Archivio del Tag ‘Matteo Renzi’
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Che succede dopo le elezioni? Niente, e riderà la solita élite
Mi domandano spesso in questi giorni cosa succederà secondo me dopo le elezioni. La risposta è semplice: nulla. Non succederà nulla di assolutamente diverso rispetto a ciò che è successo a partire dal 1945 ad oggi: nessun partito (con l’unica eccezione del primo governo Dc scaturito dalle elezioni del 1948) sarà mai in grado di raggiungere una maggioranza, con la conseguenza che occorrerà formare una coalizione, oppure nominare un ennesimo governo tecnico, non collegato in modo diretto ai partiti eletti (come è accaduto per tutti i recenti governi: Gentiloni, Renzi, Letta, Monti). Per questo motivo ogni gruppo politico in questa campagna elettorale sta promettendo mari e monti, dal reddito di cittadinanza, all’abbassamento delle tasse e via discorrendo. Infatti ognuno sa che, dopo il voto, sarà impossibile mantenere le promesse perché dovrà allearsi con qualche altra forza, e quindi inevitabilmente giungere a compromessi che impediranno di effettuare riforme decenti. Basti pensare, tra tutte le assurdità politiche che si sono profilate all’orizzonte in questa campagna elettorale, all’affermazione di Di Maio che “non esclude un’alleanza col Pd”.La necessità di formare alleanze improbabili è stata quindi da sempre la caratteristica della politica italiana. Le cose non cambiarono neanche con il passaggio dalla prima alla seconda repubblica; nonostante fosse stato riformato il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, la verità è che la riforma elettorale servì unicamente a rendere meno ancorati al territorio i vari candidati, e a restringere le possibilità di scelta dell’elettore. Per il resto, la composizione politica del Parlamento rimase più o meno identica alla precedente, nell’impossibilità di formare una vera maggioranza, e quindi con alleanze che costringevano poi a non portare a termine nessuna vera riforma (eclatante fu la rottura del primo governo Berlusconi, ove quest’ultimo dichiarò che mai più avrebbe voluto avere a che fare con Bossi, mentre Bossi dal canto suo dichiarò “mai più con la porcilaia fascista”; e puntualmente dopo pochi mesi si riallearono di nuovo, nell’impossibilità di formare una maggioranza di governo).Le ultime riforme elettorali, dal Porcellum o al Rosatellum, non hanno avuto altri effetti se non di impedire agli elettori di scegliere i propri candidati, e complicare il meccanismo elettorale in modo da rendere possibili brogli e impedire ai partiti di minoranza di avere una loro rappresentanza, sia pure minima (questo fenomeno però non è nuovo; la prima legge elettorale per taroccare i risultati, infatti, fu approvata dalla Dc ai tempi della prima legislatura, tanto che tale legge fu denominata, appunto “legge-truffa”). Ma la più grossa assurdità di queste elezioni è che il Parlamento attuale, sorto a seguito di una legge dichiarata incostituzionale dalla stessa Corte Costituzionale, è da considerarsi giuridicamente illegittimo. Questo Parlamento illegittimo ha modificato a sua volta la legge elettorale (che quindi, per la proprietà transitiva, è da considerarsi anch’essa illegittima, come qualsiasi legge sia stata votata da questo Parlamento) e quindi avremo un Parlamento, quale che esso sia, a sua volta illegittimo. Un Parlamento instabile è infatti ciò che è necessario a chi detiene veramente il potere (cioè le élite economico-finanziarie internazionali) per garantirsi quell’instabilità politica, necessaria per continuare a perpetuare il proprio piano internazionale di globalizzazione del mondo e di accentramento di tutti i poteri politici e finanziari in un vertice unico.(Paolo Franceschetti, “Cosa succederà dopo le prossime elezioni?”, dal blog “Petali di Loto” del 28 febbraio 2018).Mi domandano spesso in questi giorni cosa succederà secondo me dopo le elezioni. La risposta è semplice: nulla. Non succederà nulla di assolutamente diverso rispetto a ciò che è successo a partire dal 1945 ad oggi: nessun partito (con l’unica eccezione del primo governo Dc scaturito dalle elezioni del 1948) sarà mai in grado di raggiungere una maggioranza, con la conseguenza che occorrerà formare una coalizione, oppure nominare un ennesimo governo tecnico, non collegato in modo diretto ai partiti eletti (come è accaduto per tutti i recenti governi: Gentiloni, Renzi, Letta, Monti). Per questo motivo ogni gruppo politico in questa campagna elettorale sta promettendo mari e monti, dal reddito di cittadinanza, all’abbassamento delle tasse e via discorrendo. Infatti ognuno sa che, dopo il voto, sarà impossibile mantenere le promesse perché dovrà allearsi con qualche altra forza, e quindi inevitabilmente giungere a compromessi che impediranno di effettuare riforme decenti. Basti pensare, tra tutte le assurdità politiche che si sono profilate all’orizzonte in questa campagna elettorale, all’affermazione di Di Maio che “non esclude un’alleanza col Pd”.
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Dezzani: il piano è spolpare l’Italia grazie al governo Di Maio
«Un ipotetico governo Di Maio non sarebbe nient’altro che la continuazione del processo iniziato con il governo Monti, anzi, ne sarebbe l’epilogo». Secondo Federico Dezzani, i grillini sarebbero uno strumento di “autodistruzione programmata” dell’Italia. «Prima i poteri “liberal” (gruppo Bilderberg e Trilaterale) indeboliscono il paese con l’austerità di Monti, poi aumentano la dose di veleno con i governi di centrosinistra e, quando il paziente è sufficientemente indebolito, inseriscono il virus: il Movimento 5 Stelle, con il suo mix letale di incapacità e cupio dissolvi». Secondo l’analista geopolitico, tutto nasce dalla crisi del sistema euro-americano: «Più il potere atlantico si indebolisce e più aumenta la volontà di fare terra bruciata, per impedire che i vecchi sudditi, una volta liberati, convergano verso la Russia e la Cina. L’Italia, il cui valore geopolitico è enorme, non fa eccezione: se non la si controlla, è meglio distruggerla, magari spartendosi le spoglie con i vicini (Francia e Germania)». A penalizzare gli italiani, tradizionalmente “esterofili”, c’è anche «un complesso di inferiorità nei confronti delle potenze straniere», ormai ferocemente in lotta tra loro ma coalizzate contro l’Italia, tra le macerie di quella che doveva essere una Unione Europea, e cui il Belpaese rischia di essere, definitivamente, la prima vittima.Il processo di annichilimento della Penisola, avviato nei primi anni ‘90 con Tangentopoli e la destabilizzazione della Somalia, secondo Dezzani ha accelerato a partire dal 2011: austerità, cessione delle imprese strategiche (Telecom, Edison, Unicredit, alimentare e lusso), guerra in Libia e conseguenti flussi migratori incontrollati. Arrivati nel 2018, sta per iniziare l’ultima fase del processo di “demolizione controllata” dell’Italia. «E le imminenti elezioni del 4 marzo, decretando chi dovrà gestire il pericolosissimo aumento generalizzato dei tassi ed il conseguente crollo delle piazze finanziarie, giocano un ruolo cruciale». La legge elettorale difettosa, che impedisce la governabilità? Non è un caso, sostiene Dezzani nel suo blog: «L’ingovernabilità è un valore – scrive – perché obbliga le istituzioni ad adottare, una volta chiuse le urne, soluzioni “impensabili”». Ovvero: «Costringe a sdoganare definitivamente il Movimento 5 Stelle, usandolo come perno attorno cui costruire un governo». Secondo Dezzani, l’opinione che i “poteri forti” premano per una grande coalizione “di centro”, basata su un patto tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, è errata: «Entrambi sono indigesti a chi conta davvero», come «i circoli finanziari rappresentati dal settimanale “The Economist” che, per inciso, sono gli stessi che hanno partorito la Casaleggio srl e il Movimento 5 Stelle».Per Dezzani, la strategia dell’alta finanza non contempla una grande coalizione tra partiti “moderati”, ma «una grande coalizione incentrata sui grillini, la cui forza, si noti, nasce da quelle stesse politiche di austerità imposte dall’alta finanza». Dopo Monti e Letta, Renzi e Gentiloni, ecco il “virus” 5 Stelle, «gonfiato a dismisura dalle politiche dei precedenti esecutivi “europeisti”». Sempre secondo Dezzani, sarebbe illuminante l’atteggiamento del “Corriere della Sera”, che l’analista definisce «storico giornale della borghesia anglofila e “badogliana”». Si parte nel 2011 con l’incondizionato sostegno a Mario Monti, poi si sostiene la linea di austerità, privatizzazioni e ultra-europeismo di Letta, Renzi e Gentiloni, e adesso, quando il Pd è ormai logoro, si vira verso il Movimento 5 Stelle, «preparando così il terreno ad un governo grillino con la benedizione del primo quotidiano d’Italia», svolta incarnata dalla direzione di