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Paura e delirio senza fine: quanto manca alla mezzanotte?
Dopo un anno esatto di Covid, eccoci nel nuovo Impero della Paura. A regnare è il caos, in ogni campo, persino tra le analisi: c’è chi ancora non vede (o almeno, dice di non vedere) la regia mondiale di quanto sta avvenendo, e chi – al contrario – sostiene che un giorno ringrazieremo questa catastrofe, una medicina (amarissima, ma salutare) per uscire dalla Matrix delle finzioni, dove i buoni in realtà sarebbero i veri cattivi. Eterogenesi dei fini: tanto peggio, tanto meglio. L’ascia del Covid è spietata: falcia diritti e libertà, ma tanti bravi cittadini preferiscono tacere e subire, all’infinito, in attesa di non si sa cosa, fingendo di non aver mai sentito nominare l’espressione Grande Reset, formulata nel santuario di Davos. Quando tutte le notizie scomode diventano complottismo negazionista, ci si ritrova in una pessima sala d’aspetto: a separarci dalla dittatura sono ormai poche parole in libertà, sempre più clandestine, ostracizzate “worldwide” da chi criminalizza il diritto alla verità. Ad accecare gli ipovedenti sono, ancora una volta, le maschere teatrali della politica: «Se l’ha detto quel cretino, allora non è vero. Preferisco l’usato sicuro, i leader affidabili». Quali? Quelli che da quasi 12 mesi tengono i consimili “faccia a terra”, in attesa della seconda ondata e poi della terza, della quarta, della centesima?Attenti alle parole: “lockdown” viene dal lessico carcerario, “coprifuoco” da quello bellico. Lo ha ricordato lo scrittore Roberto Quaglia, in un video di fine anno in cui constata il trionfo, per via pandemica, della Decrescita Infelice vaticinata e invocata da Greta Thunberg. Detto fatto: solo in Italia hanno già chiuso i battenti trecentomila aziende, e la flessione paurosa del Pil preannuncia lacrime e sangue per il 2021. “Andrà tutto bene”, belavano le pecore dai balconi, mentre i medici – a cui era stato impedito di effettuare autopsie – finivano col causare la morte di molti pazienti, in terapia intensiva, trattandoli con ossigeno anziché con eparina. Tuttora manca un protocollo nazionale che metta i sanitari in condizione di intervenire tempestivamente e sistematicamente, a domicilio, con farmaci efficaci (nel frattempo individuati), come se l’emergenza non dovesse finire mai. Anziché Plaquenil e cortisonici, dal cielo sono piovuti tamponi: servivano a gonfiare il panico e i numeri da sciorinare a reti unificate, giustificando sia il “carcere” per i cittadini che la “guerra” contro di noi, cioè il lockdown e il coprifuoco. Misure insensate, feroci, ingiuste e disperatamente inutili, inefficaci e vane sul piano sanitario, ma provvidenziali per ottenere il vero risultato atteso dal Grande Reset, il genocidio socio-economico dello zoo a beneficio dei supremi gestori dell’allevamento.Sul piano estetico, a spiegare l’inguardabilità dello spettacolo italiano bastano i nomi: Conte e Casalino, Arcuri e Ricciardi, Di Maio, Speranza, Renzi, Zingaretti. Non una denuncia, forte e chiara, dai colleghi Salvini, Meloni e Berlusconi: solo variazioni sul tema, pigolii e flebili distinguo, mentre Big Tech fa a pezzi quel che resta della privacy e, insieme al mainstream cartaceo e radiotelevisivo, getta nella spazzatura persino l’uomo della Casa Bianca, trasformato in delinquente seriale e trattato come si sarebbe fatto in altre epoche, giustiziato senza processo e senza diritto di parola. Brutta anticamera, quella in cui stiamo scivolando, in cui una fanfara alza il volume per coprire gli ultimi, disperati muggiti umani. Il microfono viene invece lasciato aperto per i ragli del complottismo terrapiattista, quello vero, che vaneggia di uomini-lucertola e giustizieri altrettanto favolosi. Si scandalizzano e si meravigliano, i millenaristi del neo-catastrofismo apocalittico, come se non sapessero che fine fece Giordano Bruno il 17 febbraio dell’anno 1600. Un caso troppo lontano? Niente paura: parlano da sole le morti di Martin Luther King, Salvador Allende, Olof Palme, Thomas Sankara, Yitzhak Rabin. Un mondo perfetto, capace di macellare in diretta Tv il presidente degli Stati Uniti d’America, a Dallas, nel 1963.Il campionato di calcio è l’unica fonte di notizie che, in Italia, riesca a competere con il dominio psico-sanitario dell’Agenda del Terrore. Fantasmi mascherati nelle strade, fantocci imbavagliati persino alla guida dell’auto, lemuri impauriti che rincasano rigorosamente entro le 22. Fino a quando? Non se lo domandano? Credono ancora che basti un attimo di pazienza in più, come quando – nel marzo scorso – si illusero che tutto finisse, come solennemente promesso, in una manciata di settimane? E allora avanti così, per sempre: didattica a distanza, lavoro a distanza, vita a distanza. Ravvicinatissimo, invece, l’ago della siringa per il fatale inoculo della Salvezza. Incubi? No: fotografie. Istantanee quotidiane, della nuova zootecnia regimata dall’intelligenza artificiale, dalle onde millimetriche del wireless satellitare, dalle fantomatiche molecole sperimentali interattive. Fake news? Magari, lo fossero. La maggior disonestà dei censori, reticenti e faziosi, consiste in questo: fingere di non sapere che Antigone, in realtà, si augura sempre che i suoi infausti presagi possano essere fallaci.Al netto dei bullismo dei cospirazionisti, che vivono di esibizionismo sensazionalistico basato su indizi travisati e allarmi infondati, una rilevante quota di umanità condivide preoccupazioni serie, basate su informazioni ormai reperibili soltanto negli scantinati: quelli che Big Web sta sprangando, uno ad uno, nel timore che possano illuminare verità imbarazzanti e dare coraggio ai naufraghi dispersi, rassegnati alla morte civile della politica. In simili frangenti, l’inerzia dei ciechi – il loro ottuso egoismo, la loro pavidità individuale e sociale – rischia di fare più danni dei governi: trascina in basso l’asticella della dignità, il minimo sindacale del vivere comune, incoraggiando progressivamente i maggiori abusi. Non a tutti capita di vivere, in prima persona, tornanti storici come questo: sono i momenti in cui un gesto vale una vita. Chi si volta dall’altra parte, e chi invece accende il cervello. E’ come se l’umanità si stesse fatalmente dividendo, in modo drammatico e forse definitivo. Da una parte la paura, madre dell’odio e della menzogna, e dall’altra la resistenza. Chi teme, vive sperando: e così resta inerte e si vota alla disfatta, la sua e quella altrui.Nessuno insorge, per ora: in compenso, si susseguono risvegli. Rassegnarsi a sopravvivere come topi? No, grazie. Neppure di fronte alla dose quotidiana di magime che gli scienziati del Grande Reset garantirebbero, giusto per scongiurare disordini. E’ una ricetta antica, quella di Friedrich von Hayek: meglio che il povero non cada nella disperazione, perché la ribellione renderebbe instabile il sistema che i poveri li produce in batteria, a milioni. Nella Bibbia, è Yahweh a stabilire il valore monetario di ciascuno. Nel libro “L’altra Europa”, Paolo Rumor – nipote del cinque volte primo ministro – parla di una “Struttura”, sempre la stessa, che gestirebbe il bestiame umano, da millenni. Papa Bergoglio, quello che ha concesso alla dittatura di Pechino il potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina, ha appena stipulato in Vaticano un accordo con il Council for Inclusive Capitalism, organismo promosso da Lynn Forester de Rothschild. Fa politica, Bergoglio: accetta di oscurare il Natale, ma in compenso promuove i vaccini. Arriva a sostenere che chi non si vaccina mette in pericolo la vita degli altri: come se il siero, quindi, non bastasse di per sé a proteggere il soggetto vaccinato.Dove arriveremo, di questo passo? Alla chiusura terminale della recinzione attorno allo zoo, o alla liberazione dei prigionieri? Il carceriere parte in vantaggio. O meglio, il suo vantaggio è smisurato: ha connesso in rete il pianeta, dunque può sottoporlo in modo simultaneo a qualsiasi trattamento (politico, economico, finanziario, culturale, sanitario, ecologico, climatico). Gli ottimisti dicono che le zampate del drago testimoniano una sua recondita paura: il timore del mitico, grande risveglio collettivo, ormai imminente. Sbirciando l’Italia, non si direbbe: la televisione propone il solito menù dell’ipnosi, tra virologi e ordinari nientologi. Lo schianto planetario non arriva ancora nei salotti: si ferma alla rivolta dei ristoranti, all’esasperazione di chi ha già perso tutto. Quanto manca, alla mezzanotte? A che ora si spegnerà la luce, seppellendo la farsa dell’odio e della paura? L’enormità avanza, dilagando: ha una dimensione mostruosa, planetaria, psicologica. E’ in atto una mutazione dell’antropologia: sta crollando un intero sistema di credenze, di stili di vita, e non è la popolazione ad aver votato per il crollo. La popolazione non sceglie: subisce. Alla conta, manca la risposta alla domanda principale: perché. Perché così, perché proprio adesso.(Giorgio Cattaneo, 17 gennaio 2021).Dopo un anno esatto di Covid, eccoci nel nuovo Impero della Paura. A regnare è il caos, in ogni campo, persino tra le analisi: c’è chi ancora non vede (o almeno, dice di non vedere) la regia mondiale di quanto sta avvenendo, e chi – al contrario – sostiene che un giorno ringrazieremo questa catastrofe, una medicina (amarissima, ma salutare) per uscire dalla Matrix delle finzioni, dove i buoni in realtà sarebbero i veri cattivi. Eterogenesi dei fini: tanto peggio, tanto meglio. L’ascia del Covid è spietata: falcia diritti e libertà, ma tanti bravi cittadini preferiscono tacere e subire, all’infinito, in attesa di non si sa cosa, fingendo di non aver mai sentito nominare l’espressione Grande Reset, formulata nel santuario di Davos. Quando tutte le notizie scomode diventano complottismo negazionista, ci si ritrova in una pessima sala d’aspetto: a separarci dalla dittatura sono ormai poche parole in libertà, sempre più clandestine, ostracizzate “worldwide” da chi criminalizza il diritto alla verità. Ad accecare gli ipovedenti sono, ancora una volta, le maschere teatrali della politica: «Se l’ha detto quel cretino, allora non è vero. Preferisco l’usato sicuro, i leader affidabili». Quali? Quelli che da quasi 12 mesi tengono i consimili “faccia a terra”, in attesa della seconda ondata e poi della terza, della quarta, della centesima?
