto d’interessi fra medici e giganti del farmaco (Big Pharma), è oggi di sollievo leggere ciò che i dottori Michael Rosenblatt e Sachin Jain hanno pubblicato pochi giorni fa per la Harvard Univesity. Chi sono? Sono due baroni della medicina sia pubblica che privata americana, entrambi ex dirigenti di punta del colosso del farmaco Merck ma anche universitari, quindi profondi conoscitori del… conflitto d’interessi tra profitto di Big Pharma e medici, sia pubblici che privati.
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I padroni del mondo sono già su Giove, e ci faranno a pezzi
Loro sono già su Giove e vi faranno a pezzi. Sto girando l’Italia per presentare il film “Piigs” che racconta al pubblico delle famiglie italiane cosa veramente è la Ue, quanto male ci fa la Moneta Unica euro, cioè la catastrofe che ‘sta moneta ha portato soprattutto all’Italia. E intanto io so cose che mi fanno sentire così: come uno che sta girando l’Italia nel maggio 2017 per raccontare al popolo di mettersi in guardia contro Napoleone e i suoi fucili a baionetta. Cioè mi sento costretto a insegnare alla gente roba ottocentesca, mentre io so che vivo nel terzo millennio di cervelli micidiali che già ora stanno letteralmente cambiando la faccia del pianeta in un modo che i vostri figli e i figli dei figli non sapranno neppure riconoscere. Altro che Eurozona. Poi guardo l’Italia, ferma più o meno al 1200 Dc, ascolto i nostri leader industriali – perché ascoltare i politici è come chiedere una consulenza industriale a un petto di pollo – e mi rendo conto che altrove sono già atterrati su Giove e da lassù ci faranno a pezzi. Ora io vi chiedo di leggere in modo totalmente passivo le righe che seguono; non cercate di capirle, solo confrontatele con quello che vi dicono i media e i politici, e i grillini, e i leader economici in Italia. E sappiate che più vi sembreranno incomprensibili, fuori dalla vostra vita come un meteorite attorno a Saturno, più avrete colto cosa voglio dirvi. Faranno a pezzi il mondo dei vostri figli.“Siamo all’inizio della Quarta Rivoluzione Industriale. Ogni singolo settore economico del pianeta è ora digitalizzato. Manca poco a che ogni singola azienda del pianeta lo sarà. Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori”. “E’ quello che ha fatto Jeff Bezos, che ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon”. “Stiamo studiando quali possono essere gli stati di equilibrio nei comparti industriali, vogliamo una lente attraverso cui guardare la omeostasi produttiva. Vogliamo capire quali elementi nel business aiutano l’equilibrio e quali invece si posso scartare. Questo stato di equilibrio è però amplificato oggi dalle nuove tecnologie, come Artificial Intelligence, robotizzazione e Sviluppo Cognitivo uomo-Ai”. “Per esempio: tradizionalmente il manager dell’industria dell’auto vive e produce in una fetta del mercato e tende a non occuparsi di molto al di fuori di essa. Ma l’equilibrio della sua fetta è garantito invece da altre industrie, dal sistema assicurativo, dalla gara per i software, ecc. E questo manager dell’auto oggi non li controlla, e allora stiamo studiando come egli può diventare invece parte di questo ecosistema di omeostasi sia degli assets che del prodotto, inclusi anche i dipendenti, digitalizzando l’equilibrio stesso”.“C’è questa cosa chiamata Strumento per Pianificare l’Offerta, dove mettiamo a confronto l’offerta di qualsiasi cosa con la richiesta, anche per minime cose come una stanza in affitto o un servizio taxi. Finora abbiamo avuto, con i software disponibili, una miriade di aziende impegnate in questo, ma i nuovi software ci daranno la stessa realtà capitata con Jeff Bezos, cioè moriranno i piccoli Re e ci saranno pochi Imperatori che possiedono immense Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel Pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme, e noi guardiamo oggi agli agganci ed equilibri possibili”. “E allora qui noi vogliamo i Pensatori Critici. Sono fondamentali. Quindi quando tu fai business devi oggi cercarti i migliori Pensatori Critici per valutare le Piattaforme, e non il prodotto come si faceva prima. E chi vince in questa gara di pensiero critico sulle piattaforme, finisce per catturare un intero mercato per decenni, non come oggi che un’azienda può dominare di anno in anno, o addirittura per un solo quadrimestre.”“Alla fine questa è l’era della digitalizzazione e tutta la gara sarà fra chi saprà fare i migliori codici. Noi siamo a caccia di talenti in codes-making, sono tutto per il business, dalla finanza al cibo. Cioè usare i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede”. “Nel 2010 circa, la General Electric (il colosso tech-industriale più grande del mondo, nda) ha iniziato a cercare di estrarre valore dalle analisi dei nostri assets industriali, analisi che potevamo poi impiegare nei nostri contratti di servizi perché capimmo che la tecnologia digitale stava andando in quella direzione”. “Oggi abbiamo un internet per consumatori, tipo Google e Facebook, poi c’è un internet per le imprese tipo Microsoft. Ma ora abbiamo bisogno di un internet Grande-Industriale che ci permetterà di raccogliere i dati analitici per aumentare la produttività. La domanda più importante oggi è: chi sarà il primo a fare questo tipo di Rete? Sarà una Corporation che parte dai suoi assets e va in alto? O Microsoft, o un ragazzino in un garage e un pc? Ma ok, quello che importa è sviluppare la capacità di mettere assieme le caratteristiche di un prodotto con i dati analitici per aumentare produttività. Questo davvero conta.”Ora eccomi da voi, lettori e lettrici. Cosa credete che sia l’Eurozona confronto a ciò che sti Signori della Guerra stanno preparando per il mondo? Italietta della Raggi o Della Valle inclusa? La cosa che, devo ammettere, mi affascina, è osservare il loro volto mentre parlano di questa umanità ridipinta dal pianeta Giove, ma che poveretta sta anche a Livorno o a Treviso e che devasterà i vostri figli e i figli dei figli. I loro sono volti umani, non mostruosi, ma sempre hanno occhi come diamanti. (Tratto da una conversazione privata fra Lloyd Blankfein, Ceo di Goldman Sachs, Robert Smith, guru di Vista Equity Partners, e Jeff Immelt, Ceo di General Electric, cioè la tua vita).(Paolo Barnard, “Voi ascoltate Della Valle; altrove sono già su Giove, e vi faranno a pezzi”, dal blog di Barnard del 20 maggio 2017).Loro sono già su Giove e vi faranno a pezzi. Sto girando l’Italia per presentare il film “Piigs” che racconta al pubblico delle famiglie italiane cosa veramente è la Ue, quanto male ci fa la Moneta Unica euro, cioè la catastrofe che ‘sta moneta ha portato soprattutto all’Italia. E intanto io so cose che mi fanno sentire così: come uno che sta girando l’Italia nel maggio 2017 per raccontare al popolo di mettersi in guardia contro Napoleone e i suoi fucili a baionetta. Cioè mi sento costretto a insegnare alla gente roba ottocentesca, mentre io so che vivo nel terzo millennio di cervelli micidiali che già ora stanno letteralmente cambiando la faccia del pianeta in un modo che i vostri figli e i figli dei figli non sapranno neppure riconoscere. Altro che Eurozona. Poi guardo l’Italia, ferma più o meno al 1200 Dc, ascolto i nostri leader industriali – perché ascoltare i politici è come chiedere una consulenza industriale a un petto di pollo – e mi rendo conto che altrove sono già atterrati su Giove e da lassù ci faranno a pezzi. Ora io vi chiedo di leggere in modo totalmente passivo le righe che seguono; non cercate di capirle, solo confrontatele con quello che vi dicono i media e i politici, e i grillini, e i leader economici in Italia. E sappiate che più vi sembreranno incomprensibili, fuori dalla vostra vita come un meteorite attorno a Saturno, più avrete colto cosa voglio dirvi. Faranno a pezzi il mondo dei vostri figli.
