Archivio del Tag ‘Matteo Renzi’
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Contrordine, rinnegare l’euro (da Fitto al club di Bersani)
Raffaele Fitto che organizza un seminario anti-euro con Savona, Rinaldi e Barra Caracciolo? «Non stupisce. In fin dei conti, a chiacchiere il partito di Berlusconi è sempre stato su posizioni variamente euroscettiche», annota il blog “Mainstream”. Stupisce di più, ma anche qui fino a un certo punto, il fatto che a posizioni timidamente anti-euro stiano approdando anche diversi esponenti della sinistra Pd. «Già conosciamo le posizioni di Stefano Fassina, e qualcuno ha anche parlato di un pronunciamento anti-euro di Gianni Cuperlo», ma la vera novità sarebbe rappresentata da quanto viene pubblicato dal sito “Idee Controluce”, «una specie di ripostiglio per nostalgie ex-Pci», da Togliatti a Bersani. Di recente, l’associazione ha pubblicato la seguente monografia: “A quali condizioni può sopravvivere l’euro?”. Un’ipotesi “da esorcizzare”, sostiene Vladimiro Giacché, pensando all’atteggiamento generale verso lo spettro dell’euro-catastrofe. Molto esplicito il saggio di Claudio Sardo, che esorta a rompere finalmente il “tabù” della Bce.«Forse, discutere apertamente della crisi dell’euro è diventato per noi un tabù proprio perché non riusciamo neppure a immaginarci in uno scenario di fallimento. Eppure il tabù va infranto», scrive Sardo. Per togliere ogni dubbio, “Idee Controluce” ha pubblicato un pezzo di Alberto Bagnai. E come se non bastasse, aggiunge “Mainstream”, scende in campo persino Alfredo D’Attorre, «colonnello bersaniano e fiero oppositore di Renzi», che ha concesso al “Foglio” la seguente intervista: «Caro Renzi, occhio, con questa Europa tornerà presto la Lira». Nientemeno: «Perché il problema dell’Italia, inutile prendersi in giro, è più complesso del gioco sui decimali, e coincide con la parola euro». D’Attorre prosegue il suo ragionamento: «Mi stupisco che un presidente del Consiglio che ha fatto del coraggio la sua cifra politica non abbia messo a tema il vero problema dell’Italia e più in generale dell’Europa. L’euro così com’è oggi non è più sostenibile e sono convinto che non possa continuare a esistere una moneta unica senza che dietro questa ci siano un governo politico e uno economico capaci di gestire il bilancio dell’Eurozona».Domanda: uscire dall’euro è una sciocchezza o è diventata una possibilità? «Non credo alla tesi dei due euro», risponde D’Attorre. «Credo ci siano due alternative concrete: o avviare un percorso federale che consenta alla nostra moneta di restare in piedi, oppure si torna indietro alle monete nazionali ripristinando quella sovranità politica che gli attuali meccanismi europei oggettivamente non ci consentono». Inutile negarlo ancora: «La situazione oggi non è sostenibile. E questo deficit democratico è ovviamente alla base delle manifestazioni di dissenso che, in varie forme, stiamo osservando tutti in molti paesi della zona euro». Tutto ciò, detto da chi fino a ieri – con Enrico Letta – si dichiarava pronto a “morire per Maastricht”. E non è tutto, continua “Mainstream”: «Beppe Grillo, il cui movimento ha ormai abbandondato qualsiasi precauzione sulla polemica contro l’euro, ha dimostrato un anno e mezzo fa che le posizioni euroscettiche potevano incontrare un consenso di massa». Oggi, persino Renzi prova a forzare – almeno in modo dimostrativo – la rigidità dell’establishment europeo. «In queste fessure del muro di gomma del sostegno ad euro e Ue – conclude il blog – stanno passando tutti gli esponenti più rilevanti del ceto politico nazionale. E’ ormai finita l’era del “ce lo chiede l’Europa”. E’ iniziata la stagione del trasformismo neo-patriottico».Raffaele Fitto che organizza un seminario anti-euro con Savona, Rinaldi e Barra Caracciolo? «Non stupisce. In fin dei conti, a chiacchiere il partito di Berlusconi è sempre stato su posizioni variamente euroscettiche», annota il blog “Mainstream”. Stupisce di più, ma anche qui fino a un certo punto, il fatto che a posizioni timidamente anti-euro stiano approdando anche diversi esponenti della sinistra Pd. «Già conosciamo le posizioni di Stefano Fassina, e qualcuno ha anche parlato di un pronunciamento anti-euro di Gianni Cuperlo», ma la vera novità sarebbe rappresentata da quanto viene pubblicato dal sito “Idee Controluce”, «una specie di ripostiglio per nostalgie ex-Pci», da Togliatti a Bersani. Di recente, l’associazione ha pubblicato la seguente monografia: “A quali condizioni può sopravvivere l’euro?”. Un’ipotesi “da esorcizzare”, sostiene Vladimiro Giacché, pensando all’atteggiamento generale verso lo spettro dell’euro-catastrofe. Molto esplicito il saggio di Claudio Sardo, che esorta a rompere finalmente il “tabù” della Bce.
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L’intoccabile: scalare l’Italia in pochi anni, con l’aiuto di chi?
«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».Dalla sua prima vera campagna elettorale, quella del 2003-2004 che lo portò alla presidenza della Provincia di Firenze, fino sulle poltrone di sindaco della sua città, poi segetario del Pd e infine di capo del governo. «Quando Matteo era sindaco di Firenze – scrive Travaglio su “Micromega” – l’amico Marco Carrai gli metteva gentilmente a disposizione, a titolo gratuito, un pied-à-terre in via degli Alfani, senza neppure fargli pagare l’affitto e in palese conflitto d’interessi, visti i numerosi incarichi pubblici che Carrai ricopre». Altra «affettuosa amicizia», quella col berlusconiano Denis Verdini, «che nessuno sa di preciso quando sia cominciata né perché». Il libro di Vecchi rievoca il fallimento di una società del padre, Tiziano Renzi, e l’inchiesta della Procura di Genova per bancarotta fraudolenta: «Salta fuori un groviglio di aziende che passano di mano in mano, fra soci effettivi e prestanome, e che soprattutto usano con disinvoltura contratti atipici di precariato e addirittura impiegano extracomunitari clandestini in nero, con strascichi di cause di lavoro che almeno in tre occasioni certificano violazioni dello Statuto dei lavoratori. Altro che articolo 18».Centrale, ovviamente, l’atipico rapporto con Berlusconi, ovvero «l’unico politico della “vecchia guardia” che il polemicissimo Renzi non attacca, non sfancula, non critica, non sfida, non contraria, non scontenta mai». Secondo Vecchi, il forte legame tra i due non è mediato da Verdini: «E’ diretto, profondo, antico e naturalmente misterioso», annota Travaglio. Nel libro, Vecchi risale allo zio di Renzi, Nicola Bovoli, fratello della madre di Matteo, che fu dirigente del gruppo Rizzoli e poi entrò in affari con Fininvest, «al punto da raccomandare il nipote prediletto per la famosa e fruttuosa (un bottino di 48 milioni di lire in cinque puntate) comparsata alla “Ruota della fortuna” nel 1994», condotto da Mike Bongiorno. «Poi, certo, arrivarono gli incontri ufficiali e ufficiosi: quello del 2005 fra il Caimano e il presidente della Provincia alla Prefettura di Firenze, con Verdini a fare da sensale. E quello del 2010, già con la fascia tricolore di sindaco, nella villa di Arcore: Matteo – scrive Travaglio – si credeva così furbo da riuscire a tenerlo segreto, ma a divulgarlo provvide l’entourage del Cavaliere, costringendolo a imbarazzate e imbarazzanti spiegazioni».Ora, Berlusconi e Renzi «si vedono di continuo e dappertutto: dal Nazareno a Palazzo Chigi, senza neppure nascondersi». Il Cavaliere «considera Matteo il suo unico erede: populista, bugiardo e gattopardesco», infatti «ne fiancheggia con entusiasmo e spudoratezza il governo (che peraltro completa la sua opera lasciata a metà)», compreso il sogno del “partito unico della nazione”. «Basta il fatto che lo Spregiudicato di Rignano abbia sdoganato il Pregiudicato di Arcore a spiegare tanta corrispondenza di amorosi sensi? O c’è qualcosa nel loro passato che dobbiamo ancora scoprire?». Una pista americana, per esempio: «Che ci faceva un uomo delle operazioni riservate Cia come Michael Ledeen al matrimonio di Carrai, in mezzo a banchieri, prelati, alti magistrati, imprenditori, nobiluomini, giornalisti, editori, top manager, finanzieri, faccendieri, oltre naturalmente a Matteo, premier e testimone dello sposo, impegnato proprio in quei giorni a dipingersi come vittima inerme e piagnucolante dei “poteri forti”?». Domanda fondamentale: «Oltre alla squadra di governo che tutti purtroppo vediamo, formata da ragazzotti e fanciulle tanto mediocri e ignoranti quanto pretenziosi e arroganti, ce n’è un’altra che dirige il traffico da dietro le quinte?».(Il libro: Davide Vecchi, “L’intoccabile. Matteo Renzi, la vera storia”, Chiarelettere, 188 pagine, euro 13,90).«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».
