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Archivio del Tag ‘Islam’

  • La nostra civiltà distrutta da una pandemia di asintomatici

    Scritto il 19/10/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Siete pronti? Stasera i media di regime vi comunicheranno con toni apocalittici un numero elevatissimo di nuovi contagi. Ovviamente ometteranno di dirvi che il 95% di questi sono asintomatici o paucisintomatici che, in altri tempi, non avrebbero destato alcuna preoccupazione. Ma le pecore impaurite si uniranno al coro degli allarmisti e dei catastrofisti, che stanno distruggendo un’economia e una democrazia in modo irreparabile. Lo so che è l’effetto della suggestione che si propaga nelle masse e che la manipolazione mediatica è molto potente, ma ormai non ho più compassione di queste pecorelle ottuse che stanno contribuendo alla fine della civiltà e si illudono pure di avere una superiorità morale. Ognuno di noi che non manifesta il proprio dissenso, ciascuno a seconda delle proprie possibilità e modalità, davanti al disegno criminale in corso, dovrà sentirsi responsabile di quanto accadrà. Sarà complice delle migliaia di fallimenti aziendali, della scomparsa del ceto medio, della disoccupazione ai massimi storici, dei giovani senza istruzione, del passaggio dalle relazioni umane a quelle con le macchine, della fine della democrazia e della cinesizzazione della nostra società. La protesta è contagiosa, deve diventare un sentimento condiviso e virale.
    “Mascherina obbligatoria anche per chi fa attività motoria all’aperto”. Questa norma è aberrante, lesiva della dignità dell’essere umano e della sua salute. Quella attuale non è una dittatura sanitaria, perché non è orientata alla preservazione della salute dei cittadini, ma è una dittatura omicida, che vuole l’annullamento dell’essere umano. Disobbedire a certe regole folli e assassine è ormai nostro dovere. Faremo milioni di ricorsi e manifesteremo esplicitamente il nostro disappunto alle forze dell’ordine che si umilieranno ad applicare le sanzioni. Ormai quando esco di casa – senza mascherina, perché non voglio ammalarmi respirando un mix di germi, polvere e anidride carbonica – mi sembra di essere circondata da zombie, gente imbavagliata fino agli occhi. Aspetto divertita il momento in cui uno di loro abbia da ridire. Ma sono generalmente dei codardi, come dimostra la loro accondiscendenza ad accettare regole non solo inutili, ma anche dannose, nonché lesive della loro dignità.
    Chiudere tutte le attività alle 22, come preannunciato, vuol dire solo maggiore concentrazione di clientela e assembramenti, mentre migliaia di imprese sono destinate a fallire. Oltre il danno la beffa. Vediamo se la fame e la miseria riusciranno a svegliare un popolo di pecore dormienti. Crisanti: “Possibile lockdown a Natale”. Come fanno a non rendersi conto degli effetti catastrofici del solo affermare una simile previsione? Abbiamo già perso 17 miliardi di turismo, alberghi che non hanno mai riaperto, ora siamo al colpo di grazia definitivo. Chi pagherà i costi del protagonismo di certi virologi, del terrorismo alimentato dai media e di una politica nel migliore dei casi inadeguata? Ovviamente i cittadini, i giovani, coloro che perderanno lavoro e non lo troveranno più, con un’economia reale ormai desertificata. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe bastata una pandemia di asintomatici a distruggere la civiltà occidentale e la cultura democratica? I terroristi islamici al pari sono dei dilettanti.
    (Ilaria Bifarini, estratti da singoli post sulla pagina Facebook della Bifarini, economista e saggista).

    Siete pronti? Stasera i media di regime vi comunicheranno con toni apocalittici un numero elevatissimo di nuovi contagi. Ovviamente ometteranno di dirvi che il 95% di questi sono asintomatici o paucisintomatici che, in altri tempi, non avrebbero destato alcuna preoccupazione. Ma le pecore impaurite si uniranno al coro degli allarmisti e dei catastrofisti, che stanno distruggendo un’economia e una democrazia in modo irreparabile. Lo so che è l’effetto della suggestione che si propaga nelle masse e che la manipolazione mediatica è molto potente, ma ormai non ho più compassione di queste pecorelle ottuse che stanno contribuendo alla fine della civiltà e si illudono pure di avere una superiorità morale. Ognuno di noi che non manifesta il proprio dissenso, ciascuno a seconda delle proprie possibilità e modalità, davanti al disegno criminale in corso, dovrà sentirsi responsabile di quanto accadrà. Sarà complice delle migliaia di fallimenti aziendali, della scomparsa del ceto medio, della disoccupazione ai massimi storici, dei giovani senza istruzione, del passaggio dalle relazioni umane a quelle con le macchine, della fine della democrazia e della cinesizzazione della nostra società. La protesta è contagiosa, deve diventare un sentimento condiviso e virale.

  • Uccidere, ma con amore: attenti al Vangelo secondo Biglino

    Scritto il 27/9/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Sicuri che la Bibbia dica esattamente quello che la dottrina cattolica sostiene sia esplicitato, nelle sacre scritture? L’ultima sfida culturale di Mauro Biglino, traduttore di 19 libri dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo, parte dall’analisi del nuovissimo volume del “Catechismo della Chiesa cattolica”, edizione aggiornata con il nuovo testo sulla pena di morte. Un’analisi a puntate, proposta nella serie di video “Catechismo alternativo in pillole”, sul nuovissimo canale YouTube “Il vero Mauro Biglino“, aperto durante il lockdown: canale che, in pochi mesi, ha già collezionato un milione e mezzo di visualizzazioni e quasi 40.000 iscritti. In Italia e non solo, Biglino è un caso editoriale: ha all’attivo ormai 14 volumi, pubblicati da UnoEditori e da Mondadori, che mettono la Bibbia (o meglio, la sua interpretazione teologica) alla prova della verità: quella offerta dalla lettura testuale dall’ebraico antico, da cui si evince che il “dio” dell’Antico Testamento – meno potente dei “colleghi” assiri, egizi e romani – non era la sola “divinità” in circolazione, né era onnisciente e tantomeno infallibile. Biglino svela che, per la Bibbia, Yahwè è soltanto l’El dei giudei, un soggetto “diverso e distinto” dagli umani, né più né meno come gli altri 20 Elohim che compaiono nel testo antico.

