Archivio del Tag ‘opposizione’
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L’ultima di Nichi: nuova sinistra, zero idee e fedeltà all’Ue
Volete ridere? Per creare il “nuovo soggetto politico di sinistra”, di cui l’Italia ha bisogno come il pane, a farsi avanti è Nichi Vendola. Tradotto: Sel si candida ad aggregare i fuoriusciti del Pd, Rifondazione e qualche transfuga del M5S, per poi mendicare poltrone al riparo del Pd e della fedeltà al regime Ue-Nato. «La novità starebbe nel fatto che questa volta non si tratterebbe di un “improvvisato cartello elettorale” ma di un soggetto unitario, insomma un nuovo partito», diverso cioè dall’album degli orrori degli ultimi anni (Sinistra Europea, Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa con Tsipras). Aldo Giannuli, politologo ed ex dirigente del Prc prima della scissione vendoliana, oscilla tra ilarità e sconforto: «Capisco che Sel sia l’unico di questi gruppi ad avere un minimo di organizzazione nazionale e un gruppo parlamentare, e capisco che Sel si collochi al centro fra Rifondazione e i fuorusciti del Pd, ma la politica? Dico: la politica dov’è?». La proposta di Nichi? Zero assoluto, con un’aggravante: guardare ancora con fiducia a Bruxelles e alla Bce che hanno fatto a fette la Grecia. «Le varie sinistre arcobaleno non sono fallite per chissà qualche congiunzione astrale, ma perché non avevano niente da dire». E infatti, ci risiamo.Il metodo è quello di sempre, accusa Giannuli: lunghi elenchi di nomi, «gruppetti e gruppettini, defilè di vecchie stelle del varietà e di generali senza esercito», ma quanto a idee siamo allo zero assoluto. «Sul fisco che diciamo? Zero. Dobbiamo restare nella Nato? Zero. Quali politiche occupazionali vogliamo promuovere? Non pervenuto. Come rilanciare l’industria in Italia? Zero. Quale politica della ricerca? Zero. Quale riforma della giustizia? Zero. E voi volete fare così un nuovo partito? A me hanno sempre insegnato che prima ci si dà una politica e dopo si cerca di costruire lo strumento adatto a realizzarla». Ma Vendola riesce a fare anche peggio, provando a riesumare lo zombie dell’europeismo: «Vogliamo sentire parole di rilancio del sogno dell’Europa federale. E’ necessario conferire più poteri alla Bce», affinché questo soggetto diventi «prestatore di ultima istanza, impedendo che il sistema creditizio internazionale si comporti come un usuraio nei confronti dei popoli del sud dell’Europa»Quindi, deduce Giannuli, «non solo Vendola pensa che il cadavere della Ue debba restare insepolto, ma per “rivitalizzarlo” si affida ai finanzieri della Bce che sono quelli che stanno strangolando la Grecia e che, per Vendola, “devono avere più poteri” (perbacco!). E per fare questa minchiata (scusatemi il termine) c’è bisogno di fare un nuovo partito di sinistra?». Siamo a posto: «Che Vendola capisca di economia come io di dialetti esquimesi era cosa nota – premette Giannuli – ma lui pensa che se Draghi non emette liquidità con il sifone del selz è perché ha pochi poteri. Non gli viene in testa che l’euro è una moneta che ha come obiettivo prioritario la stabilità, e che dunque i tedeschi non permetterebbero mai di fare quello che lui sogna e che neanche Draghi vuole più di tanto. Dunque, la somma algebrica della sua relazione è la seguente: 0+ 0 +0 + 0 + 1 sbagliato». Sicché, «sulla base di questo programma, per quale motivo la gente dovrebbe votare questo ennesimo accrocchio di ceti politici di sinistra?».Bene che vada, continua Giannuli, verrà fuori il solito partitino del 4-5% che, «dopo un po’ di smorfie, si adatterà a fare il cespuglio del Pd, sempre che Renzi ce lo voglia». E per di più «dopo una lunghissima serie di fallimenti implacabili e in una situazione internazionale molto peggiore del passato». Appello: «Caro Nichi, non ti sei accorto che il tuo partito nasce morto ed è già stato sconfitto? E’ stato sconfitto definitivamente ad Atene. Auguri». Prima di chiudere, Giannuli – che si dichiara “uno dei più antichi filologi” della “poetica” di Vendola – si diverte a fornire «all’ignaro lettore» quella che definisce «l’esatta versione in prosa di alcuni passaggi del suo alato discorso», all’assemblea nazionale di Sel. Dice il leader: «Sel non si scioglie, ma investe il suo patrimonio per rinascere in una cosa più grande». Traduzione: Sel si pone come soggetto centrale che aggrega gli altri. «Basta con i cartelli elettorali e gli accrocchi di ceto politico», insiste Nichi. Traduzione di Giannuli: gli altri sì, si devono sciogliere, mentre Sel, che aspira ad essere il pezzo più importante del costituendo nuovo partito, ambisce ad essere il principale azionista, quindi farà le liste senza garantire nessun altro partecipante.Vendola evoca una nuova sinistra di governo, plurale, inclusiva, moderna che sappia anche «inventarsi nuove leadership» e che sia «costruita con le nuove generazioni»? In realtà vuol dire: un partito che cercherà spiragli per ottenere qualche poltrona, e non ha nessuna intenzione di restare all’opposizione. «E che ci darà nuovi Pisapia, Doria, Boldrini…». Quanto alla leadership, ci sarà un ricambio generazionale. Quando? “Dopo”, ovviamente, amche se Nichi annuncia: «Possiamo congedarci definitivamente dall’epoca della sinistra del rancore e dei risentimenti». Traduzione: “Ferrero, non ti montare la testa che non conterai niente”. E infine: «Dobbiamo confrontarci ora per far nascere una nuova, grande stagione referendaria». Magnifico, molto democratico. Traduzione di Giannuli: “Non sappiamo su cosa, ma indiremo qualche referendum per fare un po’ di campagna promozionale”.Volete ridere? Per creare il “nuovo soggetto politico di sinistra”, di cui l’Italia ha bisogno come il pane, a farsi avanti è Nichi Vendola. Tradotto: Sel si candida ad aggregare i fuoriusciti del Pd, Rifondazione e qualche transfuga del M5S, per poi mendicare poltrone al riparo del Pd e della fedeltà al regime Ue-Nato. «La novità starebbe nel fatto che questa volta non si tratterebbe di un “improvvisato cartello elettorale” ma di un soggetto unitario, insomma un nuovo partito», diverso cioè dall’album degli orrori degli ultimi anni (Sinistra Europea, Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa con Tsipras). Aldo Giannuli, politologo ed ex dirigente del Prc prima della scissione vendoliana, oscilla tra ilarità e sconforto: «Capisco che Sel sia l’unico di questi gruppi ad avere un minimo di organizzazione nazionale e un gruppo parlamentare, e capisco che Sel si collochi al centro fra Rifondazione e i fuorusciti del Pd, ma la politica? Dico: la politica dov’è?». La proposta di Nichi? Zero assoluto, con un’aggravante: guardare ancora con fiducia a Bruxelles e alla Bce che hanno fatto a fette la Grecia. «Le varie sinistre arcobaleno non sono fallite per chissà qualche congiunzione astrale, ma perché non avevano niente da dire». E infatti, ci risiamo.