Luciano Fontana, con accanto un editorialista come Ernesto Galli della Loggia, «principale artefice dello “sdoganamento” del M5S: il movimento non è eversivo, è democratico e incarna la volontà di “palingenesi” del paese». Analogo percorso da La7 di Urbano Cairo, mai anti-grillina fin dall’inizio «essendo nata come tv della Telecom che ha giocato un ruolo chiave nella nascita del M5S».Domanda: «Perché il giornale della borghesia “anglofila” si prodiga per sdoganare i 5 Stelle, nonostante il clamoroso fallimento della giunta Raggi a Roma e di quella Appendino a Torino (che deve le sua nascita al decisivo avvallo degli Agnelli-Elkann)?». Ovvero: «Perché l’establishment liberal lavora per portare i grillini al potere, nonostante la loro manifesta incapacità di governare?». Perché sono deboli e fragili, quindi facilmente manovrabili da chi mira a spolpare definitivamente il paese. E’ la tesi che Dezzani formula, prendendo spunto dal caso-Roma: «Supponiamo che l’esperimento “Raggi” sia ripetuto a scala nazionale, per di più in un contesto macroeconomico sempre più ostile (aumento tassi e recessione economica); quale sarebbe il destino dell’Italia? Come una nave senza comandante in mezzo alla tempesta (dopo anni, peraltro, di incuria e malgoverno), l’Italia sarebbe travolta dai marosi della crisi: caos, saccheggio e default. La lunga stagione di “destrutturazione” del paese, iniziata nel 1992-1993, culminerebbe così in un epico schianto, grazie al M5S (dopotutto, non fu grazie ad Antonio Di Pietro, l’uomo simbolo di Mani Pulite, se Gianroberto Casaleggio si affacciò alla politica?)».E come si arriverebbe, concretamente, a un governo 5 Stelle? «Attraverso il “contratto” proposto da Luigi Di Maio», scrive Dezzani, ricordando che il leader grillino «ha smentito un’alleanza con la sinistra ma, per scongiurare scenari di “caos”, ha parallelamente aperto ad un programma di legislatura con chi è disponibile, da mettere nero su bianco in un contratto. E chi potrebbe essere disponibile a quest’avventura, se non proprio la sinistra?». Conti alla mano: “Liberi e Uguali” (5%) e un Pd al 20-25% «depurato dall’ormai esausto Matteo Renzi», tutto sommato «fornirebbero un numero di parlamentari sufficienti a formare una maggioranza», sommandoli all’ipotetico 25-30% del Movimento 5 Stelle. «Così, le disastrose amministrazioni Raggi e Appendino verrebbero replicate nei dicasteri romani, con il preciso intento di portare l’Italia alla bancarotta e spalancare le porte alla speculazione più selvaggia».Qualcuno potrebbe obiettare: ma non è interesse dell’establishment atlantico preservare la calma sui mercati, spingendo verso un governo “moderato”? Non è l’Italia “too big to fail”? Dezzani ritiene di no: «Dieci anni di liquidità a costo zero hanno creato un’enorme bolla azionaria e obbligazionaria che, alzati i tassi di interesse, cerca soltanto un pretesto per scoppiare: l’Italia del 2018 potrebbe essere la Lehman Brothers del 2008». Inoltre, aggiunge l’analista, «l’oligarchia finanziaria atlantica ha spinto al default negli ultimi 20 anni la Russia, i paesi del sud-est asiatico (1997-1998) e l’Argentina (2001). Non si capisce per quale motivo dovrebbe risparmiare l’Italia che, come ricordano sinistramente molti commentatori, vale ormai soltanto il 2-3% del Pil mondiale. E se il Movimento 5 Stelle sarebbe «il cavallo di Troia per portare il paese alla bancarotta», conclude Dezzani, «le nostre istituzioni massoniche e la borghesia “badogliana”, da sempre alleate col nemico, sono suoi complici».«Un ipotetico governo Di Maio non sarebbe nient’altro che la continuazione del processo iniziato con il governo Monti, anzi, ne sarebbe l’epilogo». Secondo Federico Dezzani, i grillini sarebbero uno strumento di “autodistruzione programmata” dell’Italia. «Prima i poteri “liberal” (gruppo Bilderberg e Trilaterale) indeboliscono il paese con l’austerità di Monti, poi aumentano la dose di veleno con i governi di centrosinistra e, quando il paziente è sufficientemente indebolito, inseriscono il virus: il Movimento 5 Stelle, con il suo mix letale di incapacità e cupio dissolvi». Secondo l’analista geopolitico, tutto nasce dalla crisi del sistema euro-americano: «Più il potere atlantico si indebolisce e più aumenta la volontà di fare terra bruciata, per impedire che i vecchi sudditi, una volta liberati, convergano verso la Russia e la Cina. L’Italia, il cui valore geopolitico è enorme, non fa eccezione: se non la si controlla, è meglio distruggerla, magari spartendosi le spoglie con i vicini (Francia e Germania)». A penalizzare gli italiani, tradizionalmente “esterofili”, c’è anche «un complesso di inferiorità nei confronti delle potenze straniere», ormai ferocemente in lotta tra loro ma coalizzate contro l’Italia, tra le macerie di quella che doveva essere una Unione Europea, e cui il Belpaese rischia di essere, definitivamente, la prima vittima.
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Giannini: il reddito di cittadinanza può far gola alla mafia
Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.Di Maio il candidato premier, Ruocco, Sibilia e Fico sono stati 4 dei 5 membri del vecchio direttorio e sono tutti campani. Mi chiedo come possa essere stato possibile che da questi rappresentanti non siano state previste delle “clausole di salvaguardia” per l’erogazione del RdC nelle aree del paese a forte infiltrazione mafiosa; mi domando se questa gravissima lacuna sia stata frutto di incompetenza o di distrazione (a causa della campagna elettorale). Non critico l’opportunità di un Reddito Minimo Garantito Workfare quale è il RdC (di cui sono promotore dal 2011) ma parte dei 29 miliardi del RdC non possono diventare un business per la criminalità organizzata. Potevano essere previsti diversi tipi di contrappeso: la possibilità per il prefetto di sospendere l’erogazione a tempo indeterminato nelle aree infiltrate; un tetto massimo di prelievo giornaliero e settimanale; l’utilizzo di una carta di credito apposita con cui si possano spendere i 780 euro ma non ritirare banconote. Comprendo che quando tocchiamo grossi interessi della malavita ci si espone a un pericolo ma ho nel cuore le parole della vedova Caponnetto: «Hai i 5 valori di mio marito, non ti far cambiare e mantieni il tuo coraggio»; non esiste una equazione Sud = malavita, ma in molti Comuni del meridione esiste una mentalità “anti Stato” in cui la malavita è vista come lo Stato (io ho vissuto alcuni periodi della mia vita in province campane pur essendo da sempre residente in Toscana).Lo “Stato Camorra” è percepito come la “comunità locale”, come colei che “provvede”, in antitesi ad uno Stato italiano “canaglia”, descritto come invasore, oppressore, responsabile della “depressione” delle aree del Sud. «E’ Stato la Mafia», direbbe Travaglio. Da questa forma di Stato-AntiStato parallelo vengono “forniti” lavori saltuari, a volte derrate alimentari sotto traccia, sostegno economico e “protezione”. Ad essere tagliaggiate sono le imprese; non dubito che sarà così anche per gli aventi diritto al reddito: saranno avvicinate persone che altrimenti sarebbero fuori dal raggio di azione concreto dei gangli mafiosi. La mafia esiste e, in quanto tale, impone ai cittadini la propria sopravvivenza, motivandola come la sopravvivenza di tutti: chiaramente è falso, chiaramente ancora oggi vive di rancori storici verso lo Stato unitario italiano. Esiste una zona grigia sociale da cui nessuno è immune: può accadere a chiunque, perfino durante un singolo pomeriggio, di essere malavitoso per un quarto d’ora per poi tornare a non esserlo: ad esempio fingendo di non sapere con chi si sta prendendo un caffè (obtorto collo) perché magari presente nel gruppo di un amico, ecc. Le persone in queste realtà si conoscono tutte, ed è certo come lo sono “il giorno e la notte” che in questi contesti la frase sarebbe del tipo: «Sei disoccupato? Quanto ti dà lo Stato? 780 euro? Sai che noi siamo lo Stato. Noi dobbiamo proteggere tutti, proteggiamo anche te, tua moglie, ecc. Devi dare una mano anche tu alla Comunità perché noi siamo la tua famiglia, non lo Stato».Possiamo speculare, ipotizzare possano essere 100 euro, 50, 200 euro al mese, ma la mia sensazione è che ciò puntualmente accadrà. Chi si fa promotore della proposta del Reddito di Cittadinanza è il M5S, che nelle regioni del Sud non viene votato granché quando si tengono elezioni locali (dal comunale, al regionale fino al voto europeo) mentre in vista del Reddito di Cittadinanza alle elezioni nazionali (da quello che scrivono su Facebook e dai sondaggi) pare fare il pieno. Temo che solo in parte ciò sia dovuto all’elevato tasso di disoccupazione presente al Sud; credo che la mafia stia favorendo un consenso in questa direzione agendo nella società e che sempre la malavita stia pregustando l’erogazione del Reddito di Cittadinanza. Senza voler creare allarmismo potrebbe accadere, addirittura, che le Regioni che contribuiscono in modo massiccio alle entrate dello Stato, se emergessero i primi scandali, chiederanno a gran voce l’autonomia, mettendo in discussione l’integrità territoriale italiana prevista dalla Costituzione e lasciando il Sud in mano proprio alla peggior forma di Parastato, proprio ai carnefici di Falcone e Borsellino sulla cui fine ancora oggi dubito sia stata fatta pienamente luce.