Archivio del Tag ‘media’
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Luca Mercalli al premier: Tav, il silenzio degli arroganti
Caro presidente Monti, l’8 gennaio a “Che tempo che fa” le ho donato una copia del mio libro “Prepariamoci” e Lei, squisitamente, mi ha stretto la mano e detto: «Ne abbiamo bisogno». Un mese dopo, assieme ad alcune centinaia di docenti di atenei italiani, ricercatori e professionisti (inclusi Vincenzo Balzani, Luciano Gallino, Alberto Magnaghi, Salvatore Settis) firmavo un appello per sollecitare una Sua riconsiderazione delle argomentazioni tecnico-economiche a supporto della linea ad alta capacità Torino-Lione, che da anni risultano non convincenti. A tutt’oggi non solo non è giunto un Suo cenno di considerazione, quanto piuttosto la perentoria affermazione che i dati sono definitivi e invarianti, le decisioni sono assunte, il progetto deve andare avanti anche manu militari. Non mi aspettavo una tale chiusura, ora fonte di una profonda spaccatura in una parte del mondo intellettuale e scientifico italiano.
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Scontro di civiltà: minacciati dalla violenza del sistema-Tav
Quello in atto in valle di Susa è un autentico “scontro di civiltà”: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l’attività economica, la cultura, il diritto, la politica. Per questo esso suscita tanta violenza da parte dello Stato – inaudita, per un contesto che ufficialmente non è in guerra – e tanta determinazione – inattesa, per chi non ne comprende la dinamica – da parte di un’intera comunità. Quale che sia l’esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, è bene che tutte le persone di buona volontà si rendano conto della posta in gioco: può essere di grande aiuto per gli abitanti della valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi.
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No al dialogo: la guerra contro la valle di Susa continua
Niente dialogo, la “guerra” continua: anche il presidente della Repubblica rifiuta di parlare con i rappresentanti istituzionali della valle di Susa assediata dai reparti antisommossa spediti dal governo Monti a imporre, manu militari, la Torino-Lione, cioè l’opera pubblica più costosa, più dannosa e più inutile della storia nazionale, secondo l’opinione di milioni di italiani, suffragata dai migliori tecnici delle nostre università. Giorgio Napolitano rifiuta l’incontro coi sindaci valsusini il 6 marzo a Torino, così come aveva rifiutato di rispondere all’appello di 150 docenti universitari di tutta Italia per chiedere un ripensamento sul progetto. Nel vuoto anche l’ultima lettera aperta rivolta a Monti, firmata da 360 professori e tecnici, e persino l’appello al dialogo invocato da don Luigi Ciotti, che chiede invano al governo di trovare il coraggio di discutere finalmente un’opera così fortemente contrastata.
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Potere sordo, e noi siamo soli: così la gente non vota più
Si allarga la fenditura. Di qua chi governa, a qualsiasi titolo. Di là tutti gli altri. Può darsi che annuncino il loro esodo in piccoli gruppi potenti (i banchieri, gli avvocati), in tribù che prescelgono la dimostrazione fisica e locale (i tassisti) in manifestazioni più disperate che violente (le testimonianze dei ricoverati del pronto soccorso e di chi li accompagna) o nel sottofondo di voci che segue e commenta con indignazione, protesta o scherno quasi ogni funzione pubblica del Paese, dal viaggiare infinito dei pendolari alla sorpresa male accolta per gli ospedali che chiudono. Ma sto parlando di un distaccarsi esteso, a volte silenzioso e ordinato, raramente rappresentato dalle rivolte come quella dei No Tav, di cui si discute con grande confusione su causa ed effetto (viene prima la solitudine o la rivolta?) in questi giorni.