  • Sì: premiato il governo che lavora col favore delle tenebre

    Scritto il 25/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Aprite gli occhi: hanno dichiarato guerra, a tutti noi». In momenti come questo, si fa acuta la nostalgia per una voce che si è spenta lo scorso 26 aprile, quella di Giulietto Chiesa. Si poteva non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma non era possibile non riconoscergli l’impegno civile, praticamente titanico, coraggiosamente profuso al prezzo della perdita di molti privilegi. La sua missione, spesso solitaria, era quella di chi dedica la propria vita per avvertire i prigionieri della caverna, spiegando che – là fuori – c’è chi sta preparando il peggio: per tutti, nessuno escluso, compresi quelli che continuano a illudersi di essere al riparo, di fronte alla catastrofe incombente. Come i non molti intellettuali liberi di questo paese, anche Giulietto Chiesa aveva dato una chance ai grillini, evitando di demonizzarli, fin da quando sembravano vittime dell’insopportabile interdizione mediatica riservata agli outsider. Ed era poi stato sempre tra i primi, Giulietto, a capire di che pasta fosse veramente fatto, quel movimento: moltissimi giovani, animati dalle migliori intenzioni, ma (questa la loro colpa) disposti a tacere di fronte all’autoritarismo di Grillo & Casaleggio, all’imposizione “militare” del consenso interno, al divieto di dissenso. Che democrazia potrebbe mai costruire, un partito-caserma senza democrazia?
    La più raggelante delle risposte viene, oggi, dalla miserrima bozza – poche decine di paginette – con cui il governo Conte informa Bruxelles su come vorrebbe spendere i soldi dell’eventuale Recovery Fund. Tra le misure escogitate per far uscire il paese dalla crisi economica provocata non tanto dal Covid, quanto dal governo stesso (cioè dal lockdown “cinese” imposto all’Italia, senza una strategia per limitare i danni al sistema-paese), l’ex “avvocato del popolo” messo a Palazzo Chigi dai 5 Stelle pensa di impiegare miliardi di euro per abolire il denaro contante, potenziare la video-sorveglianza sui cittadini e mettere in orbita «una costellazione di satelliti 5G». Vorrebbe anche realizzare la schedatura sanitaria degli italiani, e addirittura «studiare differenti stili di vita delle persone», e quindi «impostare politiche di prevenzione», laddove gli italiani rifiutassero di obbedire, cioè di seguire gli “stili di vita” proposti dal governo. Sempre Giuseppe Conte, quello che «non lavora col favore delle tenebre», vorrebbe pure «potenziare il contrasto alle “fake news”», cioè limitare ulteriormente la libertà di espressione e «regalare altri soldi ai delatori di regime», per dirla con Massimo Mazzucco, che ha condiviso l’ultima stagione di Giulietto Chiesa aprendo insieme a lui l’esperimento di “Contro Tv”, una delle voci che più danno fastidio al governo dei 5 Stelle.
    Proprio della libertà di informazione, Giulietto Chiesa – già comunista, poi allontatosi dalla sinistra – aveva fatto una vera e propria ragione di vita. Che cosa direbbe, di fronte alla situazione di oggi? Si commenta da sola la decisione del governo grillino (unico, in questo, nei paesi occidentali) di istituire a Palazzo Chigi una sorta di Ministero della Verità, una super-commissione orwelliana incaricata di “bonificare” il web da tutte le notizie scomode per l’esecutivo, ovvero per i poteri sovranazionali per i quali lavora, in piena sintonia con le élite cinesi e franco-tedesche, incluse quelle (atlantiche) che hanno proposto prima Greta Thunberg e poi Bill Gates come nuovi eroi per un pianeta post-democratico, popolato da sudditi diligenti, sottomessi e conformati alla religione tecno-psicologica del politicamente corretto. Triste, la parabola dei 5 Stelle: hanno ferocemente tradito le loro promesse elettorali (tutte, dalla prima all’ultima), e per questo hanno visto più che dimezzarsi i loro voti, ma sono riusciti in una storica impresa: assestare un colpo mortale alla democrazia italiana. Lo hanno fatto prima sistemando a Palazzo Chigi l’oscuro Giuseppe Conte, allievo del più influente gruppo di potere vaticano, e ora privando gli elettori della possibilità di eleggere 345 parlamentari. Era il piano di Licio Gelli: l’ha realizzato Beppe Grillo, attraverso Luigi Di Maio.
    A sconfortare non è l’aspetto tecnico dell’esito referendario, che premia le richieste esplicite dei grandi poteri finanziari (far dimagrire i Parlamenti, indebolendo in tal modo le possibilità di opposizione). Se un giorno la democrazia italiana dovesse risorgere, il brutale taglio inflitto il 20-21 settembre 2020 potrebbe essere riparato, con un adeguato ridisegno delle istituzioni. Quello che scoraggia, piuttosto, è la cecità di moltissimi italiani: punendo la piccola casta rappresentata dai parlamentari, dotata di scarsissimi poteri, non si sono resi conto di aver fatto un favore immenso alla grande casta, quella che conta e che detta ai governi le sue condizioni. Peggio ancora: quasi tre italiani su quattro non hanno approfittato del voto – che era la prima vera occasione di espressione, loro concessa, dopo mesi di arresti domiciliari e poi di libertà vigilata – per pronunciare apertamente un “no” che arrivasse, forte e chiaro, alle orecchie di chi sta abusando di loro, dopo averli terrorizzati (anziché aiutati) di fronte all’epidemia del coronavirus. Deprime, questo harakiri collettivo. E non solo: la catastrofe referendaria non può che incoraggiare i manipolatori, che infatti già annunciano di voler procedere, a spron battuto, con la loro agenda.
    Si tratta di un’agenda che può apparire “infernale”, cioè sinistramente totalitaria, essendo fondata sull’eliminazione delle libertà residue: i prestanome al governo – Conte, Di Maio, Zingaretti – vorrebbero sottoporre la popolazione a un controllo asfissiante, tecno-sanitario, senza più veri diritti, dopo aver opportunamente causato una profonda depressione economica, destinata a tenere in ansia la maggior parte degli italiani, assillati da gravi problemi quotidiani di ordine pratico. A questo si è arrivati per gradi, alimentando a dismisura la paura del Covid. Come valutare altrimenti gli eventi che abbiamo alle spalle? Immagini-simbolo, quelle della parata dei camion militari carichi di bare. Il conteggio degli orrori è fuori controllo, dal divieto di eseguire autopsie all’emarginazione sistematica dei medici (italiani) che annunciavano di aver messo a punto efficaci terapie per ridurre il Covid a malattia “normale”, perfettamente curabile. Inutile ricorrere alle statistiche, come quelle ufficiali che ricordano come l’influenza stagionale del 2017 (per la quale non si adottò nessuna quarantena) abbia prodotto quasi lo stesso bilancio di vittime della cosiddetta pandemia del 2020, presentata come terrificante e invincibile. Non avendo più dati spaventosi da esibire – ricoveri, morti – oggi si agita il numero dei semplici contagiati, ossia persone in buona salute, prive di sintomi. E funziona.
    Per chi non l’avesse ancora capito, siamo in guerra. Non è neppure importante scoprire da cosa sia scaturito, il maledetto virus. E’ fondamentale, invece, comprendere come sia stato finora utilizzato in un’unica direzione: contro di noi, come avrebbe detto Giulietto Chiesa. Contro di noi, gente della strada, ieri sparavano i terroristi cosiddetti “islamici”: facevano crollare torri, falciavano passanti. Mai che cercassero di colpire obiettivi simbolici del potere, teoricamente loro nemico: nel mirino c’erano solo e sempre le persone comuni. Oggi, il Covid si presenta come un’occasione d’oro, irripetibile, per chiunque volesse mettere in atto un piano di dominio capace di radere al suolo l’idea stessa di democrazia. Come con il terrorismo, a stravincere è l’arma della paura: la sua efficienza è micidiale, perfettamente dosata attraverso il sistema del mainstream media. Nei suoi ultimi anni, Giulietto Chiesa reiterò spesso il medesimo allarme: una catastrofe sta per travolgerci. Pensava ai bankster, ai sicari economici, ai mandanti in doppiopetto dei terroristi, agli sciacalli della “guerra infinita”. Ora siamo alla palese sovragestione di un virus. La catastrofe fanto temuta è finalmente arrivata: non impugna un mitra, ma indossa un camice.
    Avremo ancora un democrazia? Avremo ancora libertà e diritti? Servirebbero parole chiare, dai politici. L’unico personaggio che si sia pronunciato in questi termini, in Europa, negli ultimi mesi, è stato Robert Kennedy Jr. nel suo memorabile discorso a Berlino. Il mondo libero guarda a Donald Trump e alle imminenti presidenziali americane. I nano-politici italiani, incluse le sedicenti opposizioni, si sono limitati all’orticello elettorale delle regionali. Il sistema-paese sta svanendo sotto i nostri occhi, e nessuno sembra disposto a fermarlo, il governo che «lavora col favore delle tenebre». Così, l’agenda avanza: l’incredibile Zingaretti, quello che ha fatto spendere alla Regione Lazio 14 milioni di euro per mascherine mai arrivate, e ora vorrebbe imporre ai laziali il Tso del vaccino antinfluenzale, oggi propone all’altro grande statista, Di Maio, di dare la mazzata decisiva all’Italia, a colpi di “riforme” come quella (scandalosa) appena convalidata dagli ignari votanti, impauriti e imbavagliati nelle inseparabili mascherine. A proposito: perché prendersela con Di Maio e Zingaretti, quando sono moltissimi cittadini a non chiedere di meglio che restare chiusi in casa, magari denunciando chi passeggia con il cane? E’ in corso una guerra mondiale, e il grosso della popolazione nemmeno se ne accorge. Ci si domanda da dove possa mai cominciare, la rianimazione di una democrazia ridotta così.

    «Aprite gli occhi: hanno dichiarato guerra, a tutti noi». In momenti come questo, si fa acuta la nostalgia per una voce che si è spenta lo scorso 26 aprile, quella di Giulietto Chiesa. Si poteva non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma non era possibile non riconoscergli l’impegno civile, praticamente titanico, coraggiosamente profuso al prezzo della perdita di molti privilegi. La sua missione, spesso solitaria, era quella di chi dedica la propria vita ad avvertire i prigionieri della caverna, spiegando che – là fuori – c’è chi sta preparando il peggio: per tutti, nessuno escluso, compresi quelli che continuano a illudersi di essere al riparo, di fronte alla catastrofe incombente. Come i non molti intellettuali liberi di questo paese, anche Giulietto Chiesa aveva dato una chance ai grillini, evitando di demonizzarli, fin da quando sembravano vittime dell’insopportabile interdizione mediatica riservata agli outsider. Ed era poi stato sempre tra i primi, Giulietto, a capire di che pasta fosse veramente fatto, quel movimento: moltissimi giovani, animati dalle migliori intenzioni, ma (questa la loro colpa) disposti a tacere di fronte all’autoritarismo di Grillo & Casaleggio, all’imposizione “militare” del consenso interno, al divieto di dissenso. Che democrazia potrebbe mai costruire, un partito-caserma senza democrazia?

