Archivio del Tag ‘pensiero’
-
Gallino: con l’euro ci stanno facendo tornare al medioevo
«Una fiammella di pensiero critico nell’età della sua scomparsa». Luciano Gallino, noto sociologo, parla così della sua ultima fatica “Il denaro, il debito e la doppia crisi” (Einaudi editore). Un testo, dedicato ai nipoti, che analizza l’attuale fase socio-economica: «Senza un’adeguata comprensione della crisi del capitalismo e del sistema finanziario, dei suoi sviluppi e degli effetti che l’uno e l’altro hanno prodotto nel tentativo di salvarsi, ogni speranza di realizzare una società migliore dall’attuale può essere abbandonata», si legge nella prefazione al libro. Il suo giudizio è netto, crudo e decisamente pessimista. A partire dagli anni Ottanta avremmo visto scomparire due pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella, appunto, del pensiero critico. Al loro posto ci ritroviamo con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la vincitrice assoluta della nostra era. Qual è la doppia crisi che va spiegata ai nipoti? «La crisi del capitalismo e del sistema ecologico. Due crisi strettamente legate tra loro».È possibile che il capitalismo attuale sia in una stagnazione senza fine, dichiara Gallino a Giacomo Russo Spena in un’intervista pubblicata da “Micromega”. Difficile che il sistema riprenda una marcia espansiva come se nulla fosse successo in questi anni: «Con la finanziarizzazione dell’economia, il capitalismo ha tramutato in merce un’entità immaginaria, ovvero il futuro. A tale desolante quadro, si collega la distruzione del nostro sistema ecologico». Ovvero: «Per ottemperare alla crisi, il capitalismo ha reagito devastando ambiente e consumando maggiori risorse, mentre nel mondo le materie prime sono in via di esaurimento. Ciò ha causato distruzioni all’ecosistema e danni climatici come il surriscaldamento del pianeta». I progressi intrapresi con il Protocollo di Kyoto? «I paesi sono lontani dal mantenere gli obiettivi prefissati, i risultati sotto gli occhi di tutti: l’innalzamento delle temperature, “bombe” d’acqua, alluvioni».Gallino narra la storia di una sconfitta politica. Al posto del pensiero critico ci ritroviamo con l’egemonia dell’ideologia neoliberale: la lotta di classe l’avrebbero vinta i ricchi. Ma come siamo arrivati a questo punto? «Dagli anni ’80 il pensiero neoliberale ha scatenato un’offensiva che ha messo sotto attacco le idee e le politiche di uguaglianza. Un apparato di super-ricchi e potenti ha imposto il proprio dominio su finanza, società e media. Nessun esponente politico ne è rimasto escluso, anche dopo il 2007 quando tale pensiero è entrato totalmente in crisi». In gioco, aggiunge il sociologo, non c’è soltanto la demolizione del welfare, ma «la ristrutturazione dell’intera società secondo il modello della cultura politica neoliberale, o meglio della sua variante, soprattutto se pensiamo al piano tedesco: l’ordoliberalismo», regolato da una ferra disciplina sociale a vantaggio dei più ricchi.A proposito delle ricette economiche adottate per affrontare la crisi, nel libro scrive che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità. «I governi dei paesi europei hanno sposato i paradigmi dell’economia neoliberale e perseguito il dogma dell’austerity non avanzando una sola spiegazione decente delle cause della crisi mondiale: i modelli intrapresi sono lontani anni luce della realtà dell’economia. Hanno utilizzato modelli vecchi e superati». Un esempio italiano? «Nella nuova riforma sul lavoro, il Jobs Act, non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. È una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in Germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse – poi riviste – della metà anni ’90». Un’altra follia, continua Gallino, è l’aver avallato l’idea che una crescita senza limiti dell’economia capitalistica sia possibile. «In questa lunga discesa verso la recessione, gli esecutivi di Berlusconi, Monti, Letta e ora Renzi saranno ricordati come quelli con la maggiore incapacità di governare l’economia in un periodo di crisi. I dati sono impietosi».Con il terremoto finanziario ha “perso” l’idea di uguaglianza. Un dato su tutti: il 28% è il numero dei bambini che vivono sotto la soglia di povertà in Europa. Sempre il 28, scrive Russo Speana, è la crescita del fatturato delle aziende del lusso tra il 2010 e il 2013. Anni di crisi, quindi, ma non per tutti? «Nei maggiori paesi Ocse, nel periodo 1976-2006, la quota salari sul Pil è scesa in media di 10 punti, i quali sono passati alla quota profitti dando origine a diseguaglianze di reddito e ricchezza mai viste dopo il Medioevo. Inoltre, va evidenziato che l’enorme diseguaglianza non è la causa ma l’effetto delle politiche di austerity adottate dai governi per combattere la crisi. Due facce di unico processo: la redistribuzione dal basso verso l’alto con i più poveri che sono stati impoveriti dai più ricchi». Vie d’uscita? Una sola, ovvero «il superamento del pensiero neoliberale sotto i vari aspetti a cominciare da quello economico».Nulla che sia all’orizzonte, però. Anche se, recentemente, si stanno sviluppando «esempi di resistenza» e “pensatoi” di studiosi che riflettono su ipotesi di discontinuità. Ma, appunto, «siamo lontani da un effettivo cambiamento dello status quo». In realtà, servirebbe «un segnale di rottura anche nella scuole e nell’università che, negli ultimi decenni, hanno subito un attacco da parte dei governi a colpi di riforme orientate a espellere il pensiero critico dai luoghi della formazione: l’intero sistema doveva essere ristrutturato come un’impresa che crea e accumula “capitale umano”». La crisi del capitalismo ha portato anche ad una crisi della democrazia? «Sicuramente, basta pensare all’attuale architettura dell’Unione Europea e alla sovranità perduta: il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles è andato oltre a quel che era previsto dal trattato di Maastricht. Temo che il sogno europeista si sia infranto sugli scogli dell’euro».La moneta unica, aggiunge lo studioso, «si è rivelata una camicia di forza e non ha minimamente contribuito a ridurre gli scarti tra un’economia e l’altra in termini di ricerca e sviluppo, investimenti, innovazione di prodotto e di processi, dotazione di infrastrutture ed istruzione professionale». Gallino si dichiara apertamente no-euro: «Decisamente sì, lo sono da anni». E spiega: «Ci vuole un intervento radicale», anche se sa benissimo che l’uscita dalla moneta unica è «complessa e difficile», quindi «va pensata gradualmente e concordata con Bruxelles». Pensa anche alla rottura dell’Unione Europea? Questo no: «Uscire dall’Europa sarebbe, per l’Italia, un disastro economico per via dei cambi che si scatenerebbero contro di noi». Gallino è «favorevole ad una graduale uscita dall’euro, rimanendo però nell’Unione Europea». Sottolienea come sia «tecnicamente possibile», e si impegna a dimostrarlo in un “paper” che presenterà a breve.Russo Spena si domanda se «una sinistra degna di questo nome» non dovrebbe fare proprio il tema della lotta alla diseguaglianza sociale. Già, ma quale sinistra? «Dove sta a sinistra una formazione di qualche solidità e ampiezza che ne abbia fatto la propria bandiera?». Anche in Italia «ci sono dei segmenti», però «sono ininfluenti, soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione politica. Purtroppo, da noi, la sinistra non esiste», chiarisce Gallino. E Syriza, Podemos, il Sinn Fein e le altre forze della sinistra europea? Nient’altro che «segnali di incoraggiamento», verso i quali Gallino resta cauto: «Bisogna capire quanto dureranno questi fenomeni e se riusciranno realmente ad incidere a Bruxelles e contro le politiche d’austerity. Tifo per loro senza illusioni». Poco allegro, dunque, l’orizzonte per i giovani. «Cambiare in modo radicale le strategie di produzione e consumo è una necessità vitale per l’intera umanità». Un messaggio ai ragazzi? «Se volete avere qualche speranza… studiate, studiate, studiate».«Una fiammella di pensiero critico nell’età della sua scomparsa». Luciano Gallino, noto sociologo, parla così della sua ultima fatica “Il denaro, il debito e la doppia crisi” (Einaudi editore). Un testo, dedicato ai nipoti, che analizza l’attuale fase socio-economica: «Senza un’adeguata comprensione della crisi del capitalismo e del sistema finanziario, dei suoi sviluppi e degli effetti che l’uno e l’altro hanno prodotto nel tentativo di salvarsi, ogni speranza di realizzare una società migliore dall’attuale può essere abbandonata», si legge nella prefazione al libro. Il suo giudizio è netto, crudo e decisamente pessimista. A partire dagli anni Ottanta avremmo visto scomparire due pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella, appunto, del pensiero critico. Al loro posto ci ritroviamo con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la vincitrice assoluta della nostra era. Qual è la doppia crisi che va spiegata ai nipoti? «La crisi del capitalismo e del sistema ecologico. Due crisi strettamente legate tra loro».
-
Keynes: piena occupazione, senza valori niente crescita
L’asse portante della teoria macroeconomica dell’economista inglese degli anni Trenta John Maynard Keynes, tornato al centro del dibattito politico-economico nel pieno dell’attuale crisi economica e sociale prodotta dalla finanza internazionale libera da ogni vincolo e regola, è eliminare l’instabilità del mercato e le diseguaglianze economiche e sociali per realizzare “una buona vita e una buona società”. Il suo pensiero, basato sul rifiuto di una crescita economica priva di valori umani, della sostenibilità sociale e ambientale, lo portò a dire: «Noi economisti abbiamo la responsabilità non per la civiltà stessa ma per creare le possibilità che una civiltà possa realizzarsi». Ammonimento «accolto da un nucleo ristretto di eretici della sinistra» e poi «debitamente oscurato, quando non stravolto e opportunamente manipolato, da una sinistra attratta dalle sirene del pensiero unico neoliberista, linfa vitale della finanza internazionale», scrive Carlo Patrignani sull’“Huffington Post”, presentando l’ultimo volume che riassume il pensiero del grande economista inglese, archiviato dall’oligarchia planetaria.A fare chiarezza sull’opera e la persona di Keynes, «la cui fama e importanza nel XX secolo è stata pari a quella di Carlo Marx nel XIX», è ora Jesper Jesperson, economista dell’università danese di Roskilde, che toglie Keynes «dall’uso contraffatto agito dai tutori del pensiero unico neoliberista». Un libro scorrevole e chiaro, “John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società”, edito da Castelvecchi e curato dall’economista Bruno Amoroso, amico e allievo di Federico Caffè, «uno degli eretici più autorevoli delle sacche di resistenza che negli anni ‘70 con il loro agire, di fatto, si opposero alla manipolazione e occultamento di Keynes nelle università come nei ministeri europei delle finanze e in particolare oggi di Berlino, Londra, Roma, Copenaghen e Bruxelles». Fautore della piena occupazione, «che non coincide con la crescita economica illimitata ma con l’equa ripartizione del lavoro e dei redditi», Keynes è stato ridotto – dice Amoroso – all’assunto che la causa della disoccupazione risiede nella rigidità dei salari monetari.«Al contrario è l’assenza e imprevedibilità della domanda, sostiene Keynes, a causare l’instabilità del mercato, il che è in diretta opposizione alla tesi degli economisti neoclassici secondo cui l’offerta genera la sua domanda e il sistema di mercato si autoregola». Per Keynes, la disoccupazione non è solo dovuta alla mancanza di posti di lavoro – per cui, seguendo il suo insegnamento, «è possibile invertire la congiuntura negativa con il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’Ue per creare 20 milioni di posti di lavoro che mancano». Ma i veri valori della società umana «non si ottengono con lunghe ore di lavoro e neanche con gli acquisti di prodotti superflui e di facile invecchiamento», scrive Patrignani. E di fronte alle sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi, Jespersen la vede così: «La filosofia sociale di Keynes, ispirata alla costruzione di un sistema economico internazionale che coniuga regolamentazione del mercato dei capitali e libero commercio, può costituire uno straordinario contributo nella direzione di una politica coordinata e solidale che rispetti le diversità e le situazioni dei singoli paesi».(Il libro: Jesper Jesperson, “John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società”, Castelvecchi, 156 pagine, euro 17,50).L’asse portante della teoria macroeconomica dell’economista inglese degli anni Trenta John Maynard Keynes, tornato al centro del dibattito politico-economico nel pieno dell’attuale crisi economica e sociale prodotta dalla finanza internazionale libera da ogni vincolo e regola, è eliminare l’instabilità del mercato e le diseguaglianze economiche e sociali per realizzare “una buona vita e una buona società”. Il suo pensiero, basato sul rifiuto di una crescita economica priva di valori umani, della sostenibilità sociale e ambientale, lo portò a dire: «Noi economisti abbiamo la responsabilità non per la civiltà stessa ma per creare le possibilità che una civiltà possa realizzarsi». Ammonimento «accolto da un nucleo ristretto di eretici della sinistra» e poi «debitamente oscurato, quando non stravolto e opportunamente manipolato, da una sinistra attratta dalle sirene del pensiero unico neoliberista, linfa vitale della finanza internazionale», scrive Carlo Patrignani sull’“Huffington Post”, presentando l’ultimo volume che riassume il pensiero del grande economista inglese, archiviato dall’oligarchia planetaria.
