Archivio del Tag ‘milizie’
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Cardini: soldati privati e polizie agli ordini dell’élite
«Più il soldato era estraneo e magari perfino ostile rispetto all’ambiente nel quale espletava il suo servizio, più la sua fedeltà si indirizzava esclusivamente ai suoi superiori e meglio lo si poteva usare come strumento di repressione». Un tema che torna d’attualità oggi, nell’Europa travolta dalla crisi socio-economica e sull’orlo di rivolte. Per lo storico Franco Cardini, «siamo all’anno zero; e poiché siamo governati da anonimi poteri, è ovvio che il corpo di polizia sovranazionale serva ai loro interessi». A Cardini, intervistato da Alberto Melotto per “Megachip”, non sfugge il ricorso sistematico a nuove forme di repressione: dalla valle di Susa militarizzata alla Sicilia «ferita dal Muos», fino alla nuova inquietante gendarmeria europea, Eurogendfor. «Questa euro-milizia, che andrà ad incorporare in futuro la stessa Arma dei carabinieri, dovrà gestire crisi legate all’ordine pubblico», ricorda Melotto. «Si parla di un’immunità giudiziaria per gli appartenenti a questo corpo speciale di polizia: gli ufficiali di Eurogendfor non potranno essere intercettati dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati».È facile supporre che un simile marchingegno verrà impiegato in situazioni dove si verifica una forte protesta sociale contro decisioni inique dei governi, argomenta Melotto, ragionando con Cardini sulla recente ripubblicazione del volume “Quell’antica festa crudele”, un viaggio – prima edizione nei primi anni ‘80 – lungo i secoli che vanno dal medioevo alla Rivoluzione Francese. Guerra e pace: «La guerra che crea nuove classi sociali, sollecita spostamenti di popolazioni affamate in cerca di ingaggi mercenari e terrorizza plebi contadine», e la pace che, dpo l’anno mille, «diffonde il proprio messaggio esigente e chiede risposte adeguate, col formarsi di movimenti che pongono seri limiti alle guerre private». Guerre private, organizzate da élite? La certezza del diritto si incrina appena viene meno la sovranità statale: «La sovranità nazionale – dice Cardini – l’Italia non ce l’ha più da quando il sistema Usa-Nato è entrato potentemente nella penisola, innervandola con le sue basi militari senza che i nostri governi abbiano mosso un dito, anzi sulla base di un’evidente loro connivenza».Cardini, osserva Melotto, nella sua analisi storica vuole «mettere l’accento su una civiltà che possedeva una forte consapevolezza di quel che significasse l’andare in battaglia, che trovava in sé gli anticorpi che potessero salvarla da un definitivo tracollo, da un totale cedimento alla barbarie del sangue versato». Consapevolezza che, secondo Cardini, risulta assente ingiustificata ai nostri giorni. Riproporre oggi “Quell’antica festa crudele”, infatti, «è utile per marcare la distanza che separa un periodo di impegno e di scontro culturale e politico dai nostri anni inconsapevoli». Se nei secoli passati la guerra poteva essere “umanizzata”, “razionalizzata” e quindi dominata, oggi «la mancanza di una morale condivisa nell’opinione pubblica pare far da preludio al trionfo delle guerre non più legate ai voleri degli Stati-nazione. Oggi, l’istituzione di una milizia come Eurogendfor fa pensare a un fronte di guerra interno: «È la prosecuzione della costruzione di Eurolandia a favore di chi la gestisce e ne ricava i frutti».Non era meglio la leva obbligatoria? Un esercito difensivo, una forza di protezione civile? «Un esercito che nasca con i soli scopi difensivi e di aiuto alla popolazione civile non è un esercito», dice Cardini. «Quello di cui avremmo bisogno sarebbe un vero esercito europeo, non un’organizzazione di ascari al servizio della Nato. La leva obbligatoria non è più concepibile: il processo di destrutturazione della società civile italiana è andato ormai troppo oltre». Altro segnale allarmante: il movimento pacifista si è quasi dissolto. «Siamo nella fase delle operazioni di polizia