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Archivio del Tag ‘Italia’

  • Se al Popolo delle Mascherine resta il piacere di votare No

    Scritto il 19/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli complemanente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.
    Sono sempre loro a decidere quale canzone cantare, a seconda dei momenti: il guaio, semmai, è che poi la cantiamo tutti, o quasi tutti, lasciando che siano i medesimi sceneggiatori a scegliere per noi lo spartito del giorno. I pessimisti parlano apertamente di zootecnia, sia pure evolutissima e sapientemente truccata da politica, da informazione, da entertainment culturale. E’ ancora possibile cantare fuori dal coro, entro certi limiti; al momento giusto, però, non manca mai un Vasco Rossi che sappia richiamare all’ordine, da par suo, gli eventuali indisciplinati. Di tanto in tanto, al Popolo delle Mascherine è ancora concesso l’antico lusso della celebrazione democratica, elettorale, a condizione – beninteso – che dal voto non dipenda niente di importante. Bazzecole, piccole faide tra nano-leader, guerriglie tra clan. Da Greta Thunberg a Beppe Grillo, il passo è brevissimo: ci si ritrova con Luigi Di Maio ministro degli esteri, e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. L’unico campionato vinto dal Fratello di Montalbano, per ora, è quello della vaccinazione obbligatoria più inutile del pianeta, il siero contro l’influenza, mentre i suoi fieri oppositori – il barbaro Salvini (l’energumeno al citofono) e la piccola Giorgia («sono italiana, sono cristiana») – si stringono attorno al redivivo Nonno Silvio, che spedisce in aula un fenomeno indimenticabile come Mariastella Gelmini ad aprire ufficialmente la stagione della Vaccinazione Universale Obbligatoria.
    Al Popolo delle Mascherine è consentito celebrare il rito solenne delle elezioni regionali, tra gossip e sondaggi, già pregustando l’esiziale bilancio che proporrà vincitori e vinti, come se davvero i cambi di casacca e di poltrona portassero in dote un qualche lume capace di rischiarare la lunga notte polare nella quale i sudditi sono stati abbandonati, costretti a subire eventi non spiegati, letteralmente incomprensibili, se non protetti dal segreto. «Questo governo non lavora col favore delle tenebre», ha detto l’umorista Conte, l’ometto che ha proibito la circolazione di ogni possibile notizia giungendo a imporre la supervisione di un Ministero della Verità, abilitato a vigilare e censurare, nemmeno fossimo in Corea del Nord. Un atto d’imperio madornale, scandaloso, contro il quale però non s’è levata alcuna voce, dalle redazioni: non un fiato, né dai telegiornali né dai sindacati; non una sillaba dal mitologico Ordine dei Giornalisti, sempre che esista ancora. Anzi, al contrario: tutti i cantori si sono esercitati nello stesso coro, giungendo a ostracizzare e ridicolizzare anche i Premi Nobel che avessero avuto l’impudenza di esprimere un loro libero pensiero. L’aria che tira è scurissima, nel paese delle Sardine e dei magistrati formato Palamara: forse persino Primo Levi, oggi, rischierebbe di beccarsi del negazionista.
    Si dirà che è scontato anche questo, presso i sudditi che vivono sui social e si muovono soltanto se hanno in tasca il dispositivo telefonico di tracciamento volontario personale. Tutto ovvio e normalissimo, per chi ha creduto che Barack Obama fosse una specie di Babbo Natale in versione gospel. Normale, per chi ha accolto con un bell’applauso il macellaio Mario Monti, per chi crede ancora che Romano Prodi sia una sorta di filantropo bonario, per chi pensa che la truce Angela Merkel sia meglio dell’aborrita Maggie Thatcher, la Strega del Nord (che almeno ha rovinato solo gli inglesi, lasciando in pace il resto dell’Europa). Normale, per chi ancora crede alla leggenda nera del Debito Pubblico, e pensa che la sbalorditiva solidità italiana – case, risparmi – possa andare benissimo per gli avvoltoi che sognano l’eterna patrimoniale, mentre non valga nulla per il rating dell’Ue (che tratta l’Italia come un pezzente da mettere alla porta, un povero paesucolo insolvente). Tutto normale, per chi riesce addirittura a fare il tifo per i nazi-terroristi prezzolati che portano la guerra nelle strade americane, usurpando senza ritegno persino il nome e le bandiere dell’antifascismo.
    E in fondo al tunnel, naturalmente, c’è pure un referendum. Anche questo è concesso, ai cittadini in libertà provvisoria: votare per tagliare quel poco di democrazia formale che ancora sopravvive. Massacrare il Parlamento, volontariamente: un harakiri magistrale. Poltrone oggi tristemente inutili, scavalcate da poteri decisivi, eppure ancora temute: per quello che potrebbero diventare, domani, se a occuparle fosse gente d’altra razza. Come – per dire – quel coraggioso Kennedy, capace di scuotere i dormienti con il suo appello berlinese al bene più prezioso, l’orgoglio di sentirsi liberi. I saggi dicono che non serve frugare tra i complotti, per fare l’inventario del disastro: basta e avanza lo spettacolo di un corpo elettorale rassegnato a votare ogni volta con odio, contro qualcuno, anziché per qualcosa. Accadde con Matteo Renzi, nell’improvvida chiamata alle urne che gli costò il posto. Votarono in massa, gli italiani, per zittire il fanfarone (ma nessuna alternativa era in cantiere: dopo di lui lo zombie Gentiloni, e ora addirittura Conte). Cosa farà, stavolta, il Popolo delle Mascherine? Assalterà i seggi, per punire il grottesco ducetto del Distanziamento, l’omino che ha imposto il bavaglio alla nazione? Oppure resterà a casa, davanti alla partita? O peggio: voterà convintamente per suicidare il Parlamento? L’elettore, oggi, sa di essere considerato meno di niente. Gli resta quel miniscolo potere, soltanto per un giorno: dire No. E’ poco, ma è qualcosa. La franchezza di un messaggio: non ci piace, quello che ci avete fatto.
    (Giorgio Cattaneo, “Al Popolo delle Mascherine resta una possibilità: il piacere di dire No”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 settembre 2020).

    Il minimo che ci potesse capitare, dopo aver dato retta a Greta Thunberg, era di finire confinati in casa per mesi, e poi guardati a vista come pericolosi bricconi, irresponsabili diffusori del Virus della Paura. Milioni di sguardi imbambolati davanti all’epifania scandinava della minuscola fiammiferaia, venuta a raccontarci – insieme ai tecno-narratori dell’Onu – che siamo noi, proprio noi, a surriscaldare pericolosamente il globo. Per la cronaca: è lo stesso pianeta che, solo dodicimila anni fa, passò in un battibaleno dall’inferno dei vulcani alla notte artica dei ghiacci, superando il Grande Diluvio, per poi arrivare alle temperature – più alte di quelle di oggi – dell’epoca dell’Impero Romano, quando cioè non esistevano plastiche né carbone né acciaierie. Tutti a sentire i profetici ammonimenti della piccina, mentre la Terra si riempiva di strane antenne, i cieli erano rigati da strane scie, e dai laboratori fuggivano strani virus. Antenne, scie e virus: tre vocaboli completamente assenti, nel lessico della maestrina svedese, i cui ricchissimi impresari (dalla Bank of England in giù) erano riusciti a distoglierci dal vero problema, l’avvelenamento ottuso e criminale del suolo, dell’aria e delle acque. E’ colpa vostra, cioè nostra: il Vangelo secondo Greta è lo stesso degli arconti che stabiliscono, da sempre, quanto e come crescere, quanto e come soffrire, e quando infine decrescere, impoverirsi, possibilmente sparire.

  • Obama-Hillary: guerra civile, per rubare la vittoria a Trump

    Scritto il 18/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Hillary Clinton ha annunciato aver detto a Biden di non accettare in nessun caso la vittoria di Trump a novembre prossimo. E’ chiaro infatti che Trump vincerà le prossime presidenziali Usa, dunque l’unico modo per boicottarlo è con il voto postale. Chiaro, se fosse una vittoria a valanga, il tentativo Dem sarebbe palese. Ma ormai, per quello di cui al seguito, penso non si faranno alcun problema anche ad andare anche allo scontro istituzionale in grado di travalicare verso la guerra civile. Alla fine il piano Dem era semplice, per affossare i consensi per Trump a novembre 2020: far crollare la Borsa (la vendita di marzo sui mercato fu commentata real time in Italia guarda caso dall’obamiano Mattero Renzi sulla “Cnn”), vedere crollare l’economia a -30% in un trimestre causa Covid, poi la semi-guerra civile, la rivolta dei negri finanziata da Antifa. Ossia anche – sembra – da Soros, ovvero dalla Germania, che secondo organi di stampa avrebbe addirittura finanziato come Stato direttamente il movimento di protesta dei neri negli Usa… Peccato che detto “perfetto piano” – Covid e crolli di Borsa ci sono stati – non sembri funzionare!

