Archivio del Tag ‘rabbia’
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Totem e tabù della sinistra che ha rinnegato il socialismo
Il socialismo ha rappresentato l’ideologia umanista per eccellenza, anche se oggi sembra essersi trasformata in un carrozzone, un libro di buoni propositi, certo non realizzabili dalle due sinistre ancora in campo: quella borghese e disincantata, «che ha subordinato l’ideologia progressista e illuminista al pensiero liberista e ad una astratta morale liquida», e la sinistra “popolare”, radicata in una narrazione «fuori dal tempo», che risponde al liberismo in modo “reazionario” e “arrabbiato”, sfoderando «una morale da internazionale para-religiosa». Una peggio dell’altra: di sicuro, secondo Stefano Pica, non hanno più nulla a che fare con il socialismo «se non su un piano velleitario e di facciata». Quello che sopravvive, in loro, «è il cerimoniale liturgico di slogan, parole d’ordine e riferimenti estetici, che assomigliano più a dei totem sinistri che non ad un reale progetto politico». Sono «totem senz’anima, a cui viene sacrificato il pensiero critico», e che «nascondono insidiosi e inconfessabili tabù». Ovvero: ormai entrambe le sinistre «hanno come riferimento ideologico l’economia di mercato, verso cui assumono atteggiamenti ambivalenti, sottomessi o reazionari». Il progressismo di oggi (con la ‘p’ minuscola) teorizza «un progresso che mira al ripudio della tradizione, dell’appartenenza, di ogni differenza culturale e sociale, con l’unico scopo di neutralizzare l’individualità e la cultura locale».Si tratta quindi di «un progressismo sinistro, che mira ad un livellamento verso il basso della società, minando i confini antropologico-culturali di un paese a vantaggio di una società liquida e amorfa», scrive Pica sul blog del Movimento Roosevelt. Siamo in una società liquida «fondata su un internazionalismo di valori e diritti che in realtà finiscono con l’essere solo dei simulacri di carta», lontani dalla realtà quotidiana dei cittadini. Simulacri «carichi di retorica», che di fatto «nascondono il tabù di un silente desiderio di dominio sulle masse», cui forse la sinistra aspira da sempre, dietro al tabù della «religione del progresso», che si orienta «verso un irraggiungibile futuro migliore», lungo un internazionalismo dei diritti spesso insostenibile, all’interno di una morale condivisa. «In nome del diritto e di una ambigua morale internazional-umanitaria – scrive Pica – viene creato il pretesto per annullare le differenze tra le persone e le culture, offrendo in cambio la democrazia digitale del wi-fi o più genericamente del consumismo», l’unico luogo dove ormai si realizzerebbe una vera uguaglianza. La “causa del popolo” è spesso iper-urbana, sradica la cultura identitaria con la propaganda del multiculturalismo e un utilizzo spregiudicato di un fenomeno migratorio.Il totem del diritto al lavoro nasconde il tabù di un impiego precario, «sottomesso alle regole del mercato», senza una reale analisi sull’effettivo servizio offerto alla comunità, né sul peso umano del lavoratore. «Secondo l’etica di un socialismo postmoderno – agiunge Pica – il lavoro non deve essere più un diritto garantito». Oggi, infatti, «sta avanzando l’idea di un lavoratore asservito al suo lavoro come un moderno “servo della gleba”». Altro totem, l’accoglienza umanitaria senza regole: «Nasconde il tabù di una deportazione di nuovi schiavi da sfruttare», e si parla di «persone con culture e tradizioni spesso incompatibili con quelle del paese ospitante». Il fenomeno «rischia di innescare una dittatura delle minoranze, in virtù di un rispetto della diversità che puzza tanto di un razzismo al contrario». Naturalmente, «se l’obiettivo è il dominio», secondo Pica «torna utile avere un mobbing migratorio impiegato come un grimaldello demografico». E il totem dell’integrazione, specie a vantaggio della cultura islamista (l’Islam politico) cela un altro tabù: il rilancio di «una nuova Internazionale para-religiosa, come rivincita rispetto ad una vocazione internazional-rivoluzionaria mai del tutto realizzata».C’è un processo asimmetrico di stampo post-coloniale, prosegue Pica: «Spetta al “grande e benevolo uomo bianco” educare il “povero nero” o il “diverso”». Tutto questo «innesca una nauseabonda retorica che non ha alcun fondamento logico e analitico per noi italiani (noi stessi culturalmente disomogenei) che non riusciamo a integrare neanche le nostre risorse e perdiamo ogni anno circa 3.000 laureati». Persino ovvio: «Sarebbe logico cominciare ad integrare le nostre risorse», innanzitutto. E invece subiamo anche il totem dei “diritti per tutti”, «che nasconde il tabù di una “socializzazione della miseria” che alla fine tutela solo alcuni a danno di altri». In virtù del diritto, a sinistra, si tollerano spesso comportamenti criminosi, il cui costo è sulle spalle degli italiani più tartassati. «Quando la sinistra è divenuta progressista – scrive Pica – ha iniziato il suo lento declino, diventando la gran sacerdotessa della religione del progresso (che è intrinsecamente legata al liberismo)». Diventando progressista, la sinistra «si è condannata a confluire nel campo liberista, con la conseguente fine dell’opera socialista», insieme a cui «si è interrotto quel processo che ha fornito alle categorie popolari un prezioso linguaggio politico e una certa consapevolezza sul mondo che avevano davanti». Davanti al Totem di un “progressismo sinistro” è stata schiacciata anche la morale condivisa, che è il sale di una sana democrazia. Come diceva Durkheim: «E’ morale tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo».Il socialismo ha rappresentato l’ideologia umanista per eccellenza, anche se oggi sembra essersi trasformata in un carrozzone, un libro di buoni propositi, certo non realizzabili dalle due sinistre ancora in campo: quella borghese e disincantata, «che ha subordinato l’ideologia progressista e illuminista al pensiero liberista e ad una astratta morale liquida», e la sinistra “popolare”, radicata in una narrazione «fuori dal tempo», che risponde al liberismo in modo “reazionario” e “arrabbiato”, sfoderando «una morale da internazionale para-religiosa». Una peggio dell’altra: di sicuro, secondo Stefano Pica, non hanno più nulla a che fare con il socialismo «se non su un piano velleitario e di facciata». Quello che sopravvive, in loro, «è il cerimoniale liturgico di slogan, parole d’ordine e riferimenti estetici, che assomigliano più a dei totem sinistri che non ad un reale progetto politico». Sono «totem senz’anima, a cui viene sacrificato il pensiero critico», e che «nascondono insidiosi e inconfessabili tabù». Ovvero: ormai entrambe le sinistre «hanno come riferimento ideologico l’economia di mercato, verso cui assumono atteggiamenti ambivalenti, sottomessi o reazionari». Il progressismo di oggi (con la ‘p’ minuscola) teorizza «un progresso che mira al ripudio della tradizione, dell’appartenenza, di ogni differenza culturale e sociale, con l’unico scopo di neutralizzare l’individualità e la cultura locale».