(Marco Giannini, riflessione su “Il potenziale legame tra Reddito di Cittadinanza e Mafie”, pubblicato sa “Libreidee” il 3 marzo 2018. Già attivista del Movimento 5 Stelle, Giannini è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, sottotitolo “Corso di sopravvivenza per chi non sa niente di economia”, edito da Andromeda nel 2015, presentato anche alla Camera. Nel gennaio 2017 Giannini si è distanziato dal movimento fondato da Grillo dopo la tentata adesione del M5S al gruppo ultra-europeista dell’Alde in seno al Parlamento Europeo).Premetto per motivi di opportunità che sono consapevole che questo pezzo andrà ad interessare la sensibilità di molte persone, tuttavia è compito di ogni serio articolista non avere timore di esporre le proprie perplessità sugli aspetti carenti di una proposta. Sarò al solito diretto come lo sono stato in passato con la retorica di FdI sui “Marò”, sulla posizione della Lega sulle “Quote Latte”, sulla “Buona Scuola” di Renzi, e sulla distruzione del Pil operata da Mario Monti. Spero per una volta che i grillini prendano esempio dagli elettori di queste forze politiche riguardo l’opportunità di non polemizzare in modo scomposto su un tema di questo tipo, evitando le solite strategie di aggressione personale (insulti, derisione, insinuazioni, ecc) per il mio passato da pentastellato. Se trattasi di passione politica non esiste accanimento, altrimenti è indice di impegno non disinteressato e bramosia di posto pubblico. Lo stesso Di Maio finirebbe per esser percepito come lo specchietto per le allodole che maschera una indole poco equilibrata di tutto un movimento. Nunzia Catalfo è senatrice del Movimento ed il Ddl del 2013 (cui contribuii) porta il suo nome: è siciliana ed è persona equilibrata ed onesta.
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Giannuli: accordi sottobanco nel dopo-voto senza vincitori
Renzi il grande sconfitto, il redivivo Berlusconi in netto vantaggio, i 5 Stelle sotto il 30%. Con ancora un 35% di indecisi alla vigilia del voto può succedere di tutto, premette Aldo Giannuli: ogni previsione non può che essere assai aleatoria. Ma intanto, al netto di sorprese e oscillazioni fisiologiche, la tendenza elettorale sembra delinearsi: all’affermazione numerica del centrodestra, con l’incognita politica della Lega di Salvini (che ha in lista Borghi e Bagnai, frontalmente critici verso l’Ue) corrisponderebbe il crollo annunciato del Pd renziano, senza peraltro che i grillini guidati da Di Maio riescano a sfondare, imponendosi come forza di governo. Poi ci sarebbero risultati meno scontati: «Sbaglierò, ma mi sento di scommettere sul fatto che Bonino e “Potere al Popolo” faranno entrambi il 3%, con la prospettiva di superare il 4%», a spese del Pd e di “Liberi e Uguali”, probabilmente costretti sotto il 5%. Giannuli accredita CasaPound di almeno un 1%, senza contare gli altri gruppi minori, i fuori-coalizione, «nessuno dei quali, ragionevolmente, farà il 3%». Messe insieme, però, le tante liste-contro «potrebbero sfiorare l’8-9%: il che sarebbe un segnale molto interessante», specie se sommato all’ipotetica valanga degli astensionisti, dati attorno al 37% secondo le ultime rilevazioni circolate prima del silenzio pre-elettorale.
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“Non fidatevi delle elezioni, comanda il Pontifex Maximus”
Fascismo e antifascismo: il ritorno della violenza politica in campagna elettorale? Diciamo che puzza un po’ di strategia della tensione. Io all’epoca vivevo negli ambienti che si occupavano di queste cose: conoscevo le persone che si occupavano di organizzarla, la strategia della tensione. Quindi sento puzza di bruciato (diciamo “di bruciaticcio”: certo non siamo a quelli livelli là). Però è come se qualcuno volesse dire: guardate che razza di disordini vengono fuori, teniamoci la tranquillità e non andiamo verso il nuovo, se no si scatenano delle forze strane. Io però non le vedo, le sorprese in arrivo. Come si fa a capire qual è il gioco dei grandi poteri? Lo si capisce dopo che l’hanno fatto, il gioco. Quali possono essere, le sorprese, in questo momento? La più grossa sorpresa sarebbe se il Pd rimanesse al potere – da solo, quantomeno. Un’ipotesi molto probabile è che facciano un bell’inciucione mascherato, mantenendo un personaggio come Gentiloni a capo di un “governo di responsabilità” per rispondere all’emergenza (altrimenti ecco “i mercati, lo spread”). E chi più dell’apparentemente mite Gentiloni potrebbe assicurarlo? Ma non è detto che sarà così, e secondo me non dipende tanto dal risultato elettorale. Io non mi fido, del risultato elettorale. Non mi sono mai fidato: brogli, broglietti…Impicci e imbrogli si facevano talmente bene al tempo del pentapartito, quando al ministero degli interni si lavorava con la penna, e figuriamoci adesso che si lavora coi computer. Quindi mi aspetto di tutto. Che invece di un inciucione, o del successo della destra, venga fuori il cosiddetto risultato a sorpresa dei 5 Stelle, potrebbe non essere per niente una sorpresa, dal punto di vista di certi poteri. Quali? Quelli che hanno costruito il 5 Stelle, ovviamente. E chi sono, questi poteri? Gli stessi che stanno dietro a Renzi, dietro alla Bonino. Gli stessi gruppi che, per dominare gli elettori, gli creano contenitori apparentemente diversi (ma che in realtà sono gli stessi). Il problema è un altro, e mi dà un po’ di sospetto: per quale motivo è stato fatto questo enorme sforzo, negli ultimi mesi, per accreditare un Di Maio? E’ un democristiano, non è un 5 Stelle originario. E lo si è fatto diventare sempre più democristiano, con tinte massonico-reazionarie molto vicine alla finanza, alla Trilateral. Ho visto la nomina di Fioramonti come possibile ministro dello sviluppo economico: un uomo che ha lavorato per Rockefeller, per i Rothschild, che scrive su un sito vicino a Soros. C’è un avvicinamento forte alla Chiesa, all’Europa, alla Nato. Che sorpresa sarebbe, un successo di Di Maio? Ci ritroveremmo – travestiti da grillini – sempre gli stessi poteri. Nell’inconsapevolezza di tutti.Il paese è stato diviso in guelfi e ghibellini, la gente si illude che ci sia qualcosa di nuovo, e invece siamo ai tempi di Garibaldi e del Gattopardo. Le manovre dei grandi poteri, uno se le può immaginare, ma il risultato lo vede dopo. Noi non sappiamo se ci sono già delle “truppe” disposte ad allearsi coi 5 Stelle, per esempio, però certi poteri le possono muovere. Oppure: che ne sappiamo se non è già pronto un inciucio? O se invece la manovra sarà di tipo “trumpiano”, cioè: “Rimettiamo Berlusconi in sella”? Questo lo sapremo solo dopo. Una cosa è certa: è tutta la stessa banda, divisa in un paio di “piramidi”, ma sono sempre quelli. Berlusconi “ridicolo”? Però è funzionale. Una parte degli elettori, è vero, è colpita dalla sua goffaggine. Ma non faceva ridere anche Mussolini, se non fosse stato una maschera tragica? Com’è possibile che gli italiani dessero credito a uno che si presentava così, che parlava in quel modo? Eppure è successo. Una parte degli italiani dorme di brutto e si fa prendere da strane passioni, ma queste sono le condizioni della psiche dai popoli: da una parte quelli che usano una psiche più arretrata ed egoica, come quella della destra, ma ancora peggio – secondo me – sono quelli che adoperano i buoni sentimenti delle persone, inventandosi sempre nuovi contenitori per prenderle in giro.La sovragestione internazionale che si accanisce sull’Italia? Sfatiamo l’idea che noi saremmo pizza e mandolino. E’ quasi un understatement voluto, questo “non contare” dell’Italia, questo essere un paesetto poverello. Non è così. Il buon Steiner, che se ne intendeva, diceva: l’Italia, dal punto di vista della storia umana, traccia le strade. Come a dire: le cose cominciano in Italia. Basta guardare il Rinascimento, e prima ancora l’Impero Romano. Ed è ancora così. Noi sottostimiamo dei poteri, per esempio quelli all’interno della Chiesa cattolica. Sottostimiamo il potere di certi gruppi italiani. Tra i gruppi oscuri che dominano il mondo tutti pensano agli americani, agli inglesi, ai francesi… Se dovessi salire, direi che la direzione strategica transnazionale di tanti elementi di strategie oscure è in buona parte ancora a Roma – certo non nelle facce che noi conosciamo, che sono ridicole o miserande. So che è strano parlarne, sembrano fantasie