  • Magaldi: Pompeo a Roma avvisa i ‘cinesi’ Conte e Bergoglio

    Scritto il 17/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».
    Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge mondiali nella sovragestione del potere, Magaldi ha ammesso che, nel 2016, le Ur-Lodges progressiste appoggiarono Trump, contribuendo al suo successo. «Uno dei grandi meriti della vittoria di Trump, anzitutto alle primarie repubblicane – dice oggi Magaldi – fu quello di aver impedito che Jeb Bush arrivasse alla nomination: già di questo, il mondo dovrebbe essere grato, a Trump». Nel suo saggio, Magaldi accusa i Bush di aver promosso – attraverso la superloggia “Hathor Pentalpha” – la strategia della tensione basata sul terrorismo internazionale avviata con gli attentati dell’11 Settembre contro le Torri Gemelle. «Una filiera dell’orrore che si è prolungata con l’Isis, che ha potuto seminare il terrore in Medio Oriente durante la presidenza Obama». Magaldi ricorda che lo fu lo stratega Zbigniew Brzezinski – “l’inventore” di Obama – a reclutare in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, allora in funzione anti-sovietica. «Iniziato alla superloggia “Three Eyes”, poi Bin Laden passò coi Bush nella “Hathor”, tra lo sconcerto e la delusione dello stesso Brzezinski.
    Grandi giochi del passato, che probabilmente aiutano a leggere meglio quelli di oggi, che vedono in primissimo piano l’Oms “cinese” e personaggi come Bill Gates. I supermassoni della “Three Eyes” (come appunto Brzezinski e soprattutto Kissinger, patron della Trilaterale) diedero sostanza all’ideologia del neoliberismo, come motore dell’attuale globalizzazione finanziaria, scommettendo sulla Cina come possibile modello alternativo per un Occidente meno democratico e meno libero, in un futuro non lontano. A quanto pare, quel futuro è arrivato: solo che, sal 2001 in poi, è stato accelerato dal terrorismo internazionale promosso dalla “Hathor”, superloggia che ha reclutato – accanto ai Bush – politici di rango come Tony Blair, Nicolas Sarkozy e il turco Erdogan. «Il loro obiettivo – riassume Magaldi – era una progressione anche violenta del programma neoliberista, fondata sul ricorso alla guerra, alla strategia della tensione, allo svuotamento della democrazia, all’imposizione dell’austerity europea incarnata da personaggi come la “sorella” Angela Merkel». Nel frattempo, questa élite ha permesso alla Cina di crescere a dismisura, grazie a regole truccate: niente democrazia e zero libertà, nessun sindacato, niente norme anti-inquinamento. Risultato: la Cina è diventata la nuova manifattura del mondo, a basso costo, mettendo in crisi il lavoro – come da copione – in tutto l’Occidente.
    Poi, nel 2016, il programma ha subito un imprevisto di portata storica: l’inattesa vittoria, del tutto “accidentale”, di Donald Trump. Letteralmente: un alieno, rispetto al potere neoliberista. Che infatti ha saputo risollevare l’economia anche in modo “rooseveltiano”, cioè aumentando il deficit, per raggiungere la piena occupazione, restituendo fiducia e sicurezza ai lavoratori statunitensi precarizzati da decenni di delocalizzazioni selvagge. Sulle imminenti presidenziali di novembre, Magaldi è ottimista: «Io credo che gli americani sceglieranno ancora Trump. Non bisogna temere la vittoria di Biden: la sua sarebbe una presidenza debole, affidata a un uomo che non ha grandi capacità, ma attorno a Biden ci sarebbe comunque un collegio di amministratori che, in termini di geopolitica, proseguirebbe sulla scia tracciata da Trump». Vale a dire: mantenere l’impegno ad arginare l’espansione dell’influenza cinese in Occidente, almeno fin tanto che la Cina non accetterà di competere alla pari, adottando un regime democratico. «Io credo che Trump meriti una riconferma – sostiene Magaldi – perché ha fatto cose buone, con tutti i limiti del personaggio. E credo che gli americani andranno in questa direzione».
    Severo, invece, il giudizio di Magaldi su Giuseppe Conte, uomo vicinissimo al Vaticano. L’ex “avvocato del popolo” si è rivelato una sorta di docile strumento del partito “cinese”: lo si è visto nel modo in cui Palazzo Chigi e il Comitato Tecnico-Scientifico hanno imposto all’Italia un lockdown ultra-repressivo, modello Wuhan, ben sapendo che avrebbe fatto precipitare l’economia. Analoghe critiche a Bergoglio: imperdonabile, per Magaldi, la decisione di Papa Francesco di concedere al governo di Pechino il potere di designare i vescovi cattolici in Cina. Uno squillante avvertimento all’establishment italiano e vaticano – Conte e Bergoglio in primis – verrà ora direttamente da Pompeo, impegnato (con Trump) a preservare l’Italia dall’insidiosa influenza del “partito cinese”, cioè il gruppo di potere – largamente atlantico – che oggi avversa Trump negli Stati Uniti, e che negli anni ‘70, soprattutto attraverso un massone reazionario come Kissinger, sdoganò la Cina per farne un modello economico – di successo, ma non democratico – da proporre poi anche in Europa e in America. Magaldi (e lo stesso Pompeo) individuano l’ombra del partito “cinese” persino nell’attuale gestione “psico-terroristica” del coronavirus, emergenza gonfiata dai media e utilizzata per comprimere la libertà e rendere permanente la riduzione dei diritti sociali e civili.
    Dopo la visita di Pompeo – destinata a lasciare il segno – Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum” al governo Conte: un pacchetto di proposte per alleviare immediatamente le sofferenze economiche provocate dal lockdown. «Sarà anche calendarizzato l’esordio della Milizia Rooseveltiana», formazione che scenderà in piazza nel caso in cui l’esecutivo non dovesse rispondere, in modo adeguato, alle sollecitazioni “rooseveltiane”. «Finora, l’ultimatum a Conte non è stato ancora presentato, a causa della fluidità della situazione, molto complicata ma anche molto feconda», spiega Magaldi, riferendosi alla tornata elettorale del 20-21 settembre. La visita romana di Pompeo, ribadisce Magaldi, contribuirà a rimescolare ulteriormente le carte, in uno scenario dominato dal caos: governo fragilissimo e in fibrillazione per le elezioni regionali e il referendum, mentre il paese – fermato da Conte per quasi tre mesi – paga un prezzo altissimo, in termini di perdita economica, senza che l’esecutivo abbia saputo indicare una via d’uscita credibile.
    Il grande problema – l’emergenza sanitaria globale, declinata in modo catastrofico in Italia grazie a Conte – viene letto, da Magaldi, in termini geopolitici: e se è stato proprio il partito “cinese” a trasformare un virus in tragedia globale, esponendo l’Italia a pericoli gravissimi per la tenuta del suo sistema socio-economico, la risposta può venire oggi da Mike Pompeo (e domani da Mario Draghi, che ha proposto un Piano-B già a marzo, sul “Financial Times”: emissione illimitata di denaro, che non si trasformi in debito). Dando per probabile la riconferma di Trump, all’orizzonte il progressista Magaldi individua «quel Robert Francis Kennedy Junior, che col suo discorso a Berlino ci ha scaldato il cuore, ricordando che ogni vera soluzione, per l’umanità, non può prescindere dalla libera partecipazione democratica». Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy «rappresenta una speranza di un “upgrade” significativo, nei prossimi anni, anche nella conduzione della grande democrazia americana».

    «Benvenuto a Mike Pompeo, al “fratello” Mike Pompeo, segretario di Stato americano, che sta venendo in Italia anche a spiegare – al Vaticano e agli ambienti politici – che deve finire, la vicinanza al partito “cinese”, trasversale e sovranazionale, che in Italia si è allargato un po’ troppo». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista, usa parole più che esplicite per accogliere nel nostro paese il “ministro degli esteri” statunitense, atteso a Roma nei prossimi giorni. A Pompeo, Magaldi rivolge un benvenuto «sincero e affettuoso», nonché «fraterno», a rimarcare la comune identità massonica. Con questa visita, il braccio destro di Trump «segnerà una soluzione di continuità con tante cose sbagliate, che riguardano anche la politica vaticana verso la Cina ma soprattutto l’infiltrazione del partito “cinese” (orientale e occidentale), che purtroppo ha forti addentellati in diverse, cosiddette democrazie occidentali». Magaldi lo definisce «un partito trasversale che vuole proporci un nuovo paradigma politico-sociale, ed è un partito che va sconfitto: Mike Pompeo – sottolinea Magaldi – verrà a dirlo chiaro e tondo, a tutti i principali rappresentanti della classe dirigente italiana».

  • Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka

    Scritto il 17/9/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
    Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.
    Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.
    La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.
    La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.
    (Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama”, settembre 2020).

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.

  • Se vincerebbe il Sì: come non dare un dispiacere a Di Maio?

    Scritto il 15/9/20 • nella Categoria: idee • (1)

    «Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale, giustizialista, agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.
    In questa catastrofe epocale, ancor prima che il mondo intero venisse declassato a reparto ospedaliero popolato di pazienti in libertà vigilata, la narrazione del grillismo riesce a deformare anche il grottesco, con le deprimenti sgrammaticature di Di Maio e le solennità tragicomiche ricamate attorno alla barzelletta del reddito di cittadinanza, grazie alla quale poi dichiarare «abbiamo sconfitto la povertà». Tutto questo, un minuto prima che il sistema-Italia si impoverisse per intero e in modo spaventoso, in un colpo solo, precipitando nel baratro del Pil (-15%) per effetto del lockdown “cinese” imposto dall’Oms al prestanome che siede a Palazzo Chigi. Anche lui, l’ex “avvocato del popolo” (in realtà, del potere vaticano amico della Cina), è un regalo del grillismo che ha ingannato il Belpaese, fuorviandolo, proprio mentre cresceva l’insofferenza verso la classe politica. L’ipnosi collettiva ha sdoganato scemenze come il mitico “uno vale uno”, nella caserma politica fondata dal padrone Casaleggio (con Enrico Sassoon) e capitanata dal demiurgo Grillo, che Alessandro Meluzzi definisce «un vecchio arnese del potere democristiano», trasformato in utile pedina dell’élite finanziaria mondiale. «Grillo era in quota alla sinistra Dc alleata dell’ex Pci, e fu chiamato a bordo del Britannia, al servizio dei poteri forti intenzionati a depredare l’Italia, per poi essere riciclato come finto rivoluzionario, allo scopo di depistare la rabbia di milioni di italiani e impantanarla su lidi innocui».
    Luigi Di Maio è un esemplare perfetto, dello zoo grillino. Prima con Salvini, poi contro. Prima coi Gilet Gialli, poi con Macron. Prima contro l’euro, poi in ginocchio di fronte alla Merkel («ce l’avessimo in Italia, un politico così). Se il mandante occulto è l’élite del Britannia – la “casta”, tradotto in grillese – è persino ovvio che l’ordine sia sempre lo stesso: tagliare l’Italia, rimpicciolendola. Viva la Cina, dunque: e se Pechino non ama la democrazia, tanto meglio. Del resto, dal lockdown in poi, è proprio la democrazia a esser stata tagliata, anche in Italia, e nel modo più brutale, nel silenzio-assenso degli zelanti grillini. Il Parlamento non piaceva granché a Mussolini, e nemmeno a Licio Gelli. Il taglio dei parlamentari era nei piani della P2, ma anche nell’orientamento politico dei magistrati di Mani Pulite, che rasero al suolo i partiti della Prima Repubblica proprio mentre i signori del Britannia allungavano le mani sull’Italia, ormai indifesa. Chiusa la parentesi Berlusconi, comparvero loro: i rivoluzionari all’amatriciana. In pochissimi anni, fino all’attuale apocalisse targata Giuseppe Conte, i grillini sono riusciti a distruggere anche l’ultimo barlume democratico: la fiducia nella possibilità di una politica degna. Scontato, oggi, che premano per tagliare il Parlamento: cosa che andrebbe in porto, «se vincerebbe il Sì». Come resistere, alla tentazione di dare un dipiacere a Di Maio?
    (Giorgio Cattaneo, 15 settembre 2020).

    «Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale (giustizialista) agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.

  • Mes e Recovery, la trappola per svenderci a Parigi e Berlino

    Scritto il 15/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario”, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».
    Tutto questo, «per compensare i grand commis de l’État d’oltralpe di aver appoggiato la nostra diplomazia in Europa» nelle trattative sul Recovery Fund. «Appoggio di cui non vi era nessun bisogno – scrive Sapelli – se non quello artatamente creato dalle molecole in movimento nella mucillaggine», molecole debitamente «eterodirette». Per Sapelli, finalmente «si disvela l’arcano»: per realizzarsi pienamente, aggiunge l’economista, la concentrazione capitalistica «dovrebbe integrare in forma subalterna, ossia tipica del capitalismo estrattivo (in questo caso di marca tedesca e francese) segmenti del capitalismo italiano». Attenzione: questo dominio capitalistico-coloniale «i francesi lo sperimentano ancora su larga scala in Africa, usando soprattutto la forza militare», mentre la Germania – priva di un esercito temibile – deve ricorrere a «forme di pressione che sono rese esplicite (e non volute) nel caso Navalny, ossia attraverso un lavorio di intelligence, contro-informazione e indebolimento degli Stati in cui sono localizzate le imprese da “estrarre”, sino a giungere alla corruzione su larga scala, come fu evidente già con il Dieselgate e ora con il caso Wirecard».
    Sapelli allude all’impresa di pagamenti che è stata prossima ad acquistare Deutsche Bank e che è al centro di uno scandalo finanziario di immani proporzioni, e il cui amministratore delegato «si è rifugiato o in Bielorussia o in Russia, protetto dai servizi segreti tedeschi e russi». Tornando all’Italia, «si capisce bene che ricevere i fondi a prestito del Mes o non riceverli diviene – in questa situazione – solo una sorta di scelta politica, perché di essi non vi è assolutamente nessuna necessità finanziaria». Il guaio? Al governo Conte, e ai partiti che lo sostengono, manca «una linea strategica riformista e produttivista rispetto all’Italia e all’Europa». E così, «la maggioranza mette in scena un dilemma che in realtà potrebbe non esistere: dilaniarsi tra lo scegliere se stare con i populisti di destra o con quelli di sinistra». Si tratta quindi di decidere se vogliamo «cadere nelle mani dei fanatici dell’ierocrazia europeista», oppure «nelle mani di coloro che sono contro l’Europa tout court, secondo i modelli della destra sociale più classica, spesso neonazista, antisemita e in ogni caso tipica di quello che intere biblioteche hanno classificato come “anticapitalismo di destra”».
    La vera tragedia, conclude Sapelli, è rappresentata dall’inconsistenza politica italiana: in pratica, siamo «una maionese», ma «senza chef». In giro si cono soltanto «cucine da campo improvvisate», ma purtroppo «inamovibili». E nessuno, nella “cucina da campo”, segue la vera questione. E cioè: «I fondi europei che giungeranno sono meno di quelli che si potrebbero raccogliere lanciando un prestito nazionale a lunga scadenza». Allora, ragiona Sapelli, «sarà inevitabile essere sottoposti in Italia alle procedure di controllo della Commissione Europea». Fatale corollario: la «conseguente imposizione delle controriforme fiscali e pensionistiche», cioè le misure ammazza-Italia che si riterranno più idonee «per procedere a quella centralizzazione capitalistica a cui si lavora alacremente, come si è detto, dietro quegli specchi che accecano elettori ed eletti, in par condicio», mentre il paese – cui si propone “l’avanspettacolo” del Mes – si accinge a votare stancamente per le regionali e per il referendum contro il Parlamento, in una situazione in cui il conto alla rovescia annunciato da Bankitalia – nei guai una famiglia su tre – è confermato dalle statistiche che indicano in zona pericolo non meno di 90.000 piccole imprese. E il governo – che ha in cassa quasi 100 miliardi di euro – anziché usare quelli, si prepara a cadere nella trappola del Mes?

    «Ci si balocca se accettare o no il Mes, mentre l’industria manifatturiera crolla». L’economista Giulio Sapelli lancia l’allarme: è a rischio il sistema industriale italiano, fondato sulle piccole e medie imprese. Si salvano solo i big (pochissimi) e i comparti alimentare e farmaceutico: tutto il resto sta per collassare, dopo la catastrofe del lockdown. Sul “Sussidiario“, Sapelli cita la recente uscita – sullo stesso newsmagazine – di Domenico Lombardi, già consulente economico del Fmi, che segnala l’enorme budget oggi a disposizione della Tesoreria italiana: 98 miliardi di euro (frutto dell’acquisto massiccio di titoli di Stato, da parte della Bce presieduta da Christine Lagarde). «E allora la risposta del perché si faccia questo rito da avanspettacolo del Mes è tutta nel gioco di specchi in cui si è ormai trasformata la politica italiana ed europea», scrive Sapelli. «Si ripete insistentemente, nelle cancellerie europee e nelle ambasciate, che è da tempo iniziato un pressing sulla mucillaggine peristaltica governativa». Che tipo di pressing? Si vuole che l’Italia «giunga a essere ben disposta a cedere, a talune imprese francesi e tedesche (modello Fca-Psa), assets essenziali di ciò che rimane delle sue imprese di eccellenza medio-grandi».