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Goldman Sachs: salvare i lavoratori, il futuro sarà dei robot
Di certo le immense innovazioni tecnologiche beneficeranno l’umanità nel futuro distante, ma nel breve-medio termine esse pongono problemi di occupazione molto gravi. E’ ovvio che per i disoccupati da New Technology non v’è nessuna consolazione se pensano a un futuro spaziale. Il problema è che non sarà colpa dei politici se l’innovazione, l’automazione e l’outsourcing colpiranno schiere d’impiegati e operai. E’ un fatto immutabile che i ruoli d’impiego rimasti (pochi) saranno tutti concentrati nel coordinamento, organizzazione e supervisione dei software, dei robots e dei Cobots che faranno il lavoro reale. Non v’è dubbio che gli investimenti odierni nelle nuove tecnologia distruggeranno milioni di posti di lavoro. Possiamo marginalmente consolarci immaginando di ridirigere masse di lavoratori in quelle mansioni dove ancora fra 50 o 100 anni i software non saranno arrivati. Tuttavia questo è assai insufficiente. Il problema, per milioni di umani, sarà – chiaro e tondo – che i lavori di consolazione che gli saranno offerti non saranno graditi, né appetibili, né possibili.Allora, l’unica scappatoia in questo futuro totalmente inevitabile sarà un nuovo approccio alla “condivisione del rischio”, là dove dovrà essere chiesto al Capitale di condividere, di assorbire parte delle perdite necessarie a mantenere gli umani al lavoro. Intendiamo sacrifici del Capitale per la ri-formazione del personale affinché imparino capacità sociali mai conosciute, ma non per questo indigeribili; ci vorranno incentivi statali per la formazione nei lavori dedicati ai servizi umani delle corporations; dovranno essere richieste strutture finanziarie innovative che sappiano vedere una remunerazione nell’investimento sulle risorse umane piuttosto che robotiche; dovranno essere abbassate le barriere per accedere a certe professioni non sostituibili dall’automazione; ma soprattutto finanze e crediti ampiamente disponibili nella creazione di piccole aziende, che per forza necessitano di impiegati umani e non di incredibilmente dispendiose automazioni di Ai (intelligenza artificiale) o robots; infine incentivi alla nascita dell’azienda individuale nel settore dei servizi umani.(Goldman Sachs, recente report della più famigerata banca d’affari del mondo, ripreso in estratto da Paolo Barnard nel suo blog il 10 aprile 2017, sotto il titolo, sarcastico, “Finalmente un sindacato che sa vedere nel futuro e proteggere tuo figlio”. Il “sindacato” sarebbe la Goldman, chiamata anche “Vampire Squid”, il calamaro-vampiro, avendo ideato titoli tossici e gestito manipolazioni dei governi di mezzo mondo. Eppure oggi sembrano «gente seria, dalla parte dei lavoratori», se paragonati a Cgil, Cisl e Uil, sempre più inutili. A differenza dei sindacati, secondo Barnard, proprio Goldman Sachs «sa come affrontare il terzo millennio della fine della metalmeccanica, della fine delle braccia lavoranti in fabbriche, nei campi, e persino dei cervelli ai piani più alti delle aziende: tutti rimpiazzati fra poco da Artificial Intelligence, Drones, Robots e Cobots». La Camusso e soci? Lasciamo perdere: «Il dialogo occupazionale del futuro», sostiene Barnard, «è coi cervelli pensanti del Vero Potere, nel comune interesse che oggi anche loro stanno gradualmente capendo»).Di certo le immense innovazioni tecnologiche beneficeranno l’umanità nel futuro distante, ma nel breve-medio termine esse pongono problemi di occupazione molto gravi. E’ ovvio che per i disoccupati da New Technology non v’è nessuna consolazione se pensano a un futuro spaziale. Il problema è che non sarà colpa dei politici se l’innovazione, l’automazione e l’outsourcing colpiranno schiere d’impiegati e operai. E’ un fatto immutabile che i ruoli d’impiego rimasti (pochi) saranno tutti concentrati nel coordinamento, organizzazione e supervisione dei software, dei robots e dei Cobots che faranno il lavoro reale. Non v’è dubbio che gli investimenti odierni nelle nuove tecnologia distruggeranno milioni di posti di lavoro. Possiamo marginalmente consolarci immaginando di ridirigere masse di lavoratori in quelle mansioni dove ancora fra 50 o 100 anni i software non saranno arrivati. Tuttavia questo è assai insufficiente. Il problema, per milioni di umani, sarà – chiaro e tondo – che i lavori di consolazione che gli saranno offerti non saranno graditi, né appetibili, né possibili.
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Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini
Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.Insieme a Mark Blaxill, padre di una bambina autistica, Dan Olmsted «ha investigato a lungo le cause dell’autismo, rintracciandone la storia ed il costante rapporto con l’esposizione al mercurio», scrive Lorenzi su “Come Don Chisciotte”. Il reporter ha indagato sulla recente epidemia «sovrapponibile all’intensificazione del calendario vaccinale», passando per l’anomalia degli Amish, che rifiutano i vaccini e sono immuni da “effetti collaterali”. Olmsted ha denunciato la “iatrogenicità” di alcuni vaccini, «opponendosi al dogma della teoria genetica e del fatalismo con cui si devono confrontare i genitori dei bambini che ricevono diagnosi di autismo». Per Emanuela Lorenzi, «il tabù dell’eziologia porta in sé l’altro tabù: la guarigione: non si può “guarire” dall’autismo, perché questo proverebbe che non si tratta di una malattia genetica bensì di una malattia causata dall’uomo». A partire dal 2005, Olmsted «aveva indagato attentamente il legame fra autismo e vaccinazioni», fondando “Age of Autism”.In pratica, Olmsted «affermava senza mezzi termini quello che la letteratura scientifica seria (e i pensatori critici i cui neuroni non sono stati ancora totalmente demielinizzati dai vapori di mercurio) sostiene da tempo». E cioè che «con l’intento (apparente) di spazzare via ogni possibile infezione dal pianeta, il paradigma vaccinale ha causato assalti immunitari da iperstimolazione», oltre che «da introduzione di tossine come il mercurio», ma anche «alluminio, arsenico, squalene, formaldeide, polisorbato 80, neomicina, proteine e virus eterologi», nonché «materiale genetico da tessuti di pollo, vacca, cane, scimmia, coniglio, cellule di feti abortiti e virus a Dna ricombinante, endotossine batteriche, glutammato, nanoparticelle». Tutti elementi «che hanno slatentizzato malattie croniche nei nostri bambini, fra le quali l’autismo è solo la più nota», perché poi bisogna considerare «asma, Add, Adhd, diabete giovanile, malattie autoimmuni e molte altre». Il mercurio, osserva Lorenzi, è la sostanza più tossica del pianeta, seconda solo al plutonio: «E mai come per questo veleno è inapplicabile il motto paracelsiano sulla dose: il mercurio (ancora presente nei vaccini in tracce benché non sia obbligatorio riportarlo nel bugiardino) è tossico in quantità sub-micro e nano-molecolari».La quantità di mercurio contenuta nei vaccini antinfluenzali, «incredibilmente raccomandata a neonati e donne in gravidanza (ed inoculata per via parenterale, mentre si sconsiglia agli stessi soggetti di consumare pesci di grossa taglia perché contenenti molto mercurio», bell’esempio di «schizofrenia istituzionale»), secondo Emanuela Lorenzi «è tale da causare danni irreparabili nel sistema immunitario di un feto». E il metilmercurio, forma organica derivata dalla “metilazione” del mercurio inorganico, è infinitamente più tossico. «Olmsted fa anche un cenno alla tossicità delle amalgame dentali che, pur avendo alla base mercurio inorganico, diventano molto pericolose emanando vapori di mercurio già a temperatura corporea», peggio ancora «se sottoposte al calore di una bevanda, allo spazzolamento, alla semplice masticazione, per non parlare del trapanamento del dentista». La morte di Olmsted, «le