quasi ufologiche, ma ci sono gruppi molto particolari, che in qualche modo derivano direttamente dall’Impero Romano.Una cosa ho imparato, in tanti anni: “Se lo conosci, non conta niente”. Se sai il nome di qualcuno, che è sui giornali, è una persona che non conta praticamente nulla: è solo un burattino messo lì dal potere per fare da specchietto per le allodole. Il livello di cui si parla di più, anche nella letteratura complottistica, è quello del Bilderberg, delle massonerie. Al massimo ci si spinge fino agli Illuminati: si vedono queste strane piramidi, di cui però mancano sempre i pezzi principali. Già a livello di massonerie e ordini religiosi ci sono gruppi che li infiltrano, e non sono noti. Ogni tanto emerge qualcuno, ma noi non sappiamo che fa parte di questi gruppi. Sono gruppi transnazionali, legati a ritualità di un certo tipo: hanno bisogno anche di supporti oscuri, non necessariamente “umani”, che però traspaiono anche da certi delitti rituali, che servono a tenere in piedi dei gruppi che non sono noti, eppure lavorano per creare forme-pensiero. Gli stessi gruppi, con le medesime caratteristiche di anonimato, erano presenti anche all’interno dell’Impero Romano. Nella storia romana c’è l’evidente traccia di fortissime ritualità: tutto era innanzitutto spirituale – e solo dopo materiale (economico, guerresco, politico, giudiziario). Tutto era dominato dal Campidoglio: la testa dell’impero era tutta templi, dominata dalla figura del Pontifex Maximus, che già allora aveva le scarpe rosse e, come simbolo, due chiavi incrociate. Ancora oggi, quel potere – non per forza incarnato dal Papa di turno – pretende di essere superiore ai poteri politici e finanziari.(Fausto Carotenuto, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella diretta web-radio “Border Nights” del 27 febbraio 2018. Già analista politico dei servizi segreti italiani e dell’intelligence Nato, Carotenuto è animatore del network “Coscienze in Rete” dedicato allo sviluppo spirituale. In chiave spiritualistica è anche il saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato nel 2005 da Uno Editori).Fascismo e antifascismo: il ritorno della violenza politica in campagna elettorale? Diciamo che puzza un po’ di strategia della tensione. Io all’epoca vivevo negli ambienti che si occupavano di queste cose: conoscevo le persone che si occupavano di organizzarla, la strategia della tensione. Quindi sento puzza di bruciato (diciamo “di bruciaticcio”: certo non siamo a quelli livelli là). Però è come se qualcuno volesse dire: guardate che razza di disordini vengono fuori, teniamoci la tranquillità e non andiamo verso il nuovo, se no si scatenano delle forze strane. Io però non le vedo, le sorprese in arrivo. Come si fa a capire qual è il gioco dei grandi poteri? Lo si capisce dopo che l’hanno fatto, il gioco. Quali possono essere, le sorprese, in questo momento? La più grossa sorpresa sarebbe se il Pd rimanesse al potere – da solo, quantomeno. Un’ipotesi molto probabile è che facciano un bell’inciucione mascherato, mantenendo un personaggio come Gentiloni a capo di un “governo di responsabilità” per rispondere all’emergenza (altrimenti ecco “i mercati, lo spread”). E chi più dell’apparentemente mite Gentiloni potrebbe assicurarlo? Ma non è detto che sarà così, e secondo me non dipende tanto dal risultato elettorale. Io non mi fido, del risultato elettorale. Non mi sono mai fidato: brogli, broglietti…
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Magaldi: potessimo “votare” per Olof Palme, cioè per l’Italia
Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: quello che ci aspetta è solo «una grande palude», sostiene Magaldi, a colloquio con David Gramiccioli di “Colors Radio”. «Nel mondo che Berlusconi auspicherebbe, cioè con una centralità di Forza Italia dopo il voto del 4 marzo», il presidente del Parlamento Europeo «sarebbe la carta perfetta, perché gli consentirebbe di avere un suo uomo gradito ai salotti e agli organi istituzionali europei». In fondo, Antonio Tajani «è il Gentiloni del centrodestra: non dà troppo disturbo e sarebbe perfetto per non suscitare particolari avversioni da parte di nessuno. E’ percepito come un moderato, senza infamia né lode. Ma per vederlo a Palazzo Chigi dovrebbe vincere il centrodestra, con Forza Italia in vantaggio sulla Lega: condizioni non facilissime da realizzarsi». Di fatto, «Tajani è un candidato ecumenico che può piacere a tanti, come si fa finta che possa piacere Gentiloni». Ma in realtà, dichiara Magaldi, «sono personalità diafane, prive di un reale spessore, non in grado di imprimere una qualche direzione: sono terminali di chi sta loro dietro: lo è stato Gentiloni in rapporto a Renzi, anche se adesso Gentiloni sembra vivere di vita propria».In più, Tajani è ritenuto un valido “maggiordomo”, adatto a difendere il Cavaliere da eventuali colpi provenienti da Bruxelles: «Berlusconi è traumatizzato da quello che accadde nel 2011, cioè dall’intervento di poteri massonici molto forti, che a suo tempo lo hanno defenestrato con le buone e con le cattive». E’ ancora traumatizzato, l’uomo di Arcore, «dalla delegittimazione che poteri forti e fortissimi gli hanno imposto». Secondo Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela il ruolo della supermassoneria sovranazionale nel massimo potere mondiale, «oligarchie massoniche internazionali stanno valutando la possibilità di completare questa rilegittimazione di Berlusconi nel quadro di un governo di neo-solidarietà nazionale. A questo – aggiunge – sono funzionali anche le vicende di violenza politica, gli accenni di scontri tra neofascisti e antifascisti squadristici, che ci ricordano gli anni di piombo». C’è un clima strano, avverte Magaldi: da un lato si sostiene che bisogna «accompagnare la presunta crescita che sarebbe iniziata (ma che non c’è)», e dall’altro, sotto sotto, Pd e Forza Italia si strizzano l’occhio accampando «ragioni di argine rispetto al populismo, che – dicono – potrebbe diventare feroce, sfociando in violenza aperta».Anche per questo, da tempo, lo stesso Berlusconi «cerca di riconquistare una qualche forma di credibilità, o di addirittura di avallare l’idea che sia meglio lui, in fondo, di quei “guastafeste teppistoidi” del Movimento 5 Stelle, che sono i nuovi “barbari” nella neo-narrazione berlusconiana». In realtà non ci sono barbari, sottolinea Magaldi, e Tajani «sta solo facendo il suo compitino». Purtroppo i politici italiani sono talmente ininfluenti che non sono stati capaci nemmeno di assicurare a Milano la briciola dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco: «E’ un’Italia che pesa pochissimo, eppure ha in Tajani un alto rappresentante in sede europea: se non è in grado di fare granché per l’Italia lì, figuriamoci da primo ministro». Ma niente paura: «Non credo che ci saranno le condizioni per cui Tajani possa ricevere l’incarico da Mattarella, né credo che l’incarico sarà offerto a Di Maio». Delusione 5 Stelle: «E’ indice di trasparenza la decisione di presentare in anticipo la lista di ministri in pectore, ma perché reclutare solo tecnici? Professori, magistrati e militari dovrebbero fare il loro mestiere, non i ministri. Non c’era personale politico adeguato? Che la società civile sia meglio della società politica è un’idea antidemocratica, sdoganata da Berlusconi».Per Magaldi, il destino che ci attende è ancora una volta quello delle larghe intese: «Una prospettiva esiziale, per il popolo italiano. Non abbiamo bisogno di ulteriori governicchi come quelli di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, che hanno semplicemente accompagnato la decadenza dell’Italia in nome di presunti obiettivi superiori, guidati dalla mano autorevole degli “illuminati” reggitori di quest’Europa matrigna». Liste elettorali alla mano, «tutto dovrebbe continuare come prima». Cioè malissimo, per l’Italia. «Da qualche decennio c’è chi lavora in modo verminoso, proprio come vermi che rosicchino dall’interno, per rendere le istituzioni democratiche imbelli e anche poco gradite ai cittadini», ribadisce Magaldi. «Tutti capiscono che queste istituzioni ripiegate su se stesse sono in realtà un’élite reazionaria, che ci ha proiettato in un incubo post-democratico. Il modello Palme? Serve anche per arginare questo tumore». Il Movimento Roosevelt ha dato il suo “endorsement” a pochi, selezionati candidati: come Pino Cabras a Paolo Margari (5 Stelle), Simone Orlandini (Lega), Felice Besostri e Chiara Mariotti (“Liberi e Uguali”). «Poi ci sono altri candidati a noi vicini: una volta in Parlamento – dice Magaldi – vigileranno per impedire manovre antidemocratiche». Indicazioni generali di voto, tranne che per i candidati “amici”? «Scheda bianca o nulla, oppure astensionismo». Sperando di poter, domani, “votare” per Olof Palme.Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».