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Totalitarismo: il pensiero conforme dell’Imbecille Globale
A parte il corso permanente e intensivo di angoscia e terrore causa pandemia, ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: «Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo». Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 75 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte. Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.C’è l’Imbecille Cantante che dal palco, ispirato direttamente dal dio degli artisti, dichiara che lui canta contro tutti i muri e tutti i razzismi. Che eroe, sei tutti noi. Poi vedi l’Imbecille Attore o Regista che dal podio lancia il suo messaggio originale e assai accorato, perfettamente uguale a quello del precedente cantautore, ma lui lo recita come se l’umanità l’ascoltasse per la prima volta dalla sua viva voce. «Io non amo i muri, non mi piace chi vuole alzare muri». Che bravo, che anticonformista. Segue a ruota l’Imbecille Intellettuale, profeta e opinionista che per distinguersi dal volgo rozzo e ignorante, dichiara anche lui la Medesima Cosa, sui muri ci piscio, morte al razzismo, morte a Hitler (defunto sempre da 72 anni), viva l’accoglienza, i neri, i gay e i trans. L’Idiota Collettivo, versione ebete dell’Intellettuale Collettivo post-gramsciano, non pensa in proprio ma scarica l’app ideologica che genera risposte in automatico. Poi c’è l’Imbecille a mezzo stampa o a mezzobusto che riscrive o recita ispirato l’identica pisciatina contro i Muri. E poi c’è il Presidente o la Presidente, che in veste d’Imbecille Istituzionale, esprime lo stesso, identico Concetto, col piglio intrepido di chi sfida i Poteri Forti (ai cui piedi è accucciato o funge da zerbino).Non c’è film, telefilm, concerto, spettacolo teatrale o sportivo, gag e omelia tv in cui non si ribadisca la lotta tra il Bene e il Male: Aperti e Filantropi contro Chiusi & Ottusi, Accoglienti contro Razzisti, Omofili contro Omofobi, Xenofili contro Xenofobi e Negrofobi. Voi quelli del Muro, noi quelli del Telepass. Le bestie da scacciare sono quasi sempre vaghe, anonime, mitologiche; e già, il male è sempre oscuro, cospira nel buio, non ha volto, solo maschere storiche o ridicole. Ma il repertorio è ricco di bersagli, quasi tutti definiti sovranisti. Tu senti uno, cambi canale e ne senti un altro idem, spegni la tv e senti alla radio un altro ma il Discorso è sempre quello, apri il giornale e leggi ancora l’Identica Opinione; a scuola idem con patate, all’Università peggio-mi-sento, i Palloni Gonfiati dai media compilano lo stesso Modello Unico. Nessuno di loro è sfiorato da dubbi, invece a te sorge un primo dubbio: è un’allucinazione o è sempre la stessa persona, l’Imbecille Globale, che cambia veste, fattezze e mansioni e ripete all’infinito l’Identico Discorso?Segue un secondo dubbio: ricordo male o eravamo in democrazia, che vuol dire libertà e pluralismo, cioè opinioni libere e divergenti a confronto? Loro non credono alla Verità, sono relativisti, però guai a dissentire dal Discorso Obbligato con fervorino finale anti-Muro. Ma possibile che tutti la pensino allo stesso modo, conformi, allineati e omologati, e ritengano che la cosa più urgente e più importante del momento, il Messaggio Unisono da dare all’Umanità sia sempre quello? Allora ti sorge un terzo dubbio. E se l’Imbecille Globale a reti unificate fosse il Grande Fratello del nostro tempo? Se fosse lui il Portavoce multiplo del Non-Pensiero Unico, cioè del nuovo regime totalitario-globalitario? E se fosse proprio quell’Uniformità Totale e quel corale accodarsi la miseria prioritaria del nostro tempo? Non so voi, ma io di quell’Imbecille Planetario che ripete il Discorso Unico e Identico all’Infinito, non ne posso più.(Marcello Veneziani, “Il pensiero conforme dell’Imbecille globale”, dal blog di Veneziani del18 novembre 2020).A parte il corso permanente e intensivo di angoscia e terrore causa pandemia, ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: «Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo». Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 75 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte. Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.
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Brutte notizie: inferno in arrivo, nel Paradiso degli Imbecilli
Nel Paradiso degli Imbecilli, è chiamato antieuropeista chi giudica con severità lo squallore rapace di Angela Merkel e degli altri criminali che hanno retrocesso la Grecia nel terzo mondo e alterato i conti della Germania per alterare quelli dell’Europa. Hanno inflitto ai popoli infinite sofferenze sulla base di regole truccate, escogitate da conventicole segrete, di natura esoterica, animate da sete di potere e inconfessabili mire privatistiche. Nel Paradiso degli Imbecilli, i grandi ladri e i sommi imbroglioni di quest’epoca diventano statisti, rinomati influencer, valorosi attivisti al servizio di tutte le cause possibili, tranne una: quella della libertà dell’umanità e del riscatto dell’homo sapiens dalla sottomissione fraudolenta al quale è sottoposto, avendo rinunciato lui per primo, da gran tempo, a rassegnarsi all’idea di dover lottare per la propria dignità. Nel Paradiso degli Imbecilli, il bambino che osa dire che il Re è nudo è chiamato irresponsabile, sciagurato, folle negazionista. Se fosse meraviglioso come lo raccontano, il Paradiso degli Imbecilli, dovrebbe ospitare solo moltitudini gioiose, letteralmente invase dalla felicità. Non è così? Qualcosa non quadra? Non sta “andando tutto bene”?A turbare il Paradiso degli Imbecilli, infatti, è arrivato uno stranissimo virus – non certo il primo nella storia, e sicuramente neppure l’ultimo. Questo, però, dispone di un potere da far invidia ai suoi illustri “colleghi” precedenti, tragicamente ben più letali: il potere di paralizzare il mondo, devastando l’economia e abituando gli esseri umani a qualcosa di anche peggiore, cioè una vera e propria mutazione antropologica, in base alla quale un bene fino a ieri dato erroneamente per scontato – la libertà, da cui il diritto alla dignità economica – viene messo in archivio, in attesa di tempi migliori (che non arriveranno, stando almeno ai segni che si addensano nell’aria). Il peggiore di questi segni viene dal Canada, dove un deputato dell’Ontario ha scoperto che il governo di Ottawa sta preparando imprecisati “campi di detenzione” per i cittadini che dovessero opporsi al lockdown universale prossimo venturo, destinato a prolungarsi fin quasi alla fine del 2021. Questo, almeno, secondo il comitato governativo canadese sul cui operato sovrintende il primo ministro obamiano Justin Trudeau.Su “Scenari Economici”, Nicoletta Forcheri spiega: un’emergenza sanitaria così abnorme e spropositatamente dilatata, cestinando qualsiasi residuo diritto democratico, è solo l’alibi per il grande “reset” finanziario universale evocato a Davos e negli altri santuari del potere mondiale, tra salotti in cui dominano i soliti cognomi (Soros, Gates, Rockefeller e compagnia complottante). Fantasie? No: atti governativi, portati allo scoperto. Avvisaglie? Infinite: parlano da soli gli arresti eseguiti nello Stato australiano di Victoria (Melbourne), con manette scattate ai polsi di semplici cittadini che, da casa, avevano osano manifestare il loro dissenso con un post su Facebook. Il guaio è che alcune cose a volte accadono davvero, ma nel Paradiso degli Imbecilli si preferisce non saperle. Non è una novità. «Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui». Lo scrive Primo Levi in “Se questo è un uomo”, come ricorda adesso – non casualmente – la stessa Forcheri.C’è una “magia” che ci tiene prigionieri, da molto tempo? Esatto: sta tutto qui il senso del successo della saga di Harry Potter, creata da Joanne Kathleen Rowling, cresciuta nelle retrovie di Amnesty International e poi “illuminata” sulla situazione mondiale da preziose imbeccate ricevute dall’aristocrazia massonica progressista, quella che sta lottando per riaccendere la luce, nel Paradiso degli Imbecilli dormienti. Ci avevano provato altri autori, per esempio nel cinema: intellettuali come Andy e Larry Wachowski (gli sceneggiatori di “Matrix”), o il regista Peter Weir, che nel 1998 presentò “The Truman Show” e l’anno seguente l’altrettanto indimenticabile “L’attimo fuggente”, con la scena finale – profetica, rivista oggi – degli studenti che si arrampicano sui banchi sfidando l’autorità, in segno di solidarietà verso l’uomo che aveva aperto loro gli occhi, il professor Keating.Di cosa si era parlato, ultimamente, nel Paradiso degli Imbecilli? Di niente. L’Italia del pre-lockdown si era scannata in dispute grottesche: Salvini e le Sardine, le sparate di Grillo, gli strafalcioni di Conte e Di Maio, le gaffe di Zingaretti. L’ultimo politico in circolazione in tempo di pace, Matteo Renzi, era caduto anche lui nel pantano della neolingua. A parte gli stucchevoli inglesismi-fregatura (Jobs Act su tutti), era inciampato nel semplicismo di un vocabolo mercantile (rottamazione) e nell’infantilismo ostentato di un termine fuorviante: ripartire. Mentiva, il giovane fiorentino? Sapeva perfettamente che non ci sarebbe stata nessuna “ripartenza”, affidando metà di Poste Italiane (azienda-modello, in attivo) a uno dei tre padroni supremi del pianeta, cioè BlackRock. Mentiva agli italiani, mentre – di nascosto – bussava al salotto segreto dei Bush, per il tramite del diletto Tony Blair, primo fabbricante delle prove false contro Saddam, da cui la criminale invasione dell’Iraq. Tralasciando il minuscolo Renzi: che sonni si dormivano, all’epoca, nel Paradiso degli Imbecilli?Gli stessi che si dormono ancora oggi, parrebbe di capire, dando un’occhiata alla dark room televisiva dell’eterno riposo, passata in pochi mesi dal letargo cosmico al terrore quotidiano sapientemente dosato. Non che cambi il risultato: stare a casa, buoni e zitti, in attesa che la provvidenza intervenga. Qualcuno comincia a protestare, giù in strada? Alla buon’ora: ma anche questo era previsto, così come le prossime mosse in arrivo, incluso magari un classico coprifuoco. Intanto, il banco stravince: la neolingua dilaga, le ambulanze ululano, gli oppositori devono subire l’affronto di essere chiamati ormai universalmente con quel nome infame, negazionisti. Siamo a un bivio della storia dell’umanità? C’è chi parla addirittura di speciazione: da una parte le pecore, dall’altra gli individui che non si rassegnano all’ovile. Accade ogni giorno, nel Paradiso degli Imbecilli: dalle finestre, non manca chi raglia contro gli untori, cioè i ragazzi della movida con la birra in mano davanti ai bar. Il mondo crolla, e i ciechi sbraitano contro i dehors. Non vedo, non sento, non parlo. Non capisco niente, ma mi rassegno a rifugiarmi sotto il tavolo, foss’anche per sempre.A vociare animosamente, nel Paradiso degli Imbecilli, sono i cosiddetti privilegiati: i cittadini momentaneamente al riparo, perché percettori di pensione o stipendio fisso. Assistono allo sfacelo della libera impresa – almeno, nei casi di cecità non totale – ma non riescono a prevedere che, di fronte a un crollo epocale, nessuno sopravviverà: nemmeno le loro pensioni, nemmeno il loro pubblico impiego. Però la divisione, intanto, è devastante: e il cattivo regista si gode lo spettacolo delle vittime che si azzuffano tra loro. Ottima premessa, questa, per continuare a infliggere il peggio: misure in apparenza incomprensibili, disperatamente inutili ma micidiali, letteralmente devastanti e capaci di mettere fine all’Italia così come la si era conosciuta. Fine di qualsiasi orizzonte di pace, dignità e prosperità. E il povero Conte non è che uno dei tanti esecutori, a livello mondiale, di un’inerzia rovinosa che solo i condomini più ottusi del Paradiso degli Imbecilli riescono ancora a non vedere.L’apocalisse in corso rivela l’avvento di una specie di inferno universale, formato gabbia, dove non sarà più consentito essere liberi? Nel caso, è bene ricordare che gli inferni – come le prigioni – si costruiscono mattone su mattone: basta stabilire che la moneta passa in mani private, che lo Stato deve smettere di spendere, che la democrazia è eccessiva, che la disoccupazione deve essere considerevole, che il futuro non deve più essere una garanzia per nessuno. Ci si arriva in molti modi: con l’omicidio mirato di leader scomodi, con il terrorismo, con le crisi finanziarie pilotate, con la compravendita di politici, sindacalisti, economisti e professori, giornali e televisioni. Ci si arriva per gradi, lentamente, isolando le voci fastidiose e relegandole in un limbo da cui non potranno più nuocere. Se poi qualcuno si ribella e si inventa una rete di informazioni riservate da spiattellare ai quattro venti, lo si rinchiude come un animale strano: se ne farà un caso internazionale, ma poi l’oblio seppellirà tutto.Julian Assange, Edward Snowden: due tizi che ci hanno provato, ad avvisare per tempo gli abitanti del Paradiso degli Imbecilli. Uno è detenuto nel Regno Unito, l’altro è riparato in Russia. Il termine paradiso, ricorda l’impeccabile Mauro Biglino, viene dal persiano “pairidaèsa”, che significa “giardino recintato e protetto”. E’ la traduzione – attraverso il passaggio intermedio, iranico – dell’espressione biblica Gan Eden, attraverso cui la Genesi descrive una sorta di piantagione affidata a lavoratori speciali, gli Adamiti. A spezzare i recinto, nell’Antico Testamento provvede la prodigiosa scoperta della conoscenza. Oggi è il filo spinato a delimitare il Paradiso degli Imbecilli. Una recinzione mentale, prima ancora che fisica, per moltitudini ormai in preda al panico. «Dal 4 novembre, di Covid non sentirete parlare più», ha appena detto Donald Trump. Alzi la mano chi non capisce – battuta a parte – quale sia la vera posta delle imminenti presidenziali americane, e perché tanto accanimento, anche criminale, venga profuso per evitare a tutti i costi la rielezione dell’uomo che promette di cominciare a demolirlo, il Paradiso degli Imbecilli, prima che il recinto si chiuda davvero attorno a tutti noi, dormienti e non.(Giorgio Cattaneo, “Inferno in arrivo, nel Paradiso degli Imbecilli”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 ottobre 2020).Nel Paradiso degli Imbecilli, è chiamato antieuropeista chi giudica con severità lo squallore rapace di Angela Merkel e degli altri criminali che hanno retrocesso la Grecia nel terzo mondo e alterato i conti della Germania per alterare quelli dell’Europa. Hanno inflitto ai popoli infinite sofferenze sulla base di regole truccate, escogitate da conventicole segrete, di natura esoterica, animate da sete di potere e inconfessabili mire privatistiche. Nel Paradiso degli Imbecilli, i grandi ladri e i sommi imbroglioni di quest’epoca diventano statisti, rinomati influencer, valorosi attivisti al servizio di tutte le cause possibili, tranne una: quella della libertà dell’umanità e del riscatto dell’homo sapiens dalla sottomissione fraudolenta al quale è sottoposto, avendo rinunciato lui per primo, da gran tempo, a rassegnarsi all’idea di dover lottare per la propria dignità. Nel Paradiso degli Imbecilli, il bambino che osa dire che il Re è nudo è chiamato irresponsabile, sciagurato, folle negazionista. Se fosse meraviglioso come lo raccontano, il Paradiso degli Imbecilli, dovrebbe ospitare solo moltitudini gioiose, letteralmente invase dalla felicità. Non è così? Qualcosa non quadra? Non sta “andando tutto bene”?