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Per favore, basta menzogne: se l’Italia diventa No-Tav
No-Tav di tutto il mondo unitevi: mentre in migliaia sfilavano nel centro di Roma dopo l’incredibile “niet” di Mario Monti, che si rifiuta di aprire un dialogo con la valle di Susa, manifestanti mobilitati contro la sordità del potere che vuole imporre la Torino-Lione senza dare spiegazioni hanno trasformato il 3 marzo in una giornata anche internazionale di protesta. Oltre al fash-mob dei valsusini che hanno beffato la sorveglianza e aperto a sorpresa, per mezz’ora, il casello autostradale di Avigliana, abolendo il pedaggio e distribuendo agli automobilisti volantini con scritto “Oggi paga Monti”, i No-Tav italiani hanno manifestato a Perugia, Catania, Imperia, Mantova, Pisa, Pesaro, Sestri Levante e Trieste. Ma anche all’estero: a Parigi, a Dublino e a San Sebastian nei Paesi Baschi, a Londra sotto il consolato italiano, a Ginevra davanti alla sede Onu e persino a Budapest con un presidio musicale vicino all’ambasciata.
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Tav, Monti teme il dialogo: ma a Roma ora c’è chi dice no
Dialogo? No, grazie: non ce lo possiamo permettere. Meglio cercare di spegnere la protesta con manganelli e lacrimogeni, prima che tutta l’Italia si accorga che i No-Tav hanno ragione: oltre che una tortura inflitta alla valle di Susa, la Torino-Lione è un progetto nato morto, del tutto inutile e finanziariamente sanguinoso. Mario Monti il 2 marzo ha perso la sua grande occasione: nonostante la crescente protesta su cui ormai si interrogano anche i maggiori media, il governo chiude la porta in faccia ai milioni di italiani che pretendono spiegazioni sulla rivolta dei valsusini. Il motivo è evidente: gli sponsor di Monti hanno paura che la verità della valle di Susa possa contagiare il resto d’Italia, mentre nella politica nazionale – fino a ieri sorda e ostile, con le sole eccezioni di Grillo e Ferrero – cominciano ad aprirsi crepe importanti: anche Nichi Vendola e Antonio Di Pietro chiedono di fermare la repressione e ripensare il progetto.
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La politica italiana si rifiuta di giustificare la Torino-Lione
Pochi indizi certi: l’assassino è la Tav, mentre la vittima è la popolazione italiana, a cominciare da quella che vive in valle di Susa. Tuttavia, direbbe il commissario del telefilm, manca sempre il movente. L’ipotetico crimine resta senza un perché, mentre l’elenco dei feriti si allunga: almeno un centinaio in più, dopo il ruvido sgombero dell’autostrada del Fréjus il 29 febbraio. «Me ne hanno date tante», protesta il leader No-Tav Alberto Perino, rimasto per ore seduto sull’asfalto, inerme, e poi caricato con gli altri dall’impeto dei reparti antisommossa che hanno inseguito i manifestanti fin dentro l’abitato di Bussoleno, rastrellando strade e persino bar, sfondando porte. Lo dicono i video girati da reporter come Cosimo Caridi e Andreas Mazzia del “Fatto Quotidiano”, al termine di una terribile giornata di tensione avvelenata da notizie diffuse in modo incontrollato dai grandi media, i cui editori sono direttamente coinvolti nella cordata dei “general contractor” dell’alta velocità.
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Via banchieri e cialtroni, riprendiamoci il nostro denaro
Perché l’Eurozona è in crisi? Come si può uscire da questa situazione? Ci sono alternative alle teorie dominanti che ci hanno trascinati in questa voragine? Sì, eccome. Lo hanno spiegato, al meeting di Rimini promosso da Paolo Barnard e totalmente auto-finanziato dai partecipanti, i super-economisti “eretici” che la soluzione giusta l’hanno già confezionata, con grande successo, per la spettacolare rinascita dell’Argentina. Una sola strada: archiviare l’euro e tornare a una moneta sovrana creata per i cittadini e non contro di loro. Piccolo problema: l’attuale classe dirigente, italiana ed europea. Da spazzare via al più presto, con nuove elezioni capaci di selezionare idee utili e democratiche, per un futuro di speranza. Passaggio intermedio: diventare «il peggior incubo dei banchieri», per dirla con il professor William Black, uno degli economisti neo-keynesiani che hanno accettato la scommessa di Barnard.