  • Magaldi: Pompeo a Roma avvisa i ‘cinesi’ Conte e Bergoglio

    Scritto il 17/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».
    Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge mondiali nella sovragestione del potere, Magaldi ha ammesso che, nel 2016, le Ur-Lodges progressiste appoggiarono Trump, contribuendo al suo successo. «Uno dei grandi meriti della vittoria di Trump, anzitutto alle primarie repubblicane – dice oggi Magaldi – fu quello di aver impedito che Jeb Bush arrivasse alla nomination: già di questo, il mondo dovrebbe essere grato, a Trump». Nel suo saggio, Magaldi accusa i Bush di aver promosso – attraverso la superloggia “Hathor Pentalpha” – la strategia della tensione basata sul terrorismo internazionale avviata con gli attentati dell’11 Settembre contro le Torri Gemelle. «Una filiera dell’orrore che si è prolungata con l’Isis, che ha potuto seminare il terrore in Medio Oriente durante la presidenza Obama». Magaldi ricorda che lo fu lo stratega Zbigniew Brzezinski – “l’inventore” di Obama – a reclutare in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, allora in funzione anti-sovietica. «Iniziato alla superloggia “Three Eyes”, poi Bin Laden passò coi Bush nella “Hathor”, tra lo sconcerto e la delusione dello stesso Brzezinski.
    Grandi giochi del passato, che probabilmente aiutano a leggere meglio quelli di oggi, che vedono in primissimo piano l’Oms “cinese” e personaggi come Bill Gates. I supermassoni della “Three Eyes” (come appunto Brzezinski e soprattutto Kissinger, patron della Trilaterale) diedero sostanza all’ideologia del neoliberismo, come motore dell’attuale globalizzazione finanziaria, scommettendo sulla Cina come possibile modello alternativo per un Occidente meno democratico e meno libero, in un futuro non lontano. A quanto pare, quel futuro è arrivato: solo che, sal 2001 in poi, è stato accelerato dal terrorismo internazionale promosso dalla “Hathor”, superloggia che ha reclutato – accanto ai Bush – politici di rango come Tony Blair, Nicolas Sarkozy e il turco Erdogan. «Il loro obiettivo – riassume Magaldi – era una progressione anche violenta del programma neoliberista, fondata sul ricorso alla guerra, alla strategia della tensione, allo svuotamento della democrazia, all’imposizione dell’austerity europea incarnata da personaggi come la “sorella” Angela Merkel». Nel frattempo, questa élite ha permesso alla Cina di crescere a dismisura, grazie a regole truccate: niente democrazia e zero libertà, nessun sindacato, niente norme anti-inquinamento. Risultato: la Cina è diventata la nuova manifattura del mondo, a basso costo, mettendo in crisi il lavoro – come da copione – in tutto l’Occidente.
    Poi, nel 2016, il programma ha subito un imprevisto di portata storica: l’inattesa vittoria, del tutto “accidentale”, di Donald Trump. Letteralmente: un alieno, rispetto al potere neoliberista. Che infatti ha saputo risollevare l’economia anche in modo “rooseveltiano”, cioè aumentando il deficit, per raggiungere la piena occupazione, restituendo fiducia e sicurezza ai lavoratori statunitensi precarizzati da decenni di delocalizzazioni selvagge. Sulle imminenti presidenziali di novembre, Magaldi è ottimista: «Io credo che gli americani sceglieranno ancora Trump. Non bisogna temere la vittoria di Biden: la sua sarebbe una presidenza debole, affidata a un uomo che non ha grandi capacità, ma attorno a Biden ci sarebbe comunque un collegio di amministratori che, in termini di geopolitica, proseguirebbe sulla scia tracciata da Trump». Vale a dire: mantenere l’impegno ad arginare l’espansione dell’influenza cinese in Occidente, almeno fin tanto che la Cina non accetterà di competere alla pari, adottando un regime democratico. «Io credo che Trump meriti una riconferma – sostiene Magaldi – perché ha fatto cose buone, con tutti i limiti del personaggio. E credo che gli americani andranno in questa direzione».
    Severo, invece, il giudizio di Magaldi su Giuseppe Conte, uomo vicinissimo al Vaticano. L’ex “avvocato del popolo” si è rivelato una sorta di docile strumento del partito “cinese”: lo si è visto nel modo in cui Palazzo Chigi e il Comitato Tecnico-Scientifico hanno imposto all’Italia un lockdown ultra-repressivo, modello Wuhan, ben sapendo che avrebbe fatto precipitare l’economia. Analoghe critiche a Bergoglio: imperdonabile, per Magaldi, la decisione di Papa Francesco di concedere al governo di Pechino il potere di designare i vescovi cattolici in Cina. Uno squillante avvertimento all’establishment italiano e vaticano – Conte e Bergoglio in primis – verrà ora direttamente da Pompeo, impegnato (con Trump) a preservare l’Italia dall’insidiosa influenza del “partito cinese”, cioè il gruppo di potere – largamente atlantico – che oggi avversa Trump negli Stati Uniti, e che negli anni ‘70, soprattutto attraverso un massone reazionario come Kissinger, sdoganò la Cina per farne un modello economico – di successo, ma non democratico – da proporre poi anche in Europa e in America. Magaldi (e lo stesso Pompeo) individuano l’ombra del partito “cinese” persino nell’attuale gestione “psico-terroristica” del coronavirus, emergenza gonfiata dai media e utilizzata per comprimere la libertà e rendere permanente la riduzione dei diritti sociali e civili.
    Dopo la visita di Pompeo – destinata a lasciare il segno – Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle sollecitazioni “rooseveltiane”. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda», spiega Magaldi, riferendosi alla tornata elettorale del 20-21 settembre. La visita romana di Pompeo, ribadisce Magaldi, contribuirà a rimescolare ulteriormente le carte, in uno scenario dominato dal caos: governo fragilissimo e in fibrillazione per le elezioni regionali e il referendum, mentre il paese – fermato da Conte per quasi tre mesi – paga un prezzo altissimo, in termini di perdita economica, senza che l’esecutivo abbia saputo indicare una via d’uscita credibile.
    Il grande problema – l’emergenza sanitaria globale, declinata in modo catastrofico in Italia grazie a Conte – viene letto, da Magaldi, in termini geopolitici: e se è stato proprio il partito “cinese” a trasformare un virus in tragedia globale, esponendo l’Italia a pericoli gravissimi per la tenuta del suo sistema socio-economico, la risposta può venire oggi da Mike Pompeo (e domani da Mario Draghi, che ha proposto un Piano-B già a marzo, sul “Financial Times”: emissione illimitata di denaro, che non si trasformi in debito). Dando per probabile la riconferma di Trump, all’orizzonte il progressista Magaldi individua «quel Robert Francis Kennedy Junior, che col suo discorso a Berlino ci ha scaldato il cuore, ricordando che ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica». Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy «rappresenta una speranza di un “upgrade” significativo, nei prossimi anni, anche nella conduzione della grande democrazia americana».

    «Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».

  • Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka

    Scritto il 17/9/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
    Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.
    Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.
    La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.
    La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.
    (Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama”, settembre 2020).

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.

  • Bizzi: i massoni italiani? Morti nel lockdown, arresi al potere

    Scritto il 23/8/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Questo mio articolo a molti non piacerà, ma sinceramente non me ne curo. Non piacerà, in primis, a molti “complottari” della domenica, abituati – per pregiudizio, per ignoranza o per condizionamenti ideologici – a vedere ovunque lo zampino del famigerato “complotto giudaico-massonico” e a considerare la Libera Muratoria l’origine e la causa di ogni male. Certi soggetti, al pari di molti “covidioti” dei nostri giorni, difficilmente sono recuperabili alla ragione, a meno che non si facciano un corso accelerato di Storia (la Storia quella vera, con la “S” maiuscola). Non piacerà, in secondo luogo, anche a molti Liberi Muratori, o presunti tali, soprattutto a quelli che boriosamente si autodefiniscono “Costruttori di Cattedrali”, ma che in realtà sono “visitatori di cattedrali” la cui cattedrale interiore, quella dello Spirito, è assai meno solida di due mattoncini Lego assemblati al contrario. Più che ai primi, quindi, mi rivolgerò proprio ai secondi. Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere, su Facebook e su altre piattaforme, delle animate discussioni aperte da alcuni Fratelli i quali, mentre l’Italia sta sprofondando sempre di più in una dittatura orwelliana in salsa tecnocratico-cinese, invece di allarmarsi e di indignarsi per il fatto che la nostra Costituzione venga ignobilmente e impunemente ogni giorno calpestata dal peggiore governo che il nostro paese abbia mai subito, indovinate un po’ di cosa si preoccupavano? Della fantomatica presenza di “fascisti” all’interno delle logge!

  • Paltrinieri: l’Italia risorga, sarà lei a battere il Deep State

    Scritto il 10/8/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Altro che paese a rischio, l’Italia è una corazzata. Come ben detto da Banca d’Italia, fra denaro, titoli e asset fisici, il popolo italiano (non le banche) detiene 10.000 miliardi di euro di risparmi, 4 volte tanto il famigerato debito pubblico. Gli altri paesi sono messi al contrario: debito pubblico più basso ma cittadini super-indebitati. Quindi, per distruggerla bisogna portarla a uno stato di impoverimento pari a quello in cui, durante il regime fascista, la gente andava a donare le fedi per la patria. E l’unica maniera per contrastare questo disegno è rifondare tutto sulla base dell’unico collante esistente, lo spirito cattolico». Non usa mezze misure, Flavio Robert Paltrinieri, italoamericano, una vita da imprenditore e a capo di diverse società nel mondo e anche parte della task-force internazionale che vuole far rinascere la Democrazia Cristiana come una nuova Dc. E ci rivela la malattia e la cura, ovvero il disegno in atto da parte del cosiddetto Deep State e la maniera per smontarlo. Soprattutto, ci rivela che non sono gli Usa il simbolo del mondo libero che va distrutto, ma l’Italia. Ma cos’è, esattamente, il Deep State? E quando è iniziato lo strapotere della finanza internazionale?