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Giannuli: Di Maio, neoliberismo populista funzionale all’élite
Può sembrare un paradosso, ma il Movimento 5 Stelle è quello che sta messo peggio di tutti: in politica, contrariamente a quel che si crede, gestire i successi è molto più difficile che gestire le sconfitte. Secondo il politologo Aldo Giannuli, storico dell’unviersità di Milano, la cosa migliore per i grillini sarebbe «un governo di centrodestra appoggiato dal Pd». Stando all’opposizione, l’anno prossimo alle europee il M5S «supererebbe il 40%». Attenti al successo, dunque, che prepara i peggiori scivoloni: «Le vittorie spesso ingenerano sicurezze malfide». Il giorno dopo il voto, il vincitore infatti si sente dire: bene, a adesso fammi vedere quello che sai fare. In campagna elettorale, Giannuli ammette di esser stato «molto morbido», con i 5 Stelle, evitando di dire tutto quello che pensava. Oggi che elezioni sono ormai alle spalle, afferma di poter parlare «senza peli sulla lingua». Non che non le avesse espresse, Giannuli, le sue perplessità. Ora, semplicemente, ci torna sopra in modo più marcato. A cominciare dall’analisi del programma pentastellato: «Era molto poco tranquillizzante», sia in quanto «accozzaglia di luoghi comuni e proposte da bar dello sport», sia perché «era debolissimo su punti decisivi come la politica estera, le politiche sul lavoro», ma anche «la questione del debito pubblico». Grande imputato: il neoliberismo, presente nell’agenda grillina in salsa populista.«Aleggiava un certo odore neoliberista, che poi Di Maio provvedeva ad amplificare con dichiarazioni del tipo “dobbiamo metterci in testa che i governi devono accettare l’andamento dei mercati finanziari senza pretendere di influenzarli” o giù di lì». Il che, aggiunge Giannuli nel suo blog, «fa pensare che se il Pd (riposi in pace) fu la “socialdemocrazia neoliberista”, il M5S si candida ad essere il “populismo neoliberista”». E la scelta dei ministri, aggiunge il politologo, conferma purtroppo questa impressione. «I tre ministri dell’economia vengono dipinti come keynesiani o neo-keynesiani e si invocano le ombre di Krugman e di Stiglitz, ma sia l’uno che l’altro sono sostanzialmente dei neoliberisti che cercano di innestare quote di keynesismo nel neoliberismo, e non sono affatto fautori del superamento di questo sistema». Sempre che un governo Di Maio poi effettivamente nasca, continua Giannuli, staremo vedere come Fioramonti «pensa di abbattere del 40% il debito pubblico in 10 anni, di dare il reddito minimo di cittadinanza (che peraltro è una ricetta neoliberista), e di abbattere la pressione fiscale. Non è che le promesse son state troppe?». E poi, come ci si regola con l’Europa e con gli apparati ministeriali italiani?Quanto alla squadra di governo, Giannuli teme ci siano troppi “tecnici” (e di dubbia competenza), che farebbero tremendamente somigliare l’esecutivo Di Maio «ad un governo Monti in carta 5 Stelle» (Gioele Magaldi l’ha definito «un governo Monti senza Monti»). E al di là degli aspetti di linea politica, Giannuli ricorda che il Movimento 5 Stelle ha una serie di gravi handicap nel suo modello organizzativo: «Il debolissimo radicamento territoriale, il carattere di movimento di opinione assai volatile e il forte rischio di essere “scalato”», visti i meccanismi di selezione dei candidati: «Se il “controllo di qualità” è quello che abbiamo visto, la prossima volta nelle liste ci troviamo Dracula e Jack lo Squartatore!». Tutte cose che, per Giannuli, «minacciano la statica del Movimento, anzi del partito, che tale è al di là dei nominalismi». Un raggruppamento fortissimo sul piano elettorale ma assai fragile su quello politico. E quel che è peggio, con le idee tutt’altro che chiare sulla politica economica. Grosso rischio: l’entusiasmo degli elettori – 11 milioni di italiani, un votante su tre – potrebbe rapidamente trasformarsi in delusione, e quindi in rabbia. In altre parole: la vittoria è insidiosa, va maneggiata con cura.Può sembrare un paradosso, ma il Movimento 5 Stelle è quello che sta messo peggio di tutti: in politica, contrariamente a quel che si crede, gestire i successi è molto più difficile che gestire le sconfitte. Secondo il politologo Aldo Giannuli, storico dell’unviersità di Milano, la cosa migliore per i grillini sarebbe «un governo di centrodestra appoggiato dal Pd». Stando all’opposizione, l’anno prossimo alle europee il M5S «supererebbe il 40%». Attenti al successo, dunque, che prepara i peggiori scivoloni: «Le vittorie spesso ingenerano sicurezze malfide». Il giorno dopo il voto, il vincitore infatti si sente dire: bene, a adesso fammi vedere quello che sai fare. In campagna elettorale, Giannuli ammette di esser stato «molto morbido», con i 5 Stelle, evitando di dire tutto quello che pensava. Oggi che elezioni sono ormai alle spalle, afferma di poter parlare «senza peli sulla lingua». Non che non le avesse espresse, Giannuli, le sue perplessità. Ora, semplicemente, ci torna sopra in modo più marcato. A cominciare dall’analisi del programma pentastellato: «Era molto poco tranquillizzante», sia in quanto «accozzaglia di luoghi comuni e proposte da bar dello sport», sia perché «era debolissimo su punti decisivi come la politica estera, le politiche sul lavoro», ma anche «la questione del debito pubblico». Grande imputato: il neoliberismo, presente nell’agenda grillina in salsa populista.