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Della Luna: Germania criminale, utile idiota dello Zio Sam
“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.Tsipras, il doppiogiochista bifronte, ha tradito sia il mandato elettorale che quello referendario del suo popolo, finendo per imporgli condizioni addirittura più schiaccianti di quelle inizialmente richieste dalla Germania, per fare lo sporco gioco di questa, condannando la Grecia a misure incompatibili col risanamento, perché aumentare le tasse sui redditi e l’Iva a un’industria già agonizzante significa voler ammazzare l’economia e peggiorare quindi il rapporto deficit/Pil. E licenziamenti massicci con una disoccupazione al 25% sono un suicidio sociale. L’insostenibilità del debito pubblico greco si ripresenterà entro l’anno, aggravata dal calo della produzione e dell’occupazione. Qual è dunque l’obiettivo di Berlino (e quindi del governo fantoccio di Bruxelles)? Disastrare la Grecia per impadronirsi, o far sì che i capitalisti finanziari franco-tedeschi si impadroniscano dei beni pubblici che il traditore Tsipras col suo Parlamento di nominati (come quello italiano) metterà nel fondo di garanzia da 50 miliardi. E far man bassa nelle privatizzazioni che Atene sarà forzata ad eseguire col peggiorare programmato della sua crisi debitoria.La Grecia ha avuto diversi traditori prima di Alexis Tsipras, a cominciare dal famoso Efialte, che insegnò ai persiani di Serse un sentiero segreto attraverso i monti per prendere alle spalle i difensori delle Termopili. I difensori delle Termopili sono sempre giustamente commemorati e celebrati, mentre Efialte è passato come lo sterco dei muli di Serse. Il governo Merkel, venendo alla luce come il padrone incontrastato e il vero manovratore delle istituzioni europee, ha distrutto l’Europa, o meglio l’illusione del processo di unificazione europea. Ormai il re è nudo, cioè tutti vedono che l’apparato detto “Unione Europea” è una macchina di sottomissione in mano al governo e alla finanza germanici, che non ci sono né democrazia né eguaglianza né solidarietà né giustizia né sane ricette economiche né un progetto costruttivo, ma solo il progetto tedesco di indebitare, indebolire e spadroneggiare in una Lebensraum in via di conquista. Razziare gli assets pregiati e far lavorare la gente in condizione di servitù, senza garanzie e senza progetti di vita, solo per pagare interessi su pretesi debiti contratti in cambio di denaro contabile, generato a costo zero da bancari-usurai.L’opinione pubblica tedesca se ne frega, se la mortalità infantile in Grecia sale del 45%. L’imperialismo genocida tipicamente tedesco riemerge periodicamente per guidare alla vittoria i cancellieri “forti”. I quali sinora hanno poi sempre perso, perché si sono messi contro il mondo. Il problema è però chi sta dietro Berlino e la sua campagna di conquiste: quale potenza consente alla Germania di imporre tutto ciò che vuole senza nemmeno negoziare, ma piegando e umiliando chi osa opporsi? Necessariamente una potenza che dispone di superiori forze non solo economiche, ma anche militari: gli Usa, o meglio la power élite che governa Washington, ai cui disegni globali la Germania, con le sue caratteristiche di efficienza e amoralità, è strumentale. Fu grazie alla I Guerra Mondiale scatenata dalla Germania, alle distruzioni e ai debiti che essa produsse, che gli Usa soppiantarono l’Impero britannico e le potenze europee. Fu grazie ai finanziamenti delle banche e della grande industria americana, che Hitler ricostruì e riarmò la Germania. E fu grazie alla II Guerra Mondiale, che Wall Street impose al mondo il suo ordine monetario, anche col Piano Marshall e la ricostruzione.Storicamente, la Germania è uno strumento con cui lo zio Sam sottomette l’Europa. Anche in questi giorni, dietro il bailamme della crisi greca, sta ottenendo il voto favorevole del Parlamento Europeo al Ttip. Già l’Italia, come la Grecia, ha avuto ed ha governi imposti da Berlino, ma guidati da personaggi della banca americana Goldman Sachs, per fare gli interessi stranieri. Governi che hanno massacrato questo paese, i cui conti reggono oggi solo perché il Qe di Draghi li sostiene, abbassando lo spread; ma quando il Qe finirà, il debito italiano rischia seriamente una crisi di sostenibilità come quello greco. Oggi Brunetta dice «io e Forza Italia non cederemo mai la sovranità a Schaeuble», ma fino a due anni fa hanno votato tutto quello che serviva per cederla!(Marco Della Luna, estratti da “Merkel e Serse, conquistare la Grecia”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2015).“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.
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Ostellino: l’Ue è una truffa, ma l’Italia non osa denunciarla
Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».Germania e Francia si guardano bene dal “dare corda” all’Italia, scrive Ostellino sul “Giornale”. E quando Berlusconi tentò di alzare la testa, «fu fatto fuori con una congiura a metà finanziaria e a metà interna con la complicità dell’opposizione di sinistra – lo spread fatto salire a livelli vertiginosi, la minaccia di fallimento dell’Italia e la crisi di governo manovrata dal presidente della Repubblica Napolitano». Renzi, «più furbo del Cavaliere», evita di sfidare i “partner” dominanti, Germania e dalla Francia, «mettendosi al loro seguito». Servirebbero riforme per migliorare davvero il sistema, non certo quelle “suggerite” da Bruxelles: «Per avere crescita economica e forza politica, l’Italia non avrebbe dovuto, non dovrebbe, seguire le direttive europee, che sono fatte apposta per favorire la Germania e la Francia, ma provvedere alle riforme autonomamente, come cercano di fare ora i greci. Ciò che il linguaggio giornalistico chiama austerità, in realtà, è una politica europea che, deprimendo gli eventuali concorrenti, faccia gli interessi della Germania (soprattutto) e della Francia (in misura minore, ma ugualmente rilevante)».L’Unione Europea, ammette Ostellino, non è certo un organismo paritario: «Gli Stati membri non contano tutti allo stesso modo; c’è qualcuno, per dirla con Orwell, più uguale degli altri», vale a dire Germania e Francia. «L’Ue è una forma di associazione che serve gli interessi tedeschi e francesi, le sole due grandi potenze europee in grado di imporli grazie alle proprie condizioni economiche interne e, di conseguenza, a tutti gli altri paesi, Italia compresa». Finora, la politica di austerità ha fatto gli interessi soprattutto della Germania, e della Francia in misura minore. «Il merito del governo greco è stato di avere reagito a tale imposizione indicendo il referendum proprio sulle richieste dell’Ue e che si è risolto con un voto che rifiuta di adottare tali misure». Ma se l’Unione Europea «è una truffa», l’altro problema è che «gli italiani, si tratti di Berlusconi o di Renzi, non sono stati in grado di denunciarla», preferendo accodarsi, «un po’ per incultura e conformismo, molto per convenienza». La grande crisi? Poteva e doveva essere «l’occasione per chiedere una revisione dei trattati». Ma nulla di tutto ciò, ovviamente, è mai stato in agenda.Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».