-
Il web abbatterà il capitalismo: è la fiaba di Paul Mason
«E’ arrivato un nuovo profeta che promette un postcapitalismo meraviglioso, umano, collaborativo, intellettuale, gratuito». E’ Paul Mason, oracolo di un postcapitalismo che «ci porterà gioia, felicità, condivisione libera e liberazione dalla fatica». Basta «confidare nella potenza rivoluzionaria e salvifica delle nuove tecnologie», ovvero «credere che il web sia la nuova fabbrica», e che quindi «il suo proletariato digitale, diverso da quello industriale perché più informato e più connesso, possa abbattere questo capitalismo». Tutto bello e affascinante, scrive Lelio Demichelis. Peccato però che se il vecchio proletariato aveva «una propria coscienza di classe capace di fare contrasto al capitalismo», prima di sciogliersi in esso e condividerne l’egemonia, «questo proletariato digitale è nato invece già antropologicamente capitalista», vuole essere integrato (connesso) nel sistema, e «pur essendo forse ancora classe in sé (mai così tanti lavoratori precari, della falsa conoscenza, della sharing economy, taylorizzati e fordizzati in rete o uberizzati ovunque)» non sarà mai “classe per sé”, «perché incapace di una coscienza comune e di una progettualità politica alternativa», convinto com’è che «non ci sono alternative».Ciascun componente di questo metaforico proletariato digitale «è stato ormai separato, isolato dagli altri e messo in competizione con gli altri», scrive Demichelis su “Micromega”. «Difficile immaginare la realizzazione di un postcapitalismo se ormai l’essenza della stessa società è il capitalismo più la tecnica». Quale alternativa, dunque, «se ogni giorno il sistema ci educa ad essere capitalisti, se la rete stessa è oggi diventata puro capitalismo (in versione non 2.0 ma 0.0)»? Eppure oggi circola questa nuova versione aggiornata – da Paul Mason, autore di quel “Postcapitalismo” che sta occupando le pagine di media pronti a dare voce ai tecno-entusiasti – della vecchia favola del postcapitalismo che verrà. Mason propone «un mondo senza mercato, i banchieri centrali eletti democraticamente, il potere nelle mani della società civile, un reddito di cittadinanza, l’azzeramento (o quasi) del tempo di lavoro, la produzione di macchine, beni e servizi a costi marginali nulli». Si torna al tempo in cui il web, agli inizi, «già dimostrava la sua sconfinata potenza nel produrre retoriche per sé e per la sua accettazione di massa», una macchina «capace di generare uno sconfinato e inarrestabile storytelling» in grado di «abbattere ogni pensiero critico, ogni analisi razionale, ogni anticonformismo tecnologico».Leggere Mason, continua Demichelis, fa l’effetto di un tempo che si è bloccato alle promesse della new economy degli anni ’90 del secolo scorso (che favoleggiava di fine dei fastidiosi cicli economici, prometteva la liberazione dalla fatica e un lavoro immateriale e intellettuale per tutti), alla fine del lavoro (1995) e all’era dell’accesso (2000) di Jeremy Rifkin, alla wikinomics di Don Tapscott e Anthony Williams (2007), al punkcapitalismo di Matt Mason (2009), passando per l’Howard Rheingold della rete che ci rende intelligenti (2012), al Rifkin (ancora) della società a costo marginale zero (2014), ovvero all’Internet delle cose, all’ascesa del “commons collaborativo” e quindi dell’eclissi del capitalismo. Senza dimenticare Toni Negri e Michael Hardt del Comune (2010), «per non citare che alcuni dei componenti di questo variegato mondo di profeti, di guru del post, abili nell’immaginare il nuovo regno di Dio-tecnica in terra, ma incapaci di fare preliminarmente una doverosa e foucaultiana archeologia dei poteri e dei saperi dominanti nelle società tecno-capitaliste».La loro soluzione per arrivare al postcapitalismo – più tecnologia, quindi condivisione e libera circolazione delle idee – è in contraddizione con la natura stessa della tecnologia, «ormai strettamente integrata al capitalismo (sono una cosa sola)», visto che proprio la tecnologia permette al capitalismo «di sopravvivere alle sue contraddizioni», mentre il capitalismo non è che «la benzina che permette alle nuove tecnologie di essere ciò che sono». Paradossale, aggiunge Demichelis, è dunque immaginare che quella tecnologia che sostiene il capitalismo e che lo ha reso globale (“totalitaria” la sua evangelizzazione) e che si serve del capitalismo per accrescersi, possa giocare contro se stessa liberandosi dal capitalismo che la sostiene. «Curioso: le ideologie o le religioni secolari del ‘900, che credevamo morte, sono in realtà più vive che mai e producono incessantemente nuove favole collettive, nuovi tecno-fideismi e tecno-integralismi che si offrono per dare un senso a un mondo apparentemente senza senso perché liquido, in realtà pesantissimo di connessioni obbligatorie, di incessanti pedagogie di adattamento non solo al mercato quanto alle nuove tecnologie». Come le nuove tecnologie di vent’anni fa «ci affascinano e ci promettono molto, e continuamente cediamo alla loro richiesta di fede». Illusioni: «Sanno di non avere mantenuto le promesse (meno lavoro, meno fatica, più libertà) e provano a rinnovare la promessa, chiedendoci di recitare nuovamente il loro Credo».Giornalista economico di simpatie laburiste, in questo “Postcapitalism” (che uscirà in Italia nei prossimi mesi), Mason scrive che il capitalismo finanziario di questi ultimi anni – erede di quello industriale e mercantile – avrebbe i giorni contati: la rivoluzione informatica determinerebbe una modifica sostanziale dei modi di produzione e di consumo, mettendo in discussione il sistema basato sulla legge della domanda e dell’offerta, della proprietà e dello scambio e inaugurando una nuova economia basata su tempo libero, attività in rete e gratuità. «La tecnologia ha creato una nuova via d’uscita», scrive Mason. «Quello che resta della vecchia sinistra – e di tutte le forze che ne sono state influenzate – si trova di fronte a una scelta: imboccare questa strada o morire». Il capitalismo «non sarà abolito con una marcia a tappe forzate», bensì «grazie alla creazione di qualcosa di più dinamico, che inizialmente prenderà forma all’interno del vecchio sistema, passando quasi inosservato, ma che alla fine aprirà una breccia, ricostruendo l’economia intorno a nuovi valori e comportamenti. Lo chiameremo postcapitalismo».Questo processo sarebbe già iniziato, grazie a tre grandi cambiamenti: nuove tecnologie, informazione dal basso, produzione condivisa. Le nuove tecnologie «hanno ridotto il bisogno di lavoro, rendendo meno netto il confine tra lavoro e tempo libero e meno stringente il rapporto tra lavoro e salario». Vero, ma questo non ha liberato il lavoro, semmai lo ha reso indistinguibile dalla vita (quindi siamo meno liberi), ha moltiplicato ritmi e intensità del lavorare e ha favorito forme di lavoro e di sfruttamento (quasi) senza retribuzione. Inoltre, annota Demichelis, «cancellando la distinzione tra vita e lavoro», le nuove tecnologie hanno prodotto «una società a mobilitazione tecno-economica totale e permanente». E l’informazione? «Sta erodendo la capacità del mercato di determinare i prezzi in modo corretto. I mercati si basano sulla scarsità, mentre l’informazione è abbondante. Il meccanismo di difesa del sistema è formare monopoli – le grandi multinazionali tecnologiche di oggi – su una scala che non ha precedenti negli ultimi duecento anni. Ma questo non può durare, perché contrasta con il bisogno fondamentale dell’umanità di usare le idee liberamente».Assolutamente falso, protesta Demichelis: «Il mercato sa benissimo come determinare i prezzi in modo corretto (per i propri profitti), grazie a delocalizzazioni, precarizzazione, sfruttamento, espropriazione della conoscenza altrui e condivisa, taylorismo digitale e rete», e quindi «usa proprio le nuove tecnologie per farlo». Altrettanto sbagliato è «credere che l’informazione e la conoscenza siano abbondanti (siamo piuttosto in una società della semplificazione, non della conoscenza)». Di fatto, «la conoscenza e l’informazione sono sempre meno libere e sempre più controllate dai motori di ricerca, oltre ad essere fonte (Big Data) di alti profitti per pochi, mentre monopoli sempre più grandi sono sempre più grandi proprio perché noi permettiamo loro di esserlo sempre di più, e perché è nella natura di un capitalismo non controllato». Quanto alla «crescita spontanea della produzione condivisa», con «beni, servizi e organizzazioni che non rispondono più ai principi del mercato e della gerarchia manageriale», Demichelis ribatte: «Anche questo è falso, ormai il mercato è ovunque e in ogni relazione umana (il neoliberismo vive in ognuno di noi come una consolidata disciplina dentro una consolidata biopolitica), il lavoro è sempre più merce e sempre più sfruttato – a meno di considerare produzione condivisa la sharing economy, l’uberizzazione del lavoro, il dover essere imprenditori di se stessi».«Quasi inosservati, nelle nicchie e negli angoli più nascosti del sistema di mercato – aggiunge Mason – interi settori economici stanno cominciando a prendere un’altra strada. Monete parallele, banche del tempo, cooperative e spazi autogestiti sono spuntati come funghi». Favole, replica Demichelis: in verità, da anni, le migliori reatà restano ai margini, senza riuscire a scalfire la potenza di fuoco del tecno-capitalismo. E intanto «i beni comuni vengono aggirati dalle logiche di mercato (come in Italia per l’acqua, nonostante il referendum) e la sharing economy è comunque sotto forma di impresa e agisce secondo il mercato, socializzandolo». Secondo Mason, «Marx immaginava qualcosa di molto simile all’economia dell’informazione in cui viviamo oggi, e aggiunge che la sua venuta farà saltare in aria il capitalismo». Ma in realtà “l’intelletto generale” di Marx «non è qualcosa di simile all’economia dell’informazione», e soprattutto «non farà saltare in aria il capitalismo proprio perché l’economia dell’informazione e della conoscenza è basata anch’essa sulla suddivisione/individualizzazione del lavoro e poi sulla sua integrazione/totalizzazione in qualcosa che è sempre e comunque alienato dal lavoratore stesso», sia esso «uberizzato o lavoratore della conoscenza e dell’informazione».Ci vuole ben altro, per uscire dal tecno-capitalismo: per Demichelis, «occorre una destrutturazione di tutti i meccanismi eteronomi e anti-democratici di messa al lavoro degli uomini (mercato e tecnica)», nonché «una liberazione dai vincoli di connessione (di rete e mercato) e di alienazione», e poi «un anticonformismo digitale, una laicizzazione della società contro l’integralismo religioso del tecno-capitalismo, una separazione netta (ma decisa dagli uomini, non dalle macchine, posto che la loro logica è quella dell’uso esaustivo del tempo e della produttività da accrescere sempre e comunque), tra tempi di vita e tempi di lavoro». Soprattutto, conclude l’analista di “Micromega”, è indispensabile «una riconsiderazione radicale (un rovesciamento) dei rapporti tra economia (che deve tornare ad essere un mezzo) e società (che deve tornare ad essere il fine)». Viceversa, contrariamente al Mason-pensiero, non esiste uscita di sicurezza dal tecno-capitalismo globalizzato che sta destabilizzando il mondo e minando la società occidentale.«E’ arrivato un nuovo profeta che promette un postcapitalismo meraviglioso, umano, collaborativo, intellettuale, gratuito». E’ Paul Mason, oracolo di un postcapitalismo che «ci porterà gioia, felicità, condivisione libera e liberazione dalla fatica». Basta «confidare nella potenza rivoluzionaria e salvifica delle nuove tecnologie», ovvero «credere che il web sia la nuova fabbrica», e che quindi «il suo proletariato digitale, diverso da quello industriale perché più informato e più connesso, possa abbattere questo capitalismo». Tutto bello e affascinante, scrive Lelio Demichelis. Peccato però che se il vecchio proletariato aveva «una propria coscienza di classe capace di fare contrasto al capitalismo», prima di sciogliersi in esso e condividerne l’egemonia, «questo proletariato digitale è nato invece già antropologicamente capitalista», vuole essere integrato (connesso) nel sistema, e «pur essendo forse ancora classe in sé (mai così tanti lavoratori precari, della falsa conoscenza, della sharing economy, taylorizzati e fordizzati in rete o uberizzati ovunque)» non sarà mai “classe per sé”, «perché incapace di una coscienza comune e di una progettualità politica alternativa», convinto com’è che «non ci sono alternative».