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Magaldi: super-fratelli d’Italia, élite occulta del vero potere
Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».Laura Maragnani, giornalista di “Panorama” che ha collaborato con Magaldi e scrivendo anche una lunga prefazione, spiega che il libro è frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali Magaldi ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti, depositati in studi legali in Europa e negli Usa. «Tra le superlogge progressiste – premette il “Fatto” – la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha». Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges. E persino i vertici della fu Unione Sovietica, da Lenin a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin. «Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario».In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, di Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: «Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi», scrive Magaldi. «E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti». Più tardi, Berlusconi avrebbe poi creato una sua Ur-Lodge, la Loggia del Drago. Altri affiliati eccellenti, sempre secondo Magaldi, sarebbero Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy. «C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie», osservano Barbacetto e D’Esposito.La tesi: il vero potere è massone. E, descritto nelle pagine di Magaldi, «spaventa e fa rizzare i capelli in testa». Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici: persino il “papa buono”, Giovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama Bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis. «In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista». Nell’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan. Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: «Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi».Per non parlare del “venerabilissimo” Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Secondo Magaldi, Draghi sarebbe peraltro in ottima compagnia. Le Ur-Lodges, infatti, sarebbero gremite di italiani importanti. Come l’ex banchiere centrale e poi ministro Fabrizio Saccomanni, l’industriale Gianfelice Rocca (Techint), l’economista e già ministro Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi (Eni, Exor, Confindustria), Marta Dassù (Aspen Institute, già sottosegretario agli esteri). E poi l’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alfredo Ambrosetti (patron del summit di Cernobbio), l’ex presidente confindustriale Emma Marcegaglia. E infine il banchiere Matteo Arpe (Lehman Brothers, Capitalia), l’ex ministro Vittorio Grilli (ora Jp Morgan), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (marina militare) e Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Ma fino a ieri il dominus della vita italiana non era un certo Berlusconi? In attesa di conferme o smentite, se non altro, il libro di Magaldi contribuisce a dare un volto preciso ai componenti dell’élite: un affollatissimo ritratto di famiglia.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».
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Giannuli: la grazia a Berlusconi, poi Amato al Quirinale?
La grazia a Berlusconi, in cambio del “proprio” candidato alla successione al Qurinale: Giuliano Amato. Secondo Aldo Giannuli, per designare il suo “erede” sul Colle, Napolitano avrebbe in tasca «il vero asso da calare», il colpo di spugna per il Cavaliere: «Otterrebbe i voti di Fi e vicini, garantirebbe il Nazareno e caricherebbe la responsabilità della decisione sulle spalle di un presidente in uscita, togliendo le castagne dal fuoco del successore». E Renzi? Per lui, «il presidente perfetto è quello che non esiste, l’ideale sarebbe lasciare il Quirinale sede vacante: per questo pensa a candidati come la Pinotti, Franceschini, Fassino», cioè «gente che non gli farebbe ombra», candidati impalpabili. In Parlamento, Amato «conta molti più nemici che amici», sicuramente è inviso a Lega, FdI e M5S, «Berlusconi non lo odia particolarmente, ma neppure lo ama tantissimo», accoglienza tipeida nel centro, «dove però non ha neppure nemici giurati». Certo «non è simpatico né a Sel né alla sinistra Pd», forse «può contare su qualche tiepida simpatia di Bersani e D’Alema, che però a loro volta di amici ne hanno davvero pochi». Ma, soprattutto, «è Renzi che lo vede come il fumo negli occhi».Eppure, scrive Giannuli nel suo blog, il “dottor sottile” di Craxi potrebbe anche essere la carta coperta di Napolitano, sempre che il capo dello Stato non ceda alle pressioni di Renzi per restare al Colle fino a maggio, anziché lasciare a gennaio. Certo, la grande partita è aperta: «Gli interessati, quasi tutti, a cominciare da Prodi, smentiscono di essere interessati, il che è la conferma più sicura che sono candidati». Il toto-presidente già impazza, da Veltroni alla Finocchiaro. E Amato? Possibile che non sia nella rosa dei papabili? «In tutta la sua interminabile carriera – osserva Giannuli – l’abilità di Giuliano Amato è sempre stata quella di galleggiare a pelo d’acqua senza avere un esercito proprio. E’ stato anche presidente del Consiglio e varie volte ministro, ma non è mai stato segretario di un partito, è stato vicesegretario del Psi ma senza mai avere una propria corrente». La sua abilità? «Coltivare contatti coi più diversi settori della classe dominante: è molto amico dei francesi, come Bassanini, ma non è certo inviso a tedeschi ed americani, ha molti amici in Loggia ma non è sgradito in Curia, ha sempre operato nell’area laico-socialista ma ha sempre avuto solide amicizie tanto nella Dc quanto nel Pci», essendo anche «amico dei sindacati», ma non-nemico della Confindustria.«Riuscirebbe a essere trasversale anche tra Inferno e Paradiso, amico del Padreterno ma simpatico anche a Satana», scherza Giannuli. Amato «gode di un carisma molto particolare, dovuto alla sua fama consolidata di grande giurista e di esperto di finanza». Fine, disinvolto, raffinato e convincente. «Sarebbe capace di dimostrarti che la camicia che porti addosso, in realtà, gli appartiene, anche se tu non lo sai, e alla fine ti convincerebbe a dargliela, e poi gli pagheresti anche la parcella per la consulenza». Un uomo così, insiste Giannuli, è destinato a emergere nei momenti di crisi, quando l’impasse impone la scelta di un super-partes, un “tecnico”. Grande galleggiatore, Amato: dal Psiup di Antonio Giolitti passò al Psi di Bettino Craxi, di cui fu consigliere nei giorni del “decreto di San Valentino”, per poi diventare anticraxiano e alleato del Pds, quindi occhettiano, poi dalemiano, e così via.«Questa disinvolta prassi politica, se condotta con la necessaria abilità, può garantire una carriera lunga e carica di successi ma, anche quando non manchi la maestria, conquista molti nemici che, prima o poi, diventano troppi». Sulla carta, ragiona Giannuli, oggi Amato metterebbe insieme non più di 60-70 voti. Anche nell’ipotesi del candidato “istituzionale”, sarebbe appesantito dal suo passato: troppi incarichi politici per poter essere speso come “potere neutro” (più adatti, in qual caso, Casini e Monti). Ma i giochi sono aperti. E Amato «ha un importante sponsor in Napolitano». Intanto, il presidente uscente potrebbe presentarlo «come il suo successore nel ruolo di regista del Nazareno» e, per di più, «giocare la carte dei suoi rapporti in Europa», di cui Renzi potrebbe aver bisogno. Un ruolo, rispetto a Bruxelles, «che sicuramente non potrebbe essere assicurato da mezze scartine come la Pinotti e Franceschini, e probabilmente neppure da quel budino di Veltroni». Se il Cavaliere resta in sella e il Patto del Nazareno sopravvive, ipotizza Giannuli, sarebbe dunque avventato scartare l’ipotesi-Amato, eventualmente sostenuta da Napolitano in cambio della piena riabilitazione di Berlusconi.La grazia a Berlusconi, in cambio del “proprio” candidato alla successione al Qurinale: Giuliano Amato. Secondo Aldo Giannuli, per designare il suo “erede” sul Colle, Napolitano avrebbe in tasca «il vero asso da calare», il colpo di spugna per il Cavaliere: «Otterrebbe i voti di Fi e vicini, garantirebbe il Nazareno e caricherebbe la responsabilità della decisione sulle spalle di un presidente in uscita, togliendo le castagne dal fuoco del successore». E Renzi? Per lui, «il presidente perfetto è quello che non esiste, l’ideale sarebbe lasciare il Quirinale sede vacante: per questo pensa a candidati come la Pinotti, Franceschini, Fassino», cioè «gente che non gli farebbe ombra», candidati impalpabili. In Parlamento, Amato «conta molti più nemici che amici», sicuramente è inviso a Lega, FdI e M5S, «Berlusconi non lo odia particolarmente, ma neppure lo ama tantissimo», accoglienza tipeida nel centro, «dove però non ha neppure nemici giurati». Certo «non è simpatico né a Sel né alla sinistra Pd», forse «può contare su qualche tiepida simpatia di Bersani e D’Alema, che però a loro volta di amici ne hanno davvero pochi». Ma, soprattutto, «è Renzi che lo vede come il fumo negli occhi».