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5G, vaccini e “fake”: la post-verità, nell’Era del Coronavirus
Vaccini e 5G sono di gran voga, in tempi di coronavirus, nella cosiddetta narrativa complottista. Ne parla anche Massimo Mazzucco, denunciando il “ministero della verità” allestito a Palazzo Chigi e la spettacolare, duplice manovra in atto da parte dell’establishment: da un lato si raccomanda la fruizione dei soli media ufficiali (spesso i primi a spacciare “fake news”) e dall’altro si criminalizzano le fonti alternative di informazione. Esemplare il caso del Patto per Scienza di Burioni, che chiede addirittura ai magistrati di spegnere “ByoBlu”, reo di avere ospitato uno scienziato “eretico” come Stefano Montanari. L’allarme di Mazzucco è esplicito: c’è da temere che si approfitti del coprifuoco imposto dal coronavirus per poi magari limitare la nostra libertà di informazione anche domani, quando l’emergenza sarà finita. Motivo: social, video e blog vantano ormai milioni di visualizzazioni, dunque rappresentano una potenziale minaccia per chi volesse mentire agli italiani attraverso i canali ufficiali della comunicazione tradizionale.Nella sua ricostruzione giornalistica, Mazzucco – autore di importanti documentari sull’11 Settembre, trasmessi anche da Canale 5 in prima serata – cita alcune clamorose “fake news” veicolate dai grandi network televisivi: dagli inesistenti “200 bambini morti a Londra per il morbillo” (evocati da Beatrice Lorenzin negli studi di Vespa e Formigli) alle affermazioni di Rex Tillerson su Putin “criminale di guerra” (distorte da Giovanna Botteri). Il record – nella classifica di Mazzucco – spetta ad Andrea Purgatori, che su La7 ha spacciato le sequenze di un videogame per “le immagini dell’uccisione del generale Soleimani”. In studio ha assicurato: sembra un videogioco, ma non lo è. Smascherato, su Twitter ha ammesso: sì, è vero, quelle immagini erano di un videogame. E questi, si domanda Mazzucco, sarebbero i campioni dell’informazione seria, gli unici di cui dovremmo fidarci, come ripete lo spot che Mediaset sta trasmettendo a ciclo continuo?Mazzucco, naturalmente, passa per complottista. La sua colpa? E’ stato il primo a realizzare un film che demolisce, prove alla mano, la versione ufficiale sull’11 Settembre. L’Oscar del Complottismo gli è stato tributato per il documentario “American Moon”. I suoi detrattori lo accusano di negare l’avvenuto sbarco sulla Luna del 1969. Se invece uno si prende la briga di visionare il filmato, scopre che Mazzucco – suffragato dal parere dei alcuni tra i più importanti fotografi, da Peter Lindbergh a Oliviero Toscani – si limita, per così dire, a dimostrare che quelle storiche immagini sarebbero state realizzare in studio, sulla Terra (per quale motivo, non è dato saperlo). Comunque la si pensi, socraticamente, il contributo di Mazzucco invita a coltivare il dubbio: cosa che lo stesso giornalismo per primo dovrebbe sempre fare, come ricorda lo statunitense Seymour Hersh, secondo cui negli ultimi anni il mondo ha vissuto troppe guerre, con troppe vittime civili, anche a causa della reticenza della stampa, che secondo Hersh ha permesso ai decisori di avventurarsi nelle peggiori imprese manipolando l’opinione pubblica grazie alle “fake news” veicolate dai grandi media.Sono proprio le “fake news ufficiali” a scatenare la degenerazione complottistica, che inonda il web di vere e proprie bufale: un regalo favoloso, per chi volesse spegnere (insieme a quelle dei “terrapiattisti”) anche le voci autorevoli, onestamente impegnate a cercare verità irrintracciabili nel mainstream. Il cospirazionismo appare perfettamente funzionale al peggior potere: incrementa la credulità dei più ingenui e, al tempo stesso, squalifica i ricercatori seri. Nella sua ottusità dogmatica, il complottismo è speculare al negazionismo: i complottisti pensano che qualsiasi evento sia sempre e solo il frutto di una bieca cospirazione, mentre i loro apparenti avversari negano, semplicemente, che i complotti esistano. E’ la stessa storia a insegnarci che i complotti si susseguono, da sempre, ma non è detto che poi vadano in porto. In una infinita scala di grigi, come si può pensare che tutto sia soltanto bianco o nero? Questo non-pensiero semplificato, automatico, fa sicuramente comodo a chi maneggia il consenso in modo spregiudicato, fabbricando nemici su misura per ogni stagione, con il relativo corollario di odio, paura e tifo calcistico.Il problema, avverte Mazzucco, è che ora la situazione starebbe cambiando a vista d’occhio: sotto la fortissima pressione psicologica e sociale dell’emergenza da coronavirus, si annuncia un progressivo soffocamento, anche governativo, delle voci indipendenti. Il che – statistiche alla mano – potrebbe preludere a qualcosa di francamente inquietante: un futuro in cui, come già avviene in Cina, sia espressamente vietato far circolare idee eterodosse? Ovvero: siamo alla vigilia del peggior incubo distopico di matrice orwelliana, coi cittadini sorvegliati passo passo, elettronicamente? Domande che pesano, e che Mazzucco propone agli ascoltatori. Dato il coprifuoco imposto per via del Covid-19, non c’è bisogno di ricordare che, in guerra, la prima vittima è sempre la verità. Sul misteriosissimo coronavirus, finora, si è detto tutto e il contrario di tutto: medici e ricercatori stanno lottando, ogni giorno, per venirne a capo e trovare una cura risolutiva e rassicurante. Nel frattempo, il complottismo si scatena: il Covid-19 sarebbe il frutto di una cospirazione mondiale, e la virulenza del morbo sarebbe accentuata dalle microonde della rete 5G. In parallelo, specularmente: silenzio assoluto, dai grandi media, sia sulle problematiche da vaccino che sui potenziali rischi del wireless di quinta generazione.In Italia, negli ultimi anni, la grande stampa ha regolarmente silenziato le notizie allarmanti via via emerse, da fonti autorevoli, riguardo alla somministrazione improvvisamente obbligatoria di vaccini polivalenti di ultima generazione. Sulla scorta di consulenze mediche, la commissione parlamentare guidata da Gian Piero Scanu additò alcuni vaccini come concausa di gravi patologie a danno dei nostri militari. La Regione Puglia – unica, ad aver istituito un monitoraggio speciale (farmacovigilanza attiva) dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale in Italia, ha fornito le percentuali – altissime – delle reazioni avverse registrate dai bambini vaccinati. E il presidente dell’ordine dei biologi italiani, Vincenzo D’Anna, ha rilevato la presenza di vaccini “sporchi”, tra le dosi distribuite in Italia. Voci autorevoli e argomentazioni serie: non per negare l’utilità dei vaccini, ma verificare le condizioni particolari della loro attuale somministrazione obbligatoria. Se ne avessero parlato diffusamente, giornali e televisioni, magari avrebbero scoperto – come ricorda lo stesso Mazzucco – che negli Usa gli eventuali errori delle aziende produttrici di vaccini sono “depenalizzati” per legge: a indennizzare le eventuali vittime provvede lo Stato. E dagli anni ‘80, l’amministrazione Usa ha già dovuto sborsare 4 miliardi di dollari per risarcire persone che la giustizia ha riconosciuto vittime di “danni da vaccino”.La parola magica – fake news – incombe anche su chi si azzardasse a menzionare il fantasma del 5G, cioè “l’Internet delle cose” appena bloccato da paesi come Svizzera e Slovenia, preoccupati per l’assenza di prove certe – per ora, almeno – sull’innocuità di questa nuovissima tecnologia, connessa con i satelliti appena messi in orbita, a migliaia, da Elon Musk. Fa male alla salute, il 5G? I complottisti ne sono certissimi. Gli scienziati invece sono divisi: alcuni escludono pericoli, altri temono che le frequenze del 5G possano nuocere alle nostre cellule. In molti esprimono dubbi: sostengono che siano necessari test più approfonditi, per giungere a conclusioni incontrovertibili, in un senso o nell’altro. Intanto, a mettere in relazione il 5G addirittura con il coronavirus è anche Gunter Pauli, consigliere economico di Giuseppe Conte. Ma la vera notizia, probabilmente, è un’altra: per i grandi media, il 5G è come se non esistesse. Semplicemente non ne parlano, anche se l’avvenimento pubblico di cui parlare ci sarebbe: sono ormai quasi 200 i Comuni italiani che si sono opposti all’installazione delle antenne.Daccapo: se un tema è dibattuto presso l’opinione pubblica, perché non parlarne con precisione e serenità? Se i timori legati all’eventuale abuso di alcuni vaccini fossero infondati, perché