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Lottare contro questa Ue? Archiviamo Tsipras e i suoi fans
C’è una sinistra che non vincerà mai, anzi che merita di perdere, ed è quella che non accetta di chiamare le cose con il loro nome e di riconoscere le sconfitte. I sostenitori di Tsipras? Passati, in meno di una settimana, «dalla più spensierata euforia alla più cupa depressione». Già, perché «vincere in modo travolgente un referendum, per poi proporre un accordo che coincide per il 95% con le condizioni di quello rifiutato, è già cosa difficile da digerire». Ma se poi si va ad una intesa «incomparabilmente peggiore, punitiva, tracotante», allora «non c’è scampo e ci si arrocca nel delirio». Aldo Giannuli osserva la battaglia sul web fra i delusi di Tsipras e i fanatici a oltranza della “Brigata Kalimera”, che non si rassegnano e invocano la “vittoria morale”. Fra i primi c’è chi accusa Tsipras di tradimento, di aver giocato sporco sin dall’inizio, di essere un agente della Bce che ha raggirato il popolo con un falso referendum: «E questa è l’ala più genuinamente di sinistra, quelli che ci hanno creduto e si sentono traditi». Quella che Giannili chiama “la Brigata Kalimera”, cioè «i neo socialdemocratici di Sel, Rifondazione, Altra Europa e moderati vari e travestiti, che giocano a fare i radicali» difende Tsipras a oltranza, arrampicandosi sugli specchi.C’è chi dipinge il leader di Syriza come un diabolico Machiavelli, che alla fine otterrà la riduzione del debito, chi esalta le sostanziose migliorie strappate (quali?), e chi, «con doppio salto mortale carpiato, tenta di dimostrare che il referendum voleva la permanenza nell’euro e questo è stato ottenuto». C’è anche chi, «contro ogni evidenza», continua a sperare in un “piano B” che porterà alla vittoria: «Mi ricorda quelli che, sino al maggio del 1945, continuarono a sperare nelle armi segrete della Germania che avrebbero rovesciato le sorti del conflitto. Con una differenza, però: che gli invasati nazifascisti, almeno, combatterono sino all’ultimo (spesso lasciandoci la pelle)», mentre questi «si limitano a fare il tifo: non sono stati capaci di promuovere una conferenza delle opposizioni europee per una campagna di difesa della Grecia, ma che dico? Non sono stati capaci di organizzare neanche una manifestazione di appoggio, ma adesso mostrano tutto il loro vigore militante. Almeno avessero il pudore di stare zitti».Già prima del gran rifiunto della Commissione Europea, continua Giannuli, lo stesso Tsipras aveva ha dichiarato che le proposte di accordo avanzate erano “lontane dalle promesse della campagna elettorale”. Poi, la riduzione del debito non è stata concessa: e i tedeschi dichiarano che “non esiste” questa possibilità, eppure «alcuni tsiprioti a oltranza ne parlano come se fosse cosa fatta». Anche la rottura in Siryza, che coinvolge anche il ministro “dimissionato” Varoufakis, non li fa recedere di un millimetro «anche se, sino a pochi giorni fa, era il vice-idolo della Brigata Kalimera». E non solo: «Neppure le condizioni catastrofiche dell’accordo raggiunto (di fatto la confisca dei beni di Stato, il commissariamento della Troika, i licenziamenti collettivi) valgono a scalfire la fede nel grande leader Alexis». Giannuli non crede che Tsipras sia «un traditore venduto», ma è convinto che si sia dimostrato un disastroso incapace: che senso ha «chiedere un incontro per riaprire i negoziati e presentarsi senza l’ombra di una proposta, che poi viene fatta all’indomani e per dire che andavano bene le condizioni di dieci giorni prima?».Che logica ha tutto questo? Il voltafaccia «presupporrebbe la complicità di Varoufakis», ma allora «non si spiegherebbe il suo dissenso attuale, a meno di non pensare che il solo Tsipras abbia ordito tutto da solo, ingannando anche quell’altro genio del suo ministro». Improbabile: «Queste sono le cose di cui può essere capace un Talleyrand, un Valentino Borgia, un Richelieu, un Metternich, e non mi pare che siamo a questi livelli. E’ una cosa troppo intelligente per uno come lui che è solo un simpatico giovanotto, che tiene sfitto l’ultimo piano». Il complotto? Una “leggenda”: «I nostri personaggi sono troppo piccoli per vestire i panni dei grandi congiurati, e mi pare evidente che non si possa sostenere decentemente che, dietro questa calata di braghe con accompagnamento musicale, ci sia chissà quale mefistofelica astuzia per ottenere chissà cosa chissà quando». Il taglio del debito? «Anche se fosse ottenuto, resterebbero da trovare le risorse per rilanciare gli investimenti e riassorbire l’occupazione, per di più in una situazione in cui l’appartenenza all’area euro sarebbe un ostacolo formidabile alle esportazioni». Per cui, anche se il taglio fosse mai concesso (e non lo sarà) saremmo ancora “sotto la tenda di ossigeno”.Secondo Giannuli, la triste verità è che Tsipras «non ha alcun piano coperto: non c’è un pensiero recondito perché l’uomo, proprio, non pensa. E non considera che con i suoi accordi, entro uno o due anni (sempre che lui ci sia ancora) starà di nuovo affrontando una nuova emergenza perché il debito si riprodurrà fatalmente per via degli interessi». La dura realtà è che «i suoi sostenitori non riescono ad accettare l’idea che Tsipras è un incapace. E si infuriano se glielo fai notare, perché questa è anche la loro misura: i neo socialdemocratici che non sanno immaginare nulla di diverso dall’esistente». Ribaltare l’assetto oligarchico dell’Ue basato sull’euro richiede «coraggio, capacità progettuale, rigore analitico, onestà intellettuale, determinazione, chiarezza strategica e abilità tattica. Tutte qualità che mancano a questi quattro pellegrini della Brigata Kalimera che sono i primi da togliere davanti se vogliamo costruire una sinistra all’altezza dei tempi».C’è una sinistra che non vincerà mai, anzi che merita di perdere, ed è quella che non accetta di chiamare le cose con il loro nome e di riconoscere le sconfitte. I sostenitori di Tsipras? Passati, in meno di una settimana, «dalla più spensierata euforia alla più cupa depressione». Già, perché «vincere in modo travolgente un referendum, per poi proporre un accordo che coincide per il 95% con le condizioni di quello rifiutato, è già cosa difficile da digerire». Ma se poi si va ad una intesa «incomparabilmente peggiore, punitiva, tracotante», allora «non c’è scampo e ci si arrocca nel delirio». Aldo Giannuli osserva la battaglia sul web fra i delusi di Tsipras e i fanatici a oltranza della “Brigata Kalimera”, che non si rassegnano e invocano la “vittoria morale”. Fra i primi c’è chi accusa Tsipras di tradimento, di aver giocato sporco sin dall’inizio, di essere un agente della Bce che ha raggirato il popolo con un falso referendum: «E questa è l’ala più genuinamente di sinistra, quelli che ci hanno creduto e si sentono traditi». Quella che Giannili chiama “la Brigata Kalimera”, cioè «i neo socialdemocratici di Sel, Rifondazione, Altra Europa e moderati vari e travestiti, che giocano a fare i radicali» difende Tsipras a oltranza, arrampicandosi sugli specchi.
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Cofferati: all’Italia serve una sinistra, non il Pd di Renzi
Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.Io responsabile per la vittoria di Toti? È una sciocchezza clamorosa. Una penosa giustificazione di chi non ha più il consenso dei cittadini liguri. Ad analizzare i flussi elettorali si vede chiaramente che Paita ha perso le elezioni perché ha incarnato la continuità con Burlando. Nessun cambiamento rispetto ad una giunta che è stata bocciata dai cittadini. Inoltre Pastorino ha sottratto voti all’astensionismo e al M5S. Senza la sua candidatura, il movimento di Grillo avrebbe superato Paita, che sarebbe arrivata terza. Il Pd non è più il partito che abbiamo fondato, ha rinunciato a quei valori perdendo la sua configurazione di sinistra. Le torsioni neocentriste del governo Renzi sono numerose e su più campi. Prima accennavo al Jobs Act: come si può sostenere che togliere diritti e protezione sociale ai lavoratori sia un’azione di sinistra? Il mercato del lavoro è diviso tra garantiti e non garantiti, tra persone che hanno alcune tutele e un’altra area che ne ha meno o niente affatto. Un’azione di sinistra è estendere a tutti gli stessi diritti, non toglierli in maniera generalizzata per parificare a ribasso.In un paese come il nostro, credo sia importante avere delle forze politiche di sinistra. Il Pd non è in grado di assolvere a questa funzione. Per questo, ritengo centrale mettere in campo una discussione sui valori, il punto dal quale partire per dare un’indicazione e creare coinvolgimento e partecipazione popolare. Se vediamo ai numeri sull’astensionismo, molte, troppe, sono le persone disilluse dall’attuale quadro politico. Non si sentono rappresentate da nessuno. Chi darà loro i valori nei quali identificarsi e per i quali tornare a votare, avrà svolto una funzione utile per la democrazia e avrà realizzato un’area di consenso importante. Vogliamo riunificare persone diverse – e con storie diverse – che sentono il bisogno di appartenenza e di identità a quei valori condivisi. Cosa vuol dire essere di sinistra? Noi indichiamo quali siano le