cui cause non sono state rese note ma il cui tempismo è davvero sospetto», suona come «un duro colpo alla ricerca della verità sull’“era dell’autismo”». Secondo la Lorenzi, «è singolare che si sia verificata proprio mentre “The Age of Autism” denunciava la censura del primo, innovativo e lungamente atteso studio sottoposto a “peer review” che confrontava la salute di vaccinati versus non vaccinati, ritirato a novembre proprio poco prima della pubblicazione».Fra gli scienziati indipendenti non coinvolti nello studio, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice “senior” del laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del Mit, ha dichiarato: «I risultati sono allarmanti, e ci obbligano a mettere seriamente in dubbio che i benefici dei vaccini prevalgano sui rischi». Su “HealthCare”, il 22 febbraio, il giornalista James Grundvig scrive: perché i centri di controllo e prevenzione non hanno mai finanziato uno studio del genere? L’agenzia sanitaria ha evitato di farlo di proposito? «Sembra che sia così», conclude Grundvig, «poiché andava contro il messaggio dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) che recita che “i vaccini sono tutti sicuri”». Alcune scoperte dello studio sono illuminanti, come l’incidenza sproporzionata di disturbi cronici nei bambini con differenziazioni etniche, di genere e classe sociale, in modi che né gli autori né i finanziatori dello studio immaginavano. «In sintesi: vaccinazione, razza nera e sesso maschile erano significativamente associati alle patologie del neurosviluppo (Ndd) dopo aver tenuto conto di altri fattori. La nascita pre-termine combinata con la vaccinazione costituiva un forte fattore per lo sviluppo di Ndd nel modello finale, con un aumento pari a più del doppio di probabilità di Ndd rispetto alla sola vaccinazione».Lo studio, in effetti, non è mai stato ritirato: è stato “non accettato”. «Cosa resta di uno studio dopo che è stato accettato, visionato dalla comunità scientifica 80.000 volte in meno di 100 ore? La censura», scrive Lorenzi, che aggiunge: «Forse non è il caso di tirare fuori la Cia. Forse anche Big Pharma piangerà questa morte». Attenzione: nella sua recente lettera a Trump del 7 febbraio, la American Academy of Pediatrics, «un’organizzazione sindacale che non è certo immune da conflitti di interesse», protestando contro la costituzione di una Commissione per la sicurezza vaccinale e adducendo una serie di studi che ne proverebbero l’inutilità, ha «dimenticato di annoverare una cinquantina di studi che gettano quantomeno un’ombra equivoca sull’ “inequivocabile sostegno” espresso nei confronti della sicurezza dei vaccini». Gli studi dell’associazione pediatrica «sono pieni di conflitti di interesse, inesattezze e persino scandali». Uno dei redattori «ha dichiarato di avere, con i colleghi, gettato via dei dati commettendo frode scientifica».Il dottor William Thompson se ne scusa: «Sono dispiaciuto che i miei colleghi ed io abbiamo omesso informazioni statisticamente rilevanti nel nostro articolo del 2004 pubblicato sulla rivista “Pediatrics”». I dati omessi, continua Thompson, «suggeriscono che i maschi afroamericani che hanno ricevuto il vaccino Mpr prima dei 36 mesi di età hanno riportato un aumentato rischio di autismo. Sono state prese decisioni in merito a quali scoperte riportare dopo la raccolta dei dati, ed io credo che il protocollo finale dello studio non sia stato nemmeno seguito». Un altro redattore, Poul Thorsen, che Emanuela Lorenzi definisce «un criminale ricercato», è accusato di «aver sottratto fondi ai Cdc», i centri di prevenzione e cura. Questo studio, scrive la “Vaccines Safety Commission”, «mostra inequivocabilmente che alcuni vaccini causano vari tic, una condizione neurologica devastante». Informazione «ad ulteriore sostegno di una Commissione per la sicurezza vaccinale».Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.
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Vietato amare: così Ray Dalio metterà fine all’umanità
Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.Racconta Barnard, straordinario giornalista investigativo: «Lessi in un luogo oscuro una dichiarazione di Ray Dalio che parlava dell’amigdala, cioè della minuta porzione del cervello umano che si pensa gestisca le emozioni. E Dalio ne parlava, a lungo, nel corso di quella che invece doveva essere una nota sui mercati per gli investitori». Warning: «Ma che razza di viaggio lisergico è il gestore dell’Hedge Fund più miliardario del pianeta che invece di parlare agli investitori di spread, tassi, Bull Markets, trends, meccanismi di trasmissione monetaria o Credit Defaults, parla di amigdala cerebrale?». Cliccando sul sito di Bridgewater, si scopre che «lì dentro sta succedendo qualcosa d’indicibile, ma indicibilmente orrendo», perché «spazzerà via tutto ciò che dal 18esimo secolo si è aggregato attorno alla parola lavoro – tutto: leggi, filosofie, diritti, organizzazioni». Ray Dalio? «E’ l’esatto contrario dei suoi omologhi, cioè dei Blankfein, Soros, Fink, Mustier, Cuccia, Agnelli, che, com’è noto, passano o passarono la vita a “giocare a Dio”. Dalio passa la sua vita nella convinzione di essere talmente fallato, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei suoi errori e dei suoi autoinganni potrà portare lui ad essere una Macchina infallibile, e Bridgewater al successo eterno».E infatti, continua Barnard, «Dalio aspira a morire nella carne solo dopo che la sua mente sarà stata trasformata in una Macchina, in una Machine, ma proprio alla lettera, perché Ray sostiene, ripeto, che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione degli errori e degli autoinganni, e quindi solo eliminando le falle umane di cui lui e noi tutti siamo zeppi per causa dell’amigdala emotiva, cioè divenendo Machines, si ottiene l’efficiente vittoria perpetua nella competizione». Ma attenti: Dalio non prepara solo la sua mutazione in Machine, ma la mutazione in Machines di chiunque respiri e lavori, e lavorerà. E non solo a Bridgewater. «Dovrà essere trasformato, e per prima cosa non deve avere l’amigdala delle emozioni». Sicché Dalio «non solo prepara, ma ha già pronto tutto il progetto di trasformazione». E qui sta il fatto agghiacciante: «Il mondo che conta, dalla Fiat Chrysler alla General Motors, dalla Sony Corp. alla Carrefour, dall’Eni a Google, da Goldman Sachs a Banca Intesa, lo stanno guardando e… hanno capito. Hanno capito che l’apocalittico disegno di Ray Dalio è un “Money Winner”, cioè vince nella gara dei soldi, e va copiato. Sarà copiato alla stessa velocità con cui si sparge un incendio dopo un anno di siccità».Il virus-Dalio «colerà a pioggia dai colossi dell’impiego ai gruppi minori fino all’azienda nostrana», e quindi «segnerà nella storia dell’umanità la fine del mondo del lavoro così come lo conosciamo, incenerendone ogni diritto o umanità rimasti. E vincerà anche perché il modello Ray Dalio-Bridgewater frantuma la storia del lavoro umano senza violare un singolo diritto sindacale, una singola legge, una singola Costituzione». A chi scrollerà il capo con scetticismo, Barnard ricorda nel 1946, «l’epoca delle radio gracchianti e dei telefoni a rotella», un uomo di nome George Orwell predisse che l’umanità fosse spiata da un Grande Fratello in ogni sua mossa. «Settant’anni dopo Edward Snowden rivelò al mondo che il Grande Fratello Nsa esisteva davvero». E come ci è arrivato, Ray Dalio, a concepire un mondo in cui si possa morire nella carne solo dopo essere diventati «Macchina che aggrega, lima ed elimina i suoi errori e i suoi autoinganni, senza Amigdale emotive di mezzo», anche a costo di perdere per strada i “deboli” come James Comey, ora capo dell’Fbi?La home page di Bridgewater, «che è un mostro di mercati, derivati, profitti, speculazioni mondiali sulle Borse e clienti colossali», è piena di