Archivio del Tag ‘Russia’
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Elegantissimo, aristocratico, anarchico Paolo Villaggio
Elegantissimo, come nessuno. Lui, Paolo Villaggio, con gli zoccoli di plastica rossi e il caftano di foggia maghrebina. Italiano e rabdomante, come il cantautore Paolo Conte, come lo scrittore Maurizio Maggiani. Anime raffinatissime, capaci di raccontare anche tacendo, di affermare per negazioni, per assenze. In grado di stare ovunque, sempre e comunque, partendo da quella porzione di cielo dove si stagliano le idee che poi maturano, diventando pensieri, vocati a incarnarsi in qualcosa di terreno, masticabile, a volte emozionante, persino profetico. Puoi scegliere il sentiero dell’asceta o quello del guitto, ma è lo stesso: cambia soltanto l’abito. Il doppiopetto, oppure lo “spigato siberiano” con la sciarpa amorevolmente accomodata dalla signora Pina, quel “curioso animale domestico, dai capelli color topo”. Non c’era, la signora Pina, nella “Voce della Luna”. C’era il prefetto Gonnella, con il suo sploverino sdrucito, che – sorgendo dal caos infernale della discoteca-hangar – all’improvviso fa il vuoto attorno a sé guidando, in un valzer di cristallo, una soave dama dei tempi che furono, direttamente discesa dai paradiso dei sogni affrescato da Federico Fellini. Un paradiso in cui il prefetto Gonnella sbalordisce tutti, surclassando l’eroe nazionale più convenzionale, Roberto Benigni.Sempre elegantissimo, Paolo Villaggio, anche nei panni dell’austero e perfido colonnello Pròcolo, che per tutta la durata del film (“Il segreto del bosco vecchio”, di Ermanno Olmi) tenta di assassinare il nipote, il giovane Benvenuto, per carpirgli l’eredità e abbattere la sua foresta sacra, simbolo della vita prima di noi – la vita che continua dopo di noi, malgrado noi. Paolo Villaggio anziano, alle prese con reading e presentazioni sempre altamente spettacolari dei suoi 28 titoli, incluso l’esilarante e folle “Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda”, in cui il poeta mette l’anima all’asta, alla maniera di Majakovskij, deliziando anche il pubblico della Russia profonda, che l’ha sempre amato considerandolo un grande scrittore popolare, come autorevolmente confermato da superstar della letteratura internazionale del calibro di Evgenij Evtushenko (con grande scorno – come ricordato dallo stesso Paolo, gongolante – dei vari Moravia dell’intellighenzia regolare, seriosamente ufficiale). Sarà stato decisamente divertente, un vero premio alla carriera, per un finto cialtrone d’alta scuola perfettamente a suo agio in un perimetro popolato di nomi come Fabrizio De André, Vittorio Gassman, Mario Monicelli, accanto a quello dell’inseparabile Gigi Reder.Finto cialtrone d’alta scuola ma senza scuola, e che ha fatto storia. La scuola è stata l’Italsider, sono state le navi da crociera, i piano-bar col Fabrizio e il Silvio, quello fissato con la televisione. Villaggio poeta: l’amore, al profumo dei pitosfori in fiore. Arte di puro istinto, intelligenza prontamente liquefatta in un copione tragicomico, grottesco, inattendibile, felicemente in fuga nel regno dell’iperbole. Cifra stilistica, diranno i critici. «Stronzate, io ormai mi cago addosso», li ha zittiti regolarmente il principe Bakunin, l’anarchico genovese, l’aristocratico della risata che ti costringe a pensare, senza mai scendere a patti con l’angusto lessico delle chiacchiere mainstream. Non un’intervista lineare, in decenni di esposizione mediatica. Giacimenti di verità sparsi qua e là, in mezzo a pernacchie e livide freddure, nutrite di cinismo divertito: trovalo tu, l’umano in me, io non posso scodellartelo sul piatto, sono costretto a insolentirti – con affetto, sempre, ma senza mai venire meno alla regola monastica che ho scelto, di cavaliere in missione per conto di voi tutti, me compreso. “Storia della libertà di pensiero”, scrisse, divertendosi – ancora – a fare scempio di monumenti, totem e tabù. L’ultimo atto editoriale vale un’epigrafe: “Siamo nella merda”, testualmente. Lo siamo eccome, ora, non avendo più con noi Paolo Villaggio, il gigante goffo, l’elegantissimo signore che stava sotto i riflettori solo per dirci come siamo veramente: impresentabili, indecenti, regolarmente inadeguati, cioè bellissimi.Elegantissimo, come nessuno. Lui, Paolo Villaggio, con gli zoccoli di plastica rossi e il caftano di foggia maghrebina. Italiano e rabdomante, come il cantautore Paolo Conte, come lo scrittore Maurizio Maggiani. Anime raffinatissime, capaci di raccontare anche tacendo, di affermare per negazioni, per assenze. In grado di stare ovunque, sempre e comunque, partendo da quella porzione di cielo dove si stagliano le idee che poi maturano, diventando pensieri, vocati a incarnarsi in qualcosa di terreno, masticabile, a volte emozionante, persino profetico. Puoi scegliere il sentiero dell’asceta o quello del guitto, ma è lo stesso: cambia soltanto l’abito. Il doppiopetto, oppure lo “spigato siberiano” con la sciarpa amorevolmente accomodata dalla signora Pina, quel “curioso animale domestico, dai capelli color topo”. Non c’era, la signora Pina, nella “Voce della Luna”. C’era il prefetto Gonnella, con il suo sploverino sdrucito, che – sorgendo dal caos infernale della discoteca-hangar – all’improvviso fa il vuoto attorno a sé guidando, in un valzer di cristallo, una soave dama dei tempi che furono, direttamente discesa dal paradiso dei sogni affrescato da Federico Fellini. Un paradiso in cui il prefetto Gonnella sbalordisce tutti, surclassando l’eroe nazionale più convenzionale, Roberto Benigni.