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Luca, la resistenza della val Susa e l’uomo della Tienanmen
C’è un ragazzo inerme, in bilico su un traliccio, tallonato da un agente-rocciatore. E c’è un cinese, altrettanto inerme, con in mano un sacchetto e una giacca, che sbarra la strada a un carro armato. Il mezzo corazzato si sposta per evitarlo, ma il cinese lo anticipa scartando di lato e torna a sistemarsi davanti ai cingoli. Se il cinese usa il proprio corpo per comunicare coi soldati a bordo del primo tank che apre la colonna diretta a piazza Tienanmen, il ragazzo sul traliccio – con altrettanto coraggio – utilizza anche le parole per dialogare con i suoi inseguitori, li avverte: attenti, se mi incalzate fin quassù toccherò i cavi della linea elettrica. Pochi istanti dopo, quando precipita a terra fulminato, un poliziotto si porta d’istinto le mani alla testa, in un riflesso umano di angoscia. Il poliziotto indossa il casco blu del suo reparto antisommossa; il governo l’ha spedito ad occupare altri prati da recintare, in un posto in mezzo alle montagne in cui si racconta che forse, un giorno, potrebbe aprirsi un cantiere.
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Anche l’Italia tra gli sconfitti della guerra contro Gheddafi
Gheddafi voleva una moneta unica africana, sostenuta dai proventi del petrolio, per uno sviluppo autonomo dell’Africa, capace di sganciare il continente nero dal controllo dell’Occidente: scommessa stroncata sul nascere, con la guerra. Un golpe, travestito da rivoluzione: non che i libici fossero felici di subire la spietata dittatura di Gheddafi, ma i leader della “nuova Libia” – tutti quanti: Jalil, Jibril, Younis – erano i più stretti collaboratori del “macellaio di Tripoli”. Qualcuno lo aveva capito fin dall’inizio: mentre le folle di Tunisi e del Cairo avevano assediato i palazzi del potere, il 17 febbraio 2011 erano stati gruppi armati ad attaccare posti di polizia e sedi governative a Bengasi. Operazione celebrata dai media come “lotta di liberazione”, in realtà pianificata da Parigi e Londra con l’appoggio di Washington, e totalmente subita da Roma: Berlusconi quella guerra non la voleva, e nel deserto libico l’Italia ha perso una quota molto rilevante della propria sovranità energetica.
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Soldati e pirati: crisi India-Italia, capolavoro d’ipocrisia
Non sono stati loro a sparare sui pescatori indiani al largo di Kochi, ma rischiano addirittura la pena di morte: se anziché italiani fossero soldati americani, francesi o inglesi, a quest’ora davanti a quel porto ci sarebbe già schierata una portaerei, e l’India non si permetterebbe certo di commettere gli abusi che sta compiendo ai danni del mercantile sequestrato, la Enrica Lexia, e della sua scorta ingiustamente accusata, i “marò” del battaglione San Marco. Lo afferma Gianandrea Gaiani, esperto strategico e direttore di “Analisi Difesa”, in merito alla clamorosa crisi diplomatica esplosa fra Italia e India in seguito al fermo dei due militari italiani, ufficialmente sospettati di aver sparato e ucciso due pescatori indiani dopo averli scambiati per pirati.
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Scandalo, guerra segreta: soldati francesi catturati in Siria
Nel prendere la roccaforte degli insorti nel quartiere di Bab Amr, a Homs, l’esercito siriano ha fatto più di 1.500 prigionieri, per lo più stranieri. Di questi, una dozzina di francesi hanno chiesto lo status di prigioniero di guerra fornendo la loro identità, il grado e il corpo di appartenenza. Uno di questi è un colonnello del servizio trasmissioni della Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure). Nell’armare la rivolta wahhabita e nel fornirle informazioni satellitari, la Francia ha dunque condotto una guerra segreta contro l’esercito siriano, che ha portato, in dieci mesi di combattimenti, all’uccisione di circa 3.000 militari e oltre 1.500 civili.