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Mafia nigeriana? Gli 007: è solo politica, xenofobia elettorale
Se la prenderanno coi migranti, perché “conviene”: serve a sfogare su falsi bersagli la rabbia di strati sociali sempre più vasti, colpiti dalla crisi economica. Parola dei servizi segreti italiani: previsione datata 2016. Lo ricorda Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto”, a proposito dell’atroce fine di Pamela Mastropietro, omicidio rituale subito trasformato in caso politico. L’impresa di Luca Traini, che a Macerata ha sparato su migranti africani, «ha innescato una vera e propria campagna di odio, basata su assunti completamente falsi». Il più assurdo? «Quello che vede tra i protagonisti del fatto la cosiddetta mafia nigeriana», su cui i media si sono gettati: un’organizzazione crimimale «addirittura più potente della mafia cinese», stando a un noto criminologo. Immediata l’eco sui media, con pagine su vudù e cannibalismo. «La questione è stata cavalcata da una parte della destra, ed è quindi diventata l’occasione per farne un cavallo di battaglia elettorale». Peccato che non esista nessuna “mafia nigeriana”, stando al codice penale: l’associazione è di tipo mafioso – recita l’articolo 416 bis – quando chi ne fa parte «si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti».E’ mafia, dice il codice, se ostacola il libero esercizio del voto, condizioando le elezioni. E’ mafia se è armata, se dispone di arsenali ed esplosivi. E’ mafia «se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti». Sintetizzando, dice Stefania Nicoletti, per poter parlare di “mafia” occorrono vari requisiti, tra cui il controllo del territorio, delle attività economiche, degli appalti e dei servizi pubblici: «Non risulta che la criminalità nigeriana sia infiltrata negli appalti o nell’economia italiana». Controllo del voto e quindi della politica? «Non risulta da inchieste, giornalistiche o giudiziarie: nessun controllo della criminalità nigeriana sulla nostra politica». Armi o esplosivi? «Anche su questo punto, non risulta che la “mafia nigeriana” disponga di questi arsenali da far tremare i polsi alla società italiana». Più in generale, per parlare di mafia «occorre un controllo capillare del territorio, con il potere di condizionare la politica, la magistratura e la società civile; tutte caratteristiche che, per quanto riguarda la criminalità nigeriana, non ci risultano».«Sorvoliamo poi sull’assurdità dell’affermazione che la mafia nigeriana sarebbe più potente di quella cinese», aggiunge Nicoletti: «Ricordiamo che la Cina ha acquistato parte della Pirelli, parte della Banca d’Italia, parte delle aziende che producono il Chianti, il Milan, ha acquisito partecipazioni in Eni, Generali, Telecom». Il peso delle Triadi, poi, è fuori discussione: «La mafia cinese in realtà è la più potente del mondo, perché ha un’origine millenaria, e si avvale anche di poteri esoterici, psichici e materiali, sconosciuti anche all’esoterismo occidentale». La criminalità nigeriana, tutt’al più, «gestisce un traffico di prostitute, sotto il controllo delle nostre mafie, che devono dare l’assenso per permettere ai nigeriani di operare. E le nostre mafie, lo sappiamo da tempo, viaggiano a braccetto con la politica». In realtà, rileva Stefania Nicoletti, lo scontro sociale (in funzione elettorale) tra immigrati e società civile, era stato previsto in un rapporto dei servizi segreti, che lo avevano preannunciato da tempo. Il testo della relazione del Sisr è disponibile in rete. E parla da solo: l’emergenza migratoria «è ritenuta tra i temi più remunerativi in termini di visibilità e consensi». Infatti, annota la fonte di intelligence, la questione migranti è sempre più centrale «nelle strategie politiche delle principali organizzazioni».I partiti, «nel tentativo di cavalcare in modo strumentale il fenomeno, facendo leva sul malessere della popolazione maggiormente colpita dalla congiuntura economica e dalla contrazione del welfare», hanno ormai «sviluppato un’articolata campagna propagandistica e contestativa (manifestazioni, presidi, attacchinaggi, flash mob) contro migranti e strutture pubbliche e private destinate all’accoglienza, influenzando indirettamente anche la costituzione di “comitati cittadini” di protesta”». In generale, continua la fonte governativa, «il diffondersi in ambito europeo di istanze populiste e nazionaliste, nonché di sempre più estesi timori ed insofferenze verso la presenza extracomunitaria, tende ad essere percepito tra i gruppi della destra radicale come un’opportunità per accrescere il proprio spazio politico, determinando pertanto un incremento della correlata attività di mobilitazione». Una previsione precisa: «Continueranno a verificarsi episodi di contrapposizione (provocazioni, aggressioni e danneggiamenti di sedi) con frange dell’estrema sinistra, per effetto sia della mobilitazione concorrenziale su tematiche sociali, da parte di entrambi gli schieramenti, sia delle visioni contrapposte in tema di immigrazione». E poi: tanto baccano sulla “mafia nigeriana” e sugli “omicidi rituali vudù” – chiosa Stefania Nicoletti «e mai un accenno, nei vari media mainstream, ai delitti rituali nostrani (quelli sì, diffusi e comuni)». Di colpo, i giornali scoprono che i delitti rituali esistono? Certo: ma solo quelli nigeriani.Se la prenderanno coi migranti, perché “conviene”: serve a sfogare su falsi bersagli la rabbia di strati sociali sempre più vasti, colpiti dalla crisi economica. Parola dei servizi segreti italiani: previsione datata 2016. Lo ricorda Paolo Franceschetti, sul blog “Petali di Loto”, a proposito dell’atroce fine di Pamela Mastropietro, omicidio rituale subito trasformato in caso politico. L’impresa di Luca Traini, che a Macerata ha sparato su migranti africani, «ha innescato una vera e propria campagna di odio, basata su assunti completamente falsi». Il più assurdo? «Quello che vede tra i protagonisti del fatto la cosiddetta mafia nigeriana», su cui i media si sono gettati: un’organizzazione criminale «addirittura più potente della mafia cinese», stando a un noto criminologo. Immediata l’eco sui media, con pagine su vudù e cannibalismo. «La questione è stata cavalcata da una parte della destra, ed è quindi diventata l’occasione per farne un cavallo di battaglia elettorale». Peccato che non esista nessuna “mafia nigeriana”, stando al codice penale: l’associazione è di tipo mafioso – recita l’articolo 416 bis – quando chi ne fa parte «si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti».
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Fango, la “sovragestione” all’opera: è il turno dei 5 Stelle
«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».Gianfranco Carpeoro, autore di saggi su massoneria e terrorismo nonché sui legami tra Vaticano e logge all’origine del fascismo, è l’autore della “profezia” sui fatali travagli pre-elettorali dei 5 Stelle. Inevitabile: se sbandieri il monopolio politico dell’onestà, il sistema ti punirà severamente, con la classica legge del contrappasso. Trovare una “mela marcia” sarà l’ultimo dei problemi: dai parlamentari “infedeli” all’infido Borrelli, per anni seduto nel vertice-ombra del movimento che ha raccontano agli italiani che “uno vale uno” (purché non osi pensare in proprio, ad alta voce). Legge del taglione e contrappasso dantesco: puro dolore, per i pentastellati, vedere Renzi – Mister Etruria – pascolare da un telegiornale all’altro calpestando il mito grillino dell’onestà. «Ma in politica l’onestà non è nemmeno un valore», sostiene Carpeoro: «Al massimo è una conseguenza». Di cosa? «Della capacità, innanzitutto». Luoghi comuni? «Un politico ladro, ma capace, fa sicuramente meno danni, alla comunità, di un onestissimo cretino». Cosa ci siamo persi? «L’estetica», risponde Carpeoro. «E’ l’estetica a produrre l’etica: l’emozione contagiosa della bellezza. Il desiderio di giustizia, che poi è inevitabile, viene di conseguenza. E intendiamoci: la base dei grillini è diversissima da quella degli altri partiti. E’ fatta di gente che sogna un mondo migliore, per davvero».Il problema? Forse, un mondo migliore non ha bisogno di rabbia, ma di idee coerenti. Per esempio: cos’è più importante, la (presunta) scarsa trasparenza di Borrelli o il suo ruolo, emerso alla luce del sole, quando – da leader del gruppo grillino a Strasburgo – cercò di traghettare i 5 Stelle verso l’Alde, cioè la roccaforte politica della peggior eurocrazia che, a parole, in Italia, i 5 Stelle avevano sempre giurato di combattere? Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro formula il concetto di “sovragestione”: manipolazione perenne, da parte del potere, delle sue pedine. Un potere che fabbrica candidati e, all’occorrenza, persino movimenti e partiti. Il collante? «Sempre lo stesso: l’odio, per il nemico di turno». Ieri Andreotti e Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi. «E’ crollata, la mafia, dopo l’arresto di Riina e Provenzano? Nemmeno per idea: in una notte Cosa Nostra li ha sostituiti». Narrazioni, date in pasto al popolo: Gelli, Sindona. «Sono caduti, uno dopo l’altro. Ma è cambiato qualcosa, per noi?». Macché: la “sovragestione” ci ha proprosto altri personaggi da detestare, e noi abbiamo obbedito. Siamo tutti parte del problema, insiste Carpeoro: «Abbiamo gettato nella spazzatura le ideologie, che invece sono il futuro: rappresentano il progetto, l’immagine di come vorremmo che fosse la società domani».Inutile stupirsi, se oggi la “sovragestione” fa cadere qualcuno dal piedistallo. Solo ieri erano girate notizie sull’affare-Milan per “avvertire” Berlusconi, che infatti si è affrettato a rassicurare i boss europei: non toccherà il dogma del rigore Ue. Adesso tocca ai grillini? Logico: il Movimento 5 Stelle è anch’esso una creatura dei “sovragestori”, sostiene Carpeoro, che considera Di Maio «il peggior candidato possibile, non a caso (il meno preparato)» e gli imputa la vicinanza di un personaggio più che ingombrante: il politologo statunitense Michael Ledeen, espressione della supermassoneria più reazionaria nonché del B’nai B’rith, potentissima élite massonica ebraica, emanazione del Mossad. «Per mesi, Di Maio è entrato e uscito, quasi ogni settimana, dall’ambasciata americana di via Veneto», dice Carpeoro. «E i vari tour condotti nei santuari del potere atlantico, da Washington a Londra, glieli ha organizzati Ledeen». Oggi, guardacaso, Di Maio pesca dal cilindro un economista neoliberista, Lorenzo Fioramonti, per il quale il pericolo mortale per l’Italia non è l’austerity imposta dalla “sovragestione”, ma il debito pubblico. Siamo alle solite? Certo, ma con una differenza rispetto a ieri: i grillini sono una comunità organizzata, milioni di elettori. E se un giorno rompessero le righe, adottando idee utili per uscire dal tunnel in cui l’Italia è intrappolata?L’importante è non lasciarsi ipnotizzare dalle risse da saloon con cui si sta tentando di riempire il vuoto cosmico delle elezioni più inutili della storia. Laura Boldrini, vero e proprio ectoplasma politico, è riuscita a sopravvivere – sui media – solo grazie al teppismo del web, inventandosi la crociata orwelliana sulle fake news, su cui vigilierà il Ministero della Verità, la polizia di Minniti. Giorni di isteria collettiva – nel derby tra “fascisti” e “antifascisti” – per speculare elettoralmente sul sangue sparso da un folle a Macerata. L’Italia è praticamente senza governo. Da 25 anni il paese è privo di leadership, in balia della concorrenza tedesca e francese. La crisi economica non ha precedenti, dal dopoguerra, ma la campagna elettorale non va oltre la farsa: tutti i partiti sanno che nessuno vincerà. E nessuno, in ogni caso, ha in programma di ribaltare il paradigma che vede l’Italia subire i diktat di Bruxelles. Per Demopolis, solo 6 cittadini andranno alle urne, 17 milioni di italiani diserteranno i seggi (tra i giovani, uno su due). Siamo prossimi alla paralisi, nell’illusione di combattere il “cattivo” di turno. «Non sono le persone a fare progetti di potere: è il potere a fare progetti sulle persone», sostiene Carpeoro. Il problema non è “chi”, ma “cosa”. Questo sistema è da buttare, da rifondare. La medicina è una sola: la sovranità della democrazia. Ma invece di reclamarla, ci siamo sfogati a sparare contro sagome di cartone. Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi tra gli applausi. Finalmente uno onesto, dissero. Peccato fosse il boia.«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».
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Giannini: lo spettro del Britannia e il reddito di cittadinanza
Una importante novità nell’anno 2018 compare di fronte agli elettori: l’analisi dei principali aspetti riguardanti i programmi dei partiti, soprattutto sul piano dei costi. Tra le ricette che sono state presentate, quella del Movimento 5 Stelle ha destato subito interesse quando ci si è resi conto che conteneva passi copiati da Wikipedia o addirittura dal programma Pd. Per quanto la vicenda possa apparire come un indice di scarsa competenza e conoscenza e quindi suscitare inquietudine, l’attenzione andrebbe focalizzata piuttosto sui concetti di fondo della proposta pentastellata. Secondo gli economisti di stampo keynesiano, per uscire dalle situazioni di crisi economica si deve “fare deficit” per attuare politiche di espansione (di crescita) dando lavoro, investendo in infrastrutture, detassando, conferendo nuovi diritti sociali, ecc. In questo modo la disoccupazione si dovrebbe ridurre, i contribuenti dovrebbero aumentare e con essi le entrate andrebbero a ripianare non solo il nuovo deficit ma anche a ridurre lo stock del debito pregresso. Di Maio, apparentemente in linea con questo approccio, ha insistito sullo sforamento del parametro di bilancio del 3%, un parametro di scarsissima scientificità ma concordato con gli altri soggetti europei: «Prenderemo un po’ di debito e lo investiremo per lo sviluppo», è stato lo slogan in diverse conferenze elettorali.
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Un boom dei 5 Stelle inguaierebbe i padrini occulti di Grillo?
Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».Carotenuto è un teorico del “risveglio”: sostiene che ormai, anche in Italia, un cittadino su tre non si fidi più del mainstream politico-mediatico. Al quale, a suo parere, il Movimento 5 Stelle appartiene a pieno titolo, nel ruolo di “gatekeeper”: sarebbe un controllore del dissenso, da convogliare verso forme innocue per l’establishment. «Basta vedere chi sono gli assessori romani, tutti suggeriti dallo studio legale di Previti da cui la Raggi proviene, o le frequentazioni di Di Maio nei peggiori circuiti finanziari internazionali, che si è premurato di rassicurare, spiegando che – con lui a Palazzo Chigi – il potere non avrebbe nulla da temere: non per niente, i ministri non sarebbero grillini, ma tecnici, cioè provenienti da quel mondo che Grillo, nel 2013, aveva promesso di “aprire come una scatola di sardine”». Ai microfoni di “Forme d’Onda”, Carotenuto sostiene che non c’è da farsi illusioni, anche nell’eventualità – praticamente impossibile, sondaggi alla mano – di un governo pentastellato. «I Casaleggio non piovono dal cielo: qualcuno ce li ha mandati», ben sapendo che serviva qualcosa di nuovo per “smontare” la rabbia popolare contro i vecchi partiti, «sostanzialmente pedine, tutti quanti, delle stesse “piramidi oscure”».Secondo Carotenuto, «ogni partito ha in sé entrambe le componenti», ovvero «la destra egoistica», incarnata da personaggi come Bush, Trump e Berlusconi, e la controparte più farisaica, «che a parole si richiama all’umanesimo massonico dei diritti ma solo per attrarre consenso», finendo poi per fare la stessa politica del socio occulto, l’ala destra. «Due facce della stessa medaglia». I 5 Stelle? «Sono espressione di questa seconda categoria, quella degli “amici del popolo”». Obiettivo: «Manipolare i buoni sentimenti di milioni di cittadini, sinceramente democratici». Però attenzione: «Di questo, i grillini nemmeno si accorgono: non sanno di essere manipolati». Il bicchiere mezzo pieno? «Intanto esistono, sono lì, e hanno nobili aspettative di giustizia sociale, di rispetto dell’ambiente e dei territori. Sognano una società più giusta: non sarà facile liquidarli». Come dire: se il Movimento 5 Stelle è stato fabbricato dal potere per neutralizzare il dissenso, non è detto che poi la comunità grillina non possa incidere, al di là dei piani dei fondatori, cioè dei loro presunti mandanti rimasti nell’ombra.E’ vero, finora Grillo e i Casaleggio «li hanno gestiti in modo osceno», con pratiche da caserma, «buttando fuori chiunque osasse alzare la mano per dire la sua». Così, dal programma sono spariti gli accenti originari e più radicali». Uno su tutti, la contestazione dell’euro e dell’Unione Europea. «Per non parlare della pagina, pietosa, dei vaccini: anziché attaccarli, come gli elettori 5 Stelle si sarebbero aspettati, hanno evitato di fare la guerra al decreto Lorenzin: adesso, di fronte alle proteste di milioni di famiglie, Di Maio dice che eliminerebbe l’obbligo vaccinale, ma i vaccini continuerebbe a consigliarli caldamente», fingendo di non sapere cosa significhino, per la salute, e che tipo di business alimentino. Con ciò, conclude Carotenuto, «bisogna però ammettere che il programma dei 5 Stelle, anche privo di molti temi originari, è comunque pieno di buoni spunti: siamo sicuri che non verrebbero attuati, nell’ipotesi in cui dovessero davvero andare al governo?».Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».