-
Rcs-Mondadori, nasce un regime. E nessuno dice niente
«La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento», inclusi «movimenti e associazioni al di fuori del Parlamento». A parlare è Sergio Di Cori Modigliani, e la “battaglia” è quella per contrastare l’affermazione del super-monopolio editoriale italiano, la fusione tra Mondadori e Rcs Rizzoli. «La battaglia non ha avuto oppositori», scrive Modigliani sul suo blog. E «chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista», in primis il M5S, è finito tra «coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano». Secondo il blogger, «c’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo. Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi». Raffinato intellettuale, scrittore e editore, Calasso si è battuto in solitudine contro l’instaurazione di un regime che controllerà tutti i contenuti editoriali italiani.La Mondadori ha ufficialmente acquistato la Rizzoli Libri per 125,7 milioni di euro, nonostante l’offerta della Mondadori fosse stata di 138 milioni e la Rizzoli avesse accettato. Grazie a questo accordo, scrive Di Cori Modigliani, la “Mondazzoli” da oggi controlla il 40,4% del mercato. «Se a questo si assommano gli interessi incrociati societari dello stesso gruppo in altri settori mediatici (radio, televisioni private in chiaro, satellitari e pay, video-giochi, smartphone applications, quotidiani cartacei, settimanali, mensili, periodici) la Mondazzoli raggiunge il controllo complessivo di circa l’84% dell’intera produzione nazionale operativa sul territorio della Repubblica Italiana. Al massimo entro pochi mesi, temo, le piccole realtà operative in Italia verranno spazzate via senza pietà. Si tratta del più grande monopolio nel campo della cultura e in quel segmento editoriale, mai esistito in una nazione occidentale da quando Gutenberg ha inventato la stampa».Tutto è nato nel febbraio del 2015, otto mesi fa. La Rizzoli Libri (presidente Paolo Mieli, esponente di punta del centro-sinistra) in seguito al disastroso bilancio del 2014 aveva deciso di vendere. «Non ha neppure fatto in tempo a comunicare la decisione che si è presentata come unico acquirente la Mondadori, chiedendo un diritto in esclusiva facendo una offerta». Esteso al massimo il giorno della scadenza definitiva, oltre la quale veniva annullata la possibilità dell’accordo: il 30 settembre. «Presumo che il motivo che giustificava gli otto mesi di tempo era la preoccupazione che l’Authority responsabile di controllare ogni azione societaria, nel nome dell’anti-trust, avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote. Bastava una interrogazione parlamentare, un gruppo politico italiano che avesse preteso un dibattito in aula, denunciando “la violazione di ogni regolamentazione atta ad impedire che nel mercato libero prevalgano i cartelli consociativi a danno della competizione e che si costituiscano e si costruiscano dei monopoli unici”».«Se qualcuno, alla Camera dei Deputati avesse fatto questo – continua Di Cori Modigliani – in qualche modo l’opinione pubblica si sarebbe allertata, se ne sarebbe parlato, ci sarebbero state discussioni, posizioni diverse, dibattiti, polemiche, e i diversi soggetti in campo sarebbero diventati pubblici, scoprendo ciascuno le proprie carte». Invece, tutti si sono attenuti al basso profilo: «L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-destra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Silvio Berlusconi, è stato detto con una certa chiarezza, e meno se ne parla meglio è». Idem la stampa finanziata e sostenuta dal centro-sinistra: «E’ un affare fondamentale per Paolo Mieli e Carlo De Benedetti, è stato detto con altrettanta chiarezza, e meno se ne parla meglio è». Grillini e Sel? «Neppure una parola al riguardo, mai. Vien da chiedersi che cosa ci stiano a fare in Parlamento. O meglio, a non fare».Sarebbe bastato poco, insiste il blogger, perchè l’accordo «viola ogni legge antitrust», e l’authority che ne regola il funzionamento è un organismo che sembra «seguire le tendenze», ed è «notoriamente soggetto agli umori delle piazze, reali o virtuali». E’ possibile che interverrà l’Unione Europea nel 2016, «quando l’intera documentazione sarà stata rubricata, archiviata, formalizzata, e il commissario di Bruxelles la denuncerà. Nel frattempo Mondadori e Rizzoli, insieme, avranno la possibilità di pagare i loro debiti. O meglio, saremo noi a pagarli, come al solito, grazie alla malleveria dei due grandi partiti che andranno in soccorso della Mondazzoli con la consueta didascalia “difendiamo l’Italia che lavora” infilandola dentro la prossima legge di stabilità». Due maxi-aziende «entrambe decotte, senza un progetto industriale, senza un visione culturale, senza mercato», che «hanno accumulato debiti su debiti seguitando a pubblicare una caterva di libri (che nessuno legge) scritti per lo più da professionisti della cupola mediatica, per lo più con copertura politica, in un giro vizioso perverso che ha strozzato e sta strozzando ogni forma di libertà d’espressione. Da noi, funziona così».Unica contestazione, forte fin dall’inizio, quella di Roberto Calasso. «Gli autori, gli scrittori, romanzieri, narratori, saggisti che siano, tenuti fuori dal mercato perché pensanti e produttori di contenuti non monetizzabili non si lamentino. Sono, ahinoi, in ottima compagnia». Quanti conoscono Calasso? «Nel campo editoriale italiano, e non solo, è (giustamente) considerato il più poderoso e colto intellettuale-imprenditore ancora attivo», scrive Di Cori Modigliani. Nel mondo culturale è «addirittura un mito». E in otto mesi di battaglia solitaria, lui che – in teoria – avrebbe potuto avere a disposizione ogni tipo di platea mediatica, non ha rimediato «neppure una intervistina, un invito a un talk show, la possibilità di spiegare agli italiani che cosa stava accadendo». Calasso è un imprenditore-editore che «da solo ha scelto di andare verso la frontiera». Nel 2006, quando la Rizzoli manovrava per mangiarsi (come ha fatto) gli altri editori, da Fabbri a Bompiani, da Archinto a Marsilio, si è rivolta alla Adelphi con molto realismo, spiegando che non sarebbe stata in grado di sopravvivere se non all’interno di un solido gruppo antagonista della Mondadori.«Forse Calasso conosceva i propri polli e sapeva già dove la cosiddetta sinistra intendesse andare a parare», scrive il blogger, e così accettò ponendo due condizioni: primo, accettava cedendo però soltanto il 45% delle sue azioni, di cui avrebbe mantenuto la maggioranza; secondo, chiese una clausola che gli consentiva un diritto di scelta nel caso, un giorno, la Rizzoli decidesse di vendere (o svendere, come in questo caso) la sezione libri a un soggetto terzo, pretendendo la libertà di essere in disaccordo e quindi chiamandosi fuori, ritornando a essere totalmente indipendente senza pagare alcuna penale. Glielo concessero. E così, a febbraio del 2015, quando la Mondadori avanza l’offerta e Paolo Mieli dice sì, arriva il secco no di Calasso. Lì nascono problemi seri, continua Modigliani, perchè il catalogo della Adelphi è talmente ricco e polposo che gli investitori internazionali cominciano a manifestare perplessità. Si rimanda di mese in mese, ma non riescono a convincerlo. «E intanto la massa debitoria di Rizzoli e Mondadori aumenta a dismisura. E così, il 30 settembre la trattativa salta per “mancanza di ottemperanza nel rispetto dei tempi prestabiliti, come da legge, e come la normativa Consob prevede”. Ma siamo in Italia, paese dove le regole sono diverse a seconda del peso politico dei contraenti».La Reuters e “Milano Finanza” descrivono l’accordo «come se si trattasse di due aziende che vendono sapone in polvere o tondelli di ferro, senza minimanente far riferimento all’impatto devastante che la nascita della Mondazzoli avrà sulla vita culturale italiana: l’appiattirà, la cancellerà, spingendola al ribasso verso una marketizzazione priva di valori contenutistici». Chiunque covasse residue speranze in Renzi, vedendolo come rottamatore e riformatore, se le scordi, chiosa Di Cori Modigliani. E può cambiare idea anche «chiunque pensasse che in Italia esiste una solida opposizione politica (M5S, Sel e affini) agli accordi feudali di consociativismo medioevale tra la destra e la sinistra». Morale: «Pagheremo tra un anno la pesante penale europea e passerà tutto in cavalleria». Per il blogger, «si tratta della fine annunciata della libertà intellettuale in Italia, e il messaggio politico è molto chiaro, netto, distinto: decidiamo noi che cosa farvi leggere, come, e dove». Non stupiamoci se chiudono le librerie, se i piccoli editori seri falliscono, se l’Italia «segna il più avvilente e triste record dal 1946 a oggi: è il paese in tutto l’Occidente in cui si legge di meno, e nei primi sei mesi del 2015 gli indici di lettura denunciano un crollo verticale», conclude Sergio Di Cori Modigliani. «Siamo ormai considerati un paese di analfabeti funzionali». E dunque, «lunga vita a Roberto Calasso».«La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento», inclusi «movimenti e associazioni al di fuori del Parlamento». A parlare è Sergio Di Cori Modigliani, e la “battaglia” è quella per contrastare l’affermazione del super-monopolio editoriale italiano, la fusione tra Mondadori e Rcs Rizzoli. «La battaglia non ha avuto oppositori», scrive Modigliani sul suo blog. E «chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista», in primis il M5S, è finito tra «coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano». Secondo il blogger, «c’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo. Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi». Raffinato intellettuale, scrittore e editore, Calasso si è battuto in solitudine contro l’instaurazione di un regime che controllerà tutti i contenuti editoriali italiani.