foglie, alberi, magliette, jeans, ragazzi in riunioni rilassate, sorrisi. «Sembra la home di una clinica di psicoterapia, di un famoso centro di riabilitazione psicologica per giovani alcolisti, o tossicodipendenti, o problematici, o emotivamente instabili. Una clinica nel verde sereno. Cosa significa?». Questo, continua Barnard, non è affatto il solito “spin” (bluff) all’americana”. «La risposta è di una facilità sbalorditiva: Bridgewater lo è davvero una clinica, Ray Dalio più che sul denaro oggi lavora sulla psiche, e lì si è sviluppato quello che di certo è il più agghiacciante progetto di robotizzazione della personalità del dipendente nella storia dell’umanità». Oggi, Dalio «non può ancora ordinare al genere umano una modifica del codice Dna che elimini dai cervelli dei feti l’amigdala delle emozioni», ma può già «spegnerla con la sua filosofia applicata», che trasforma l’essere umano in Machine da lavoro. Lo ripete fino all’ossessione: «I cervelli umani sono macchine. Il mondo è una macchina. L’economia è una macchina. Se nutriamo queste macchine con un’immensa mole di dati, se eliminiamo l’emotività che porta a scelte irrazionali in politica ed economia, queste macchine non sbaglieranno quasi più».Questo che appare come un incubo per il futuro di qualsiasi dipendente, osserva Barnard, «sarà adottato alla velocità di un’epidemia da tutti i maggiori datori di lavoro del mondo, e a cascata anche dai medi e dai piccoli, perché è un incredibile “money winner”: credete che John Elkann non lo abbia già assorbito?». Ray Dalio, aggiunge Barnard, ripete ossessivamente i suoi tre mantra supremi: trasparenza, verità radicale, relazioni intense. «Sono tre punture di cianuro studiate con abilità che definire maligna è riduttivo». Ogni componente del pianeta va ridotto a Machine, e la Machine vince, «perché l’accumulo di dati incrociati e analizzati la rende invincibile, dice Ray». L’amigdala del cervello umano, però, mette i bastoni fra le ruote con l’emotività, che “personalizza” i dipendenti. «Essi allora, continua il Credo-Dalio, vanno totalmente spersonalizzati». In che modo? «Si usano pifferai magici che formulino parole e pratiche che incantano: Ray Dalio ne è il maestro». La decantata “trasparenza”? Suona bellissima, ma a Bridgewater «significa che esiste un sistema dove ogni singolo minuto di lavoro in ufficio è filmato e registrato, e tutto ciò è reso disponibile in una videoteca a chiunque nell’azienda, dal barista a Dalio».Il dipendente sa di essere “trasparente” «perché non può nascondere neppure un colpo di tosse di disapprovazione senza che tutta l’azienda possa vederlo». In più, Ray Dalio «ha dato ordine a tutti i suoi dipendenti di sfidare di continuo gli altri con giudizi o polemiche». E questo porta al Dalio-concetto di “verità radicale”: chi lavora sotto monitoraggio, incoraggiato a polemizzare con i colleghi, finisce maciullato «in una pubblica arena giornaliera per ogni respiro fatto e parola detta, in continue riunioni». Di qui le “relazioni intense”. nel Dalio-gergo: «Intense perché ti devastano ogni secondo, e ogni secondo devi poter attaccare o difenderti perché tutta l’azienda ha visto e udito ciò che hai ‘respirato’, detto o registrato in video e audio». Questa psicotizzante pratica, viene detto ai dipendenti, serve loro «per imparare che solo un orwelliano lungo processo di aggregazione, limatura ed eliminazione dei propri errori e dei propri autoinganni li potrà portare ad essere una Macchina infallibile, cioè li porterà al successo eterno che è prerogativa delle Machines. L’amigdala va polverizzata dalla storia, e se possibile dalla biogenetica in futuro. L’emozione è il nemico della Machine e del successo in ogni sfera del vivere. Questo viene detto ai dipendenti».Così Ray Dalio spersonalizza il dipendente, che diventa una Machine «perfetta per i suoi profitti, che fanno record mondiale». E così, domani, «faranno i datori di lavoro di tuo figlio e del figlio di tuo figlio». Il “Wall Street Journal”, tempo fa, scrisse che in realtà a Bridgewater «si udivano singhiozzi convulsi di dipendenti nascosti nei bagni, unici luoghi dove le registrazioni sono vietate». La risposta di Ray Dalio fu: «Talvolta i sentimenti di chi lavora con noi vengono toccati. Ma questo è causato dall’amigdala. La cose non sono come appaiono: i nostri dipendenti vedono le proprie debolezze e si emozionano. Ma poi prendono fiato, si calmano e diventano razionali». Ma i dipendenti, agiunge Barnard, non possono perdere il posto di lavoro, e quindi si adattano. «John Elkann o Benetton o l’imprenditore di Siena lo vedono, hanno questo potere di ricatto sui sottoposti, e capiscono il ‘genio’ di Ray». In più, Bridgewater sta sviluppando un software che riproduce i “princìpi” di Dalio: si chiama di PriOs, «cortesia di David Ferrucci, ex leader del progetto di intelligenza artificiale della Ibm». Profetizza Barnard: «PriOS, alla morte di Ray, diventerà l’amministratore delegato o presidente dell’azienda, supervisionerà ogni singola mossa o voce umana, interagirà sui tablet che i dipendenti sono costretti per contratto a tenere accesi per dirigerli o criticarli o sentire le loro voci, o registrare le loro critiche ai colleghi e trasmetterle a quei colleghi, o correggere le loro voci». Ma sempre secondo i “princìpi” di Ray Dalio: “Tu sei nato Macchina e grazie a questo sei destinato alla perfezione”.E’ un incubo, dice Barnard, che si avvererà presto: «PriOs sarà l’Ad di Fiat Chrysler, di Benetton, di Rizzoli Rcs, di Tods, di Pirelli, di Eni, di Poste Italiane, della Rai e di Mediaset, di Ipercoop. Sarà il tuo datore di lavoro anche a Perugia o Vicenza, Bergamo, Latina, Pescara». Si comincia prestissimo, a studiare per diventare Machine: «Ray Dalio aveva undici anni, 11, quando iniziò a interessarsi di mercati. Oggi è l’uomo più potente del mondo». Non solo per i 150 miliardi di dollari che gestisce ogni giorno, ma «soprattutto perché ha disegnato gli algoritmi che renderanno tuo figlio, e il figlio di tuo figlio, e il figlio del figlio di tuo figlio, degli psicotizzati servi del profitto, privi di amigdala, senza vita di emozioni: perché non si torna a casa dopo 5 o 6 giorni passati così e poi si è capaci di amare. Saranno le Ray-Machines per generazioni». Barnard rivendica di esser stato il primo, in solitudine, a lanciare l’allarme: «Vi avvisai vent’anni fa del Ttip, allora Wto, della globalizzazione, di chi ha pensato al Jobs Act». E chiosa: «Se per caso riesci a sollevare l’encefalo dalla Raggi o da Travaglio, ricordati di queste righe. Ricorda questo nome: Ray Dalio».Che personalità deve avere un direttore dell’Fbi, cioè il reale Principe delle Tenebre della politica interna degli Stati Uniti dall’assassinio di Jfk e anche prima? Come dev’essere, nell’anima, uno che regge il potere assoluto? Risposta più che ovvia: «Non può essere un umano, deve essere una macchina senza scrupoli, un androide di spietata logica, occhi vitrei, implacabile. Oggi questo uomo si chiama James Comey». E allora, scrive Paolo Barnard, che effetto fa scoprire che «un siffatto micidiale androide», anni fa, fu assunto in un’organizzazione che lo ha fatto addirittura collassare? «Che razza di apocalittico luogo deve essere quello dove una macchina spietata come un direttore dell’Fbi non ce la fa, vacilla e fugge?». Si chiama Bridgewater. E’ il mondo di Ray Dalio. Bridgewater è un Hedge Fund, un fondo d’investimento dove i multimiliardari del pianeta mettono fortune con lo scopo di proteggerle da rischi e, al tempo stesso, di azzardare scommesse finanziarie mozzafiato per decuplicare i guadagni. Bridgewater è oggi il più potente Hedge Fund del mondo. «Perché? Il motivo è semplice ma centrale, in questo racconto dell’orrore che sarà la vita da incubo dei vostri figli». Bridgewater “indovina” sempre, non sbaglia mai. E Ray Dalio è il suo guru.