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Cancellare le conquiste del popolo: da Pinochet a Renzi
Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.La strage fascista di piazza della Loggia a Brescia aveva ricevuto una risposta popolare enorme che aveva messo in crisi i disegni autoritari di settori degli apparati dello Stato e della eversione nera. Nelle scuole entravano i metalmeccanici che avevano da poco conquistato il diritto a studiare con permessi di 150 ore. Tutta la società italiana, nonostante tensioni e contraddizioni, era in crescita attorno alla crescita dei diritti del lavoro. Chi allora avrebbe potuto aver già in mente che, appena quattro anni dopo il varo della legge 300, si sarebbe dovuto cancellare l’articolo 18? Mi domando davvero come Renzi abbia potuto parlare di quaranta anni di ritardo nelle riforme, e siccome son convinto che non si sia sbagliato, posso arrivare ad una sola conclusione. Che egli faccia proprio lo spirito di vandea capitalista che proprio in quegli anni cominciava a definirsi nelle élites economico finanziarie mondiali.Nel 1973 il sanguinoso colpo di Stato di Pinochet contro Allende in Cile serviva per la prima volta a sperimentare con la forza di una feroce dittatura le politiche liberiste dei “Chicago boys” di Milton Friedman. Che poi sarebbero dilagate nel mondo. Sempre nel 1973 una organizzazione multinazionale di banchieri e industriali, politici e ricconi guidata dalle élites statunitensi, la Trilaterale, aveva prodotto un manifesto programmatico nel quale si affermava la necessità che il mondo retrocedesse dall’eccesso di domanda di democrazia e garanzie sociali che si era diffuso. Quindi è vero che sotto la superficie del progresso generale si annidavano e preparavano le forze che avrebbero avviato quella controriforma liberista che dura da più di trenta anni.Certo a nessuno nell’Italia del 1974, se non a Licio Gelli, sarebbe venuto in mente di chiedere la cancellazione della reintegra per i licenziamenti ingiusti, e di tornare così alla legge del 1966 che, come l’attuale Jobact, prevedeva solo il risarcimento monetario. Ma nell’Italia di oggi questo invece può essere affermato e presentato come innovazione. Ci sono voluti decenni, ma alla fine lo spirito di rivincita sociale che già elaborava il suo rancore in quegli anni, ha trovato un fiero interprete in Matteo Renzi. Che, parafrasando il linguaggio di un altro capo di governo non proprio democratico, ha potuto alla fine affermare: «Con lo Statuto dei Lavoratori abbiamo pazientato quarant’anni, ora basta».(Giorgio Cramaschi, La Vandea capitalista di Renzi, da Contropiano del 10 ottobre 2014).Nei momenti di tensione salgono dall’animo parole che non si possono trattenere. Non ci è riuscito neanche un attore consumato come Matteo Renzi. Per reagire al dispetto provato per i ritardi del Senato nell’approvazione del suo Jobs Act, il presidente del consiglio ha dichiarato: «Abbiamo aspettato 20, 30, 40 anni per le riforme, non cambierà con qualche ora in più». Successivamente una velina del suo ufficio stampa ai massmedia di regime li ha indotti a correggere la frase, per cui molti commentatori hanno l’hanno poi riportata fermandosi a venti anni, ma Renzi era arrivato a quraranta. Dunque nel profondo del suo animo il presidente del Consiglio pensa che l’articolo 18 e lo statuto dei diritti dei lavoratori avrebbero dovuto essere aboliti già nel 1974. In quell’anno il no al referendum sull’abrogazione del divorzio aveva travolto la Dc di Amintore Fanfani.
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Sciopero sociale, liberare lo Stato dalla mafia neoliberista
I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.L’etica finanziaria del rigore e della virtuosità, incarnata dall’Ue, è un’etica per i creditori renditieri, per gli usurai, per i produttori monopolisti di moneta e credito. Storicamente, l’inflazione del primo del secondo dopoguerra, assieme alle politiche di spesa pubblica a sostegno della crescita economica, alla forte crescita dei redditi nazionali e all’effetto redistributivo di questa combinazione, è ciò che aveva sostanzialmente ridotto i loro privilegi economici. Essi ora si prendono la rivincita imponendo un modello che antepone a tutto la salvaguardia delle rendite anzi la loro rivincita, attraverso l’imposizione di condizioni opposte a quelle del secondo dopoguerra, cioè stagnazione, spostamento di ampie quote dei redditi dal lavoro alle rendite, concentrazione dei redditi e dei capitali nelle mani di cerchie sempre più ristrette, crescita della quota della spesa pubblica che i paesi subalterni, come l’Italia, devono destinare al pagamento degli interessi sul loro debito pubblico.La popolazione generale viene posta dai mass media e dalle istituzioni in condizione di conoscere solo la vulgata economica sottesa a questo modello economico e di dimenticare, in quanto ai meno giovani, e di non apprendere, in quanto ai meno vecchi, che è possibile, è esistito e ha funzionato un modello economico diverso, in cui il denaro veniva prodotto e speso per assicurare occupazione e sviluppo, in cui le banche centrali assicuravano l’acquisto dei titoli pubblici a un tasso sostenibile escludendo la possibilità di default, e che in questo modello i disavanzi interni ed esteri nonché i debiti pubblici erano molto più sostenibili di quanto lo sono ora nel sistema della virtuosità per usurai, sicché i governi e i parlamenti avevano la capacità di elaborare e decidere politiche economiche e sociali anziché farsele dettare dai mercati. E le persone avevano la possibilità di fare programmi di vita – cosa che in fondo è lo scopo non solo dell’economia ma della stessa esistenza dello Stato.La popolazione generale italiana, se tiene la testa dentro alla “realtà” che le è permesso conoscere, cioè dentro il predetto modello di economia virtuosa per usurari e renditieri marca Maastricht, può davvero pensare che il rimedio alle sofferenze che sta vivendo consista nel rinegoziare i parametri per spuntare qualche punto percentuale di flessibilità, di spesa a deficit in più, come promettono vari statisti-contaballe, oppure l’immissione di qualche centinaia di miliardi da parte della Bce che, come in passato, finirebbero alle banche per chiudere i loro buchi sommersi o per gonfiare nuove bolle speculativa, come sempre avvenuto durante questa “crisi”. L’unico rimedio effettivo sarebbe la sostituzione di quel modello con altri, che ho descritto anche in questo blog.Un’opposizione sociale vera e realistica dovrebbe puntare apertamente a questo rovesciamento di modello, non a negoziati per ottenere qualche concessione. che per forza di cose sarebbe presto revocata. E dovrebbe lottare con la coscienza che i tagli di salari, occupazione, garanzie, servizi sono stati intenzionalmente introdotti dalle istituzioni nazionali e sovranazionali come strumento per garantire e rafforzare le posizioni di una classe di renditieri finanziari, di monopolisti del credito; e che quindi si tratta di fare, con i mezzi necessari, se disponibili, una lotta di classe diretta a rovesciare un ordinamento economico-giuridico e a riprendersi i poteri pubblici, governativi, istituzionali, togliendoli a un preciso avversario di classe, per darli alla generalità dei cittadini. È probabile che la rottura dell’equilibrio, dell’omeostasi di questo attuale sistema, sia alle porte, determinata dalla continua contrazione del reddito nazionale, che rende insostenibile il servizio dei debiti pubblici e privati, quindi tende a far saltare il sistema bancario.Se a questo punto i poteri forti decidono di mettere le mani nei conti correnti della gente e confiscare il risparmio per puntellare le banche e i conti pubblici, questa può essere la scintilla che coalizza le forze euro-scettiche e trasforma gli “scioperi sociali” della Fiom (novembre 2014), e in cui già si nota il ritorno di una coscienza e di una rabbia di classe, in un’attuazione di reale sovranità popolare di contro alla irreale rappresentanza di un Parlamento di nominati e ultramaggioritario. Anche perché tale opzione di bail-in a carico dei risparmiatori farebbe capire a molti che il sistema di governance globale creato intorno al Fmi, alla Fed, alla Bce, al Mes, alla Banca dei Regolamenti internazionali, alla Commissione, ha proprio la funzione di scaricare su lavoratori, pensionati, risparmiatori, cittadini, i danni causati dalle attività di azzardo e dalle truffe finanziarie di quella stessa classe internazionale che dirige le predette istituzioni sovranazionali. Un simile rovesciamento dal basso del modello socioeconomico non è possibile su scala nazionale, bensì solo su scala almeno continentale. Ed è improbabile che parta dagli italiani, che sono storicamente incapaci di simili imprese.(Marco Della Luna, “Sciopero sociale e rovesciamento del modello neoliberista”, dal blog di Della Luna del 16 novembre 2014).I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.
