Archivio del Tag ‘Politecnico di Milano’
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Ti svuoto il conto, violando l’home banking su smartphone
Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».La pericolosità di questa truffa, aggiunge il “Fatto”, sta nel superamento del secondo fattore di autenticazione, di recente legato al numero di telefono: «Il cellulare viene identificato con la sim, e chi ne entra fisicamente in possesso ha un grande vantaggio», rivela Stefano Zanero, docente di elettronica al Politecnico di Milano ed esperto di cyber-sicurezza: « Il numero di telefono infatti è anche il canale di comunicazione utilizzato dalle banche per notificare i movimenti e per fare eventuali controlli di sicurezza. In questo caso però messaggi e chiamate di verifica arrivano a chi sta commettendo il reato». I guai cominciano con l’assenza di segnale sul telefono. «Da Tim ci rassicurano, dicono che si tratta di un errore nella configurazione», racconta uno dei derubati: «Consigliano di spegnere e riaccendere il telefono, di farlo più volte». Ma è inutile: ormai quel numero è collegato a una sim che sta nelle mani del truffatore. Agli operatori, le vittime raccontano: «Lo stesso giorno abbiamo ricevuto un messaggio che confermava l’avvenuta disattivazione della sim, da noi però mai richiesta». Nel pomeriggio, la Tim conferma: alle 10 del mattino la sim era stata sospesa per furto e smarrimento e poi, in un altro centro, era stato fatto un duplicato della scheda.Le ore trascorse, continua il “Fatto”, hanno permesso a chi ha rubato la sim di utilizzare il numero di telefono per effettuare bonifici, verosimilmente istantanei, e svuotare completamente il conto. Recuperare il maltolto, almeno in parte? Su questa materia regna il caos, e la lentezza della giustizia italiana non aiuta. «Questa truffa informatica – scrive il quotidiano – è strettamente legata alla recente entrata in vigore di una direttiva europea dedicata ai servizi di pagamento digitali, la “Psd2”, Payment Services Directive 2, che ha reso necessario un doppio fattore di autenticazione, in aggiunta a username e password dell’internet banking, legato al contenuto dell’operazione». Per sostituire i vecchi “token” fisici, quasi tutti gli istituti bancari hanno deciso di puntare sull’autenticazione tramite un’applicazione su smartphone. L’introduzione di un passaggio ulteriore ha aumentato il livello di sicurezza complessivo, ma espone a un altro tipo di rischio: «Chi entra in possesso della sim – dice il professor Zanero – ottiene l’accesso a tutte le comunicazioni legate ai pagamenti». Ovvero: «Nel caso di un’operazione sospetta, come un bonifico molto consistente, la banca manda un sms al cliente per verificare che tutto sia regolare. Con l’attacco di sim swap, l’avviso arriva a chi ha rubato la sim. E se l’utente ha già presentato login e password corretti, il secondo fattore e anche il codice contenuto nel messaggio di avviso, è difficile dubitare della sua identità».Insomma, le banche non possono farci granché, se non insistere con gli operatori telefonici per ottenere un cambiamento nelle procedure di duplicazione della sim: «Negli Stati Uniti, dove questa truffa è molto diffusa già da qualche anno, i clienti che si sentono a rischio possono chiedere al proprio operatore di non rilasciare duplicati della sim in centri servizi standard», dice ancora Zanero. «Questo passaggio è scomodo quando capita di perdere per davvero la sim, ma forse è il momento di rivalutarlo vista la crescita di questo tipo di truffe». Il punto di partenza rimane in ogni caso il furto delle credenziali di home banking, che nella grande maggioranza dei casi avviene tramite il cosiddetto phishing: «Il caso classico è una mail che sembra provenire dalla nostra banca. All’interno, con tecniche di inganno differenti, ci viene chiesto di inserire le nostre credenziali, magari tramite il link a un sito che presenta la stessa interfaccia di quello della nostra banca, ma che in realtà è un falso». Inserendo il codice utente e la password, stiamo regalando le chiavi di accesso del nostro conto online. E questo rende pressoché impossibile indurre la banca a restituire il denaro. Mai aprire quei link, ovviamente. Altro consiglio, aggiornare il sistema operativo dei dispositivi cui cui operiamo: «Molti attacchi avvengono tramite l’installazione di malware sul pc, e questo spesso accade perché non abbiamo aggiornato il sistema operativo e i browser con cui navighiamo».Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».
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Addio Taranto, Mittal si porta via i clienti Ilva: era scontato
Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.Nel 2003, infatti – continua Hechich – Arcelor aveva cominciato a contrattare con le parti sociali un piano di ristrutturazione di sei impianti in Europa e la cessazione di alcune attività. Nel 2006, Mittal firmò l’acquisto impegnandosi a non chiudere gli altoforni di Liegi (Belgio) e Florange (Francia). Obiettivo dichiarato: metterli a norma immediatamente per rinforzarne la competitività e assicurare l’ambientalizzazione. «La posta in gioco era molto alta, perché gli stabilimenti della Lorena fornivano l’acciaio alle case automobilistiche Bmw e Mercedes». E invece «non avvenne nulla di quanto stabilito, e nel 2009 lo stabilimento di Grandrange (Francia) chiuse senza mai aver beneficiato di quel piano che Mittal aveva promesso allo Stato francese». Aggiunge Hechich: «Buona parte degli stabilimenti sono stati acquistati al solo fine di distruggere la concorrenza europea, acquisire i contratti per poi lasciare gli impianti abbandonati». Non ci voleva un genio per capire che consegnare Taranto nelle mani del gruppo ArcelorMittal avrebbe voluto dire la fine della città: «La sola ragione per la quale un imprenditore spregiudicato come Mittal potrebbe accollarsi uno stabilimento obsoleto e al centro di una questione giudiziaria come l’Ilva di Taranto sarebbe il voler acquisire le commesse Ilva e chiudere, così come ha fatto nel resto d’Europa, senza bonifiche e senza alcun reimpiego degli operai».Nessuno si sorprenda, se oggi siamo ai titoli di coda: bastava consultare il web per vedere come avesse operato, la multinazionale, in giro per il mondo. E se anche avessimo voluto vendere Taranto ai tedeschi «sarebbe stata la stessa cosa, probabilmente». Infatti, «se gli indiani vogliono far fuori la concorrenza europea, i tedeschi avrebbero voluto far fuori la concorrenza italiana, visto che l’Ilva è il più grande stabilimento d’acciaio d’Europa ed è fondamentale per l’industria manufatturiera italiana, che poi dovrebbe rifornirsi dalla Germania a prezzi maggiori». Lo Stato italiano riuscirà nel miracolo di tirar fuori gli attributi, facendosi carico della questione e risolvendola una volta per tutte? «Certo, Di Maio farebbe una malinconica tenerezza, se non fosse per il fatto che ci va di mezzo la vita lavorativa ed economica di migliaia di famiglie». L’esponente 5 Stelle, allora ministro del lavoro, aveva annunciato di aver «risolto la questione in meno di tre mesi». Chiosa Hechich: in realtà bastava ancora meno – 5 minuti – per scoprire, consultando Google, dove sarebbe andato a parare, il gruppo ArcelorMittal.Nato nel 2006 dalla fusione tra il colosso europeo Arcelor (Spagna, Francia e Lussemburgo) e l’indiana Mittal Steel Company, il gruppo – basato in Lussemburgo – è il maggior produttore d’acciaio al mondo: con oltre 200.000 dipendenti, di cui metà in Europa, rifornisce l’industria automobilistica e i settori delle costruzioni, degli elettrodomestici e degli imballaggi. Opera in Lussemburgo, Spagna, Italia, Polonia, Romania, Bosnia-Erzegovina e Repubblica Ceca. Tanti gli stabilimenti nel resto del mondo: Sudafrica, Messico, Canada, Brasile, Algeria, Indonesia e Kazakhstan. Il gigante ArcelorMittal è quotato in Borsa a Parigi, Amsterdam, New York, Bruxelles, Lussemburgo e Madrid, e le sue azioni sono incluse in più di 120 indici borsistici. L’acquisizione di Arcelor da parte di Mittal (per 33 miliardi di dollari) venne effettuata attraverso un’offerta pubblica di acquisto ostile, lanciata dopo il fallimento di una precedente fusione pianificata da Arcelor. Oggi il gruppo produce il 10% dell’acciaio mondiale, cosa che lo rende la più grande azienda siderurgica del pianeta: già nel 2007, i ricavi ammontavano a 105 miliardi di dollari. Nel 2016 la società è stata multata dal Sudafrica per aver “fatto cartello”, fissando i prezzi attraverso informazioni aziendali riservate (la sanzione inflitta all’azienda: 110 milioni di dollari).La produzione è arrivata a 114 milioni di tonnellate di acciaio ogni anno. Con la crisi del comparto i numeri sono calati, ma il fatturato 2016 superava i 50 miliardi di euro (fruttando alla proprietà un miliardo e mezzo di utili). Cifre peraltro facilmente reperibili, anche su Wikipedia: nel 2018 i ricavi hanno superato i 76 miliardi di dollari (8 miliardi più dell’anno precedente), con un utile netto di oltre 5 miliardi. Tradotto: il profitto cresce, tagliando il lavoro, anche se si contrae il fatturato. Oggi, avverte il “Fatto Quotidiano”, il colosso dell’acciaio è in fuga, e non solo da Taranto: ArcelorMittal chiude stabilimenti in Sudafrica, Polonia e Usa, sostenendo che il mercato si starebbe deteriorando, data la contrazione della domanda. Dal 23 novembre, stop a tre altoforni tra Cracovia e Dabrowa Gornicza. Spente anche una fornace vicino a Chicago e l’acciaieria sudafricana di Baia di Saldanha. Oltre a Taranto, ArcelorMittal ha centri di servizio e sedi operative a Monza, Rieti, Avellino, Milano, Torino e Saronno (Varese). Gli stabilimenti ex Ilva, a parte quello pugliese, sono dislocati a Genova e Novi Ligure (Alessandria), Racconigi (Cuneo), Marghera (Venezia) e Salerno. Se si mette il naso fuori dall’Italia, si scopre che lo stabilimento di Zenica, in Bosnia, acquisito da ArcelorMittal con 22.000 dipendenti, oggi ha appena 3.000 operai.Uomo chiave dell’azienda è il multimiliardario indiano Lakshmi Mittal: presidente e amministratore delegato, detiene il 37.4% del gruppo. Nato in un villaggio indiano del Rajasthan, vive a Kensington, Londra, dove nel 2004 ha acquistato dal magnate britannico