non smontarli – una volta per tutte – sulla base di prove inoppugnabili? Idem: se quelle sul fantomatico 5G sono soltanto bufale, perché non demolirle – in modo serio, scientifico – a reti unificate? Il silenzio, viceversa, alimenta inevitabilmente ogni tipo di illazioni. Ragiona Mazzucco: alle domande scomode si evita di rispondere, preferendo tacciare comodamente di complottismo chi osa rilanciarle, quelle domande. Attenzione: domande, non tesi dogmatiche. L’obiettivo non è propagandare verità prefabbricate, magari apocalittiche, ma raggiungere una verità ragionevolmente accertabile. E non è nemmeno questione di vaccinazioni e antenne: la vera posta in gioco è la trasparenza, su tutto. Dove finisce, la democrazia, se l’opinione pubblica non è innanzitutto informata dei fatti che la riguardano? Il lavoro dei tanti ricercatori che in questi anni hanno offerto analisi disponibili solo sul web, purtroppo, mina una volta di più il prestigio dell’informazione mainstream. E questa non è affatto una buona notizia.Messi finalmente da parte complottismi e negazionismi, simmetriche deformazioni della conoscenza, una quota accettabile di verità dovrebbe emergere dal terreno intermedio della vera informazione, laica, onesta, in buona fede. Avvertiva Indro Montanelli: guardatevi da chi dichiara di diffondere notizie “oggettive”; fidatevi invece di chi si limita a fornire narrazioni sincere (magari anche erronee, ma sbagliando in proprio). Sbagliare fa parte del mestiere: la stessa scienza deve il suo progresso proprio all’ammissione dei suoi errori. Torna in mente l’immagine usata dal filosofo Bertrand Russell: più cresce il fascio di luce che rischiara il buio, più cresce la consapevolezza della vastità delle tenebre, cioè dell’ignoto. Di fronte all’ignoto che oggi minaccia di colpo miliardi di individui – la strana comparsa del Covid-19 – forse è bene concludere che non esistono risposte semplici, e che le testi preconcette (complottiste e negazioniste) non aiutano a risolvere il problema. Se poi i decisori mostrano apertamente di temere la proliferazione di voci incontrollate, forse c’è di che preoccuparsi. Quanta strada avrebbero fatto, i peggiori complotti, se l’opinione pubblica non fosse stata ipnotizzata dai suoi incantatori? Il pifferaio più celebre, Hitler, riuscì a far credere ai tedeschi che le loro disgrazie fossero imputabili agli ebrei. Il film “Il tamburo di latta”, di Volker Schlöndorff, tratto dall’omonimo romanzo di Fassbinder, si conclude con queste parole: credevamo di aver aperto la porta a Babbo Natale, e invece era l’uomo del gas.(Giorgio Cattaneo, “5G, vaccini e Ministero della Verità: complottismo e negazionismo nell’Era del Coronavirus”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 aprile 2020).Vaccini e 5G sono di gran voga, in tempi di coronavirus, nella cosiddetta narrativa complottista. Ne parla anche Massimo Mazzucco, denunciando il “ministero della verità” allestito a Palazzo Chigi e la spettacolare, duplice manovra in atto da parte dell’establishment: da un lato si raccomanda la fruizione dei soli media ufficiali (spesso i primi a spacciare “fake news”) e dall’altro si criminalizzano le fonti alternative di informazione. Esemplare il caso del Patto per la Scienza di Burioni, che chiede addirittura ai magistrati di spegnere “ByoBlu”, reo di avere ospitato uno scienziato “eretico” come Stefano Montanari. L’allarme di Mazzucco è esplicito: c’è da temere che si approfitti del coprifuoco imposto dal coronavirus per poi magari limitare la nostra libertà di informazione anche domani, quando l’emergenza sarà finita. Motivo: social, video e blog vantano ormai milioni di visualizzazioni, dunque rappresentano una potenziale minaccia per chi volesse mentire agli italiani attraverso i canali ufficiali della comunicazione tradizionale.
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Carpeoro: impossibile fidarsi di Salvini, resterà neoliberista
Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.La Popolare di Bari è fondamentale, per il Pd, perché il presidente pugliese Michele Emiliano è uno dei maggiori referenti dell’assetto politico del partito. I 5 Stelle si erano scagliati contro il decreto salva-banche del governo Renzi, e ora hanno disertato l’ultimo Consiglio dei ministri. Quello della Popolare di Bari è un casino grosso, molto più grosso di quelli che ebbe Renzi, che aveva coinvolto banchette come l’Etruria. E dietro al problema della Popolare di Bari c’è un personaggio di grande peso, nel Pd: Emiliano è uno dei sostegni principali della segreteria Zingaretti. Quindi, cosa succederà? Ci sarà un accordo tra Renzi e Salvini? Renzi ha una caratteristica: ha messo nel sacco tutti quelli che erano alleati con lui. E non credo che Salvini sia così scemo da aggiungersi alla lista. Renzi ha beffato Enrico Letta, che era pure suo amico. Poi ha fatto fuori il vecchio establishment (Rosy Bindi, D’Alema). Poi ha fregato Bersani, poi anche Berlusconi. E come li ha fottuti? Non mantenendo, clamorosamente, parole date e patti politici. Renzi non muore per le cazzate che fa, perché le cazzate le hanno fatte tutti. Renzi muore, politicamente, perché nessuno farà mai più un patto con lui.I 5 Stelle hanno detto: se Renzi non si siede al banco, non ci allieamo col Pd (e in tempi non sospetti, non adesso). Questo perché nessuno si fida più, di Renzi: ha imbrogliato tutti quelli che poteva, e gli interlocutori attuali non hanno intenzione di aggiungersi all’elenco. Salvini ha detto che “sta studiando”, ma poi ora esulta per la vittoria di Boris Johnson? A Salvini delle elezioni inglesi non importa niente: la sua è solo propaganda. Salvini ha la necessità inderogabile di essere continuamente presente sui media. Lui è, al 90%, pura presenza sui media. Dato che questo è un popolo bue, al popolo bue devi dare il pastone che è abituato a mangiare. E Salvini glielo dà, giustamente. Lui ha un unico obiettivo: andare a votare, e riscuotere il suo credito attuale. Ora usa toni più moderati? La sua è tattica: cerca di essere accettato come futuro leader del paese. Per quanto riguarda la fiducia al Salvini politico, la mia valutazione è prossima allo zero. Non appena abbandonerà questa sua linea dei tagli netti, un tanto al chilo, a colpi di mannaia, mezzo partito gli si rivolterà contro.Salvini può fare allusioni, promesse e ondeggiamenti; ma poi, al momento delle scelte, si dovrà alleare con Berlusconi e dovrà comunque sposare politiche che la gente gli contesterà. Anche ammettendo che sia in buona fede, come fa ad abbandonare una politica neoliberista, avendo come alleati Berlusconi e la Meloni? Un secondo dopo riperderebbe tutti i voti che si è guadagnato, con questa linea di destra ottusa ma premiante, in Italia. Salvini è obbligato, a fare politiche di destra. E quindi, alla fine, è obbligato comunque – sia pure in chiave sovranista – ad aderire a uno schema neoliberista. Perché il sovranismo non è in lite col neoliberismo: il sovranismo propone solo slogan, di falsa indipendenza e autonomia, ma alla fine può mantenere il regime neoliberista esattamente negli stessi termini in cui lo mantengono i finti progressisti. Il solito schema: se non si cambiano le premesse, le conseguenze non possono cambiare. Le premesse da cambiare sono queste: bisogna fare una rivoluzione culturale, per la quale il neoliberismo torni a essere liberismo, e il falso progressismo diventi un progressismo vero.Liberismo e progressismo a quel punto si potrebbero confrontare, in politica, non più su slogan, ma su progetti di paese. Io sono socialista, quindi spero che vinca il progretto progressista. Però, se ci fosse un progetto liberista, non sarei così preoccupato. Il problema è che l’alternativa è un progetto neoliberista, che è tutt’altra cosa. La gente si studi le grandi figure liberali dell’Ottocento. Il problema è che poi arriva un signor Reagan, e trasforma le politiche liberali in politiche egoistiche e ottuse. E’ da lì che viene il problema: quando Reagan teorizza che a decidere è il mercato, e non il politico illuminato, dice una cosa che è contraria sia al progressismo sia al liberismo. E si chiama neoliberismo, non ha un altro nome. Il neoliberismo vive sull’ingiustizia sociale. Crisi economiche, tasse inique, guerre, paura: il potere vuole che le persone stiano male? No: il potere vuole semplicemente che le persone non contino, non che stiano male; ci sono stati momenti storici in cui al potere conveniva che le persone stessero bene.Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.