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Il marcio Juncker? Perfetto per imporre all’Europa il Ttip
Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.L’anello debole, oggi, si chiama innanzitutto Juncker. Qualcuno, scrive Raffone sul “Sussidiario”, dovrebbe ricordarsi dello scandalo Clearstream (“flusso pulito”), esploso grazie a un giornalista tra il 2001 e il 2002, che dimostrava come dagli anni ‘70 era stata creata una “camera di compensazione” per rendere non tracciabili le transazioni finanziarie. «Clearstream serviva da piattaforma “legale” per le compensazioni inter-bancarie (attività perfettamente illegale) che offriva soluzioni mondiali per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro». Finite nel nulla le prime inchieste giudiziarie avviate in Lussemburgo e in Francia. Seguì una seconda indagine francese, nota come “Clearstream 2”, che attorno alla costituzione di fondi neri dell’industria franco-tedesca della difesa, Eads, coinvolse il presidente Jacques Chirac e il ministro Dominique De Villepin, ma anche indirettamente il presidente Nicolas Sarkozy e numerosi membri dell’establishment francese, oltre a oligarchi russi e narcotrafficanti colombiani. Nel 2013 si concluse con l’assoluzione dei molti politici coinvolti e la condanna di alcuni alti dirigenti della Eads.Un’indagine parlamentare, diretta dall’ex ministro socialista Arnaud Montebourg (poi silurato da Hollande perché contrario al rigore della Troika) si è limitata alla pubblicazione di un rapporto sul riciclaggio, mentre un’indagine del Parlamento Europeo «ricevette l’incredibile risposta dell’allora commissario Frits Bolkestein che ritenne che “non vi erano ragioni di non credere alle autorità del Lussemburgo”». Nel 2006, continua Raffone, l’eurodeputato olandese Paul Van Buitenen, famoso per aver denunciato lo scandalo di corruzione che fece cadere la Commissione Santer, contestò a Barroso la presenza di Frits Bolkestein nella Commissione, visto che lo stesso era nel consiglio di amministrazione della Shell che aveva conti “occulti” con Clearstream. La risposta di Barroso? Burocraticamente evasiva, in pieno stile Ue: un altro lussemburgese, Jacques Santer, nel 1999 fu costretto a dimettersi da presidente della Commissione Europea per un caso di corruzione. Dal 2002, aggiunge Raffone, Clearstream è controllata al 100% da Deutsche Borse. E, insieme alla consorella Euroclear, che fu di Jp Morgan, è il secondo oligopolista mondiale come “depositario centrale internazionale”, cioè dove si trattano tutti gli eurobond e si opera la “clearence” delle transazioni, dai derivati ai conti bancari.Nel 2011, dopo 10 anni, Clearsteram ha perso tutte le cause contro Denis Robert, il giornalista che aveva reso nota la “lavanderia del Lussemburgo”. Clearstream è da sempre legalmente basata in Lussemburgo, continua Raffone, mentre Euroclear è in Belgio, dove dal 1973 risiede anche Swift, cioè il monopolista mondiale della rete di telecomunicazione per le relazioni finanziarie interbancarie, con oltre 9.000 istituzioni collegate in più di 209 paesi. «Coincidenze o il Benelux ha qualcosa di “speciale”?». Per Raffone, l’offensiva anti-Juncker coincide con la grave sconfitta di Obama nelle elezioni di midterm. E i finanziatori della Icij sono tutti anglosassoni, «ampiamente membri delle élites della mondializzazione e del “nuovo ordine mondiale”», mai teneri con l’Europa. Tra loro spiccano la Open Society Foundation (americana, legata a Soros), la Ford Foundation (americana, con collegamenti israeliani), la Adessium Foundation (famiglia Van Vliet, olandese naturalizzata americana e specializzata in asset management), il Sigrid Rausing Trust (famiglia di origine svedese proprietaria della Tetra Pack, basata nel Regno Unito), la David and Lucile Packard Foundation (la famiglia americana fondatrice di Hp), e poi Pew Charitable Trusts (americana, svolge attività di lobbying nel settore pubblico e possiede il terzo più influente think tank di Washington) e la Waterloo Foundation (britannica, impegnata nelle cause ambientaliste).Quanto allo scandalo attuale, che coinvolge «la reputazione e la credibilità di Jean-Claude Juncker nella sua nuova funzione di presidente della Commissione Europea», per Raffone bisogna partire dal passato recente di Juncker che, nel luglio 2013, dopo 18 anni da primo ministro del Lussemburgo, ha dovuto rassegnare le sue dimissioni in seguito allo scandalo delle “intercettazioni segrete” che, per sua negligenza e omesso controllo e vigilanza, i servizi segreti del Granducato avevano compiuto per alcuni anni. «I fatti dell’inchiesta riferiscono che tra il 2004 e il 2009, oltre alle 300 schede personali di politici e imprenditori e almeno 13.000 “fiches d’information” sui 500.000 abitanti, erano state eseguite violando tutte le leggi vigenti». Secondo il capo dei servizi lussemburghesi, durante la guerra fredda erano oltre 300.000 le “note d’ascolto” collezionate dall’agenzia statale. «Inoltre, sono emerse anche commistioni tra il mondo dell’intelligence lussemburghese, gli affari finanziari, il dipartimento delle imposte e alcune aziende che forniscono beni di lusso».Decisamente grave, per il leader di un paese fondatore dell’Ue. «Possibile che nessuno abbia trovato che già questo evento fosse sufficiente a far dubitare dell’onorabilità di Jean-Claude Juncker prima della sua recente elezione a capo della Commissione Europea?». Eppure era persona ben conosciuta, premier dal 1995 al 2013, poi ministro delle finanze, e infine (dal 2005 al 2013) primo presidente dell’Eurogruppo. «Nessuno sapeva? La spiegazione – afferma Raffone – è che a livello dell’Unione Europea vige la regola dell’omertà, che si cristallizza nella relazione incestuosa tra le alte burocrazie nazionali e le tecnocrazie europee». Pletoriche e tardive le proteste di politici come Gianni Pittella o del belga Guy Verohstadt, del gruppo Alde. Juncker dovrebbe “fare chiarezza” al Parlamento Europeo? «È una farsa che avrebbero potuto risparmiarci. Più dignitosa è stata la difesa d’ufficio del capogruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber, che reclama “l’imparzialità” di Juncker.», mentre «la voce più chiara è stata quella di Marine Le Pen, del Fn francese, che ha chiesto le dimissioni incondizionate di Juncker e della sua Commissione».Strada senza uscita, scrive Raffone: se Juncker cade, crolla tutto. Ma se resta al suo posto, la credibilità delle istituzioni europee «sarà indecentemente rovinata». Ipotesi: «Un aiuto a quella creazione del “caos” che a certa parte dell’establishment americano, soprattutto dopo la vittoria dei repubblicani, fa molto comodo per “disciplinare” gli europei nell’alleanza transatlantica?». Scandaloso non è solo il regime fiscale del Lussemburgo, ma anche il fatto che Juncker, come premier, abbia concluso oltre 340 accordi con multinazionali perché la loro tassazione fosse inesistente oppure dell’1%. E ancor più grave, aggiunge Raffone, è che questi accordi fossero segreti. «Le solite società di auditing hanno fatto il resto. La patetica difesa della Pwc ricorda quella della blasonata Arthur Andersen quando nel 2007 esplose il caso della Aig americana, che portò alla chiusura di quella “casa di contabili”. Perché Juncker lo ha permesso? E per conto di chi?». Niente di nuovo, comunque: «Per qualsiasi piccolo investitore che cercasse di “ottimizzare” la propria tassazione, era ben noto che in Lussemburgo si potesse “triangolare” con estrema facilità e compiacenza del governo per fare schemi di elusione fiscale trans-europei, coinvolgendo società di comodo in Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, senza disdegnare la Svizzera e lo Stato americano del Delaware. Insomma, un gioco fai da te, disponibile anche su Internet».C’è da chiedersi perché la Germania abbia fatto la voce grossa con il principato del Liechtenstein – i famosi nomi trafugati dai servizi tedeschi – mentre sul “suo” Lussemburgo tace. Probabilmente, ipotizza Raffone, il Liechtenstein era uno specchietto per le allodole, mentre la “ciccia” era chiaramente nel Granducato. «Nella guerra finanziaria in corso tra il sistema angloamericano, che in Europa è rappresentato dalla City di Londra, e quello “Ost” rappresentato dalla Germania, per capirci tra Euroclear e Clearstream, questa volta i falchi anglosassoni hanno colpito l’Ue per punire la Germania». Quest’ultima è rea di pensare a un eventuale “Eurogruppo 2” e si è permessa di sfidare il Regno Unito, chiedendo che «decida subito cosa fare, se stare o meno nell’Ue». Detto fatto, reazione puntuale: «A farne le spese non sarà solo la Germania, ma tutti i paesi dell’Eurozona». Juncker? «E’ stato una pessima scelta anche per la Germania», che si è affidata a un politico iper-ricattabile da troppi poteri. Per esempio, gli americani: «Obama deve rabbonire i suoi falchi, ormai vincitori a casa sua. Quindi può avere una sola possibilità per farlo: la resa incondizionata e definitiva dell’Unione Europea all’egemone americano. Primo passo, la firma del Ttip prima del prossimo Consiglio Europeo di dicembre». Forse, conclude Raffone, Renzi e la Mogherini lo avevano intuito, e quindi sin da subito avevano dichiarato che «il Ttip non è solo un accordo commerciale, ma strategico, una scelta culturale».Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.