politiche coerenti con quei valori e intorno ad essi cominciamo a creare delle aggregazioni territoriali che permettano il confronto e la ricerca. Con pazienza. Senza far precipitare la discussione nel “contenitore” politico. Insisto: capiamo prima i valori di una moderna sinistra di governo, al passo coi tempi.Rovesciamo l’approccio di intenti. Discutere ora di partito significa mettere assieme frammenti o piccoli partiti già esistenti. Noi dobbiamo avere un’ambizione molto più alta e imboccare un percorso oggettivamente più difficile. Lo spazio c’è, ed è ampio. Pensiamo al risultato dell’Emilia-Romagna, dove alle regionali ha votato soltanto il 37% degli aventi diritto. Fino a qualche anno fa, si arrivava alla soglia del 90. Bisogna evitare l’errore della mera sommatoria tra i soggetti a sinistra del Pd e ripartire da una serie di temi: beni comuni, il lavoro, la Rete. Nel mentre bisogna costruire una classe dirigente che non può essere connotata e condizionata dalla mia generazione, che ha la sola funzione di stimolare questa ricerca e crescita, non di proporsi come dirigente di tale processo. Avvieremo una discussione senza la presunzione di assegnarsi o di autoassegnarsi funzioni di leadership che personalmente non ho mai avuto, ma che in questa fase secondo me non dovrebbe avere nessuno. Per il giurista Rodotà la sinistra deve ripartire dalle realtà associative, i partiti esistenti sono delle “zavorre”: concordo sull’importanza di relazionarsi col mondo associativo e le realtà territoriali. È un lavoro necessario. Tale posizione non è alternativa né in contrasto con la discussione che bisogna aprire sui valori identitari della sinistra.La “coalizione sociale” di Landini? Rispetto al nostro, sono due progetti distinti che devono avere un rapporto stretto e dialettico. E camminare insieme, perché abbiamo un tessuto ricchissimo, a volte addirittura fondamentale, di associazionismo che non ha una rappresentanza politica. Landini come leader della nuova sinistra? La cosa è molto più complessa ed eviterei facili semplificazioni o scorciatoie sul leader. I tempi saranno oggettivamente lunghi e non bisogna farsi condizionare dalle scadenze elettorali. Poi di volta in volta e di luogo in luogo si ragionerà sul da farsi. Un’intesa con il M5S in chiave antirenziana? Grillo ha deciso purtroppo di auto-isolarsi. Nel Parlamento Europeo, dove siedo, non essendoci la dinamica di governo c’è una collaborazione su alcune battaglie con gli esponenti grillini; in Italia, Grillo ha deciso di stare all’opposizione, da solo, e senza interagire con nessuno. Il M5S ha sottratto molti voti all’elettorato tradizionale della sinistra; speriamo di creare un progetto tale, e innovativo, da poterlo riconquistare. Appelli a Cuperlo e Bersani perché trovino il coraggio di uscire dal Pd? Non faccio appelli, ma una costatazione: se una opposizione interna a un partito, oltre ad non ottenere risultati nella linea politica, non ha nemmeno il rispetto del gruppo dirigente, si va per forza di cose ad esaurire, con una perdita di credibilità delle persone che l’hanno esercitata.(Sergio Cofferati, dichiarazioni rilasciate a Giacomo Russo Spena per l’intervista “Il Pd ha cambiato natura, ripartiamo dai valori della sinistra”, pubblicata su “Micromega” il 3 luglio 2015).Renzi, fin dal suo insediamento, ha teorizzato l’inutilità del confronto con i corpi intermedi decidendo di non confrontarsi con sindacati, associazioni di categoria, cittadini organizzati e imprese. Per ultimo, il governo in maniera testarda si è rifiutato di ascoltare le piazze in mobilitazione contro la riforma della scuola. Siamo di fronte ad un decisionismo non condivisibile, che passa per una relazione diretta con una indistinta opinione pubblica dove non c’è rispetto per i cittadini. Così si espone il paese a rischi di conflitti rilevanti, quindi l’autoritarismo non porta vantaggi a nessuno, nemmeno a Renzi. Da mesi ho espresso pubblicamente dubbi sulla linea del Pd, ad esempio sul Jobs Act. E quando, oltre ai dissapori sulle scelte economiche e sociali, nel partito ci si rifiuta di discutere anche di legalità – valore fondativo della carta costituente del Pd – sono arrivato alla sofferta decisione di rompere. Definitivamente. In Liguria, durante le primarie, si sono consumati brogli conclamati, tanto che è intervenuta addirittura la magistratura. E invece c’è stata la testarda volontà di rimuovere il tema e di non affrontarlo, nonostante le sollecitazioni ripetute. La legalità dovrebbe essere un valore di qualsiasi forza politica. Il Pd ha cambiato la sua natura.
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Orso: rabbia e odio esploderanno, al rogo servi e traditori
Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.Il darwinismo sociale più feroce fa da contraltare ai risibili e vuoti diritti liberaldemocratici, mantenuti in vita propagandisticamente. La competizione pleistocenica fra dominati, per la pagnotta, che il dominio del mercato ha scatenato non porta alla civiltà, ma al suo esatto contrario. Darwinismo sociale senza welfare e competizione esasperata per una “pagnotta” sempre più misera sono il destino delle classi dominate, come in tanti, pur confusamente, dovrebbero aver intuito. Le “aspettative decrescenti” si sostituiscono prepotentemente, se permane in chi giudica un po’ di senso della realtà, a quelle crescenti di fine novecento, mentre procede il grande travaso di risorse dal lavoro (e dal piccolo capitale produttivo) al grande capitale finanziario. Nel nostro lembo d’Occidente, l’euro ha proprio questa specifica funzione di esproprio e impoverimento massivo. Grecia, Portogallo e persino Italia non dovrebbero più esistere, secondo la classe globale dominante che manovra la Troika, perché inutili alla creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica.Lo smottamento sociale continua, “ma il Re del Mondo ci tiene prigioniero il cuore” [“Il Re del Mondo”, Franco Battiato]. I mendicanti di Baudelaire, nel ventre della Parigi ottocentesca, avevano migliori prospettive dei nostri precari alla canna del gas. Distrutto il futuro e ottenebrate le menti, il neocapitalismo finanziario gestisce attraverso il mercato la politica, l’alimentazione, la biologia, la chimica, le nanotecnologie, la balistica, la teologia. Una superfetazione finanziaria, che esplode periodicamente in bolle e travolge i confini e le resistenze, rischia di annichilire il pianeta. La trasformazione dell’uomo è in pieno corso, ed è una diminuzione senza scampo. Magari fosse soltanto il passaggio da consumatore/produttore a precario/escluso, o la discesa in una nuova classe inferiore, nella parte più bassa della piramide sociale. “Sotto il mare sta cambiando la mia struttura e il mio corpo è sempre più uguale ai pesci. I miei capelli diventano alghe” [“Plancton”, Franco Battiato].E’ L’Italia che sconta la peggior manipolazione culturale-antropologica delle neoplebi precarie, sorta di futuri “schiavi autosussistenti” (che dovranno badare da soli alla propria sopravvivenza, pur essendo schiavi, senza alcun intervento del padrone) costretti a lavorare o semplicemente a campare con 400 euro il mese, o anche di meno. I segnali sono evidenti, perché è qui che si afferma senza contrasti la sinistra neoliberista più forte d’Europa (piddì), al soldo di Goldman Sachs e di Soros, non ci sono sommosse sociali, disordini di piazza, movimenti extraparlamentari apertamente contro, attivi e inquieti. C’è soltanto il nulla della dominazione neocapitalistica, condito con uno dei più alti tassi di corruzione del mondo (e le due cose sono collegate). Sarà l’Italia il banco di prova importante, in Occidente, del trionfo neocapitalista, perché non basterà la trasformazione in semi-Stato, espropriato di qualsivoglia sovranità e retto da infami collaborazionisti subpolitici (piddì). Si arriverà allo stadio finale, attraverso il commissariamento definitivo a cura della Troika e un esecutivo “ponte”, nominato ed esplicitamente straniero. Preludio alla dissoluzione finale delle istituzioni e al dominio dei “mercati & investitori”, esercitato in loro nome e per loro conto dagli organi sopranazionali della mondializzazione.I collaborazionisti subpolitici serviranno ancora all’inizio dello stadio finale, per ratificare in Parlamento le decisioni prese dalle élite. Questo sarà il misero ruolo, prima della sua scomparsa, della “sinistra più forte d’Europa” (piddì). Non “Romperemo l’asfalto con dei giardini colorati” [“Paranoia”, Franco Battiato], perché il riscatto sarà duro e difficile, soprattutto se il “risveglio” avverrà fuori tempo massimo. Dopo lustri d’inerzia della popolazione, torturata dai servi del grande capitale finanziario (sinistra neoliberista, piddì) e ingannata da gruppi parlamentari d’opposizione politicamente corretta (cinque stelle), dopo la latitanza di nuove élite rivoluzionarie disposte a rischiare per scardinare il sistema, la Rivoluzione in extremis (in punto di morte, letteralmente) se ci sarà non potrà che essere violentissima, costellata di roghi e di stragi di collaborazionisti, catartica come non mai, ma sommamente incerta negli esiti. Le masse straccione mosse dalla rabbia non saranno i mugik di Lenin, ma ci assomiglieranno un po’, complice la fame (quella vera) che farà capolino fra un po’, nell’Italia che si avvicinerà alla Grecia.Saranno, costoro, più feroci dei contadini poveri dell’Ottobre Rosso, nel remoto 1917, perché in una sola generazione avranno perso troppo – lavoro, reddito, futuro, dignità e diritti, cose che i contadini russi del ’17 non avevano e non si sognavano neppure. Non mi azzardo a prevedere quanti anni ci vorranno ancora (forse un lustro?) perché la corda sia ben tesa, tanto da rompersi. Non so quali gruppi e quali forze politico-sociali guideranno le masse inferocite, e con quali programmi alternativi (keynesiano dirigista-assistenziale, neocomunista?). Di certo non saranno quelli che vediamo oggi, alla guida di opposizioni finte e vigliacche – Landini, Civati, Vendola, Fassina, Cuperlo, in una la “sinistra radicale” – semplicemente inutili – il cinque stelle, Di Maio, Di Battista – o deboli perché prigioniere della liberaldemocrazia – nel nostro caso Salvini. Forse stanno aspettando, nell’ombra, ancora inconsapevoli del ruolo che affiderà loro la storia, o forse lasceranno l’opposizione debole, ingabbiata dal sistema, per seguire altre strade, più radicali e cruente. Dalle opposizioni finte e vigliacche e da quelle inutili, invece, non dovremo aspettarci niente di buono. Andranno rapidamente verso l’estinzione.