  • Distanziamento eterno: Conte dichiara guerra alla scuola

    Scritto il 14/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Se non si ribellano di fronte allo scempio della scuola, di fronte a cos’altro dovrebbero ribellarsi, i genitori italiani?». Gianfranco Carpeoro ha le idee chiarissime: «Distruggere l’insegnamento fa comodo, a questo potere: una scuola disastrata produrrà cittadini più deboli». Bambini e ragazzi spaventati e soli, nella scuola-horror ridisegnata dall’incapace Lucia Azzolina. Aprite gli occhi: c’è una colossale fregatura, dietro all’enfasi del governo Conte per la riapertura delle aule, dopo il lunghissimo lockdown imposto ad alunni e studenti, insegnanti e famiglie. «I nuovi banchi monoposto, insieme ai tablet di cui è stato improvvisamente dotato ogni istituto scolastico, espongono i ragazzi a una minaccia insidiosa: un distanziamento permanente, a prescindere dal virus, aggravato dalla sua dimensione digitale. Stiamo parlando di piattaforme private, a cui la scuola italiana – insegnanti e allievi – dovrà fornire tutti i dati, che resteranno proprietà privata delle piattaforme stesse». Lo denuncia una giornalista come Monica Soldano (già attiva a “L’Espresso”, poi a “Radio Radicale”) nella rubrica “Ad Occhi Aperti” che apre la video-chat su YouTube “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Domanda: a chi stiamo consegnando la nostra scuola (e i nostri bambini e ragazzi) con il pretesto del coronavirus?
    Esponente del Movimento Roosevelt come lo stesso Carpeoro, Monica Soldano ha coordinato il servizio di supporto legale fornito in modo gratuito, da tanti avvocati italiani, per assistere cittadini colpiti da sanzioni ingiuste, durante il lockdown. «Un servizio con il quale il Movimento Roosevelt ha inteso esprimere la sua vicinanza concreta, nei confronti degli italiani intimiditi dalle misure d’emergenza introdotte dal governo». Oggi, sentiti presidi e insegnanti, la stessa Monica Soldano descrive una scuola allo sbando, alla vigilia della riapertura: «I direttori scolastici e gli stessi docenti sono intimoriti: a causa della scarsa chiarezza del ministero, temono che sarà loro addossata la responsabilità per la salute degli allievi, dato che sarà in vigore l’obbligo di non avere la febbre». Il rischio è palese: «Al primo problema, è facile pensare che andremo incontro a veri e propri lockdown scolastici, con conseguenze catastrofiche per i genitori che lavorano, costretti a tenere i figli a casa». Precisa ancora Monica Soldano: «Non sono certo luddista, non ho mai avuto paura del computer: ma non posso non pensare alla solitudine dei bambini, senza più compagni di banco, lasciati in balia della sola strumentazione digitale».
    Attenzione: le misure previste colpiranno al cuore la socialità dei ragazzi, ingrediente imprescindibile dell’età scolare. «E chi è solo, è più debole». Come non sospettare che questa subdola “guerra” contro la scuola, varata in silenzio dal governo Conte cogliendo al volo l’occasione del Covid, non nasconda un piano – che viene da lontano – per “costruire” cittadini isolati e spaventati, tenuti lontani dai libri, e quindi futuri lavoratori docili e super-sfruttati? Le lezioni a distanza sono speculari al telelavoro (l’”home schooling” e lo “smart working”, introdotti con la pandemia). «Il lavoro da casa lo adotterei solo in parte, evitando soluzioni drastiche: viceversa, avremo ragazzi senza più compagni di scuola e adulti senza più colleghi di lavoro», dice Carpeoro, che sullo sfascio della scuola esprime un giudizio nettissimo e severo: «In Italia abbiamo smesso da tempo di pensare alla scuola come a un ambito centrale, nella formazione dei giovani: viceversa non l’avremmo lasciata degradare, non avremmo eliminato materie fondamentali come la musica, e avremmo impedito che gli edifici scolastici cadessero a pezzi».
    Se il governo Conte è scandalosamente inguardabile, gli stessi italiani hanno però le loro responsabilità: «Siamo gente che ha voluto vaccinare i bambini dal morbillo: mia nonna invece mi portò apposta a prendermelo, il morbillo». In altre parole: «Non siamo in grado di assumerci le nostre responsabilità: non sappiamo come agire, di fronte a un’epidemia – quella del coronavirus – molto meno letale di altre pandemie del passato, di fronte alle quali non adottammo nessun lockdown». Mentre la nuova scuola di Conte e Azzolina imporrà l’obbligo quotidiano della mascherina, Carpeoro è fra quanti contestano molte misure di contenimento, a partire dal durissimo “coprifuoco” imposto in Italia per quasi tre mesi, con effetti catastrofici sull’economia: «Il virus circola comunque tranquillamente, pensare di fermarlo è illusorio: bisogna capire che oggi il Covid è curabile, e quindi occorre tornare a vivere e a lavorare». Subiranno anche questo, gli italiani? L’atto finale della storica “guerra” contro la scuola? I ragazzi confinati sui seggioloni a rotelle, senza spazio per i libri, e intere classi ridotte a ostaggio della paura, alla prima febbriciattola?

    «Se non si ribellano di fronte allo scempio della scuola, di fronte a cos’altro dovrebbero ribellarsi, i genitori italiani?». Gianfranco Carpeoro ha le idee chiarissime: «Distruggere l’insegnamento fa comodo, a questo potere: una scuola disastrata produrrà cittadini più deboli». Bambini e ragazzi spaventati e soli, nella scuola-horror ridisegnata dall’incapace Lucia Azzolina. Aprite gli occhi: c’è una colossale fregatura, dietro all’enfasi del governo Conte per la riapertura delle aule, dopo il lunghissimo lockdown imposto ad alunni e studenti, insegnanti e famiglie. «I nuovi banchi monoposto, insieme ai tablet di cui è stato improvvisamente dotato ogni istituto scolastico, espongono i ragazzi a una minaccia insidiosa: un distanziamento permanente, a prescindere dal virus, aggravato dalla sua dimensione digitale. Stiamo parlando di piattaforme private, a cui la scuola italiana – insegnanti e allievi – dovrà fornire tutti i dati, che resteranno proprietà privata delle piattaforme stesse». Lo denuncia una giornalista come Monica Soldano (già attiva a “L’Espresso”, poi a “Radio Radicale”) nella rubrica “Ad Occhi Aperti” che apre la video-chat su YouTube “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Domanda: a chi stiamo consegnando la nostra scuola (e i nostri bambini e ragazzi) con il pretesto del coronavirus?