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Al funerale di Kohl i becchini di quest’Europa germanizzata
Per l’addio all’ex cancelliere tedesco Helmuth Kohl, l’Ue ha organizzato nell’Europarlamento di Strasburgo il primo funerale di Stato. Le élite che governano l’Europa e il mondo non potevano non assumere la sua figura come fondativa del presente, della nuova Europa e della nuova realtà globalizzata. Perché indissolubilmente legata alla caduta del Muro di Berlino. Fu lui nel dicembre 1989, a quasi un mese dal crollo del Muro, che al Bundestag annunciò la possibile riunificazione tra le due Germanie (le «due patrie», l’altra era la Ddr) divise per mezzo secolo con sullo sfondo l’ombra delle responsabilità tedesche nella Seconda guerra mondiale e simbolo della Guerra fredda. Quel «dopo-Muro» fu un’epoca ricca di promesse, per gran parte non mantenute, ma certo inconfrontabile con l’attuale stagione. Il piano della riunificazione e poi la decisione del «cambio uno a uno tra marco dell’est e dell’ovest» presa da Kohl – sempre sostenuto a testa bassa dal suo ministro degli interni che si chiamava Wolfgang Schaeuble – sconvolsero e stupirono il quadro politico internazionale di sinistra e di destra, protagonisti Gorbaciov, Mitterrand e Andreotti, Thatcher, Bush padre e Reagan. E perfino autorità economiche e monetarie a partire dalla stessa Bundesbank.Fu dalla riunificazione a tappe forzate che alla fine emerse evidente la nuova pesante centralità della Germania. Tornata grande – con il marco al centro del mercato europeo – così tanto da dover accettare, sul tavolo della trattativa con l’Unione europea che appena nasceva, come contrappeso l’avvio dell’integrazione europea e dell’adozione dell’euro. Questa «epoca delle promesse» ieri è stata ricordata non a caso da un personale politico che – senza confronto col nuovo Corbyn – più vintage non si può: c’erano infatti in mezzo a tanti incredibili leader attuali, come l’ex monarchico berlusconiano Tajani, diventato chissà come presidente dell’Europarlamento, Bill Clinton, Romano Prodi e perfino Silvio Berlusconi. Tutti a contendersi le spoglie del «dopo-Muro» che fu. Ma non c’è più il dopo-Muro di una volta. Da quel crollo inziale, precipitò l’Unione sovietica che con Michail Gorbaciov proponeva la «casa comune europea», un’idea straordinaria fatta a pezzi dai leader occidentali che preferirono la sua caduta e l’avvento a Mosca di Boris Eltsin, piuttosto che corrispondere positivamente.Adesso, al contrario, è tornata la guerra fredda ai confini della Russia-nazione, con l’incendio in Ucraina, nel Donbass, e con gli eserciti atlantici dislocati tutti sulla frontiera russa. Mentre la guerra calda infuria nell’inferno mediorientale e l’Africa torna a vocazione post-coloniale. E soprattutto l’erede di Kohl, Angela Merkel, pur avendo sviluppato le tematiche democristiane della Cdu in chiave socialdemocratico-cristiana, si muove proprio al contrario del grande padre Kohl che l’ha introdotta nel partito e nel potere. Lo ha affermato con durezza il nuovo leader della Spd Martin Schulz, quando all’ultimo congresso straordinario della Spd di pochi giorni fa, ha così accusato l’ex ragazza dell’est «mutti»: «L’idea dell’ex cancelliere Helmuth Kohl era quella della Germania europea, non dell’Europa germanizzata». Un attacco frontale che fotografa lo stato delle cose. Con una Germania che, dopo la Brexit, si candida apertamente a guidare i destini d’Europa, surrogata dalla Francia di Macron che annuncia nuova grandeur.Insomma la Grande Germania è tornata, si sceglie i profughi, privilegia le sue banche, decide sanzioni, marginalizza le aree da escludere come la Grecia, guida i rapporti con l’Asia, fa guerre a destra e a manca, ingloba truppe dell’est nella Bundeshweher. Subalterni i restanti 26 paesi europei. Mentre quelli dell’Est, a proposito della Cortina di ferro, diventati appendice di Berlino e della Nato, vanno per proprio conto a destra, cancellando diritti umani e democrazia. Mentre solo in Europa di muri ne sono stati eretti almeno altri dieci. No, non c’è più il dopo-Muro di una volta.