(Eugenio Orso, “Una rivoluzione sanguinosa”, da “Pauper Class” del 7 giugno 2015).Più passa il tempo, più le osservazioni della realtà socio-politica italiana ed europea mediterranea mi spingono a trarre una sola conclusione: ci sarà una Rivoluzione, forse un dì ma non ora, e sarà inevitabilmente sanguinosa, con un tasso altissimo di violenza per regolare conti, sociali e politici, rimasti troppo a lungo in sospeso. Non so come e non so chi la farà, quella benedetta Rivoluzione, ma ci saranno grandi e catartici spargimenti di sangue, perché le abbiette falangi del collaborazionismo neoliberista avranno imperversato per interi lustri incontrastate, vessando e addirittura torturando le popolazioni. Rabbia e odio da troppo covano sotto le ceneri, senza trovare uno sfogo, mescolate a un senso diffuso di abbandono a se stessi, di concreta impotenza politica, d’impossibilità di determinare il proprio futuro. C’è la schizofrenia, suscitata ad arte dal sistema, di una realtà “reale” completamente divergente da quella virtuale dipinta dai media. Ci sono prigioni dai muri altissimi, conseguenza del ricatto economico, della paura di “fallire” individualmente e degli stili di vita truffaldini imposti in un habitat neocapitalistico.
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Giannuli: ha stravinto l’élite, non esiste alternativa politica
Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.La rivoluzione neoliberista, scrive Giannuli nel suo blog, si è imposta costruendo un ordine gerarchico mondiale tendenzialmente monopolare (oggi in crisi) che riduce la sovranità degli Stati nazionali. Poi ha sottratto i grandi capitali finanziari al fisco, attraverso la mobilità mondiale dei capitali, che consente al “grande contribuente” di scegliere il fisco cui pagare le sue tasse. Fondamentale, poi, la delocalizzazione produttiva, insieme alla liberalizzazione degli scambi commerciali: questa globalizzazione «inevitabilmente premia i paesi a costo del lavoro più basso, agendo quindi come attrattore verso il basso dei livelli salariali». Quindi, la moneta: il sistema valutario sganciato dalla base aurea, o comunque da parametri oggettivi, e basato solo sull’apprezzamento reciproco delle monete, «fa dipendere la stabilità monetaria di ciascuno dalla dittatura del rating e dalle decisioni dei mercati finanziari (in realtà da Wall Street) di fatto, riducendo ai minimi termini la sovranità monetaria dei singoli paesi».In più, c’è la fittissima ragnatela del Wto e degli accordi e trattati internazionali, dagli storici accordi di Marrakech del 1993 al mostruoso Ttip in gestazione: rapporti economici a livello mondiale, «che precludono ogni politica diversa da quella neoliberista e proibiscono esplicitamente l’intervento statale in economia». Non solo: «Impedendo ogni politica industriale nazionale, privatizzando le imprese pubbliche e promuovendo grandi fusioni internazionali a guida finanziaria», i grandi predoni neo-feudali hanno sostanzialmente imposto un cambio di sistema: non viviamo più in un regime controllabile dalle popolazioni, sempre più in sofferenza anche grazie alla liquidazione dei presupposti stessi dello Stato sociale – scuola, sanità, assistenza, pensioni, tutele civili. «Di conseguenza – continua Giannuli – l’ordine neoliberista ha carattere politicamente monistico e non ha spazio per una sinistra interna», né per «politiche keynesiane, compromessi welfaristi e, di conseguenza, per ogni politica riformista». L’ordine neoliberista «non prevede alcuna sinistra interna, è tutto e organicamente di destra». Così, a fronte dell’assolutismo neoliberista, «il riformismo, anche il più moderato, assume valenza antisistema al pari di qualsiasi indirizzo rivoluzionario».Ne consegue che occorre abbandonare la pratica istituzionale per passare a forme di lotta violente o addirittura armate? «Per nulla: sarebbe una risposta incongrua rispetto all’obiettivo». Anche perché, qualora si prendesse il potere in un paese «tanto per via pacifica e legale quanto per via violenta ed illegale», il problema non si sposterebbe di un centimetro, «perché il nuovo governo, comunque formatosi, avrebbe di fronte lo stesso problema di fare i conti con un ordine mondiale ostile, dove l’unica variabile decisiva sarebbe quella dei rapporti di forza». La Cina, come unica alternativa? Pechino «ha realizzato un sistema di capitalismo di Stato che si discosta per più versi dall’ordinamento neoliberista, ma può permetterselo perché i rapporti di forza economici, finanziari e, non ultimo, militari, glielo consentono». La Cina «rappresenta una torsione del sistema internazionale nella misura in cui i rapporti di forza glielo consentono». Il passaggio a politiche diverse, non liberiste? «E’ antisistema, nella misura in cui presuppone la rottura dell’ordine mondiale e della sua rete di trattati e accordi».Dunque, al di là della praticabilità di forme di lotta radicali, il problema si pone in termini diversi, ovvero: «Come maturare i rapporti di forza internazionali che consentano di aprire spazi a politiche sociali ed economiche non liberiste. Il che significa che l’asse dell’azione politica si sposta dall’arena nazionale a quella internazionale». Chi dunque potrebbe riaprire i giochi a livello globale? Non certo le sinistre riformiste (Spd, socialisti francesi e spagnoli, Labour party), che «perdono terreno e sono destinate all’estinzione o all’assorbimento organico nelle formazioni di destra, perché all’interno di questa cornice di sistema non possono avere altra sorte». Peggio ancora le sinistre “radicali” (Linke, Front de Gauche, Izquierda Unida, Rifondazione Comunista e Sel), che «stanno subendo lo stesso declino perché non hanno iniziativa politica e non possono averla, perché, incapaci di iniziativa internazionale (neppure a livello europeo), mancano di una proposta politica che non sia pura propaganda senza contenuto».Niente di buono neppure da Grecia e Spagna: secondo Giannuli, “Syriza” è destinata al fallimento «perché non trova supporto internazionale e perché non ha il coraggio di utilizzare l’unica arma (a doppio taglio) in suo possesso: il ricatto del debitore». Quanto a “Podemos”, che lo storico dell’ateneo milanese considera «una variante intermedia fra Sel ed il M5S», è destinata ad analogo insuccesso, «perché non pensa neppure di mettere in discussione la cornice europeista». E in Italia? «Il M5S temo sia destinato a schiantarsi contro le resistenze del sistema perché, pur avendo intuito che il nodo è quello dell’ordine internazionale (come dimostra la posizione sull’euro), non riesce ad articolare questa intuizione in un progetto politico adeguatamente articolato». Per Giannuli, il Movimento 5 Stelle «non svolge alcuna azione internazionale e, quando tenta qualcosa, sbaglia (leggi Ukip), perché non ha costruito uno strumento organizzativamente adeguato allo scontro».Come si vede siamo in un cul de sac, conclude Giannuli. Un vicolo cielo, «dal quale non usciremo né con improbabili referendum e colpi di testa, né con le solite alchimie di orrendi cartelli elettorali costruiti sul nulla». Il politologo vede solo una possibilità, in termini di avvicinamento preliminare alla soluzione, nella costruzione di una piattaforma europea delle opposizioni, ancorché debolissime e divise. «Sarebbe già un passo avanti una convenzione europea, nella quale “Podemos”, “Syriza”, M5S, la “sinistra radicale”, i restanti partiti comunisti e le sinistre socialdemocratiche concordino una o più campagne europee sulla ristrutturazione del debito, sull’uscita concertata dall’euro, la revisione dei principali accordi internazionali». Certo, ammette il professore, «non sarebbe la soluzione dei nostri problemi, ma un possibile inizio». L’unica opportunità da mettere in campo, perché «il resto è già votato al fallimento».Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.