internazionali, funzionali al governo delle lobbies multinazionali che sta sempre più governando il mondo intero, con alcune zone ancora poco chiare. Per esempio, dove va la Cina? Si adatterà a questo tipo di gioco, e in che modo?». Quest’anno ricorre l’anniversario dello scoppio della Grande Guerra: quanto vi era di consapevole, nei governanti dell’epoca, nella decisione di mandare al massacro i proletari d’Europa l’un contro l’altro? «Il punto – replica Cardini – non era massacrare i proletari, ma perseguire una politica di potenza: la Russia voleva raggiungere il Mediterraneo, la Francia vendicarsi dei tedeschi e recuperare le aree ferrifere e carbonifere dell’area renano-mosellana. Certo, la guerra era un diversivo rispetto all’affrontare la questione sociale».La sinistra italiana, incarnata allora nel Partito Socialista – ricorda Melotto – fu l’unica in Europa a non chinare il capo alle intimidazioni del nazionalismo, diversamente da quanto fecero i socialisti francesi, che votarono i crediti di guerra dopo l’assassinio del loro dirigente Jean Jaurés. Non fu uno dei momenti più alti della storia del movimento operaio italiano? «Sì, e anche del mondo cattolico che in genere era nemico del conflitto», concorda Cardini. «Ma c’erano ormai larghe aree d’inquinamento nazionalista, tra i socialisti e tra i cattolici. Quanto all’interventismo rivoluzionario, che nasceva su altre basi, alla prova si rivelò un cavallo di Troia del nazionalismo». Oggi, la riflessione storica rischia di essere intorbidita: i «fanatici», decisi a «minimizzare le responsabilità dei nazisti» negando la tragedia della Shoah, finiscono col danneggiare anche «i ricercatori seri», che rivendicano il diritto di rivedere la storia, correggendo errori e mistificazioni. Cè poco da stare allegri: «Ci vorrebbe una Costituzione europea e una raggiunta maturità di coscienza appunto federale o confederale da parte dei popoli, che non c’è». C’è invece il dominio egemonico della Troika. «Chi lo ha voluto? Quali sono i suoi poteri? Chi li ha determinati? Una decisione di questo tipo non può esser presa nel totale silenzio dei governati».(Il libro: Franco Cardini, “Quell’antica festa crudele”, Il Mulino, 520 pagine, 30 euro).«Più il soldato era estraneo e magari perfino ostile rispetto all’ambiente nel quale espletava il suo servizio, più la sua fedeltà si indirizzava esclusivamente ai suoi superiori e meglio lo si poteva usare come strumento di repressione». Un tema che torna d’attualità oggi, nell’Europa travolta dalla crisi socio-economica e sull’orlo di rivolte. Per lo storico Franco Cardini, «siamo all’anno zero; e poiché siamo governati da anonimi poteri, è ovvio che il corpo di polizia sovranazionale serva ai loro interessi». A Cardini, intervistato da Alberto Melotto per “Megachip”, non sfugge il ricorso sistematico a nuove forme di repressione: dalla valle di Susa militarizzata alla Sicilia «ferita dal Muos», fino alla nuova inquietante gendarmeria europea, Eurogendfor. «Questa euro-milizia, che andrà ad incorporare in futuro la stessa Arma dei carabinieri, dovrà gestire crisi legate all’ordine pubblico», ricorda Melotto. «Si parla di un’immunità giudiziaria per gli appartenenti a questo corpo speciale di polizia: gli ufficiali di Eurogendfor non potranno essere intercettati dalle autorità giudiziarie dei singoli Stati».
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Forze speciali: la guerra segreta di Obama in 134 paesi