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Libratus: quando saranno i computer a dichiarare la guerra
Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.Qui si tratta di una vittoria molto diversa da quella degli scacchi, perché nel poker entra in gioco una variabile che negli scacchi non è presente, ovvero il bluff. Come abbiamo detto, negli scacchi la posizione dei pezzi è nota ad ambedue i giocatori, e si tratta solo di utilizzare la forza bruta del calcolatore per riuscire a battere l’avversario umano. Nel poker invece non tutte le carte sono note ad ambedue i giocatori, e quindi per ciascuno subentra la capacità di “interpretare” le mosse dell’avversario tenendo conto del fatto che possa bluffare. A quanto pare, i progettisti della macchina che ha battuto gli umani a poker, che si chiama Libratus, sono riusciti a creare un algoritmo che tiene presente anche un’eventuale bluff da parte dell’avversario. Per fare questo Libratus procede secondo un ragionamento molto simile al noto “dilemma del prigioniero”, un meccanismo che porta il soggetto a fare una scelta statisticamente meno pericolosa, anche se non necessariamente la migliore per lui. A quanto pare, questo equilibrio statistico (chiamato “equilibrio di Nash”) risulta comunque favorevole alla macchina, che è riuscita a vincere per la stragrande maggioranza delle 120.000 mani di poker giocate contro gli umani.Il problema è appunto lì, nella parola “statistica”: sui grandi numeri, infatti, la macchina si può garantire di risultare vincitrice nella maggioranza dei casi, ma non potrà mai garantirti di poter vincere una determinata, singola partita. E purtroppo, come dice uno dei creatori del programma, Tuomas Sandholm, «il nostro vero scopo non è quello di battere gli umani a poker. Noi vogliamo sviluppare un tipo di intelligenza artificiale chi aiuti gli uomini a negoziare o a prendere decisioni nelle situazioni in cui non tutti i fatti siano noti». Che cosa succederà allora, nel giorno in cui gli uomini del Pentagono decideranno di affidare ad una macchina, ad esempio, la “partita di poker” contro un giocatore come Kim Jong-Un, il dittatore nordcoreano che minaccia quotidianamente di lanciare una testata nucleare contro la Corea del Sud o contro il Giappone? Perché è proprio questa la classica situazione in cui “non tutti gli elementi sono noti”, e la variabile del bluff rientra decisamente fra le regole del gioco. Ci “accontenteremo” di una probabilità statistica a lungo termine, o riusciremo comunque a rimettere in campo il famoso fattore umano, che almeno in un caso come questo dovrebbe ancora risultare determinante?(Massimo Mazzucco, “Quando saranno i computer a dichiarare la guerra”, dal blog “Luogo Comune” del 7 febbraio 2017).Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.
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Auto senza conducente, il sogno perfetto di chi ci comanda
Sembra inevitabile, ormai sta per arrivare: l’auto senza guidatore è alle porte. Quando senti che Google ha firmato con Fiat Chrysler un accordo per produrre le prime 100 automobili senza guidatore, capisci che ormai il nostro destino è stato deciso. Fra qualche anno ci troveremo tutti a confrontarci sulle nostre strade con un nuovo tipo di mostro tecnologico: un complicatissimo assemblaggio di sensori, computer e telecamere montato su quattro ruote, che viene verso di noi con la stessa sicurezza con cui viaggia un esperto guidatore con trent’anni di esperienza. E noi ci ritroveremo preoccupati a domandarci: “Lo avrà visto, quel cazzo di affare lì, che ho messo la freccia e voglio girare a sinistra? Oppure viene avanti dritto e mi sfonda la fiancata?”. Uno dei principi essenziali della guida, infatti, è che tu puoi contare sulla tua sicurezza proprio perché nelle altre automobili c’è dentro gente che tiene alla propria pelle quanto tu tieni alla tua.A meno di incontrare qualcuno ubriaco marcio, tu sai bene che l’automobilista che ti viene incontro starà molto attento a non invadere la tua carreggiata, perché nel momento in cui lo fa mette a rischio la propria vita ancora prima della tua. Ma nel momento in cui dentro a quelle automobili ci metti un computer con dei sensori, tutti i tuoi parametri sulla sicurezza – che sono basati sulla previsione del comportamento altrui – vanno a farsi benedire. Come potremo prevedere il comportamento di una automobile senza guidatore, nel momento in cui le sue telecamere dovessero scambiare, ad esempio, il lampo di un fulmine con i fari abbaglianti di un’altra macchina? Oppure se dovessero scambiare la sagoma di un gatto nero fermo sulla strada con un rattoppo sull’asfalto più scuro del normale?Il limite di queste automobili sarà sempre, per definizione, il limite stesso dell’intelligenza artificiale: l’intelligenza artificiale può solo elaborare dati che conosce già in anticipo, e per i quali ha ricevuto delle precise istruzioni in proposito. Ma non potrà mai elaborare dati che sono sono stati già previsti in sede di progettazione. E purtroppo, come tutti sappiamo, le variabili che sono in gioco quando si guida una macchina sono praticamente infinite. Per ora, infatti, i test dell’auto senza conducente vengono condotti in zone sicure, all’interno del perimetro tranquillo e ordinato della sede Google di Mountain View. Lì tutti rispettano gli stop, tutti procedono a velocità controllata, e tutti mantengono la distanza di sicurezza. Persino un cieco, in quelle condizioni, riuscirebbe ad arrivare a destinazione.Provate invece ad immaginare un’auto senza conducente che cerca di attraversare una cittadina come Castellammare di Stabia durante l’ora di punta (chi è di quelle parti sa bene a cosa mi riferisco): procedere all’interno di quel caos metafisico, tenendo conto di tutte le variabili impazzite che si mettono contemporaneamente in movimento, richiede una creatività e una rapidità di riflessi che soltanto l’essere umano possiede. Creatività e rapidità di riflessi che, a loro volta, debbono potersi basare sulla capacità di prevedere il comportamento altrui. Io vedo il tizio davanti a me che di colpo si è fermato in mezzo alla strada, e quindi inizio a frenare prima ancora che lui apra la portiera per fare scendere la suocera. Ma tutto questo, come abbiamo già detto, non sarà applicabile alle auto senza guidatore. I computer non possono prevedere che le suocere vengano scaricate nel bel mezzo della carreggiata.Nel momento in cui inizieremo a vedere questi veicoli che circolano per le nostre strade, quindi, sapremo che il conto alla rovescia sarà iniziato. Presto sarà necessario adeguare il sistema di circolazione a queste automobili, togliendo di mezzo progressivamente i guidatori umani, con tutte le loro “variabili impazzite”. Agli esseri umani che ancora vorranno divertirsi a guidare un’automobile non resterà che recarsi su circuiti appositi, chiusi al resto del pubblico, un po’ come fanno adesso alla domenica gli automobilisti tedeschi, che per divertirsi prendono la loro Volkswagen Passat e vanno a farsi un giretto al vecchio Nurburgring. Pensate che bello, il futuro che ci attende: tutti chiusi dentro le nostre scatoline di latta, che ci portano lentamente e ordinatamente da casa al posto di lavoro, mentre noi possiamo finalmente dedicarci a chattare con gli amici full time, senza più nemmeno staccare gli occhi dallo schermo dello smartphone. Un sogno, per chi ci comanda. Un incubo, per tutto il resto dell’umanità.