  • Silenzio sul Nobel a Trump, che spaventa i nemici dell’Italia

    Scritto il 13/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore sia della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».
    Gli eventi attuali – secondo il blog – ci dicono che «gli ebrei dei lager e dell’Olocausto», cioè gli israeliani «sempre pronti alla guerra con chi li voleva annientare», anche in futuro «staranno, come è giusto che sia, coi loro liberatori dal giogo hitleriano, ossia innanzitutto con gli Usa». E il “reset” dei rapporti geostrategici del Medio Oriente non finisce qui, avverte Mitt Dolcino: si parla già di normalizzazione degli accordi di pace tra Israele e Marocco. Poi sarà la volta dell’Arabia Saudita, l’ultima, la sede de La Mecca. «Quello che sta accadendo è che i “mizrahim” torneranno a ricoprire il ruolo ricoperto per secoli, in Medio Oriente, fino alla nascita di Israele. Dunque ecco spiegato il nervosismo delle potenze ex coloniali europee, superate in curva: non serve ad esempio avere la Francia o la Gran Bretagna per preservare il petrolio dell’area, basta Gerusalemme». Questo avviene chiaramente con la benedizione di Washington «ma soprattutto con l’avallo russo». Mosca, «vedendoci lungo, non ci pensa nemmeno a concedere la vittoria all’asse sino-tedesco, con Turchia ed Iran a supporto», visto che in quel caso la Russia «verrebbe letteralmente circondata, a sud, est e ovest».
    Ecco dunque materializzarsi il nuovo Risiko mediterraneo, che andrà in porto se Trump verrà confermato, «lasciando poi al prossimo mandato trumpiano la “regolazione” operativa di Cina e Germania». Sempre secondo Mitt Dolcino, pochi considerano che la grande perdente sarà soprattutto la Francia, che a breve potrebbe perdere addirittura l’accesso privilegiato all’Algeria. A quel punto «dovrà rifarsi con l’anello debole, l’Italia, conquistandola certamente a livello economico». Ecco perché Roma «dovrà necessariamente schierarsi con Washington e Tel Aviv, con cui i rapporti sono sempre stati più che cordiali» (come del resto anche con il mondo arabo). Secondo Dolcino, il grande silenzio sul Nobel a Trump, da parte «dei media italici cooptati all’Ue» deriva proprio dal grande rimescolamento in atto nell’area mediorientale. Dolcino accusa l’establishment italiano «ormai al soldo di Parigi e Berlino», potenze impegnate nella conquista del Belpaese, grazie ai collaborazionisti italici, in una sorta di neo-feudalesimo in cui le élite nostrane avrebbero il ruolo dei piccoli feudatari. Il loro obiettivo: far pagare al 99% della popolazione il peso finanziario della crisi, preservando i grandi capitali.
    Attenzione: sono proprio le élite a detenere la proprietà dei grandi media. E sono sempre loro, «che non hanno necessità di lavorare», a sostenere con maggior forza «l’immigrazione dall’Africa», ovvero l’invasione delle nostre coste da parte di individui «senza contezza dei propri diritti civili e sociali, nonchè economici». Un’umanità fragile, insomma, «da usare per sostituire gli italiani eccessivamente esigenti», in un penisola «forse troppo bella per essere lasciata agli indigeni». Logico che poi queste élite (non solo italiche) tifino soprattutto sinistra, ossia il lato politico più vicino a questa Ue, «troppo simile all’Europa sognata dalla Germania nazista». Senza dimenticare – chiosa Dolcino – che «l’incredibile invasione dei neri anche nella Lombardia leghista – ossia pro-Ue e da sempre filo-tedesca – potrebbe essere finalizzata a rimpiazzare a termine i meridionali italiani con manodopera di sostituzione a costo più basso, nelle more di una ipotetica secessione del settentrione (là da venire, per restare nell’euro) all’altezza della Linea Gotica)».

    La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».

  • L’Italia ha in cassa 98 miliardi: usi quelli, non i prestiti Ue

    Scritto il 12/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    «Sembra che l’appoggio francese al Recovery Fund sia stato condizionato alla disponibilità italiana a cedere asset strategici a gruppi espressione o collegati all’economia transalpina. Occorrerà quindi vedere se ci saranno transazioni bilaterali in cui la proprietà francese dei nostri asset strategici andrà a consolidarsi». Non solo: «Oltre a una condizionalità formale palese, potrebbe essercene una occulta, concordata nell’ambito dei negoziati che hanno preceduto il Consiglio Europeo che ha dato il via libera al Recovery Fund». Lo afferma Domenico Lombardi, ex consigliere economico del Fmi, intervistato da Lorenzo Torrisi per il “Sussidiario”. Lombardi segnala inoltre che il saldo di Tesoreria, cioè l’ammontare del conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca d’Italia (con cui gestisce gli incassi e i pagamenti), non solo ha raggiunto livelli record, ma continua a crescere, e oggi sfiora i 100 miliardi di euro. Perché non usare subito quei soldi per salvare le aziende – che stanno per chiudere, massacrate dal lockdown – anziché insistere con l’elemosina del Mes, vincolata a pesanti condizionalità? In altre parole: il governo ha in cassa una somma enorme, grazie ai massicci aiuti garantiti dalla Bce dopo che Christine Lagarde ha provveduto ad acquistare titoli di Stato italiani. Soldi a palate, spendibili subito: perché il governo esita? Oltretutto, dice Lombardi, l’iter per il Recovery Fund si annuncia lunghissimo e incerto.
    Se l’esecutivo ha presentato una prima bozza su come spendere i soldi che arriverebbero forse tra un anno, la Commissione Europea deve ancora inviare a Roma le sue linee guida. Dopodiché, come ha spiegato Conte, a metà ottobre inizieranno delle interlocuzioni (prima a livello nazionale, poi tra governo e Bruxelles) per individuare i progetti che potranno essere finanziati con le risorse del Recovery Fund. «Di fatto – scrive Torrisi sul “Sussidiario” – si sta prendendo sempre più consapevolezza che bisognerà attendere almeno la primavera per ricevere la prima tranche dei complessivi 209 miliardi di euro». Anche per questo motivo «si è tornati a invocare, specie dal Pd, il ricorso dell’Italia al Mes», tanto più che il ministro della salute, Speranza, ha presentato al premier «un piano di investimenti nella sanità da 68 miliardi di euro in sei anni». Eppure, stando alle risorse attualmente già in cassa, non ci sarebbe alcuna necessità di ricorrere al Mes. Per Domenico Lombardi, è stata «sopravvalutata la facilità» con cui si potrà attingere alle risorse europee. Tra l’altro, ricorda Torrisi, il Recovery Fund dovrà essere ratificato da tutti i paesi membri. E anche in questo caso, precisa Lombardi, «gli esperti avevano avvertito che si trattava di risorse condizionate».
    L’ex consulente del Fmi sottolinea l’esigenza di pretendere «la necessaria trasparenza nelle interlocuzioni tra governo e Commissione, così che tutti gli stakeholder siano debitamente informati sulle condizionalità che si andranno formando e che non conosciamo». Prima fra tutte, l’incognita rappresentata dalla Francia, che secondo fonti di stampa avrebbe richiesto il controllo di quote crescenti dell’economia italiana, in cambio dell’ok di Macron al piano di aiuti per il nostro paese. Quanto alla citata trasparenza, osserva Torrisi, «non è detto che il Parlamento italiano verrà chiamato ad approvare quello che sarà il Recovery Plan, frutto del negoziato tra governo e Commissione Europea». Su questo, Lombardi afferma: «Mi auguro che dinanzi a ogni prestito internazionale, soprattutto di dimensioni significative, la maggioranza che sostiene questo governo abbia l’opportunità di esprimersi in Parlamento, così come è stato del resto annunciato nel caso di accesso al Mes». Un sospetto: «Temo che la decisione sul Mes sia stata già presa tempo fa, e che adesso si stia cercando il momento opportuno per garantirne l’attuazione politica», dice Lombardi. «Così si spiegano le reiterate sottolineature sulle condizioni finanziarie convenienti legate a questo prestito».
    In realtà, aggiunge Lombardi, «trovo goffo questo tentativo di ottenere un suggello politico sulla base degli aspetti di convenienza finanziaria, anche perché – spiega – se siamo dinanzi a una scelta fondamentale legata al ruolo dell’Italia nell’Europa, la semplice valutazione finanziaria appare del tutto inadeguata». Proprio a livello finanziario, infatti, emerge l’importante saldo attivo di Tesoreria: il 3 luglio era di circa 70 miliardi di euro, oggi sappiamo che a fine luglio è salito a 80 miliardi, e a fine agosto è arrivato addirittura a 98 miliardi. Oltretutto – aggiunge Lombardi – il 4 settembre il Mef ha annunciato di aver cancellato l’asta dei Bot trimestrali prevista per il 9 settembre «in seguito all’assenza di specifiche esigenze di cassa». Se il Mes fosse così strategico, il ricorso al fondo speciale «dovrebbe fondarsi su dati accurati», cosa che secondo Lombardi «non sembra stia avvenendo». Insiste l’ex stratega del Fondo Monetario: «Non possiamo assistere alla scomparsa di imprese dal tessuto economico e sociale del paese e contemporaneamente avere un saldo di Tesoreria così elevato», che oltretutto tiene conto persino del calo delle entrate tributarie (-7,7%) registrato nei primi sette mesi dell’anno, per colpa del lockdown.
    «Credo che insistere sulla necessità di accedere al Mes di fronte a un saldo del genere – scandisce Lombardi – testimoni in modo incontrovertibile la scelta politica sottostante alla richiesta di ricorrere al Meccanismo Europeo di Stabilità». Tradotto: sottoporre l’Italia alle pesanti condizionalità previste, nonostante il paese disponga oggi di una straordinaria liquidità. Pressioni esterne, dunque? Il fatto che il pacchetto Mes sia ancora in discussione, ragiona Lombardi, significa sue cose: da un lato testimonia «la volontà di una parte del governo di ponderare bene questa scelta», e dall’altro risulta «coerente con pressioni che l’Italia potrebbe avere ricevuto, magari anche nell’ambito di quei negoziati per il buon esito del Recovery Fund». Non c’è la “pistola fumante”, ma gli indizi abbondano: «Può darsi che, nell’ambito delle varie condizionalità di tipo politico (non tecnico) concordate in sede di negoziato prima o durante il Consiglio Europeo di luglio, sia stato compreso anche l’accesso dell’Italia al Mes». Si andrebbero quindi a sommare pesantissime condizionalità? «Per un’economia a elevato debito come quella italiana – sostiene Lombardi – potrebbero facilmente scattare delle clausole di salvaguardia che rischierebbero di introdurre nel nostro paese delle scelte che non verrebbero prese esclusivamente dal governo italiano».
    Il rischio, chiarisce lo stesso Torrisi, è quello di un’eterodirezione nella gestione del debito, soprattutto nel momento in cui torneranno in vigore le regole del Patto di Stabilità, attualmente sospese. Chiaramente – conferma Lombardi – l’Italia sarebbe più esposta, su quel fronte: «Quando si hanno dei rapporti creditizi in essere, l’opinione dei creditori conta». E così, «la visione che altri paesi europei hanno dei problemi italiani e delle loro soluzioni avrebbe un peso ancora maggiore, rispetto alla situazione attuale». Un rischio che sarebbe meglio evitare, ovviamente. In questi giorni, mentre è stata cancellata l’asta dei Bot trimestrali, è stato collocato un Btp ventennale, le cui richieste hanno superato gli 80 miliardi di euro. Questo si inserisce in una serie di altre iniziative, come il Btp Italia e il Btp Futura, che mirano a migliorare la gestione del debito pubblico e il “classamento” dei titoli, cosa che magari costa al Tesoro un po’ di più, ma che garantisce maggior stabilità e minor esposizione alle fronde speculative. Sono tutte iniziative ottime, aggiunge Lombardi, che testimoniano un eccellente accesso al mercato di cui oggi l’Italia gode. E visto che il Mes è destinato a paesi in difficoltà con i mercati finanziari, conclude Lombardi, «non vedo perché l’Italia dovrebbe crearsi uno stigma quando è invece in grado di soddisfare pienamente la sua domanda di cassa e addirittura avere un saldo di Tesoreria a livelli record».
    Questo saldo record, ipotizza Torrisi, potrebbe essere tenuto alto in via precauzionale, temendo un cambio di linea della Bce: finora, grazie a Christine Lagarde, la banca centrale ha acquistato in maniera massiccia titoli di Stato italiani, mettendo al sicuro il bilancio di Roma. E se domani tutto dovesse mutare? Se la Bce dovesse cambiare veramente linea – obietta Lombardi – il prestito del Mes, a livello quantitativo, «sarebbe una goccia nel mare». Detto questo, «effettivamente il motivo precauzionale per il saldo di Tesoreria è importante», ammette l’ex consulente del Fmi. «Ma non possiamo dimenticare – aggiunge – che nel contempo ci sono imprese che stanno morendo o sono già morte». Proprio perché gli operatori economici «stanno fronteggiando un’incertezza inedita, nella nostra storia recente», secondo Lombardi «sarebbe utile che lo Stato onorasse il pagamento dei suoi debiti con le imprese in tempi assai più brevi, utilizzando proprio parte di quel saldo di Tesoreria». Avendo un’esigenza di rifinanziamento così massiccia, per via dell’enorme debito pubblico, «la migliore assicurazione per l’Italia è rivitalizzare il tessuto economico». chiosa Lombardi: «Questo lo si fa non solo stanziando contabilmente risorse, ma aumentando la velocità di circolazione delle stesse».