Bernie Ecclestone, allora patron della Formula 1, una sontuosa residenza da 70 milioni di sterline, costruita con uno stile che ricorda il Taj Mahal. Il “Financial Times” lo ha nominato uomo dell’anno nel 2006, e nel 2010 il “Sunday Times” lo ha eletto uomo più ricco del Regno Unito con un patrimonio netto superiore a 22 miliardi di sterline. Per “Forbes”, Lakshmi Mittal è stato nel 2015 l’82°uomo più ricco del mondo (e il quinto più ricco dell’India) con un patrimonio di 13,5 miliardi di dollari. Sempre secondo “Forbes”, tra le persone più potenti del pianeta, nel 2014 si è piazzato al 57º posto. Nel 2007, ricorda ancora Wikipedia, ha donato circa 3 milioni di sterline al Partito Laburista. Personaggio poliedrico e azionista anche nel calcio (Queens Park Rangers), per i suoi due figli Mittal ha organizzato matrimoni sfarzosi, spendendo rispettivamente 30 e 65 milioni di dollari. Questo è l’uomo che Luigi Di Maio avrebbe “messo in riga”, un anno fa, e contro cui oggi tentano di fare la voce grossa l’avvocato Conte, il ministro Patuanelli e il sindacalista Landini.Il controllo sulla società, ha raccontato il “Sole 24 Ore”, viene esercitato dai Mittal attraverso sei “trust”, un particolare tipo di società utilizzato da imprese e individui molto ricchi per pagare meno tasse. I sei trust hanno sede nell’isola di Jersey, paradiso fiscale del Regno Unito nel Canale della Manica. Queste società – riassume “Il Post” – sono l’ultimo anello di una lunga catena dove, dopo un lungo giro tra fiduciarie e holding con sede a Gibilterra e in altri paradisi fiscali, arrivano i soldi della famiglia Mittal. All’altro capo della catena rispetto ai trust si trova ArcelorMittal, la multinazionale vera e propria (con sede in Lussemburgo, altro paese con un regime fiscale molto vantaggioso per le imprese). «Grazie a queste complicate strutture, ArcelorMittal è in grado di pagare pochissime tasse», aggiunge il “Post”. «Le sue pratiche di elusione fiscale sono state raccontate in un’inchiesta del sito francese “MediaPart”. La società ha ricevuto accuse di evasione fiscale anche da diversi governi, come quelli di Ucraina e Bosnia, oltre che accuse di aver compiuto violazioni ambientali e aver agito con mano pesante sulle comunità locali in molti dei paesi dove opera».Nel 2018, ArcelorMittal si era presentata alla gara per acquistare l’Ilva di Taranto e gli altri due impianti espropriati alla famiglia Riva, accusata di aver violato per anni le leggi di sicurezza e quelle ambientali. «Nonostante la sua reputazione, la sua offerta è stata giudicata migliore di quella della cordata rivale, Acciaitalia, capeggiata da un’altra società indiana, Jindal». L’assegnazione della vittoria ad ArcelorMittal, avvenuta ufficialmente il primo novembre 2018, è stata piuttosto controversa, ricorda sempre il “Post”: «Già all’epoca, diversi osservatori accusavano la multinazionale di non avere intenzione di rilanciare gli impianti italiani, ma di avere come unico obiettivo sottrarli a un potenziale concorrente». Altri invece hanno difeso la società, sostenendo che era l’unica disposta ad investire le cifre necessarie (circa 2 miliardi di euro) a mettere in sicurezza l’impianto di Taranto, e in particolare i suoi estesi parchi dove sono depositati i minerali di ferro, attualmente esposti al maltempo che spesso ne soffia le polveri sulla città di Taranto. A condurre la gara e le trattative con ArcelorMittal fu prima l’allora ministro Carlo Calenda, con il governo Gentiloni, e poi Luigi Di Maio, durante il primo governo Conte.Di Maio era contrario all’accordo, ma alla fine ha accettato l’offerta della multinazionale. «Con il contratto raggiunto con il governo italiano, ArcelorMittal si è impegnata a investire più di 4 miliardi di euro nella società, ha promesso di occuparsi delle bonifiche dell’impianto di Taranto e di mantenere al lavoro tutti i diecimila dipendenti della società». Da allora però il mercato dell’acciaio è peggiorato. «Anche se nell’ultimo trimestre i conti di ArcelorMittal si sono rivelati migliori del previsto – scrive il “Post” – il 2019 dovrebbe chiudersi con un bilancio molto peggiore rispetto all’anno precedente». Inoltre, alcuni altoforni dell’impianto di Taranto rischiano di dover essere spenti per ordine della magistratura, mentre il governo ha cambiato spesso idea sul cosiddetto “scudo penale” che, in teoria, serve a proteggere manager e dirigenti dell’azienda dal rischio di cause legali per le violazioni commesse dalle gestioni precedenti. Ora siamo al capolinea: ArcelorMittal lascia Taranto a annuncia lo spegimento degli impianti. Secondo Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano, se ne va il 30% della siderurgia italiana. Da sola, l’Ilva vale l’1,5% del Pil.Rilevare stabilimenti, acquisirne i clienti e poi chiuderli. E’ la specialità di ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio. «Il risultato di questi giorni sulla questione Ilva era del tutto prevedibile», scrive Roberto Hechich: «Solo che la gente, i politici e la classe dirigente hanno la memoria corta». Mentre Taranto piange, con 10.000 posti di lavoro a rischio (e l’intera industria meccanica italiana senza più acciaio fatto in casa), sul blog del Movimento Roosevelt l’analista ricorda che Arcelor si difese strenuamente contro l’aggressiva offerta pubblica d’acquisto lanciata in Borsa da Mittal: a fine febbraio 2006 le quotazioni dei due gruppi arrivarono ad equivalersi, e Mittal riuscì ad assorbire Arcelor per un valore di 28,6 miliardi di euro. Promesse vane, sul rilancio: «A qualche mese dalla fusione cominciò a delinearsi chiaramente quella che era la strategia di politica industriale del gruppo: chiudere gli stabilimenti in Europa per fermare la concorrenza e acquisire gli ordini di Arcelor, facendo produrre l’acciaio in paesi terzi». Cominciarono anni di lotte tra il gruppo, i governi (Francia e Lussemburgo) e i sindacati: Mittal fu definito da un ministro francese come un «bugiardo senza limiti» che sapeva bene, al momento del lancio dell’Opa, quali sarebbero state le politiche da portare avanti in Europa.
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Tav irreversibile, fermarlo costa: la madre di tutte le bufale
Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.«In base a quanto ci hanno riferito sia fonti della Commissione Europea sia Paolo Beria, professore del Politecnico di Milano esperto di trasporti, pur nell’opacità (e complessità) dei dettagli che circondano la Tav, è vero – come sostengono i NoTav che non siano previste penali europee nel caso in cui l’Italia abbandoni il progetto», riassume l’Agi. L’agenzia di stampa ha interpellato Paolo Foietta, commissario straordinario per l’asse ferroviario Torino-Lione: Foietta conferma l’assenza di penali, a livello europeo, in caso di mancata realizzazione. Finora è stato realizzato solo il “cunicolo esplorativo” di Chiomonte, che ha funzione geognostica. Del traforo Italia-Francia, lungo 57 chilometri, non è stato scavato neppure un metro. Idem per la linea-doppione che collegherebbe il tunnel a Torino. Quanto al versante francese, Parigi ha stabilito che solo nel 2038 il governo prenderà in esame la possibilità di costruire la ferrovia, dall’uscita del traforo a Chambéry (verso Lione). Spiega Foietta: finora sono stati spesi 1,4 miliardi di euro, ma solo per le opere preliminari (700 milioni forniti dall’Ue e 350 dalla Francia). «Se l’opera non venisse completata per una decisione dell’Italia – sostiene Foietta – chi ha speso quei soldi per un’opera che poi non viene compiuta potrebbe chiederceli indietro».A questo miliardo circa possiamo poi aggiungere gli 813 milioni di finanziamento europeo per il 2014-2019, già stanziati. Quei fondi però non sarebbero una perdita, spiega il professor Beria: «Si tratta di un co-finanziamento. Cioè: oltre a quei soldi l’Italia dovrebbe spenderne altri, propri, per completare l’opera. Se l’opera viene ritenuta inutile, è vero che non ho i fondi europei per farla e dunque li devo restituire, ma non spendo nemmeno fondi italiani, e dunque di fatto ho un risparmio». Quanto costerebbe, eventualmente, chiudere il cantiere di Chiomonte? Foietta “spara” una cifra enorme – 2 miliardi – ma senza documentarla, perlomeno nell’intervista concessa all’Agi. Secondo l’agenzia di stampa, quegli ipotetici 2 due miliardi sono costituiti da “voci” con diverso grado di certezza: per metà sarebbero rimborsi che l’Italia potrebbe dover dare a Francia e Ue per il mancato completamento dell’opera, e per metà sarebbero finanziamenti già stanziati che andrebbero restituiti senza poterli spendere. «Infine, ci sono altri costi connessi ai possibili procedimenti legali intentati dalle imprese già coinvolte». Conclusione: non risultano “penali” per l’Italia nel caso in cui decida di uscire dal progetto. «Roma dovrebbe però restituire un finanziamento europeo di oltre 800 milioni di euro».Quanto costerebbe, invece, realizzare la Torino-Lione? Non meno di 26 miliardi di euro, scrive – nero su bianco – la Corte dei Conti francese. Di questi, circa 11 miliardi sarebbero destinati alla sola galleria ferroviaria italo-francese, di cui non esiste neppure il cantiere. Come si fa a dire, ancora, che “non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla”? Si può, eccome: lo hanno ripetuto Conte e Salvini, nonché il neo-presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Non sanno fare i conti o, semplicemente, mentono? Sperano che, a forza di ripeterla, una bugia si trasformi in verità? I media continano a proporre le immagini del mini-cantiere di Chiomonte, come se fosse il vero tunnel ferroviario. Si vuole far credere agli italiani di essere a un passo dalla meta, mentre della Torino-Lione non esiste ancora neppure un metro di binario? Quand’anche: resta inevaso l’obbligo primario di rispettare un diritto fondamentale, democratico. Se vuole devastare un territorio imponendo una infrastruttura faraonica e inutile, che il territorio contesta, lo Stato – che è sovrano – deve impegnarsi politicamente a fornirne le motivazioni. Se continua a non farlo, la sua credibilità istituzionale si sbriciola. Ed è esattamente quello che purtroppo sta accadendo.Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.