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Meno tasse? Chi ci crede è un fesso (e l’Iva sarà al 25,5%)
Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.Il modo per non farsi fucilare dalla Commissione europea è, da qualche anno, l’inserimento della cosiddetta “clausola di salvaguardia”. In pratica il governo “stima” che determinate decisioni produrranno risparmi o maggiori spese, e se le previsioni non saranno rispettate per difetto (verranno cioè a mancare “le coperture” previste) allora entreranno in vigore misure correttive automatiche per rimettere in ordine il bilancio. Tra le misure automatiche previste dall’attuale legge di stabilità c’è l’aumento dell’aliquota Iva agevolata (oggi al 10%) di 2 punti percentuali nel 2016; se non dovesse bastare salirà di un altro punto nel 2017 (al 13%). E’ certamente il caso di ricordare su quali beni o servizi si applica l’Iva ridotta: cinema, alberghi, treni, autobus, carne, pesce, uova, zucchero, acqua, gas, elettricità, ristoranti e bar, per esempio. Identica dinamica anche per l’Iva “normale”, che dal 22% attuale salirebbe al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e addirittura al 25,5% nel 2018. Tombola!In pratica, il governo pensa di far cassa e «combattere la deflazione» depressiva, aumentando la tassazione sui consumi. Nemmeno il più scarso degli economisti consiglierebbe una terapia del genere in piena crisi… Calcolate che soltanto le tasse sulla benzina assommano ormai a 72,42 centesimi di accisa per litro, per la benzina verde, e 61,32 centesimi per il gasolio; sul prezzo totale (costo industriale più accisa) viene poi applicata l’Iva. Un aumento dell’Iva di tre punti in due anni comporterebbe dunque – a prezzo del petrolio invariato, ma non ci sperate – un incremento del prezzo finale alla pompa di circa 5-6 centesimi per litro. Che l’automobile sia considerata un bancomat è una vecchia storia. Ma spingersi fino a reintrodurre il bollo normale per auto storiche è una misura dell’ossessione. Non è nostra intenzione difendere i collezionisti, ma semplicemente i poveracci che vanno in giro – poco – con un’auto di oltre 25 anni di vita. Ma da una misura del genere potrebbero venire al massimo 7,5 milioni di euro.Gli esperti si sono affrettati a calcolare, come conseguenza diretta, la demolizione di circa 300-325mila veicoli classificati come “d’interesse storico-collezionistico”. La perdita patrimoniale complessiva viene stimata tra i 2,2 ed i 5,7 milioni. Ma potevano i pensionandi passarla liscia? Ma quando mai… Dopo aver obbligato centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti ad aderire ai fondi pensione integrativi (e privati), concedendo una tassazione più bassa, ora si passa a tosare la pecora. I “proventi” percepiti dai fondi pensione vengono tasssati ora al 20% (erano all’11,5). Peggio: l’aumento avrà efficacia retroattiva dal 1° gennaio 2014, in barba ai più elementari princìpi giuridici. E tutto questo passa come “riduzione delle tasse”?(Claudio Conti, “Meno tasse? Chi ci crede è un fesso”, da “Contropiano” del 23 ottobre 2014).Le sorprese arrivano sempre dai codicilli, spiegano gli avvocati. E un governo truffaldino come quello in carica non poteva non ricorrere ai trucchetti democristiani più antichi. Renzi che va in tv a ripetere che «abbiamo ridotto le tasse» e «promuoviamo la crescita» avrebbe dovuto anche spiegare da dove prendeva “le coperture” per le voci della legge di stabilità inviata a Bruxelles e al presidente della Repubblica, addirittura priva dell’indispensabile esame della Ragioneria di Stato. Se dici che vuoi spendere, insomma, i trattati europei ti obbligano a dire dove prendi i soldi che vuoi impegnare. Dalle tasche dei cittadini più poveri, è l’inevitabile risposta. Nelle pieghe del ddl, infatti, ci sono decine di aumenti delle tasse, ma “nascosti”, rinviati, occultati. E si tratta sempre di tasse indirette, le quali – colpendo i consumi o determinate prestazioni – “pesano” di più sui meno abbienti che non sui riccastri. Vediamone alcune, anche se – trattandosi di un testo molto lungo e “tecnico” – la maggior parte verrà fuori un po’ alla volta.
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Aggirare l’euro: moneta sovrana a titolo di credito fiscale
Non ci lasciano evadere dalla prigione dell’euro? E allora, aspettando che l’Eurozona crolli, si potrebbe creare moneta fiscale, stampandone 200 miliardi all’anno. E’ la tesi sostenuta da Biagio Bossone, Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini: li chiamano Ccf, certificati di credito fiscale. Sarebbero emessi liberamente dall’Italia, a costo zero, per sostenere l’economia reale, famiglie e aziende. Un escamotage, per aggirare i vincoli feudali europei attraverso cui la Germania, tramite l’Ue e la Bce, impone la “sua” moneta al resto d’Europa, condannando i paesi come l’Italia: persi 11 punti percentuali di Pil, produzione industriale crollata del 25%. Per chi se ne fosse dimenticato, «l’euro è infatti una moneta straniera concepita e creata a somiglianza del marco tedesco, e quindi intrinsecamente deflazionistica», scrivono Marco Cattaneo ed Enrico Grazzini: «Senza moneta nazionale, siamo ingabbiati in una doppia trappola, quella della liquidità e quella del debito».Gli italiani, aggiungono i due analisti su “Micromega”, stanno scoprendo sulla loro pelle che, senza moneta sovrana, lo Stato non può fare nulla per uscire dalla crisi. Uno come Renzi può solo fingere di ribellarsi, ma poi deve sottostare a tutti i diktat dell’austerity varata dai governi Monti e Letta, in esecuzione dell’euro-politica imposta dalla “moneta straniera” governata da Berlino. Retorica a parte, Renzi è un allievo modello: le sue riforme strutturali sono esattamente quelle dettate dalla politica dell’euro imposta da Bruxelles: giù il costo del lavoro, tagli al welfare, privatizzazioni dei beni pubblici, riforme istituzionali, tagli alla spesa pubblica. Tutto questo, riconoscono Cattaneo e Grazzini, avviene perché gli Stati, in particolare quelli dell’Eurozona, non hanno più il controllo della moneta, avendo perso la loro sovranità nazionale: «Solo controllando la moneta si può mettere in moto la spesa pubblica», quella che garantisce i servizi vitali e la salute dell’economia. «Se invece sono le banche private a creare e a controllare il denaro, allora lo Stato diventa inesorabilmente servo delle banche e della loro moneta».Non c’è vera democrazia, riconoscono Cattaneo e Grazzini, senza gestione nazionale della moneta da parte dello Stato e senza il controllo della società civile: «Quando uno Stato per finanziarsi dipende dal sistema finanziario nazionale o, peggio, dai mercati finanziari internazionali perché non crea e non controlla la sua moneta, allora diventa uno Stato subordinato e sostanzialmente eterodiretto, uno Stato costretto a servire i suoi creditori», coi cittadini costretti a pagare le tasse «per ripagare il debito alla finanza», senza poter godere dei servizi pubblici cui avrebbero diritto. La nostra è un’aberrante anomalia a livello planetario: «Non c’è nessun Stato che conta nel mondo che non stampi la sua moneta e non abbia la sua banca centrale per proteggere e governare la moneta nazionale. I grandi Stati e gli Stati emergenti – come Usa, Giappone, Gran Bretagna, Cina, India, Russia, Brasile, Corea, Svizzera, Israele – si basano sulla loro moneta nazionale». Con l’euro, invece, la Germania «impedisce le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti», esasperando gli squilibri a favore dei paesi con la bilancia commerciale in attivo.Nonostante, ciò – come i contestatori di sinistra, da Landini a Syriza fino alla formazione spagnola “Podemos” – anche Bossone, Gallino e Sylos Labini rinunciano ad affrontare la prospettiva di uscita dall’euro, che ritengono irrealistica e rischiosa, e preferiscono proporre l’emissione dei Ccf, una “quasi moneta” nazionale, parallela all’euro, capace di «aumentare la capacità di spesa dell’economia senza però creare nuovo debito, rispettando cioè i parametri (rigidi e assurdi) imposti dalla moneta unica». Un provvedimento intermedio, «in attesa di poter riformare radicalmente il sistema monetario europeo». Per i tre tecnici, i Ccf dovrebbero essere emessi dallo Stato a costo zero e distribuiti gratuitamente all’economia reale, cioè ai lavoratori e alle aziende, senza passare dal sistema bancario, espressione dell’élite