-
Battiato rivelato: nei suoi testi, precisi messaggi esoterici
Cosa vogliono dire i testi delle canzoni di Franco Battiato? «Negli anni, nei decenni, in moltissimi si sono posti questa domanda, spesso però senza venirne a capo». Sul “Fatto Quotidiano”, Fabrizio Basciano svela, a puntate, alcuni dei riferimenti filosofico-letterari fondamentali per comprendere frasi o interi periodi di alcuni brani, altrimenti indecifrabili del grande cantautore siciliano. La ricerca parte da “L’era del Cinghiale Bianco”, disco del 1979. Nel brano che dà il nome all’album, «si fa riferimento a un periodo storico leggendario, a un’età dell’oro degli antichi popoli celti di periodo pre-romano: l’era della conoscenza spirituale incarnata dal suo stesso simbolo, il cinghiale bianco». Nello stesso disco, nel brano “Magic shop”, ascoltiamo le parole “una signora vende corpi astrali”. Di che si tratta? «Non senza una certa ironia e denunciando al contempo un consumismo irto di contraddizioni, Battiato tira in ballo il corpo astrale», ossia, secondo Georges Ivanovic Gurdjieff, un corpo “composto da elementi del mondo planetario” che “può sopravvivere alla morte del corpo fisico”. «Insomma, una sorta di secondo corpo (l’anima) in una scala che contempla il corpo fisico, quello astrale, quello mentale e, infine, il corpo causale».Andando ancora oltre, è il brano numero cinque de “L’Era del Cinghiale Bianco” a celare, dietro al suo stesso titolo, un intero mondo letterario: quello di René Guénon e del suo libro “Il Re del Mondo”, che dà il titolo al brano in questione. Chi è questo fantomatico ‘Re del Mondo’ che nel brano di Battiato “ci tiene prigioniero il cuore”? Come leggiamo nell’omonimo libro dell’esoterista francese, scrive Basciano, il titolo di ‘Re del Mondo’ serve a “designare il capo della gerarchia iniziatica”, ruolo attribuito propriamente a Manu, “il legislatore primordiale e universale il cui nome si ritrova, sotto forme diverse, presso numerosi popoli antichi, per esempio il Mina o Menes degli Egizi, il Menew dei Celti e il Minosse dei Greci”. Nel disco seguente, “Patriots”, uscito nel 1980, i messaggi in codice si infittiscono «facendosi tuttavia più sottili, meno espliciti», osserva Basciano. Il brano “Prospettiva Nevski” si chiude con la frase: “E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Per chi, come Battiato, crede nella reincarnazione, «potrebbe indicare la possibilità di una nuova vita oltre la morte, una nuova esistenza a cui solo la morte, se e solo se adeguatamente preparata, può traghettare».Nel brano “Arabian song”, il cantautore siciliano intona una sorta di frase in codice: “La mia parte assente si identificava con l’umidità”. Quello a cui Battiato si riferisce, spiega Basciano, è il concetto di “identificazione”, colonna portante di tutta la psicologia e l’insegnamento gurdieffiani: “L’uomo – come si legge nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di Piotr Demianovic Ouspensky – è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l’oggetto della sua identificazione. L’uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva. Si identifica con una emozione, con un rumore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi”. Del brano “Frammenti” è invece la frase “che gran comodità le segretarie che parlano più lingue”. La segretaria, annota Basciano, è una delle figure-chiave degli insegnamenti della “Quarta Via” di Gurdjieff. «La segretaria, o anche dattilografa, è quella figura che Gurdjieff utilizza per descrivere l’“apparato formatore”, una parte dell’essere umano che il filosofo armeno paragona a un ufficio».«L’ufficio è il nostro apparato formatore, mentre la segretaria è la nostra educazione, con le sue concezioni automatiche, le sue formule ristrette, con le teorie e le opinioni che si sono formate in noi», scrive Gurdjieff. «Da questa ristrettezza di formule e opinioni, la necessità di una segretaria che parli più lingue, in grado cioè di recepire e codificare meglio e più velocemente tutti gli stimoli e le sollecitazioni provenienti tanto dall’esterno quanto dal nostro mondo interiore», sintetizza Basciano, che nella sua indagine su Battiato prosegue con l’analisi dei due album successivi, “La voce del padrone” (1981) e “L’Arca di Noé” (1982). Già a partire dal titolo, scrive il blogger del “Fatto”, “La voce del padrone” cela un significato esoterico: «Secondo un insegnamento antico – afferma Ouspensky in “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” – un uomo nel pieno senso della parola è composto di quattro corpi. Nel linguaggio figurato di certi insegnamenti orientali, il primo è la carrozza (corpo), il secondo è il cavallo (sentimenti, desideri), il terzo è il cocchiere (pensiero) e il quarto è il padrone (Io, coscienza, volontà). La carrozza è attaccata al cavallo per mezzo delle stanghe, il cavallo al cocchiere per mezzo delle redini, il cocchiere al suo padrone per mezzo della voce di lui».Annino La Posta, nel volume “Franco Battiato, soprattutto il silenzio” (Giunti), commenta così il passo di Ouspensky: «Eccola, più probabilmente, la voce del padrone: quella della coscienza, che il pensiero dell’uomo sveglio, teorizzato da Gurdjieff, deve saper ascoltare. E pensare che c’è chi parla di nonsense!». Andando oltre, sempre in questo disco del 1981, nel brano “Segnali di vita”, Basciano rileva ben due periodi che fanno riferimento a precisi concetti della filosofia gurdjieffiana. Il primo è questo: “Si sente il bisogno di una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni, da questa falsa personalità”. Battiato, ai tempi frequentatore dei gruppi gurdjieffiani, si riferisce qui al binomio essenza e personalità, che Ouspensky tratta diffusamente nel libro “L’evoluzione interiore dell’uomo” (Mediterranee): «È impossibile studiare l’uomo come un tutto, perché è diviso in due parti. Nel sistema che noi studiamo queste due parti sono chiamate essenza e personalità. L’essenza è un bene che gli è proprio; è ciò che gli appartiene. La personalità è ciò che non gli appartiene. Di regola l’essenza dovrebbe dominare la personalità. Il dominio della personalità sull’essenza produce i risultati peggiori».L’altro messaggio criptato del brano “Segnali di vita” è il seguente: “Ti accorgi di come vola bassa la mia mente? È colpa dei pensieri associativi se non riesco a stare adesso qui”. L’idea del pensiero automatico, o appunto associativo, pregna tutta la psicologia gurdjieffiana, collegandosi direttamente al concetto di presenza: la possibilità di essere qui e ora, liberi dalla prigionia del pensiero associativo e automatico. Ma il brano che più di ogni altro rivela la “filiazione gurdjieffiana” di Battiato, aggiunge Basciano, è “Centro di gravità permanente”. «Questo insegnamento – spiega sempre Ouspensky – suddivide l’uomo in sette categorie. L’uomo n. 4 differisce dall’uomo n. 1, 2 e 3 per la conoscenza di se stesso, per la comprensione della propria situazione e per il fatto di aver acquisito un centro di gravità permanente». Sorprendente pensare che proprio “La voce del padrone”, un album così profondamente ermetico, fu il primo in Italia a superare il milione di copie vendute, osserva Basciano.Quanto all’album immediatamente successivo, “L’Arca di Noè”, nel brano “Clamori” si ascolta il seguente verso: “Il mondo è piccolo, il mondo è grande, e avrei bisogno di tonnellate d’idrogeno”. Sempre in seno all’insegnamento gurdjieffiano, l’idrogeno è uno degli elementi più importanti per l’evoluzione interiore dell’uomo: «Se prendiamo il Raggio di Creazione – si legge nel libro “La Quarta Via” (Astrolabio, 1974) – diviso in quattro triadi e teniamo presente che la somma totale di ciascuna triade è un idrogeno preciso, otterremo quattro idrogeni e quattro precise densità di materia». Gli idrogeni, secondo Gurdjieff, sono quelle sostanze che servono da nutrimento per la coscienza dell’essere umano, e il cui accumulo (da qui le tonnellate d’idrogeno auspicate da Battiato) consentirebbe lo sviluppo, la realizzazione, dei cosiddetti centri superiori. Superfluo, a questo punto, soffermarsi sul periodo contenuto nel brano “New frontiers”: “L’evoluzione sociale non serve al popolo se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero”.La produzione pop di Franco Battiato, sottolinea Basciano, è interamente attraversata da continui richiami a culture e tradizioni religiose, mistiche ed esoteriche. «Il cantautore e compositore siciliano ha sistematicamente disseminato i suoi testi di sollecitazioni letterarie e sapienziali senza mai tuttavia uscire troppo allo scoperto, tanto da presupporre una certa conoscenza delle materie di volta in volta oggetto del suo interesse». Vale anche per due dischi usciti sempre negli anni ‘80, “Orizzonti perduti” (1983) e “Mondi lontanissimi” (1985). Nel brano “Un’altra vita”, quarto in scaletta dell’album “Orizzonti perduti”, il riferimento (esplicito) è alla pratica della meditazione quando, ad apertura di brano, l’autore de “La Cura” intona: “Certe notti per dormire mi metto a leggere, e invece avrei bisogno di attimi di silenzio”. «Come ha infatti più volte dichiarato pubblicamente – scrive Basciano – la sua giornata, da diverse decadi a questa parte, è sempre scandita da ben due meditazioni, una al mattino e l’altra all’imbrunire: una ricerca del silenzio senza la quale Battiato afferma che non riuscirebbe più a vivere».Sempre in “Orizzonti perduti”, nel brano “La musica è stanca”, ascoltiamo: “In quest’epoca di scarsa intelligenza ed alta involuzione qualche scemo crede ancora che veniamo dalle scimmie”. Qui l’autore fa riferimento a un approccio decisamente alternativo al tema delle origini e della possibile evoluzione dell’umanità, che trova sempre in Ouspensky, e dunque in Gurdjieff, il proprio mentore: «Devo dire subito – recita Ouspensky in “L’Evoluzione interiore dell’uomo” – che le concezioni moderne sull’origine dell’uomo e sulla sua evoluzione passata non possono essere accettate». Considerando l’umanità “storica”, ossia quella degli ultimi dieci o quindicimila anni, «possiamo trovare tracce incontestabili di un tipo di uomo superiore, la cui presenza può essere dimostrata da molteplici testimonianze». Il viaggio cifrato continua in “Mondi lontanissimi”. Nel primo brano, “Via Lattea”, ascoltiamo le parole: “Seguimmo certe rotte in diagonale dentro la Via Lattea”. «Questo delle rotte in diagonale è tema tanto caro a Battiato (che infatti lo riprenderà anche diversi anni dopo nel brano “Running against the grain” dell’album “Ferro Battuto”) quanto a tutto il mondo esoterico, e ha a che fare con le cosiddette griglie rappresentazionali, una sorta di tessuto sperimentale formato dall’interconnessione d’idee, valori e obiettivi, una “scacchiera” che può essere percorsa sia per vie orizzontali e verticali (espressioni di un pensiero lineare e metodico), che per vie, appunto, diagonali, seguendo le quali si manifesta lo spazio creativo».Nel brano “Chan-son egocentrique”, Battiato canta: “Dalla pupilla viziosa delle nuvole la luna scende i gradini di grattacieli per prendermi la vita”. Come mai la luna vuol prendersi la vita di Battiato? Sia secondo Gurdjieff che secondo miriadi di culture e tradizioni varie, spiega Basciano, la luna eserciterebbe un influsso negativo. In un’intervista, lo stesso Battiato la definisce «nefasto satellite, che non vedo l’ora si allontani definitivamente dalla terra». Per Ouspensky è «un pianeta allo stato nascente, al suo primissimo stadio di sviluppo», ma è anche un satellite che «dalla terra riceve l’energia necessaria alla sua crescita». Tradotto: «La vita organica alimenta la Luna. Tutto ciò che vive sulla superficie della terra, uomini, animali, piante, serve di nutrimento alla luna. Tutti gli esseri viventi liberano, nell’istante della loro morte, una certa quantità dell’energia che li ha animati. Questa energia viene attirata verso la luna come da una colossale elettrocalamita».Cosa vogliono dire i testi delle canzoni di Franco Battiato? «Negli anni, nei decenni, in moltissimi si sono posti questa domanda, spesso però senza venirne a capo». Sul “Fatto Quotidiano”, Fabrizio Basciano svela, a puntate, alcuni dei riferimenti filosofico-letterari fondamentali per comprendere frasi o interi periodi di alcuni brani, altrimenti indecifrabili del grande cantautore siciliano. La ricerca parte da “L’era del Cinghiale Bianco”, disco del 1979. Nel brano che dà il nome all’album, «si fa riferimento a un periodo storico leggendario, a un’età dell’oro degli antichi popoli celti di periodo pre-romano: l’era della conoscenza spirituale incarnata dal suo stesso simbolo, il cinghiale bianco». Nello stesso disco, nel brano “Magic shop”, ascoltiamo le parole “una signora vende corpi astrali”. Di che si tratta? «Non senza una certa ironia e denunciando al contempo un consumismo irto di contraddizioni, Battiato tira in ballo il corpo astrale», ossia, secondo Georges Ivanovic Gurdjieff, un corpo “composto da elementi del mondo planetario” che “può sopravvivere alla morte del corpo fisico”. «Insomma, una sorta di secondo corpo (l’anima) in una scala che contempla il corpo fisico, quello astrale, quello mentale e, infine, il corpo causale».