Operano nel Sud-Est Asiatico, immersi nel bagliore verde dei visori notturni. E percorrono le giungle del Sud America. Strappano le persone dalle loro case nel Maghreb e si confrontano con miliziani armati fino ai denti nel Corno d’Africa. Combattono nei Caraibi e nel Pacifico, affrontano il caldo soffocante in missioni nel Medio Oriente e il freddo glaciale della Scandinavia. «Su scala planetaria – accusa Nick Turse – l’amministrazione Obama conduce una guerra segreta di dimensioni sconosciute, almeno fino ad ora». Dal fatidico 11 settembre 2001, le forze speciali Usa «si sono sviluppate in ogni forma concepibile, sia come numerico sia per tipo», proiettate in «operazioni speciali richieste ormai a livello globale». La loro presenza,in quasi 70% delle nazioni mondiali «ci fornisce la prova delle dimensioni di questa guerra occulta che si svolge dall’America Latina all’entroterra afghano, passando dall’addestramento degli alleati africani fino alle operazioni virtuali nel cyber-spazio».All’epoca di George W. Bush, le forze speciali statunitensi dislocate in “appena” 60 paesi, saliti poi a 75 nel 2010, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del “Washington Post”. Per arrivare poi a proiettarsi in 120 nazioni nel 2011, come annunciato dal colonnello Tim Nye, portavoce del Socom, il Comando Operazioni Speciali. «Questa cifra oggi è già obsoleta», scrive Turse in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Nel 2013, le forze d’élite Usa erano dislocate in 134 paesi, secondo il colonnello Robert Bockholt ». Questo aumento del 123% durante l’amministrazione Obama «dimostra come, in aggiunta ai conflitti decennali convenzionali, alla campagna dei droni svolta dalla Cia, alla diplomazia e all’esteso controllo della cybersfera, l’America ha lanciato un ulteriore forma significativa di controllo nei paesi esteri». Una strategia «condotta per lo più con missioni-ombra svolte dalle forze d’elite», l’operazione «rimane per lo più sconosciuta ai media ed a ogni forma di controllo», proteggendo la Casa Bianca dalle ripercussioni di «conseguenze spesso catastrofiche e imprevedibili».Prima limitato a 32.000 unità, dopo l’11 Settembre il raggruppamento delle forze speciali è cresciuto in modo esponenziale, raggiungendo quota 72.000 soldati. Idem il costo: da 2,3 miliardi di dollari agli attuali 6,9 miliardi. Secondo ricerche di Tim Dispatch, nel biennio 2012-2013 le operazioni speciali si sono estese a 106 nazioni. Il comando Socom non chiarisce i dettagli sull’impiego di Berretti Verdi, Rangers, Navy Seals e Delta Force, ma alla fine ammette che sono ora impegnati in 134 paesi, in tutto il mondo. Il Pentagono sta «aumentando la propria rete globale», conferma l’ammiraglio William Mc Raven, collaborando con partner stranieri per «prevenire possibili minacce» ma anche «cogliere opportunità». Operativamente, «la rete rende possibile la presenza di piccole unità in posizioni critiche e ne facilita l’azione ove necessario o appropriato». L’aumento del 12% dei dispiegamenti – da 120 a 134 durante la gestione Mc Raven – secondo Turse rivela l’ambizione di «acquisire posizioni strategiche in ogni parte del pianeta», sia pure al riparo dall’opinione pubblica, che di fatto non è informata delle missioni segrete.Addestramenti a Gibuti, in Malawi e alle Seychelles. Poi la “guerra simulata” dei Navy Seals nel porto di Aqaba, in Giordania, insieme a unità irachene, giordane e libanesi. Nel luglio 2013, i Berretti Verdi si sono spostati a Trinidad e Tobago per addestrare forze locali. Un mese dopo, la stessa unità ha addestrato la marina dell’Honduras sull’uso di esplosivi. E a settembre si è svolta una maxi-esercitazione a Sentul, Java occidentale, coinvolgendo Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar, Cambogia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud, India, Cina e Russia. Molto più scarse, invece, le informazioni sulla guerra “non simulata”: rapimenti di sospetti terroristi in Somalia, raid in Libia e nel Corno d’Africa, operazioni nel Sud Sudan e accanto all’esercito afghano. Non mancano missioni umanitarie, come quella condotta a novembre in soccorso ai sopravissuti dell’uragano Haiyan nelle Filippine. Particolare cura è dedicata alla promozione dell’immagine: propaganda affidata a siti web «su misura per l’utenza straniera» e «fatti in modo da sembrare attendibili punti d’informazione». Il cyber-spazio è anch’esso terra di conquista, da parte del Socom.