finanziaria che ha spodestato la politica. Siamo o non siamo nell’era della post-democrazia? Nel regno feudale dell’Ue – grazie all’euro – è l’oligarchia finanziaria a esercitare un potere assoluto, attraverso la Bce e la Commissione Europea, che trasformano l’Italia in una colonia da comprare a prezzi stracciati, cominciando dal lavoro sottopagato delle maestranze.In più, oggi la Bce boccia le banche italiane e assolve quelle del Nord Europa, che invece «operano con leve finanziarie elevatissime, pari anche a circa 30 volte il loro capitale, e che si dedicano più di quelle italiane al trading speculativo». Così, le nostre banche «dovranno ricapitalizzarsi ricorrendo ampiamente al capitale estero». Cadranno anch’esse in mani straniere, «dopo che gran parte del sistema industriale nazionale – Fiat, Pirelli, Telecom – è migrato o sta migrando all’estero». L’economia italiana? «Si sta smembrando, e le banche italiane sono prede importanti». Inoltre la Bce sta favorendo la creazione di banche “troppo grandi per fallire”, cioè «sta esattamente creando le condizioni per la prossima grande crisi finanziaria in Europa (e la probabile rottura dell’euro)». E’ infatti chiaro che, «senza un comune fondo pubblico europeo – sul quale il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha posto il veto – qualsiasi grande banca europea in difficoltà non potrebbe essere salvata, e crollerebbe trascinando in rovina l’intero sistema bancario e l’eurosistema», aggiungono Cattaneo e Grazzini.Tutto questo, per un motivo semplicissimo: gli Stati dell’Eurozona non hanno più alcun controllo democratico sulla moneta, che ha cessato – con l’euro – di essere uno strumento a disposizione della comunità nazionale. La creazione di moneta “dal nulla” oggi è infatti prerogativa del sistema bancario privato: «Nelle economie moderne, il 95% della moneta è creata dalle banche con scrittura elettronica sotto forma di creazione di depositi». Ormai «sono le banche a creare denaro dal nulla, creando prestiti, cioè generando debiti». Nel mondo si contano 100 triliardi di debiti, «una somma insostenibile che non potrà mai essere ripagata». La moneta “fiat” «è diventata un bene privato delle banche per il profitto delle banche stesse». Continuano Cattaneo e Grazzini: «Queste semplici verità, ben conosciute dagli economisti, sono tanto incontrovertibili e clamorose quanto poco note al largo pubblico». Il meccanismo lo spiega un recente report della Bank of England: «Ogni volta che una banca fa un prestito, simultaneamente crea un deposito nel conto della banca del debitore, e perciò crea moneta». Di fatto, la banca crea dal nulla i depositi, «mentre normalmente si pensa che riceva dei depositi legati al risparmio delle famiglie, e che solo successivamente faccia dei prestiti».Più si deregolamenta il mercato finanziario, più il mercato mostra i suoi limiti: l’offerta monetaria delle banche è pro-ciclica, abbondante in caso di crescita e scarsa non appena c’è aria di crisi. «Quando i primi debiti cessano di essere ripagati, quando si verificano i primi fallimenti, improvvisamente il rubinetto delle banche commerciali cessa di fare fluire la moneta nell’economia e arriva allora la crisi». Con la crisi arriva anche la deflazione: «I prezzi stagnano o calano mentre la merce rimane invenduta e la produzione si ferma», così «la disoccupazione impedisce la ripresa dei consumi e della domanda finale». L’attuale caso europeo di “trappola della liquidità” è esemplare: la Bce cerca di dare ossigeno monetario al sistema – con i limiti imposti dal governo tedesco – ma le banche trattengono la liquidità e non fanno prestiti, in particolare alle piccole e medie imprese. Le banche? «Sono cariche di sofferenze, a causa della crisi economica». Inoltre, «preferiscono investire nei titoli di Stato o nella finanza per ottenere remunerazioni elevate piuttosto che rischiare prestando soldi all’economia reale». E’ così che «la moneta non circola, la domanda manca, le aziende chiudono e l’economia langue o va in recessione».Di qui le proposte di ritorno alla sovranità monetaria: la moneta come bene comune, gestito a costo zero dallo Stato democratico, rappresentante legittimo della comunità nazionale. Le banche commerciali, separate da quelle d’affari, dovrebbero mantenere il 100% dei depositi della clientela presso la banca centrale e fungere da intermediari puri. Oggi, sotto il dominio dell’Eurozona, si tratta di obiettivi impossibili da realizzare, Così, in attesa di riforme radicali del sistema finanziario, secondo Bossone, Gallino e Sylos Labini ci sarebbe la strada dei certificati di credito fiscale per rilanciare la domanda e immettere nuova liquidità nel sistema, ridare ossigeno ai consumi e agli investimenti privati e pubblici tagliando le tasse senza però ridurre la spesa pubblica destinata ai servizi. La proposta: emissione gratuita dei Ccf a favore dei lavoratori (occupati, disoccupati e pensionati) e delle imprese. certificati «ad utilizzo differito, validi cioè a partire da due anni dopo l’emissione per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione: tasse, contributi, tariffe, multe».Secondo i proponenti, il governo italiano potrebbe emettere Ccf per 90-100 miliardi di euro il primo anno, da incrementare se necessario nei due anni successivi fino a un massimo di 200 miliardi annui, «almeno fino a quando non si verifichi una consistente ripresa della domanda e dell’occupazione». I Ccf sarebbero scambiabili sul mercato finanziario come qualsiasi altro titolo di Stato. Ed essendo appunto coperti da garanzia statale, «potrebbero essere utilizzati direttamente come mezzi di pagamento nel mercato interno». Risultato: «Aumenterebbero enormemente e immediatamente la capacità di spesa dei consumatori e delle aziende», che però è esattamente quello che gli oligarchi dell’Eurozona a guida tedesca non vogliono. Certo, la proposta sarebbe «compatibile con le regole e i vincoli posti dal sistema dell’euro», ma è difficile credere che Bruxelles, Berlino e Francoforte li accetterebbero, anche se la Bce ha il monopolio sull’emissione di moneta ma non sulla creazione di “quasi-moneta”, in questo caso nient’altro che sconti fiscali.A puro titolo di esempio, spiegano Bossone, Gallino e Sylos Labini, si supponga di assegnare gratuitamente, in tre anni, a partire dal 1° gennaio 2015, circa 70 miliardi di Ccf ai lavoratori, dipendenti e autonomi, in funzione inversa del loro livello di reddito, così da stimolare la spesa per il consumo, e di assegnare l’equivalente di 80 miliardi di euro ai datori di lavoro. «Quest’ultimo importo abbatterebbe del 18% circa il costo del lavoro, una percentuale equivalente alla differenza di competitività dell’economia italiana nei confronti della Germania. Si eviterebbe così che l’espansione della domanda interna produca squilibri nei saldi commerciali con l’estero: l’aumento delle importazioni sarebbe infatti bilanciato dalla crescita delle esportazioni derivato dalla diminuzione del costo del lavoro e dall’aumento conseguente di competitività». Altri 50 miliardi di Ccf, aggiungono i proponentim, dovrebbero essere utilizzati per finanziare investimenti pubblici, forme di reddito garantito, iniziative ambientali e infrastrutture, incentivi per giovani e donne. Ovvio, aumenterebbe l’occupazione e riprenderebbe a crescere il Pil. L’Italia uscirebbe dalla depressione. Ed è esattamente quello che l’élite tedesca teme.Non ci lasciano evadere dalla prigione dell’euro? E allora, aspettando che l’Eurozona crolli, si potrebbe creare moneta fiscale, stampandone 200 miliardi all’anno. E’ la tesi sostenuta da Biagio Bossone, Luciano Gallino e Stefano Sylos Labini: li chiamano Ccf, certificati di credito fiscale. Sarebbero emessi liberamente dall’Italia, a costo zero, per sostenere l’economia reale, famiglie e aziende. Un escamotage, per aggirare i vincoli feudali europei attraverso cui la Germania, tramite l’Ue e la Bce, impone la “sua” moneta al resto d’Europa, condannando i paesi come l’Italia: persi 11 punti percentuali di Pil, produzione industriale crollata del 25%. Per chi se ne fosse dimenticato, «l’euro è infatti una moneta straniera concepita e creata a somiglianza del marco tedesco, e quindi intrinsecamente deflazionistica», scrivono Marco Cattaneo ed Enrico Grazzini: «Senza moneta nazionale, siamo ingabbiati in una doppia trappola, quella della liquidità e quella del debito».