-
Franceschetti: perché il potere ha paura della spiritualità
Oppio dei popoli? Sì, quando la religione “perde l’anima” e si trasforma in struttura di potere basata su oscuri dogmi. Ma se si indaga su Buddha, Cristo e Maometto, sull’Ebraismo e sull’Induismo, si scopre che il messaggio fondamentale – la potenza assoluta della dimensione spirituale – è stato regolarmente neutralizzato e rimosso, specie in Occidente, perché mette in crisi il nostro sistema basato sul dominio: «Un individuo che vive la sua spiritualità è più libero dalle paure, quindi meno controllabile: ecco perché la spiritualità è stata così accanitamente combattuta, anche attraverso le stesse burocrazie religiose». Il giurista e saggista Paolo Franceschetti sostiene di averne avuto conferma studiando le grandi religioni. Dall’India al Medio Oriente, tutti i leader religiosi originari hanno trasmesso il medesimo credo, assolutamente positivo e destabilizzante: la divinità è già presente in noi, bisogna solo imparare ad “attivarla”. La rivelazione: è possibile trasformare radicalmente la propria vita, aprire gli occhi e superare ogni problema “trovando Dio” innanzitutto con la meditazione. Una verità che l’élite mondiale conosce da sempre e che ha cercato di tenere nascosta, sostiene Franceschetti. Ma ormai “i tempi stanno cambiando”, come cantava il giovane Dylan. E il “grande risveglio” è già cominciato.Avvocato e docente universitario, Franceschetti ha di recente abbandonato l’avvocatura per sfiducia nella giustizia: clamorosa la sua denuncia dei misfatti del potere occulto, contenuta nel suo seguitissimo blog e in libri come “Sistema massonico e Ordine della Rosa Rossa” (Uno Editori). La tesi: al vertice del potere si nasconde un clan oscuro, di formazione esoterica, dedito anche ad omicidi rituali come quelli del “Mostro di Firenze”, fino ai casi di cronaca più recenti, da Cogne a Yara Gambirasio, di cui i media omettono regolarmente i dettagli fondamentali che illuminerebbero il vero movente, quello dei sacrifici umani. Tutto cominciò quando Franceschetti venne chiamato, in carcere, da due giovani condannati all’ergastolo per il caso delle “Bestie di Satana”: «Avvocato, non pretendiamo di uscire di qui», gli dissero. «Vorremmo solo sapere perché siamo detenuti a vita, dal momento che non abbiamo mai ucciso nessuno». Dice Franceschetti: «Ho scoperto che le indagini erano state molto superficiali, e le condanne scaturite solo dall’ambigua confessione di uno dei presunti complici, in un contesto di fatti che non potevano reggere a una ricostruzione accurata».Frugando nelle cronache italiane, il legale ha intravisto un abisso: depistaggi, falsificazioni sistematiche, omissioni, capri espiatori, manovre coperte dal silenzio o dal chiasso mediatico. Domanda inevitabile: «Chi e perché agisce così? Cosa c’è nella mente di chi compie omicidi rituali, puntualmente spacciati per delitti ordinari, ancorché inspiegabili perché privi di un movente credibile?». I suoi molti lettori conoscono il coraggio e la generosità di Franceschetti, onnipresente sul web e in decine di conferenze lungo la penisola. Dopo la tragica perdita della compagna, si è impegnato persino sul difficile fronte della medicina democratica, con un blog – il primo in Italia – che presenta l’offerta esistente di cure alternative, tutte rivelatesi valide, per guarire dai tumori (il suo “testimonial” è stato un medico di Brescia, malato terminale, salvato in extremis dallo stesso Franceschetti che l’ha convinto a sottoporsi al Protocollo D’Abramo, basato sull’assunzione di vitamine e semplici biofarmaci naturali).Franceschetti pratica il buddhismo da molti anni, frequenta corsi di meditazione Yoga, è in intimità con religiosi cattolici. «La mia esperienza di avvocato poteva stroncarmi, sono stato minacciato, ho vissuto grandi pericoli. Ho rischiato la morte, e ho capito che – una volta rimossa quella paura – si diventa molto più forti». Proprio interrogandosi sul mistero dell’orrore quotidiano delle cronache, indagato con straordinaria tenacia per molti anni, Franceschetti è pervenuto a una conclusione spiazzante: «Chi uccide innocenti, in apparenza senza motivo, in realtà un suo movente ce l’ha: però è occulto e inconfessabile, di matrice esoterica. E il passo successivo è scoprire che quasi tutti i potenti della terra praticano la magia, la stessa magia che – in pubblico – sono sempre pronti a deridere. La loro è una spiritualità deviata, ma sono ben consci del potere della spiritualità vera: quella che ci nascondono con ogni mezzo, facendola sparire dai giornali, dalla televisione, persino dai telefilm: gli eroi della fiction lottano tra loro, scherzano, fanno sesso, ma nessuno mai che preghi, che esprima convinzioni religiose o almeno politiche. Non è un caso: gli egemoni vogliono che non ce ne occupiamo, dobbiamo restare completamente soli di fronte a Equitalia, al lavoro perduto, alle bollette che non sappiano come pagare. Il loro piano è semplice: ci vogliono sottomessi e prigionieri delle nostre paure, privi di soluzioni per raggiungere indipendenza, libertà, serenità e felicità».Una risposta illuminante, Franceschetti l’ha trovata nell’ispirazione originaria delle principali religioni del pianeta: ad esse è dedicato il suo ultimo libro, “Le Religioni”, che passa in rassegna le maggiori espressioni del pensiero religioso mondiale. Dal politeismo solo apparente dell’Induismo, dove la folla allegorica di divinità è in realtà sottoposta all’immanenza suprema del Brahman, fino alla più rarefatta manifestazione del perfetto monoteismo, l’Islam di Maometto, che – come anche l’Ebraismo – non ammette venerazioni intermedie come quelle dei santi cattolici, e dimostra un’insospettabile apertura universalistica: se Allah avesse voluto una sola religione, recita il Corano, solo quella ci sarebbe sulla Terra. Attraverso un approccio metodico, ricco di fonti e citazioni anche intensamente poetiche, come quelle dei grandi mistici di ogni provenienza, l’autore presenta in modo sistematico ciascun impianto religioso, le sue origini, il credo e le ritualità, ma si concentra sempre sul nocciolo essenziale di ogni espressione religiosa: cerca e trova il suo cuore mistico, spirituale. «E la sorpresa è questa: tutte le religioni, allo stato puro, esprimono la stessa verità».Inoltre, continua l’ex avvocato, ogni religione fornisce istruzioni precise per coltivare in modo concreto la pratica spirituale quotidiana, «capace di rafforzarci fino a risolvere ogni problema, grazie a un nuovo approccio non più succube della paura: proprio quel genere di strumento che la Chiesa cattolica, erede diretta dell’Impero Romano, ha accuratamente rimosso». Molto netta, nel libro, la denuncia della “manipolazione storica” operata dalla Chiesa di Roma, quella di Pietro e Paolo («non a caso: il primo rinnegò Cristo, il secondo non lo conobbe mai»), contro cui si batté per secoli il network segreto, “giovannita”, che in nome del “vero messaggio di Cristo” schierò i migliori intellettuali della cristianità – da Gioacchino da Fiore a Giordano Bruno, passando per Dante Alighieri e Leonardo da Vinci – in una sotterranea battaglia bimillenaria: San Bernardo e i Templari, San Francesco d’Assisi, San Benedetto da Norcia e gli amanuensi (accesso diretto alle fonti), i “Fidelis in Amore” e i Giordaniti, i Rosacroce, fino ai massoni. «L’amore che cita Dante, quello che “move il Sole e l’altre stelle”, è lo stesso a cui fa cenno Battiato, quando canta: “Tutto l’universo obbedisce all’amore”». Per Franceschetti, non è altro che «la legge universale dell’attrazione: siamo tutti parte di un unico organismo, il divino è in noi. Era il vero messaggio di Cristo, svelato nel Vangelo di Giovanni: siamo dèi dormienti, dobbiamo solo svegliarci». Già, ma come?Se ne occupa l’ultimo capitolo della vasta ricerca di Franceschetti, resa con agile taglio divulgativo: proprio la “spiritualità contemporanea” offre infiniti spunti e testimonianze su come migliorare il proprio stato vitale mettendo a frutto gli insegnamenti delle maggiori tradizioni religiose, rilette e reinterpretate da grandi maestri come il “messia riuttante” Jiddu Krishnamurti, e poi Mikhael Aivanhov, Georges Gurdjieff, Massimo Scaligero, Sri Aurobindo, oppure leader carismatici e scomodi, temutissimi e per questo assassinati mediante avvelenamento, come Osho e Rudolf Steiner, nonché il rosacrociano Paramahansa Yogananda (“Autobiografia di uno Yogi”). Franceschetti non disdegna neppure la vituperata “new age”, rivalutando bestseller come “The Secret”, di Rhonda Byrne, i libri di Joe Vitale e quelli di Esther e Jerry Hicks: «E’ vero, sono anche fenomeni commerciali, ma contribuiscono anch’essi a infondere coraggio e fiducia nel “risveglio”». Tutto è dunque nelle nostre mani? Non lo sostiene solo il “pensiero positivo” di Louise Hay, ma anche la “Profezia di Celestino” di James Redfield, senza contare le opere di ispirazione cristiana come le “Conversazioni con Dio” di Neal Donald Walsh e i volumi di Daniel Meurois-Givaudan, anch’essi ampiamente citati.Il libro di Franceschetti offre una panoramica trasversale e inedita dell’esperienza religiosa mondiale, da un punto di osservazione privilegiato: quello della spiritualità pura, al netto delle narrazioni culturali storiche e territoriali. Una lettura utile, per individuare sorprendenti punti di contatto tra mondi in apparenza lontanissimi o addirittura inconciliabili, come vorrebbe la vulgata attuale. In realtà, tutti raccontano la stessa storia: «Lo dimostra una volta di più l’assoluta coincidenza delle convinzioni su cui si incontrano, al vertice, l’ala mistica dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam, cioè i cabalisti Chassidim, i Rosacroce e i Sufi». Chi conosce Franceschetti e la sua onestà intellettuale non potrà che apprezzare il valore di questo libro: testimonia la passione dell’autore e l’evoluzione di una ricerca sincera, nata dal confronto con la più dura delle realtà – gli orrori della cronaca nera, il mestiere dell’avvocato – per trasformarsi in indagine non più solo sulle cause, ma sui principi che le innescano.Un lavoro editoriale dietro al quale si intravede il costante, proficuo scambio con personalità eclettiche e sorprendenti: da Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia e già “sovrano gran maestro” della massoneria di rito scozzese, a Fausto Carotenuto, già funzionario dei servizi segreti italiani, approdato alla via spirituale del network “Coscienze in Rete”. Il libro è un valido manuale per documentarsi su come i grandi maestri di ogni tempo hanno insegnato a pensare in modo libero, molto spesso a costo della propria vita. «Quello che ancora il potere ci nasconde – conclude Franceschetti – è l’immenso potenziale della nostra mente, se allenata e nutrita di spiritualità. E’ questo, in fondo, il grande segreto: dobbiamo smettere di avere paura. Ma non è certo un mistero: è una grande verità, declinata in infiniti modi, in ogni epoca. Oggi, grazie anche al web e alla propagazione universale della conoscenza, questa consapevolezza sta crescendo: siamo tutti dotati di un potere che, se esercitato, ci permette di liberarci dalla sofferenza, di guardare alla vita con più fiducia. E di sottrarci alla soggezione del potere, che si basa proprio sulla diffusione sistematica della paura». Dov’è l’inganno? «Ci fanno credere che con questa vita finisca tutto, mentre gli egemoni sono i primi a sapere che non è così».(Il libro: Paolo Franceschetti, “Le Religioni – Un percorso spirituale attraverso Induismo, Buddismo, Cristianesimo, Ebraismo, Islamismo e i maestri spirituali moderni”, 584 pagine, 33 euro. Il volume è acquistabile online su “Lulu”).Oppio dei popoli? Sì, quando la religione “perde l’anima” e si trasforma in struttura di potere basata su oscuri dogmi. Ma se si indaga su Buddha, Cristo e Maometto, sull’Ebraismo e sull’Induismo, si scopre che il messaggio fondamentale – la potenza assoluta della dimensione spirituale – è stato regolarmente neutralizzato e rimosso, specie in Occidente, perché mette in crisi il nostro sistema basato sul dominio: «Un individuo che vive la sua spiritualità è più libero dalle paure, quindi meno controllabile: ecco perché la spiritualità è stata così accanitamente combattuta, anche attraverso le stesse burocrazie religiose». Il giurista e saggista Paolo Franceschetti sostiene di averne avuto conferma studiando le grandi religioni. Dall’India al Medio Oriente, tutti i leader religiosi originari hanno trasmesso il medesimo credo, assolutamente positivo e destabilizzante: la divinità è già presente in noi, bisogna solo imparare ad “attivarla”. La rivelazione: è possibile trasformare radicalmente la propria vita, aprire gli occhi e superare ogni problema “trovando Dio” innanzitutto con la meditazione. Una verità che l’élite mondiale conosce da sempre e che ha cercato di tenere nascosta, sostiene Franceschetti. Ma ormai “i tempi stanno cambiando”, come cantava il giovane Dylan. E il “grande risveglio” è già cominciato.