(Tommaso Di Francesco, “L’addio a Kohl e il dopo-Muro di una volta”, dal “Manifesto” del 2 luglio 2017).Per l’addio all’ex cancelliere tedesco Helmuth Kohl, l’Ue ha organizzato nell’Europarlamento di Strasburgo il primo funerale di Stato. Le élite che governano l’Europa e il mondo non potevano non assumere la sua figura come fondativa del presente, della nuova Europa e della nuova realtà globalizzata. Perché indissolubilmente legata alla caduta del Muro di Berlino. Fu lui nel dicembre 1989, a quasi un mese dal crollo del Muro, che al Bundestag annunciò la possibile riunificazione tra le due Germanie (le «due patrie», l’altra era la Ddr) divise per mezzo secolo con sullo sfondo l’ombra delle responsabilità tedesche nella Seconda guerra mondiale e simbolo della Guerra fredda. Quel «dopo-Muro» fu un’epoca ricca di promesse, per gran parte non mantenute, ma certo inconfrontabile con l’attuale stagione. Il piano della riunificazione e poi la decisione del «cambio uno a uno tra marco dell’est e dell’ovest» presa da Kohl – sempre sostenuto a testa bassa dal suo ministro degli interni che si chiamava Wolfgang Schaeuble – sconvolsero e stupirono il quadro politico internazionale di sinistra e di destra, protagonisti Gorbaciov, Mitterrand e Andreotti, Thatcher, Bush padre e Reagan. E perfino autorità economiche e monetarie a partire dalla stessa Bundesbank.
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La Cina accorre nel Baltico, con i russi assediati dalla Nato
Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. «Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi Su-27 russo». Una provocazione programmata, scrive Manlio Dinucci su “Megachip”, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia, che nel frattempo si prepara ad esercitazioni congiunte, nel Baltico, nientemeno che con la Cina. Giochi di guerra, a tutto campo, mentre Trump torna a minacciare la Siria paventando “nuovi attacchi chimici”, ben sapendo che non è stato Assad, ma i “ribelli” Nato, a usare il gas Sarin contro i civili.Siamo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, come sostengono molti osservatori? La situazione è pericolosa, anche se – secondo altri – lo stato di tensione geopolitica sarebbe una colossale farsa, con l’obiettivo di rafforzare in modo simmetrico le leadership americana e russa, giustificando la nuova corsa agli armamenti. Intanto però l’agenda più o meno sotterranea della guerra è impressionante: dal 1° al 16 giugno, ricorda Dinucci, si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla “minaccia russa”, l’esercitazione Nato “Baltops”: in campo oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner dell’Alleanza. Nel frattempo, dal 12 al 23 giugno si è svolta in Lituania l’esercitazione “Iron Wolf” che ha visto impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco (con truppe belghe, olandesi e norvegesi, e dal 2018 anche francesi, croate e ceche) e quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche e rumene.Carri armati Abrams della 3a brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carri Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato «riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda», sarebbe «un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa». In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, che include truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi, e quello in Estonia sotto comando britannico, con truppe francesi (e dal 2018 anche danesi). «Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del comando europeo degli Stati Uniti e allo stesso tempo comandante supremo alleato in Europa.Ad essere mobilitati, aggiunge Dinucci, non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione “Coalition Warrior”, il cui scopo è «sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia». Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. Ma Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano: «Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 7-8 luglio, la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio “Chi semina vento, raccoglie tempesta”»Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. «Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi Su-27 russo». Una provocazione programmata, scrive Manlio Dinucci su “Megachip”, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia, che nel frattempo si prepara ad esercitazioni congiunte, nel Baltico, nientemeno che con la Cina. Giochi di guerra, a tutto campo, mentre Trump torna a minacciare la Siria paventando “nuovi attacchi chimici”, ben sapendo che non è stato Assad, ma i “ribelli” Nato, a usare il gas Sarin contro i civili.