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Se Mattarella incarica Di Maio, l’ex antisistema in cravatta
Un “governo di scopo”, della durata di sei mesi o al massimo un anno, dopo che le elezioni avranno “asfaltato” Renzi, mettendo fine alla faida con gli ex-Pd. Esecutivo presieduto da Luigi Di Maio? Perfettamente possibile, secondo uno storico esponente della sinistra moderata italiana, Peppino Caldarola, già direttore de “L’Unità”. «A differenza di Napolitano, Mattarella non farebbe una battaglia frontale contro i 5 Stelle. E’ un presidente molto politico, ma non interventista sulla realtà; da buon democristiano, preferisce l’inclusione allo scontro». Includere, ovvero: «Ricondurre al buon senso politico un leader giovane, così antisistema da essere già incravattato e pronto per l’incarico. Una strategia che potrebbe indurre anche altre forze a dare l’appoggio». E’ un’ipotesi da day-after, che Caldarola disegna per “Il Sussidiario”. Renzi? Non farà nessun “passo indietro” se il Pd dovesse perdere: dirlo ora «sarebbe dichiararsi sconfitto prima della partita». Ma stavolta il suo destino sembra segnato: «Se perdesse in modo grave, con un consenso lontano dal 25% e vicino al 20, a quel punto il tema del ritiro glielo porrebbero i suoi amici di partito». Tradotto: «Con il Pd al 20%, persino il più codardo porrebbe il problema della sostituzione».«Se il risultato fosse tragico – aggiunge Caldarola – molti andrebbero da Veltroni a dirgli: Walter, salvaci tu, e magari torna dai fratelli separati». In altre parole, «Renzi non avrà una seconda chance». Tutti i sondaggi concordano: il Movimento 5 Stelle sarà il primo partito. «E non sarà un voto di protesta», dichiara Caldarola a Federico Ferraù. «L’elettorato investe sul Movimento 5 stelle perché lo vuole al governo. Vale anche per il Mezzogiorno, dove il M5S otterrà la maggioranza dei voti; quei voti, volenti o no, daranno a Di Maio un mandato preciso. Il mandato potrebbe essere eseguito bene o male, ma questo è un altro discorso». E Berlusconi? Oggi è più forte o più debole rispetto al passato? «E’ più debole», secondo Caldarola. «La sua forza in passato è stata di riuscire a istituzionalizzare due forze politiche escluse dal sistema, prima il vecchio Msi e poi la Lega di Bossi. Ma oggi Berlusconi non è più in grado di trasformare la Lega di Salvini in qualcosa d’altro». Per ora il derby sembra destinato a vincerlo il Cavaliere: «Ho l’impressione che Salvini abbia già rastrellato tutto il consenso possibile», sostiene Caldarola. «La maggioranza degli italiani sta con il centrodestra, ma non sono sicuro che voglia essere portata dove vuole Salvini».Infatti Berlusconi è in coalizione con Meloni e Salvini, ma confida in Renzi. «Sì, perché il sogno di entrambi è di essere autosufficienti nella relazione comune. Solo che, se lo dichiarassero, perderebbero voti. Da qui l’ostinazione sfacciata con cui respingono a parole ogni tipo di accordo post-voto». Quale potrebbe essere l’auspicio di Mattarella? «Quello di una situazione parlamentare che possa consentirgli di fare un governo con tutti, ma con un premier di sua assoluta fiducia», immagina Caldarola. L’uomo abbastanza “mattarelliano” da guidare il prossimo “governo di scopo” potrebbe essere «uno della vecchia guardia, come Giuliano Amato», o magari lo stesso Gentiloni, nel caso il partito di Renzi non finisse demolito dal voto. «Certo, se il Pd fosse sconfitto, Gentiloni avrebbe un handicap politico non da poco». In ogni caso, sarebbe un esecutivo di corto respiro. «Non credo a un governo di lunga durata nemmeno nell’ipotesi di una vittoria della coalizione di centrodestra: sorgerebbero conflitti tali da portarlo subito alla crisi». Nemmeno un “Renzusconi” durerebbe oltre i 12 mesi. In altre parole: nessuna delle opzioni elettorali sul tavolo è in grado dare all’Italia le risposte strategiche di cui il paese, vessato dall’austerity europea, ha un disperato bisogno.Un “governo di scopo”, della durata di sei mesi o al massimo un anno, dopo che le elezioni avranno “asfaltato” Renzi, mettendo fine alla faida con gli ex-Pd. Esecutivo presieduto da Luigi Di Maio? Perfettamente possibile, secondo uno storico esponente della sinistra moderata italiana, Peppino Caldarola, già direttore de “L’Unità”. «A differenza di Napolitano, Mattarella non farebbe una battaglia frontale contro i 5 Stelle. E’ un presidente molto politico, ma non interventista sulla realtà; da buon democristiano, preferisce l’inclusione allo scontro». Includere, ovvero: «Ricondurre al buon senso politico un leader giovane, così antisistema da essere già incravattato e pronto per l’incarico. Una strategia che potrebbe indurre anche altre forze a dare l’appoggio». E’ un’ipotesi da day-after, che Caldarola disegna per “Il Sussidiario”. Renzi? Non farà nessun “passo indietro” se il Pd dovesse perdere: dirlo ora «sarebbe dichiararsi sconfitto prima della partita». Ma stavolta il suo destino sembra segnato: «Se perdesse in modo grave, con un consenso lontano dal 25% e vicino al 20, a quel punto il tema del ritiro glielo porrebbero i suoi amici di partito». Tradotto: «Con il Pd al 20%, persino il più codardo porrebbe il problema della sostituzione».