-
Yogananda: la conquista della felicità è nelle nostre mani
La mente è come un miracoloso elastico che si può tendere all’infinito senza che si strappi. Vivete soltanto nel presente, non nel futuro. Fate del vostro meglio oggi; non aspettate il domani. Cercare felicità all’esterno di noi stessi è come cercare di prendere al laccio una nuvola. La felicità non una cosa della mente. Dev’essere vissuta. La libertà dell’uomo è definitiva ed immediata, se così egli vuole; essa non dipende da vittorie esterne, ma interne. Spesso noi continuiamo a soffrire senza fare uno sforzo per cambiare; ecco perché non troviamo pace durevole e appagamento. Se noi perseverassimo, saremmo certamente capaci di superare tutte le difficoltà. Dobbiamo fare lo sforzo, perché possiamo passare dalla miseria alla felicità, dallo sconforto al coraggio. Il regno della mia mente è infangato dall’ignoranza. Con le piogge incessanti della scrupolosa autodisciplina, possa io rimuovere dalle città della mia negligenza spirituale gli annosi detriti dell’illusione.I vostri due occhi fisici vi inducono erroneamente a pensare che questo mondo di dualità sia reale. Aprite il vostro occhio spirituale e vedete la vostra forma invisibile. Se, nel silenzio interiore, il vostro occhio spirituale è aperto, l’invisibile diviene visibile. La mente è l’artefice di tutte le cose. Voi dovete indurla a creare soltanto il bene. Se, con tutta la forza della volontà dinamica, vi concentrerete su un determinato pensiero, alla fine lo vedrete prendere una tangibile forma esteriore. Quando riuscirete a servirvi della volontà esclusivamente per scopi costruttivi diverrete padroni del vostro destino. Il sucesso e l’insucesso sono la diretta conseguenza del vostro abituale modo di pensare. Quale di questi pensieri predomina in voi: il successo o l’insuccesso? Se il vostro consueto atteggiamento mentale è negativo, uno sporadico pensiero positivo non sarà sufficiente ad attirare il successo. Se invece è costruttivo, raggiungerete la meta, anche se vi sembra di essere avvolti dalle tenebre.La volontà dell’uomo è il grande generatore di energia. Con la volontà e il giusto atteggiamento è possibile attingere rapidamente all’infinita riserva della forza interiore. Una persona che compie malvolentieri i propri doveri quotidiani soffrirà di una mancanza di energia. Un uomo che invece lavora sodo ma con buona volontà, è sostenuto fisicamente e moralmente dalla corrente cosmica. Se vuoi essere triste nessuno al mondo può renderti felice. Ma se decidi di essere felice nessuno e niente può toglierti la felicità! L’anima non può essere rinchiusa entro confini creati dall’uomo, la sua nazionalità è lo spirito; il suo paese l’Onnipresenza. Ci sono persone che ti trasmettono la sensazione immediata di conoscerle da sempre. Sono i tuoi amici dalle incarnazioni precedenti. Rafforza l’amicizia che esiste tra voi. Gli amici sono la tua collezione di gioielli splendenti dell’anima… In queste scintillanti galassie dell’anima contemplerai l’unico Grande Amico… è Dio che viene a trovarti, travestito da amico nobile e sincero, per servirti, ispirarti, guidarti.Abbatti i muri dell’egoismo. Rendi il tuo amore così vasto e profondo da contenere tutti gli esseri viventi. Ogni forte risoluzione che prendete con grande decisione può diventare subito un’abitudine. Perchè non dovreste essere capaci di fare ciò che desiderate fare, guidai dalla ragione? Dovete tentare. Via tutti i vostri difetti! Rivedete le vostre azioni dell’anno passato. Vedete quali abitudini inopportune potete aver messo in atto: forse litigate con la gente, o mangiate troppo o siete gelosi. Prendete la decisione oggi e sappiate che non farete quelle cose mai più. I romani usavano legare i prigionieri ai loro carri e trascinarli sul terreno: un’usanza terribile. Eppure essa racchiude una lezione per noi, perchè noi permettiamo alle nostre abitudini di trattarci allo stesso modo. Dovremmo fare delle nostre abitudini le nostre prigioniere, piuttosto che le nostre carceriere; dovremmo attaccarle al carro della nostra volontà e trascinarle, invece di essere trascinate. Essere in grado di fare qualunque cosa che sappiamo di dover fare e non solo ciò che vorremmo fare per capriccio, significa essere liberi. Rimani calmo, sereno, sempre padrone di te. Allora scoprirai quanto è facile andare d’accordo. La tua religione non e’ il vestito che indossi esteriormente, ma l’abito di luce che tessi intorno al tuo cuore.(“Le più belle frasi di Paramahansa Yogananda”, dal blog “Il Giardino degli Illuminati”. Nato in India nel 1893 e spentosi a Los Angeles nel 1952, Yogananda è stato un filosofo e mistico indiano, autore di besteller come “Autobiografia di uno Yogi”. In India entrò in stretto contatto col Mahatma Gandhi e con lui condivise gli ideali della resistenza passiva e della nonviolenza. Era maestro nella tecnica del Kriya Yoga, particolare tecnica meditativa per l’evoluzione personale. Considerato un “grande iniziato”, sarebbe appartenuto alla fratellanza dei Rosacroce, il cui ultimo gran maestro fu il pittore Salvador Dalì).La mente è come un miracoloso elastico che si può tendere all’infinito senza che si strappi. Vivete soltanto nel presente, non nel futuro. Fate del vostro meglio oggi; non aspettate il domani. Cercare felicità all’esterno di noi stessi è come cercare di prendere al laccio una nuvola. La felicità non una cosa della mente. Dev’essere vissuta. La libertà dell’uomo è definitiva ed immediata, se così egli vuole; essa non dipende da vittorie esterne, ma interne. Spesso noi continuiamo a soffrire senza fare uno sforzo per cambiare; ecco perché non troviamo pace durevole e appagamento. Se noi perseverassimo, saremmo certamente capaci di superare tutte le difficoltà. Dobbiamo fare lo sforzo, perché possiamo passare dalla miseria alla felicità, dallo sconforto al coraggio. Il regno della mia mente è infangato dall’ignoranza. Con le piogge incessanti della scrupolosa autodisciplina, possa io rimuovere dalle città della mia negligenza spirituale gli annosi detriti dell’illusione.
-
Craig Roberts: macché Cina, il disastro è tutto americano
Nel Matrix dove vivono gli americani, niente è mai colpa loro. Ad esempio, l’attuale svalutazione di borsa Usa non è dovuta ad anni di eccessive iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve che hanno generato una bolla così gonfiata che il valore di appena sei stock, alcuni dei quali valutati a prezzi completamente sproporzionati rispetto ai loro utili reali, contava per più di tutti i guadagni in capitalizzazione di mercato quotati nel S&P500 prima dell’ondata di svalutazione attuale. Nella nostra esistenza-Matrix la svalutazione delle borse non è dovuta alle multinazionali che reinvestono profitti, o persino ricomprano a debito, i loro stessi titoli, allo scopo di creare una domanda artificiale per le loro quote azionarie (equity share). Il declino non si deve all’ultimo rapporto mensile sugli ordini di beni durevoli su base annua che sono in caduta almeno da 6 mesi consecutivi.La svalutazione borsistica non è dovuta a una economia debole in cui una decade di presunta ripresa economica il mercato immobiliare, sia per il patrimonio esistente che per nuove costruzioni, è in diminuzione rispettivamente del 63% e del 23%, riferito ai livelli del picco di luglio 2005. La svalutazione di borsa non è dovuta al collasso della mediana dei salari reali per famiglia, e di conseguenza, al crollo della domanda interna, risultato di due decenni di rilocalizzazione offshore degli impieghi della classe media e al loro parziale rimpiazzo con impieghi “Walmart” del tipo part-time a salario minimo e senza benefit e ammortizzatori sociali i quali non danno reddito sufficiente a formare nuove famiglie. No, figuriamoci, nessuno di questi fatti è responsabile. Il colpevole del crollo delle borse Usa è la Cina.Che ha fatto la Cina? E’accusata di avere leggermente svalutato la sua moneta. E perchè mai un lieve aggiustamento nel valore di scambio dello yuan col dollaro dovrebbe causare il declino delle borse Usa ed europee? Infatti non è possibile. Ma cosa gliene importa ai media prostituiti, loro mentono per vivere. Inoltre, non è stata nemmeno una svalutazione. Quando la Cina avviò la transizione dal comunismo al capitalismo, decise di agganciare il cambio della sua valuta al dollaro americano allo scopo di dimostrare che la sua valuta era buona quanto la valuta di riserva mondiale. Nel tempo ha consentito che la sua valuta si apprezzasse rispetto al dollaro. Ad esempio, nel 2006 1 dollaro valeva 8,1 yuan cinesi. Di recente, prima della presunta svalutazione, un dollaro oscillava tra 6,1 e 6,2 yuan. Dopo l’aggiustamento del suo tasso di cambio variabile adesso uno yuan sia cambia per 6,4 dollari. Mi pare chiaro che un cambiamento del valore dello yuan da 6,1/6,2 a 6,4 per dollaro non è abbastanza a determinare un crollo nei mercati borsistici Usa ed europei.Inoltre il cambiamento del tasso in rapporto al dollaro non rappresenta un cambiamento del tasso in rapporto alle valute degli altri partner commerciali non-Usa. Ciò che è accaduto, è che la Cina ha corretto, è che come risultato delle politiche di emissione monetaria tipo quantitative easing attualmente praticate dalle banche centrali europea e giapponese il dollaro si è apprezzato rispetto ad altre valute. Dal momento che lo yuan cinese è agganciato al dollaro, la valuta cinese si è di conseguenza apprezzata rispetto a quelle dei suoi partner commerciali europei ed asiatici. L’apprezzamento della valuta cinese (dovuta all’aggancio col dollaro) non è una buona cosa per l’export cinese, specie in un periodo di difficoltà economiche diffuse. La Cina ha appena alterato il suo aggancio al dollaro per rimuovere gli effetti negativi dell’apprezzamento della sua valuta in riferimento a quelle di molti partner commerciali.Come mai la stampa finanziaria non spiega tutto ciò? La stampa finanziaria occidentale sarebbe così incompetente da non sapere questo? Sì. O piuttosto è che l’America non può mai e poi mai essere responsabile se qualcosa va storto. Chi noi? Noi siamo innocenti, sono sempre quei maledetti cinesi! Pensiamo ad esempio alle orde di rifugiati dalle invasioni americane, dai bombardamenti su sette paesi esteri diversi, che stanno invadendo l’Europa. Il massiccio spostamento di gente mosso dalle stragi di popolazioni perpetrate dall’America in sette paesi, consentite dagli stessi europei, sta causando sgomento in Europa e un revival dei partiti d’estrema destra. Oggi, per esempio, i neonazi hanno zittito la cancelliere tedesca Merkel, che cercava di fare un discorso di compassione verso i rifugiati. Ovviamente la stessa Merkel è tra i responsabili del problema rifugiati che sta destabilizzando l’Europa. Senza la Germania come Stato fantoccio degli Stati Uniti, una non-entità senza sovranità reale, un non-paese, solo un vassallo, un avamposto dell’Impero, agli ordini diretti di Washington, senza simili appoggi l’America non potrebbe condurre le guerre illegali che stanno producendo le orde di rifugiati che stanno portando al limite la capacità dell’Europa di accettare rifugiati e favorendo partiti “neo-nazi”.La stampa corrotta Usa o europea presenta il problema dei rifugiati come totalmente avulso dai crimini di guerra americani contro sette paesi. Seriamente, ma perchè mai la gente dovrebbe scappare da paesi dove l’America gli sta portando “libertà e democrazia”? Da nessuna parte nei media occidentali, eccetto qualche sito di informazione alternativa resta un grammo di integrità. I media occidentali sono un “Ministero della verità” (Orwell) che opera a tempo pieno in supporto dell’esistenza artificiale che gli occidentali vivono dentro il Matrix dove gli occidentali sussistono privi di pensiero. Considerando la loro inettitudine ed inazione, sarebbe lo stesso se la gente occidentale non esistesse affatto. Ben più che solo qualche indice di borsa colllasserà sui polli occidentali e sui loro cervelli lavati.(Paul Craig Roberts, “Wall Street e Matrix, dov’è Neo quando abbiamo bisogno di lui?”, dal sito di Craig Roberts del 26 agosto 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Nel Matrix dove vivono gli americani, niente è mai colpa loro. Ad esempio, l’attuale svalutazione di borsa Usa non è dovuta ad anni di eccessive iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve che hanno generato una bolla così gonfiata che il valore di appena sei stock, alcuni dei quali valutati a prezzi completamente sproporzionati rispetto ai loro utili reali, contava per più di tutti i guadagni in capitalizzazione di mercato quotati nel S&P500 prima dell’ondata di svalutazione attuale. Nella nostra esistenza-Matrix la svalutazione delle borse non è dovuta alle multinazionali che reinvestono profitti, o persino ricomprano a debito, i loro stessi titoli, allo scopo di creare una domanda artificiale per le loro quote azionarie (equity share). Il declino non si deve all’ultimo rapporto mensile sugli ordini di beni durevoli su base annua che sono in caduta almeno da 6 mesi consecutivi.