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Flynn: Usa terroristi, l’Isis è in Siria grazie a Obama e Hillary
Un folle pilota americano ha abbattuto un aereo siriano che stava attaccando l’Isis. Questo conferma che Washington non sta combattendo i terroristi, ma li sta proteggendo, in quanto suoi agenti in Siria per rovesciarne il governo. Il generale Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha rivelato in un’intervista tv che Obama e la Clinton hanno voluto fortemente inviare l’Isis in Siria, contro il suo parere. L’Isis è la scusa per entrare abusivamente in Siria. Russia e Iran vi sono legalmente, invitati da un governo eletto. Gli americani invece sono lì come criminali di guerra. Secondo il diritto internazionale, stabilito dagli stessi yankees, è un crimine di guerra aggredire un paese che non ha sollevato un pugno contro di te. Ora che un pilota americano ha dimostrato che gli Usa sono in Siria solo per sostenere il proprio agente, l’Isis, nemmeno una “presstituta” come Megyn Kelly può credere alla versione di Washington. Russi, siriani e iraniani lo sapevano sin dall’inizio. Tuttavia, queste fonti ufficiali sono tutte considerate sospette dai media occidentali. Per questo, la bugia è rimasta in piedi, fino a quando l’idiota pilota americano ha tolto il velo dalla menzogna.Washington, naturalmente, mentirà spudoratamente. È l’unica cosa che sa fare. Dirà che era un “combattente della coalizione”, cioè che qualcun altro stava guidando gli F-18 americani. Non eravamo noi. Oppure affermeranno che il fighter siriano stava attaccando donne e bambini, oppure un gruppo di transgender o ancora un reparto maternità per donne violentate dalle “brutali truppe” di Assad. Il governo la girerà in qualche modo per rendere un aggressivo crimine di guerra un’eroica difesa di un gruppo di vittime. La domanda è: l’idiota pilota ha fatto tutto da solo, in stile Top Gun, oppure è stata un’iniziativa del complesso militare per iniziare un conflitto Stati Uniti-Russia che impedirebbe a Trump di calmare le tensioni con Putin? Sono in gioco 1 trilione di dollari annui pagati dai contribuenti americani. Non sappiamo se il pilota abbia agito da sé o su ordine. Quel che sappiamo è che non è andata giù ai russi. Il ministro della difesa ha dichiarato oggi che considera la decisione del comando statunitense come una «violazione intenzionale del memorandum per evitare incidenti di voli aerei nelle operazioni in Siria, firmato il 20 ottobre 2015». Che sorpresa! Gli americani hanno rotto un altro accordo fatto con la Russia.Quando capirà Mosca che un accordo firmato con Washington non ha senso? I nativi americani non lo hanno mai fatto. C’è una famosa maglietta in America: “Certo che puoi fidarti del governo: chiedi ad un nativo”. Il ministro della difesa russo ha annunciato oggi che il paese sta interrompendo tutte le interazioni con gli Stati Uniti nell’ambito del memorandum di prevenzione degli incidenti nei cieli siriani. Ha aggiunto inoltre che la difesa missilistica intercetterà qualsiasi aeromobile nella zona delle Forze Aerospaziali russe in Siria, e che «nelle aree in cui l’aviazione sta conducendo missioni di combattimento nei cieli siriani, qualsiasi oggetto volante, inclusi jet e veicoli aerei senza pilota della coalizione internazionale, scoperti ad ovest del fiume Eufrate, verranno seguiti da difese aeree e terrestri russe come bersagli aerei». In altre parole, la Russia ha velatamente indetto una “no-fly zone” in tutte le aree della Siria in cui operano le forze siriane e russe. Ogni intruso verrà colpito. Americani, israeliani, chiunque sarà fatto fuori.Poiché è la Russia, e non Washington, ad avere la superiorità aerea in Siria, tutto ciò che serve è un altro pilota americano sconsiderato, e i totali cretini di Washington dovranno ritirarsi o fare un errore. Date la stupidità e la hybris a D.C., i cretini commetteranno un errore. Non c’è nessuna intelligenza a Washington, solo arroganza. Nel quarto di secolo che ci sono stato ho visto le persone più stupide al mondo. Credo che la Russia e la sua abile leadership ne usciranno vincenti. Tuttavia, penso anche che abbia lasciato troppo che la crisi siriana si sviluppasse. Russia e Siria avrebbero vinto la guerra molto tempo fa, se Mosca avesse evitato di continuare a dichiarare una vittoria prematura, andandosene, dovendo tornare, sperando sempre di raggiungere un accordo con Washington. Raggiungere un accordo con gli americani era quasi più importante che vincere la guerra. Che cosa assurda. Sono gli americani che hanno fomentato il terrorismo in Cecenia.I russi sembrano non capire che non esistono terroristi indipendenti. Il terrorismo è un’arma di Washington. Come può dunque Mosca fare un accordo con un paese che le sta usando il terrorismo contro? Quale crede che sia il piano neocon di conquistare Siria ed Iran, se non portare più terrorismo in Russia? Putin è un