«Anche se il presidente Obama raccolse milioni voti nelle passate elezioni del 2008 con la sua politica di disimpegno – rileva Turse – ha dimostrato di essere un comandante in capo alquanto interventista, le cui politiche hanno già causato innumerevoli di quelle che, nel gergo Cia, vengono definite “blowbacks”», cioè conseguenze inaspettate subite durante un’operazione clandestina di intelligence, che possono «portare violenze random verso forze o popolazioni ritenute amiche». La Casa Bianca ha anche battuto ogni record di Bush sull’impiego di droni: 330 missioni, contro 51. «Solo nello scorso anno gli Usa hanno diretto azioni di combattimento in Afghanistan, Libia, Pakistan, Somalia e Yemen». Di recente, le rivelazioni di Edward Snowden (fonte, Nsa) hanno svelato all’opinione pubblica «la vastità della sorveglianza elettronica, che sotto l’amministrazione del Premio Nobel della Pace ha raggiunto un livello globale».Nel frattempo, le “blowbacks” devastano intere regioni: a 10 anni dalla famosa “missione compiuta”, il nuovo Iraq voluto dall’America è in fiamme, in preda ai terroristi di Al-Qaeda schierati contro l’Iran. L’abbattimento di Gheddafi ha destabilizzato il Mali, minacciando anche l’Algeria e provocando «una specie di “diaspora del terrore” in tutta la regione». E l’odierno Sud Sudan – nazione che gli Usa hanno artificialmente creato e che tuttora sostengono, nonostante l’impiego massiccio di bambini-soldato – viene utilizzato come base Hush-Hush, cioè segretissima, per operazioni speciali. Così, il paese «sta a letteralmente implodendo su stesso e scivolando verso una nuova guerra civile». Tutto questo, senza che gli americani abbiano la più pallida idea di quello che sta davvero avvenendo. Secondo l’ex colonnello Andrew Bacevich, docente all’università di Boston, l’utilizzo sempre più massiccio delle forze speciali «ha ridotto drasticamente la credibilità delle forze armate Usa, posto le basi per una “Presidenza Imperiale” e messo un piedi una guerra senza fine».L’utilizzo delle forze speciali per missioni-ombra, aggiunge Turse, «riduce la già sottile differenza fra politica e guerra». Così, sempre più spesso, «le conseguenze di queste operazioni segrete sono impreviste e disastrose». La storia insegna: Osama Bin Laden fu ingaggiato dalla Cia contro i sovietici in Afghanistan, prima di tornare sulla scena come protagonista (mediatico) dell’11 Settembre. «Stranamente, il Pentagono sembra non aver imparato nulla da quella devastante “blowback”», l’attacco alle Torri. Oggi, in Afghanistan e in Pakistan si vivono ancora strascichi da guerra fredda, «con la Cia che, per esempio, compie attacchi missilistici contro la rete Haqqani», network terroristico che, negli anni ‘80, la stessa Cia «aveva rifornito, appunto, di missili». Senza un quadro chiaro del mandato reale di queste forze, conclude Turse, il popolo americano non potrà neppure accorgersi del vero motivo di tanti “ritorni di fiamma”, ritorsioni per azioni “coperte” costate morti e feriti, terrore e sangue. In nome dell’America, forse, ma all’insaputa dei cittadini statunitensi.Operano nel Sud-Est Asiatico, immersi nel bagliore verde dei visori notturni. E percorrono le giungle del Sud America. Strappano le persone dalle loro case nel Maghreb e si confrontano con miliziani armati fino ai denti nel Corno d’Africa. Combattono nei Caraibi e nel Pacifico, affrontano il caldo soffocante in missioni nel Medio Oriente e il freddo glaciale della Scandinavia. «Su scala planetaria – accusa Nick Turse – l’amministrazione Obama conduce una guerra segreta di dimensioni sconosciute, almeno fino ad ora». Dal fatidico 11 settembre 2001, le forze speciali Usa «si sono sviluppate in ogni forma concepibile, sia come numerico sia per tipo», proiettate in «operazioni speciali richieste ormai a livello globale». La loro presenza,in quasi 70% delle nazioni mondiali «ci fornisce la prova delle dimensioni di questa guerra occulta che si svolge dall’America Latina all’entroterra afghano, passando dall’addestramento degli alleati africani fino alle operazioni virtuali nel cyber-spazio».