  • Silverstein: è stato Israele a bombardare il porto di Beirut

    Scritto il 07/8/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio,  sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevao, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.
    Ovviamente è inconcepibile che gli agenti israeliani non si siano curati di appurare tutto ciò che riguardava il loro obiettivo, incluso ciò che si trovava nelle immediate vicinanze. La tragedia che Israele ha provocato è un crimine di guerra di immensa grandezza. La Corte Penale Internazionale ha già stabilito di indagare su Israele per i crimini di guerra commessi a Gaza nel 2014 durante Protective Edge. Ora, immagino che amplierà la portata delle indagini, includendo il criminale massacro, causato da negligenza, del 4 agosto. Sebbene Israele abbia regolarmente attaccato Hezbollah e depositi e convogli di armi iraniani in Siria, raramente ha intrapreso attacchi così sfacciati all’interno del Libano. Questo attacco nella capitale del paese segna un’escalation maggiore. La pura incoscienza di questa operazione è sorprendente. Un’operazione di questo tipo può avvenire solo in mezzo a disfunzioni politiche interne. Bibi (Natanyahu) è alle corde, e cerca disperatamente di cambiare argomento. Quando i suoi ufficiali dell’intelligence gli hanno portato il piano, probabilmente si è fregato le mani con gioia e ha detto: «Vai!».
    L’intelligence israeliana era naturalmente pronta a soddisfare il capo, e probabilmente ha “smussato” gli angoli per portare a termine l’attacco. Quando nessuno al volante dice “stop”, la barca colpisce un iceberg e affonda. Questo è probabilmente quello che è successo in questo caso. L’attentato israeliano ne richiama alla memoria altri simili, orchestrati dai suoi agenti a Beirut nel periodo precedente e successivo all’invasione del 1982. Il libro di Ronen Bergman sugli omicidi del Mossad, come pure Remy Brulin, hanno documentato molteplici attentati israeliani, durante questo periodo, che hanno provocato molte morti e distruzioni ai danni della popolazione civile della città. In questo caso, il danno è stato accidentale, ma questo non sarà di conforto per le migliaia di abitanti di Beirut, le cui vite sono diventate un inferno vivente a causa di questo crimine israeliano. Per inciso, l’ex membro della Knesset per il Likud, Moshe Feiglin, ha twittato una citazione della Bibbia sul disastro: «Non ci sono mai stati giorni così grandi in Israele come il 15 di Av [il giorno dell'attentato] e lo Yom Kippur».
    Certo, mi duole ammettere che il presidente Trump aveva ragione nella sua affermazione che l’esplosione è stata «un attacco terribile», e che l’informazione gli era stata trasmessa dai «suoi generali». In questo caso, avevano ragione loro. Potrebbero (e dovrebbero) esserci ripercussioni politiche interne, per questo disastro. Quando Netanyahu ha approvato l’attacco, è divenuto responsabile delle conseguenze. Nel 1982, una commissione d’inchiesta trovò Ariel Sharon colpevole dell’invasione del Libano e del massacro di Sabra e Shatila. Fu mandato in esilio politico per un decennio. Per lo meno, questo dovrebbe escludere Bibi dal guidare il paese. Questo sarebbe il risultato in qualsiasi nazione democratica in cui il leader fosse ritenuto responsabile dei suoi fallimenti. Ma ahimè, Israele non è un paese del genere, e Bibi sembra sempre riuscire a sottrarsi alle responsabilità per i suoi errori. La differenza adesso è che il leader israeliano è già sotto pressione, a causa della disastrosa risposta del suo governo al Covid-19 e dell’incombente processo per corruzione, con tre capi d’accusa. Questo potrebbe essere il punto di svolta.
    Normalmente, gli israeliani non batterebbero ciglio di fronte a un simile massacro. Sono affascinati dalla sofferenza che infliggono ai loro vicini arabi. Ma data la decrescente popolarità di Netanyahu, questo accadimento potrebbe accelerarne la fine. Israele non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per infliggere tale sofferenza al Libano. Il paese è in profonda crisi economica. Le aziende falliscono, le persone non hanno nulla da mangiare, i politici litigano e si incolpano a vicenda, mentre non fanno nulla. Il Libano è come un cestino da basket. La sofferenza è ovunque. C’è poco interesse da parte dei suoi fratelli arabi, come l’Arabia Saudita, ad andare in suo aiuto. Se un paese non aveva bisogno di questa tragedia aggiuntiva, questo è il Libano. Ma ecco qui: Israele non sembra avere alcun senso di vergogna o moderazione quando si tratta di infliggere dolore ai suoi vicini. Naturalmente ci saranno degli scettici, persone che non crederanno alla mia fonte. Ma a loro faccio notare due evidenze.
    Di solito, se Israele ha intrapreso con successo un attacco terroristico (come quelli contro l’Iran), o rifiuterà di commentare, oppure una figura militare o politica di alto livello dirà qualcosa del genere: «Noi rifiutiamo di commentare, ma intanto qualcuno ha fatto un favore al mondo». In questo caso, Israele ha immediatamente negato ogni responsabilità. Perfino Hezbollah avrebbe detto che Israele non aveva causato il danno (probabilmente per proteggersi dall’inevitabile colpa di aver conservato le sue armi accanto a un edificio pieno di materiale esplosivo). Il secondo segnale rivelatore è che Israele non offre mai aiuti umanitari ai suoi vicini arabi. Durante la guerra civile siriana, l’unico gruppo a cui Israele offrì assistenza umanitaria furono i suoi alleati islamisti anti-Assad. Israele non ha mai offerto aiuti del genere in Libano, fino ad oggi. Ha invece causato decenni di morte e distruzione. Farlo ora è degno della sua faccia tosta.
    (Richard Silverstein, “Israele ha bombardato Beirut”, dal blog di Silverstein del 4 agosto 2020; post tradotto e ripreso l’indomani da Paola Di Lullo su “L’Antidiplomatico”. Silverstein, giornalista e blogger ebreo-americano, si definisce un «sionista progressista (critico)» che sostiene un «ritiro israeliano ai confini pre-67 e un accordo di pace internazionalmente garantito con i palestinesi». La stessa di Lullo segnala tre indizi: un video postato da “Repubblica”, in cui si vede un oggetto volante nero che lascia la zona, e i sospetti dell’esperto Danilo Coppe, intervistato dal “Corriere della Sera” e da “Fanpage”).

    Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio,  sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevano, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.