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Calise: morti i partiti, solo promesse-bufala e leader zombie
«Il modello è ancora quello della democrazia del leader, ma i leader non ci sono più». Parola di Mauro Calise, politologo e docente universitario a Napoli, nonché editorialista del “Mattino”. «Di Maio non può sostituire Grillo e si regge soltanto sul suo controllo del server, Renzi è in caduta verticale di leadership, Berlusconi è una penosa riedizione di se stesso». Quanto a Salvini, il segretario leghista «sgomita per conquistare nuovo spazio, ma ha ormai esaurito quello disponibile». Di fatto, «di nessuno di loro ci si aspetta che possa diventare sul serio capo del governo». Gli stessi programmi contano poco, «ma questo deriva dal fatto che sono assenti le leadership che hanno fatto da catalizzatore nel passato: penso a Grillo nel 2013, a Renzi prima di andare al governo». Ieri, il leader riusciva a «sfondare nella melassa comunicativa e nell’overflow di informazioni», dice Calise, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. I partiti oggi sono in tilt: «La capacità di comunicare è sempre più legata a una capacità di leadership forte, ma se questa viene meno, il meccanismo si inceppa e tutto appare piatto». Svaniscono anche i messaggi forti: i programmi, percepiti come poco credibili, non interessano a nessuno.Per Calise, resta solo uno scontro di messaggi finti-forti ma non convincenti: «Le false promesse e le bufale non sono credute, non perché sono tali, ma perché non sono credibili i leader». L’idea di governabilità è stata sconfitta, aggiunge il politologo, e al suo posto non se n’è trovata un’altra. Che cosa vedremo? «Un governo di risulta, appoggiato in buona parte da parlamentari in libera uscita». Intanto si moltiplicano gli appelli al “voto utile”, lanciati da partiti allarmati dall’astensionismo. «Siamo in una fase storica in cui si sono definitivamente destrutturati i grandi partiti», un guaio con risvolti antropologici: agli italiani con basso livello di istruzione e socializzazione «sanno probabilmente tutto di Higuain o di “Amici”, ma poco o nulla di come si vota o della Flat Tax». L’interesse e la passione politica, continua Calise, «non nascono dalla testa dei politici di professione, ma dalle viscere della società». I partiti? «Sono stati i canali che hanno portato le masse nella politica e nello Stato». Attenzione: «La democratizzazione del potere, che non nasce democratico ma verticale e di parte, è avvenuta grazie ai partiti. Ma i tempi sono cambiati e la forza delle fratture sociali che hanno alimentato le battaglie dei partiti si è esaurita. La politica si è liquefatta, e la rappresentanza anche».Che democrazia avremo? Diversa e più fragile. Ma non saremo i soli: «Basta guardarsi intorno per capire che si trema un po’ dappertutto. La Francia si è inventata Macron, che è andato al potere con il 23% dei consensi; oggi forse sono ancora meno, ma nessuno per quattro anni gli toglierà l’Eliseo. La Germania ha la “sfiducia costruttiva”. Noi abbiamo un assetto istituzionale e di governo molto più debole che nelle altre democrazie avanzate». Cosa ci manca? «Un governo che abbia una qualche autonomia costituzionale degna di questo nome», afferma Calise. Un deserto di urla. «Cosa mi preoccupa di più? L’invasivo ricorso all’etica: il grido all’onestà, la caccia allo scontrino, l’epurazione di chi non è conforme», sostiene il politologo. «Quando l’etica diventa un’arma di governo, fa più paura di tutto il resto. Perché l’imperativo etico dell’onestà riscuote tanto consenso? Perché è rimasta la cosa più semplice da dire».«Il modello è ancora quello della democrazia del leader, ma i leader non ci sono più». Parola di Mauro Calise, politologo e docente universitario a Napoli, nonché editorialista del “Mattino”. «Di Maio non può sostituire Grillo e si regge soltanto sul suo controllo del server, Renzi è in caduta verticale di leadership, Berlusconi è una penosa riedizione di se stesso». Quanto a Salvini, il segretario leghista «sgomita per conquistare nuovo spazio, ma ha ormai esaurito quello disponibile». Di fatto, «di nessuno di loro ci si aspetta che possa diventare sul serio capo del governo». Gli stessi programmi contano poco, «ma questo deriva dal fatto che sono assenti le leadership che hanno fatto da catalizzatore nel passato: penso a Grillo nel 2013, a Renzi prima di andare al governo». Ieri, il leader riusciva a «sfondare nella melassa comunicativa e nell’overflow di informazioni», dice Calise, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”. I partiti oggi sono in tilt: «La capacità di comunicare è sempre più legata a una capacità di leadership forte, ma se questa viene meno, il meccanismo si inceppa e tutto appare piatto». Svaniscono anche i messaggi forti: i programmi, percepiti come poco credibili, non interessano a nessuno.
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L’Italia domani: il sovranista Salvini e l’europeista Di Maio
Il Movimento 5 Stelle finirà sopra il 28%? Il Pd chiuderà sotto il 20%? Il centrodestra otterrà la maggioranza assoluta o solo quella relativa? E chi finirà in testa, la Lega o Forza Italia? Difficile fare previsioni, ma alcune tendenze mi sembrano chiare: mentre nel 2013 l’unico partito che riusciva a portare in piazza migliaia di italiani era il Movimento 5 Stelle, oggi a mostrare questa capacità è stata anche la Lega di Salvini, che in queste settimane ha tenuto comizi affollatissimi dappertutto. La folla in piazza Duomo a Milano dimostra che Salvini gode di un consenso senza precedenti: nessun partito storico oggi può vantare questa capacità di mobilitazione, sostiene Marcello Foa sul “Giornale”. Il Movimento 5 Stelle? E’ in piena metamorfosi: dai “vaffa” di Grillo agli abiti grigi di Di Maio, «da movimento di rottura a partito che vuole accreditarsi con le istituzioni italiane, europee e persino con gli un tempo disprezzati banchieri di Londra». La retorica della protesta contro la casta è la stessa, ma la realtà dei programmi e delle finalità è un’altra: «Verosimilmente la maggior parte degli attivisti non si è resa conto dell’evoluzione; gli ultimi scandali non hanno scalfito l’immagine del movimento e questo dimostra che la loro fede è salda e impermeabile a tutto. I 5 Stelle sono in corsa grazie alla fiducia dei “vecchi” simpatizzanti, domani lo saranno soprattutto grazie a quella dei nuovi sostenitori di area progressista».Allungando lo sguardo, secondo Foa, non è difficile immaginare un’Italia “post Forza Italia” e “post Pd”. «Diciamolo: Forza Italia al 15-17% rappresenta un successo inspettato ma di brevissimo periodo, perché il partito si regge sul richiamo del leader storico, che, però, ha 81 anni, e dietro di lui c’è il vuoto. Come vuoto è anche il futuro del Pd: le devastazioni di Renzi lasceranno tracce profonde e il Partito democratico rischia di fare la (brutta) fine di tutti i socialisti europei, ridotto a una forza di circostanza, complementare», scrive Foa. Renzi sostituito dal Movimento 5 Stelle in versione “macroniana”? «Sopresi? Non dovreste. Leggendo in controluce le mosse di Di Maio, è evidente come egli punti, dissimulando abilmente le intenzioni, a un partito sempre meno populista e sempre più progressista e trasversale, inevitabilmente gradito all’establishment. Molto diverso da quello delle origini (e forse per questo Beppe Grillo si è allontanato) ma altrettanto forte elettoralmente, perché capace di intercettare il pubblico disilluso della sinistra moderata». Altrettanto chiaro il disegno di Salvini, «che evolve verso un partito sovranista e davvero nazionale, autorevole, teso ad occupare tutto il centrodestra e dunque ad assorbire gran parte del pubblico di Forza Italia post-Berlusconi. Un’altra svolta storica a cui nessuno, pochi anni fa, avrebbe creduto».Secondo Foa si profila insomma «un’altra Italia, polarizzata non più fra Forza Italia e Pd, ma tra la Lega e il Movimento 5 Stelle, dunque fra una nuova destra sovranista moderata e una nuova sorprendente sinistra europeista». Con buona pace di Berlusconi e di Renzi, «ma anche di chi crede ancora nella vecchia Lega Nord e in un movimento che fino a ieri era davvero grillino e ora è un’altra cosa». Certo, Foa sa benissimo che «da qualche anno le elezioni si decidono allo sprint finale, nell’ultima settimana, confidando negli umori del cosiddetto “elettore liquido”, ovvero quella parte dell’elettorato che è decisa ad andare alle urne ma non è motivata da convinzioni profonde». Molti comunque ormai hanno deciso: «E’ significativo che i sondaggi da settimane registrino oscillazioni minime». In ogni caso, «saranno proprio gli elettori “liquidi” a determinare le grandi svolte di queste elezioni». Un elettorato distratto, che vota «in maniera istintiva e subliminale», convinto «dalla personalità del leader politico, più che dalle sue idee». In fondo, però, Foa scommette su uno scenario basato su attori e ruoli nuovi, o comunque aggiornati: il sovranismo di Salvini, ostile all’attuale gestione Ue, e il moderatismo “politicamente corretto” di Di Maio, in linea con Bruxelles e con l’establishment, adatto ad assorbire gradualmente i delusi del centrosinistra.Il Movimento 5 Stelle finirà sopra il 28%? Il Pd chiuderà sotto il 20%? Il centrodestra otterrà la maggioranza assoluta o solo quella relativa? E chi finirà in testa, la Lega o Forza Italia? «Difficile fare previsioni, ma alcune tendenze mi sembrano chiare: mentre nel 2013 l’unico partito che riusciva a portare in piazza migliaia di italiani era il Movimento 5 Stelle, oggi a mostrare questa capacità è stata anche la Lega di Salvini, che in queste settimane ha tenuto comizi affollatissimi dappertutto». La folla in piazza Duomo a Milano dimostra che Salvini gode di un consenso senza precedenti: nessun partito storico oggi può vantare questa capacità di mobilitazione, sostiene Marcello Foa sul “Giornale”. Il Movimento 5 Stelle? E’ in piena metamorfosi: dai “vaffa” di Grillo agli abiti grigi di Di Maio, «da movimento di rottura a partito che vuole accreditarsi con le istituzioni italiane, europee e persino con gli un tempo disprezzati banchieri di Londra». La retorica della protesta contro la casta è la stessa, ma la realtà dei programmi e delle finalità è un’altra: «Verosimilmente la maggior parte degli attivisti non si è resa conto dell’evoluzione; gli ultimi scandali non hanno scalfito l’immagine del movimento e questo dimostra che la loro fede è salda e impermeabile a tutto. I 5 Stelle sono in corsa grazie alla fiducia dei “vecchi” simpatizzanti, domani lo saranno soprattutto grazie a quella dei nuovi sostenitori di area progressista».