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Distruggere l’Ucraina: un piano da 5 miliardi di dollari
L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari «al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così “il futuro che merita”. Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo “dittatore sanguinario” della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini.Nessuno ne contestò l’elezione quando sconfisse Viktor Yushenko, anche se fu un boccone amaro per chi di Yushenko aveva finanziato l’ascesa. E gli aveva perfino procurato la moglie. Pochi sanno che la seconda moglie di Yushenko si chiama Katerina Chumacenko, che veniva direttamente dal Dipartimento di Stato Usa (incaricata dei “diritti umani”). Ancora meno sanno che Katerina, prima di fare carriera a Washington, era stata uno dei membri più attivi e influenti dell’organizzazione neo-nazista Oun-B della sua città natale, Chicago. Oun-B sta per Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, di Stepan Bandera. L’Oun-B, tutt’altro che defunta, ha dato vita al Partito Svoboda, il cui slogan di battaglia è “l’Ucraina agli ucraini”, lo stesso che Bandera innalzava collaborando con Hitler durante la seconda guerra mondiale.Del resto Katerina era stata leader del Comitato del Congresso ucraino, il cui ispiratore era Jaroslav Stetsko, braccio destro di Stepan Bandera. Che è come dire che il governo americano si era sposato con i nazisti ucraini emigrati negli Usa, prima di mettere Katerina nel letto di Yushenko. Anche di questo il mainstream non parla. Ma ho fatto questa digressione per dire che, certo, gli ucraini hanno tutto il diritto di essere scontenti, molto scontenti di Yanukovic. E di avere cambiato idea. Anche noi abbiamo tutto il diritto di essere scontenti di Napolitano o del governo, ma questo non significa che pensiamo sia giusto assaltare il Quirinale a colpi di bombe molotov prima e poi di fucili mitragliatori. Essenziale sarebbe stato tenere conto di questi dati di fatto. Ma il piano, di lunga data, degli Stati Uniti era quello di assorbire l’Ucraina nell’Occidente. Se possibile tutta intera.Sentite cosa scriveva nel 1997 Zbignew Brzezinski, polacco: «Se Mosca ricupera il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le grandi risorse, riprendendo il controllo sul Mar Nero, la Russia tornerà automaticamente in possesso dei mezzi necessari per ridiventare uno Stato imperiale». Ecco dunque il perché dei 5 miliardi di cui parla la Nuland. Caduto Yushenko, in questi anni decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell’Ucraina. Qualche nome? Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for Electoral Systems, International Research and Exchanges Board. E, mentre si «faceva cultura», e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del paese, una parte dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari che vediamo in azione in piazza Maidan. Che, grazie a questi aiuti, si sono moltiplicate.Adesso emerge il Pravij Sector (“Settore di destra” e “Spilna Prava”), ma il giornale polacco “Gazeta Wiborcza” ha parlato di squadre paramilitari polacche che agiscono a Maidan. E la piazza pullula di agenti dei servizi segreti occidentali: lo fanno in Siria, perché mai non dovrebbero farlo a Kiev? È perfino più facile: Yanukovic, dittatore sanguinario, appare più molle di Milosevic, altro strano dittatore sanguinario che si fece sconfiggere elettoralmente da Otpor (fondato e ampiamente finanziato dagli Usa). Tutto già visto. C’è solo un problema: Putin non è un pellegrino sprovveduto. È questo il popolo ucraino? Certo sono migliaia, anzi decine di migliaia, a mostrare il livello della rabbia popolare contro un regime inetto (non più inetto di quelli dei precedenti amici dell’Occidente, Kravchuk, Kuchma, Yushenko, Timoshenko), ma chi guida è chiaro perfino dalle immagini televisive. E questa è la ex Galizia, ex polacca, e la Transcarpazia. Se crolla Yanukovic e prendono il potere costoro, sarà una diaspora sanguinosa.I primi ad andarsene saranno i russofoni dell’est e del nord, del Donbass dei minatori, che già stanno alzando le difese. E subito sarà la Crimea, che ha già detto quasi unanime che intende restare dalla parte della Russia, anche per tentare di salvarsi dalla furia antirussa di coloro che prenderanno il potere. È l’inizio delle secessioni, oggi perfino difficili da prevedere, dai contorni indefiniti, che produrranno non fronti militari ma selvagge rappresaglie all’interno di comunità che non saranno più solidali. L’Europa, fedele esecutrice dei piani di Washington, ha aperto il vaso di Pandora. Che adesso le esploderà tra le mani. I nuovi inquilini saranno di certo concordati (sempre che Putin abbia la garanzia che non sarà valicato il Rubicone dell’ingresso nella Nato), ma coloro che sono scesi in piazza armati hanno in testa un’idea di Europa molto diversa da quella che si figura Bruxelles.E quelli in buona fede che sono andati dietro i neonazisti – e sono sicuramente tanti – si aspettano di entrare in Europa domani. E saranno tremendamente delusi quando dovranno cominciare a pagare, e non potranno comunque entrare, perché nei documenti di Vilnius questo non è previsto. L’unico tra i commentatori italiani che ha scritto alcune cose sensate è stato Romano Prodi, ma le ha scritte sull’“International New York Times”. Rivolto agli europei li ha invitati a non mettere nel mirino solo Yanukovic, bensì condannare anche i rivoltosi. E ha aggiunto: «Coinvolgere Putin», visto che tutte le parti hanno «molto da perdere e nulla da guadagnare da ulteriori violenze». Giusto ma ottimista. Chi ha preparato la cena adesso vuole mangiare e non si fermerà. E l’isteria antirussa è il miglior condimento per altre avventure.(Giulietto Chiesa, “L’Occidente apre il vaso di Pandora”, da “Il Manifesto” del 21 febbraio 2014).L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari «al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così “il futuro che merita”. Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo “dittatore sanguinario” della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini.