(Massimo Mazzucco, “Tecnologia senza umanità”, da “Luogo Comune” del 24 maggio 2016).Sembra inevitabile, ormai sta per arrivare: l’auto senza guidatore è alle porte. Quando senti che Google ha firmato con Fiat Chrysler un accordo per produrre le prime 100 automobili senza guidatore, capisci che ormai il nostro destino è stato deciso. Fra qualche anno ci troveremo tutti a confrontarci sulle nostre strade con un nuovo tipo di mostro tecnologico: un complicatissimo assemblaggio di sensori, computer e telecamere montato su quattro ruote, che viene verso di noi con la stessa sicurezza con cui viaggia un esperto guidatore con trent’anni di esperienza. E noi ci ritroveremo preoccupati a domandarci: “Lo avrà visto, quel cazzo di affare lì, che ho messo la freccia e voglio girare a sinistra? Oppure viene avanti dritto e mi sfonda la fiancata?”. Uno dei principi essenziali della guida, infatti, è che tu puoi contare sulla tua sicurezza proprio perché nelle altre automobili c’è dentro gente che tiene alla propria pelle quanto tu tieni alla tua.
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Berardi: ma crescita di cosa? Di lavoro non c’è più bisogno
Alla fine degli anni ‘70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la direzione della Fiat convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario, e licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Sarà per questo sarà per quello, fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo che sta fra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, nel 2000 un operaio poteva produrre quello per cui nel 1970 ne occorrevano cinque. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario. Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano, perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono all’innovazione e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.Quella volta purtroppo i sindacati credettero che la tecnologia fosse un nemico dal quale occorreva difendersi. Occuparono la fabbrica per difendere il posto di lavoro e il risultato prevedibilmente fu che gli operai persero tutto. Ma si poteva fare altrimenti?, chiederete voi. Certo che si poteva. Una piccola minoranza disse allora: “Lavorare meno per lavorare tutti”, e qualcuno più furbo disse addirittura: “Lavorare tutti per lavorare meno”. Furono attaccati come estremisti, e alcuni li arrestarono per associazione sovversiva. Nel 1983 nel paese più brutto del mondo c’era un governo infernale guidato da una signora cui piaceva la frusta. Aveva detto che la società non esiste (“there is no such thing as society”) per dire che ognuno è solo e deve combattere contro tutti gli altri col risultato che uno su mille può far la bella vita e scorrazzare in Rolls Royce, uno su cento può vivere decentemente e tutti gli altri debbono fare la vita di merda che più di merda non si può immaginare.Ma ritorniamo a noi, mica sono pagato per parlar male dell’Inghilterra. Un bel giorno la signora decise che di miniere non ce n’era più bisogno e neanche di minatori. Cosa fareste se la vita vi fosse andata così male da ritrovarvi a fare il minatore in un paese di merda dove in superficie piove sempre e c’è la Thatcher, e sottoterra è anche peggio? Non so voi, ma nel caso io facessi il minatore e qualcuno mi dicesse che non c’è più bisogno di miniere ringrazierei il cielo e chiederei un salario di cittadinanza. Non così Arthur Scargill, che era il capo di un sindacato che si chiamava “Union Miners”. Un sindacato glorioso che organizzò una lotta eroica contro i licenziamenti, come direbbe Ken Loach. So bene che c’è poco da fare gli spiritosi perché fu una tragedia per decine di migliaia di lavoratori e per le loro famiglie: naturalmente i minatori persero la lotta, il lavoro e il salario, ed era solo l’inizio. La disoccupazione è oggi in crescita in ogni paese d’Europa. Metà della popolazione giovanile non ha un salario, o ha un salario miserabile e precario, mentre i riformatori europei hanno imposto un rinvio dell’età pensionabile da 60 a 62, a 64, a 65, a 67. E poi?C’è qualcuno che possa spiegarmi secondo le regole della logica aristotelica il mistero secondo cui per curare la disoccupazione dilagante occorre perseguitare crudelmente i vecchi che lavorano costringendoli a boccheggiare sul bagnasciuga di una pensione che non arriva mai? Nessuno che sia sano di mente mi risponde, perché la risposta non si trova nelle regole della logica aristotelica, ma solo nelle regole della logica finanziaria che con la logica non c’entra niente ma c’entra moltissimo con la crudeltà. Se la logica finanziaria contraddice la logica punto e basta, cosa farebbe una persona dotata di senso comune? Riformerebbe la logica finanziaria per piegarla alla logica, no? Invece Giavazzi dice che la logica vada a farsi fottere perché noi siamo moderni (mica greci).“Animal Kingdom” è il nome di un’azienda di Saint Denis che vende ranocchie e cibi per cani. “Candelia” vende mobili per ufficio. Sembrano aziende normali ma non lo sono affatto, perché l’intero business di queste aziende è finto: finti i clienti che telefonano, finti i prodotti che nessuno produce, finta perfino la banca cui le “fake companies” chiedono falsi crediti. Come racconta un articolo del “New York Times” del 29 maggio, da cui si deduce che il capitalismo è affetto da demenza senile, in Francia ci sono un centinaio di aziende finte, e pare che in Europa se ne contino migliaia. Milioni di persone non hanno un salario e milioni perderanno il lavoro nei prossimi anni per una ragione molto semplice: di lavoro non ce n’è più bisogno. Informatica, intelligenza artificiale, robotica rendono possibile la produzione di quel che ci serve con l’impiego di una quantità sempre più piccola di lavoro umano. Questo fatto è evidente a chiunque ragioni e legga le statistiche, ma nessuno può dirlo: è il tabù più tabù che ci sia, perché l’intero edificio della società in cui viviamo si fonda sulla premessa che chi non lavora non mangia.Una premessa imbecille, una superstizione, un’abitudine culturale dalla quale occorrerebbe liberarsi. Eppure economisti e governanti, invece di trovare una via d’uscita dal paradosso in cui ci porta la superstizione del lavoro salariato, insistono nel promettere la ripresa dell’occupazione e della crescita. E siccome la ripresa è finta, qualcuno ha avuto questa idea demente di creare aziende in cui si finge di lavorare per non perdere l’abitudine e la fiducia nel futuro, poiché i disoccupati di lungo corso (il 52,6% dei disoccupati dell’Eurozona sono senza lavoro da più di un anno) rischiano di perdere la fede oltre al salario. Ma torniamo al punto. Dice il giovane presidente del Consiglio che il reddito di cittadinanza è una cosa per furbi perché in questo paese chi lavora duro ce la può fare. Forse qualcuno sì, non me la sento di