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Tav, Governo del Tradimento: sangue e bugie, addio grillini
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.Il cedimento gialloverde emerge anche dalle parole di Beppe Grillo, secondo cui è illusorio «credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo». Per Grillo, «significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale oppure una dittatura». Ammette il fondatore, che della battaglia NoTav aveva fatto una sua bandiera: «Sono molto scontento della situazione che si è venuta a creare». Ma non aggiunge altro, preparandosi a “digerire” il clamoroso voltafaccia difendendo Toninelli e Conte, che avrebbero reso «meno disastroso» lo scenario, tenendo testa a Macron. Come dire: scusate, ma finora avevamo scherzato. Vi avevamo promesso che ci saremmo messi di traverso, per fermare il Tav? Erano solo parole: come quelle contro l’obbligo vaccinale, il Tap in Puglia e le trivelle nell’Adriatico. Impossibile, sembra dire Grillo tra le righe, che un governo possa fare davvero gli interessi dei cittadini, e non quelli delle lobby che dominano l’Ue. Se non ci fossimo noi – aggiunge l’ex comico – sarebbe pure peggio. Come dire: non siamo colpevoli, e in ogni caso è inutile illudersi che il sistema possa essere cambiato. Ma non era proprio per questo che erano nati, i 5 Stelle? Difatti: non a caso, il loro consenso sta franando. E il “tradimento” sul Tav, come dice Durbiano, sembra davvero l’inizio della fine: tra poco i 5 Stelle potrebbero non esistere più.Dopo la sortita di Conte, affermano i NoTav, ora tutto è finalmente chiaro: «Come abbiamo sempre sostenuto, dalle parti del governo non abbiamo mai avuto amici». Aggiungono i NoTav: «La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine, e il cambiamento tanto promesso dal governo getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti». Formule retoriche, che si ripetono dal 2001 a prescindere dal colore politico dell’esecutivo di turno. Il governo Conte? Sembra aver voluto «cambiare tutto per non cambiare niente». Tante chiacchiere, ma poi – al dunque – il governo gialloverde «è sempre stato ambiguo, negli atti concreti, e questo è il risultato». Non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla? «E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta il futuro di molti sull’altare degli interessi politici di pochi». Lo stesso Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia. Ora perché ha cambiato idea? E’ stato «fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?».Recentissima la richiesta di arresto per il direttore della Cmc di Ravenna, general contractor della Torino-Lione, accusato per una storia di corruzione in Kenya. «Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte», sottolineano i NoTav: «Altro che interessi degli italiani!». Del resto, aggiunge il movimento valsusino, «abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica». Cosa cambia, ora? «Per noi assolutamente nulla, perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il sì all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale – che non c’è, e che nessuno dimostrerà mai». Opera inutile: lo dice anche la commissione speciale istituita da Toninelli e coordinata dal professor Marco Ponti. «Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico: dalla Torino Lione la maggioranza del paese non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti».E i 5 Stelle, da sempre NoTav, ora faranno finta di niente, tirando a campare? Bella sceneggiata, quella di «portare il voto in un Parlamento dove l’esito è già scontato, e dove il Movimento 5 Stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”». I NoTav annunciano battaglia: «Proseguiremo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile e imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto, mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo paese, che siamo convinti, sta con noi». Nel 2005, quando la polizia sgomberò con inaudita violenza i manifestanti dal presidio di Venaus, di colpo l’Italia scoprì che in valle di Susa c’era un problema – non locale, ma nazionale. «Non si possono imporre le opere pubbliche col manganello», disse Di Pietro. Da allora sono passati quasi 15 anni, e il governo in carica – stavolta rappresentato anche dai 5 Stelle – continua a premere per la grande opera senza la minima trasparenza, cioè evitando ancora una volta di dimostrarne l’utilità. Una storia tristemente italiana, di democrazia calpestata. Con un corollario: l’auto-rottamazione del movimento creato da Grillo.Era nell’aria: il Governo del Tradimento si sarebbe apprestato a rimangiarsi anche l’ultima delle sue promesse. Ovvero: non gettare via miliardi in valle di Susa per il Tav Torino-Lione, senza prima averne verificato l’utilità. La verifica – la prima, nella storia – era arrivata nei mesi scorsi dopo decenni di silenzio da parte dei governi romani, per merito del ministro Danilo Toninelli. Verdetto negativo, firmato dal più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti, già docente del Politecnico di Milano e consulente della Banca Mondiale: un’opera faraonica e completamente inutile, perfetto doppione della linea Italia-Francia che già attraversa la valle di Susa, collegando Torino e Lione via Traforo del Fréjus, da poco riammodernato al prezzo di quasi mezzo miliardo di euro per consentire il passaggio di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. Lo sapevano anche i sassi, peraltro: il traffico Italia-Francia è praticamente estinto. Lo chiarisce la Svizzera, delegata dall’Ue a monitorare i trasporti transalpini: l’attuale linea valsusina Torino-Modane-Lione, ormai semideserta e destinata a restare un binario morto anche nei prossimi decenni, potrebbe aumentare del 900% il suo volume di traffico, se solo esistesse almeno il miraggio di merci da trasportare, un giorno.
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Vergogna gialloverde, i 5 Stelle si piegano anche sul Tav
«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.Lo ribadì alcuni mesi fa lo studio sul rapporto costi-benefici commissionato dal ministro Danilo Toninelli al professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, “trasportista” di fama mondiale. Era la prima analisi seria, professionale, prodotta da un governo italiano, da vent’anni a questa parte, sulla grande opera più controversa della penisola, contro la quale si è scatenata una fortissima protesta popolare culminata nel 2005 con la quasi-insurrezione della valle di Susa, guidata dai sindaci in fascia tricolore. Protesta tempestivamente cavalcata da Beppe Grillo, in prima linea coi NoTav insieme a Dario Fo. Cinque anni dopo, lo stesso Grillo tornò in valle di Susa spingendosi a Chiomonte e violando provocatoriamente la prima “zona rossa” imposta dalle forze dell’ordine. Sembrano passati mille anni: i grillini oggi sono costretti a ingoiare le parole del premier gialloverde, scelto proprio da loro per giudare la traballante alleanza con la Lega, da sempre favorevole allo spreco ferroviario del secolo. «Sono pervenuti dei fatti nuovi», ha tentato di spiegarsi Conte, alludendo alla recente apertura dell’Unione Europea, che si è detta disponibile ad aumentare lo stanziamento dal 40% al 55%. «La tratta nazionale per l’Italia potrebbe beneficiare di un contributo europeo pari al 50%».A proposito di Bruxelles: proprio i grillini sono stati determinanti, la scorsa settimana, nella nomina della tedesca Ursula von der Leyen, fedelissima della Merkel e impietosa interprete del peggior rigore europeo. Oltre che l’ennesimo clamoroso tradimento dell’elettorato grillino, l’incredibile voltafaccia sul Tav Torino-Lione si annuncia come una pagina particolarmente vergognosa per il governo gialloverde: se la mossa di Conte sembra un tentativo funambolico di tenere in piedi l’esecutivo accontentando Salvini, rivela soprattutto le mostruose pressioni subite dal potere Ue, a cui l’Italia sembra cedere anche stavolta, come già per la vertenza sul deficit negato. E’ un’Italia che evidentemente obbedisce a decisioni altrui, in questo caso imposte dalla potente lobby europea delle grandi opere. Il paese dei viadotti che crollano ha un disperato bisogno di infrastrutture utili, e invece si prepara a regalare miliardi ai soliti noti, per un’opera inutile che prevede cantieri con un profilo occupazionale ridicolo. Una farsa, che per i 5 Stelle si trasformerà in tragedia politica: d’ora in poi, nessuno potrà più prendere sul serio Luigi Di Maio, qualunque cosa dovesse dire. Chi ha votato 5 Stelle difficilmente lo rifarà.«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.