  • Rispunta Draghi, e brucia un’altra cattedrale in Francia

    Scritto il 19/7/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.
    E’ il secondo incendio, nel giro di un anno, che colpisce una cattedrale francese: il 15 aprile 2019 andò in fumo il tetto di Notre Dame de Paris, monumento-simbolo della capitale e grandiosa chiesa di origine templare consacrata alla Maddalena, patrona della Francia, paese che ancora oggi coltiva la memoria leggendaria del presunto sbarco in Camargue, a Sainte-Marie-de-la-Mer, delle “Marie venute dal mare”, dopo i fatti di Gerusalemme, a diffondere il cristianesimo in Europa. Una missione che si vuole propiziata dal misterioso Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che secondo la tradizione evangelica riscattò da Pilato le spoglie del Nazzareno dopo la crocifissione. Un evento su cui in tanti hanno ricamato storie, fino al “Codice da Vinci” di Dan Brown, ipotizzando una discendenza terrena di Jeoshua-Gesù. Il templarismo, che sognava una sorta di unità europea ante litteram basata sul superamento delle frontiere, custodiva probabilmente il ricordo della primissima Chiesa cristiana, quella di Giacomo, lungo la rotta del “campo di stelle” (Compostela), un tratto di Via Lattea destinato a unire idealmente Gerusalemme a Roma. Sulle rive del Tevere, invece, in capo a tre secoli si sarebbe poi insediato il potere cattolico, per volere dell’imperatore Costantino: una solidissima burocrazia religiosa basata sull’alleanza – storicamente infondata – degli apostoli Pietro e Paolo, quelli a cui è dedicata la cattedrale di Nantes ora colpita dalla furia incendiaria.
    Era l’8 aprile 2020 quando prese fuoco, a Città della Pieve, il tetto della dimora umbra di Mario Draghi: dell’ex presidente della Bce si parlava con insistenza, come possibile successore di Giuseppe Conte. A fine marzo, con una clamorosa lettera pubblicata dal “Finacial Times”, Draghi aveva annunciato una svolta copernicana per uscire dalla crisi economica prodotta dall’austerity europea e aggravata dal lockdown imposto in occasione del coronavirus. La sua ricetta: emissione illimitata di moneta, per soccorrere Stati, aziende e famiglie con aiuti immediati e a fondo perduto. In passato artefice di primissimo piano dell’euro-sistema basato sul rigore finanziario, Draghi ha compiuto un dietrofront inaudito, richiamandosi al New Deal di Roosevelt e alla lezione di Keynes basata sull’intervento diretto dello Stato nell’economia. Afferma Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014): già distintosi tra i massimi leader del fronte massonico reazionario, protagonista del neo-feudalesimo europeo basato sull’austerity, Draghi ha abbandonato i circuiti massonici “neoaristocratici” per essere accolto nei ranghi della massoneria sovranazionale “progressista”, che predica la fine dell’attuale governance Ue dominata da oligarchie finanziarie neoliberiste e post-democratiche. Si tratta di un network massonico sovranazionale che, secondo Magaldi, è lo sponsor occulto del nuovo superpotere globale cinese, vero protagonista dell’evento-Covid interpretato come laboratorio anche sociale, fondato sulla sospensione delle libertà occidentali.
    Sui giornali, lo stesso Draghi è tornato il 10 luglio scorso, quando Papa Francesco lo ha nominato tra i membri eccellenti della prestigiosa Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: un “endorsement” decisamente vistoso, che sembra preludere a un imminente ingresso di Draghi alla guida dell’Italia. Evento che pare confermato dai recenti, reclamizzati colloqui con politici italiani, tra cui lo stesso Di Maio, proprio mentre Giuseppe Conte (vicinissimo all’Oltretevere) annaspa ancora nella palude di Bruxelles, senza riuscire a portare a casa alcun risultato utile a risollevare l’economia nazionale, ormai in stato di drammatica emergenza. Segnali incrociati: luce verde a Draghi, che in ultima analisi punterebbe al Quirinale dopo Mattarella, e fuoco doloso – ancora – ad accompagnare, in qualche modo, il ritorno sulla scena pubblica dell’ex banchiere centrale europeo? E’ forse un oscuro messaggio indirizzato al Vaticano, il rogo della cattedrale consacrata a Pietro e Paolo in un paese come la Francia, oggi retto dall’oligarca Macron, già banchiere della scuderia Rothschild? Semplici coincidenze, curiose analogie o precise suggestioni cifrate? Solo due anni fa, Bergoglio accolse Macron in Vaticano con tutti gli onori, proprio mentre il presidente francese conduceva un durissimo attacco contro il governo italiano, allora “gialloverde”, col pretesto della politica contro i migranti (a cui però la Francia, per prima, aveva chiuso le frontiere).
    Negli ultimi anni, sempre la Francia è stata al centro di eventi oscuri come l’opaco “neoterrorismo” targato Isis, dalla strage di Charlie Hebdo (gennaio 2015) alla carneficina di Nizza (14 luglio 2016), passando per la mattanza del Bataclan. Identico il copione: il terrorista spara sulla folla – mai sui simboli del potere – per poi essere ucciso dalle forze di sicurezza, prima di poter essere interrogato. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016) il simbologo Gianfranco Carpeoro ha svelato la precisa simbologia – non islamica, ma massonica – dietro a quei sanguinosi attentati europei, imputati a una torbida “sovragestione” favorita da settori dell’intelligence, come quelli risultati coinvolti nel fornire le armi al commando di Charlie Hebdo (da cui la decisione del governo francese di “tombare” le indagini sul caso, apponendo il segreto di Stato). Oggi, l’Europa vive un momento decisivo: l’Italia, allo stremo, chiede soccorso all’Ue degli oligarchi ma rimedia l’ennesimo rifiuto, con l’alibi dell’intransigenza olandese. Nel frattempo, Mario Draghi si scalda in panchina, anche col placet del Papa. E pochi giorni dopo va a fuoco la cattedrale di Nantes. Il rogo è doloso: gli inquirenti hanno rinvenuto tre inneschi. Dal canto suo, Magaldi annuncia: sono in vista rivolgimenti epocali, nel mondo massonico fino a ieri dominato dall’ala reazionaria, fautrice del rigore. C’è dunque un nesso, con gli incendi? Nel paese più amato dai neo-terroristi, c’è chi fa sapere di non gradire l’ipotetica svolta che si preparerebbe?

    Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.

  • Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende

    Scritto il 24/6/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?
    Lo scorso 26 aprile l’Italia ha perso uno dei suoi osservatori più scomodi, Giulietto Chiesa: emarginato come complottista, quasi che i complotti non esistessero. Davvero? La Guerra del Vietnam esplose dopo l’incidente del Golfo del Tonchino; nel 1964, gli Usa accusarono la marina nordvietnamita di aver attaccato l’incrociatore statunitense Uss Maddox. Ci ha messo quarant’anni, la verità, a emergere: nel 2005, tramite la Nsa, l’intelligence di Washington ha finalmente ammesso che quello scontro navale non era mai avvenuto: era solo una fake news, per inscenare il casus belli. Molto più recentemente, siamo stati capaci di invadere l’Iraq, disastrando un’area che poi sarebbe diventata il brodo di coltura del cosiddetto terrorismo “islamico”, grazie alla maxi-bufala mondiale delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. Era anche quella un’invenzione, rilanciata in mondovisione dalla “fialetta di antrace” agitata all’Onu da Colin Powell.
    La preparazione della realtà virtuale da somministrare al pubblico era stata accuratissima, come sempre. Il britannico Tony Blair, in primis, si era dato da fare per accreditare la bufala, in collaborazione con l’intelligence (anche italiana) che fabbricò la falsa pista del Nigergate, in base alla quale il regime di Baghdad – già armato dagli Usa contro l’Iran, anni prima – avrebbe cercato di approvvigionarsi di uranio in quel paese africano. Non che qualcuno possa rimpiangere (a parte molti iracheni, forse) un regime dispotico come quello di Saddam. Ma possibile che loro, i “padroni del discorso”, debbano ricorrere in modo sistematico alla manipolazione, fondata su clamorose menzogne, per ottenere il consenso necessario a supportare grandi cambiamenti? Non potrebbero autorizzare i nostri governanti a dire semplicemente la verità, ancorché sgradevole? Gliene manca il coraggio?
    Retropensiero: se tanto impegno viene profuso per raccontare il contrario del vero, non viene il sospetto che la nostra opinione in fondo conti parecchio, nonostante si cerchi di declassarla a fenomeno irrilevante? Certo, votiamo inutilmente: i partiti – tutti – poi si piegano sempre a direttive sovrastanti. Parla da sola la vicenda incresciosa dei 5 Stelle, che hanno tradito per intero le loro promesse elettorali. Idem, la storia tutta italiana dei recenti referendum: regolarmente celebrati, ma poi ignorati; il risultato quasi mai applicato, spesso annacquato se non aggirato e sostanzialmente azzerato. Eppure: se il cosiddetto potere ormai scavalca impunemente la democrazia, mortificandola e sterilizzandola nei suoi effetti, perché si affanna così tanto a imporci la sua narrazione disonesta? Non sarà che teme, nonostante tutto, che prima o poi possa insorgere una reazione, da parte del pubblico?
    Negli anni Ottanta, agli italiani è stato raccontato che era meglio che Bankitalia smettesse di finanziare direttamente lo Stato, a costo zero: era più trendy avvalersi della finanza privata speculativa, pagandole i salatissimi interessi che fecero esplodere di colpo il famoso debito pubblico. Negli anni Novanta, i medesimi narratori hanno cantato le magnifiche sorti e progressive della sottospecie deforme di Unione Europea fabbricata a Maastricht, quella che oggi impedisce all’Italia – devastata dalle conseguenze del lockdown – di rimettere in piedi le aziende che non riescono a riaprire o che chiuderanno tra poco, quelle che licenzieranno i dipendenti in autunno, quelle che scapperanno all’estero o, meglio ancora, si svenderanno agli attuali committenti esteri, specie tedeschi, prima di cedere il timone al capitale cinese o alla mafia nostrana, che già pregusta il banchetto.
    Tutti a ridere, nel 2020, quando Giulietto Chiesa scrisse – per primo – che non era possibile credere alla versione ufficiale dell’11 Settembre. Ora la voglia di ridere è passata, dopo che i pompieri di New York hanno cercato di far riaprire le indagini, in base alle loro testimonianze personali e alle evidenze scientifiche schiaccianti fornite dai tremila ingegneri e architetti americani del comitato “Verità sull’11 Settembre”: le torri di Manhattan non potevano crollare in quel modo, su se stesse e in pochi secondi, se non fossero state “minate” ben prima dell’impatto degli aerei. Una cosa però è la verità, e un’altra il suo sdoganamento. Tanto per cominciare, certe verità sono troppo indigeste: se anche venissimo scoperti, dicevano i nazisti, nessuno crederà mai che siamo stati capaci di inventarci una cosa come Auschwitz. E’ un fatto che la mente umana, semplicemente, non accetta. La prima risposta è invariabile: non può essere vero, mi rifiuto di crederlo.
    Il tempo è galantuomo, si dice; solo che se la prende comoda. Caso classico: John Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Tuttora, le fonti manistream – da Wikipedia in giù – seguitano a incolpare Lee Harvey Oswald, presentato come una specie di squilibrato solitario, confinando nelle “ipotesi cospirazionistiche” la nuda verità dei fatti, fiutata da subito ma emersa solo quando l’allora numero due della Cia, Howard Hunt, scomparso nel 2007, ha confessato in punto di morte che quello di Dallas fu un complotto del Deep State, attuato attraverso varie complicità: la Cia, l’Fbi, la manovalanza della mafia di Chicago e ben tre futuri presidenti degli Stati Uniti (Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush). A sparare a Kennedy non fu Oswald, ma il mafioso Chuck Nicoletti. Ma a far saltare il cervello al presidente della New Frontier fu il killer di riserva, James Files: reo confesso, tuttora detenuto per altri reati e mai interrogato, su quei fatti, da nessun magistrato.
    Di Kennedy ha riparlato due mesi fa il grande Bob Dylan, con l’epico brano “Murder Most Foul”. L’omicidio di Dallas messo in relazione addirittura con il coronavirus: come se la pandemia che ha paralizzato il mondo nascesse da una regia occulta, direttamente ispirata dagli eredi dei criminali al potere che organizzarono il complotto costato la vita a Jfk. Il 19 giugno è finalmente uscito “Rough and Rowdy Ways”, il disco che contiene la denuncia kennedyana: non si contano gli elogi che la grande stampa profonde per quest’opera musicale del 79enne Premio Nobel per la Letteratura, ma nessun giornalista s’è peritato di scavare tra le righe per decifrare il codice esoterico attraverso cui Dylan lancia un’accusa esplicita, accennando al 33esimo grado che contrassegnava i massoni oligarchici e reazionari che vollero spegnere il sogno di un mondo libero, giusto mezzo secolo fa.
    Quanto ci vorrà, ancora, prima che un nuovo Howard Hunt confessi il suo ruolo nella strage dell’11 Settembre? Meno di quanto si pensi, forse, calcolando la velocità della crisi in corso e il prestigio dei personaggi che, in vario modo – da Dylan a Mario Draghi, fino a Christine Lagarde e Joseph Stiglitz – si stanno mettendo di traverso, rispetto al copione (emergenza, dunque crisi) messo in scena a livello planetario con la presunta pandemia frettolosamente dichiarata da una strana Oms, supportata dalla Cina. Proprio l’Oms ha provato a imporre ovunque il modello Wuhan, lockdown e coprifuoco, anche a paesi come l’Italia: non avendo più sovrantià finanziaria, a differenza di Pechino, noi non ce lo possiamo proprio permettere, un blocco di tre mesi che già quest’anno costerà 15 punti di Pil e chissà quanti milioni di disoccupati. Questo, almeno, è quello che sta finalmente emergendo, giorno per giorno, agli occhi di tutti: non è stato un affare, rinunciare a Bankitalia. E non era d’oro, la promessa europea che i super-privatizzatori come Prodi avevano fatto luccicare.
    Unire i puntini? Non è mai facilissimo, specie in mezzo al frastuono assordante di un mainstream che tace l’essenziale e ridonda di gossip politico irrilevante. In primo e piano, ora e sempre, la superficie epidermica della realtà: viene esibita la rozzezza retorica e spesso inaccettabile di Donald Trump, mettendo in ombra il cuore del fenomeno. Un vero e proprio incidente della storia, che ha proiettato alla Casa Bianca un outsider incontrollabile, capace di imporre uno stop alla super-globalizzazione che ha schiantato i lavoratori americani. Istrionico, ambiguo, già aggregato ai democratici, nel 2016 Trump s’è travestito da repubblicano sui generis, riuscendo a fermare il pericolo pubblico numero uno, Hillary Clinton, grande sponsor della nuova guerra fredda contro la Russia. Poi Trump – teoricamente, “di destra” – ha fatto cose che la sinistra (americana ed europea) si poteva solo sognare, negli ultimi decenni: ha dimezzato le tasse e raddoppiato il deficit. Risultato: disoccupazione azzerata. Infine, ha imposto uno storico stop – con i dazi – alla creatura preferita dei globalizzatori atlantici più reazionari e guerrafondai: la Cina.
    Manco a dirlo, l’emergenza Covid è esplosa a Wuhan un minuto dopo il “niet” inflitto da Trump a Xi Jinping, facendo dilagare la crisi giusto alla vigilia delle presidenziali americane. Come dire: è in gioco qualcosa di enorme, due versioni del mondo. La prima ce l’hanno fatta intravedere anche i prestanome italiani del governo Conte, peraltro non ostacolati minimamente dall’altrettanto farsesca opposizione: lockdown e niente aiuti, repressione orwelliana, distanziamento, mascherine, panico amplificato (bare sui camion militari) e cure efficaci contro il Covid regolarmente oscurate, emarginando i medici che per primi erano riusciti a sconfiggere il nuovo morbo, trasformandolo in malattia normalmente curabile. La seconda ipotesi di mondo – quella per la quale morì Kennedy – è tutta da difendere e da ricostruire, dopo il “golpe” mondiale della finanza neoliberista che s’è inventata persino l’eurocrazia stracciona che impoverisce i popoli e oggi li avvelena, mettendoli l’uno contro l’altro. Di Nuova Frontiera, probabilmente, si può riparlare solo se rivince Trump: se invece perde, prepariamoci a farci spiegare da Bill Gates come sarà la nostra vita domani.
    (Giorgio Cattaneo, “Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 giugno 2020).

    Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?

  • Abbiamo un problema: siamo in guerra, ma non lo vediamo

    Scritto il 18/6/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Houston, abbiamo un problema. Il pubblico si spella le mani, pro o contro i suoi gladiatori di cartapesta, mentre là fuori impazza una specie di guerra mai vista, spaventosa, insidiosissima perché subdola: c’è in giro un killer, travestito da infermiere. Ha anche aperto una macelleria sfrontata, fino a ieri impensabile: e il peggio non è neppure la disinvoltura delle amputazioni senza anestesia (le pagine oscurate, i blog censurati, i video desaparecidos), ma il fatto che metà del pubblico sbeffeggi come vittimisti e inguaribili visionari gli autori delle denunce “bannate”, cancellate con un colpo di spugna. E’ il pubblico che trova normale che nell’anno 2020 dopo Cristo, non in Corea del Nord ma in un paese dell’Unione Europea, il governo istituisca una sorta di Ministero della Verità, senza vergognarsi di filtrare le informazioni destinate ai sudditi, a loro volta ben divisi in due ostinate tifoserie cementate da un rancore surreale, fuori luogo. Che il genere fantasy sia forse il più appropriato, per descrive l’attuale situazione psico-politica, lo suggerisce il lessico usato da un cardinale nel promuovere Donald Trump come “figlio della luce”, nemico del tenebroso Deep State che usa questa stranissima emergenza sanitaria per imprigionare il mondo nel cerchio magico della paura, oscurando l’orizzonte di una libertà democratica erroneamente data per scontata, ormai al sicuro per sempre.

  • Magaldi: avviso a Conte, in autunno la Rivoluzione Italiana

    Scritto il 12/6/20 • nella Categoria: idee • (3)

