Archivio del Tag ‘ripresa’
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Obama e l’appuntamento peggiore: quello con la guerra
«Nei prossimi mesi, quando Obama avrà incontrato Xi Jinping, suo neo-omologo designato, potremo capire se i numeri uno e due al mondo sono destinati a cooperare o a scontrarsi». Parola di Lucio Caracciolo, che vede “guerre imperiali” appena oltre il giardino della Casa Bianca, all’indomani della conferma di Obama, che è stato rieletto «per salvare l’America da un’altra recessione, non per cambiare il mondo». Ma posti di lavoro e benessere sociale dipendono sempre più «dal modo in cui l’America sta al mondo», ovvero «dalle relazioni politiche, commerciali e finanziarie con il resto del pianeta, Cina in testa, che non accetta più il Washington consensus e non dimentica che la crisi in corso è nata a Wall Street». L’unico non indifferente vantaggio rispetto al primo quadriennio, aggiunge il direttore di “Limes”, è che Obama «non può essere riconfermato, sicché deciderà senza farsi condizionare da pedaggi elettorali».
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Meno spesa, tasse, credito zero: il rigore uccide le imprese
Il rigore non piace neppure agli industriali: lo stesso presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha ripetutamente chiarito che i tagli alla spesa pubblica non aiutano certo la ripresa degli investimenti nel settore privato. Per rilanciarli occorre ridurre il “cuneo fiscale” (meno tasse sul lavoro dipendente, e quindi più occupazione) e ampliare i mercati di sbocco interni, in due modi: più spesa pubblica e meno tasse. E soprattutto: rendere più agevole l’accesso al credito bancario da parte delle imprese. Al contrario, le politiche di austerity contraggono i redditi, quindi anche i risparmi, spingendo le banche a chiudere i cordoni della borsa. «Il calo dei risparmi – osserva Guglielmo Forges Davanzati, economista dell’università del Salento – si traduce nella riduzione dei depositi bancari, che a sua volta spinge le banche a essere meno accomodanti nell’erogazione di finanziamenti alle imprese», peraltro già a corto di profitti dallo scoppio della crisi.
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Petrolio alle stelle: ormai la crescita è bloccata per sempre
Jeff Rubin, celeberrimo economista canadese esperto di cose energetiche, ha qualche giorno fa pubblicato un inquietante articolo su “Bloomberg”, dal titolo “Come l’alto prezzo del petrolio bloccherà permanentemente la crescita economica”. Brutta notizia, ma non così sorprendente per noi che seguiamo il problema delle risorse. Dice Rubin: gli Usa non sono il solo Paese a soffrire. Dall’Europa al Giappone, i governi combattono per far ripartire la crescita. Ma i rimedi usati fanno più danno che altro, perché basati sulla credenza che la crescita possa ritornare alla sua precedente forza. I banchieri centrali e i politici non riescono a comprendere l’impatto soffocante del barile a 100 dollari.
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Draghi rianima l’euro? Certo: è per prolungarci l’agonia
Sarà che i draghi eruttano fiamme, ma la mossa del presidente della Bce di sostenere in maniera illimitata i titoli di Stato a breve dei paesi che sottopongano le proprie finanze pubbliche a un controllo europeo ricorda quel volontario della protezione civile che da un lato collabora allo spegnimento dell’incendio, mentre dall’altro attizza altri focolai. Invocato da molti come misura necessaria per calmare la situazione, l’intervento della Bce non è certo risolutivo, e per come è congeniato, al pari del volontario spegne un focolaio per attizzarne un altro. I problemi europei non derivano infatti dalla dissipatezza fiscale dei paesi periferici, ma sono conseguenza della perdita di competitività di questi paesi, del mercantilismo tedesco e dallo scoppio delle bolle immobiliari alimentate dai flussi di capitali dai paesi più forti verso alcuni periferici, tutti processi favoriti dall’euro.
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Moneta sovrana: così l’America crea posti di lavoro
Due milioni di posti di lavoro creati: è il frutto della politica monetaria americana, di cui l’Europa avrebbe bisogno. «Due milioni di assunzioni aggiuntive, dal 2009 ad oggi, fanno la differenza tra la situazione sociale dell’Eurozona e quella degli Usa», spiega Federico Rampini. «Nonostante questo, la Federal Reserve non considera di avere esaurito il suo compito». Ma come può una banca centrale “creare” lavoro, e per di più in misura così consistente? Quali sono i meccanismi con cui agisce, e perché lo fa? «L’ultima di queste tre domande racchiude una differenza costituzionale tra la Fed e la Bce», aggiunge Rampini. «La banca centrale americana ha l’obbligo di perseguire il pieno impiego, non solo di lottare contro l’inflazione». E si vede: anche dall’attenzione che il governatore Ben Bernanke dedica all’analisi della disoccupazione.
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Krugman: la crisi è solo una scusa per colpire i poveri
«Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione». Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, e aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione. Allora come mai la Gran Bretagna sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
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Brancaccio: basta euro-sacrifici, è ora di mollare Monti
Più volte abbiamo sentito esponenti di governo affermare che si intravedeva la luce in fondo al tunnel e che la crisi stava per finire. Già nel 2009 lo diceva Berlusconi. Non mi risulta che Monti e Passera abbiano elementi nuovi per rendere il loro ottimismo più credibile di quello dell’ex premier. Le previsioni delle istituzioni internazionali parlano chiaro: a fine 2012 il Pil sarà caduto di altri due punti, e nemmeno per il 2013 si intravede una ripresa. Quel che dice Moody’s in realtà vale poco. I pareri delle agenzie di rating vengono tuttora usati per fini di lotta politica interna. Ma tra gli operatori finanziari le agenzie ormai godono di una scarsa reputazione per la sequenza di errori clamorosi che hanno commesso in questi anni. La famigerata tripla A che assegnavano a Lehman Brothers poco prima del suo tracollo è solo uno dei tanti. Non a caso, le ricerche più recenti mostrano che l’impatto degli annunci delle agenzie di rating sugli andamenti del mercato è modesto, talvolta addirittura risibile.