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Fabbricano debito e diventano padroni di tutto, grazie a noi
Il nostro destino? «E’ molto semplice da capire», secondo Marco Della Luna, perché «la struttura socio-economica del mondo contemporaneo è caratterizzata da una classe bancaria globale che esercita il potere di creare dal nulla, e a costo zero, quantità virtualmente illimitate di simboli dotati di potere d’acquisto (mezzi monetari) e di strumenti finanziari convertibili in tali simboli, mediante il reciproco accreditamento contabile dei medesimi in un gioco di sponda tra banche, su scala mondiale». Per giunta, la “classe finanziaria” esercita anche il potere e privilegio di creare, mediante erogazione dei prestiti a interesse, tutti i mezzi monetari di cui abbisogna il resto della società, divenendo così sua creditrice strutturale. «Per finire, questa classe privilegiata dispone anche delle agenzie che fanno il rating dei debitori nonché di un buon controllo manipolatorio su tutti i mercati». Con queste premesse, non c’è scampo: «La politica è finita, i partiti si riducano a missionari antisociali della classe finanziaria e la partecipazione popolare alle decisioni rilevanti diviene impossibile, il principio di eguaglianza rimane un ricordo, mentre reddito e ricchezza sono oggetto di una redistribuzione inversa, cioè concentrante».Per schematizzare al massimo, scrive Della Luna nel suo blog, «immaginatevi che io abbia il potere esclusivo di creare moneta, stampando pezzi di carta, che metto in circolazione prestandoli a interesse, e che la mia moneta sia accettata e domandata da tutti, e in quantità crescenti, per pagare (a me) gli interessi: gradualmente ma automaticamente divento creditore del resto della società per tutta la sua ricchezza reale, senza contribuire minimamente alla produzione di ricchezza reale». Ovvero: «Non creo nulla per gli altri, ma gli altri mi saranno debitori di tutto il valore che creano». Questa caratteristica della società globale «dovrebbe essere la premessa ad ogni discorso etico, politico e costituzionale», invece è sempre sottaciuta. Quindi, ogni altro discorso risulta monco, irrealistico. Continuiamo a non “vedere” il ruolo decisivo di «una classe che ha la prerogativa di creare soldi dai soldi, producendoli dal nulla come simboli dotati di potere d’acquisto o comunque di potere di scambio sui mercati (cioè del potere di comperare il frutto del lavoro del resto della società), mentre il resto della società, l’economia reale, non lo può fare, e lavora per pagare gli interessi sui debiti».Una super-casta come l’élitre finanziara, dunque, «accresce il proprio potere d’acquisto sottraendolo al resto del mondo e all’economia reale: quindi tendenzialmente compra tutto, diventa padrona di tutto, creditrice universale, sovrano politico, legislatore e governante globale incontrastato e senza opposizione, dotata com’è di un grande potere di ricatto e di divide et impera». E proprio questo è ciò che avviene nel mondo, aggiunge Della Luna, anche grazie al fatto che la popolazione, «nella sua illimitata ignavia collettiva», sostanzialmente sta al gioco, che non capisce, «perché pensa i simboli finanziari e monetari come valori reali, e li compra, investe in essi, li accetta come garanzia, gioisce quando le quotazioni salgono e patisce quando scendono». Così facendo, «assicura la domanda, quindi l’apparenza di realtà, di questi titoli stessi, e la legittima – legittima il potere di chi li genera e smercia. Così l’uomo comune si fa veramente artefice del proprio destino, fabbro delle proprie catene», visto che non ha il coraggio di rifiutare «la legittimità di ogni ordinamento giuridico internazionale e nazionale che quel meccanismo ha creato», sistema «anti-umano, quindi “eo ipso” criminale». E allora «il destino del mondo è suggellato, finché il sistema non si rompa da sé, assieme ai suoi sigilli di legalità».Il nostro destino? «E’ molto semplice da capire», secondo Marco Della Luna, perché «la struttura socio-economica del mondo contemporaneo è caratterizzata da una classe bancaria globale che esercita il potere di creare dal nulla, e a costo zero, quantità virtualmente illimitate di simboli dotati di potere d’acquisto (mezzi monetari) e di strumenti finanziari convertibili in tali simboli, mediante il reciproco accreditamento contabile dei medesimi in un gioco di sponda tra banche, su scala mondiale». Per giunta, la “classe finanziaria” esercita anche il potere e privilegio di creare, mediante erogazione dei prestiti a interesse, tutti i mezzi monetari di cui abbisogna il resto della società, divenendo così sua creditrice strutturale. «Per finire, questa classe privilegiata dispone anche delle agenzie che fanno il rating dei debitori nonché di un buon controllo manipolatorio su tutti i mercati». Con queste premesse, non c’è scampo: «La politica è finita, i partiti si riducano a missionari antisociali della classe finanziaria e la partecipazione popolare alle decisioni rilevanti diviene impossibile, il principio di eguaglianza rimane un ricordo, mentre reddito e ricchezza sono oggetto di una redistribuzione inversa, cioè concentrante».