    E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».
    «E’ vero, le élite le progettano: ma poi le rivoluzioni le fa la gente, se capisce che deve scendere in strada al momento giusto. Che nel nostro caso si sta rapidamente avvicinando», assicura Magaldi. «Parlo di un riscatto nazionale, civile ed economico: in palio c’è l’Italia, esattamente come nel Risorgimento, di cui il 20 settembre 1870 rappresenta l’epilogo, con la conquista di Roma». Premessa: il presidente del Movimento Roosevelt, entità metapartitica nata nel 2015 per tentare di rimettere insieme i cocci della politica italiana, di massoneria se ne intende. «Il mondo in cui viviamo è stato interamente progettato da massoni: lo Stato diritto, le istituzioni laiche, il suffragio universale. La democrazia non ce l’ha portata la cicogna: è stata un’idea dei massoni che nel ‘700 rovesciarono l’Ancien Régime, in Francia e in America, dando inizio alla modernità politica». Queste cose, Magaldi le ha ricordate nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Un bestseller italiano, trasformatosi in long-seller e – dice l’autore – costato il trono a Giorgio Napolitano, nientemeno, indicato come appartenente alla superloggia “Three Eyes”.
    Grande regista, Napolitano, dell’imbarazzante operazione (interamente massonica) che portò il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi con l’incarico di inguaiare il paese, tagliando la spesa sociale e quindi determinando deliberatamente una crisi terribile, tale da far crollare il gettito fiscale fino a far esplodere il debito pubblico. Obiettivo: rendere l’Italia sempre più debole, facile preda dei suoi avidi “becchini”. Francia e Germania? «Non esattamente: si tratta di gruppi apolidi, supermassonici, che usano in modo cinico le istituzioni – Ue, singoli paesi – per i loro scopi inconfessabili, speculativi e privatistici. E’ un’élite sovranazionale, economicamente neoliberista e politicamente reazionaria, post-democratica». Di fronte a questo, avverte Magaldi, le antiche distinzioni ideali (destra-sinistra) non contano più niente, da quando – archiviate le ideologie – i politici della sinistra si sono rassegnati, proprio come quelli della destra, ad eseguire ordini impartiti dall’alto: dalla stessa élite senza patria che, dagli anni Settanta in poi, ha cominciato a “smontare” la democrazia sociale dei diritti in tutto l’Occidente, attraverso entità paramassoniche come la Trilaterale, fino ad arrivare, oggi, a guardare alla Cina come modello.
    Una società autoritaria, quella cinese, basata sulla sorveglianza orwelliana del cittadino-suddito. «Non a caso – fa osservare Magaldi – il disastro Covid è esploso a Wuhan all’indomani della cocente umiliazione inflitta a Xi Jinping dall’unico politico capace di opporsi al dilagare dell’egemonia di Pechino: Donald Trump, oggi infatti assediato dai manifestanti antirazzisti alla vigilia delle elezioni, e alle prese con la drammatica crisi economica indotta dal lockdown, che ha cancellato gli ottimi risultati ottenuti dalla Casa Bianca nel far volare l’economia americana». Beninteso: «Trump farebbe meglio ad ascoltare i manifestanti genuinamente indignati per lo scandalo del razzismo che serpeggia tra i poliziotti stratunitensi: una piaga rispetto alla quale, peraltro, lo stesso Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni non ha fatto assolutamente niente». Ma attenzione: «I manifestanti violenti sono manipolati: imputano assurdamente a Trump l’omicidio di George Floyd».
    Ecco perché, aggiunge Magaldi, sarebbe da ciechi non scorgere i manovratori: a loro, del razzismo non importa nulla. «Vogliono solo impedire che Trump venga rieletto, perché ha osato sfidare la loro “creatura”, la Cina, e anche l’opaca Oms foraggiata da Pechino, braccio operativo del “terrorismo sanitario” che ha usato il Covid come un’arma», con obiettivi plurimi: mettere ko l’economia per indebolire i politici, e confiscare – in modo inaudito, in Occidente – le libertà democratiche nelle quali siamo cresciuti. E’ una specie di inferno, quello che si sta spalancando: qualcuno sta cercando di far apparire “normale” il coprifuoco, il distanziamento, la chiusura irreparabile di aziende e negozi. Scenario che in Italia si sta traducendo nella morte civile di interi settori strategici, come il turismo. «E se domani qualcuno si inventa un altro virus, fabbricandolo in laboratorio? Che facciamo: richiudiamo tutto?». Il primo a sentire puzza di bruciato è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore (Premio Nobel per la Letteratura) a fine marzo ha messo in relazione la pandemia – e i “falsi profeti” del vaccino universale – con la cupola di potere che nel 1963 assassinò John Kennedy a Dallas. Addirittura?
    Ebbene sì. «Un’unica filiera – dice Magaldi – collega la fine dei Kennedy al manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Trilaterale di Kissinger: il primo a sdoganare il regime cinese con l’idea di farne un’alternativa, mostruosa, per un Occidente non più libero, e oggi infatti ricattato dalla paura grazie a un virus “cinese” che, in questo, è ancora più efficace del terrorismo “islamico”, anch’esso coltivato da menti massoniche». Magaldi sa di cosa parla: già “venerabile” della prestigiosa loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, oggi è il “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, circuito massonico progressista collegato con le superlogge sovranazionali più avanzate, sul piano dell’impegno sociale democratico, come la “Thomas Paine”. Altra notizia: a quel circuito appartiene lo stresso Dylan, «massone ultra-progressista, oggi sceso in campo in prima persona perché il pericolo che stiamo correndo è veramente grande: il mondo rischia di non essere più lo stesso, se gli oligarchi avranno mano libera nel gestire l’emergenza Covid a modo loro».
    La sensazione è che l’attacco sferrato – l’imposizione del lockdown “cinese”, l’avvento della nuova polizia sanitaria – sia un riflesso di autodifesa, da parte di un’élite che teme di perdere il potere. Parlano da sole le clamorose diserzioni in atto, ai piani alti, tutte annunciate con largo anticipo proprio da Magaldi: Mario Draghi e Christine Lagarde hanno abbandonato il fronte reazionario (dominio finanziario, privatizzazioni) e oggi parlano un’altra lingua, insieme alla stessa dirigenza del Fmi, fino a ieri schierata dalla parte del rigore. «Fine dell’austerity», raccomandò Draghi, a marzo, sul “Financial Times”: se non si inonda l’economia di miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito, il nostro sistema produttivo crollerà. «Oggi, gli unici soldi veri che l’Italia sta ricevendo sono quelli della Bce assicurati dalla “sorella” Lagarde», sfidando i falchi tedeschi. E’ così l’importante, l’Italia? Eccome: «Ci crediate o meno, è il luogo in cui si combattono e si combatteranno alcune battaglie decisive per la democrazia e la libertà, per il futuro della globalizzazione», assicura Magaldi.
    Spiegazione: fuggita la Gran Bretagna, in Ue – a parte il Belpaese – restano solo due grandi player, Germania e Francia: ma i rigidi assetti politici di Berlino e Parigi non consentono margini di manovra. Che l’Italia fosse l’unico laboratorio possibile, per riformare la governance continentale, lo si era già visto nel 2018, col Parlamento nel caos dopo il voto: il boom dell’incognita 5 Stelle, il Pd umiliato tra le macerie del renzismo (riformatore solo a chiacchiere) e l’impennata della Lega, ad archiviare l’obsoleto centrodestra. Come sarebbe andata a finire lo si capì da subito: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare», proclamò l’eurocommissario tedesco Günther Oettinger, «massone reazionario», mentre lo spread saliva prontamente. Poteri forti: «Fu Bankitalia – dice Magaldi – a convincere Mattarella a negare il ministero dell’econonia a Paolo Savona, che era lì apposta per provare a cambiare le regole che ci penalizzano da decenni». Il resto è cronaca: lo stesso Salvini la buttò in caciara enfatizzando il problema-migranti, per nascondere il fallimento gialloverde. «Lui e Di Maio dovettero ingoiare il rospo: a loro, Bruxelles non concesse neppure un irrisorio incremento del deficit».
    Unico accenno di riforma, l’alleggerimento fiscale vagheggiato dal leghista Armando Siri, messo però fuori gioco da un semplice avviso di garanzia. «Salvini si arrese, staccando la spina». Elezioni? Macché: i 5 Stelle – pur di non perdere la poltrona – si aggrapparono al «partito di Bibbiano», abbracciando uno Zingaretti che, fino a tre giorni prima, giurava: «Mai, con quei populisti». Cambiarono i suonatori, ma non lo spartito: ancora e sempre rigore, vigilato dall’emissario di turno dei soliti poteri (Roberto Gualteri, Pd, forgiato dall’eterna tecnocrazia di Bruxelles). Obiettivo: tirare a campare, in un’Italia sempre più precaria e impoverita, senza nessuna speranza nell’unica svolta politico-economica ormai drammaticamente indispensabile: la rottamazione della grande bugia neoliberista, del debito pubblico come colpa nazionale. «Il “fratello” Draghi si è ricordato delle sue origini, citando il New Deal di Roosevelt: senza un massiccio intervento statale, l’economia frana nella spirale della crisi». E’ la lezione di Keynes, oggi rispolverata dal fronte massonico progressista che si oppone alle restrizioni catastrofiche imposte con l’alibi del Covid, tra le mille opacità della gestione italiana della pandemia più strana e più sospetta della storia. Un disastro, per gli italiani. Ma per “Giuseppi”, una grande occasione.
    Il piccolo, oscuro “avvocato del popolo” – mai sentito nominare da nessuno, prima del 2018 – si è trasformato di colpo in mini-dittatore, miracolato dal coronavirus proprio quando il suo governicchio incolore stava per cadere. «Conte ha sbagliato tutto quello che poteva: ha agito in ritardo nel creare zone rosse e ha permesso la grande “fuga” dalla Lombardia contaminata, poi ha chiuso gli italiani in casa facendo crollare l’economia e in più li ha lasciati senza aiuti: c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione». Su che pianeta vive, il Conte che l’11 giugno si è stupito di essere accolto in piazza al grido di “buffone”? Ci tiene proprio, a replicare le gesta delle varie Maria Antonietta della storia? Non si era accorto, che l’esaperazione popolare sta per esplodere? Cattive notizie, per “Giuseppi”: un sondaggio di inizio giugno svela che è Mario Draghi l’italiano che oggi riscuote più fiducia. «Credo che a volte la storia sia sarcastica, ironica, beffarda», commenta Magaldi. «Il Conte che convoca gli Stati Generali, richiamando la Francia del ‘700, non sa che quell’assemblea portò direttamente alla rivoluzione contro chi l’aveva convocata?».