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Renzi? Bugiardo e pericoloso: ha troppi padroni potenti
«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italianiQuando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta: quello, per lo storico di Los Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale lavoro. E cioè: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. «Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall’amministrazione Bush, oltre che teorico della guerra all’Iraq e della potenziale guerra all’Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano. Oggi – aggiunge Fracassi – Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del Partito democratico Matteo Renzi».Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l’allora presidente della Provincia di Firenze si recò nel 2007 al dipartimento di Stato Usa «per un inspiegabile tour». Non è un caso, continua Fracassi, che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il “New York Post”, ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby che lavorano per Israele e per l’Arabia Saudita. «In questa direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele». Carrai, scrive Fracassi, ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. «Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures». Suo padre, Franco Bernabè, fino a pochi anni fa è stato «arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l’Italia a Israele».Forse aveva ragione l’ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D’Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che vogliono liquidare la sinistra». Dietro Renzi, continua Fracassi, ci sono anche i poteri forti economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d’affari responsabile della crisi mondiale. «Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari». Una carriera, quella del giovane broker italiano, punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. «In quegli anni trascorsi dentro il gruppo statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo (Unicredit), passando per l’allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado Passera».Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo. E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments. Già nel primo anno Algebris passò da circa 700 milioni a quasi due miliardi di dollari gestiti. L’anno successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l’attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d’ogni tempo. Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di mettere un piede in Mediobanca. Definito dall’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è «il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione Metropolis».E così, nell’ultimo anno il gotha dell’industria e della finanza italiane si è schierato dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l’ha»). E ancora, Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e l’amministratore delegato Andrea Guerra, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara Berlusconi, il banchiere Claudio Costamagna, il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti, Patrizio Bertelli di Prada e Fabrizio Palenzona di Unicredit.Fracassi cita anche il Monte dei Paschi di Siena, collegato al leader del Pd attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini. Con Renzi anche l’amministratore delegato di Mediobanca, Albert Nagel, erede di Cuccia nell’istituto di credito. «Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, il “Corriere della Sera”, da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici. Il “Corriere” ha ripreso alcuni passaggi dell’ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi». Fracassi conclude citando il defunto segretario del Psi, Bettino Craxi, che diceva: «Guarda come si muove il “Corriere” e capirai dove si va a parare nella politica».Gad Lerner, recentemente, ha detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience». Ormai è tardi per tutto: il Pd – già in coma, da anni – si è completamente arreso all’ex Rottamatore. «Dove mai andrà il “voto utile” in mano a Renzi? In quale manovra di palazzo, in quale strategia dell’alta finanza verrebbe bruciato? In quale menzogna da Piano di rinascita democratica?», si domanda Pino Cabras. «Ogni complicità con il nuovo Sovversore dall’alto diventa intollerabile ogni minuto di più». Fine della cosiddetta sinistra italiana. Fuori tempo massimo, ora, «in tanti saranno costretti ad aprire gli occhi, e a comprendere la differenza fra militanti e militonti. Ma hanno riflessi troppo lenti. La riscossa – a trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer – passerà da altre parti».«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
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Bombe e stragi: così Israele spiega la prossima guerra
Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.Non è il tema di un war-game apocalittico. Sono parole autentiche, pronunciate l’11 ottobre 2013 dal capo supremo delle Israel Defence Forces, il luogotenente generale Benny Gantz. Il generale spiega così le modalità della “prossima guerra” che attende lo Stato ebraico, e lo fa di fronte agli studenti assiepati nel centro di studi strategici Begin-Sadat, ospitato nel campus dell’università Bar Ilan, vicino a Tel Aviv. Ha parlato a braccio, riferisce Roy Tov su “The Truth Seeker”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Avvertimento all’opinione pubblica: non rilassatevi, il nemico ci minaccia sempre e oggi dispone di nuove capacità operative, niente più scontri frontali tra eserciti ma insidiose azioni di guerriglia, con combattenti mescolati ai civili. Per Israele, conterà «la prova delle azioni», cioè – tanto per cambiare – la capacità di colpire duro e senza esitazioni. Il generale anticipa lo scenario studiato dai suoi strateghi: Hezbollah sparerà salve di razzi sulla Galilea, colpendo le città, mentre le milizie jihadiste «proveranno ad annientare i posti di blocco al confine con Gaza». Forti contraccolpi anche nelle retrovie: una vasta guerra cibernetica coinvolgerà i sistemi militari e anche quelli civili.Il capo di stato maggiore di Israele ammette di temere molto le insidie dell’informatica, che potrebbero paralizzare sistemi di difesa e persino i grossi carri armati Merkava, dotati di sofisticate tecnologie. Degno di nota, secondo “Truth Seeker”, il fatto che egli abbia completamente ignorato il ruolo dell’Iran: un “problema” in più, dopo la crescita della difesa missilistica di Teheran, o è solo diplomazia dopo i primi storici contatti tra Obama e Rohani? Resta, in ogni caso, la vergogna incancellabile della guerra sporca, cioè di ogni vera guerra: «In certi casi – ammette il generale – la potenza di fuoco che affronteremo non ci permetterà di distinguere appieno tra civili e terroristi, e questa confusione si esprimerà operativamente con risultati indesiderabili, che purtroppo costituiscono un elemento integrante della guerra». I famosi “danni collaterali”: la solita macelleria di civili, donne e bambini. Il generale Gantz ha annunciato tranquillamente che continuerà a permettere l’attacco militare contro civili disarmati. «A un generale serbo che avesse rilasciato una simile dichiarazione sarebbe stata mostrata la strada per la Corte internazionale di giustizia», rileva Roy Tov. Ma, evidentemente, «Israele è al di sopra della legge».Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.