    «Sembra che l’appoggio francese al Recovery Fund sia stato condizionato alla disponibilità italiana a cedere asset strategici a gruppi espressione o collegati all’economia transalpina. Occorrerà quindi vedere se ci saranno transazioni bilaterali in cui la proprietà francese dei nostri asset strategici andrà a consolidarsi». Non solo: «Oltre a una condizionalità formale palese, potrebbe essercene una occulta, concordata nell’ambito dei negoziati che hanno preceduto il Consiglio Europeo che ha dato il via libera al Recovery Fund». Lo afferma Domenico Lombardi, ex consigliere economico del Fmi, intervistato da Lorenzo Torrisi per il “Sussidiario“. Lombardi segnala inoltre che il saldo di Tesoreria, cioè l’ammontare del conto corrente che lo Stato detiene presso la Banca d’Italia (con cui gestisce gli incassi e i pagamenti), non solo ha raggiunto livelli record, ma continua a crescere, e oggi sfiora i 100 miliardi di euro. Perché non usare subito quei soldi per salvare le aziende – che stanno per chiudere, massacrate dal lockdown – anziché insistere con l’elemosina del Mes, vincolata a pesanti condizionalità? In altre parole: il governo ha in cassa una somma enorme, grazie ai massicci aiuti garantiti dalla Bce dopo che Christine Lagarde ha provveduto ad acquistare titoli di Stato italiani. Soldi a palate, spendibili subito: perché il governo esita? Oltretutto, dice Lombardi, l’iter per il Recovery Fund si annuncia lunghissimo e incerto.

  • Gasdotti: c’è la Germania (non Putin) dietro il caso Navalny

    Scritto il 11/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Navalny non era una minaccia per Putin, si sa, con percentuali di voto da prefisso telefonico. Parimenti egli sembrava “di molto” avere le fattezze di una spia straniera; di norma quelli più attrezzati per inserire spie in Russia sono gli uomini della ex Ddr, a maggior ragione quelli post 1990, ossia la Stasi fusa nel Bnd sotto Schäuble, il potentissimo ministro della segretezza economica tedesca. Il North Stream II rappresenta invece l’autonomia energetica germanica o quasi, infatti i 100+ bcm/yr di metano sono davvero la pietra angolare del sogno di potenza per via energetica della Germania. North Stream II maturato – lo ricordo – con un accordo della 25esima ora che uccise Atene nel suo tentativo di Grexit ante 2015, ossia tagliando la linea di credito russa promessa da Mosca con Varoufakis a capo delle finanze, linea necessaria per uscire dall’euro; ciò avvenne, il tradimento russo ad Atene intendo, in forza di un accordo a tre tra Merkel-Putin e Obama atto a permettere – in cambio del mantenimento dell’euro, ossia del ritiro del prestito russo ad Atene (infatti la fine della moneta unica sarebbe stata in grado di deragliare la rielezione di Obama, così fu venduta all’inquilno della Casa Bianca, si dice) – il raddoppio del collegamento gas-energetico russo, bruciando per altro il South Stream italiano e con esso Saipem ed Eni.
    All’appello manca dunque la Stasi, con il deputato tedesco Gregor Gysi che oggi dice che l’avvelenamento di Navalny è stato perpetrato da gente che non voleva il North Stream II. Si dice ci sia un vecchio detto, in Stasi, “bisogna sempre dire il contrario della realtà che ti infastidisce”, o qualcosa del genere. Bene, Gregor Gysi è anche figlio di un plenipotenziario riconosciuto della Stasi, addirittura ex ambasciatore alla Santa Sede della Ddr durante il sequestro Moro, poi traslocato in fretta e furia all’estero dopo il tragico epilogo. Il figlio attuale, Gregor, del partito Spd, è stato guarda caso anche finanziatore di Carola Rackete, ossia della Ong Sea Watch, indicando perfettamente la strada che la Stasi ha percorso, con un piano 3d, per destabilizzare l’Italia (e la Grecia). Oggi i formidabili servizi segreti tedeschi potrebbero anche aver avvelenato Navalny, ovvero aver fatto finta di avvelenarlo. Per farlo tornare in patria, forse era davvero un loro asset, versione plausibile quanto meno. Dando poi la colpa alla Russia per l’avvelenamento. Ossia, forse i tedeschi speravano così di creare un’onda mediatica anti-russa, per cui il mondo occidentale si sarebbe scagliato contro Mosca e contro Putin, cosa che invece non è accaduta, complice l’uscita in diretta di Trump che ha detto: «Non c’è nessuna prova dell’avvelenamento russo di Navalny».
    Come dire, se non la piantate diciamo che siete stati voi tedeschi, forse… (la prima vera crepa Russia-Germania è arrivata, verso la Yalta II?). Il movente tedesco del fallito piano poteva ben essere che, ad esempio, visto che Trump sta per dinamitare il progetto di North Stream II forse anche d’accordo con Putin, a fronte di qualche contropartita vicino-caucasica per Mosca dagli States (che forse oggi non si può ancora dire), Berlino potrebbe aver deciso di tentare il tutto per tutto per salvare il progetto del gas dal nord, vitale, l’equivalente di un piccolo Lebensraum energetico tedesco. Ben conoscendo il piano l’attacco in corso anti-tedesco, dagli Usa. Dunque ecco forse la messa in scena di Navalny avvelenato per sviare l’attenzione: non mi stupirei di vederlo fra un po’ zampettare da qualche parte, certamente cercato dai media Uk e Usa che faranno a gara per trovarlo vivo e vegeto, il Navalny, mentre i media tedeschi faranno invece l’opposto, proprio non lo cercheranno lasciandolo nell’oblio, un po’ come successe con il gambizzatore di Schäuble o con l’ex moglie del compagno di Angela Merkel.
    Chiaro, queste sono ipotesi, un modo come un altro per mettere ordine agli eventi. Certamente quella presentata è solo una delle tante ipotesi possibili, che potrebbe essere comunque vera in parte o in toto, direi più in parte al limite. Ma che se non altro ha il pregio di mettere in evidenza – che è il vero scopo dell’intervento – quali siano i veri driver della faccenda Navalny-North Stream II-sfida agli Usa da parte dell’asse sino-tedesco. In attesa del coup de theatre: l’esposizione degli artefici europei dell’Obamagate, appena – presto o tardi – il generale Flynn verrà riabilitato. Sono sicuro che ne vedremo delle belle, in Germania ed in Italia. Quello che deve rimanervi, di questo pezzo, non è tanto l’ipotesi presentata, una delle tante sul tavolo, ma la sensazione – netta – che le cose, soprattutto di questi tempi, non sono quasi mai come ve le fanno apparire, ad arte. Abbiate ancora un po’ di pazienza.
    (Mitt Dolcino, “Navalny avvelenato, North Stream II e Stasi reloaded: una versione per mettere tutti d’accordo nel caos apparente, fomentato da Berlino”, dal blog di Mitt Dolcino del 9 settembre 2020).