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Il vero guaio dei 5 Stelle? Il programma: sciatto e destrorso
«Io non mi fido di me stesso. Non ho mai fatto nessuna scorrettezza nelle rare occasioni in cui ho gestito briciole infinitesimali di denaro dello Stato (questo posso dirlo con serenità). Ma come mi comporterei di fronte a una tangente di decine di milioni? Spero che saprei resistere, ma come posso saperlo di sicuro?». La sincerità, innanzitutto: perché presentarsi come i “superman dell’onestà”, per poi rischiare la figuraccia di fronte allo scivolone della prima mela marcia? Da Aldo Giannuli, un consiglio ai 5 Stelle: meno ciance su aspetti davvero irrilevanti della politica, e più impegno sulla sostanza. Ovvero: il programma, «sciatto e destrorso» e le liste «da incubo». Una sonora lezione, quella dello scandalo dei mancati versamenti, che in realtà non sono un reato: nessuna appropriazione indebita di denaro pubblico. Certo, «c’è l’aspetto sgradevolissimo del bonifico poi revocato, fatto solo per esibire la fotocopia, che denota un animus incline alla frode». Un sotterfugio, che però tradisce solo «una regola interna al movimento, non una legge dello Stato». Che poi la stragrande maggioranza dei grillini siano stati ai patti, ai giornali non interessa: «Quel che conta è poter dire che sono tutti uguali: perché, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. “Così fan tutti”. Il che è come mettere sullo stesso piano un ragazzino che ha falsificato la firma del padre su una giustificazione e quello che ha fatto una rapina in banca con il mitra».E a proposito di banche: «Il Pd non penserà di risolvere tutto scaricando su Bankitalia e Consob, vero? Certo è che se i guai giudiziari dei renziani fossero come la questione dei rimborsi dei 5 Stelle, si bacerebbero i gomiti», scrive Giannuli nel suo bog. « Ma questo ceffone in pieno viso, i pentastellati se lo meritano e può fargli bene: così magari imparano che fare la giusta battaglia per l’onestà nella gestione del denaro pubblico non significa fare questa grottesca esibizione di onestà per cui “noi siamo i più onesti del reame e gli altri sono tutti merde”. Anche perché, sin qui non hanno avuto occasione di governare e non sappiamo come si comporterebbero». Non ci indurre in tentazione, recita la preghiera: «La melma della corruzione non si risolve promuovendo un ceto politico sedicente più onesto, ma evitando che si formino troppe tentazioni». E questo «lo si fa con i controlli preventivi». I 5 Stelle? «Hanno mostrato di essere inadeguati: hanno gonfiato i petti in una grottesca esibizione di onestà, di spirito francescano, di eroico senso del sacrificio, ma non hanno proposto niente di efficace nel contrasto alla corruzione». Un appello diretto: «Cari amici, non è necessario che siate perfetti, ci basta che siate umani e mediamente corretti, che di questi tempi è già molto».Qualcuno li ha voluti colpire, alla vigilia delle elezioni: ovvio. «Però, cari amici, ve la siete andata a cercare», scrive Giannuli. «I controlli che Di Maio va facendo ora andavano fatti a suo tempo e, al massimo, un mese prima di fare le liste. E’ da imbecilli matricolati non aspettarsi che gli altri stiano con il fucile spianato per beccarti». Per fortuna, aggiunge il politologo, «la gente ha una sua intelligenza e non credo che questa vicenda peserà più di tanto sul risultato elettorale». Non è questo irritante episodio che danneggerà granché il M5S, quanto «altre cose più serie come il programma sciatto e destrorso, le liste da incubo che hanno fatto dopo aver promesso il “controllo di qualità” (e meno male che hanno fatto questo controllo, perché sennò ci trovavamo Messina Denaro in lista!)». E poi, aggiunge Giannuli, c’è da capire «che impatto avrà la freddezza di Grillo, la rinuncia di Di Battista, il mutamento del simbolo, la pessima e illegittima riforma statutaria, la scissione di Borrelli e le critiche di Colomban». Si vedrà il 5 marzo. «Per ora, il M5S ha il problema di “uscire vivo” da questa campagna elettorale (cioè non scendere sotto il 25%)». Poi, dopo le elezioni, «occorrerà aprire una profonda riflessione su tutto: leadership, modello organizzativo, linea politica, stile di lavoro».«Io non mi fido di me stesso. Non ho mai fatto nessuna scorrettezza nelle rare occasioni in cui ho gestito briciole infinitesimali di denaro dello Stato (questo posso dirlo con serenità). Ma come mi comporterei di fronte a una tangente di decine di milioni? Spero che saprei resistere, ma come posso saperlo di sicuro?». La sincerità, innanzitutto: perché presentarsi come i “superman dell’onestà”, per poi rischiare la figuraccia di fronte allo scivolone della prima mela marcia? Da Aldo Giannuli, un consiglio ai 5 Stelle: meno ciance su aspetti davvero irrilevanti della politica, e più impegno sulla sostanza. Ovvero: il programma, «sciatto e destrorso» e le liste «da incubo». Una sonora lezione, quella dello scandalo dei mancati versamenti, che in realtà non sono un reato: nessuna appropriazione indebita di denaro pubblico. Certo, «c’è l’aspetto sgradevolissimo del bonifico poi revocato, fatto solo per esibire la fotocopia, che denota un animus incline alla frode». Un sotterfugio, che però tradisce solo «una regola interna al movimento, non una legge dello Stato». Che poi la stragrande maggioranza dei grillini siano stati ai patti, ai giornali non interessa: «Quel che conta è poter dire che sono tutti uguali: perché, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. “Così fan tutti”. Il che è come mettere sullo stesso piano un ragazzino che ha falsificato la firma del padre su una giustificazione e quello che ha fatto una rapina in banca con il mitra».