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I sauditi a Putin: terrorismo sui Giochi se difendi Assad
Tu chiamala, se vuoi, Terza Guerra Mondiale. Se gli Usa attaccano la Siria, dice lo stato maggiore libanese, Assad è in grado di reagire col lancio dei micidiali missili Iskander, che arrivano fino a 270 chilometri oltre i confini siriani. Peggio: in caso di attacco, Putin potrebbe far alzare i suoi caccia dalla base mediterranea di Tartus. Obiettivo: l’Arabia Saudita, grande manovale – sul terreno – della destabilizzazione pluriennale segretamente armata dagli Usa per rovesciare il regime di Damasco e assediare finalmente l’Iran. Nel braccio di ferro, anche i sauditi minacciano i russi: sui Giochi Olimpici di Sochi potrebbe incombere l’incubo del terrorismo. Inizialmente sottovalutata dai media, di giorno in giorno si rivela appieno la reale portata del drammatico appello lanciato da Papa Francesco: attenti, il mondo è davvero in pericolo. Nessun’altra guerra, negli ultimi cinquant’anni, presentava questi rischi di deflagrazione internazionale. Sullo sfondo, la resa dei conti tra Washington e Pechino per il controllo strategico delle risorse planetarie si sta avvicinando. E in Siria la partita è affidata largamente al terzo incomodo, la Russia, mentre per ora l’Europa resta a guardare.
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Meyssan: ma gli occidentali sono pronti a colpire Damasco?
Chi ha usato le armi chimiche alla periferia di Damasco il 21 agosto 2013? Riuniti in emergenza all’Onu su richiesta degli occidentali, racconta il giornalista francese Thierry Meyssan, gli ambasciatori sono rimasti sorpresi nel vedere il loro collega russo presentar loro delle foto satellitari che mostrano il tiro di due obici alle ore 01:35 del mattino, dalla zona ribelle di Duma verso le zone ribelli colpite dai gas, cioè Jobar e l’area compresa tra Arbin e Zamalka, in orari coincidenti con la strage. Le foto, aggiunge Meyssan, non ci consentono di sapere se quei cannoni fossero stati dotati di proiettili chimici, ma lasciano pensare che la “Brigata dell’Islam” che occupa Duma abbia preso ben tre piccioni con una fava: rimuovere il sostegno dei suoi rivali in seno all’opposizione, far accusare la Siria di aver fatto ricorso alle armi chimiche e interrompere l’offensiva dell’esercito siriano volta a liberare la capitale.
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Barnard: ci stanno portando in Kosovo, schiavi sottopagati
Il peggio dell’economia a senso unico noi ancora non l’abbiamo subito, anche se siamo sul punto di. Il grande esperimento delle “riforme”, del “rigore”, delle Austerità, fu inflitto come “laboratorio”, a partire dal crollo del muro di Berlino, a tutto l’Est europeo. Quando l’impero sovietico crollò nell’arco di pochi mesi, le porte dell’Est europeo si spalancarono ai falchi del Libero Mercato e dietro di esse c’erano masse di miserabili sbandati disposti a lavorare per pochi centesimi, assieme a intere economie da spolpare. Le élite d’Europa e degli Usa non avevano mai sognato nulla del genere. E’ ovvio che non sto dicendo che le dittature comuniste erano in alcun modo raccomandabili, ma lo sfruttamento di quelle genti che seguì il loro crollo è stato moralmente rivoltante. Qui di seguito alcuni dati scientifici, ma poi anche un dato aneddotico che, a mio parere, vale più di qualsiasi librone.