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Sparisce Chiamparino, ma crolla la diga NoTav in val Susa
Aiuto, vince il partito Sì-Tav anche in valle di Susa, già roccaforte dei 5 Stelle. Sicuri? «Se dobbiamo vedere realmente chi ha fatto del Tav il suo punto principale, allora dobbiamo leggere nella batosta di Chiamparino un dato positivo», scrive il sito “NoTav.info”. L’ex “padre padrone” del Piemonte, infatti, «non ha creato quella breccia che il Pd e il centrosinistra “madamino” volevano aprire, anzi». Dopo aver riempito le piazze di improvvisati attivisti pro-Tav, l’ex governatore piemontese (fermatosi al 35,8%) è uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali, surclassato dal centrodestra di Alberto Cirio (49,9%). Letteralmente “asfaltati” invece i grillini, schiantati da un umiliante 13,6%. «La Torino-Lione si farà», si è affrettato a dire il trionfatore, Cirio. «Quello che si è svolto in Piemonte, e persino in valle di Susa, è già un sostanziale referendum sulla grande opera», secondo Matteo Salvini, anch’esso arruolato nella cordata per la maxi-infrastruttura più inutile d’Europa. Ma, come segnalano i NoTav, a far rumore è soprattutto il crollo di Chiamparino: una sconfitta personale altamente simbolica, per un politico navigatissimo che negli ultimi anni aveva puntato tutto proprio sugli appalti per costruire la ferrovia-doppione di quella che già collega Torino e Lione attraverso la linea storica della valle di Susa, la Torino-Modane, via traforo del Fréjus (appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo).Ora, di fronte alla débacle, Chiamparino si prepara al ritiro dalle scene: rinuncerà persino a sedere in Consiglio regionale, cedendo il posto a candidati più giovani. Cresciuto nel Pci-Pds, eletto sindaco di Torino nel 2001 e poi riconfermato trionfalmente nel 2006, Chiamparino è stato classificato dal “Sole 24 Ore” il sindaco più amato d’Italia, con un consenso del 75%. Vicinissimo a Sergio Marchionne, ha tentato di ripristinare il ruolo industriale della città (prima che la Fiat “emigrasse” a Detroit). Nel Pd ha avuto un ruolo di primo piano (riforme) sia con Veltroni che con Franceschini. E’ stato presidente nazionale dell’Anci, portavoce dei Comuni italiani e coordinatore dei sindaci delle città metropolitane. Poi, nel 2012, il gran salto nella finanza, come presidente della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria di Intesa SanPaolo. Salvo poi tornare tranquillamente alla politica attiva nel 2014, divenendo presidente del Piemonte (poi anche a capo della conferenza dei presidenti delle Regioni italiane). Crescente, negli ultimi dieci anni, il suo impegno per la Torino-Lione. Forte la criminalizzazione della resistenza popolare rispetto alla grande opera: «Ormai siete quattro gatti», disse nel 2010 ai NoTav, che gli risposero con una marcia di 40.000 persone.Un anno dopo, gli attivisti si opposero allo sgombero forzato del sito di Chiomonte, prescelto per impiantare il cantiere del mini-tunnel geognostico. E’ solo un’opera accessoria, l’unica finora realizzata: del traforo ferroviario vero e proprio, tra Italia e Francia (54 chilometri, da Susa alla Maurienne) non è stato scavato neppure un metro. In vent’anni, l’unica forza politica di governo capace di opporsi al Tav valsusino è stato il Movimento 5 Stelle. In precedenza, ministri come Ronchi e Pecoraro Scanio (Verdi) più Paolo Ferrero (Rifondazione Comunista) erano riusciti a frenare temporaneamente Prodi. Ma solo Di Maio – dopo l’impegno personale di Beppe Grillo in valle di Susa – ha avuto la forza di ridiscutere interamente il progetto già nel “contratto di governo” con Salvini, per poi affidare a Toninelli, finalmente, un’analisi costi-benefici. Scontato l’esito del lavoro della commissione, presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, uno dei migliori specialisti europei in tema di trasporti. Il verdetto: la linea Tav Torino-Lione, costosissima, è completamente inutile. Nonostante ciò, Salvini non ha mollato l’osso: i bandi di gara per far partire i cantieri del tunnel italo-francese restano aperti fino all’autunno. E ora, con il crollo dei 5 Stelle (al 17% alle europee, al 13% in Piemonte) la posizione degli alleati dei NoTav si è ulteriormente indebolita.La marea salviniana, peraltro, ha fatto breccia anche in valle di Susa: alle europee, la Lega ha convinto la stragrande maggioranza degli abitanti. I 5 Stelle restano il primo partito soltanto in 6 Comuni della vallata (Exilles, Venaus, Mompantero, Bussoleno, Chianocco e Vaie), mentre i NoTav perdono un alleato strategico a Susa, dove il sindaco uscente Sandro Plano non è riuscito a farsi riconfermare. Secondo i NoTav, comunque – a parte Susa – il voto comunale ha confermato le amministrazioni vicine agli attivisti che si oppongono alla grande opera. «Altro discorso è quello del Movimento 5 Stelle, che evidentemente ha pagato la mancanza di decisione e di risultati rispetto alle aspettative create, sul Tav come su tutto il resto», scrive “NoTav.info”, che aggiunge: «Non ci stupiscono le dichiarazioni di personaggi come Ferrentino ed Esposito, che sono più contenti del voto alla Lega in ottica Sì-Tav che tristi per la batosta presa, segnale chiaro di come il partito del cemento non abbia colori». Antonio Ferrentino e soprattutto Stefano Esposito, esponenti del Pd piemontese, non hanno risparmiato accuse ai NoTav, demonizzando l’opposizione al super-treno. Dal canto loro i NoTav resistono, consapevoli del fatto che proprio la filiera di potere delle grandi opere ben rappresenta la post-democrazia attuale, con scelte imposte dall’alto (spesso assurde, come la Torino-Lione) e contro la volontà popolare. Sovranità confiscata dal business, anche se in vent’anni i supporter del Tav non sono mai riusciti a dimostrarne l’utilità.Aiuto, vince il partito Sì-Tav anche in valle di Susa, già roccaforte dei 5 Stelle. Sicuri? «Se dobbiamo vedere realmente chi ha fatto del Tav il suo punto principale, allora dobbiamo leggere nella batosta di Chiamparino un dato positivo», scrive il sito “NoTav.info”. L’ex “padre padrone” del Piemonte, infatti, «non ha creato quella breccia che il Pd e il centrosinistra “madamino” volevano aprire, anzi». Dopo aver riempito le piazze di improvvisati attivisti pro-Tav, l’ex governatore piemontese (fermatosi al 35,8%) è uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali, surclassato dal centrodestra di Alberto Cirio (49,9%). Letteralmente “asfaltati” invece i grillini, schiantati da un umiliante 13,6%. «La Torino-Lione si farà», si è affrettato a dire il trionfatore, Cirio. «Quello che si è svolto in Piemonte, e persino in valle di Susa, è già un sostanziale referendum sulla grande opera», secondo Matteo Salvini, anch’esso arruolato nella cordata per la maxi-infrastruttura più inutile d’Europa. Ma, come segnalano i NoTav, a far rumore è soprattutto il crollo di Chiamparino: una sconfitta personale altamente simbolica, per un politico navigatissimo che negli ultimi anni aveva puntato tutto proprio sugli appalti per costruire la ferrovia-doppione di quella che già collega Torino e Lione attraverso la linea storica della valle di Susa, la Torino-Modane, via traforo del Fréjus (appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo).
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Ponti: Tav ridicolo. E ben 133 miliardi di progetti-fantasma
«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».Parlando con Maria Teresa Santaguida dell’agenzia di stampa Agi, Marco Ponti definisce testualmente «un’enorme cazzata» il progetto Tav Torino-Lione. I progetti in giacenza al ministero, ereditati dai governi Renzi e Gentiloni? Non si sa quanto traffico ospiterebbero, né si conosce l’eventuale rientro finanziario: «Si sanno solo i costi, perché sono soldi nostri». Attacca Ponti: «Solo perché si tratta di soldi dei contribuenti, non occorre valutare?». Il professor Ponti, economista, è bersaglio di polemiche dopo che la sua analisi ha sonoramente bocciato la Torino-Lione. Si difende contrattaccando: per decenza, si faranno analisi costi-benefici su tutti i progetti-fantasma parcheggiati al ministero da Delrio. Molte opere avrebbero alternative meno costose, tutte da analizzare. «Sulla Tav è più difficile, perché quello è un “tubo”: o si fa o non si fa». Il professore, intanto, critica «l’assioma» per il quale il trasporto su ferro inquinerebbe meno di quello su gomma: «Grazie alla tecnologia abbiamo già risultati strepitosi: un camion di oggi inquina un decimo di uno di vent’anni fa. E questa è la strada che sta seguendo tutto il mondo: si investono decine di miliardi per fare veicoli ibridi o elettrici. Tecnologia che poi pagano gli utenti, mentre la ferrovie le paghiamo noi».Tra le accuse a Ponti, l’aver redatto in passato una pubblicazione che valutava positivamente la Torino-Lione. Il professore si infuria: «Il precedente studio è una balla, è una delle bugie più odiose pronunciate da Enrico Mentana: quello che ha fatto è orrendo». E spiega: «Quello studio non era un’analisi costi-benefici, ma un’analisi di valore aggiunto: il che non ha niente a che vedere con l’analisi costi-benefici». Aggiunge Ponti: «Col valore aggiunto è fattibile qualsiasi cosa, anche un’autostrada di alluminio tra la Sicilia e la Sardegna, perché non misura il rapporto tra costi e benefici: infatti ai politici piace tantissimo». Secondo lo studioso, confrontare la stima del valore aggiunto con l’analisi costi-benefici «è una porcata indegna di un giornalista serio». Tutti, ovviamente, l’hanno usata per dire: ecco, Ponti dice una volta sì e l’altra no, a seconda di chi lo paga. Falso: la consulenza al governo gialloverde è gratis. «Ci tengo a dire che non sono pagato, per mia scelta», sottolinea Ponti: «La libertà ha un prezzo, io sono ricco e non me ne frega niente». Insiste: «Nessuno deve potermi dire che dico sì o no perché sono pagato. Da 10 anni valuto i progetti sulla base dei costi e dei benefici che riesco a calcolare».Il progetto Torino-Lione, aggiunge Ponti, «mi dicevano già che era indifendibile: non sarebbe stato un buon uso delle risorse pubbliche, perché costa troppo caro rispetto al traffico che ci passerebbe su». E come spiegare, allora, tanta insistenza nel proporre una grande opera così disastrosamente sgangherata, improbabile, inutile e oltretutto avversata dall’intera comunità locale della valle di Susa? «La lobby ferroviaria in Europa è intoccabile perché muove voti e soldi», sostiene Ponti: viene dunque da lontano l’ostinazione ventennale sulla ridicola Torino-Lione. Colpa della potente lobby europea, che si mette tranquillamente in tasca Bruxelles. «La Commissione Europea – dice ancora Ponti – decide senza seguire le regole, tra cui quella in base alla quale chi inquina paga, perché anche le ferrovie sono altamente inquinanti». E attenzione: «I ritorni finanziari sull’investimento per infrastrutture ferroviarie sono sempre zero». Chi gliel’ha detto? «La stessa commissaria Ue ai trasporti, la slovena Violeta Bulc».«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».
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Torino-Lione, la Banda del Buco farà fallire le Fs italiane?
Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.«Meglio di David Copperfield – scrive Spadini – il premier Conte ha fatto sparire i bandi per il Tav sotto gli occhi di tutti». Una sua lettera dice infatti di aver «ricevuto la conferma da parte di Telt del consenso a ridiscutere l’opera e a congelare i bandi». In altre parole, «un modo per rinviare il problema a dopo le elezioni europee, ma non una soluzione definitiva». Per Alberto Perino, storico portavoce dei NoTav, «Telt vince, Conte e i 5 Stelle perdono, Salvini gode». Il dibattito sul Tav segna l’inizio della campagna elettorale per Strasburgo, tra mille forzature e fake news. In realtà, osserva Spadini, «l’affare Tav è considerato irrinunciabile e vitale dal sistema che vive da decenni sulla spoliazione di soldi pubblici, perché può trasformarsi in un pozzo di San Patrizio inesauribile, che continuerà a foraggiare l’Alta Voracità delle classi dirigenti più avide della storia d’Italia». Da qui la battuta d’arresto «imposta dalla banda affaristica del Tav», con l’improvviso rischio di una crisi di governo. «Non è un caso che il Tav abbia la maggioranza di Salvini, Berlusconi, Meloni e di Zingaretti», dichiara Gianluigi Paragone: «Evidentemente quando c’è una grande torta, ci sono interessi da tutelare». Per ora, l’esecutivo s’è rifugiato in corner: «La via più di buon senso è quella di pubblicare i bandi con la “clausola della dissolvenza”, così come previsto dal diritto francese, che consente in qualsiasi momento di poterli revocare», spiega il sottosegretario alle infrastrutture, Armando Siri.Per il momento la strada della “dissolvenza” sembra essere l’unica soluzione indolore, scrive Rosanna Spadini, nel senso che i bandi francesi si terranno, e allo stesso tempo il governo prende tempo. Lo conferma Danilo Toninelli, quando sostiene che si può allo stesso tempo dire sì ai bandi e no al Tav. Il Cda di Telt resta comunque convocato, con l’ordine del giorno per il via libera ai bandi da 2,3 miliardi di euro per l’avvio del “tunnel di base”. Però la faccenda è ancor più complicata, annota Spadini su “Come Don Chisciotte”, perché la Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin) è un’azienda francese di proprietà al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato italiane con sede a Le Bourget-du-Lac, nel dipartimento della Savoia, in Francia, con lo scopo di progettare, realizzare e gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria Torino-Lione. Premessa: «Dal 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato sono diventate una Spa». Sono sempre un organismo di diritto pubblico, «però in forma di società per azioni». A marzo del 2016, l’accordo sulla distribuzione dei costi totali: 8,3 miliardi di euro (valore datato, risalente a una stima del 2012).Il nuovo super-tunnel, completamente inutile secondo la commissione tecnica presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, dovrebbe quindi essere finanziato per il 40% dall’Unione Europea, per il 35% dall’Italia e per il restante il 25% dalla Francia. «Condizioni a dir poco disoneste per l’Italia, cui spetta il tratto minore». L’abbinamento è piuttosto curioso, fa notare Rosanna Spadini: «Se lo Stato francese non può mai fallire, Fs invece – essendo una Spa – potrebbe fallire, soprattutto se si espone ad opere insostenibili e se nella sua galassia esistono soggetti privati che cercano di vampirizzarla, creando flussi finanziari distrattivi dall’interno». Esempio recentissimo: la Tp Ferro, società che ha gestito la ferrovia e il tunnel per la linea Parigi-Barcellona sotto i Pirenei, è stata costretta a portare i bilanci in tribunale nel 2015. «La linea è ampiamente sottoutilizzata: solamente 70 treni passeggeri e 32 merci a settimana, ben al di sotto delle previsioni. Il costo della sezione transfrontaliera fra Perpignan e Figueras, comprendente il traforo, è stato di 1,2 miliardi di euro, e ora il debito della Tp Ferro supera i 400 milioni. Il tratto di linea in questione fa parte del fantasioso Corridoio Mediterraneo, e la sua costruzione era stata finanziata dall’Unione Europea. Lo stesso corridoio della Torino-Lione, e la società ora in fallimento ci teneva a sottolinearlo».Attenzione: la sezione transfrontaliera della Torino-Lione «costa oltre sette volte la Figueras-Perpignan, ma nulla lascia intravedere un futuro più roseo per la linea francoitaliana rispetto a quella franco-spagnola». A maggior ragione se si considera che fra Italia e Francia «già esiste una ferrovia, che passa per la val Susa, in grado di trasportare le merci e su cui transitano regolarmente i Tgv». Linea anch’essa sottoutilizzata: spariti i passeggeri grazie ai voli low-cost, è crollato anche il traffico merci (né si prevede che possa risorgere: la direttrice dei trasporti mercantili è la Genova-Rotterdam). Nel frattempo, scrive Spadini, Fs è entrata in affari con quella stessa Francia che ha appena boicottato Fincantieri per impedirle di acquisire Stx France, ora Chantiers de l’Atlantique. Per la Torino-Lione, la società Fs Spa è ora la capo-holding. E’ nata nell’ambito delle famigerate privatizzazioni decise tra il ‘92 e il ‘93. Inoltre, nel caso della Torino-Lione «la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico ha una durata di 60 anni, quindi fino al 2053». La premiata ditta Prodi-D’Alema ha poi separato Trenitalia dalla gestione dell’infrastruttura Rfi Spa, «che ha appena svenduto tutto il commercio in franchising di Grandi Stazioni Spa ad una società franco-italiana con sede in Lussemburgo».Quindi Fs, che dovrebbe essere di Stato, «continua a svendere gioielli di famiglia, grandi patrimoni statali che invece dovrebbero essere inalienabili». Grandi Stazioni Spa, infatti, comprende le maggiori stazioni monumentali del paese, «già controllate da Fs ed Eurostazioni Spa, quest’ultima controllata dalle società di Caltagirone, Benetton, Pirelli e dalla Società “francese” delle Ferrovie, cedendo inoltre tutto il “retail” ad un privato, che sfrutterà una manodopera schiavizzata». Tutto questo, secondo Rosanna Spadini, «dovrebbe bastare per stracciare gli accordi e non procedere», con la Torino-Lione, «se volessimo mantenere pubbliche le nostre stazioni e la ferrovia, ed evitare un molto probabile fallimento, visto che tutta l’operazione Tav puzza anche di una squallida porcata per indebitare Fs e poi privatizzarla, magari svendendola proprio ai francesi». Non stupisce che la potente lobby del Tav abbia mobilitato anche i sindacati, «che ormai servono da cassa di risonanza della intramontabile casta dei vecchi partiti, che hanno dovuto ingoiare diversi rospi: legge spazzacorrotti, pene fino a 15 anni per il voto di scambio politico-mafioso, il reddito di cittadinanza e lo stop alla prescrizione, il taglio dei finanziamenti pubblici all’editoria».L’inutile Tav Torino-Lione come ultimo appiglio per i vecchi consorzi mangia-Italia? Le imprese coinvolte nel progetto della maxi-opera valsusina sono sempre le stesse, sottolinea Spadini. Ltf è la società madre, responsabile della realizzazione. Curriculum: «Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, nel 2011 è stato condannato in primo grado per turbativa d’asta; oggetto: la gara per la direzione dei lavori per il tunnel esplorativo della Torino-Lione». Dettaglio: l’avvocato difensore di Comastri era Paola Severino, ministro della giustizia del governo Monti. Poi c’è l’intramontabile Cmc di Ravenna (Cooperativa Muratori e Cementisti): una coop rossa, quinta impresa di costruzioni italiana, al 96esimo posto nella classifica dei principali 225 “contractor” internazionali. La Cmc vanta un ex amministratore illustre, Pierluigi Bersani. «Si è aggiudicata l’incarico (affidato senza gara) di guidare un consorzio di imprese (Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa e Geotecna Spa) per la realizzazione del cunicolo esplorativo a Chiomonte». Valore della fetta di appalto della Cmc, 96 milioni di euro. Convergenze parallele: da Bersani a Lunardi (Pietro, governo Berlusconi) attraverso la Rocksoil Spa, società di geoingegneria. Lunardi ha poi ceduto le azioni ai familiari, ottenuto il dicastero delle infrastrutture nel 2001, tenuto fino al 2006.Nel 2002, prosegue Rosanna Spadini, la Rocksoil ha ricevuto un incarico di consulenza dalla società francese Eiffage, che a sua volta era stata incaricata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, di proprietà dello Stato) di progettare il tunnel per la Torino-Lione, oggi quotato 13 miliardi di euro. Lunardi si difese dall’accusa di conflitto d’interessi dicendo che la sua società lavorava «solo all’estero». Poi c’è Impregilo, la principale impresa di costruzioni italiana. È il general contractor del progetto Torino-Lione, nonché del progetto per l’altrettanto famigerato ponte sullo Stretto di Messina. Impregilo appartiene ad Agrofin (Gavio), ad Autostrade (Benetton) e a Immobiliare Lombarda (Ligresti). Argofin: marchio del gruppo Gavio. Marcellino Gavio è stato latitante negli anni 92-93, «ricercato per reati di corruzione legati alla costruzione dell’autostrada Milano-Genova», infine «prosciolto per prescrizione del reato». Autostrade: gruppo Benetton, noto in Italia per il disastro del viadotto Morandi a Genova e conosciuto anche all’estero «per lo sfruttamento dei lavoratori delle sue fabbriche di tessile in Asia e per aver sottratto quasi un milione di ettari di terra alle comunità Mapuche in Argentina e Cile». Infine, Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti). Salvatore Ligresti è stato condannato dopo l’inchiesta Tangentopoli, pattuendo una condanna a 4 anni e due mesi «dopo la quale è tornato tranquillamente alla sua attività di costruttore». Qualcuno può ancora chiedersi il perché delle mostruose pressioni sui 5 Stelle per dare il via libera ai miliardi dell’intile Torino-Lione?Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridoio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.
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Zingaretti pro-Tav: s’incunea tra i 5 Stelle, Salvini e Maroni
L’elezione plebiscitaria di Nicola Zingaretti alla guida del Pd inaugura una nuova stagione per il governo Conte: «Quella del tiro alla fune, con in mezzo una banderuola chiamata Movimento 5 Stelle». La scelta di Torino come prima tappa del “nuovo” Pd è simbolica, scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario”: puntando sul Tav Torino-Lione, Zingaretti prova a dare «uno strattone alla fune per accentuare lo sfilacciamento nella maggioranza». In questo modo, il neo-segretario Pd s’incunea tra Lega e 5 Stelle, gettando sale sulla ferita: bruciano «le differenze tra i contraenti del contratto di governo, che nel braccio di ferro sulla Tav stanno giocando una partita molto rischiosa». Il calo elettorale, spiega Fanna, non consente ai 5 Stelle di cedere altro terreno a Salvini. E dal canto suo, il leader leghista «deve tenere duro sul fronte degli investimenti al Nord», dal momento che «non può permettersi che un ex di lusso come Roberto Maroni arrivi a ipotizzare un nuovo partito del Nord, autonomista e rappresentativo dei ceti produttivi che si sentono sempre più trascurati». Brinda il cartello trasversale pro-Tav: la grande opera inutile, doppione della ferrovia attuale, ottiene una nuova chance grazie alle debolezze dei gialloverdi.La svolta alla segreteria Pd, sottolinea Fanna, segna l’apertura della caccia al voto grillino, «un movimento che oggi sembra composto più da delusi che da militanti convinti». Torino è pur sempre la città in cui il Movimento 5 Stelle ha mandato a casa un dinosauro come Piero Fassino. Ora però i pentastellati «potrebbero subire una nuova batosta alle regionali, dopo quelle rimediate in Abruzzo e Sardegna». Molti delusi, aggiunge Fanna, «sono andati a ingrossare l’esercito dell’astensionismo, che in Sardegna ha toccato quasi il 50%». Rappresentano quindi un vasto bacino elettorale da riconquistare, e il Pd zingarettiano «sembra non volere più lasciare campo libero alla Lega, che in questo momento fa man bassa di consensi». I sondaggi dicono che il Pd sta recuperando, e che il voto delle ultime due regionali – con i 5 Stelle che scivolano al terzo posto, rilanciando l’antico “bipolarismo apparente” tra centrodestra e centrosinistra – indica una tendenza che investe tutto il paese. Ma non è tutto, aggiunge Fanna: «Luigi Di Maio teme poi di venire scavalcato dai duri e puri del suo movimento guidati dal presidente della Camera Roberto Fico, che ha molti punti di contatto con il Pd».Così, conclude l’analista, il “tiro alla fune” di Zingaretti potrebbe allargarsi e strattonare non solo il governo, per ottenere elezioni anticipate al momento poco ipotizzabili, ma soprattutto i grillini. «Questo invece è un obiettivo che, a partire dalle prossime elezioni regionali piemontesi, è già più a portata di mano». Paradigmatica la partita del Tav: a premere per l’infrastruttura più contestata d’Europa sono Zingaretti e l’eterno Chiamparino, portavoce di Confindustria. Con loro Salvini, tallonato da Maroni, più il solito Berlusconi e persino la Meloni. Operazione preliminare: tiro al piccione sul ministro grillino Toninelli, presentato come un minus habens nonostante abbia affidato la commissione sulla Torino-Lione (verdetto: negativo) al più prestigioso trasportista d’Europa, il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, già consulente della Banca Mondiale. La grande opera non servirebbe a nulla? Pazienza: non è cosa che turbi la Lega e Forza Italia, perfettamente allineate al Pd, nonostante la recita politica che opporrebbe virtualmente l’ex centrodestra all’ex centrosinistra. La farsa crolla, davanti alla prospettiva miliardaria degli appalti Tav.L’elezione plebiscitaria di Nicola Zingaretti alla guida del Pd inaugura una nuova stagione per il governo Conte: «Quella del tiro alla fune, con in mezzo una banderuola chiamata Movimento 5 Stelle». La scelta di Torino come prima tappa del “nuovo” Pd è simbolica, scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario”: puntando sul Tav Torino-Lione, Zingaretti prova a dare «uno strattone alla fune per accentuare lo sfilacciamento nella maggioranza». In questo modo, il neo-segretario Pd s’incunea tra Lega e 5 Stelle, gettando sale sulla ferita: bruciano «le differenze tra i contraenti del contratto di governo, che nel braccio di ferro sulla Tav stanno giocando una partita molto rischiosa». Il calo elettorale, spiega Fanna, non consente ai 5 Stelle di cedere altro terreno a Salvini. E dal canto suo, il leader leghista «deve tenere duro sul fronte degli investimenti al Nord», dal momento che «non può permettersi che un ex di lusso come Roberto Maroni arrivi a ipotizzare un nuovo partito del Nord, autonomista e rappresentativo dei ceti produttivi che si sentono sempre più trascurati». Brinda il cartello trasversale pro-Tav: la grande opera inutile, doppione della ferrovia attuale, ottiene una nuova chance grazie alle debolezze dei gialloverdi.