leader esperto, forte e capace, forse l’unico fuori della Cina. Palesemente non ce n’è nessuno, in Occidente: un deserto di leadership. Pochi dubbi che sia un capo morale, che si oppone alla guerra e vuole il meglio per tutti i paesi. Tuttavia, cercando accordi con Washington, dà l’idea di essere debole e scavalcabile. Sarebbe molto meglio se Putin dicesse chiaramente: «Se volete la guerra, l’avrete in mezz’ora». Improvvisamente, la Russia verrebbe subito presa sul serio. Ammiro il presidente russo. Ma sta sbagliando mossa. Invece di parare l’aggressione di Washington, dovrebbe costringere Europa e Stati Uniti a venire da lui per una soluzione. Putin, il leader del mondo libero, non dovrebbe essere passivo rispetto ad un governo in bancarotta, corrotto e che si rotola nel male.(Paul Craig Roberts, “Un altro passo verso la guerra totale”, da “Information Clearing House” del 19 giugno, post tradotto da Hmg per “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts è stato viceministro del Tesoro nel governo di Ronald Reagan).Un folle pilota americano ha abbattuto un aereo siriano che stava attaccando l’Isis. Questo conferma che Washington non sta combattendo i terroristi, ma li sta proteggendo, in quanto suoi agenti in Siria per rovesciarne il governo. Il generale Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha rivelato in un’intervista tv che Obama e la Clinton hanno voluto fortemente inviare l’Isis in Siria, contro il suo parere. L’Isis è la scusa per entrare abusivamente in Siria. Russia e Iran vi sono legalmente, invitati da un governo eletto. Gli americani invece sono lì come criminali di guerra. Secondo il diritto internazionale, stabilito dagli stessi yankees, è un crimine di guerra aggredire un paese che non ha sollevato un pugno contro di te. Ora che un pilota americano ha dimostrato che gli Usa sono in Siria solo per sostenere il proprio agente, l’Isis, nemmeno una “presstituta” come Megyn Kelly può credere alla versione di Washington. Russi, siriani e iraniani lo sapevano sin dall’inizio. Tuttavia, queste fonti ufficiali sono tutte considerate sospette dai media occidentali. Per questo, la bugia è rimasta in piedi, fino a quando l’idiota pilota americano ha tolto il velo dalla menzogna.
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Berlino, la polizia ordina: non dite la verità sul terrorismo
Il “Corriere del Ticino”, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia criminale tedesca. Si intitola “Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti. La premessa dà già il tono: «Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica». Capito? E ancora: «Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (Stato islamico, ndr) o di Islam».L’autore dello scoop, Stefan Müller, cita un esempio concreto: l’attentato di Dortmund dell’11 aprile contro il bus dell’omonima squadra di calcio. La polizia, dopo una decina di giorni, annunciò che era stato compiuto da Sergej W. (28enne russo-tedesco, nel frattempo arrestato a Tubinga), che aveva ordito l’attentato per speculare in Borsa. Versione che all’epoca aveva suscitato non poche perplessità. Dal documento scoperto dal “Corriere del Ticino” si scopre che era giunta una rivendicazione dell’Isis, mai però comunicata ai media. Inevitabile chiedersi adesso: chi è stato davvero? Sergej o un fanatico del Califfo? Molto interessante anche la parte del documento in cui, rilevando un netto aumento dei fenomeni terroristici in Europa, si osserva che il quadro è andato peggiorando con «l’apertura delle frontiere da parte di Merkel». Ovvero, la polizia criminale tedesca avvalora l’equazione che le sinistre tendono a liquidare come un pregiudizio o un teorema populista: più immigrati fuori controllo, più terrorismo. La Bka parla di un traffico di passaporti rubati usati dagli attivisti dell’Isis in Europa.«Dieci milioni di visitatori stranieri all’anno entrano in Germania con passaporti falsi o rubati. In tal senso è possibile correlare la quantità di passaporti rubati con Al-Qaeda (Is) e le attività terroristiche islamiste». Sono menzognere anche le cifre sull’immigrazione clandestina, almeno quelle comunicate in Germania. Leggete questo passaggio del rapporto: «La percentuale degli ingressi illegali è cresciuta del 70%. I colleghi italiani prevedono l’arrivo di circa 350 mila, fino a 400 mila migranti dall’Africa nell’anno 2017. Verso l’esterno, alla stampa e ad altri media, indichiamo una cifra di 250 mila unità». E lo stesso vale per i crimini ordinari commessi dagli immigrati. Nel 2015 erano 309 mila, nel 2016 sono saliti a 465 mila. Queste cifre, peraltro, non contengono reati contro l’asilo e la socialità. Ma «ai media – si legge nel rapporto – si parla rispettivamente di 209 mila reati e di 295 mila». Ben 170 mila in meno. Decisamente esplosivo questo passaggio del rapporto: «Mai parlare di migranti economici. La sollecitazione giunge direttamente dal