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Strillo, dunque esisto. La Boldrini? Fa rimpiangere Andreotti
La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».La verità, agginge Barnard, è che i media “politically correct” non vi diranno mai che «nei Bar Sport di tutt’Italia le persone appena citate, e così represse, hanno bofonchiato in massa che Traini “ha fatto bene, ne avesse ammazzati di più”». Senza la loro rabbia repressa, «la percentuale di chi ha quell’opinione sarebbe oggi un ventesimo». La Boldrini? «La Presidenta deve capire che la sua persona è disprezzata dall’80% della popolazione italiana», sostiene Federica Francesconi. Il “politically correct”? «E’ in realtà strumento di repressione di massa del neoliberismo delle austerità, per rapinarci ma al contempo tapparci la bocca», scrive Barnard. «Ed è strumento della neo-arroganza del femminile occidentale», in una sua rivincita storica «del tutto cieca e alla deriva». Parafrasando Thomas Mann: «Una linea diretta unisce la follia della miseria popolana durante il Politically Correct – più le sue austerità – al Prossimo Reich e alla prossima valanga Fallocrate violenta… I milioni che sono oggi rapinati del loro diritto di esprimere rabbia, esasperazione, e sincere opinioni perché gli si tappa la bocca coi tabù politici o femminili del Politically Correct, stanno divenendo le masse con cui lavorano sempre più i partiti neo-nazisti e i venditori di stupri “tech”».Aggiunge Barnard: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, se vivi la precarietà economica per te e per i tuoi figli con angoscia, mentre vedi un immigrato e famiglia sepolto di sussidi pubblici – o vedi la Guardia di Finanza multare il macellaio per uno scontrino da 11 euro, ma i cinesi lavorano in nero in tutt’Italia e non gli capita mai nulla – ma osi lamentarti, allora scatta il Saviano Politically Correct a farti sentire una merda, un sub-umano razzista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi». Ancora: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, perché i magistrati rilasciano spacciatori e stupratori senza una traccia della certezza della pena, ma osi lamentarti, scatta la Boldrini Politically Correct a farti sentire una merda fascista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi. Nota: poi svolti l’angolo e prendi i volantini di Forza Nuova o Casa Pound». Sessismo alla rovescia, che gonfia «eserciti immensi di maschi oggi incarogniti che pagano sex-tech, porno e prostitute». Ogni maschio italiano, aggiunge Barnard, «oggi sa con assoluta precisione che la grande maggioranza dei compagni di genetica ha cisterne di veleno contro le donne, che “sono diventate incriticabili”».“Il futuro è donna”, recita il nuovo mantra che ti fa sentire misognino? «Poi svolti l’angolo e ordini da Amazon una donna-robot-stupro della TrueCompanion.com, o al meglio ti sfondi di porno o prostitute adorando quelle lì». E così, «ignorando le evidenze e l’allarme ormai grandi come un Tirannosauro in salotto, il Politically Correct ha tirato e continua a tirare quella linea diretta col Prossimo Reich e con la prossima valanga Fallocrate violenta». Beninteso: «Donne, le ragioni storiche le avete, ma non è con questa demenziale isteria di massa che avrete giustizia, anzi». E congratulazioni, da Barnard, «a voi Saviani e voi “Il Futuro è Donna” d’Italia», perché «le sopraccitate sono le masse con cui lavorerà Forza Nuova e con cui faranno miliardi le TrueCompanion.com, ancora più prostitute e ancora più porno. Alla fine verrete travolti e travolte da una Restaurazione abominevole di veri razzismi, di veri fallocrati, non quei poveracci spaventati di oggi senza voce». Quanto alla presidente (uscente) della Camera: senza i demenziali attacchi che subisce periodicamente sul web, qualcuno si sarebbe mai accorto della sua esistenza? A parte gli ovvi appelli “politically correct” sul rispetto dovuto all’umanità migrante, qualcuno ha mai sentito un’analisi politica da Laura Boldrini? Qualcuno le ha mai sentito dire qualcosa sui perché di questo esodo disperato, e sulle responsabilità di chi governa l’Europa e l’Occidente?La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».
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C’era una volta Bagnai: farà l’acchiappa-dissenso, pro Silvio
La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.Prima fu il Movimento 5 Stelle, che oggi pare abbia iniziato ad esaurire la sua spinta propulsiva originale: dopo l’abbandono di Grillo il partito – come previsto anni fa – inizerà a spappolarsi in diversi fronti, avendo esaurito il compito per il quale i suoi mentori occulti l’avevano plasmato, all’ombra del comico, nonostante oggi abbia candidato così tante persone, dalla cosiddetta società civile. Ma oggi è il turno della Lega, che (con Salvini) ha avviato il corso nazionalista sovranista: lui, l’ultimo araldo e baluardo per infinocchiare ancora una volta l’elettorato, dirigendolo verso bersagli comodi, lontano dai veri obiettivi, puntando come sempre sulla guerra tra poveri e alzando il tiro, rispetto ai più moderati pentastellati. Sono entrambi contenitori politici che servono a comprimere e metabolizzare il dissenso, ai quali il servo delega le proprie istanze e speranze, nel solco della tipica tradizione mariana italiana. Arriviamo al capolavoro di Salvini e soci: quello di aver sedotto definitivamente l’economista Bagnai, persona che stimo molto per le sue battaglie e competenze tecniche, e che domani si candiderà (come indipendente) in un partito che lo ha strumentalmente e fortemente voluto. Bagnai porterà voti dissidenti e, andando nell’alleanza con Berlusconi, annullerà – volente o nolente – proprio quel paradigma rivoluzionario che lo contraddistingueva.La Lega l’ha voluto per due motivi fondamentali: uno, attirare voti sovranisti; due, annullare i sovranisti in un contenutore “forno alchemico”, trasformandoli da oro in merda. Mossa intelligente, quella di Salvini: come un esperto giocatore di poker ha fatto bene i suoi calcoli, e ha previsto in anticipo le mosse. Bravo Salvini. Forza Lega – anzi: Forza Italia. Bagnai usa le colpe della sinistra come scusante per la sua, di colpa. L’essere passato a destra è, di fatto, un tradimento politico: se era la lotta di classe, che gli stava a cuore, scoprirà che – come non la fa la sinistra – non la fa neppure la destra. In lui hanno prevalso aspetti legittimamente più egoici, dopo tanti rifiuti dalla sinistra, che ancora una volta presenta un conto salato ai suoi (forse, domani) ex elettori. Per la proprietà transitiva, Bagnai diventa di proprietà di Silvio – ergo, delle forze piduiste e atlantiste che l’hanno “piazzato”, e che anche se qualcuno pensava fosse sotto attacco (ma quando mai?!) ancora ne usufruiranno, per scopi diametralmente opposti a quelli per i quali Bagnai ha deciso di scendere in campo. La Lega, avendo candidato proprio i dissidenti sovranisti, li ha – per così dire – metabolizzati, annullandone l’impatto rivoluzionario e dirompente di contrapposizione al sistema. Aprite gli occhi.(“Lega e Salvini, finti antagonisti e nuovi contenitori del dissenso”, nota firmata da “Maestro di Dietrologia” nella puntata 259 di “Border Nights”, 30 gennaio 2018).La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.