escluderlo, ma qui stiamo parlando di ventotto milioni di disoccupati europei. E a me risulta che la disoccupazione non è destinata a diminuire ma ad aumentare, e ti dico perché. Perché di tutto quel lavoro (duro o morbido non importa) non ce n’è più bisogno.Lo dice qualcuno che è più moderno di Renzi e di Giavazzi messi insieme, credete a me. Lo dice un giovanotto dotato intellettualmente che si chiama Larry Page. In un’intervista pubblicata da “Computer World” nell’ottobre del 2014 questo tizio, che dirige la più grande azienda di tutti i tempi, dice che Google investe massicciamente in direzione della robotica. E sai che fa la robotica? Rende il lavoro inutile, questo fa. Larry Page aggiunge che secondo lui solamente dei pazzi possono pensare di continuare a lavorare quaranta ore alla settimana. Si stringe nelle spalle e dice: Renzi, lavorare duro d’accordo, ma per fare che? Il Foreign Office nel suo Report dell’anno scorso diceva che il 45% dei lavori con cui oggi la gente si guadagna da vivere potrebbe scomparire domattina perché non ce n’è più bisogno. Caro Renzi, qui si tratta di cose serie, lascia fare ai grandi e torna a giocare con i videogame: occorre immediatamente un reddito di cittadinanza che liberi la gente dall’ossessione idiota del lavoro.La situazione infatti è tanto grave e tanto imprevista, che occorre un’invenzione scientifica che non è alla portata degli economisti. Ti sei mai chiesto cosa sia una scienza? Diciamo, per non farla troppo lunga, che è una forma di conoscenza libera da ogni dogma, capace di estrapolare leggi generali dall’osservazione di fenomeni empirici, capace di prevedere quello che accadrà sulla base dell’esperienza del passato, e per finire capace di comprendere fenomeni così radicalmente innovativi da mutare gli stessi paradigmi su cui la stessa scienza si fonda. Direi allora che l’economia non ha niente a che fare con la scienza. Gli economisti sono ossessionati da nozioni dogmatiche come crescita, competizione e prodotto nazionale lordo. Dicono che la realtà è in crisi ogni qualvolta non corrisponde ai loro dogmi, e sono incapaci di prevedere quel che accadrà domani, come ha dimostrato l’esperienza delle crisi degli ultimi cento anni.Gli economisti per giunta sono incapaci di ricavare leggi dall’osservazione della realtà, in quanto preferiscono che la realtà sia in armonia con i loro dogmi, e incapaci di riconoscere quando mutamenti della realtà richiedono un cambiamento di paradigma. Lungi dall’essere una scienza, l’economia è una tecnica la cui funzione è piegare la realtà multiforme agli interessi di chi paga lo stipendio degli economisti. Dunque sta ad ascoltarmi: non c’è più bisogno di Giavazzi, di tutti quei tristi personaggi che vogliono convincerti che l’occupazione presto riprenderà e la crescita anche. Lavoriamo meno per un reddito di cittadinanza, curiamoci la salute andiamo al cinema, insegniamo matematica e facciamo quel milione di cose utili che non sono lavoro e non hanno bisogno di scambiarsi con salario. Perché, sai che ti dico: di lavoro non ce n’è più bisogno.(Franco Berardi, “Di lavoro non ce n’è più bisogno”, dal numero di luglio della nuova edizione di “Linus”, ripreso da “Megachip” il 27 luglio 2015).Alla fine degli anni ‘70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la direzione della Fiat convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario, e licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Sarà per questo sarà per quello, fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo che sta fra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, nel 2000 un operaio poteva produrre quello per cui nel 1970 ne occorrevano cinque. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario. Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano, perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono all’innovazione e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.
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Nel cyber-futuro, un alveare di egoisti ciechi e dominati
Orologi intelligenti, occhiali intelligenti e persino vestiti intelligenti, dotati di piccoli sistemi resistenti ai lavaggi, affinché l’individuo sia sempre in comunicazione e – beninteso – controllato. I sistemi informatici hanno invaso tutta la società: a livello sociale l’insegnamento, le produzioni, i trasporti (auto, navi, aerei) sono assistiti da sistemi informatici che analizzano costantemente la posizione dei soggetti e propongono o prendono decisioni a seconda della situazione circostante. Idem a livello individuale: i mille giochi con cui i bambini passano il tempo sui loro tablet e poi gli stessi adulti, che non smettono per un attimo di comunicare (con altri esseri umani o con degli avatar) usando i loro smartphone mentre sono sui mezzi di trasporto e i loro pc mentre sono al lavoro o a casa. Il futuro è la “casa pervasiva”, scrive Alain Cardon: un posto dove tutto è connesso, dalla cucina al salotto alla camera, passando dalla doccia. Un sistema avvolgente che serve a soddisfare le persone, utilizzando telecamere.«Saremo dunque in un mondo nel quale oggetti elettronici iper-informatizzati permetteranno di comunicare per agire, dare consigli, prendere le dovute iniziative che l’individuo ha dimenticato di prendere, individuo che vedrà altresì l’arrivo di robot o umanoidi destinati ai lavori duri e ripetitivi e che rimpiazzeranno sempre più spesso gli operatori umani», osserva Cardon in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. È il settore dei sistemi ciber-fisici (Cyber-Physical Systems), che ha assunto un’importanza considerevole nell’economia e nella ricerca, con applicazioni in ogni ambito. «Eppure – aggiunge Cardon, con alle spalle ricerche universitarie sull’intelligenza artificiale – noi siamo in un mondo ultraliberale e ben equipaggiato per restare tale». I dispositivi informatici? Sono tutti sistemi “proprietari”. «Qualche regola c’è, ma resta il fatto che l’individuo, che deve essere prima di tutto ed essenzialmente un consumatore, è spinto a utilizzare sistemi diversi per aumentare il proprio campo relazionale». Nella nostra società dei consumi, si cerca di far comunicare fra loro questi sistemi, ben sapendo che il numero dei sistemi “proprietari” con funzioni particolari non smetterà di aumentare, così come la loro capacità di analizzare e memorizzare dettagliatamente desideri e modalità d’uso da parte degli utenti.