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Poteri oscuri, anche Salvini obbedisce al Tav Torino-Lione
Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?L’unico mini-tunnel realizzato, quello di Chiomonte, è solo una galleria esplorativa accessoria, geognostica: non potrebbe mai passarci nessun treno, anche se Matteo Salvini arriva a sostenere – davanti alle telecamere, proprio a Chiomonte – che costerebbe meno “finire il lavoro” piuttosto che “tappare il buco”. Dichiarazione ingannevole: Salvini sa benissimo che il “lavoro” per il tunnel destinato al treno non è mai neppure cominciato. Pur di premere sui 5 Stelle, il leader leghista – come già Renzi – arriva a ipotizzare un progetto “low cost”, parlando di appena 4 miliardi (cioè il costo della parte italiana dell’ipotetico futuro traforo, non quello della linea ferroviaria fino a Torino). Di più: il ministro dell’interno aggiunge che, “risparmiando” (ad esempio, rinunciando alla surreale “stazione internazionale” di Susa), si potrebbero costruire finalmente anche opere utili, come la metropolitana di Torino. Su questo ha ragione: il capoluogo piemontese, a lungo amministrato dalla dinastia Castellani-Chiamparino-Fassino, dispone solo di un’unica, patetica linea.Torino, la metropoli più inquinata della penisola, è anche la grande città italiana peggio servita dai mezzi pubblici veloci: è l’unica a non disporre di una vera rete metropolitana. In compenso, i suoi ex sindaci sono tra i più fanatici sostenitori dell’inutile Tav Torino-Lione. Chiamparino, in particolare, è il capo degli hooligan pro-Tav. Un caso esemplare di mistero italico: dopo aver fatto il sindaco è passato senza colpo ferire alla guida di una potentissima centrale finanziaria come la Compagnia di San Paolo, per poi tornare tranquillamente alla politica. L’uomo di fiducia dei grandi banchieri è oggi presidente della Regione Piemonte, poltronissima da cui martella il governo gialloverde per ottenere a tutti i costi la grande opera “maledetta”. Ci sta riuscendo? Stando a Salvini, parrebbe di sì. Sulla maxi-torta dell’appalto alpino, il capo della Lega è perfettamente allineato al fantasma del Pd.A questo punto, la ragione vacilla. Per chi ha seguito i vent’anni di protesta popolare in opposizione alla Torino-Lione, i conti non tornano. Il movimento NoTav – ormai appoggiato da vasti strati dell’opinione pubblica nazionale – è stato il primo vero esempio, in Italia e non solo, di denuncia politica “glocal”. Dal particulare all’universale, dicevano gli umanisti rinascimentali. Agire localmente e pensare globalmente, ripetevano negli anni ‘80 i primi Verdi ispirati da Alex Langer. I valsusini – popolo sulle barricate, che nel 2005 riuscì a fermare il progetto con una spettacolare protesta nonviolenta guidata dai sindaci in fascia tricolore – per molti aspetti hanno come anticipato gli americani di Occupy Wall Street, adottando un metodo di lotta, dal sit-in fino al blocco stradale, che oggi i Gilet Gialli si limitano a replicare. L’intuizione: se il potere “bara” a casa nostra, sulla base di dati falsificati, è lecito sospettare che “imbrogli” ovunque. E’ lecito supporre che si limiti a eseguire gli ordini di un’oligarchia del denaro mossa da interessi inconfessabili.Sta barando da vent’anni, il potere che insiste – come un disco rotto – nel voler imporre quella super-linea inutile in valle di Susa, facendola pagare carissima all’Italia? Vedete voi, ma sappiate che la Torino-Lione non serve: lo dicono tutti i maggiori esperti di trasporti, tra cui il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, ora collocato dal ministro Toninelli nella scomodissima posizione di presidente della commissione incaricata di formulare un giudizio decisivo sul rapporto costi-benefici della grande opera. La Torino-Lione non serve: lo ribadirono ben 360 professori e tecnici dell’università italiana, in accorati e inutili appelli rivolti al Quirinale e a Palazzo Chigi. Costi immensi, e nessun risultato: perché le merci devono comunque viaggiare a bassa velocità, per motivi di sicurezza. Quanto alla Francia, spesso usata in Italia come alibi “europeo” per costruire a tutti i costi l’infrastruttura, ha deciso ufficialmente che di Torino-Lione, a Parigi, si riparlerà eventualmente solo dopo il 2030.Il progetto Torino-Lione è un relitto ormai obsoleto degli anni ‘80: era nato come sogno di collegamento veloce per passeggeri, ed è stato archiviato dall’avvento dei voli low-cost. Al che, è stato trasformato in Tac, treno ad alta capacità per le merci, fingendo di non sapere che i convogli commerciali devono viaggiare lentamente, e che la chiave del trasporto merci non è la velocità, ma la puntualità della logistica: il sistema più efficiente al mondo è quello degli Usa, fatto da treni che viaggiano a 60 miglia utilizzando tunnel dell’800 che valicano le Montagne Rocciose. I costi territoriali della Torino-Lione sarebbero folli: le montagne della valle di Susa sono piene di amianto e tuttora traforate dalle gallerie scavate dall’Agip negli anni ‘70, ai tempi del nucleare italiano, perché il Massiccio dell’Ambin è un immenso giacimento di uranio. Senza contare la devastazione ambientale e urbanistica (vent’anni di cantieri), l’incognita maggiore è quella idrogeologica: quei monti fra Italia e Francia, dicono i geologi, ospitano un enorme bacino sommerso. Bucarlo potrebbe comportare conseguenze impensabili, con ripercussioni sui fiumi fino alla Valle d’Aosta.Il compianto Luca Rastello, giornalista di “Repubblica”, in un saggio sul tema spiega che poi, una volta alle porte di Torino, la nuova linea potrebbe congiungersi alla Torino-Milano solo sbancando interi quartieri o procedendo per via sotterranea, e quindi perforando la falda idropotabile che alimenta l’area metropolitana torinese. Non se ne rendono conto, gli abitanti di Torino, perché nessun politico – prima di Chiara Appendino – si è mai premurato di spiegarlo chiaramente. Né si interrogano, i torinesi, sul motivo di tanta ostinazione, da parte dei valsusini, nell’opporsi al progetto. Non sospettano, i torinesi, che la criminalizzazione a reti unificate del movimento NoTav è servita a nascondere due verità imbarazzanti. La prima: in vent’anni, la politica non ha mai voluto o saputo dimostrare l’utilità della grande opera, neppure a fronte di una protesta così rumorosa. La seconda: il progetto Torino-Lione è nato sotto una cattiva stella, la peggiore di tutte: la strategia della tensione.Negli anni ‘90, appena si cominciò a insistere sull’opera come “inevitabile” prospettiva strategica, la valle di Susa fu terrorizzata da 12 attentati dinamitardi. Alcuni furono rivendicati in modo delirante: volantini firmati “Valsusa Libera” e “Lupi Grigi” contenevano farneticazioni “guerriere” contro l’alta velocità. I giornali, all’unisono, puntarono il dito contro gli “ecoterroristi” e gli “anarco-insurrezionalisti”. Poco dopo vennero arrestati tre giovani anarchici, di cui due – Edoardo Massari e Maria Soladed Rosas, “Sole e Baleno” – trovati morti (impiccati) mentre erano in stato di detenzione. Contro di loro, l’accusa aveva vantato “prove granitiche”, che poi al processo evaporarono: non erano stati loro a mettere quelle bombe. Chi, allora? Non s’è mai saputo: caso chiuso. I valsusini però non dimenticano. Sanno che quello di Bardonecchia, santuario del turismo bianco, vicino a Sestriere, è stato il primo Consiglio Comunale italiano – a nord del Po – a essere disciolto per mafia. E sanno che, sempre negli anni ‘90, la procura di Torino intercettò un traffico di armi che collegava l’armeria di Susa a una cosca calabrese, con il placet di settori del Sismi e del Sisde. Erano gli anni della “trattativa”, in cui Falcone e Borsellino saltavano per aria, in Sicilia.Si può immaginare lo stato d’animo dei valsusini, quando – dopo tutto questo – si sono visti arrivare, nel cortile di casa, anche lo spettro della maxi-opera più controversa della storia, al pari del Ponte sullo Stretto. A parlare è il buon senso della geografia: Moncenisio, Fréjus e Monginevro. Ovvero: statali, autostrada, ferrovia, trafori. Nessun’altra valle alpina è altrettanto collegata al resto d’Europa, attraverso valichi internazionali. Perché aggiungere anche l’assurda Torino-Lione? Quale mistero indicibile trasforma la valle di Susa in un oscuro crocevia di mafie e affari, bombe e appalti? E soprattutto: com’è possibile che, in vent’anni, la politica non si sia mai degnata di dare una risposta chiara? E’ evidente che, se l’utilità della Torino-Lione venisse finalmente dimostrata, le bandiere della protesta finirebbero per venir ammainate. Basterebbe spiegare per quale motivo l’opera è ritenuta indispensabile. La valle di Susa lo chiede da vent’anni. E la risposta non è mai arrivata. Perché?Visto che la politica tace, tanto varrebbe chiedere lumi ai romanzieri come Dan Brown o all’autrice di Harry Potter, non essendo più possibile interpellare il Signore degli Anelli. Magia? Se una verità viene palesemente taciuta da decenni, il minimo che possa accadere è che si scatenino anche i complottismi più fantasiosi. Ha suscitato sconcerto, nel 2016, l’inaugurazione teatrale del traforo del Gottardo, con l’inquietante coreografia dedicata a un Dio Caprone. Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence ora passato al network “Coscienze in Rete”, sostiene che la Torino-Lione sarebbe una sorta di “attentato energetico” per violare la Linea di Michele, notissima ley-line che unisce Israele all’Irlanda attraverso i santuari dedicati all’arcangelo Michele, con epicentro proprio la Sacra di San Michele in valle di Susa. Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, nel libro “L’altra Europa” racconta una storia sconvolgente, rivelata a suo padre dall’europeista francese Maurice Schuman: il medesimo potere, di natura dinastica (denominato “La Struttura”) governerebbe il pianeta da 12.000 anni, e la stessa Unione Europea sarebbe opera sua.Non potendo interpellare Tolkien o scomodare la Rowling, non resta che tralasciare le suggestioni e attenersi ai fatti: sarebbe capace, Matteo Salvini, di spiegare il motivo per cui l’Italia, insieme alla Francia, dovrebbe scavare – da zero – un tunnel di 57 chilometri per costruire il doppione della ferrovia Torino-Lione che esiste già? Se la risposta la conosce, perché non la svela? Perché anche lui si limita, come tutti gli altri, a dire stupidaggini, sapendo che i media mainstream le ripeteranno con successo, confidando nell’ignoranza del grande pubblico? C’è davvero un grande potere-ombra che – per motivi ignoti e imperscrutabili – ha lanciato un’Opa misteriosa sulla stramaledetta Torino-Lione? Un grande affare finanziario, d’accordo, ma per pochi intimi (pochissimi i lavoratori coinvolti). E, secondo il giallista Massimo Carlotto, anche una virtuale “lavanderia” di denaro: un magistrato come Ferdinando Imposimato ha dimostrato che vasti tratti della rete Tav italiana sono stati costruiti proprio da aziende mafiose.Poi ci sarebbe il triste indotto politico della filiera, affidato ai soliti yesman che in realtà lavorano da sempre per le consorterie affaristiche che hanno costruito le loro carriere istituzionali. Ma non può essere tutto qui, il problema. Cos’altro può muovere i fili di una follia pubblica così estrema, e così potente da piegare persino i bulletti del “governo del cambiamento”? Lo spettacolo non è edificante: Salvini con l’elmetto a Chiomonte, ormai arruolato alla causa, mentre Di Maio e Toninelli non osano neppure lontanamente minacciare le dimissioni, nel caso dovessero perdere il braccio di ferro (e quindi la faccia). Li si può capire: dal canto suo, il primo ministro Conte cazzeggia beatamente al bar con Angela Merkel, l’amicona di Macron e dell’Italia, ridacchiando alle spalle di quei fessi dei 5 Stelle (e degli italiani che li hanno votati). Nel frattempo, l’inesorabile ecomostro finanziario e ferroviario avanza, passo dopo passo. E l’umorista Salvini pensa di cavarsela con le battute sui mitici “risparmi”: come se davvero si trattasse di tre o quattro miliardi, e non invece di un grottesco attentato alla sovranità democratica del paese, evidentemente organizzato – con tenacia impressionante – da poteri che possono mettersi in tasca qualsiasi politico, anche se indossa la maschera di cartone del sovranismo.(Giorgio Cattaneo, “Quale oscuro potere ha piegato anche l’ex sovranista Salvini alla teologia dell’inutile Tav Torino-Lione?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 febbraio 2019).Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?
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Sì Tav: Salvini sta con i partiti che hanno sfasciato l’Italia
Non mi interessa quello che racconti, non voglio nemmeno sentirlo. Così è Torino, con chi ripete – per la milionesima volta – che la linea ferroviaria Tav Torino-Lione sarebbe un doppione inutile della linea esistente, deserta. Una nuova manifestazione promossa dai partiti che hanno sfasciato l’Italia (più la Lega di Salvini) è tornata a riempire di slogan demenziali la centralissima piazza Castello, il 12 gennaio, stavolta con anche i sindaci di mezzo Piemonte, per lo più arruolati tra le macerie del Pd su cui campeggia il redivivo Sergio Chiamparino, presidente della Regione e già sindaco del capoluogo, transitato – tra un incarico e l’altro – alla guida della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria. In piazza i peones piemontesi della Lega, impegnata in un braccio di ferro coi 5 Stelle, ma anche il presidente ligure Giovanni Toti, il fantasma ufficiale del Pd (Maurizio Martina) e vari yesmen di Forza Italia. In pratica: la Seconda Repubblica al gran completo, i commissari fallimentari che hanno gestito la bancarotta politica ed economica del paese negli ultimi 25 anni. Sono loro, ancora e sempre, a voler azzannare – a tutti i costi – la maxi-torta degli appalti per l’opera faraonica più inutile del pianeta.I difensori del buon senso – in questo caso i 5 Stelle con il ministro Toninelli – appaiono deboli e accerchiati. L’alleato Salvini non esita a schierarsi con l’opposizione, pur di riuscire (anche lui) a veder passare l’inutile super-treno per la valle di Susa, destinato – secondo tutte le previsioni – a restare fatalmente vuoto, senza merci da trasportare. Lo stesso Toninelli, ben sapendo che il Tav Torino-Lione è una specie di tragica barzelletta, ha dovuto inscenare la manfrina della commissione speciale, incaricata di valutare il rapporto costi-benefici dell’opera, come se il risultato non lo si conoscesse già, dopo decenni di analisi. Il presidente della commissione è il più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti del politecnico di Milano, autore di saggi estremamente dettagliati nei quali si dimostra che la Torino-Lione sarebbe perfettamente superfua, oltre che devastante per il suo impatto (un traforo di 57 chilometri) e per il suo costo miliardario. Ma non c’è speranza che i grandi media – giornali e televisioni – facciano il minimo sindacale, se non altro per decenza professionale, per riassumere anche le ragioni del “no”, nel raccontare l’ennesima mobilitazione a favore del “sì”, promossa dai poteri che hanno spolpato e piegato l’Italia.Non una delle argomentazioni NoTav è citata, nella narrazione ufficiale di quella che è descritta come “onda Sì Tav”, programmata dalle opposizioni per approfittare della debolezza politica del governo, sulla quale si avventa lo stesso Salvini, proponendosi in questo caso come nuovo garante del peggior affarismo politico, quello della cantieristica per le grandi opere. Zero trasparenza, come sempre, dalle forze ibride – politico-finanziarie – che hanno svenduto il paese negli ultimi decenni. Parla da sola la maschera di Chiamparino, che oggi intima al governo di sbrigarsi a capitolare, minacciando di indire un referendum (sul quale lo stesso Chiamparino costruirebbe le basi per il rilancio delle sue ambizioni politiche). Il peggio è che, oggi, Matteo Salvini è schierato al fianco dell’oppositore Chiamparino, che attacca Toninelli e Di Maio. Non una parola – né da Salvini, né da Chiamparino – per motivare, seriamente, l’infrastruttura. Si deve fare, punto e basta. Sviluppo, progresso. Slogan vuoti e fuori luogo, come quelli che la cattiva politica ha usato per rovinare gli italiani. Europa, flessibiltà, sacrifici, privatizzazioni: i mantra della post-democrazia. Sì-Tav, dunque. Ma perché? Perché sì. Lo dice, senza vergogna, anche Salvini.Non mi interessa quello che racconti, non voglio nemmeno sentirlo. Così è Torino, con chi ripete – per la milionesima volta – che la linea ferroviaria Tav Torino-Lione sarebbe un doppione inutile della linea esistente, deserta. Una nuova manifestazione promossa dai partiti che hanno sfasciato l’Italia (più la Lega di Salvini) è tornata a riempire di slogan demenziali la centralissima piazza Castello, il 12 gennaio, stavolta con anche i sindaci di mezzo Piemonte, per lo più arruolati tra le macerie del Pd su cui campeggia il redivivo Sergio Chiamparino, presidente della Regione e già sindaco del capoluogo, transitato – tra un incarico e l’altro – alla guida della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria. In piazza i peones piemontesi della Lega, impegnata in un braccio di ferro coi 5 Stelle, ma anche il presidente ligure Giovanni Toti, il fantasma ufficiale del Pd (Maurizio Martina) e vari yesmen di Forza Italia. In pratica: la Seconda Repubblica al gran completo, i curatori fallimentari che hanno gestito la bancarotta politica ed economica del paese negli ultimi 25 anni. Sono loro, ancora e sempre, a voler azzannare – a tutti i costi – la maxi-torta degli appalti per l’opera faraonica più inutile del pianeta.