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Atlantide, la scienza convalida Platone: cataclisma nel 9500
Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.Il lavoro di Bizzi, edito da Aurora Boreale, conferma in modo impressionante come le ultime rivelazioni scientifiche non siano mai state un segreto per gli iniziati ai “misteri eleusini”, comunità di cui lo stesso Bizzi fa parte, per via familiare, essendo stata ben radicata – sottotraccia – nella fiorentissima Firenze dei Medici. Il cosiddetto “mito” eleusino nasce alle porte di Atene, quando la dea Demetra – ultima discendente dei Titani, sconfitti dagli dei olimpici – mette a parte i seguaci del “segreto” dell’origine umana: saremmo stati “fabbricati” dalle divinità titaniche come Poseidone. Da allora (1300 avanti Cristo), il santuario di Eleusi diventa il presidio di questa “verità misterica”, custodita dai sacerdoti di Demetra, eredi di quell’antica rivelazione. Suggestioni vertiginose: per volere di Augusto, il poeta Virgilio celebra la nascita di Roma ad opera di Enea, ultimo eroe di Troia. La guerra omerica dell’“Iliade” sarebbe la traccia letteraria della resa dei conti finale tra i Titani e Zeus, di cui parla anche Esiodo nella sua “Teogonia”.Attenti ai simboli: per la tradizione misterica, la stessa Demetra arrivò a Eleusi partendo da Enna, in Sicilia. In queste tre fonti (Omero, l’“Eneide” e il culto eleusino) ricorre la radice “En’n” (inizio). Non casuale, quindi, il nome di Enea: il troiano fondatore di Roma sarebbe stato l’erede della civiltà “atlantidea”, estesasi nel Mediterraneo prima del grande cataclisma “cometario” che stravolse la Terra. Ma in realtà, anziché “atlantidea”, quella civiltà-madre (nord-atlantica e poi anche minoica, basata a Creta e poi in tutto l’Egeo fino all’Asia Minore) era chiamata “ennosigea”, dal nome di una delle principali di quelle sette macro-isole, chiamata appunto En’n. Questa possibile verità parallela – tranquillamente esposta da Platone – fu tollerata per quasi duemila anni, fino allo sciagurato Editto di Tessalonica del 380 dopo Cristo, quando l’imperatore Teodosio trasformò il neonato Cristianesimo in religione di Stato, l’unica autorizzata, mettendo fuorilegge tutte le altre e dando il via alla feroce persecuzione del paganesimo.A partire da quell’anno, scrive Bizzi nel suo affascinante saggio, tutti i templi eleusini fuorno distrutti – tranne quello di Eleusi, che venne semplicemente abbandonato. Da allora, la “comunità eleusina” si rassegnò a sopravvivere in clandestinità, con esiti spesso clamorosi come il Rinascimento italiano, promosso da principi illuminati del calibro di Lorenzo il Magnifico, espressione della tradizione eleusino-pitagorica. Stando a Bizzi, in possesso di documenti inediti e gelosamente conservati per secoli, erano “eleusini” anche i grandi architetti della Roma rinascimentale, ingaggiati dai Papi medicei. E sempre a Firenze, alla fine del Trecento, si svolse il più incredibile dei summit: alla corte dei Medici si sarebbero confrontati i rappresentati vaticani e persino gli emissari del Celeste Impero cinese, per decidere se e come diffondere la notizia della spedizione navale dello scozzese Henry Sinclair, conte delle Orcadi, sbarcato in America (cent’anni di prima di Colombo) con 40 navi templari sulle coste del Rhode Island.Siamo alla vigilia di scoperte sensazionali sulla vera storia della nostra civiltà? Certo non ci è d’aiuto l’archeologia ufficiale, scrive Bizzi in un’accurata ricostruzione su Facebook, in cui spiega le ragioni dell’assurda reticenza della disciplina archeologica accademica, oggi quotidianamente scavalcata dai nuovi ricercatori, archeologi e non, disposti a procedere incrociando i loro dati con quelli dei geofisici, dei climatologi, dei paleontologi, degli astrofisici. «Considerata in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte – ragiona Bizzi – l’archeologia è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’antropologia (insieme all’etnologia, la linguistica e l’antropologia fisica)». I suoi difetti? «Ottusità, malafede, e soprattutto anti-scientificità». Dice Bizzi: «È doloroso doverlo affermare, ma l’archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo “scientifico”».Una disciplina, l’archeologia, «corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute», nonché «minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto». Soprattutto, «anziché comportarsi da vera disciplina “complementare”, come dovrebbe essere», l’archeologia «si rifiuta di accettare i dati di supporto della geologia, della chimica, della biologia, dell’astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo». Risultato: «Tutte le scoperte “scomode”, che rischiano di alterare o stravolgere il “paradigma” comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare: ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica». Così, a forza di “questo non si può dire”, il sapere «si riduce a dogma di fede». Nel testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, lo storico della scienza Thomas Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati».Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile, osserva Bizzi. «E il paradigma prevalente rappresenta spesso una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura». In altre parole, «un freno e un limite talvolta inaccettabile». Lo stesso Hancock, parlando di “paradigma archeologico”, sostiene che l’archeologia ortodossa si basa su «presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato», e li usa come pretesto «per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde». Scarsa cultura, stupidità o malafede? E’ Kuhn il primo a sostenere che, in modo complementare, «una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma». E questa “rivoluzione”, archeologica e non solo, secondo Bizzi è ormai in corso da vent’anni. Cambio di paradigma, appunto: «Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia e una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà».Certo, «sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere pur di portare avanti teorie innovative». Ma comunque «quei pochi ci sono, e sono sempre di più». Aggiunge Bizzi: «Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla». Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi “pionieri” di questo nascente revisionismo storico-archeologico – spiega Nicola Bizzi – è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. «Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bouval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana “Archeomisteri”, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo».Bizzi cita il ricercatore italiano Mauro Quagliati, secondo cui «la rivoluzione archeologica parte dall’Egitto». È infatti proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa “rivoluzione” ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe “autorità”, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. «A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda – scrive Bizzi – solitamente ribadisco che prima di rispondere dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola».Fino a pochi anni fa, il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai. «Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della “scienza ufficiale”. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati». In sostanza, «oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana», come dimostra la rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale: un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale si attesta oltre il 9.500 avanti Cristo.Per non parlare di altri siti come quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi sono state datate addirittura al 29.000 avanti Cristo. «Penso sinceramente che, se non assisteremo a una “manipolazione” di questa rivoluzione archeologica – sostiene Bizzi – il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare». Sarà allora, aggiunge lo storico, che il “paradigma” sarà finalmente rovesciato. Quel giorno, «la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore». Per ora, resta “pericoloso” mettere in discussione, dal punto di vista storico, persino alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, «quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo». Per Bizzi, «esistono dei “poteri forti”, delle vere e proprie “lobby” che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella politica e nell’economia, ma anche nella storia: lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più “scomode”, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi».Francamente, ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era «comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici: tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia». Per gli studiosi “ortodossi” è molto più facile attenersi al vecchio “paradigma” e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che «intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose». Ma alla fine, «anche i più miopi e ostinati non potranno farlo ancora a lungo». Queste nuove scoperte “scomode” infatti si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante. «E gli argini della diga del “paradigma” mostrano crepe e spaccature ogni giorno più grandi». Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro “Il ritorno degli Dei”, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. «E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili». Tra il 10.800 e il 9.600 il nostro pianeta «venne sconvolto da un cataclisma di dimensioni apocalittiche». Si trattò, come sottolinea Hancock, di «un evento che ebbe conseguenze globali e che influì molto profondamente sul genere umano», restando vivo nella memoria, nei miti e nelle tradizioni di tutti i popoli.Un evento sul quale molto è stato scritto, dibattuto e teorizzato, dal medioevo fino ad oggi. Ma soltanto fra il 2007 e il 2014 è stato pienamente confermato dalle prove e dalle testimonianze scientifiche, afferma lo storico fiorentino. Il lavoro divulgativo di Hancock, basato su rigorose ricerche scientifiche, riporta tutti i riscontri oggettivi del cataclisma che sconvolse il mondo tra 12.800 e 11.600 anni fa. «Ci fornisce le tanto attese prove che ci permettono di far uscire una volta per tutte questo evento di portata apocalittica dal calderone delle ipotesi e dalle nebbie del mito, contestualizzandolo cronologicamente e geograficamente». Come ha scritto Randall Carlson in “My Journey to Catastrophism”, «il nostro è un pianeta terribilmente dinamico, che ha subito cambiamenti profondi su una scala che supera di gran lunga qualsiasi cosa accaduta in un arco di tempo a noi prossimo». Quello che chiamiamo “la nostra storia”, dice Carlson, «è semplicemente la testimonianza di eventi umani che si sono verificati a partire dall’ultima grande catastrofe planetaria».Eppure, i popoli con i quali solitamente si vuol fai iniziare la storia “ufficiale”, ovvero i Sumeri e gli Egiziani, ci hanno lasciato documenti scritti che parlano di migliaia di anni della loro storia, precedenti a quella che conosciamo: migliaia di anni di storia precedenti al grande evento apocalittico che, in tutte le culture, fa da cerniera temporale fra il “prima” e il “dopo”. Come osserva lo stesso Hancock, alla luce delle nuove scoperte ci troviamo nel mezzo di un profondo “cambiamento di paradigma” per quanto riguarda il modo in cui guardiamo l’evoluzione della civiltà umana. Gli archeologi? Hanno la pessima abitudine di considerare gli impatti cosmici come fossero lontani milioni di anni, e in più «sostanzialmente irrilevanti nell’arco dei 200.000 anni di esistenza dell’uomo anatomicamente moderno». Finché si credeva che l’ultimo grande impatto fosse stato quello con l’asteroide che 65 milioni di anni fa si ritiene che abbia spazzato via i dinosauri, aveva ovviamente poco senso cercare di correlare gli incidenti cosmici su questa scala quasi inimmaginabile con l’arco di tempo molto più breve della storia dell’umanità. Ma a cambiare tutto, scrive Bizzi, è «lo scenario da incubo emerso dalle ricerche di quel gruppo di scienziati che ha recentemente dimostrato il devastante impatto del Dryas Recente, vale a dire quell’evento sconvolgente di dimensioni apocalittiche che ha sconvolto il nostro pianeta solo 12.800 anni fa, alle porte della nostra storia “ufficiale”».Significa «rovesciare il tavolo con tutto quello che c’è sopra», come si intuisce osservando «le tenaci e disperate resistenze dell’establishment accademico, fin dall’inizio rivolte verso gli studi rivoluzionari di Joseph Harlen Bretz prima e verso le scoperte di Jim Kennett e del suo team di scienziati poi». Resistenze paradossali, visto che ora emerge le nostra civiltà non nasce affatto nel Neolitico, ma assai prima. Ovvio: il vecchio “paradigma”, semplicemente, ignorava il cataclisma planetario. Si scatenò nel Dryas Recente (tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa) e venne immediatamente seguito da grandi e importanti segnali di civiltà, come quella di Göbekli Tepe in Turchia. «Non si trattava di civiltà primitive appena uscite dalle caverne, bensì di popoli con strutture sociali complesse e già evolute, con alto senso artistico e religioso e con conoscenze astronomiche e architettoniche chiaramente riscontrabili negli imponenti edifici e monumenti che ci hanno lasciato». Oggi, ormai costretti dall’evidenza e dalle datazioni, gli archeologi definiscono i resti di Göbekli Tepe «primi esperimenti di vita civilizzata», che ebbero luogo subito dopo il “punto di interruzione” rappresentato dal Dryas Recente. «Ma non tengono conto del trauma immane e della distruzione globale messi in moto dagli impatti cosmici che causarono il Dryas Recente». E questo, per Bizzi, «rappresenta una vera e propria carenza nei metodi di ricerca e di valutazione».Peggio ancora: «Non si è pensato di considerare anche solo per un momento la possibilità che capitoli cruciali della storia umana, forse persino una grande civiltà della remota preistoria, possano essere stati cancellati (anche se ciò non è avvenuto nella memoria storica e nei miti di tutti i popoli antichi) da questi impatti e dalle inondazioni, dalle piogge nere bituminose, dall’oscurità e dal freddo indescrivibile che ne seguirono». Fino a non molti anni fa gli studiosi e i ricercatori indagavano su questo cataclisma apocalittico, di cui esitevano molteplici evidenze, ma non ancora le prove scientifiche delle sue cause. Ipotizzavano l’impatto di un meteorite di considerevoli dimensioni, sul modello di quello che si ritiene abbia provocato la scomparsa dei dinosauri. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, si è fatta strada un’ipotesi «assai più inquietante, corroborata dalla massa crescente di indizi attestanti che 12.800 anni una cometa gigante, in viaggio su un’orbita che la portò a intersecare il Sistema Solare interno, si frantumò in una miriade di frammenti». Molti dei quali, con un diametro anche superiore ai 2 chilometri, colpirono la Terra.Epicentro del disastro: il Nord America. Luogo dell’impatto: la calotta glaciale nord-americana. Conseguenze: «Lo scioglimento di colossali masse di ghiaccio causò spaventose alluvioni e maremoti, proiettando grandi nuvole di polvere nell’alta atmosfera, avvolgendo l’intero pianeta e impedendo per lungo tempo ai raggi del Sole di raggiungere la superficie». Era stata finalmente individuata la vera causa, che negli anni successivi sarebbe stata corroborata da solide prove scientifiche, del misterioso e repentino periodo di congelamento globale che i geologi chiamano Dryas Recente. «In sostanza, stava emergendo una verità a lungo solo ipotizzata e da molti, in ambito scientifico ed accademico, temuta e rifiutata». L’ultima conferma viene da “The Journal of Geology”, che riporta «la scoperta di un grandissimo quantitativo di nanodiamanti, rilevati in una vasta aerea ritenuta quella dei principali impatti». Si tratta di «diamanti microscopici che si formano in condizioni estremamente rare di pressione e calore di livelli altissimi, e sono ritenuti le impronte caratteristiche – proxy, o indicatori diretti, nel linguaggio scientifico – di potenti impatti di comete o asteroidi».E il team di scienziati guidato da Richard Firestone e da James Kennett, nel 2014, dopo sette anni di accese discussioni e dibattiti, spiegò che i campioni di sedimento sui quali si fondavano le prove contenevano, oltre ai nanodiamanti, diversi altri tipi di detriti che potevano avere unicamente un’origine extraterrestre, riconducibili a una cometa o a un asteroide. Tra i detriti, «minuscole sferule di carbonio che si formano quando goccioline di materiale organico fuso si raffreddano rapidamente a contatto con l’aria e molecole di carbonio contenenti il raro isotopo Elio-3, molto abbondante nel cosmo, ma non sulla Terra». Il team arrivò poi alla conclusione che la causa della devastazione fosse da imputare a una cometa, e non a un asteroide, dal momento che nello strato principale dei sedimenti esaminati erano del tutto assenti gli alti livelli di Nichel e Iridio che caratterizzano gli impatti degli asteroidi. «Si delineavano così con chiarezza le cause scatenanti del Dryas Recente: l’impatto dei frammenti di una super-cometa che avrebbero colpito la calotta glaciale nord-americana in più punti e una vasta aerea dell’emisfero settentrionale, arrivando a toccare il Mediterraneo, la Turchia e la Siria».Riassumendo: gli autori dello studio immaginano «un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrapressione, seguito da un’onda di pressione negativa, che diede luogo a venti intensi che spazzarono il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati dagli impatti». Non solo: «Una sfera di fuoco rovente avrebbe saturato la regione vicina agli impatti». E a distanze maggiori, il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato (espulso al momento delle collisioni) avrebbe provocato «enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere». E in che modo tutto ciò avrebbe potuto causare il drammatico congelamento del Dryas Recente? Gli autori dello studio propongono varie concause: la più rilevante sarebbe stata «l’enorme pennacchio di vapore acqueo proveniente dallo scioglimento della calotta glaciale». Sarebbe stato scagliato nell’atmosfera, combinato a immense quantità di polvere e detriti composti da frammenti dei corpi impattanti, dalla calotta glaciale e dalla crosta terrestre sottostante, oltre al fumo e alla fuliggine prodotta dagli incendi che devastarono l’intero continente.Nel complesso, come rileva Hancock, risulta abbastanza facile capire in che modo una tale quantità di detriti proiettata nell’atmosfera potesse aver portato ad un rapido raffreddamento, bloccando il passaggio della luce solare. L’insieme di vapore acqueo, fumo, fuliggine e ghiaccio – continua Bizzi – avrebbe generato una cortina persistente di nubi “nottilucenti”, con conseguente diminuzione della luce solare e raffreddamento della superficie, riducendo in tal modo l’insolazione alle alte latitudini, aumentando l’accumulo nevoso e causando un ulteriore abbassamento delle temperature in un ciclo continuo di retroazione. Per quanto devastanti, questi fattori diventano quasi insignificanti se paragonati alle conseguenze che gli impatti possono aver avuto sulla calotta glaciale: «Il maggiore effetto potenziale sarebbe stata la destabilizzazione e quindi lo scioglimento parziale della calotta glaciale in seguito all’impatto. Nel breve periodo ciò avrebbe liberato repentinamente acqua di disgelo e enormi blocchi di ghiaccio negli oceani del Nord Atlantico e dell’Artico, abbassando la salinità con conseguente raffreddamento superficiale».«Gli effetti di congelamento a lungo termine – aggiungono gli studiosi – sarebbero derivati in gran parte dal successivo indebolimento della circolazione termoalina nell’Atlantico Settentrionale, mantenendo un clima freddo nel Dryas Recente per più di 1.000 anni, fino a quando i meccanismi ciclici ripristinarono la circolazione oceanica». I risultati pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Science” il 4 giugno 2013 beneficiarono inoltre dei più recenti progressi nella tecnologia del radiocarbonio per raffinare la datazione dell’impatto cosmico da 12.900 a 12.800 anni fa e resero possibile una mappatura molto più particolareggiata dell’area di dispersine del materiale da impatto, che incluse quasi 50 milioni di chilometri quadrati del Nord, Centro e Sud America, una grande sezione dell’Oceano Atlantico e gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. E il fatto che i calcoli, presenti negli studi del 2013, indicassero il deposito di oltre dieci milioni di tonnellate di sferule all’interno di questo vasto campo di caduta, uniti agli studi presentati l’anno successivo sulla presenza nell’area interessata di enormi quantità di nanodiamanti, fece sì da togliere dalla mente dei ricercatori ogni dubbio sul fatto che al centro di tutto questo vi fosse un impatto cosmico, e nello specifico l’impatto di una supercometa.Sono stati, infine, individuati con chiarezza anche diversi punti d’impatto: la depressione di Charity Shoal nel Lago Ontario, la conca di Bloody Creek nella Nuova Scozia, il cratere di Corossol nel Golfo di San Lorenzo in Canada e l’area di Quebacia Terrain, sempre in Canada, ad Ovest di Corossol. E questi elencati, aggiunge Bizzi, sono i punti d’impatto che è stato possibile individuare grazie alle evidenze geologiche, mentre si ritiene che quelli maggiori e più devastanti, dovuti a frammenti della cometa di dimensioni nell’ordine di due chilometri e mezzo di diametro, abbiano riguardato la calotta di ghiaccio in punti più a Nord e più a Ovest. Ciò che colpisce in special modo, nel risultato di queste scoperte, secondo Hancock è il fatto che i cambiamenti climatici (avvenuti sia all’inizio che alla fine del Dryas Recente) abbiano avuto estensione planetaria e si compirono entrambi nell’arco di una generazione umana: 12.800 anni fa, una forza esplosiva combinata (10 milioni di megatoni) avrebbe sollevato nell’atmosfera sufficiente materiale da far piombare la Terra in una lunga, prolungata oscurità simile ad un inverno nucleare, cioè quel “periodo di oscurità” di cui parlano tanti antichi miti.Poi, il repentino riscaldamento verificatosi 11.600 anni fa, che pose fine al Dryas Recente, sarebbe sì in parte spiegabile con la dispersione finale della nuvola di materiale espulso. Ma vi sarebbe, a completare il quadro, anche un’altra spiegazione complementare: secondo gli scienziati, molti frammenti della cometa (anche enormi) sarebbero rimasti in orbita, fino a impattare nuovamente con il nostro pianeta nel 9.600 avanti Cristo. «La Terra, quindi, avrebbe nuovamente interagito 11.600 anni fa con la scia di detriti della medesima cometa frammentata che aveva causato l’inizio del Dryas Recente, determinandone una repentina fine». Stavolta, anziché nell’Artico, l’impatto di sarebbe verificato nell’Atlantico Settentrionale: cosa che avrebbe provocato «l’innalzamento di enormi pennacchi di vapore acqueo» capaci di creare un effetto serra, «dando il via ad una rapida fase di riscaldamento globale». Gli scienziati, aggiunge Bizzi, stimano che questa seconda ondata di impatti abbia determinato – nel giro di appena cinquant’anni – un aumento delle temperature medie di oltre 7 gradi centigradi, con il conseguente scioglimento di enormi masse di ghiacci e il repentino aumento, in tutto il mondo, del livello dei mari e degli oceani di decine e decine di metri. Era il grande diluvio, o diluvio universale?Sicuramente, scrive Bizzi, le aree del secondo impatto «erano abitate e popolate dall’uomo». Su di esse, «probabilmente fiorivano diverse civiltà». Gli archeologi “ortodossi” si sono sforzati per anni nel sostenere che Platone si fosse inventato tutto. Nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, è datata 9.000 anni prima di Solone la scomparsa di Atlantide per via di un terribile cataclisma di fuoco. Da Platone, per l’ufficialità, ci è giunta solo «un’opera di fantasia o di mera speculazione metaforica e filosofica». Ma gli “ortodossi” hanno sempre ignoranto deliberatamente «l’esistenza di centinaia di miti e antiche tradizioni che, in tutto il mondo, dalle Americhe al Mediterraneo, dall’Africa all’Asia, confermano, direttamente o indirettamente, la narrazione platonica», ora corroborata dalla scienza. «Narrazione che, peraltro, è pienamente avvalorata dal corpo dei testi della Disciplina Arcaico Erudita tramandati dalle scuole misteriche eleusine, i quali – rivela Bizzi – ci raccontano la storia di una civiltà evolutasi su quelle che vengono menzionate come “le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”».Cos’erano? Testualmente: «Un insieme di vaste terre che sorgevano nell’Atlantico Settentrionale e che si sarebbero inabissate esattamente nel 9.600 avantio Cristo». Quei testi, spiega lo storico fiorentino, «ci descrivono una società avanzata, con grandi conoscenze scientifiche». Evolutasi nell’arco di circa 10.000 anni, quella civiltà «sarebbe arrivata, all’apice del suo splendore, a conquistare e colonizzare l’America Centrale e Meridionale, il bacino mediterraneo, l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e parte dell’Asia e dell’Africa, portandovi la propria cultura e le proprie tradizioni». Una civiltà che non chiamava se stessa “atlantidea”, bensì “ennosigea”, dal nome di una delle principali di queste sette terre, chiamata appunto En’n. Proprio la terra di En’n, situata ad Ovest dello stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole dell’antichità) era grande quanto Francia e Spagna messe insieme. E stando sempre ai testi eleusini, a En’n «esisteva una regione, collocata in posizione nord-orientale, denominata Hathlanthivjea», un tempo «fiorente Stato indipendente, prima della conquista ennosigea avvenuta attorno al 12.000 avanti Cristo».Hathlanthivjea, cioè Atlantide? «Il suo nome, composto da quattro diversi geroglifici, significherebbe “la Grande Madre venuta dal Mare”», spiega Bizzi, che premette: «I testi delle scuole misteriche eleusine non costituiscono una “prova”»; anche se attribuiti ad autori dell’antichità, «sono stati oggetto di più trascrizioni attraverso il medioevo e i secoli successivi, e non se ne possiedono più gli originali». Tuttavia, «non si può escludere che Platone, nelle sue narrazioni, faccia proprio riferimento alla regione di Hathlanthivjea». Tornando a Hancock, l’autore scozzese ha ragione quando sostiene che le riserve su Platone alludono al fatto che il filosofo abbia forse basato il suo racconto su un cataclisma molto più recente avvenuto nel Mediterraneo, come ad esempio l’eruzione di Thera (Santorini) attorno al 1500 avanto Cristo. «Ma si tratta di una visione miope e di convenienza, del resto ormai superata e surclassata dal pieno riconoscimento scientifico dell’impatto cometario del Dryas Recente», taglia corto Bizzi.Il concetto di un disastro globale verificatosi più di 11.000 anni fa, e in particolare l’idea eretica che esso abbia potuto spazzare via una grande civiltà evoluta esistente in quell’epoca, è sempre stato strenuamente respinto e ridicolizzato dall’archeologia “ufficiale”. Chiaro il motivo, dice Hancock: «Ovviamente gli archeologi dichiarano di “sapere” che non vi fu, e non avrebbe mai potuto esistere in nessuna circostanza, una civiltà altamente sviluppata in quel periodo. Lo “sanno” non grazie a prove inconfutabili che permettano di escludere l’esistenza di una civiltà tipo Atlantide nel Paleolitico Superiore, ma piuttosto basandosi sul principio generale che il risultato di meno di duecento anni di archeologia “scientifica” rappresenti una linea temporale accettata per il progresso della civiltà, che vede i nostri antenati uscire lentamente dal Paleolitico Superiore per entrare nel Neolitico intorno al 9.600 e da lì in poi evolvere attraverso lo sviluppo e il perfezionamento dell’agricoltura nei millenni successivi».Tirando le somme, a Bizzi sembra evidente che stiamo ormai assistendo alla fine dell’attuale “paradigma” e che la rivoluzione archeologica in atto sia ormai incontenibile e irreversibile. «È stato geologicamente provato, grazie alle ricerche condotte da numerose spedizioni oceanografiche, che vaste aree di quello che è oggi l’Atlantico Settentrionale si trovavano in stato di emersione, fino a circa 12.000 anni fa». E non solo: «Il fondale atlantico, proprio in quelle aree – che vanno dai Carabi fino alle Azzorre e a Gibilterra – è cosparso di rovine, di mura, di strutture piramidali e di veri e propri resti di città, estese anche numerosi ettari, con strade che si intersecano perfettamente ad angolo retto». Attenzione: «Stiamo parlando di strutture la cui origine non può essere assolutamente attribuita alla natura. Si tratta di opere dell’uomo realizzate in un’epoca ovviamente precedente alla sommersione di questi tratti di fondale. Sommersione che, grazie a campioni di tectiti, di fossili e di lava vulcanica prelevati dai fondali e opportunamente analizzati, è databile grosso modo al 9.600 avanti Cristo: guarda caso, si tratta della stessa data fornitaci da Platone in merito all’affondamento della “sua” Atlantide».Senza insistere necessariamente su Atlantide, conclude Bizzi, occorre prendere atto che di “Atlantidi” ne sono esistite numerose, in ogni angolo del globo. Quantomeno, sono esistite diverse “civiltà madri” precedenti alla nostra: «E ci hanno lasciato le loro testimonianze inconfutabili, dal Perù ai fondali dell’Atlantico, dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Amazzonia all’Indonesia, dal Pacifico all’Antartide». Mentre la gran parte dell’archeologia universitaria continua a tacere, rifiutando di accettare le logiche conclusioni delle ultime rivoluzionarie scoperte, «le prove scientifiche dell’impatto cometario del Dryas Recente», che decretò la scomparsa di quelle antiche civiltà, «costituiscono quello che in gergo poliziesco si chiama “pistola fumante”». Chiosa Nicola Bizzi: «La Storia è ormai da riscrivere, da riscrivere completamente, e non ci sarà “paradigma” che possa impedire di farlo».(Il libro: Nicola Bizzi, “Da Eleusi a Firenze. La trasmissione di una conoscenza segreta”, vol. 1, Aurola Boreale, 800 pagine, 35 euro).Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.