    Navalny non era una minaccia per Putin, si sa, con percentuali di voto da prefisso telefonico. Parimenti egli sembrava “di molto” avere le fattezze di una spia straniera; di norma quelli più attrezzati per inserire spie in Russia sono gli uomini della ex Ddr, a maggior ragione quelli post 1990, ossia la Stasi fusa nel Bnd sotto Schäuble, il potentissimo ministro della segretezza economica tedesca. Il North Stream II rappresenta invece l’autonomia energetica germanica o quasi, infatti i 100+ bcm/yr di metano sono davvero la pietra angolare del sogno di potenza per via energetica della Germania. North Stream II maturato – lo ricordo – con un accordo della 25esima ora che uccise Atene nel suo tentativo di Grexit ante 2015, ossia tagliando la linea di credito russa promessa da Mosca con Varoufakis a capo delle finanze, linea necessaria per uscire dall’euro; ciò avvenne, il tradimento russo ad Atene intendo, in forza di un accordo a tre tra Merkel-Putin e Obama atto a permettere – in cambio del mantenimento dell’euro, ossia del ritiro del prestito russo ad Atene (infatti la fine della moneta unica sarebbe stata in grado di deragliare la rielezione di Obama, così fu venduta all’inquilno della Casa Bianca, si dice) – il raddoppio del collegamento gas-energetico russo, bruciando per altro il South Stream italiano e con esso Saipem ed Eni.

  • Bizzi: governi pagati da Oms e Fmi per imporre il lockdown

    Scritto il 10/9/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Sono uno storico, uno scrittore e un giornalista freelance. È dallo scorso mese di gennaio, con l’introduzione in Italia dello stato d’emergenza da parte del governo di Giuseppe Conte, che mi sento in guerra, letteralmente catapultato notte e giorno in una trincea. Mi sento in guerra non certo contro un “virus” o un nemico invisibile, ma contro un governo totalmente eterodiretto da forze e poteri molto pericolosi che hanno messo in scena un vero e proprio colpo di Stato globale, finalizzato alla progressiva riduzione e cancellazione della democrazia, della libertà e dei diritti civili, alla repressione di qualsiasi dissenso e all’instaurazione di una dittatura mondiale tecnocratico-sanitaria che definire di stampo orwelliano sarebbe un complimento. Tale piano, che va avanti indisturbato già da molti anni e che si pone purtroppo anche altri obiettivi molto più pericolosi, ha coinvolto la maggir parte dei governi mondiali e alcuni europei in particolare. Non tutti i governi europei si sono approcciati all’Operazione Corona nello stesso modo, anche se, almeno nella fase iniziale, l’hanno generalmente sostenuta, anche perché sapevano che sarebbe stata funzionale a un reset finanziario globale dal quale non volevano rischiare di restare esclusi.
    In ogni modo, in alcuni paesi scandinavi, in Svizzera, in Croazia e – in parte – anche in Germania, questa operazione è venuta presto a scontrarsi con la solidità dei sistemi democratici e ci sono stati notevoli ripensamenti, se non addirittura dei chiari tentativi di smarcamento. In altri paesi, come ad esempio in Italia, Spagna, Francia, Serbia e Bulgaria, l’operazione è stata invece portata avanti con maggiore forza e violenza. Questo è potuto avvenire sia per via di crescenti pressioni internazionali che grazie a sostanziosi incentivi economici provenuti da organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tutti i governi europei erano stati messi al corrente già dal mese di settembre del 2019 di cosa sarebbe successo, e hanno ricevuto enormi finanziamenti clandestini (nel senso di non ufficialmente dichiarati): una vera e propria pioggia di denaro, non certo destinata a finanziare e potenziare la sanità e gli ospedali, ma esclusivamente per dichiarare il lockdown e garantirne la tenuta attraverso un massiccio potenziamento delle forze dell’ordine.
    Non sono in grado di sapere quale sia l’esatto ammontare di questi finanziamenti, anche perché sono stati sistematicamente coperti da segreto di Stato, e perché sono stati diversi da paese a paese. A rompere la diga è stato il presidente della Bielorussia Aljaksandr Lukashenko, che notoriamente si è sempre rifiutato di adottare nel suo paese alcuna misura di emergenza, di lockdown o di “distanziamento sociale”. In una riunione del governo bielorusso ha dichiarato di aver ricevuto una cospicua offerta in denaro (92 milioni di dollari) da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, affinché facesse «come in Italia». Offerta che, dopo il secco no di Lukashenko, sarebbe stata in poche settimane addirittura decuplicata: ben 940 milioni di dollari, questa volta offerti dal Fondo Monetario Internazionale, accompagnati dalla medesima richiesta: chiudere tutto e fare “come in Italia”. Non a caso, dopo questa coraggiosa presa di posizione, Lukashenko è stato demonizzato dalla “comunità internazionale”, è stato accusato di brogli elettorali e stanno tentando di rovesciarlo con una ridicola e meschina rivoluzione “colorata” finanziata da criminali come George Soros e alimentata da personaggi di squallore, servi del potere globalista, come Bernard-Henri Lévy.
    Cosa si sarebbe impegnato a fare esattamente Aleksandar Vučić per quei soldi? Ho contatti nell’ambiente dell’intelligence, sia in Italia che in altri paesi, e mi hanno confermato che il governo italiano ed altri governi europei, incluso quello della Serbia, hanno ricevuto e accettato questi finanziamenti occulti. Non posso sapere con certezza come Aleksandar Vučić li abbia impiegati, ma so che in Italia sono stati destinati al potenziamento delle forze dell’ordine per la gestione e la tenuta del lockdown e per corrompere i media, affinché mantenessero alto il clima di paura per il “virus”. Molto probabilmente la stessa cosa è accaduta in Serbia, ma deve essere il popolo serbo a pretendere e a ottenere la verità. Se ci sono ancora in Serbia politici con le mani libere, devono trovare il coraggio di chiedere al loro governo quanto denaro ha realmente ricevuto e come lo ha speso. Sono stato uno dei primi giornalisti al mondo a denunciare tali questioni attraverso il sito www.databaseitalia.it. I popoli hanno il diritto di conoscere la verità.
    Finanziamenti segreti per adottare il lockdown e per appoggiare la psy-op dell’Operazione Corona sono stati offerti alla maggior parte delle nazioni, a dimostrazione del fatto che si è trattato di un vero e proprio colpo di Stato globale. Questo è accaduto in Canada, Australia, America Latina, Medio Oriente, Asia e Africa. Molti leader africani, in particolare i presidenti della Tanzania, del Burundi e del Madagascar hanno pubblicamente denunciato questi tentativi di corruzione e hanno preso le distanze dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dimostrandosì così molto più liberi e coraggiosi dei leader europei. Sicuramente tutti i paesi dell’Europa Sud-orientale hanno raggiunto simili accordi, compresi Romania, Bulgaria, Albania, Montenegro e Macedonia, ma non conosco gli importi di tali finanziamenti. In Grecia e a Cipro ci sono state maggiori resistenze politiche, e la Chiesa Ortodossa ha avuto molto peso nella difesa della democrazia e della libertà dei cittadini. Questa è una guerra contro i nostri diritti, contro la democrazia e per la distruzione della nostra stessa civiltà. Tutti i popoli d’Europa devono ribellarsi e lottare per il proprio futuro.
    (Nicola Bizzi, “Sapevano del coronavirus dallo scorso autunno, il presidente serbo Vučić ha preso i soldi”, da “Database Italia” del 7 settembre 2020. «Sono passate poche settimane da quando il suo articolo in esclusiva per “Databaseitalia.it” ha fatto il giro del mondo», scrive Davide Donateo ricordando la denuncia di Lukashenko sottolineata da Bizzi, «scoperchiando il sistema con cui il Fmi è riuscito a “convincere” i governi ad entrare in lockdown, seguendo il modello italiano». In un’intervista rilasciata per l’importante sito serbo “Srbin.info”, Bizzi ha alzato la posta rivendicando la veridicità di ogni parola di quell’articolo, aggiungendo ulteriori dettagli. «Amo molto la Serbia, parlo la vostra lingua e ho studiato la vostra storia», dice Bizzi, editore di Aurola Boreale, rivolgendosi ai serbi. «Ho vissuto a lungo nel vostro paese negli anni ’90 e ho avuto l’onore di conoscere e incontrare Slobodan Milošević», aggiunge. «Ero molto amico di Dragoš Kalajić, un grande intellettuale, artista e patriota, e ho lavorato con lui per difendere nel mondo l’immagine e l’onore della Serbia»).