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Je suis NoTav, i sindaci francesi a Torino: basta frottole Ue
Fa parte del paesaggio mentale artificiale: è il solito balletto dei numeri esibiti per gonfiare o sgonfiare le manifestazioni di piazza. Le folkloristiche “madamine” Sì-Tav, da Marco Revelli definite “fate ignoranti” perché dichiaratamente all’oscuro delle ipotetiche ragioni a supporto della Torino-Lione, lo scorso 10 novembre erano 20-25.000 per la questura di Torino, ma una volta sbarcate su “Stampa” e “Repubblica” sono diventate 30.000. Tempo un mese, di fronte alla marea NoTav che l’8 dicembre ha invaso la città, sempre le stesse “madamine” sono magicamente diventate 40.000, per la letteratura giornalistica di una metropoli tramortita dal fiume umano non-ignorante, anzi informatissimo, sceso in corteo fino a intasare piazza Castello. Missione: avvertire il governo gialloverde che una vasta avanguardia democratica della popolazione italiana non tollera che si tenga in piedi a tutti i costi, a beneficio di quella che appare un’esigua ciurma di affaristi, il miraggio della grande opera più inutile d’Europa: una ferrovia di cui non è ancora stato costruito neppure un metro. E a proposito di Europa, ha scaldato i torinesi la generosa presenza dei sindaci francesi, benché oscurata dai media mainstream che hanno preferito parlare solo della rappresentanza transalpina di Gilet Gialli, aggiornati alla bisogna (“Je suis NoTav”). La verità vale oro, specie se recitata in francese nel cuore di Torino: la Francia non sa che farsene, della ipotetica Torino-Lione.Lo hanno scandito dal palco, di fronte alle decine di migliaia di torinesi e valligiani (almeno 70.000, secondo i NoTav), i sindaci delle cittadine francesi al di là del confine, spintisi fino a Torino per contribuire a bonificare i cervelli dalle grossolane menzogne della vecchia élite cementiera subalpina affamata di soldi pubblici: «La Francia ha finora accettato il progetto Torino-Lione solo perché i costi sono per lo più a carico dell’Italia. Ma, anche qualora l’inutile tunnel si scavasse, Parigi non prenderebbe in considerazione la costruzione della nuova linea: documenti alla mano, di quella ferrovia se ne riparlerebbe solo a partire dal 2038». Perché sarebbe inutile, il traforo miliardario? «Perché la linea ferroviaria già esistente è semi-deserta: non ci sono merci da trasportare (né ce ne saranno, secondo tutte le proiezioni). E’ così sotto-utilizzata, la Torino-Modane che collega stabilmente Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, che basterebbe già oggi a togliere tutti i Tir dalle strade e dall’autostrada, facendoli viaggiare sui treni».Per i passeggeri, va da sé, il problema non esiste: senza contare i voli low-cost, che hanno annullato la concorrenza ferroviaria sulle lunghe tratte, sono comunque quotidiane in valle di Susa le corse del Tgv francese che collega rapidamente Milano a Parigi. La manciata di minuti che si risparmierebbero con il nuovo euro-tunnel da 57 chilometri costerebbero 30-40 miliardi, ma le cifre sono solo teoriche: in Italia la rete Tav è costata quasi il triplo che nel resto d’Europa, con il prezzo degli appalti lievitato anche del 400% rispetto alla stima iniziale. Quello che lascia sgomenti, di fronte al delirio narrativo che ha nutrito la leggenda della Torino-Lione, è la totale assenza di certezze: nonostante la tenacia della protesta della valle di Susa, che ha raccolto la solidarietà di vastissimi strati dell’opinione pubblica italiana, nessuno dei governi degli ultimi vent’anni – Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni – ha mai voluto o potuto spiegare perché mai l’Italia dovrebbe spendere miliardi per un’infrastruttura dall’impatto sicuramente devastante.Il territorio alpino sarebbe infatti terremotato da anni di cantieri e irrimediabilmente compromesso, visto che si scaverebbe tra montagne piene di amianto e persino di uranio (negli anni ‘70, al tempo del nucleare italiano, l’Agip realizzò decine di tunnel esplorativi proprio sui monti alle spalle di Susa, dato che il Massiccio dell’Ambin è il più grande giacimento di minerale radioattivo di tutte le Alpi Occidentali). Quanto allo spinoso problema idrogeologico, sono gli stessi geologi – tra i redattori del progetto – ad ammettere di non poter valutare l’impatto dell’euro-tunnel: le viscere di quei monti ospitano un’immensa riserva idrica, una sorta di grande lago sommerso. Perforare il bacino sotterraneo potrebbe voler dire far cambiare corso ai fiumi ed esporre più valli alpine al rischio di inondazioni catastrofiche. Citando tecnici della Regione Piemonte, nel saggio “Binario morto” (Chiarelettere), il compianto Luca Rastello, giornalista di “Repubblica”, spiega che – una volta realizzato il tunnel e poi la nuova ferrovia – il raccordo con la rete Tav italiana potrebbe avvenire solo a 30 metri di profondità, “bucando” la falda idropotabile che alimenta l’area metropolitana di Torino.Senza contare l’esborso folle, per un’Europa che muove guerra all’Italia per lo 0,1% del deficit 2019, i maggiori trasportisti italiani – come il professor Marco Ponti, del Politecnico di Milano – ricordano che la chiave logistica per le merci (che per motivi di sicurezza devono viaggiare lentamente) non è la rapidità, ma la puntualità. Nel miglior sistema di smistamento del mondo, quello degli Usa, i treni merci viaggiano a 60 miglia; ma dispongono di efficienti piattaforme logistiche, di cui non c’è traccia né in Piemonte né sulle Alpi del Rodano – dove il trend dei trasporti è in calo da anni, le ferrovie esistenti sono semi-abbandonate e tutte le proiezioni per il futuro dicono che la direttrice commerciale su cui il mercato punta non è la Torino-Lione, ma la Genova-Rotterdam. Se i tecnici universitari a cui si sono rivolti i NoTav hanno prodotto chilometri di documentazione a sfavore del maxi-progetto, sul versante opposto non si è mai usciti dal lobbismo vecchia maniera, fino all’imbarazzante gossip meta-politico delle sedicenti “madamine” torinesi, pronte a invocare “sviluppo e progresso” ma – per loro stessa ammissione – senza conoscere una sola virgola del dossier Torino-Lione. Se si possono capire i piccoli circuiti industriali della vecchia Torino tradita dall’esodo della Fiat, traslocata a Detroit grazie a Marchionne, non è comprensibile il silenzio assordante della politica.Gilet Gialli a Torino ed77eDietro alle “madamine” non è difficile scorgere l’ombra di personaggi multiruolo come Sergio Chiamparino, emblema vivente della sinistra neoliberista, passato senza colpo ferire dalla guida del Comune a quella della Regione, dopo aver presieduto la Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria. Quello che sconcerta, semmai, è la politica nazionale: lungi dal rappresentare, tutelare ed eventualmente rassicurare i 60.000 abitanti della valle di Susa, preoccupati per la loro sicurezza, dopo decenni di proteste i governanti non hanno ancora spiegato, ai cittadini, perché mai dovrebbero sacrificare in modo così devastante il loro territorio. I vari esecutivi, di ogni colore, non hanno mai avuto la cortesia di motivarla, la Torino-Lione: non hanno mai chiarito a cosa servirebbe, in cosa sarebbe strategica per il sistema-Italia o almeno per il Piemonte. Gli unici dati oggettivi vengono, come sempre, dal fronte avverso: il profilo occupazionale della maxi-opera sarebbe così insignificante (qualche centinaio di addetti) che il costo medio di ogni singolo lavoratore supererebbe il milione di euro.Prima e meglio di altre battaglie politiche italiane, quella contro la Torino-Lione ha precisato i termini reali della questione, cioè il diritto democratico di essere innanzitutto informati. Si può discutere se un’opera serva o meno, ma quello che non è accettabile – di fronte alla prove negative fornite dgli oppositori – è che si continui a imporla senza spiegarla, limitandosi a criminalizzare comodamente la protesta. Prima e meglio di ogni altro evento politico recente, la battaglia democratica della valle di Susa – esplosa nel lontano 8 dicembre 2005 – ha illuminato lo scenario con il quale l’intero paese avrebbe fatto i conti, molti di anni dopo, insieme al resto d’Europa: da una parte un’élite autoritaria, la stessa che oggi spinge la polizia di Macron a trattare gli studenti francesi come prigionieri di Guantanamo, e dall’altra il cosiddetto popolo ex-sovrano, quello dei cittadini declassati al rango di neo-sudditi, in balia di un potere apolide e senza volto, che impone decisioni senza mai fornire adeguate spiegazioni.Anche per questo, l’8 dicembre 2018 a Torino, è stata particolarmente istruttiva – oltre che rincuorante – la presenza dei sindaci delle valli francesi interessate dal progetto: nel ribadire la loro piena solidarietà alle migliaia di famiglie del corteo NoTav, hanno sottolineato una vicinanza civile e politica con i “cugini” italiani, alla faccia di Macron e degli altri burattini dell’attuale Disunione Europea. In quel loro “Je suis NoTav”, i francesi rivendicano la loro (e nostra) parte d’Europa, intesa come piattaforma di convivenza democratica popolata di cittadini liberi di pensare, di esprimere la loro voce, di contribuire a un mondo meno ingiusto e meno incomprensibile. Un mondo fatto di “vicini di casa” che si parlano e si capiscono. Quella delle nazioni contrapposte, sembrano dire i francesi accorsi a Torino, è solo una fiaba sinistra, che fa comodo ai sovragestori del potere europeo e magari ai loro oppositori apparenti, arruolati dal neo-sovranismo. La guerra non conviene mai, al popolo: l’antagonismo nazionistico è un imbroglio ridicolo. C’era più Europa, l’8 dicembre a Torino, di quanta non se ne sia vista a Bruxelles negli ultimi vent’anni.(Giorgio Cattaneo, “Je suis NoTav, i sindaci francesi a Torino: amici italiani, fermiamo insieme il treno di questa Ue che ci deruba e ci divide”, dal blog del Movimento Roosevelt del 9 dicembre 2018).Fa parte del paesaggio mentale artificiale: è il solito balletto dei numeri esibiti per gonfiare o sgonfiare le manifestazioni di piazza. Le folkloristiche “madamine” Sì-Tav, da Marco Revelli definite “fate ignoranti” perché dichiaratamente all’oscuro delle ipotetiche ragioni a supporto della Torino-Lione, lo scorso 10 novembre erano 20-25.000 per la questura di Torino, ma una volta sbarcate su “Stampa” e “Repubblica” sono diventate 30.000. Tempo un mese, di fronte alla marea NoTav che l’8 dicembre ha invaso la città, sempre le stesse “madamine” sono magicamente diventate 40.000, per la letteratura giornalistica di una metropoli tramortita dal fiume umano non-ignorante, anzi informatissimo, sceso in corteo fino a intasare piazza Castello. Missione: avvertire il governo gialloverde che una vasta avanguardia democratica della popolazione italiana non tollera che si tenga in piedi a tutti i costi, a beneficio di quella che appare un’esigua ciurma di affaristi, il miraggio della grande opera più inutile d’Europa: una ferrovia di cui non è ancora stato costruito neppure un metro. E a proposito di Europa, ha scaldato i torinesi la generosa presenza dei sindaci francesi, benché oscurata dai media mainstream che hanno preferito parlare solo della rappresentanza transalpina di Gilet Gialli, aggiornati alla bisogna (“Je suis NoTav”). La verità vale oro, specie se recitata in francese nel cuore di Torino: la Francia non sa che farsene, della ipotetica Torino-Lione.