    «La storia dell’appello agli Stati Generali non andrà a finire bene nemmeno stavolta», dice Magaldi in web-streaming su YouTube. Una pessima suggestione storica: «Chi li aveva convocati nel 1789 credeva di poter manipolare il popolo, fingendo di concedere una consultazione vasta per il bene collettivo: in realtà si volevano propinare le solite ricette, che non concedevano significative riforme – economiche, politiche e sociali». La storia si ripete? «A un sempre più stralunato Giuseppe Conte (e ai suoi consigliori ancor più stralunati, tanto per le questioni comunicative che per quelle economiche e legislative), quella storia avrebbe dovuto consigliare di scegliersi un altro titolo, per questa convocazione», aggiunge Magaldi. «Ma credo ci sia una sorta di “cupio dissolvi”: ognuno persegue il proprio destino – e questo vale anche per Giuseppe Conte e i suoi, che avranno un destino di disfatta. Dunque, se ci sono gli Stati Generali, andranno a finire come nel caso della Rivoluzione Francese. E’ davvero uno scivolone clamoroso: significa quasi attribuirsi in partenza un esito catastrofico, come quello degli Stati Generali parigini».
    Magaldi annuncia un ultimatim che il Movimento Roosevelt presenterà a Conte entro una decina di giorni: «Faremo una proposta precisa, facile da attuare in tempi brevissimi, per ognuno degli attuali ministeri: c’è bisogno di sostenere gli italiani, subito, con azioni chiare e immediate». Precisa Magaldi: «Noi siamo laici, non “tribali”: non ci interessa chi fa le cose che servono, l’importante è che le faccia». Conte? «Deve liberarsi – testualmente – di tutte le pervicaci e rapaci cazzate che vengono anche dal piano Colao». Privatizzare quel che ancora ci resta: «Tutte storie già viste, stroncate molto bene da Giulio Sapelli, ottimo economista italiano che tiene alta la fiaccola keynesiana: Sapelli ha ricordato che le proposte di Colao assomigliano alle cose che si insegnano nelle scuole per manager, mal digerite e certamente poco adatte alla realtà concreta». Se il governo si libererà «dalle elaborazioni irrisorie che verranno da questi Stati Generali», tanto meglio: «Non ci sarà bisogno, il 5 ottobre, di scendere in piazza». Il problema è anche come affrontarla, la piazza: Magaldi sta creando la Milizia Rooseveltiana, qualcosa che in Italia non sè ancora visto.
    «Sarà un teatro nonviolento ma fermo, scomodo e inflessibile nel denunciare quello che non va e nel proporre soluzioni ragionevoli». Milzia? Ovvio il riferimento, autoironico, al fascismo delle origini, specularmente capovolto a partire dallo slogan: “Dubitare, disobbedire, osare”, anziché “Credere, obbedire e combattere”. «Mobilitare il popolo è un’operazione complicata, difficile: la maggior parte dei manifestanti sono irrisori, nelle loro dimostrazioni di piazza». Magaldi pensa ai Gilet Arancioni di Pappalardo: «I media li sfottono, come se ormai fosse una follia il solo fatto di protestare civilmente. Ma gli obiettivi che indicano – riforme costituzionali, uscita dall’Ue e dalla Nato – richiedono decenni, a prescindere da come li si giudichi». Sul fronte opposto, c’è l’increscioso modello-Sardine: «Molto rumore per nulla: proposte irrisorie se non pericolose per la democrazia, come la pretesa della censura sui social per i ministri». Magaldi ha le idee chiare: «Non è più tempo di analisi, ma neppure di manifestazioni inutili: si sfila e si intonano cori, ma non si porta a casa niente. Vedrete: finiranno nel nulla anche le manifestazioni contro Trump».
    Da dove deriva, Magaldi, le sue sicurezze? Ovvio, dalle informazioni riservate di cui dispone: il back-office del grande potere, che oggi è spaccato in due. Da una parte il “partito del lockdown” e della polizia sanitaria, dall’altra i partigiani della democrazia. Gli uni hanno usato il sistema-Cina per forzare la mano e deformare l’Occidente, mentre i loro avversari hanno investito sul più impensabile degli alleati – l’orco Donald Trump – per sfrattare dai piani alti i supermassoni “golpisti”, travestiti da democratici. Esempi? I Clinton: Bill ha relagato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act (voluto da Roosevelt mezzo secolo prima) che impediva alla finanza speculativa di mettere in pericolo in risparmio privato. Quanto a Hillary, ha orchestrato le bolle di sapone dei vari Russiagate, obbedendo al “partito della guerra”. Di mezzo c’è stata la strategia della tensione planetaria gestita, secondo Magaldi, dalla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush: roba loro, l’11 Settembre. Bottino: il saccheggio del Medio Oriente, grazie all’alibi del terrosismo islamico.
    «Osama Bin Laden – ricorda Magaldi – fu reclutato da Zbigniew Brezisinski in funzione antisovietica ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan. Quello che pochi sanno – aggiunge l’autore di “Massoni” – è che Bin Laden fu iniziato alla superloggia “Three Eyes”, la stessa di Brzesinki e Kissinger». Poi i Bush lo dirottarono nella “Hathor”, «che più tardi affiliò anche Abu-Bakr Al Baghdadi, a cui venne dato il compito di mettere in piedi l’Isis, le stragi in Iraq e in Siria, i sanguinosi attentati in Europa». Fu lì, dice sempre Magaldi, che la piramide del potere occulto iniziò a incrinarsi: allo stesso saggio “Massoni”, forte di 6.000 pagine di documenti riservatissimi, hanno contribuito “grandi pentiti” del fronte oligharchico. Massonicamente, Magaldi li comprende: «Se sei consapevole del fatto che è stata la tua organizzazione, a fondare la modernità a colpi di rivoluzioni, un bel giorno puoi anche pensare di farne quello che vuoi, del mondo che hai fabbricato». Grave errore: «Noi progressisti li chiamiamo contro-iniziati: hanno tradito l’impegno massonico, che è per il bene di tutti, non di pochi. La loro è una filosofia: si sentono appartenenti a una sorta di “aristocrazia dello spirito”, si credono gli unici autorizzati a decidere i destini dell’umanità».
    Per questo, Magaldi li definisce neoaristocratici: «Vorrebbero ereditare il potere assoluto dell’aristocrazia di un tempo, che proprio i massoni abbatterono – in Francia, peraltro, anche con il contributo di elementi della stessa aristocrazia, e persino del clero: le logge del ‘700 erano davvero interclassiste». Discorsi che potrebbero sembrare lunari, non avessimo di fronte un tizio come “Giuseppi”, che qualcuno continua a scambiare per un politico dotato di un qualche spessore, e che ora s’è messo in testa di convocare a settembre gli Stati Generali, come quelli che nel 1789 scavarono la fossa alla corte di Parigi. Magaldi è drasticamente esplicito: «C’è un lavoro possente, condotto ai piani alti: aspettatevi di tutto, nelle prossime settimane». Qualcosa, a dire il vero, s’è già visto: in tempo di pace, non sarebbero mai circolate intercettazioni come quelle che imbarazzano Renzi (i servizi italiani utilizzati per fabbricare prove false contro Trump per il Russiagate) e che travolgono il capo dell’Anm, Palamara, impegnato a trescare col Pd per tagliare le gambe a «quella merda di Salvini», in una palude maleodorante di favori. Ma il bello deve ancora arrivare, assicura Magaldi: crolleranno pezzi interi di establishment.
    La partita italiana ha rilievo mondiale, insiste Magaldi: solo da qui si può pensare di scardinare l’attuale euro-sistema, che lascia Conte in mutande e gli italiani in bolletta persino di fronte al Covid. «Il governo va incalzato con proposte che non potrà rifiutare: soluzioni ragionevoli, da attuare subito». Giorno per giorno, gli italiani vedono la reale dimensione del dramma: il Mes è un piccolo imbroglio, il Recovery Fund resta un miraggio. Serve qualcuno che, finalmente, prenda il toro per le corna e pretenda quello che ci spetta: miliardi, per uscire dal coma. E non solo: va sfidato, una volta per tutte, il regime bugiardo dell’austerity. Nessuna legge economica vita di metter mano a una super-spesa pubblica, in tempi di crisi. Occorre agire. Se non ora, quando? «Il 5 ottobre, se Conte non ci avrà ascoltato, scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana», annuncia Magaldi. «Le nostre idee devono camminare sulle baionette (nonviolente) della nostra capacità rivoluzionaria, pacifica e gandhiana, che però si esercita in piazza».
    «Occorre mobilitare sempre più persone, in modo costante e veemente, che gridino il loro “basta”. Persone accigliate, severe. Persone che non hanno più voglia di ridere, perché c’è poco da ridere. Questo è un momento gravissimo, per le sorti dell’umanità e del popolo italiano». Non è più tempo di blog e video su YouTube, di manifestazioni innocue e velleitarie, di analisi acute e controcorrente. «Il punto vero è che poi, queste cose, devono diventano azione (nonviolenta), perché solo nell’azione ci si unisce, e si diventa popolo sovrano». L’azione vera – scandisce Magaldi – è quella di chi dice, «di fronte al potere, al popolo e a quei giornalisti che hanno ancora la schiena diritta», quali sono le cose che si potrebbero fare in uno, due o tre mesi. «La soluzione, oggi, non è nell’infinita analisi e nell’infinito racconto: arriva un momento, che è quello dell’azione». Per inciso: mezzo mondo sta osservando l’Italia, che finora a subito ogni imposizione ma sta cominciando ad agitarsi. Gli Stati Generali a settembre? Brutta storia: per Conte e Colao finirà malissimo, profetizza Magaldi. A una condizione: che a scendere in campo, finalmente, siano gli italiani. Non bastano, le élite democratiche: serve il popolo, per rivoluzionare la governance. Per chi non l’avesse ancora capito: la sgangherata Italia è l’epicentro di questo terremoto mondiale.

    E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».

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