«Formalmente si tratta di individuare tutte le curve di un enorme grafico delle comunicazioni, nel quale il numero dei nodi – i sistemi proprietari – aumenta senza sosta. Questo affinché il grafico sia completo e ogni singolo nodo sia collegato a tutti gli altri attraverso curve di comunicazione». Per questo si stanno creando programmi capaci di legare fra loro sistemi locali e aumentare la loro semantica, per farli evolvere in maniera autonoma, affinché i sistemi comunichino fra loro in maniera perfetta, costituendo così per l’utente un programma affidabile e soprattutto funzionante anche qualora sopravvenissero casi di incompatibilità. In questo modo, continua Cardon, i consumatori potranno aumentare senza sosta i loro sistemi informatizzati, per poterli personalizzarli e renderli coerenti, «capaci di sommergere le loro vite, riempire le loro case, le loro automobili, ma anche industrie, supermercati, giardini, strade e edifici pubblici, qualunque luogo in cui l’essere umano può trovarsi, compreso il mare». Questo, osserva l’analista, sarà il terreno fertile sul quale impiantare il “Meta-Sistema”, «che metterà placidamente fine alla libertà nella civiltà umana: vale a dire l’inizio di un mondo nel quale oggetti umani e oggetti artificiali saranno mescolati, formando un insieme controllato e mansueto, coerente nei comportamenti, per il semplice fatto che sarà impossibile non essere coerenti».Ciascuno di questi sistemi informatizzati, che trattano processi e si scambiano informazioni, potrà essere sviluppato e trasmesso attraverso una trama telematica intessuta dalle innumerevoli reti WiFi. Un “campo informatico globale”, «che sorveglierà e controllerà capillarmente tutto, a ogni livello, in tempo reale», perché sarà «un sistema capace di pensare da solo, secondo le proprie inclinazioni fondamentali, di generare intenzionalmente e ad ogni livello idee, di provare emozioni e sensazioni». Per Cardon, «sarà il Sistema della meta-coscienza artificiale, l’insieme dei molteplici fatti di coscienza artificiali locali, la sintesi delle sintesi in tempo reale, che farà emergere costantemente il proprio sfaccettato stato di coscienza sul mondo controllato, dal quale controllerà attivamente tutte le azioni di qualunque cosa sia vivente e, naturalmente, locale». Da un punto di vista scientifico si tratta di uno dei più affascinanti problemi mai posti all’uomo: «Trasferire tutto l’universo psichico umano nell’ambito artificiale, ma in forma distribuita e “meta”, problema che sarà presto risolto, sviluppato e messo in pratica. Ed è proprio quest’uso che sarà tragico, perché ucciderà ogni umanismo e qualunque senso dell’altruismo».Questo “Meta-Sistema” deve pur essere in costruzione da qualche parte, continua Cardon. «So che il suo studio è stato prima di tutto affrontato nelle università, quindi a livello pubblico, prima di diventare “confidenziale”. Se ho smesso completamente le mie ricerche su questi temi, per motivi etici, credo tuttavia che i miei lavori siano stati usati e che siano instancabilmente perseguiti». Domanda: perché mai la società dovrebbe sviluppare innumerevoli sistemi locali che dovrebbero poi comunicare fra loro? Perché dovrebbe sviluppare il “Meta-Sistema”? «Beh, molto semplicemente perché l’essere umano è quello che è. È un mammifero dotato di un sistema psichico particolare, fatto allo stesso tempo di pulsioni comuni a tutti gli altri mammiferi e di una spiccata attitudine a fare astrazioni e memorizzare le proprie astrazioni, per poi manipolarle, condividerle e diffonderle sul piano sociale. È questo che gli ha permesso di sopravvivere, fin dalla sua nascita, come predatore dominante, in seguito di sviluppare il linguaggio, le strutture sociali, le scienze, le tecnologie, utilizzando tutte le conoscenze socialmente condivise e pianificando le proprie attività con un’elaborata dimensione spaziotemporale».L’uomo nasce sempre come mammifero, con le tendenze fondamentali nella parte emozionale del suo sistema psichico, «alcune delle quali sono, per natura, socialmente oscure e sono ben rivelate dalle patologie mentali». Queste tendenze, se si esprimono e vengono trasportate nella parte concettuale e linguistica del suo sistema psichico, «lo portano sistematicamente a dominare, uccidere, distruggere, ridurre gli altri a qualcosa di totalmente sbagliato, lo fanno diventare fondamentalmente egoista, lo portano a non avere più alcuna nozione di fraternità». Tutto ciò è stato studiato molto bene, spiega Cardon. E in particolare è stato dimostrato che l’educazione e il contesto socio-culturale possono ridurre o far recedere queste tendenze. «Quando la società, che tende a conformare l’essere umano fin dalla sua nascita, permette lo sviluppo di alcune di queste attitudini oscure, dispiegando così la volontà di potenza e riducendo simbolicamente tutti gli altri esseri umani a oggetti utilizzabili all’interno di strutture che sono sempre molto gerarchizzate, ci sarà necessariamente una deriva oscura della società, deriva che potrà rimanere tale o anche ampliarsi». E quando la società che permette di dispiegare queste attitudini «sarà anche pervasa da tecnologie informatiche invadenti, che amplificano tali tendenze», secondo Cardon «non ci sarà nulla di buono da aspettarsi: perché il mondo sarà guidato da una piccola rete di dominanti, che utilizzeranno in maniera massiccia l’influenza tecnologica su tutti gli altri, ormai del tutto e definitivamente dominati».Antropologia e rimpianti: «Avremmo dovuto concepire, nella nostra storia umana, società in grado di insegnare ad ognuno a pensare i propri pensieri, capaci di formare ognuno a dominarsi, di insegnare la fraternità condivisa con chiunque, di insegnare a comprendere con finezza che cosa sono il mondo, l’Universo e la vita, praticando una ricerca sistematica e disinteressata, e controllando sempre la tecnologia con un sano civismo». Invece «non abbiamo mai costruito società simili, in nessun luogo». Al contrario, «abbiamo sempre costruito società fortemente gerarchiche, fatte di dominanti e dominati subalterni, e usando sempre la forza». Oggi, tutto il mondo è immerso in un campo informatizzato «che combinerà naturalmente i caratteri di gerarchia e dominazione delle società umane, portandoli all’eccesso». E se qualcuno desiderasse una società egalitaria, fraterna e umanista, il “Meta-Sistema” lo isolerebbe, «lo rinchiuderebbe in una enclave informatica impermeabile, per isolarlo, manipolarlo o dominarlo». Già: «Com’è possibile lottare contro una meta-dittatura “cool”, nella quale il dittatore non ha forma umana ma è rimpiazzato da un “Meta-Sistema” che ha la forma di un campo informatico autonomo, che pervade ogni cosa e trasforma ciascuno in un oggetto minuscolo, eccezion fatta – ma non nemmeno è certo – per qualche dominante?».Orologi intelligenti, occhiali intelligenti e persino vestiti intelligenti, dotati di piccoli sistemi resistenti ai lavaggi, affinché l’individuo sia sempre in comunicazione e – beninteso – controllato. I sistemi informatici hanno invaso tutta la società: a livello sociale l’insegnamento, le produzioni, i trasporti (auto, navi, aerei) sono assistiti da sistemi informatici che analizzano costantemente la posizione dei soggetti e propongono o prendono decisioni a seconda della situazione circostante. Idem a livello individuale: i mille giochi con cui i bambini passano il tempo sui loro tablet e poi gli stessi adulti, che non smettono per un attimo di comunicare (con altri esseri umani o con degli avatar) usando i loro smartphone mentre sono sui mezzi di trasporto e i loro pc mentre sono al lavoro o a casa. Il futuro è la “casa pervasiva”, scrive Alain Cardon: un posto dove tutto è connesso, dalla cucina al salotto alla camera, passando dalla doccia. Un sistema avvolgente che serve a soddisfare le persone, utilizzando telecamere.