    Sono uno storico, uno scrittore e un giornalista freelance. È dallo scorso mese di gennaio, con l’introduzione in Italia dello stato d’emergenza da parte del governo di Giuseppe Conte, che mi sento in guerra, letteralmente catapultato notte e giorno in una trincea. Mi sento in guerra non certo contro un “virus” o un nemico invisibile, ma contro un governo totalmente eterodiretto da forze e poteri molto pericolosi che hanno messo in scena un vero e proprio colpo di Stato globale, finalizzato alla progressiva riduzione e cancellazione della democrazia, della libertà e dei diritti civili, alla repressione di qualsiasi dissenso e all’instaurazione di una dittatura mondiale tecnocratico-sanitaria che definire di stampo orwelliano sarebbe un complimento. Tale piano, che va avanti indisturbato già da molti anni e che si pone purtroppo anche altri obiettivi molto più pericolosi, ha coinvolto la maggior parte dei governi mondiali e alcuni europei in particolare. Non tutti i governi europei si sono approcciati all’Operazione Corona nello stesso modo, anche se, almeno nella fase iniziale, l’hanno generalmente sostenuta, anche perché sapevano che sarebbe stata funzionale a un reset finanziario globale dal quale non volevano rischiare di restare esclusi.

  • Non ci resta che Draghi. Chi lo spiega a Conte e Mattarella?

    Scritto il 07/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».
    Chi può aver ordinato di bruciare il tetto della casa di Draghi, proprio la notte in cui a Bruxelles si teneva il primo vertice europeo sull’emergenza Covid? «Gli stessi gruppi dai quali Draghi si era appena sganciato», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. A svelare i retroscena sul clamoroso riposizionamento di Draghi  è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che evidenzia il ruolo delle superlogge sovranazionali nella gestione occulta del potere. Draghi, sintetizza Magaldi, era presente in ben 5 Ur-Logdes di segno oligarchico, vere e proprie “officine” della costruzione neoliberista europea. Un mondo dal quale poi, a partire dal 2019, ha preso le distanze: era ancora a capo della Bce quando evocò addirittura la Modern Money Theory (emissione illimitata di denaro a costo zero) come possibile soluzione temporanea per rianimare l’economia, oppressa dall’austerity che soffoca la spesa pubblica. Secondo Magaldi, Draghi non è solo: la stessa Christine Lagarde (e altri big del grande potere) hanno abbandonato le superlogge reazionarie per approdare al fronte progressista, impegnato a riconquistare il pieno ritorno alla democrazia e alla sovranità finanziaria. Di qui l’inedita spendibilità del “nuovo” Draghi, per far uscire l’Italia dal tunnel in cui l’ha cacciata Conte, col pretesto del coronavirus.
    «Mario Draghi – conferma Carpeoro – ha deciso di giocare una sua importante partita personale». E’ davvero “pentito” di esser stato uno degli uomini-simbolo del rigore finanziario europeo, dopo aver contribuito alle grandi, disastrose privatizzazioni che negli anni Novanta sabotarono l’economia italiana? «E’ impossibile valutare oggi la sincerità delle sue intenzioni», ammette Carpeoro: «Certe cose le possiamo capire solo a giochi fatti». E a proposito di giochi: Draghi ambisce a sostituire Conte? Non proprio: «Draghi ha fatto sapere, semmai, di essere interessato al Quirinale». E qui, tutto si complica: «Appena Conte se n’è accorto, ha candidato Mattarella a succedere a se stesso, esattamente come Napolitano». Ipotesi improbabile, secondo Carpeoro, ma non impossibile: «Credo che Matterella non desideri restare capo dello Stato ad ogni costo; però penso anche che ci penserebbe, se qualcuno glielo chiedesse». Che presidente è stato, finora? Non peggiore di altri, sempre per Carpeoro, almeno fino al lockdown: «Poi invece, con l’emergenza decretata da Conte, ha firmato di tutto: ha avallato anche atti che non avrebbe dovuto né potuto avallare». In altre parole, si sarebbe reso pienamente corresponsabile delle forzature che molti giuristi hanno imputato a Conte, accusato di aver calpestato la Costituzione.
    Lo sguardo di Carpeoro è lucidamente distaccato da quello che definisce «gossip complottista», ma il suo giudizio resta durissimo: «L’enfasi attribuita alla gestione del coronavirus è un fatto di potere: se la gente è assillata da una preoccupazione come quella, imposta dai media in modo totalizzante, evita di occuparsi dell’operato del potere. In altre parole: il virus è comodissimo, per chi comanda». Un esempio, tra i tanti? La scuola: «Se avessi dei figli, quest’anno non ce li manderei». La scuola è nel caos, in preda al delirio del distanziamento. «E nessuno che ricordi che la scuola italiana era già in stato di sfacelo, ben prima dell’epidemia: carenze di insegnanti, soffitti che crollavano in testa agli alunni. Domando: in tutti questi mesi che cosa ha fatto, la graziosa ministra Azzolina, per affrontare questi problemi? Risposta facile: zero». Ecco dunque che a far dimenticare tutto è arrivata la paura (provvidenziale) del virus, con dettagli surreali – all’italiana – come i seggioloni a rotelle al posto dei banchi. Siamo allo sbando? «Era inevitabile, e innanzitutto per colpa nostra», dice Carpeoro: «Per anni siamo andati appresso a politici inesistenti, anziché preoccuparci di obbligare la politica a dare risposte serie, capaci di progettare il futuro».
    Ecco perché, oggi, la prospettiva di un impegno diretto di Mario Draghi nella politica italiana sembra davvero una risorsa strategica, data la situazione comatosa del paese – vicino al collasso socio-economico – e senza nemmeno l’ombra di un’offerta elettorale all’altezza della situazione. «Solo che le poltrone contese sono due – Palazzo Chigi e Quirinale – mentre i pretendenti sono tre», riassume Carpeoro: ci sono Draghi e Mattarella, più Conte (che ovviamente ha meno peso degli altri due, ma farà di tutto per restare dov’è). Molto, dice lo stesso Magaldi, dipende proprio da Mattarella: «Il presidente della Repubblica sa benissimo che deve la sua elezione al Quirinale proprio a Draghi, che – quand’era a capo della Bce – convinse Matteo Renzi, allora premier, a farlo eleggere capo dello Stato». Poi però è arrivata la bufera-Covid, che ha sparigliato le carte: Conte ha cavalcato la paura, secondo i dettami dell’Oms pilotata fronte reazionario mondiale che utilizza la Cina come testa di ponte, verso un Occidente non più libero, con meno diritti e sottoposto al ricatto del terrore sanitario. Mattarella, purtroppo, non si è opposto alla decretazione emergenziale di cui Conte è accusato si aver abusato. Draghi sembra guidare il fronte opposto: quello del ritorno alla normalità nel più breve tempo possibile. Forti i legami di Draghi con gli Usa, dove si sta giocando la partita delle presidenziali: lo stesso Trump (come Draghi) non è affatto entusiasta del lockdown “cinese”. Lo stallo italiano sarà risolto da Washington? Saranno guai, avverte Carpeoro, se Trump non dovesse essere rieletto.

    Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».

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