ministro della Cancelleria e dal portavoce del governo. Queste indicazioni sono tassative, per chi non le rispetta sono previste sanzioni severe, procedure disciplinari e il licenziamento dalla polizia».Sia chiaro: le autorità, da sempre, si riservano una certa discrezionalità nel diffondere le notizie più sensibili o per proteggere agenti infiltrati. Non dicono mai tutta la verità, com’è ovvio. Ma il quadro che emerge da questo rapporto va oltre i normali confini dell’intelligence. Quando si modificano sistematicamente le statistiche, quando si tenta di dissimulare gli attentati fino a dare istruzioni per fabbricare versioni credibili agli occhi dell’opinione pubblica, quando un governo vieta di parlare di “migranti economici” si è in presenza di un metodo per la creazione di post-verità governative o, se preferite, di una manipolazione sistematica delle informazioni. E tutto questo al fine di non turbare il processo elettorale, dunque di non intralciare la campagna elettorale della cancelliera Merkel. Cose che capitano nella democratica Germania.(Marcello Foa, “La polizia tedesca ordina: non dite la verità sul terrorismo islamico”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 20 giugno 2017).Il “Corriere del Ticino”, principale testata del gruppo che dirigo, ha pubblicato questa mattina un documento riservato del Bundeskriminalamt (Bka), la polizia criminale tedesca. Si intitola “Come agire in presenza di attacchi terroristici” e contiene le linee guida sulle informazioni da trasmettere alla stampa in queste circostanze. L’intenzione è lodevole: evitare il diffondere di allarmismi, ma le conseguenze pratiche sono sorprendenti. E inquietanti. La premessa dà già il tono: «Nell’anno elettorale 2017 non ci sarà alcun attentato, almeno se si sarà in grado di evitarlo. Ciò significa che, non importa quanto siano sicuri dei fatti i funzionari in campo, davanti alla stampa e all’opinione pubblica, per cominciare, si deve negare sempre tutto. Lo staff di consulenza del governo ha bisogno di tempo per illustrare l’accaduto e per mettere insieme un racconto credibile agli occhi dell’opinione pubblica». Capito? E ancora: «Le lettere di rivendicazione devono essere citate solo se necessario, ma senza fornire particolari. In caso di dubbio, escludere l’attacco terroristico. Divulgare la teoria dell’autore singolo, come pure quella della persona psichicamente disturbata. In aggiunta: evitare sempre, per cominciare, di parlare di Is (Stato islamico, ndr) o di Islam».
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Potere terrorista: teme il nostro risveglio e sa che perderà
Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.In una lunga conversazione con David Gramiccioli ai microfoni di “Radio Roma Capitale”, già qualche anno fa, Carotenuto esponeva dati precisi: «Fino a vent’anni fa, a puntare consapevolmente sull’impulso a migliorare le cose era solo il 7-8% della popolazione, piccoli gruppi, nicchie, mistici. Oggi invece siamo alla riscoperta diffusa dell’ecologia, del cibo sano a chilometri zero, delle terapie alternative, dei “corpi sottili”. Fino a due o tre generazioni fa, un animale era soltanto cibo, per noi. E un albero era destinato solo a diventare un mobile, o legna da ardere». E’ cambiato tutto, alla velocità della luce, per almeno un essere umano su tre: «Si sta diffondendo una enorme cultura nuova. E’ l’ingresso dell’amore nel pensiero: si chiama coscienza. E questa rivoluzione avanza, cresce del 3% ogni anno». Attenzione: «Quella della coscienza non è l’unica rivoluzione che può cambiare il mondo: è l’unica che lo sta cambiando. Sta già avvenendo». Secondo Carotenuto, la “voglia di migliorare il mondo” è qualcosa di epocale: «E’ l’evento storico di massa più importante dell’umanità in duemila anni, anche se nessun talkshow ne parla. Al contrario: i media sono intasati di notizie infernali: crisi, guerra, terrorismo. Non a caso, secondo Carotenuto: «Il sistema dei poteri oscuri sta cercando di difendersi, mettendoci paura. Ma non ci riuscirà. E’ lui ad avere paura, perché vede benissimo quello che sta accadendo, e che i media non raccontano».Poteri oscuri: quelli per cui lo stesso Carotenuto ha lavorato, dapprima inconsapevolmente, per molti anni. Oggi, nella visione spiritualistica a cui è approdato, li chiama “forze dell’ostacolo”. E spiega: «In fondo, il male è una tattica del bene. In qualche modo ci aiuta a svegliarci. Se non avessimo qualcuno che ci dà il cattivo esempio, la nostra coscienza continuerebbe a dormire». Traduzione politico-spirituale: anche se l’élite “oscura” è ben lontana dal capirlo, «il ruolo ultimo di questa minoranza così cattiva, che ci governa da millenni, è proprio quello di svegliare la nostra coscienza». Un “training” involontario nonché spietato, feroce: «Dai campi magnetici, ai vaccini, alla politica: tutto è fatto per impedire il nostro risveglio». Ma i super-poteri sono in