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Canfora: il capitalismo sta benissimo e impone i suoi Renzi
Troppe volte dato per morto, a livello mondiale il capitalismo è appena cominciato: lo dimostra il boom dell’economia capitalistica in tre quarti del pianeta, in regioni – a partire da Russia e Cina – in cui l’economia era stata lungamente rurale o comunque arretrata. Lo sostiene un insigne storico italiano come Luciano Canfora, che avverte: il grande capitale ormai «governa direttamente», facendo a meno della mediazione politica, delle Costituzioni da difendere, dei principi fondamentali. Comandano i grandi banchieri: «Se si fidano del personale che hanno al proprio servizio lo lasciano fare, altrimenti i capitalisti intervengono direttamente». E’ già successo in Francia con Pompidou, dopo la parentesi bonapartistica di De Gaulle. Oggi il denaro la fa da padrone e la democrazia è diventata una scatola vuota: e l’esperienza del socialismo reale, che nessuno rimpiange, può essere rivista come un tentativo per mettere un argine al predominio del business come unico potere. Ma l’Urss cadde perché non seppe risolvere le diseguaglianze al suo interno. E sottovalutò la vitalità del capitalismo.L’esperienza sovietica è crollata, spiega Canfora, intervistato da Vittorio Bonanni, perché – senza uguaglianza – non era più credibile per i suoi stessi concittadini e sudditi. «La gara spaziale, le guerre stellari, il contrasto militare in tutto il pianeta: sappiamo queste cose. Però è stata una gloriosa esperienza durata abbastanza, una settantina d’anni del XX secolo. Per cui se ne deve parlare con rispetto, ma anche con la convinzione che è stato un periodo eroico della storia umana». Ma la constatazione più rilevante è un’altra: nel presupposto che mise in moto un processo rivoluzionario di grandissima estensione, a livello euroasiatico, c’era un errore di fondo: «Ci si illudeva di essere giunti al capolinea della storia, di essere al punto di arrivo del sistema capitalistico». Intanto perché si aveva una percezione molto limitata e parziale della realtà americana, sottovalutata in pieno. Solo Trotsky aveva conosciuto l’America. Oggi possiamo solo constatare che «l’esperienza del socialismo reale ha modernizzato due gigantesche aree del mondo, l’ex impero russo e la Cina, trascinandole fuori da una situazione semi-feudale», in cui la Cina «era in una posizione semi-coloniale» mentre la Russia era «un impero separato, essenzialmente agricolo e arretrato».Crollando sul piano politico, proprio il socialismo reale «ha creato i presupposti per un gigantesco sviluppo del capitalismo in quei tre quarti del mondo che ancora non erano a quel livello: quindi la storia del capitalismo è appena cominciata», anche se «nessuna forma economico-sociale è eterna». Il capitalismo «ha una storia molto più lunga di quella che allora si era pensato, nell’illusione determinata dalla fine della Prima Guerra Mondiale e dalla crisi gigantesca del 1917-18 e 19». Ma attenzione: «Erano degli europei, e non cittadini del mondo, quelli che pensavano queste cose. E come europei, vedendo crollare tre imperi che erano stati gli architrave della storia – quello tedesco, quello austroungarico e quello zarista – si erano convinti che si stava voltando pagina nella storia dell’umanità. In parte era vero, ma non nella frettolosa conclusione che eravamo arrivati al dunque. Nessuno può pilotare la storia», avverte Canfora. Men che meno l’Europa, che per secoli ha osservato il mondo con occhiali essenzialmente eurocentrici.Oggi, l’Europa si è ridotta ad essere «una piccola articolazione della politica statunitense». Aggiunge Canfora: «E’ comico essere europeisti, ed è comico tutto il ciarpame che ci viene ammanito quotidianamente. Che non è neanche oppio della storia: è una droghetta, mariuana». Problema: come contrastare tutto questo? «Secondo me si tratta di una battaglia culturale, intellettuale, scolastica, educativa, dovunque ci siano spazi di libertà di parola. Perché le forze politiche nate sull’onda del Novecento sono arrivate al lumicino. Si è realizzato in forme diverse, nei vari paesi, quello che Gramsci aveva intuito sviluppando in modo originale certe formulazioni del pensiero elitistico tardo-ottocentesco, come quello di Pareto e dello stesso Croce: che cioè siamo in una realtà di partito unico articolato, diversificato al proprio interno ma sostanzialmente unico». Le conquiste sociali del movimento operaio, tradotte in Costituzioni? Finite, con l’espulsione della forza operaia dalla storia politica. «Quel che resta fa un’altra cosa, fa quello che tradizionalmente fanno i partiti nei regimi capitalistici, cioè i comitati di affari della borghesia – giustamente divisi tra loro, altrimenti l’inganno elettorale non funzionerebbe».Durissimo il giudizio su Renzi: «Il liquidatore del comunismo italiano è già arrivato. E’ un gaglioffo di 40 anni che sta facendo la parte sua e, localmente, sta attuando il piano di Gelli di “Rinascita democratica”, cioè due partiti sostanzialmente equivalenti che si dividono il potere». Non che gli altri scenari europei non sono molto diversi: la Spd, un tempo leader della socialdemocrazia, «è ormai lo sgabello della Merkel e non può fare altro, perché da sola non ce la farà più: prendiamone atto e cerchiamo di capire se si intravedono altre possibilità». Luciano Canfora guarda al potenziale intellettuale mobilitabile dal «magma gigantesco del mondo della scuola», perché per fortuna «tutto questo sviluppo ha prodotto un’acculturazione di massa, magari scandente ma diffusissima, e con un inevitabile bisogno di capire». Quindi, «tutti quelli che hanno a che fare con quel mondo si rimbocchino le maniche e cerchino di portare chiarezza».Troppe volte dato per morto, a livello mondiale il capitalismo è appena cominciato: lo dimostra il boom dell’economia capitalistica in tre quarti del pianeta, in regioni – a partire da Russia e Cina – in cui l’economia era stata lungamente rurale o comunque arretrata. Lo sostiene un insigne storico italiano come Luciano Canfora, che avverte: il grande capitale ormai «governa direttamente», facendo a meno della mediazione politica, delle Costituzioni da difendere, dei principi fondamentali. Comandano i grandi banchieri: «Se si fidano del personale che hanno al proprio servizio lo lasciano fare, altrimenti i capitalisti intervengono direttamente». E’ già successo in Francia con Pompidou, dopo la parentesi bonapartistica di De Gaulle. Oggi il denaro la fa da padrone e la democrazia è diventata una scatola vuota: e l’esperienza del socialismo reale, che nessuno rimpiange, può essere rivista come un tentativo per mettere un argine al predominio del business come unico potere. Ma l’Urss cadde perché non seppe risolvere le diseguaglianze al suo interno. E sottovalutò la vitalità del capitalismo.