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Brutte notizie: la finanza-killer non teme le elezioni italiane
Dal primo gennaio 2018, la Borsa di Milano ha fatto meglio di quelle dei principali paesi europei (Francia, Germania e Spagna inclusi). E a una settimana dal voto, «il mercato non si è ancora accorto che in Italia ci saranno le elezioni». Oppure «pensa che non siano un problema». Ha ragione? Niente di più facile, scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”: il potere finanziario è convinto che dalle elezioni del 4 marzo uscirà l’ennesimo governo “responsabile”, cioè sottomesso all’oligarchia dominante. Certo, «le capacità predittive dei mercati non si sono dimostrate particolarmente spiccate in occasione di tornate elettorali», quindi in realtà «nessuno sa cosa uscirà dalle urne e quali combinazione di partiti sosterrà il prossimo governo». Ma sappiamo però che uno degli scenari possibili è una vittoria dei 5 Stelle – in teoria preoccupante per gli investitori? Non è così, a quanto pare. Anche perché, negli ultimi anni, «le votazioni che hanno disturbato davvero i mercati sono state quelle che hanno messo in discussione l’Unione Europea. Il referendum sulla Brexit e le elezioni francesi con un partito dichiaratamente anti-euro al ballottaggio hanno lasciato il mercato sospeso per mesi. È questa la ragione per cui a nessuno importa delle elezioni italiane: perché né Berlusconi, né il Pd, né il Movimento 5 Stelle sono anti-euro o anti-Europa».Tutto il resto non conta, scrive Annoni, perché la politica economica italiana viaggia sul “pilota automatico” delle decisioni europee. Una crisi del debito italiano? «E’ inconcepibile se l’Unione Europea entra in campo, come ampiamente dimostrato nel 2012 con l’intervento di Draghi». Viceversa, una crisi del debito italiano è il prodotto dell’Unione Europea, «nella misura in cui impone la sua politica, l’austerity, a un governo riottoso», oppure se “produce” un riequilibrio dei suoi rapporti interni a danno di uno dei suoi membri. «L’unica vera variabile che interessa ai mercati – sottolinea Annoni – è se ci sia un governo che, minacciando lo status quo europeo, inneschi la reazione dell’establishment continentale contro l’Italia, o se lo status quo venga minacciato da un governo anti-euro». L’Europa, insiste l’analista, «è in grado di provocare o fermare una crisi italiana in qualunque momento, a prescindere dalla performance economica del nostro paese». Basta poco: per esempio, «imporre un rientro del debito in un contesto economico globale magari difficile». Oppure, «imporre alle banche italiane di liberarsi dei Btp o un qualsiasi altro innesco, dato che l’Italia non ha più sovranità monetaria e bancaria».A far traballare il paese «basta, per esempio, cominciare a dichiarare ai quattro venti che l’Italia è un problema». Sarebbe sufficiente a far capire ai “mercati” l’aria che tira, e quindi «far partire una crisi del debito e poi “risolverla” con l’austerity dopo un bel bagno in Borsa». Oppure «basta dire che l’euro verrà difeso a ogni costo». Quello che è interessante, osserva Annoni, è che «nemico del “mercato” in quanto nemico dell’establishment europeo non è solo chi è contro l’euro, ma anche chi vuole riformare nella sostanza l’Europa, in questo minacciando gli attuali equilibri». Se un governo italiano “europeista” ma coraggioso attaccasse il surplus commerciale tedesco o l’austerity, rivendicasse più investimenti in infrastrutture o denunciasse la catastrofe sociale della disoccupazione greca, «anche in questo caso quello che accadrebbe nella sostanza sarebbe una minaccia per chi oggi controlla l’Europa e incassa i dividendi». E anche in questo caso, aggiunge Annoni, sarebbe ovvio aspettarsi «una reazione per mantenere gli equilibri attuali», che hanno palesemente dei vincitori e dei perdenti, in quest’Europa teoricamente unita e in realtà mai così ferocemente divisa, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Qualsiasi accenno di contestazione alla gestione Ue costerebbe carissimo al nostro paese, in prima battuta: «La reazione dell’establishment europeo passerebbe, inizialmente, per i mercati finanziari contro l’Italia», sostiene Annoni. Ma il mercato finanziario – cioè il vero padrone di qualsuasi decisione importante – è convinto che dalle prossime elezioni italiane non uscirà niente che possa cambiare gli equilibri europei. «Speriamo che sbagli, perché non è un bene per l’Italia», conclude Annoni. «E su questo fronte ci dovrebbero essere sia i populisti anti-euro che gli europeisti che vogliono cambiare l’Europa dando all’Italia, nel processo, un ruolo diverso». Ma difficilmente sbaglia, il “mercato”, se resta così tranquillo di fronte alla scadenza elettorale italiana: probabilmente pensa di conoscere i suoi polli. Non è il referendum sulla Brexit, e nel Belpaese non c’è in giro nessuna Marine Le Pen. I volenterosi che vorrebbero “correggere” l’Unione Europea? Qualche nome, qua e là, ma nelle seconde file. Nulla che impensierisca i gestori della crisi nella quale viene fatta sprofondare l’Italia, dove – non a caso – l’astensionismo sembra apprestarsi a far registrare il suo record storico.Dal primo gennaio 2018, la Borsa di Milano ha fatto meglio di quelle dei principali paesi europei (Francia, Germania e Spagna inclusi). E a una settimana dal voto, «il mercato non si è ancora accorto che in Italia ci saranno le elezioni». Oppure «pensa che non siano un problema». Ha ragione? Niente di più facile, scrive Paolo Annoni sul “Sussidiario”: il potere finanziario è convinto che dalle elezioni del 4 marzo uscirà l’ennesimo governo “responsabile”, cioè sottomesso all’oligarchia dominante. Certo, «le capacità predittive dei mercati non si sono dimostrate particolarmente spiccate in occasione di tornate elettorali», quindi in realtà «nessuno sa cosa uscirà dalle urne e quali combinazione di partiti sosterrà il prossimo governo». Ma sappiamo però che uno degli scenari possibili è una vittoria dei 5 Stelle – in teoria preoccupante per gli investitori? Non è così, a quanto pare. Anche perché, negli ultimi anni, «le votazioni che hanno disturbato davvero i mercati sono state quelle che hanno messo in discussione l’Unione Europea. Il referendum sulla Brexit e le elezioni francesi con un partito dichiaratamente anti-euro al ballottaggio hanno lasciato il mercato sospeso per mesi. È questa la ragione per cui a nessuno importa delle elezioni italiane: perché né Berlusconi, né il Pd, né il Movimento 5 Stelle sono anti-euro o anti-Europa».
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Euro e bugie: Grillo ha illuso e tradito gli italiani indignati
Ricerca: “Genealogia di un rincoglionimento”. Definizione di rincoglionimento: “Rendere qualcuno imbecille, incapace di nuocere”. Fenomenologia di un rincoglionimento: nel maggio 2014 Beppe Grillo dichiara: «Il Fiscal Compact è una follia. Noi non abbiamo firmato un cazzo, andiamo in Europa e il Fiscal Compact glielo strappiamo in faccia davanti alla Merkel». Gli italiani si svegliano e s’indignano. Finalmente un politico che dice pane al pane e vino al vino. Nel dicembre 2014, Beppe Grillo specifica: «Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall’incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia. Fuori dall’euro o default». Gli italiani esultano: c’è vita intelligente nell’Europa deficiente. Nel febbraio 2015, Grillo chiarisce: «Il premier sta eliminando tutte le tutele di legge che ci proteggono dalla colonizzazione dei poteri forti, cedendo completamente la sovranità nazionale agli euroburocrati senza legittimazione». Gli italiani non stanno più nella pelle: ecco un “hombre vertical” che mette i dittatori a novanta gradi. Nel maggio 2015, Beppe Grillo sentenzia: «Di euro si muore».«Il primo paese che uscirà dalla trappola dell’euro dimostrerà che è solo una zavorra che costringe a sacrificare pensioni, diritti dei lavoratori ed economie nazionali al pagamento di interessi ai paesi creditori del Nord Europa, Germania in primis. L’unico loro obiettivo. Fuori dall’euro, quindi, per ritornare a vivere». Gli italiani non credono alle loro orecchie: allora è tutto vero, un leader ci indica la via per scappare dall’eurocrazia. Nel luglio 2015, Beppe Grillo ci va giù duro: «Guy Verhofstadt (il leader dell’Alde) è il politico che più incarna l’eurostatocentrismo, dentro al Parlamento Europeo». L’euforia degli italiani è alle stelle (cinque): mai nessuno aveva osato tanto contro la burokratura comunitaria. Gennaio 2017: Grillo chiede e ottiene dagli iscritti, con votazioni on line, il consenso all’ingresso nel gruppo dell’Alde di Guy Verhofstadt. Gli italiani cominciano ad avvertire un lieve giramento di capo.Nel settembre 2017, a Cernobbio, il candidato premier grillino Di Maio dichiara: «Il referendum sull’euro va usato come peso contrattuale e come via d’uscita nel caso in cui i paesi mediterranei non dovessero essere ascoltati in sede europea, ma noi non siamo contro la Ue». Gli italiani faticano a raccapezzarsi e a mantenere l’equilibrio. Nel gennaio 2018, da Bruno Vespa, Di Maio enuncia: «Io non credo sia più il momento per l’Italia di uscire dall’euro perché l’asse franco-tedesco non è più così forte». Gli italiani sono definitivamente sedati: incapaci di nuocere. A quel punto, passa Di Battista e – alla domanda se i 5 Stelle riusciranno a governare – risponde: «Io non lo so, perché gli italiani li vedo molto rincoglioniti». E a un trenta per cento circa di italiani viene un dubbio amletico: «Se rincoglioniti si diventa, coglioni si nasce?».(Francesco Carraro, “Rincoglioniti si diventa”, da “Scenari Economici” del 12 febbraio 2018).Ricerca: “Genealogia di un rincoglionimento”. Definizione di rincoglionimento: “Rendere qualcuno imbecille, incapace di nuocere”. Fenomenologia di un rincoglionimento: nel maggio 2014 Beppe Grillo dichiara: «Il Fiscal Compact è una follia. Noi non abbiamo firmato un cazzo, andiamo in Europa e il Fiscal Compact glielo strappiamo in faccia davanti alla Merkel». Gli italiani si svegliano e s’indignano. Finalmente un politico che dice pane al pane e vino al vino. Nel dicembre 2014, Beppe Grillo specifica: «Riprendiamoci la sovranità monetaria e usciamo dall’incubo del fallimento per default. Per non finire come la Grecia. Fuori dall’euro o default». Gli italiani esultano: c’è vita intelligente nell’Europa deficiente. Nel febbraio 2015, Grillo chiarisce: «Il premier sta eliminando tutte le tutele di legge che ci proteggono dalla colonizzazione dei poteri forti, cedendo completamente la sovranità nazionale agli euroburocrati senza legittimazione». Gli italiani non stanno più nella pelle: ecco un “hombre vertical” che mette i dittatori a novanta gradi. Nel maggio 2015, Beppe Grillo sentenzia: «Di euro si muore».