-
Vince il Potere, perché è radicale come i nostri antichi eroi
Alle 3 del mattino in un pub un ragazzino mi ferma e mi chiede, intelligentemente: «Scusi Barnard, ma lei è proprio sicuro che il suo RADICALISMO radicalismo feroce sia la via giusta?». Gli ho risposto: «Osserva il nostro nemico, cioè il Vero Potere delle megabanche, delle megacorporations, della megafinanza. Sono spietati nel radicalismo delle loro IDEE, AZIONI, DETERMINAZIONE idee, azioni, determinazione. Hanno ri-vinto dopo 250 anni di sconfitte proprio per questo. Non ti dice nulla?». Lavori per Hsbc? A 25 anni prendi un aereo da Londra per Seul. Arrivi, dormi 27 minuti, ti squilla il cell e il tuo boss ti chiede uno spread sulla chiusura di tutte le borse asiatiche in 60 minuti. Ne impieghi 70 di minuti, sei licenziato. Gandhi proibiva ai cuochi delle cucine nel suo Ashram di parlare e di portare mutande durante la preparazione del cibo. Una parola? Eri fuori. La Commissione Ue decide di portare in povertà 100 milioni di europei? E sia, non si fa un singolo passo indietro, neppure se i premi Nobel dell’economia più famosi del mondo gridano allo scandalo. Neppure se l’Organizzazione Mondiale della Sanità protesta per le stragi di ammalati, feti e anziani.Martin Luther King decise l’occupazione da parte dei neri americani delle mense scolastiche riservate ai bianchi nel sud degli Stati Uniti. Si fece, e non si registrò un singolo studente nero che si mosse dai tavoli Solo Per Bianchi. Chi venne prima nella Storia? Il radicalismo della megabanca Hsbc, della Commissione Ue, cioè del Vero Potere, o Gandhi e King? I secondi, ovvio. Il Vero Potere, come da me scritto e riscritto, capì negli anni ’70 che il RADICALISMO radicalismo feroce di idee, azioni e determinazione, tipico dei maggiori campioni delle rivoluzioni sociali della fine ‘800-inizio ‘900 e anni ’60, era l’arma vincente, e andava ADOTTATA adottata. Duecentocinquant’anni di sconfitte del Potere, dall’Illuminismo agli anni ’70 del XX secolo, erano state causate dall’incredibile radicalismo dei pensatori sociali. Leggetevi Benjamin Franklin, o ancor prima John Locke (scioccanti le sue idee persino oggi). Ai tempi di Abraham Lincoln, il grande uomo e i suoi collaboratori pensavano che il fatto di lavorare a stipendio per qualcuno fosse del tutto assurdo. La chiamavano SCHIAVITU’ schiavitù.Nel loro pensiero il lavoro a stipendio era tollerato SOLO solo se inteso come un passaggio verso una condizione dove il lavoratore ovviamente lavorava per se stesso e si godeva i frutti del proprio lavoro, senza avere un titolare o una classe di proprietari in mezzo alle balle. Possiamo chiamarli RADICALI radicali fino all’estremo? Sì. Il radicalismo nella propria morale, nelle posizioni politiche, terrorizza gli avversari, e se ne può solo dedurre che è infatti l’unica arma per vincere contro un nemico altrettanto radicale, il Vero Potere. Malcom X fu ucciso per questo. Il suo radicalismo morale non solo spaventò il governo degli Stati Uniti – che con l’Fbi infiltrò l’organizzazione religiosa in cui Malcom X militava, la Nazione dell’Islam, addirittura piazzando un agente come guardia del corpo di Malcom – ma ancor più terrorizzò la stessa Nazione dell’Islam e il suo corrottissimo leader, Elijah Muhammad. Come noto, furono i sicari di Elijah Muhammad ad assassinare Malcom X nel febbraio del 1965. Chi sarebbe oggi nella Storia Malcom X se avesse abbracciato l’opposto del radicalismo, cioè il COMPROMESSO compromesso nella morale, nelle azioni, nella determinazione?Il radicalismo delle idee, azioni, determinazione è bastato a una singola donna, la birmana premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, per mettere in croce uno dei regimi più incoercibili del mondo oggi, quello birmano. La Suu Kyi è prigioniera politica in Birmania dal 1989, avendo fondato nel pieno della dittatura militare un movimento pacifista per la democrazia. Al di là delle controversie che la circondano, è indiscutibile che la radicalità incredibilmente tenace di Aung San Suu Kyi, ripeto, confinata all’isolamento, è stata l’unica arma che fino ad oggi ha portato uno spiraglio di speranza a quel paese. Pochi sanno che Aung San Suu Kyi era felicemente sposata con un accademico di nome Michael Aris, da cui ebbe due figli. Dopo l’arresto, il regime le offrì ripetutamente di rinnegare la sua lotta per avere il permesso di rivedere la sua famiglia. Lei: no. Quando Aris si ammalò e fu in punto di morte, l’offerta le venne ripetuta. Lei: no. Oggi la dittatura birmana è di fatto incapace di mantenere il paese sotto la griglia di ferro che usava in passato. Ci sono voluti 26 anni di radicalità di Aung San Suu Kyi e dei suoi seguaci per arrivare a questo. Dove sarebbe arrivato il compromesso in Birmania? Da nessuna parte.Gli esempi sono infiniti, Mandela dopo quasi 30 anni di prigionia fu liberato, e le prime parole che pronunciò furono le stesse dette il giorno in cui varcò la soglia della cella 30 anni prima: «La nostra lotta continua, e se necessario sarà armata». La sua radicalità non si era mossa di un millimetro e aveva abbattuto un altro nemico crudelmente radicale (purtroppo Mandela cedette quando fu al potere). No compromessi per Nelson a spaccar pietre in un carcere sudafricano per tre decadi. Non v’è dubbio, come obiettano in molti, che la radicalità è però un’arma a doppio taglio. La faccio breve e semplice: in mano a un mostro come Pol Pot produsse uno degli orrori più agghiaccianti della Storia. Ma l’obiezione non regge. Il rigore della ricerca medica salva milioni di vite al giorno, oggi, certo che nelle mani di Josef Mengele… Suvvia, non perdiamo tempo.Riprendendo per un attimo le idee di Abraham Lincoln – «il lavoro stipendiato è una schiavitù che necessariamente deve essere superata» – e guardando cosa IL COMPROMESSO il compromesso ha fatto a quelle organizzazioni ormai putrescenti e buffonesche che sono i sindacati occidentali oggi, be’, la distanza fra l’americano e queste ultime è di proporzioni cosmiche, come di proporzioni cosmiche è l’umiliazione del lavoro oggi e la vittoria del Vero Potere sui diritti dei lavoratori. Io sono ferocemente radicale nelle mie idee e azioni, perché, ripeto, ferocemente radicale è il Vero Potere contro cui lotto. Se punto i piedi su un principio non mi smuove neppure un dinosauro, e certo, pago i prezzi, la mia biografia parla chiaro: sono scomparso dalla scena, abbandonato dal pubblico, sepolto vivo dai media. Persino i miei ex collaboratori nella lotta economica che ho pionierizzato qui in Italia, la Mosler Economics-Mmt, trasudano invece di compromessi e non mi hanno affatto compreso. Ok. Ma quanto scritto sopra rimane in me e da lì non mi muovo. Sono praticamente da solo qui in Italia in questa dottrina del radicalismo, e il Vero Potere canta e balla e brinda. Fossimo un esercito, lo avremmo prima terrorizzato, e poi sbranato.(Paolo Barnard, “Il Vero Potere vince perché i suoi maestri sono Gandhi, Malcom X o M.L. King”, dal blog di Barnard del 20 agosto 2015).Alle 3 del mattino in un pub un ragazzino mi ferma e mi chiede, intelligentemente: «Scusi Barnard, ma lei è proprio sicuro che il suo radicalismo feroce sia la via giusta?». Gli ho risposto: «Osserva il nostro nemico, cioè il Vero Potere delle megabanche, delle megacorporations, della megafinanza. Sono spietati nel radicalismo delle loro idee, azioni, determinazione. Hanno ri-vinto dopo 250 anni di sconfitte proprio per questo. Non ti dice nulla?». Lavori per Hsbc? A 25 anni prendi un aereo da Londra per Seul. Arrivi, dormi 27 minuti, ti squilla il cell e il tuo boss ti chiede uno spread sulla chiusura di tutte le borse asiatiche in 60 minuti. Ne impieghi 70 di minuti, sei licenziato. Gandhi proibiva ai cuochi delle cucine nel suo Ashram di parlare e di portare mutande durante la preparazione del cibo. Una parola? Eri fuori. La Commissione Ue decide di portare in povertà 100 milioni di europei? E sia, non si fa un singolo passo indietro, neppure se i premi Nobel dell’economia più famosi del mondo gridano allo scandalo. Neppure se l’Organizzazione Mondiale della Sanità protesta per le stragi di ammalati, feti e anziani.
-
Mont Pélerin, il vivaio degli oligarchi che ci stanno uccidendo
Quando apro le finestre al mattino, di questi giorni, lo sguardo mi cade inevitabilmente sul Mont Pélerin, al di là del lago. È una montagnola svizzera a pochi chilometri da Montreux, nota sin dagli anni Venti per i buoni alberghi e il clima mite. È anche il luogo da cui ha avuto inizio, con la fondazione della Mont Pélerin Society (Mps) nel 1947, la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa. Con le drammatiche conseguenze di cui facciamo ancor oggi esperienza. Gramsci avrebbe trovato di grande interesse la strategia adottata dalla Mps per conquistare l’egemonia, intesa nel suo pensiero come un potere esercitato con il consenso di coloro che vi sono sottoposti. Anziché costituire l’ennesima fondazione o un think tank specializzato nel promuovere questo o quel ramo dell’economia, Mps scelse di costruire su larga scala un “intellettuale collettivo”. Quando Friedrich von Hayek nel 1947 chiamò a raccolta un piccolo gruppo di economisti e altri intellettuali (tra cui Maurice Allais, Walter Eucken, Ludwig von Mises, Milton Friedman, Karl Popper) per fondare la Mps, i convenuti erano soltanto 38, per la maggior parte europei. Alla fine degli anni ‘90 erano diventati più di mille, sparsi in tutto il mondo, sebbene la maggioranza continuasse a provenire dall’Europa.Radicato per lo più nell’accademia, questo intellettuale collettivo non redasse ambiziosi manifesti programmatici (gli “intenti” formulati nel ’47 al momento della fondazione sono una paginetta piuttosto banale, che si può leggere anche oggi identica sul sito della Mps), o grandi progetti di riforme istituzionali. Produsse invece migliaia di saggi e di libri, non pochi di notevole livello, che ruotano tutti intorno ai temi che per i soci della Mps erano e sono l’essenza del neoliberalismo: la liberalizzazione dei movimenti di capitale; la superiorità fuor di discussione del libero mercato; la categorica riduzione del ruolo dello Stato a costruttore e guardiano delle condizioni che permettono la massima diffusione dell’uno e dell’altro. Grazie a questo immenso e capillare lavoro, verso il 1980 le dottrine economiche e politiche neoliberali avevano occupato tutti gli spazi essenziali nelle università e nei governi. Non è stata ovviamente soltanto la Mps a spendersi a tal fine, ma il suo ruolo è stato soverchiante. Non esagerava uno storico del pensiero neo-liberale (Dieter Plehwe) quando definì la Mps, anni fa, «uno dei più potenti corpi di conoscenza della nostra epoca».Peraltro i soci non si sono limitati a pubblicare articoli e libri. Molti di loro sono giunti a occupare posizioni centrali nell’apparato governativo dei maggiori paesi. Ai tempi della presidenza Reagan (1981-88), su una ottantina di consiglieri economici del presidente più di un quarto erano della Mps. Le liberalizzazioni finanziarie decise dal governo Thatcher nella prima metà degli anni ‘80, che hanno cambiato il volto dell’economia britannica, furono elaborate in gran parte dall’Institute of Economic Affairs, una filiazione della Mps fondata e diretta da due soci, Antony Fisher e Ralph Harris. I vertici dell’industria francese e tedesca sono sempre stati numerosi nelle fila della Mps, intrattenendo stretti rapporti con i soci provenienti dal mondo politico. Di rilievo è stata la partecipazione italiana alla Mps. Tra i suoi primi soci vi è stato Luigi Einaudi. Due italiani sono stati presidenti: Bruno Leoni (1967-68) e Antonio Martino (1988-1990) che figura tuttora fra i soci, accanto a (salvo errore), Domenico da Empoli, Alberto Mingardi, Angelo Maria Petroni, Sergio Ricossa.Due caratteristiche segnano fortemente l’egemonia della Mps sulla cultura e la prassi economico-politica degli Stati europei a partire dagli anni ’80. La prima è la dismisura della vittoria su ogni altra corrente di pensiero – specie in economia. Il keynesismo, fin dalle origini l’arcinemico dalla Mps, è stato ridotto all’insignificanza, e con esso quello di Schumpeter, di Graziani, di Minsky. Sopravvivono qui e là in qualche dipartimento universitario, ma nella politica economica della Ue contano zero. A forza di liberalizzazioni ispirate dalla cultura Mps, il sistema finanziario domina la politica non meno dell’economia – come ha dimostrato per l’ennesima volta il caso greco. I sistemi pubblici di protezione sociale sono in corso di avanzata demolizione: non servono, anzi sono nocivi, poiché ciascun individuo, secondo la cultura neoliberale, è responsabile del suo destino. La scuola e l’università sono state riformate, a partire dalla Germania per finire con l’Italia, in modo da funzionare come aziende. Wilhelm von Humboldt si starà rivoltando nella tomba.La seconda caratteristica della cultura economica neoliberale formato Mps è la sua inverosimile