difficoltà: stanno verticalizzando i centri di controllo proprio per sottrarre sovranità e democrazia a questa nuova umanità “pericolosa”, che si starebbe svegliando. «Riducono i partiti, svuotano le Province, tolgono potere ai Comuni, alle Regioni. Ma è un’operazione difensiva: stanno perdendo pezzi. Questi poteri sono gli stessi che, ieri, controllavano le mafie, le lobby, la corruzione locale, i politici. Pur di verticalizzare, stanno obiettivamente combattendo lobby, mafie, scandali: per dare una ripulita, altrimenti la verticalizzazione non si può fare. Abbattono una classe politica corrotta, che era la loro, per sostituirla con una classe politica più pulita, più verticale e più forte contro le coscienze».Inforcando gli occhiali del suo vecchio mestiere, Carotenuto osserva l’evoluzione geopolitica in corso: «Hanno distrutto il laicismo nei paesi islamici. Iran, Egitto, Iraq, Siria, Tunisia, persino Libia. Obiettivo: radicalizzare l’Islam per fabbricare nemici, indispensabili per giustificare guerre e armamenti. Dopo il crollo dell’Urss dovevamo smontarla, la Nato. E invece quella struttura è cresciuta ancora, grazie a nemici artificiali: molti paesi islamici sono stati assegnati ai peggiori nemici dell’Occidente». L’ultima “invenzione” si chiama Isis. Serviva, «per rimpiazzare quella cosa ormai ridicola, non credibile, che era Al-Qaeda». Ma è tutto inutile, giura Carotenuto: «La gente, ad ogni latitudine, continua a svegliarsi giorno per giorno. Capisce che non può più fidarsi del mondo del potere. Si sta creando un mondo parallelo, solidale, senza più commistioni. Tutti ormai capiscono che il livello decisionale non è quello dei politici: la stanza dei bottoni è altrove». Il politico si limita a eseguire decisioni superiori, imposte da chi «decide di autorizzare un vaccino particolare, o un Ogm», anche con l’aiuto di «forme-pensiero orribili, devastanti», quotidianamente alimentate dal mainstream, «in trasmissioni come quelle di Bruno Vespa».Controllo dei circuiti e delle strategie: sono «coperture culturali, che poi vengono affiancate ai capi politici per guidarne i passi». Il frontman di turno magari si chiama Giuliano Amato o Romano Prodi, ma ha alle spalle «think-tanks politici, culturali e finanziari». Insiste Carotenuto: «Non se ne parla mai. Ma sopra il livello della politica c’è quello dei professori. Quando la politica viene ritenuta inadatta, si prende un professore e lo si mette a fare il politico. Ciampi, Prodi, Monti. In altri paesi si mette un Kissinger vicino a Nixon, un Brzezinski vicino a Carter. Proprio Brzeziznki l’ha detto chiaramente: il principale pericolo, per il potere, è il risveglio delle coscienze. E’ stato lucido: per la prima volta, una cosa così vera è stata affermata da un professore del potere», cioè del circuito universitario internazionale, «controllato da elementi religiosi e massonici», che svolge «un’operazione di fondo, molto forte, sulle forme-pensiero: e noi viviamo, in quelle forme-pensiero». Come sottrarsi alla morsa di questa manipolazione? «Basta guardarsi intorno, e dire: voglio migliorare la scuola dei miei figli, il parco vicino a casa. Voglio fare un’associazione che lo protegga, voglio alimentare il biologico. Mettiamo l’amore nella nostra vita quotidiana. Questa è l’unica arma per rivoluzionare veramente il mondo. E sta già funzionando: non facciamoci distrarre».Sul piano ufficiale e pubblico è una rivoluzione ben poco visibile, ammette Carotenuto: «Sui media non c’è, perché su questo c’è una congiura del silenzio. Non ci fanno talkshow, non ne parlano i giornali. Ma noi abbiamo occhi e orecchie. Se guardiamo le nostre famiglie, vediamo benissimo quanta gente ha cambiato orientamento o lo sta facendo. Anni fa, se facevi questi discorsi ti prendevano per matto. Adesso invece c’è sempre qualcuno che ti ascolta. Questa è la rivoluzione». Il risveglio è così forte, dice Carotenuto, da spingere i poteri a cercare in ogni modo di controllarlo. E’ stato fatto fin dall’inizio, infiltrando le associazioni pionere, portatrici di valori positivi. «Hanno detto: facciamole noi, le organizzazioni che si occupano dei loro temi. E così, appena nato l’ecologismo, hanno preso il principe Filippo (cacciatore) e il principe Bernardo d’Olanda (fondatore del Bilderberg, commerciante d’armi, piduista, petroliere Shell) e gli hanno fatto fondare il Wwf nel 1961».Carotenuto poi accende i riflettori su una «figura stranissima» come quella di Maurice Strong, grande petroliere canadese, «condannato negli Usa perché voleva appropriarsi di risorse idriche». Bene, quel signore è stato al vertice per 30-40 anni dell’ecologismo in sede Onu: è stato lui a organizzare le conferenze sul clima, da Kyoto a Stoccolma. Sono tutte fallite? «Logico: erano state create apposta per fallire. Per indurre l’idea che gli Stati sono incapaci. Per risolvere i grandi problemi, dicono, serve il super-Stato mondiale, il