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Salvini è perfetto per far sembrare Renzi il meno peggio
Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.E’ una buona mossa, soltanto un po’ rischiosa. Intanto perché vista la rapidità con cui Renzi perde pezzi di elettorato le cose possono cambiare velocemente (si veda l’ingresso al Nazzareno dalla porta posteriore, essendo quella principale presidiata da ex elettori infuriati, insegnanti nella fattispecie). E poi perché per indicare un avversario bisogna in qualche modo mettersi sul suo piano, accettarne almeno il gioco, sfidarlo sullo stesso campo. Si ricorda per esempio en passant che mentre il Salvini gigioneggia in giro parlando di ruspe e pogrom, le ruspe sono state usate a Roma, alla favela di Ponte Mammolo, per cacciare senza preavviso gente che ci abitava da anni, senza soluzioni alternative accettabili. Risultato: in una città dove si discute fittamente se gli affari sulla pelle dei migranti si possano o no chiamare “mafia” (una mafia decisamente bipartisan, tra fascisti conclamati, coop rosse e esponenti Pd), c’è ancora gente che dorme per strada davanti alla sua baracca spianata dalle ruspe.Eroiche associazioni di volontari e persone civili chiedono aiuto sui social: servono medicine, cibo, acqua, carta igienica. Qualche tenda l’ha fornita una nota (e a questo punto: meritoria) catena di articoli sportivi, mentre le istituzioni si accapigliano sui giornali a proposito di inchieste e mandati di cattura. Il salvinismo teorico di Salvini, insomma, si contrappone a un salvinismo reale, che le ruspe le usa davvero, ma si circonda di una narrazione umanitaria, confortevole pietosa. C’è chi dice che l’onnipresenza di Salvini in tivù (è quello, non il brillante eloquio da seconda media, che gli procura consensi) sia incoraggiata e agevolata proprio a questo scopo: trasformare una dialettica politica complessa in un derby tra buoni e cattivi, o almeno tra peggio e meno peggio.E’ una dietrologia complottista e quindi non le daremo peso. Ma è certo che anche i media tifano per quella soluzione da pensiero binario: o il Matteo buono (?) o il Matteo cattivo (!), e non ci sarà altra scelta. Sanno tutti che non è così, ma per il momento la cosa sembra funzionare: è una semplificazione, una caricatura, uno schema facile, e dunque – in tempi di distrazione di massa – conveniente. Il giochetto non durerà a lungo: tra uno che straparla di ruspe e uno che dice “Ok, discutiamo” puntando la pistola, sarà inevitabile una qualche terza via. Perché il trucchetto di scegliersi il nemico ha questa controindicazione: qualcuno potrebbe pensare che sono nemici entrambi, e finiscono per somigliarsi.(Alessandro Robecchi, “Ti piace vincere facile? Basta scegliere l’avversario”, da “Micromega” del 13 giugno 2015).Tra i migliori trucchi per vincere, in qualsiasi campo, c’è quello di scegliersi il nemico. Non è un trucco difficile: basta che siano tutti distratti o ipnotizzati ed è un giochetto da ragazzi. Come se il Barcellona potesse decidere da solo che una finalissima la giocherà, che so, contro la Battipagliese. E’ un’operazione semplice: basta dire chi è l’avversario e assicurarsi una platea plaudente che si dica d’accordo, che magari si finga preoccupata dicendo cose come: “Ah, però, non sottovalutiamo la Battipagliese”. Così Matteo Renzi and his friends indicano in Matteo Salvini il nemico, l’unica opposizione esistente, l’unico avversario. Gli altri, o nominati con sufficienza o nemmeno citati: concentrarsi su Salvini sembra essere l’ordine di scuderia, forse nella speranza che al momento della scelta suprema e definitiva l’italiano di imprinting anche vagamente democratico preferisca il neocraxismo del Pd renzista alle ruspe dell’altro ragazzotto, quello con la felpa.
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Renzi ha dimezzato i suoi voti: va rottamato, in tre mosse
Se nel Pd c’è ancora qualche testa pensante anche vagamente sensibile ai valori di “libertà e giustizia” che definiscono la sinistra (due condizioni che escludono d’emblée Bersani, D’Alema e compagnia cantando) già avrà individuato il “che fare”. In tre mosse. Primo: far cadere Renzi in una delle numerose fiducie che sarà costretto a porre per far passare in Parlamento le sue pimpanti controriforme. Secondo: chiedere allora un immediato congresso del Pd, con le stesse modalità e procedure che portarono Renzi a impadronirsi del partito, partecipazione/iscrizione dei cittadini anche al momento del gazebo, ecc. Terzo, in contrapposizione a Renzi candidare per la segreteria del Pd Maurizio Landini, e parallelamente chiedere al presidente Mattarella che al posto del governo sfiduciato, anziché sciogliere le camere, venga insediato un governo di “tregua repubblicana”, affidato tutto a personalità della società civile e capace di ottenere le convergenze autonome di parlamentari Pd, M5S e altri “volenterosi” sul programma e la credibilità dei ministri preposti a realizzarlo.La razionalità di questo “che fare” non è difficile da riscontrare. Renzi si accinge a completare la distruzione del Pd mutandolo in comitato elettorale personale, intenzione che del resto non aveva mai occultato. La sua politica, per profonda convinzione, è quella di realizzare la contro-rivoluzione di liberismo autocratico vagheggiata da Berlusconi ma restata in panne per i conflitti d’interesse e i crimini nell’armadio (sfociati finalmente in una condanna definitiva, dopo le tante sventate da leggi ad hoc e inciuci) e soprattutto per l’ondata di lotte civili, sociali, d’opinione, con cui la parte migliore della società civile ha saputo fare argine. In realtà il progetto politico di Renzi è la marchionizzazione del paese e delle istituzioni, e la contro-riforma della scuola ne costituisce la più luttuosa evidenza.Renzi è in questo momento debolissimo, malgrado il fumo negli occhi della quasi totalità dei mass media (mai come oggi a “bacio della pantofola” verso l’establishment: ma il “marchionnismo” non è anche questo?). In un anno ha perso la metà dei consensi. La metà, il 50%, un voto su due rispetto al bottino elettorale delle europee, ci rendiamo conto?! Si è letto che sono due milioni di voti, ma nelle sette regioni in cui si è votato. In proiezione nazionale sono cinque milioni e mezzo. Non un’emorragia, un dissanguamento da mattatoio. In un solo anno: quello che passa tra la fiducia dei cittadini al renziano dire, mirabolante, e il giudizio sul renziano fare, miserabile. Perdere in un anno un voto su due non è una “non sconfitta” o una “non vittoria”, è un tracollo, una disfatta, una gogna e rottamazione civica impietosa.Che quanto resti di “opposizione” nel Pd non colga l’attimo dimostrerebbe definitivamente che è ormai ridotta al livello del saracino Alibante di Toledo che “del colpo non accorto / Andava combattendo ed era morto” (Francesco Berni, “L’Orlando innamorato”, LII, 60). Se a questa “opposizione” resta invece ancora un barlume di “spiriti animali”, lucidità vuole che senza coltivare patetici propositi di riprendersi la ditta, decida di uscire di scena con un ultimo gesto di vitalità anziché nel vociare strozzato di un melmoso affondare. Alla vecchia nomenklatura non è data la rivincita, la vendetta sì. A Landini, l’unica vendetta a disposizione di questi burocrati che nessuno rimpiange, può riuscire, da posizioni opposte, di società civile “giustizia e libertà”, l’Opa sul Pd che è riuscita a Renzi or non è guari. La nemesi è nelle possibilità della situazione attuale, ma implica lucidità in tutti i soggetti qui evocati, e razionalità e coraggio sono i pregi che da più tempo latitano presso quanti si dichiarano di sinistra.(Paolo Flores d’Arcais, “Come rottamare Renzi, in tre mosse”, da “Micromega” del 2 giugno 2015).Se nel Pd c’è ancora qualche testa pensante anche vagamente sensibile ai valori di “libertà e giustizia” che definiscono la sinistra (due condizioni che escludono d’emblée Bersani, D’Alema e compagnia cantando) già avrà individuato il “che fare”. In tre mosse. Primo: far cadere Renzi in una delle numerose fiducie che sarà costretto a porre per far passare in Parlamento le sue pimpanti controriforme. Secondo: chiedere allora un immediato congresso del Pd, con le stesse modalità e procedure che portarono Renzi a impadronirsi del partito, partecipazione/iscrizione dei cittadini anche al momento del gazebo, ecc. Terzo, in contrapposizione a Renzi candidare per la segreteria del Pd Maurizio Landini, e parallelamente chiedere al presidente Mattarella che al posto del governo sfiduciato, anziché sciogliere le camere, venga insediato un governo di “tregua repubblicana”, affidato tutto a personalità della società civile e capace di ottenere le convergenze autonome di parlamentari Pd, M5S e altri “volenterosi” sul programma e la credibilità dei ministri preposti a realizzarlo.