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Organizzare la speranza, oltre il massacro che sta arrivando
La prima notizia è che le cose vanno di male in peggio: si profila il taglio epocale del sistema di welfare sul quale si sono basati decenni di progresso e pace sociale. Decenni turbati da crisi profonde, ma con sempre una luce in fondo al tunnel: un sistema di diritti e di solidarietà garantite, nonché la fiducia in un avvenire migliore, per sé e per i propri figli. La seconda notizia forse è ancora più preoccupante: la società civile non reagisce e, per ora, si limita a subire in silenzio le spietate punizioni di massa che gli scienziati europei del “rigore” hanno commissionato a Mario Monti. Dietro la maschera del saggio guaritore incaricato di organizzare la “ripresa” mediante le più drastiche “riforme strutturali”, medicina amara ma necessaria, il tecnocrate del Bilderberg e della Goldman Sachs, esponente dell’élite finanziaria mondiale, sta inoculando nel sangue italiano tossine mortali, in grado di stroncare per decenni qualsiasi economia.
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Il Telegraph: muoia la Grecia, un piano deciso dall’inferno
L’establishment europeo è felice per la vittoria di Nuova Democrazia ed è disponibile a tenere ancora in vita un paziente che non riesce più a respirare. Ma, questa sensazione, non potrà andare avanti ancora per molto. I nuovi leader della Grecia hanno ricevuto un mandato dall’inferno. In un modo o nell’altro quasi il 52% del voto popolare è andato a partiti che si opponevano al salvataggio previsto dal Memorandum. Comunque la nazione non ha accettato le politiche di austerità della troika. La sinistra dura del partito Syriza di Alexis Tsipras adesso è forse più pericolosa all’opposizione, con un gran numero di seggi in Parlamento, e potrà tartassare il governo senza assumersene la responsabilità, dato che lo Stato sta mandando a casa 150 mila lavoratori del settore pubblico, un quinto del totale.
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Europa solidale sul debito, o tornerà l’orrore della storia
Da qualche giorno si parla, non senza speranza, della proposta avanzata il 7 giugno da Angela Merkel alla televisione tedesca. Un’unione economica e politica dell’Europa, grazie alla quale la moneta unica potrà sormontare i propri squilibri, l’indebitamento degli Stati diverrà comune debito europeo, l’Unione potrà emettere eurobond garantiti solidalmente, sorvegliare le banche unificandole. L’obiettivo sarebbe una Federazione, ottenibile attraverso nuove graduali cessioni di sovranità nazionali: ancora in mano agli Stati, esse sono impotenti di fronte ai mercati. La terra promessa è bella, ma è tutt’altro che chiaro se il Cancelliere voglia, e presto, quel che annuncia. Se non stia guadagnando tempo, dunque perdendolo. Comunque, l’idea è di sfidare il suo principale interlocutore: il nuovo presidente francese. Ricordi, la Francia, che se l’Europa non si fa la colpa è sua, non dei tedeschi.
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Dittatura-Bruxelles: più rigore per tutti, salvo le banche
Avanti tutta, contro di noi: attacco al lavoro e al welfare, stabilità dell’euro, blindatura del sistema bancario. E progressiva centralizzazione della vita del continente: in materia economica e fiscale ma anche diplomatica e militare. E’ l’obiettivo dei vertici della tecnocrazia europea, reduci da una cena riservata per mettere a punto il nuovo piano, che il settimanale tedesco “Welt am Sonntag” definisce “segreto”, perlomeno nei dettagli. «Le nostre discussioni hanno dimostrato che abbiamo bisogno di portare l’Unione economica e monetaria in una nuova fase», aveva annunciato Herman Van Rompuy dopo il vertice Ue di fine maggio. A quanto pare, aggiunge il giornale tedesco, le massime autorità europee starebbero mettendo a punto un nuovo progetto «per rafforzare l’euro e favorire la ripresa dell’economia nell’Eurozona».
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Paolo Savona: non siamo cretini, dobbiamo uscire dall’euro
L’incontro tra la Merkel e Hollande non sembra aver rasserenato gli animi sulla possibilità che la politica fiscale europea cambi registro. Parrebbe che Monti sia rientrato rabbuiato da Bruxelles. Neanche la notizia che la Grecia è in cattive acque sembra spaventare la Germania, che resta la maggiore beneficiaria dell’euro così com’è, in quanto le sue esportazioni godono di un rapporto di cambio (per essa, non per noi) sottovalutato. Il Fmi, per bocca della signora Lagarde, ha ammesso che la Grecia può uscire senza traumi per l’euro, a conferma che ci stanno seriamente pensando e preparando, la quale cosa non sembra stia facendo l’Italia, almeno dalle reazioni, ma ancor più dai silenzi seguiti alla mia richiesta, avanzata su questo stesso quotidiano dall’agosto scorso, di avere pronto un Piano B, un programma di uscita ordinata dall’euro.