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Magaldi: vogliono comprare Tria e Conte per il dopo-Salvini
«E bravo Matteo Renzi, finalmente promosso “cameriere” del Bilderberg». Dall’alto del suo nuovo ossevatorio, l’ex leader Pd dice che il governo gialloverde non ha finora toccato palla su nessuno dei temi dell’agenda-Italia? «Se è per questo neppure il suo governo toccò palla, esattamente come i governi Letta e Gentiloni». Solo ciance, dietro alla rigida obbedienza all’ordoliberismo Ue. Però Renzi ha ragione, ammette Gioele Magaldi: dopo un anno, Lega e 5 Stelle hanno totalizzato lo stesso punteggio del fanfarone fiorentino, cioè zero. La differenza? Al Giglio Magico è subentrato «il Cerchio Tragico, targato Di Maio». E se Salvini non ha ancora trovato il coraggio di mandare a stendere Bruxelles, il pericolo maggiore viene dall’interno. Il primo “imputato” è il ministro Giovanni Tria, che sembra passato armi e bagagli al “partito di Mattarella”, intenzionato a bloccare qualsiasi cambiamento. E il peggio è che ad alzare la diga ora ci si mette pure Giuseppe Conte, con la sua prudenza esasperante. Attenti: è come se Conte e Tria fossero già “in vendita”, disposti a far naufragare l’esecutivo in cambio della promessa di future poltrone. Magaldi si rivolge a Salvini: «Se ora gli impediscono di fare la Flat Tax e di varare i minibot, stacchi la spina al governo: a quel punto saranno gli italiani, alle elezioni, a dire come la pensano».
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Magaldi: Salvini abbaia ma non morde, proprio come l’Italia
Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.Non si smuove di un millimetro l’impero abusivo di Bruxelles, dominato da lobbisti travestiti da statisti. L’altra notizia è che la situazione sta peggiorando a vista d’occhio. E il governo gialloverde non sa che pesci pigliare, non avendo osato sfidare gli oligarchi tenendo duro almeno sulla richiesta di deficit. Povero Salvini, comunque: tacciato di xenofobia, pur essendo stato l’unico a far eleggere un senatore di origine africana. Lo hanno anche accusato di fascismo per il libro pubblicato dall’editrice vicina a CasaPound, sfrontatamente cacciata dal Salone del Libro di Torino – strano posto, dove si fa la guerra (elettorale) a un’azienda, anziché eventualmente lasciar procedere i magistrati (nel caso, per apologia di fascismo) contro la discutibile sortita verbale, individuale, di uno dei suoi responsabili. E a proposito di Torino: quante volte il Salone dell’Ipocrisia ha ospitato editori e autori dichiaratamente comunisti, quindi teoricamente altrettanto ostili, sulla carta, all’orizzonte culturale e antropologico della democrazia liberale? Ne ha per tutti, Gioele Magaldi, nell’osservare il caos che domina la vigilia delle europee: «Elezioni perfettamente inutili», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, che annuncia che diserterà le urne. Motivo: impossibile sperare in un voto utile. Tutto resterà come prima, nelle mani del neoliberismo di regime incarnato da Ppe e Pse.Da una parte c’è il mostruoso e grottesco Juncker, che – in spregio di qualsiasi etica e decenza democratica – già annuncia che “i populisti” saranno tenuti lontani dai ruoli-chiave, a prescindere dal risultato della consultazione. All’ombra di Juncker siede l’altrettanto imbarazzante Moscovici, il “signor no” del deficit italiano, in conferenza stampa con l’ectoplasmatico Gentiloni, alter ego dell’impalpabile Zingaretti. A loro va bene così: con l’Italia che “subisce ancora”, come Fantozzi, votata – per una assurda maledizione – a non crescere, a restare sottomessa e depressa, a non guarire mai. Ma chi fronteggia l’impostura? In campo ci sono (rumorosamente) soltanto loro, i cosiddetti sovranisti, cioè la pessima compagnia che si è scelto Matteo Salvini: «I primi a opporsi all’Italia quando chiedeva più deficit sono stati proprio Polonia e Ungheria, gli alleati teorici della Lega», fa notare Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha disegnato la mappa segreta del potere mondialista, interamente massonico, che ha progettato questa globalizzazione senza diritti che stiamo tutti scontando, italiani senza lavoro e giovani senza futuro, aziende sull’orlo del fallimento, professionisti costretti a mendicare pagamenti che non arrivano mai.Sovranismo contro globalismo? Falsa dicotomia, checché ne pensi l’ex ideologo grillino Paolo Becchi: non contano le dimensioni del sistema, le sue frontiere, ma le modalità di gestione – democratiche oppure oligarchiche, progressiste o conservatrici (alzi la mano chi vorrebbe vivere nella Corea del Nord, paese teoricamente ultra-sovranista). E il nostro Salvini? S’è perso per strada, prima ancora di cominciare: «Abbaia, ma non morde», dice Magaldi. In questo, ricorda sinistramente l’altro Matteo, il Renzi che – a parole – sembrava sul punto di resuscitare l’Italia, opponendosi agli abusi della subdola tecnocrazia europea. In un attimo, è passato dal 40% agli scantinati della politica, tra gli ex. Potrebbe succedere anche al condottiero leghista: l’imboscata sleale di Di Maio e Conte – decapitare Armando Siri, per offrire una stampella moralistica ai 5 Stelle in pieno panico pre-elettorale – è già costata un 6% di consensi, alla Lega, almeno stando ai sondaggi. Su Siri, Magaldi è indignato: il sottosegretario doveva restare al suo posto, essendo solo indagato. «Salvini doveva difenderlo a oltranza. E invece cosa ha fatto? Al solito: ha abbaiato, minacciando sfracelli, ma poi ha ingoiato il rospo anche stavolta, incassando una sconfitta bruciante». Un guerriero di latta, il cui consenso si sta mostrando pericolosamente effimero e friabile.«Salvini sa benissimo che è Bruxelles, che dovrebbe mordere, e non i negozi di cannabis terapeutica: queste battaglie tragicomiche le lasci a Fusaro, e spenda meglio il suo tempo. Pensi all’Italia, alla crisi che sta azzannando il paese». Già, la grande crisi che tutti fingono di non vedere. Fino a ieri, se non altro, Salvini la indicava senza ipocrisie: è riuscito a piazzare al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai. Dopodiché, nebbia in Val Padana. «Oltre ad aver ceduto di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit, che avrebbe fatto crescere il Pil riducendo l’incidenza del debito – argomenta Magaldi – il governo gialloverde non ha neppure preso in considerazione la proposta che l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, avanza da anni: creare moneta parallela, non a debito e perfettamente ammessa dal Trattato di Lisbona, per aggirare la scarsità artificiosa di liquidità che affligge l’Eurozona e creare quei posti di lavoro di cui l’Italia ha drammaticamente bisogno».Infrastrutture strategiche, servizi, welfare, sicurezza del territorio. Servono soldi, che però l’élite neo-feudale non vuole che si spendano: la fine della crisi sarebbe anche la fine dell’attuale potere oligarchico, basato sulla precarizzazione del lavoro. Il piano avanza da anni, implacabile: tagliare i viveri allo Stato per costringerlo ad alzare le tasse, comprimere i salari e colpire i consumi. Amputare il welfare significa spremere il paese, spingendolo a erodere i risparmi. Il cielo si chiude: rassegnazione. Meno opportunità, meno diritti. Le elezioni? Non contano: lo dice Juncker, spettrale tecnocrate al quale Fabio Fazio, sulla Rai, stende il tappeto rosso. Se la ride, l’oligarca del Lussemburgo (rinomato paradiso fiscale, per decenni), già sapendo che l’alleanza di piombo tra popolari e socialisti europei ridurrà le elezioni del 26 maggio a una lugubre barzelletta. Ci vuole ben altro, per rovesciare questi cialtroni: un programma rivoluzionario, radicale, che smonti le loro menzogne travestite da scienza economica e vendute al popolo bue come dogma di fede. Salvini, almeno lui, lo sa benissimo. Ed è per questo che è imperdonabile, oggi, il suo ostinarsi ad abbaiare – contro falsi obiettivi – senza mai decidersi a mordere davvero.(Il pensiero di Magaldi è sintetizzato in due interventi su YouTube, l’11 maggio in video-chat con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, e il 13 maggio con Fabio Frabetti, conduttore di “Border Nights”. Dopo il recente convegno di Londra sul New Deal rooseveltiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, i temi esposti da Magaldi – come risolvere la crisi italiana, affrontando finalmente l’oligarchia di Bruxelles – saranno alla base dell’assemblea che il 14 luglio, a Roma, darà vita al “Partito che serve all’Italia”, laboratorio politico che si candida a smascherare le ipocrisie e la mancanza di coraggio della politica italiana di fronte alle reali cause del malessere del paese).Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.