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Se Letta fallisce ci aspettano i manganelli dell’Eurogendfor
Rieleggere Napolitano al Colle e puntare decisi a legittimare con una riforma costituzionale il presidenzialismo di fatto, svuotando di poteri e dignità il Parlamento in favore della Commissione Europea, della Bce e del Quirinale, serve a inasprire la crisi. Confermata la linea pseudo-neoliberista e fiscalista, gli uomini del Bilderberg, del Fmi e dell’Unione Europea sono i primi a congratularsi, annota Marco Della Luna. E Napolitano, col plauso di quasi tutti (incluso Berlusconi) incarica di formare il governissimo “senza alternative” nientemeno che Enrico Letta, che «come economista e come politico è assolutamente improponibile per il ruolo di premier, dato ciò che ha fatto, ciò che è stato e ciò che è tuttora». Anche se, forse, «si capisce perché è stato scelto», e per fare cosa: completare l’economicidio italiano. Impossibile sperare in un miracolo. Più probabile che, invece, la protesta per il disastro economico venga sigillata da una inaudita repressione, affidata alla nuova super-polizia europea.
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Boston, messaggio agli Usa: guai se fate la pace in Siria
L’unico punto debole del “dispositivo” è la sopravvivenza di Dzhokhar Tsarnaev: un ragazzo di 19 anni è incontrollabile. Tutto il resto, sostiene il giornalista internazionale Thierry Meyssan, è ampiamente sotto controllo. Primo: la questione della Cecenia inibisce i russi in Siria. Secondo: lo strano attacco terroristico di Boston «è una messa in scena, mirante a posizionare il terrorismo ceceno in prima linea». Terzo: «Il mondo in cui questo caso sarà presentato determinerà la sequenza degli eventi in Siria», dove l’Occidente ha sostanzialmente organizzato – con l’imponente supporto di uomini, logistica, denaro, armamenti e intelligence – la caduta del regime di Assad per mano di una milizia multinazionale incaricata di scatenare una rivolta destinata a trasformarsi in sanguinosa guerra civile, salvo poi tentare di uscirne lasciando senza guida le truppe mercenarie rimaste sul terreno.
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Squadroni della morte targati Usa, dal Salvador alla Siria
Macellai nazisti, con un solo compito: uccidere in massa, torturare, seminare il terrore. Ieri in America Latina, per stroncare la resistenza democratica in Salvador e la rivoluzione sandinista in Nicaragua, e oggi in Medio Oriente, per demolire la Siria come nazione dopo aver annientato l’Iraq. Cambia solo la manovalanza: soldati e miliziani sudamericani, oppure fanatici di Al-Qaeda, tagliagole reclutati nelle monarchie del Golfo e mercenari al soldo di agenzie controllate dal Pentagono. Identica la regia, targata Washington. Sempre la stessa persino la catena di comando: che risale al famigerato team collaudato dall’ex ambasciatore John Negroponte, l’inventore degli “squadroni della morte” che sterminarono migliaia di persone e assassinarono Oscar Romero, arcivescovo di El Salvador. Rivelazioni inquietanti: anche in Iraq e in Siria hanno operato i killer coordinati dalla “squadra” di Negroponte e del suo “allievo”, l’ambasciatore Robert Stephen Ford.
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Classifica-horror: ecco le 10 multinazionali più pericolose
Il costume di Babbo Natale è rosso, ma non da sempre: il conducente di renne più famoso del pianeta smise la tradizionale casacca verde precisamente nel 1931, anno in cui lo “rivestì” del colore aziendale nientemeno che la CocaCola. Lo rivela “Ecosas.com”, in una vera e propria galleria degli orrori firmati dalle “dieci multinazionali più pericolose del mondo”, architrave economica della globalizzazione del pianeta realizzata a spese dei poveri della Terra e poi ovviamente anche degli ignari consumatori. Storie quotidiane, regolarmente ignorate dai media, in cui la realtà supera di gran lunga la più perversa fantasia. Come nel caso del colosso petrolifero Chevron, già Texaco, accusato di aver riversato 18 miliardi di galloni di acqua tossica nei boschi tropicali dell’Ecuador, distruggendo i mezzi di sussistenza degli agricoltori locali e facendo ammalare le popolazioni indigene.