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Il fiuto di nonno Berlusconi: una farsa che prepara l’inciucio
In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.Nel corso dell’ospitata nella trasmissione di Barbara D’Urso, l’intramontabile Silvio ha spiegato – con la consueta franchezza – qual è la posta in gioco. Ha detto cioè che scende in campo contro i grillini, come aveva fatto contro i comunisti negli anni Novanta, perché oggi il pericolo è ancora maggiore. E dal suo punto di vista ha ragione: non perché i grillini siano sovversivi, ma perché la massa inferocita che ribolle negli strati più bassi della società (e che spera di trovare espressione votando M5S) è fatta di persone «che portano invidia e odio verso chi è ricco», di incompetenti che non capiscono la complessità dei problemi su cui sono chiamati a esprimersi (la democrazia sembra essere oggi più indigesta che mai, anche se è stata ridotta ai minimi termini da decenni di guerra di classe dall’alto) e che esprimono leader «ai quali si dovrebbe domandare cosa hanno fatto prima di fare politica e se sono laureati». Infine enuncia un programma che, nel migliore stile trumpista, mette insieme veri regali ai ricchi (la “flat tax”) e finti regali (che, vedi Trump, verranno immediatamente smentiti dopo l’eventuale vittoria) ai poveri (aumenti delle pensioni minime, reddito di dignità, ecc.). Insomma: qui, come ormai quasi ovunque in Occidente, si scontrano due populismi nati sulle rovine delle forze politiche tradizionali, di sinistra come di destra.Due populismi che negli Stati Uniti, come ha scritto Nancy Fraser seguendo la lezione di Gramsci in un lungo articolo su “American Affairs”, incarnano gli interessi di due blocchi sociali contrapposti che lottano per l’egemonia. Con la differenza che, nel caso italiano, non si confrontano un Donald Trump e un Bernie Sanders ma, da un lato una vecchia volpe (anche lui un tycoon reazionario al pari di Trump, ma che la lunga esperienza ha reso meno rozzo nell’uso di espressioni razziste e sessuofobe, mentre ne ha affinato la verve comunicativa), dall’altro lato un progetto abortito di populismo progressivo che (diversamente da “Podemos” e Mélenchon) non ha la minima chance di aggregare un blocco sociale capace di andare oltre qualche effimero successo elettorale. Ma l’astuzia berlusconiana si rivela anche nel suo enfatizzare il “pericolo” grillino per preparare il terreno – nel più che probabile caso che nessuno ottenga la maggioranza assoluta – a una “grosse koalition” in salsa italiana (sarà per caso che Renzi sostiene a sua volta che la vera sfida è fra Pd e M5S?). Una soluzione che gli consentirebbe di svincolarsi della imbarazzante alleanza con Salvini, il quale è la vera controfigura italiana di Trump, almeno per quanto riguarda la scorrettezza politica e le velleità antiglobaliste e antieuropeiste. Perché il populismo di Berlusconi è soprattutto una tecnica elettorale, ma il nostro non coltiva alcuna intenzione di sfidare i diktat dell’Europa a trazione tedesca.(Carlo Formenti, “Il fiuto politico dell’intramontabile Silvio”, da “Micromega” del 15 gennaio 2018).In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.
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Crepe nel potere, ma i guai del 2018 ci apriranno gli occhi
Tempi duri: il vertice del potere mondiale si è spaccato. E la guerra per bande, che rischia di travolgerci, in realtà irrobustirà i muscoli dell’umanità che rifiuta i dogmi del dominio. Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, interrogandosi su quali prove ci attendono nel 2018, in una riflessione sul newsmagazine “Coscienze in Rete”. «Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali», premette. «Continueranno a sforzarsi di devastare la natura, l’arte, la scienza, la cultura, l’economia, la politica, il diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane». E nel farlo, aggiunge, «continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte». In altre parole: «Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza». La buona notizia? Si sono aperte grosse crepe nella “piramide gesuitico-massonica” che reggerebbe il mondo, fabbricando disastri e illusioni. Più instabilità significa più sofferenze, ma anche più “risvegli” da parte di quella fetta crescente di umanità che, secondo Carotenuto, starebbe gradualmente uscendo dal letargo.Nel 2015, Carotenuto fece la seguente previsione per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono puntualmente manifestate anche nel 2017. E certamente, dice oggi l’analista, la tendenza continuerà in questo modo nel 2018, «aggiungendo il ruolo volutamente inquietante della Corea del Nord, e l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra fronte guidato dal Qatar e fronte guidato dall’Arabia Saudita». Sempre nel 2015-2016, Carotenuto scriveva: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del “divide et impera” comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». E’ quello che poi è avvenuto nel 2017 e che avrà ulteriori sviluppi nel 2018: «La Brexit, la presidenza Trump, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere dei fantasmi berlusconiani, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche».Questi e numerosi altri segnali, sostiene Carotenuto, «mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature», che saranno «foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze». La presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti. E continuerà ad avere un ruolo destabilizzante, «come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, Trump «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra costituirà anche «un elemento amplificatore di forme pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Per Carotenuto, si tratta di una modalità «molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori», che tuttavia «già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica». I gruppi di manipolazione mondialisti «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova spinta alla centralizzazione e alla perdita di libertà e sovranità locali».Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “brutti e cattivi”, riaprendo il ring degli scontri e della devastazione. «Il crescente ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione», sostiene Carotenuto: non si tratta di un “salvatore”, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, che vedremo svilupparsi ancora nel 2018. «Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare pesanti crepe. Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo lo scorso anno». Sempre secondo Carotenuto, l’influenza della presidenza Trump si è già fatta sentire anche negli equilibri politici italiani, «con l’improvviso risorgere della destra berlusconiana e delle ritrovate armonie con Lega ed ex-fascisti». E attenzione: «Vedremo ancora meglio quale è il vero ruolo delle finte opposizioni di destra, di sinistra e “populiste”». E soprattutto, «vedremo meglio il ruolo vero della più recente creatura del potere internazionale: il Movimento 5 Stelle, ormai con Di Maio chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi».In particolare, continua Carotenuto, vedremo se i grillini «continueranno a svolgere il ruolo svolto fino ad ora, quello di stabilizzare e compattare i poteri cui in apparenza si oppongono», oppure se di decideranno a partecipare apertamente alla gestione del potere. «Ogni volta che parteciperanno al potere – se lo faranno – sveleranno il loro vero volto di strumenti del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe». Aggiunge Carotenuto: «Le stupefacenti virate di Di Maio in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea e filo-finanza internazionale, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti illusi per anni dalle seduttive parole di Grillo, e che saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – nel 2018». Nel frattempo, il progetto di Unione Europea è ormai entrato in crisi: il vento del “divide et impera”, sulla spinta della Brexit, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. «Le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano: dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica».I governi delle grandi potenze occidentali, prosegue Carotenuto, «continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie, mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo». E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, «sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche straniere». E alcuni Stati “particolari” (come la Corea del Nord, l’Iran, il Qatar, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e