resistenza alle pesanti confutazioni che la realtà le infligge da almeno 15 anni. I primi anni 2000 hanno visto il crollo delle imprese dot.com, glorificate dagli economisti neolib, che in nove casi su dieci erano trovatine su cui le borse, in nome dell’ipotesi che i mercati sono sempre efficienti, scommettevano miliardi di dollari. I secondi anni 2000 hanno invece assistito al quasi crollo dell’economia mondiale, minata dalla finanza basata deliberatamente su milioni di mutui ipotecari che le famiglie non avevano i mezzi per ripagare. Dopo il 2010, gli economisti neoliberali e i politici da loro indottrinati hanno imposto alle popolazioni della Ue le politiche di austerità, rivelatesi un fallimento totale a giudizio dei loro stessi promotori. In sintesi, gli economisti formato Mps hanno predisposto i dispositivi che hanno prodotto la grande crisi; non l’hanno vista arrivare; non hanno saputo spiegarla, e hanno proposto rimedi che hanno peggiorato la situazione. Ad onta di tutto ciò, continuano a occupare il ponte di comando delle politiche economiche della Ue.Se uno potesse chiedere a Gramsci come mai le sinistre europee comunque denominate, a cominciare da quelle italiane, sono state travolte senza opporre resistenza dall’offensiva egemonica del neoliberismo partita nel 1947 dal Mont Pélerin, forse risponderebbe «perché non li avete saputi imitare». Al fiume di pubblicazioni volte ad affermare l’idea dei mercati efficienti non avete saputo opporre niente di simile per dimostrare con solidi argomenti che i modelli con cui si vorrebbe comprovare tale idea si fondano su presupposti del tutto inconsistenti. Inoltre, proseguirebbe Gramsci, dove sono i vostri articoli e libri che rivolgendosi sia agli esperti che ai politici e al largo pubblico si cimentano a provare ogni giorno, con solidi argomenti, la superiorità tecnica, economica, civile, morale della sanità pubblica su quella privata; delle pensioni pubbliche su quelle private, a fronte degli attacchi quotidiani alle prime dei media e dei politici, basati in genere su dati scorretti; dello Stato sulle imprese private per produrre innovazione e sviluppo, oggi come in tutta la seconda metà del Novecento; dell’importanza economica e politica dei beni comuni sull’assurdità della privatizzazioni? Poiché la natura ha orrore del vuoto, il vuoto culturale, politico, morale delle sinistre è stato via via riempito dalle successive leve di lettori, elettori, docenti, funzionari di partito e delle istituzioni europee, istruite dall’intellettuale collettivo sortito dalla Mps. Il consenso bisogna costruirlo, e la MPS ha dimostrato di saperlo fare. Le sinistre non ci hanno nemmeno provato.(Luciano Gallino, “La lunga marcia dei neoliberali per governare il mondo, da “La Repubblica” del 27 luglio 2015, ripreso da “Micromega”).Quando apro le finestre al mattino, di questi giorni, lo sguardo mi cade inevitabilmente sul Mont Pélerin, al di là del lago. È una montagnola svizzera a pochi chilometri da Montreux, nota sin dagli anni Venti per i buoni alberghi e il clima mite. È anche il luogo da cui ha avuto inizio, con la fondazione della Mont Pélerin Society (Mps) nel 1947, la lunga marcia che ha portato il neoliberalismo a conquistare un’egemonia totalitaria sull’economia e la politica dell’intera Europa. Con le drammatiche conseguenze di cui facciamo ancor oggi esperienza. Gramsci avrebbe trovato di grande interesse la strategia adottata dalla Mps per conquistare l’egemonia, intesa nel suo pensiero come un potere esercitato con il consenso di coloro che vi sono sottoposti. Anziché costituire l’ennesima fondazione o un think tank specializzato nel promuovere questo o quel ramo dell’economia, Mps scelse di costruire su larga scala un “intellettuale collettivo”. Quando Friedrich von Hayek nel 1947 chiamò a raccolta un piccolo gruppo di economisti e altri intellettuali (tra cui Maurice Allais, Walter Eucken, Ludwig von Mises, Milton Friedman, Karl Popper) per fondare la Mps, i convenuti erano soltanto 38, per la maggior parte europei. Alla fine degli anni ‘90 erano diventati più di mille, sparsi in tutto il mondo, sebbene la maggioranza continuasse a provenire dall’Europa.
-
Giannuli: sinistra, non vali niente. Facci un favore, sparisci
Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui. E, in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd. E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.In questi giorni, si affannano a difendere l’indecente Tsipras. “Non c’era altro da fare”, in Grecia? «Ma allora perché sbrodolarsela per 5 mesi e non chiudere subito, prima di svuotare le banche?». Tsipras “ci ha insegnato cosa significa lottare”? «Veramente ci ha insegnato come prenderle di santa ragione, dopo una manfrina di cinque mesi». Giannuli distingue tra dirigenti e militanti. «Per quanto riguarda i secondi il discorso è presto fatto: l’eredità del comunismo da caserma, per cui il gruppo dirigente va sempre difeso, con fede e senza riguardo per la ragione. La critica per loro è un’oziosa perdita di tempo, loro “credono”, non ragionano e sfidano impavidi il ridicolo. E poi ci sono le ragioni sentimentali: a questi militanti della sinistra, romanticamente, piace perdere, li fa sentire migliori, sfortunati ma migliori. Loro vogliono perdere ed è giusto accontentarli. E’ bene che questa sinistra perda sempre e chiudiamola qui». Dei dirigenti, invece, emerge un «assoluto cinismo»: a loro, «di Tsipras e del popolo greco non potrebbe interessare di meno». E’ solo una questione di marketing: appena 14 mesi fa avevano lanciato la lista “L’Altra Europa con Tsipras”, ora non possono rimangiarsi tutto. E’ troppo presto.Con quel “brand”, continua Giannuli, erano riusciti a superare per il rotto della cuffia lo sbarramento del 4%. «Poi la cosa, come era prevedibile e previsto, si è sfasciata due giorni dopo, fra accordi non rispettati, seggi contesi e slealtà varie», ma questo non toglie che, per ragioni di immagine, non si possa demolire «quello che è stato il marchio di impresa». Anche perché, solo pochi giorni fa, in occasione del referendum greco, «l’icona di santo Alexis era stata innalzata più luminosa che mai, senza far caso alle ambiguità e giravolte dei giorni precedenti, che facevano presagire che uso si sarebbe fatto della vittoria del “no”». Altrettanto cinico il risvolto elettorale italiano: «Il soggetto “nuovo” che sta per nascere sotto l’egida di Sel, al di là dei roboanti proclami anti-renziani, già pensa di entrare nella lista del Pd, come imposto dall’Italicum (o di coalizzarsi con il Pd se dovesse tornare il premio di coalizione)», sicché i suoi promotori «non possono presentarsi con trascorsi da estremisti che non danno affidamento». E’ tutto già scritto, insomma: questa sinistra italiana che ancora di dipinge come radicale è pronta, in realtà, ad accodarsi al Pd, proprio come un tempo si accodò a Prodi.«Questo è il cuore della questione», insiste Giannuli: «Loro farebbero ancora una volta come hanno fatto con il governo Prodi, piegandosi a votare le cose più indecenti come le missioni militari all’estero sotto comando militare americano, espellendo chi non era d’accordo. Fu così che raggiunsero l’obiettivo di perdere 3 elettori su 4 e restare fuori del Parlamento. Una sconfitta presto rimossa, a cui non ha fatto seguito alcuna riflessione critica. Per cui è evidente che oggi farebbero la stessa cosa di Tsipras, perché non hanno gli strumenti culturali per immaginare nulla di diverso». In altre parole: non hanno un’alternativa al dirigismo neoliberista autoritario dell’Ue. «Questo ci porta ad un altro aspetto drammatico della questione: i gruppi dirigenti della Brigata Kalimera non capiscono assolutamente nulla di economia monetaria e, più in generale, di economia. Secondo un suo autorevole esponente – racconta Giannuli – il cambio 1 a 1 fra marco orientale e marco occidentale fu un atto di generosità di Kohl. Peccato che, con l’arrivo dell’euro, poi quell’atto di generosità si sia spalmato su tutti gli altri paesi, per cui la Germania si è pagata la riunificazione – evitando l’equivalente di una “questione meridionale” – con il contributo del resto d’Europa. Khol è stato generoso, ma con i soldi degli altri».Secondo un altro illustre esponente di quella che Giannuli chiama “Brigata Kalimera”, «bisogna emettere liquidità evitando l’inflazione». Emettere liquidità attraverso la Bce di Draghi al guinzaglio della Merkel e di Schaeuble? «Si può provare con una novena alla Madonna di Lourdes», scrive Giannuli. Per un dirigente, ancora più autorevole, la Bce dovrebbe essere “prestatore di ultima istanza”, esattamente come lo era lo Stato nei confronti delle banche e dei soggetti di diritto privato in difficoltà. «Peccato che questa volta siano gli Stati ad aver bisogno di quel prestatore, che è un soggetto di diritto privato», replica Giannuli. «L’autorevole personaggio, che mette nelle mani di Francoforte le speranze di una Europa federale, evidentemente ignora come è fatto il board della Bce e come sono fatti i board delle banche nazionali che lo compongono». E’ come sperare che sia il lupo a far la guardia alle pecore. Nessuno si è accorto che neppure la Francia ha osato alzare la testa, tanto è grave ormai l’infiltrazione capillare dell’affarismo neoliberista privatizzatore, determinato a radere al suolo quel che resta degli Stati?Siamo nel 2015: com’è possibile dire ancora, seriamente, tante idiozie? Semplice: «Questi signori non leggono un accidenti, non sanno niente e non gli importa nulla di sapere qualcosa», scrive Giannuli. «Il loro “pensiero” politico si forma fra un articolo di “Repubblica”, una chiacchierata nella terrazza romana della signora Fulvia, un incontro alla bouvette di Montecitorio con un giornalista “bene informato” e, quando va bene, qualche veloce consultazione di Wikipedia. Mai la lettura di un libro, un seminario di studio, un convegno». Da tempo immemorabile, continua Giannuli, non compare una rivista teorica, non si fa una iniziativa di formazione, non si discute un documento politico di respiro, non si verifica un dibattito di qualche dignità. «Il risultato è un certo politico di cialtroncelli, che non sanno nulla e non pensano nulla, ma hanno solo il problema di vivere della rendita di qualche incarico istituzionale. E non sarebbe meglio che una cosa del genere sparisse definitivamente?».La sparizione storica della sinistra radicale – quella vera – era uno dei capisaldi del famigerato Memorandum di Lewis Powell, avvocato di Wall Street, ingaggiati già all’inizio degli anni ‘70 per liquidare i sindacati e la sinistra dei diritti, anche attraverso “istituzioni” come la Trilaterale e il Wto. Ora siamo al Ttip, e l’Europa fino a ieri ricchissima è letteralmente devastata dall’euro, ma né Tsipras né i suoi emuli italiani vedono il problema, nonostante il martirio della Grecia e la crisi che devasta l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia. Né si può sperare in una vera alternativa da parte dei pur volenterosi 5 Stelle: nonostante gli appelli ad approfondire le ragioni della crisi economica, verso una necessaria svolta sovranista, agli italiani non pervengono piani alternativi al rigore cieco. «Sono convinto – scrive Giannuli – che il M5S stia procedendo troppo lentamente nel processo di maturazione e stia facendo sciocchezze come la proposta del reddito di cittadinanza (solenne fesseria, peraltro condivisa da Sel, da Landini e, suppongo, anche da Rifondazione). Anche questo è il frutto di questo modo impressionistico e facilone di far politica e sono convinto che se il M5S non si dà una mossa, iniziando a fare più sul serio, non ha un grande futuro davanti a sé. Non si può vivere sempre di rendita delle brutture che fanno i governi in carica».Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui (in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd). E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.
-
Magia, esoterismo, religione. E tutte quelle coincidenze
Una delle domande che mi sono posto in questi anni è come facessero certi poteri a creare degli eventi simbolici con una perfezione quasi assoluta. Nei riti di sangue che ho analizzato, da solo o tramite i lettori del blog, ho notato che dal punto di vista simbolico coincide sempre tutto alla perfezione per disegnare metaforicamente un evento che ha un certo significato esoterico. Una delle “coincidenze” che mi hanno da sempre più colpito è che nella lista passeggeri del disastro di Ustica, ai numeri 13 e 19, compaiono rispettivamente Maria Grazia Croce e Rosa De Dominicis, mentre al numero 22, che è il numero della perfezione e di Dio, compare un certo Diodato; così come mi ha sempre colpito il fatto che a Viterbo, città rosacrociana per eccellenza in Italia, i nomi dei sindaci abbiano quasi sempre richiamato simboli rosacrociani, o in maniera evidente (Rosato Rosati, Gigli, Fioroni, Ascenzi) o in maniera meno evidente e più sottile ma comunque sempre collegabile.