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Il bonus-bebè nasconde 600 euro di rincari per famiglia
«Quando Renzi promette, davanti alle tv del suo alleato Berlusconi, che, bontà sua, darà 80 euro di bonus-bebè, non dice che ad ogni famiglia ne taglierà 606», scrive “Senza Soste”, citando le cifre fornite da “Wall Street Italia”. «Matteo Renzi è un noto venditore di pentolame di scarsa qualità e a caro prezzo: finché la cosa resta tutto nel giro della circonvenzione di incapace, cioè nel suo partito, si può passare oltre, come è accaduto per quelle elezioni finte che chiamano primarie lo scorso anno». Il problema è che Renzi è diventato premier, continua il blog: non raggira più solo i militanti del Pd, ma gli italiani tutti. «Anche chi investe in Borsa si è accorto che Renzi tira fregature». Gli 80 euro alle famiglie con bebè in arrivo? Prontamente compensati «dall’aumento, previsto nella bozza di finanziaria, di pane, pasta, latte». “Wall Street Italia” definisce infatti “una partita di giro” la legge di stabilità: «Entrate e uscite, ma da dove prende i soldi Renzi? Si parla di bonus-bebé e Tfr in busta paga, ma ricadute negative arrivano a 606 euro sulle famiglie».La manovra da 36 miliardi promette un taglio a tasse e spesa, risparmi per 15 miliardi (6 da Regioni ed enti locali, 2 miliardi dalla sanità), un recupero di 3,8 miliardi dall’evasione fiscale. E poi una stretta su fondazioni e fondi pensione, sgravi per partite Iva e figli, uno stop all’Irap sul lavoro e zero contributi nei primi tre anni per le imprese che assumono, nonché il Tfr (volontario) in busta paga. Tutto questo, scrivono su “Wall Street Italia” Elio Lannutti di Adusbef e Rosario Trefiletti di Federconsumatori, «oltre ad infliggere l’ennesimo colpo allo stato sociale, nasconde l’ennesima stangata sui consumatori che potrebbe essere stimata in circa 606 euro per ogni famiglia». Il governo, infatti, con una manon concede 80 euro a circa 10 milioni di occupati – manovra «ancora insufficiente per far ripartire i consumi, che saranno ancora stagnanti per lunghi mesi in una fase di forte depressione economica e di totale sfiducia nella ripresa produttiva» – e con l’altra «addossa a sanità, Regioni ed enti locali oneri per circa 8 miliardi di euro, «che dovranno essere coperti da nuove tasse, stimate in almeno 330 euro per ogni nucleo famigliare, anche per pagare l’Irap delle imprese».Dunque, a conti fatti, si tratta di 330 euro a famiglia dagli 8 miliardi tagli a Regioni e Sanità, coperti con maggiori aliquote fiscali; a questi si aggiungono 14 euro dall’inasprimento della tassazione sulla previdenza e la nuova imposta sui fondi pensione, più 23 euro dall’anticipo Tfr delle banche, e qualcosa come 239 euro «con la prevista clausola di salvaguardia rincaro Iva dal 4 al 10% su pane, latte, pasta». Totale, 606 euro. «Una manovra recessiva con coperture aleatorie, come il recupero di 3,8 miliardi dall’evasione fiscale», annotano Lannutti e Trefiletti. «Mentre i 15 miliardi di revisione della spesa e tagli lineari che dovrebbero arrivare da ministeri (6,1 miliardi) ed enti locali (4 miliardi dalle Regioni, 1,2 miliardi dai Comuni, 1 miliardo dalle Province), addossano in parte alle famiglie, sottoposte ad ulteriori stangate fiscali, il taglio dell’Irap e delle altre provvidenze alle imprese». Tutto da dimostrare che, incassati gli sgravi, le imprese assumeranno in Italia oltre 800.000 lavoratori nel triennio, come enfatizzato dal ministro dell’economia Padoan, invece di delocalizzare in aree più allettanti. «Una manovra che, continuando a salvaguardare con ulteriori garanzie statali gli interessi delle banche, che prendono i soldi dalla Bce al tasso dello 0,15% prestando al 15%, senza destinare risorse adeguate a ricerca ed innovazione, non avrà alcuna capacità di rimettere in moto l’economia e i processi produttivi».«Quando Renzi promette, davanti alle tv del suo alleato Berlusconi, che, bontà sua, darà 80 euro di bonus-bebè, non dice che ad ogni famiglia ne taglierà 606», scrive “Senza Soste”, citando le cifre fornite da “Wall Street Italia”. «Matteo Renzi è un noto venditore di pentolame di scarsa qualità e a caro prezzo: finché la cosa resta tutto nel giro della circonvenzione di incapace, cioè nel suo partito, si può passare oltre, come è accaduto per quelle elezioni finte che chiamano primarie lo scorso anno». Il problema è che Renzi è diventato premier, continua il blog: non raggira più solo i militanti del Pd, ma gli italiani tutti. «Anche chi investe in Borsa si è accorto che Renzi tira fregature». Gli 80 euro alle famiglie con bebè in arrivo? Prontamente compensati «dall’aumento, previsto nella bozza di finanziaria, di pane, pasta, latte». “Wall Street Italia” definisce infatti “una partita di giro” la legge di stabilità: «Entrate e uscite, ma da dove prende i soldi Renzi? Si parla di bonus-bebé e Tfr in busta paga, ma ricadute negative arrivano a 606 euro sulle famiglie».
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Barnard: fuga dai nostri bond, lo spread tornerà a ucciderci
Dai giorni di Monti, quando Berlusconi fu suicidato dalla Bce, abbiamo tutti visto lo spread e i tassi d’interesse che l’Italia paga sui suoi titoli di Stato abbassarsi man mano. E naturalmente tutti i buffoni del “Corriere” o del “Sole 24” ad attribuire il merito a Mario Macellaio-umano Monti, a Letta, alle riforme, a Renzi, all’Italia che obbedisce al rigore ecc. Pagliacciate, menzogne da conati. L’unico, e ripeto L’UNICO l’unico, motivo per cui lo spread è calato assieme agli interessi sui titoli di Stato in Italia (e altrove), sono state le dichiarazioni del defunto Draghi che promise ai Mercati di intervenire “senza limiti” (“whatever it takes”) per sostenere l’euro e il valore di qualsiasi titolo in euro. Quindi avrebbe fatto sortilegi come il Ltro, Omt, Tltro, Abs Purchases e, alla fine, un bel Quantitative Easing all’americana, il Qe! Ok, hanno detto gli investitori dei Mercati, se questa è la promessa ottima occasione: oggi compriamo un titolo Eurozona a 10, poi quando la Bce spara quelle cartucce il titolo ci va a 30 e ci facciamo su una fortuna!Ok, compriamoli, e tanti, subito, anche quelli italiani, a man bassa. E siccome la regola è che più si comprano titoli di Stato più si abbassano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, allora abbiamo visto scendere lo spread e appunto gli interessi da pagare. La marmaglia di puzze parlamentari o governative italiane non HA NESSUN MERITO non ha nessun merito in questo, ZERO zero. Ma adesso arrivano quelli seri, i Veri Padroni – non le puzzette renziane alla Poletti e Padoan, Serra e scemi assortiti (inclusi i giornalisti) – ma Goldman Sachs e Morgan Stanley a pubblicare un rapporto dove semplicemente si dice che, mentre appunto fino a oggi il Mercato ha dato il lancio di Omt, Tltro, Abs Purchases e Qe (il regalino di Natale ai Mercati) come certo all’80-100%, per cui ci compravano i titoli di Stato a quintalate…… No signori, non sarà così per una bella serie di serissime ragioni (fra cui il “no” della Germania). Firmato Goldman Sachs e Morgan Stanley. Ops.E siccome hanno ragione, quando finalmente i Mercati capiranno che non ci sarà nessun regalino di Natale per la montagna di titoli di Stato italiani e spagnoli che stanno comprando, semplicemente li butteranno al cesso svendendoli come pazzi. E, siccome ho detto che la regola è che più si comprano titoli di Stato più si abbassano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, vale anche la regola contraria: più si svendono titoli di Stato più SI ALZANO si alzano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, e schizza su lo spread. Quindi, cari amici che siete tutti attenti alla popò di piccione dello Sblocca Italia, i Vampiri dello spread e dei tassi alle stelle torneranno e ci taglieranno la gola ancora. Disoccupazione, deficit negativo alle stelle, aziende a puttane, agenzie di rating che ci macellano ecc. ecc. Ma come sempre un boato gastrico di Grillo ci salverà. Per non dire gli 80 euro al mese. Knock, knock… is there anybody out there?(Paolo Barnard, “Lo spread tornerà e vi taglierà la gola”, dal blog di Barnard del 1° novembre 2014).Dai giorni di Monti, quando Berlusconi fu suicidato dalla Bce, abbiamo tutti visto lo spread e i tassi d’interesse che l’Italia paga sui suoi titoli di Stato abbassarsi man mano. E naturalmente tutti i buffoni del “Corriere” o del “Sole 24” ad attribuire il merito a Mario Macellaio-umano Monti, a Letta, alle riforme, a Renzi, all’Italia che obbedisce al rigore ecc. Pagliacciate, menzogne da conati. L’unico, e ripeto l’unico, motivo per cui lo spread è calato assieme agli interessi sui titoli di Stato in Italia (e altrove), sono state le dichiarazioni del defunto Draghi che promise ai Mercati di intervenire “senza limiti” (“whatever it takes”) per sostenere l’euro e il valore di qualsiasi titolo in euro. Quindi avrebbe fatto sortilegi come il Ltro, Omt, Tltro, Abs Purchases e, alla fine, un bel Quantitative Easing all’americana, il Qe! Ok, hanno detto gli investitori dei Mercati, se questa è la promessa ottima occasione: oggi compriamo un titolo Eurozona a 10, poi quando la Bce spara quelle cartucce il titolo ci va a 30 e ci facciamo su una fortuna!