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Craxi: via noi, il regime violento della finanza vi farà a pezzi
Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione. La privatizzazione è presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca. Una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale. La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza.I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico, sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico. Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le Commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”. Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra, e adottato da tutti anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio.La montagna ha partorito il topolino. Anzi il topaccio. Se la Prima Repubblica era una fogna, è in questa fogna che, come amministratore pubblico, il signor Prodi si è fatto le ossa. I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti. I criteri con i quali si è oggi alle prese furono adottati in una situazione data, con calcoli e previsioni date. L’andamento di questi anni non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori. La situazione odierna è diversa da quella sperata. Più complessa, più spinosa, più difficile da inquadrare se si vogliono evitare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Poiché si tratta di un Trattato, la cui applicazione e portata è di grande importanza per il futuro dell’Europa Comunitaria, come tutti i Trattati può essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali ed alle nuove esigenze di un gran numero ormai di paesi aderenti.Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà. Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione. Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro. La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.(Bettino Craxi, estratti dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, ripresi da “Il Blog di Lameduck” il 19 maggio 2015. Il libro, edito da Mondadori nel 2014, cioè 14 anni dopo la morte di Craxi, raccoglie scritti del leader socialista risalenti alla seconda metà degli anni ‘90. Scritti che oggi appaiono assolutamente profetici).Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.
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Cremaschi: chi spacca vetrine e chi sta sfasciando l’Italia
Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e dell’opinione pubblica agli incidenti innescati dai black bloc a Milano per l’inaugurazione dell’Expo «hanno mostrato quanto sia oramai devastato lo spirito democratico in questo paese», nonostante la comprensibile indignazione per le 50 auto incendiate e le 15 vetrine devastate. Quanto accaduto, comunque, non è minimamente paragonabile ad altri disordini in città europee: molto peggiore il bilancio a Francoforte all’apertura della nuova sede della Bce, per non parlare di quello che ormai accade normalmente negli Usa, o della rivolta nelle strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. Compassionevoli e comprensivi coi problemi lontani, ma «appena questo disagio è comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di palazzo hanno chiesto la legge marziale», osserva Giorgio Cremaschi. «Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore biblico da lui lanciato, “nessuno tocchi Milano”, che cosa vuol dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata allora Milano?».Certo, continua Cremaschi su “Micromega”, scendere in piazza in quei frangenti «era più duro e rischioso, magari si sarebbero pestati i piedi a qualche potere forte». Ma la vera indignazione, aggiunge l’ex dirigente sindacale della Fiom, è stata in realtà per l’immagine dell’Expo offuscata dai disordini. “L’Expo dà lavoro”, ha detto rabbioso uno dei pulitori volontari, rivolto a una ragazza coraggiosa che provava a discutere con i cittadini indignati. “Modello Expo” si disse da destra e da sinistra quando Confindustria e istituzioni insieme a Cgil, Cisl e Uil firmarono l’accordo che autorizzava poco lavoro sottopagato e tanto gratuito. “Modello Expo” si aggiunge ora, «quando gli ipocriti della sinistra benpensante e ancora meglio retribuita hanno presentato la fiera come una specie di Social Forum di sei mesi, impegnato a trovare e ricette contro la fame nel mondo». “Modello Expo” ha chiarito Renzi, «celebrando la fiera come occasione di grandi affari, proprio per questo appaltata a quelle multinazionali che, dice Vandana Shiva, affamano il pianeta».L’Expo è una fiera che serve a mostrare quanto è vendibile il nostro paese, il suo ambiente, il suo lavoro: l’Italia è sul mercato, e Expo ne è la vetrina. «Questa è la vera risposta alla crisi che Renzi propone e sulla quale, assieme a tutto il potere economico che lo sostiene, gioca la partita del consenso». Ovvero: «Basta con i vecchi scrupoli, i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo. Basta con l’articolo 18 e con i vincoli ambientali, ha promesso Renzi alla Borsa. Basta con i diritti, rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. E chi pone ostacoli è contro la nazione». Un «messaggio reazionario di massa», che di fatto «ha conquistato un Pd sconfitto e rassegnato nei suoi valori, sottomesso al capitalismo globalizzato e alla ricchezza, ma abbarbicato al potere». Renzi? «E’ la sintesi perfetta di questa storia politica e per questo ridicolizza ogni opposizione interna, così come rende oramai inutile la vecchia destra berlusconiana». Con il Jobs Act, la “buona scuola” e l’Italicum, «il governo ha devastato ciò che restava dei principi e delle regole fondanti la nostra Costituzione: resta solo da cambiare l’articolo uno, sostituendo “lavoro” con “mercato” e “popolo” con “leader”, e poi tutto è fatto».Questa Italia sul mercato è quella che ha assunto l’Expo come bandiera, continua Cremaschi. La maggioranza del paese è d’accordo? «Può essere, ma essa non è tutto e chi è contro non è piccola cosa. Solo che chi non accetta questo modello sociale e politico non ha diritto a veder riconosciute le proprie posizioni. La controriforma costituzionale di Renzi afferma la dittatura della maggioranza, anzi della più grossa minoranza. E sopra questo governo neoautoritario sta il potere delle Troika finanziaria e burocratica che comanda in Europa». La Grecia? «Non può decidere liberamente di non far morire di fame i disoccupati, perché, come si diceva una volta, è un paese a sovranità limitata». Nei fatti, «un potere sempre più chiuso e autoritario è poi sostenuto da un sistema mediatico embedded, come la stampa che seguiva sui carri armati le guerre di Bush». Che gli incidenti abbiano oscurato le ragioni dei manifestanti della Mayday di Milano non è vero, obietta Cremaschi: «Il 28 febbraio in diecimila abbiamo manifestato a Milano contro il Jobs Act e il lavoro gratuito per Expo. Eravamo in gran parte militanti del sindacalismo di base e della corrente di opposizione in Cgil, moltissimi erano i migranti. È stata una manifestazione serena e viva che si è conclusa con una assemblea popolare in piazza S.Babila. Non abbiamo lasciato per terra neppure le carte delle caramelle e siamo stati semplicemente ignorati dal circuito dei mass media». D’altra parte, dove mai ci sono stati pubblici confronti sulle ragioni dei NoExpo? Dove si sono potute liberamente confrontare le due diverse posizioni?«Non facciamo gli ipocriti, chi è contro il dominio di imprese e mercato nell’Italia di oggi è sostanzialmente clandestino, e se prova a metter fuori la testa c’è chi minaccia di tagliargliela». I tranvieri di Milano hanno scioperato il 28 aprile contro i turni gravosi e pericolosi imposti per Expo. Apriti cielo, ministri della Repubblica han chiesto di liquidare il diritto di sciopero e i più moderati hanno aggiunto: solo durante le fiere. In questi giorni, aggiunge Cremaschi, in Germania i macchinisti dei treni scioperano per sei giorni di seguito bloccando il paese, ma nessun governante chiede leggi speciali. «Da noi avremmo talkshaw ove tra gli applausi si invocherebbe la galera». Subito dopo i fatti di Milano, Renzi è stato contestato pacificamente a Bologna, «ma non uno dei telegiornali ha fatto vedere gli insegnanti precari bastonati duramente dalla polizia». Per Cremaschi, «c’è una sordità e una prepotenza del potere che porta naturalmente alla ribellione di chi non ci sta. E chi si ribella lo fa nei modi che questa società stessa offre». Quindi, «non si può distruggere la Costituzione nata dalla Resistenza, ridurre tutto a merce e mercato e poi usare il linguaggio della Prima Repubblica quando si spaccano le vetrine». La fine dei partiti di massa, dei diritti sindacali, del welfare? Una catastrofe. Per loro, invece, è “il progresso”. «Di questo progresso i fatti di Milano sono inevitabile conseguenza».Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e dell’opinione pubblica agli incidenti innescati dai black bloc a Milano per l’inaugurazione dell’Expo «hanno mostrato quanto sia oramai devastato lo spirito democratico in questo paese», nonostante la comprensibile indignazione per le 50 auto incendiate e le 15 vetrine devastate. Quanto accaduto, comunque, non è minimamente paragonabile ad altri disordini in città europee: molto peggiore il bilancio a Francoforte all’apertura della nuova sede della Bce, per non parlare di quello che ormai accade normalmente negli Usa, o della rivolta nelle strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. Compassionevoli e comprensivi coi problemi lontani, ma «appena questo disagio è comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di palazzo hanno chiesto la legge marziale», osserva Giorgio Cremaschi. «Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore biblico da lui lanciato, “nessuno tocchi Milano”, che cosa vuol dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata allora Milano?».