il Kazakistan) «continueranno a svolgere il loro ruolo di fomentatori, spalleggiatori o finanziatori dei disegni di destabilizzazione». Intanto, le grandi forze industriali «continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica» in modo da «spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità».Anche in questo caso, sottolinea l’analista, la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti – ma forse finirà per «favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore, grave peggioramento dell’emergenza ambientale». In Italia, comunque, non ci facciamo mancare niente: parla da solo il decreto Lorenzin sulle vaccinazioni. «L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio». Prepariamoci a una lotta dura e intensa, avverte Carotenuto: finora, «questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente». Questo effetto, assicura, «continuerà anche nel 2018, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta». E anche nel 2018 «ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori».Faranno tutto questo, come nel 2017 e negli anni precedenti, «per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze», sostiene Carotenuto. Risveglio che, per la prima volta nella storia umana, starebbe orientando «masse importanti, anche se non ancora maggioritarie», divenute «capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani quanto meno sullo stesso piano di se stessi». Una inedita rivoluzione interiore, che secondo Carotenuto ormai coinvolge «almeno un terzo dell’umanità» in una visione non aggressiva e predatoria dell’esistenza, opposta cioè a quella del potere dominante. Per questa ragione, sostiene l’analista, anche nel 2018 «grandi e oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la liberazione dell’umanità proprio da quei poteri». Ma proprio «per reazione alle nefandezze compiute contro di noi», anche nel 2018 «altri cuori e altre menti si apriranno alla voglia di bene». Una dinamica che, per Carotenuto, ha contraddistinto questi ultimi anni: «I tentativi di bloccare i risvegli si sono spesso risolti, per reazione, in ulteriori ondate di prese di coscienza».Tempi duri: il vertice del potere mondiale si è spaccato. E la guerra per bande, che rischia di travolgerci, in realtà irrobustirà i muscoli dell’umanità che rifiuta i dogmi del dominio. Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, interrogandosi su quali prove ci attendono nel 2018, in una riflessione sul newsmagazine “Coscienze in Rete”. «Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali», premette. «Continueranno a sforzarsi di devastare la natura, l’arte, la scienza, la cultura, l’economia, la politica, il diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane». E nel farlo, aggiunge, «continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte». In altre parole: «Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza». La buona notizia? Si sono aperte grosse crepe nella “piramide gesuitico-massonica” che reggerebbe il mondo, fabbricando disastri e illusioni. Più instabilità significa più sofferenze, ma anche più “risvegli” da parte di quella fetta crescente di umanità che, secondo Carotenuto, starebbe gradualmente uscendo dal letargo.
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Se Cardini deforma i Catari: quella strage fa ancora paura?
«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.La crociata è stata invece pienamente giustificata, e alle perplessità espresse da Paolo Mieli sul fatto che si trattava di combattere contro dei cristiani, il professor Cardini ha risposto prontamente che i catari erano peggio degli infedeli, dato che – riporto le sue testuali parole: «con la loro azione impediscono ai cristiani di darsi alla guerra contro gli infedeli e quindi sono degli obiettivi alleati degli infedeli, però sono peggiori degli infedeli in quanto sono dei traditori della loro fede». Non si sa se ridere o piangere, tanta è l’insensatezza di quello che dice. L’odio di Cardini per i catari traspare da mille indizi, come quest’altra perla: «Vengono da Oriente, esattamente come la lebbra». Come non pensare qui a quelle splendide parole di Dante, che a proposito del luogo di nascita di San Francesco scrive:“Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole” (Paradiso XI, 49-54). Da Oriente viene la luce, e da un punto di vista spirituale ha un significato simbolico altissimo, basti pensare che anticamente le chiese dovevano essere “orientate”, ovvero costruite in modo che il fedele fosse rivolto verso Oriente. Ma siccome da Oriente vengono i catari – Cardini dice infatti che venivano chiamati «bulgari», cosa che è vera – allora si è sentito in dovere di aggiungere: «come la lebbra».Cardini evidentemente crede alle calunnie che all’epoca venivano diffuse sui catari. Ma è possibile che uno storico non sappia che i vincitori hanno sempre demonizzato e criminalizzato i vinti? Possibile che non sappia che non si possono ritenere affidabili al cento per cento le fonti, quando queste sono solo trattati scritti dagli inquisitori e verbali delle dichiarazioni rilasciate – magari sotto tortura – nei processi? Possibile che non sappia che da vent’anni è in atto una riscrittura di quella storia, con toni molto più amichevoli nei confronti dei catari e del loro cristianesimo aperto al dialogo, libero e gioioso? Cardini tutto questo lo ignora, e giustifica la crociata e l’Inquisizione. Certamente la Chiesa ha il diritto di pretendere l’ortodossia da parte dei fedeli. Ma anche di torturare e uccidere chi la pensa diversamente??? E non è tutto: era una trasmissione sull’eresia dei catari, ma non è stata spesa una parola sul catarismo italiano, che, come riferiscono già le fonti dell’epoca, era assai più consistente che non quello occitano. E allora ci dobbiamo chiedere: lo sa il professor Cardini? Se lo sa, è grave il fatto che non ne abbia parlato. Se non lo sa, è gravissimo.Quella del catarismo italiano è una storia affascinante, che si inserisce nelle lotte tra guelfi e ghibellini, dove nelle città rette dai ghibellini non erano ammessi i tribunali dell’Inquisizione. Contro gli inquisitori ci furono sommosse popolari in quasi tutte le città italiane, e qui l’Inquisizione operò per secoli, fino a tutto il Quattrocento. Poi ci sono gli aspetti macabri, come i processi postumi (famoso quello a Farinata degli Uberti), e le considerazioni sull’impoverimento che tutto ciò ha causato, impoverimento di cui soffriamo ancora oggi. Passato e presente è il nome della trasmissione, quasi a voler suggerire che il passato pesa sul presente. E questa pagina del passato, questa pagina grondante sangue, pesa ancora enormemente, nonostante gli sforzi della Chiesa e dei suoi lacchè per farla dimenticare. Ero talmente indignata e arrabbiata ad ascoltare simili parole in una trasmissione che trovo di alto livello e che seguo da tempo con interesse che ho deciso di scrivere a Paolo Mieli, il conduttore.Non mi aspettavo una risposta: avevo più che altro bisogno di sfogare la mia delusione. E invece ha risposto subito, con una mail molto gentile, scusandosi dei «giudizi sommari» e informandomi che cercheranno «di riparare anche tenendo conto dei suoi lavori e delle sue osservazioni». Vedremo. Sarebbe bello se la televisione pubblica, attraverso quello che è forse il suo programma più raffinato e serio di trasmissione della cultura, facesse luce su questa pagina tragica, dolorosa ma importantissima della nostra storia. E desse voce anche alle tante iniziative che dal Cuneese al Veneto, da Milano a Firenze stanno sorgendo, promosse non solo da professori, ma anche da cittadini che vogliono conoscere e far conoscere la storia del territorio in cui vivono e che, scoprendovi le tracce della presenza degli eretici catari sentono, come è già successo nella Francia del Sud, che non è una macchia da nascondere bensì una realtà di cui andar fieri.(Maria Soresina, “I catari la crociata… se la sono cercata!”, dalla pagina Facebook del progetto “Bogre”, documentario che Fredo Valla sta girando – fra Bulgaria, Italia e Francia – sull’eresia medievale cristiano-dualistica dei bogomili e dei catari, facendo appello anche al crowdfung attraverso il portale “Produzioni dal basso”. Storica milanese, Maria Soresina è consulente del progetto cinematografico; ha pubblicato importanti libri come “Le segrete cose. Dante tra induismo ed eresie medievali” e “Libertà va cercando. Il catarismo nella poesia di Dante”, pubblicati da Moretti & Vitali e favorevolmente recensiti dalla Rai e da giornali come il “Sole 24 Ore”, fino all’“Osservatore Romano”).«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.