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Benvenuti nel nuovo medioevo della religione scientista
La scienza è fondata sul dubbio. Senza il dubbio, saremmo ancora tutti convinti che il sole giri intorno alla terra. I primi a introdurre il metodo scientifico furono considerati dei matti e perseguitati come eretici, perché mettevano in discussione le “verità consolidate” al tempo vigenti. Furono ridicolizzati, emarginati, perseguitati, condannati e non di rado anche uccisi, nel roboante applauso delle folle. Mille anni più tardi, abbiamo gli “scientisti”: persone di ogni età, estrazione sociale e livello di cultura formale che riducono la scienza ad una religione, una patologica caricatura di se stessa. Condividono e promuovono una fede cieca in qualcosa che definiscono “verità scientifica”, considerano matti e perseguitano come eretici tutti coloro che su di essa avanzano dei dubbi e li mettono in discussione. In questa nuova e triste religione, i medici e gli scienziati che difendono l’ortodossia diventano altrettanti profeti e vescovi, con masse di penitenti che demandano a questi loro nuovi sacerdoti la salvezza dei loro corpi e delle loro anime. Dai pulpiti televisivi i nuovi predicatori annunciano le pestilenze infernali: «L’aviaria vi colpirà, la peste suina cadrà su di voi, il morbillo ucciderà i vostri figli partendo da Disneyland e arrivando fino a Gardaland!».E in coro rispondono le masse: «Difendici dall’epidemia, oh gloriosa Scienza Ufficiale! Dacci oggi le nostre pillole colorate, allontana da noi queste terribili malattie, vaccina i nostri figli appena nati prima che il batterio luciferino entri in loro». Ora come allora, i medici e gli scienziati che pongono dubbi all’ortodossia vengono considerati traditori ed eretici; radiati, emarginati, derisi nel roboante applauso delle folle esattamente come mille anni or sono. Non è un mistero perché la scienza sia stata corrotta fino a trasformarsi in questa triste religione: pochissime persone hanno il coraggio di affrontare la responsabilità di esistere. L’idea che ci sia qualcuno, qualcosa, che dia un ordine all’esistenza è una consolazione enorme, archetipica. I bambini la cercano fisiologicamente nei genitori e, benché crescendo anagraficamente, la maggior parte degli individui non riesce a superare tale condizione. Per questo le religioni accompagnano da sempre la nostra specie, forniscono il surrogato necessario: un genitore celeste, estraneo ad errori e fraintendimenti, che ci rassicuri in massa dal terrore del vuoto.Quando però le religioni sfumano, le credenze si sgretolano, come è avvenuto negli ultimi mille anni, ecco che lo “scientismo” offre nuove sponde cui aggrapparsi. Un nuovo, freddo e rigoroso – ma perlomeno apparentemente solido – ordine esistenziale che plachi il terrore dello smarrimento. Il medioevo ci ha raggiunti di nuovo, sostituendo il saio con un camice da laboratorio, la gogna fisica con quella mediatica, la bibbia con i “dati ufficiali”, le chiese con i media. I nuovi sacerdoti e inquisitori, medici e scienziati “di sistema”, difendono l’ortodossia scientista con la stessa arroganza, la medesima ottusa spietatezza dei loro predecessori, ma con regole e liturgie rinnovate. Le masse di spaventati, furiosi, manovrati, sfruttati e del tutto inconsapevoli fedeli, invece, sono sempre le stesse.(Stefano Re, “Benvenuti nel nostro glorioso neo-medioevo scientista”, dalla pagina Facebook di Re del 29 giugno 2017).La scienza è fondata sul dubbio. Senza il dubbio, saremmo ancora tutti convinti che il sole giri intorno alla terra. I primi a introdurre il metodo scientifico furono considerati dei matti e perseguitati come eretici, perché mettevano in discussione le “verità consolidate” al tempo vigenti. Furono ridicolizzati, emarginati, perseguitati, condannati e non di rado anche uccisi, nel roboante applauso delle folle. Mille anni più tardi, abbiamo gli “scientisti”: persone di ogni età, estrazione sociale e livello di cultura formale che riducono la scienza ad una religione, una patologica caricatura di se stessa. Condividono e promuovono una fede cieca in qualcosa che definiscono “verità scientifica”, considerano matti e perseguitano come eretici tutti coloro che su di essa avanzano dei dubbi e li mettono in discussione. In questa nuova e triste religione, i medici e gli scienziati che difendono l’ortodossia diventano altrettanti profeti e vescovi, con masse di penitenti che demandano a questi loro nuovi sacerdoti la salvezza dei loro corpi e delle loro anime. Dai pulpiti televisivi i nuovi predicatori annunciano le pestilenze infernali: «L’aviaria vi colpirà, la peste suina cadrà su di voi, il morbillo ucciderà i vostri figli partendo da Disneyland e arrivando fino a Gardaland!».
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Carpeoro: fatevi un regalo, ricordatevi che dovrete morire
Quello della presenza del male nella nostra vita, nel mondo, è un vecchio problema: se ne sono occupati in tanti, anche Agostino di Ippona. Il concetto di male bisogna distinguerlo, perché noi a volte possiamo confondere un po’ le carte, scambiando una cosa per un’altra. Bisogna stare attenti a definirlo, il male. Certo, la nostra è un’epoca di grandissima confusione. Ma non è definibile come male assoluto, soprattutto in senso etico assoluto. Noi abbiamo fatto un po’ di pasticci, e questi pasticci derivano da scelte, alcune fatte nel Novecento ma altre anche prima, che poi hanno prodotto le loro “belle” conseguenze: scegliendo l’energia che deriva dagli idrocarburi abbiamo mandato a ramengo la natura. Ma abbiamo mandato a ramengo anche i rapporti, perché poi le cose che succedono in Siria e in Libia succedono proprio per la presenza dei giacimenti di idrocarburi. Diciamo che il protagonista negativo degli ultimi 20-30 anni è la Francia. Lo so che tutti si aspetterebbero che parlassi degli Stati Uniti d’America, ma in realtà non è così. Quello che è successo in Siria e in Libia è colpa della Francia. E al 50-60%, gli attentati commessi in Europa sono colpa della Francia.
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Boccia contro il governo, ma tutela solo il 5% delle imprese
Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.Dalle dichiarazioni di Boccia assolutamente non si capisce dove voglia andare la classe imprenditoriale italiana, ma forse si capisce fin troppo bene. Valerio Malvezzi ci fornisce una prima chiave di lettura. Infatti nell’industria e nei servizi le imprese italiane sono poco più di quattro milioni. Orbene, su quattro milioni di imprese, le grandi imprese, quelle con oltre duecentocinquanta addetti, sono 3.140 e assorbono il 18% dei lavoratori. Le restanti aziende, pari al 94,9% del totale, hanno una media di 3,8 lavoratori ed impiegano il 48% di tutti gli addetti, praticamente assorbono la metà dell’occupazione italiana. Dette imprese, con meno di 10 operai, giuridicamente sono denominate micro-imprese. In definitiva, il sistema Italia si regge sugli artigiani, sui commercianti, sui piccoli agricoltori, sui piccoli imprenditori. Boccia parla nell’interesse di queste micro-imprese o delle poche aziende che hanno dimensioni tali per potere esportare? La risposta è univoca. La Confindustria è strettamente legata al progetto globalista degli anni ‘90, che assume la forma più compiuta con la creazione dell’Unione Europea, e che può essere così riassunto: stabilità dei prezzi, indipendenza della banca centrale, basso costo del denaro, delocalizzazioni, grande attenzione all’export.Sappiamo anche, però, che questo nel medio-lungo periodo ha comportato la ristrutturazione del sistema-paese, da grande potenza industriale a mera piattaforma logistica di trasformazione e consumo di prodotti non nazionali. Ma perché portare avanti questa visione ottusa, che ormai da anni caratterizza tutto l’ambiente confindustriale, priva di impegno per la stragrande maggioranza degli imprenditori? Per il potere. I vincoli esterni, il giudizio dei mercati, l’arbitraggio fiscale, le strutture sovranazionali non elette hanno marginalizzato il ruolo della politica, ridotto il Parlamento o mero gabelliere di Bruxelles, hanno evirato le organizzazioni sindacali e impedito qualsiasi lotta di classe degna di questo nome conferendo così un grande potere politico e decisionale alle imprese multinazionali. In definitiva, che la politica economica del governo 5 Stelle-Lega possa avere successo e alleviare i problemi del 95% degli imprenditori italiani alla Confindustria interessa poco. In fondo essa rappresenta solamente ed esclusivamente gli interessi delle lobby nostrane, che sono pronte ad immolare l’Italia nel perseguimento del progetto distopico globalista secondo i dettami dei suoi cattivi maestri. Ça va sans dire: cummannari è megghiu ca futtiri.(Raffaele Salomone-Megna, “Cummannari è megghiu ca futtiri”, da “Scenari Economici” del 10 dicembre 2018).Un governo come quello in carica, che si propone di rilanciare la domanda interna e la produzione industriale, dovrebbe avere il gradimento della Confindustria, cosa che invece non avviene, almeno a giudicare dalle dichiarazioni del suo presidente Boccia. Secondo il leader degli imprenditori italiani, infatti, i provvedimenti contenuti nel Def non aiutano la crescita. Mancherebbero gli investimenti per le grandi opere infrastrutturali e soprattutto le risorse per diminuire il cuneo fiscale, che è la somma delle imposte dirette, indirette e dei contributi previdenziali che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti. Più semplicemente: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa al netto in busta paga e questa differenza in Italia è molto alta. Rilievi giusti, di fronte ai quali il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle sembrerebbe completamente fuori contesto e prospettiva. Tuttavia, chiedere più investimenti, meno imposte e tasse e nel contempo il rispetto delle assurde norme europee, ancorché accettate dai governi precedenti, diventa un vero e proprio ossimoro economico. E’ come aspettarsi la crescita dalla recessione, la diminuzione delle imposte dall’aumento delle stesse.
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D’Attorre: folle rigore Ue, ma a dirlo sono solo i gialloverdi
In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.Allora, se conveniamo che una delle ragioni fondamentali della catastrofica sconfitta della sinistra in tutte le sue articolazioni (Pd, LeU, Pap) è stata l’incapacità di trasmettere un messaggio chiaro e coerente sull’insostenibilità economica e democratica degli attuali vincoli europei, il primo passo da compiere è assumere un atteggiamento che su questo tema renda evidente la discontinuità la comprensione della lezione del 4 marzo. Se è così, la precondizione necessaria affinché la critica agli aspetti sbagliati della politica economica del governo torni ad apparire minimamente credibile ai ceti medi e popolari che ci hanno voltato le spalle, è quello di collocarsi dalla parte giusta rispetto allo scontro in atto. E la parte giusta non è quella di Dombrovskis, di Moscovici, di Juncker e di una Commissione Europea ormai priva di qualsiasi credibilità e autorevolezza, dopo quello che ha combinato sulla Grecia e dopo che da anni consente alla Francia di ignorare le regole sul deficit e alla Germania quelle (ancora più importanti) sul surplus commerciale.Solo se renderemo inequivocabilmente chiaro che noi non saremo mai più dalla parte del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, della favola dell’austerità espansiva, di un’applicazione del regole europee insieme ottusa e discriminatoria, le critiche che dobbiamo fare alla manovra del governo sul fisco, sui rischi di ulteriori tagli a sanità e istruzione pubblica, sul troppo debole rilancio degli investimenti, sulla previsione di nuove privatizzazioni avranno il tono della sincerità e dell’onestà intellettuale. Per essere chiari, la partita politica si può riaprire e si può tornare a contendere il voto popolare alla destra solo se ci mettiamo dal lato del cambiamento, non della restaurazione. L’illusione che basti gridare (peraltro non si capisce da quale pulpito…) alla cialtroneria e all’incompetenza dei nuovi governanti per riconquistare la fiducia degli italiani, per favore, lasciamola a Renzi.(Alfredo D’Attorre, riflessioni su Europa, Pd e “gialloverdi”, riprese sul gruppo Facebook del Movimento Roosevelt. Giovane storico della filosofia e già parlamentare “bersaniano” del Pd, D’Attorre alle ultime elezioni era candidato con “Liberi e Uguali” in Calabria).In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.