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Ai vertici dell’antimafia uno dei responsabili del macello Diaz
«Più che la rabbia della vittima c’è il senso di sconfitta del cittadino di fronte al potere, negli occhi di uno degli ex ragazzi che nel luglio del 2001 attraversarono le notti della macelleria messicana della Diaz e del carcere cileno di Bolzaneto». Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver «partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti», è oggi il numero due – vice direttore tecnico operativo – della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, «ovvero il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane, la struttura alla quale è affidata la lotta al cancro criminale», scrive Marco Preve sull’edizione genovese di “Repubblica”. La nomina, decisa dal ministro dell’interno Marco Minniti, è passata in sordina, ignorata dalla politica. Nei giorni scorsi se ne sono accorti, quasi casualmente, i reduci del “Comitato Verità e Giustizia per Genova”, un gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari. «Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 – racconta un membro del comitato – spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa».«Mi chiedo come si possa dire a queste persone che l’Italia è cambiata – aggiunge il portavoce del comitato – se uno dei massimi dirigenti del nostro apparato di sicurezza è oggi proprio colui che ieri fece di tutto per accusarli ingiustamente e coprì gli autori materiali dei pestaggi e delle torture». Ex capo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, Caldarozzi è considerato un “cacciatore di mafiosi”. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, invece, è uno dei responsabili dei comportamenti di quella notte del 2001 e dei successivi comportamenti degli apparati di Stato, che sono valsi al nostro paese due condanne per violazione alle norme sulla tortura, ricorda “Repubblica”. Scrissero i giudici della Cassazione, per Caldarozzi e gli altri condannati: «Hanno gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero». Non esattamente una medaglia da inserire nel proprio curriculum. D’altra parte, a luglio di quest’anno sono scaduti i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, e i dirigenti condannati per la Diaz che non erano andati in pensione sono rientrati in polizia. In un intervento sul sito “Questione Giustizia”, di Magistratura Democratica, il pm del processo Diaz – Enrico Zucca – affronta con amaro sarcarmo il caso Caldarozzi: «L’ultimo dei rientri, che si fa fatica a conciliare con quanto espresso nei confronti del condannato in sede di giudizio di Cassazione, è quello che riguarda l’attuale vice-capo della Dia, che vanta così nel suo curriculum il “trascurabile” episodio della scuola Diaz».Il capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, in un’intervista a “Repubblica” dell’estate 2017 ha voluto finalmente affrontare il tema G8 senza tabù, dichiarando che lui «si sarebbe dimesso» se fosse stato al posto di Gianni De Gennaro, allora capo della polizia (e oggi presidente di Finmeccanica). A quanto si sa, scrive Preve, i funzionari rientrati in polizia sarebbero stati destinati a ruoli non di primo piano. Ma Caldarozzi è sfuggito a questa logica: «Essendo la Dia una struttura che dipende direttamente dal ministero, per lui, che vanta con Minniti e con il gruppo De Gennaro un’antica amicizia, si sono spalancate le porte dei piani alti». Il suo esilio, peraltro, non è stato esattamente quello di un appestato: «Gli anni di interdizione li ha trascorsi lavorando come consulente della sicurezza per le banche e poi come consulente per la Finmeccanica dell’ex capo De Gennaro. Si parlò anche di “collaborazioni” con il Sisde, i servizi segreti, proprio come, sempre a stare alle voci, si racconta intrattenga oggi il anche pensionato Franco Gratteri, ex capo della Direzione centrale anticrimine, il più alto in grado fra i condannati della Diaz».Nonostante l’Italia, tra molte contestazioni e distinguo, si sia dotata da qualche mese di una legge sulla tortura, aggiunge “Repubblica”, sembra essere completamente inevaso uno degli aspetti più volte ricordati dai giudici europei. Ovvero, «quello che riguarda non gli autori materiali delle torture, bensì tutta la scala gerarchica e i regolamenti interni che non provvedono a isolare i torturatori e chi li ha coperti nelle fase preliminare delle indagini, e che poi non provvede, se non a radiarli, perlomeno a bloccare le progressioni di carriera, o in estremo subordine ad assegnarli ad incarichi non operativi». Sedici anni dopo aver “disonorato la polizia italiana”, come affermano i giudici della Cassazione, «anche se molti poliziotti e altrettanti politici non hanno mai accettato questa sentenza», lo stesso Gilberto Caldarozzi «viene premiato con una delle poltrone più importanti della lotta al crimine». Per Marco Preve, con questa clamorosa nomina, «la “macelleria messicana” è stata archiviata dallo Stato», quello stesso Stato che ha appena promulgato una legge contro la tortura, 16 anni dopo il massacro di Genova. Una carneficina che, secondo Wayne Madsen – già dirigente della Nsa – fu accuratamente preparata dall’intelligence Usa per demonizzare e stroncare il movimento NoGlobal, che infatti dopo Genova è defunto.«Più che la rabbia della vittima c’è il senso di sconfitta del cittadino di fronte al potere, negli occhi di uno degli ex ragazzi che nel luglio del 2001 attraversarono le notti della macelleria messicana della Diaz e del carcere cileno di Bolzaneto». Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, ovvero per aver «partecipato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti», è oggi il numero due – vice direttore tecnico operativo – della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, «ovvero il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane, la struttura alla quale è affidata la lotta al cancro criminale», scrive Marco Preve sull’edizione genovese di “Repubblica”. La nomina, decisa dal ministro dell’interno Marco Minniti, è passata in sordina, ignorata dalla politica. Nei giorni scorsi se ne sono accorti, quasi casualmente, i reduci del “Comitato Verità e Giustizia per Genova”, un gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari. «Molti dei ragazzi tedeschi, vittime della polizia nel luglio 2001 – racconta un membro del comitato – spiegano di avere provato paura quando, ritornati in Italia per i processi o per le vacanze hanno incontrato agenti in divisa».