loro vero obiettivo». Sempre Strong ha redatto anche la Carta della Terra insieme a Gorbaciov, «che tutti considerano un santo», e di cui invece Carotenuto fornisce un profilo in controluce: «Era il pupillo di Andropov, ha messo ovunque uomini del Kgb trasformando l’Urss nel regno dei servizi segreti. Poi, con la Perestrojka, ha dato loro – privatamente – le risorse del paese. Adesso chi governa la Russia? Putin, che era un uomo del Kgb. Questa è stata l’operazione di Gorbaciov, e gli hanno dato il Nobel per la Pace».Gorbaciov se non altro ha “liberato” l’Est Europa, contribiendo ad archiviare l’incubo della guerra fredda. Ma il Nobel per la Pace l’hanno dato anche a Obama, «che per la pace nel mondo non ha fatto assolutamente niente». La vera funzione del Nobel? «Creare dei “santi” laici, con una credibilità fittizia». Il problema sta nel manico: Alfred Nobel, l’industriale della dinamite, aveva pessima fama. «Si era sparsa la voce, falsa, che fosse improvvisamente morto. Lui lesse i “coccodrilli” sui giornali: l’avevano trattato malissimo. Così, con l’Accademia di Stoccolma istituì il premio, per “ripulire” la propria immagine. Quindi il Nobel, in partenza, nasce da una non-verità». E’ l’ennesima maschera dei lupi che si travestono da agnelli: il potere che si accaparra il monopolio dei buoni sentimenti. Dal Nobel ai grandi think-tanks, stessa dinamica: centralizzare il futuro, sottrarlo alle persone comuni. Aurelio Peccei, braccio destro di Vittorio Valletta, esportò la Fiat nell’Urss. Poi negli anni ‘70 venne incaricato di fondare il Club di Roma. Tanti professori, grandi esponenti politici. E spuntò la tesi del super-Stato mondiale.«Verticalizzare il potere per frenare le coscienze, vecchia storia», osserva Carotenuto. «Dalla Prima Guerra Mondiale si uscì con la Società delle Nazioni, che non funzionò. Dalla Seconda si uscì con l’Onu. Il Club di Roma disse: non ce la faremo, la sovrappopolazione esplode, i consumi esauriranno le risorse della Terra in pochi anni. Ne avessero azzeccata una… Così, avendo sbagliato tutte le previsioni, si sono dedicati ad altro: il mutamento climatico, con Al Gore, uno dei loro». Beninteso: «Non è che questi problemi non esistano, sono importanti. Ma vengono forzati nel ragionamento: catastrofe assicurata, se in pochi anni non si arriva al super-Stato mondiale». Cioè la tattica in apparenza autolesionista di Maurice Strong all’Onu: far fallire le conferenze sul clima. Il guaio è che «il potere è in tutti i poteri», sintetizza Carotenuto. «Più è centrale e multinazionale, e più è facile che lobby, massonerie e congreghe varie riescano a determinare le nomine, figurarsi a livello di Ue. Ma voi Van Rompuy l’avete mai conosciuto? E Barroso? Chi sono? Perché stavano lì? Sono stati imposti da poteri che non si possono definire chiari».Peccano di scarsa chiarezza, secondo Carotenuto, anche movimenti che sembrano trasparenti come quello di Grillo: «I militanti sono bravi ragazzi, vorrebbero davvero migliorare il mondo. Ma non vedono che la “casa” del loro leader non è di vetro. E il non chiaro, il non conosciuto, è sempre lo spazio di una coscienza che non è la tua, ma è quella di qualcun altro». Certo il Belpaese è un po’ un caso a parte: «L’Italia è veramente un rebus, per il mondo dei poteri, perché è quasi incontrollabile. Gli italiani hanno una immensa risorsa, che è la fantasia». In qualche modo, sono riusciti a sopravvivere anche all’attacco più duro, l’omicidio di Aldo Moro, che per Carotenuto «era rimasto il coagulo di quello straordinario gruppo di uomini usciti dalla Resistenza, gli artefici della Costituzione: tutto volevano, tranne che svendere l’indipendenza dell’Italia, la sovranità e la dignità umana». Eliminato Moro, «c’è stato il dilagare dei poteri oscuri, che volevano togliere di mezzo l’indipendenza e la dignità italiana, la dignità umana in Italia». Hanno vinto? No, perché «tutti noi, oggi, siamo in grado di raccogliere quel messaggio: sempre di più vediamo chi sono questi poteri. E quindi la risposta è: mettiamo più amore in quello che facciamo».Non è una passeggiata: «Una delle cose che vogliono questi poteri è suscitare l’odio. Se uno odia, pensa che la colpa è sempre degli altri, e non fa mai niente. Pensa sempre di essere migliore, e non si migliora. E così il suo livello di coscienza rimane basso». La soluzione più semplice? «Amare di più, intorno a sé. E questo distrugge il mondo del potere, veramente». Un grande intellettuale dissidente come il linguista Noam Chomsky si chiede spesso: cosa possiamo fare? «La differenza rispetto a me – dice Carotenuto – è che Chomsky non ha una visione spirituale, quindi non ha speranza, in fondo. Io ho più di una speranza: ho una certezza. Perché il risveglio è già in corso. L’amore sta già trasformando il mondo: ce ne dobbiamo solo accorgere. E organizzarlo un po’ alla volta, senza la pretesa di abbattere il potere: perché il potere si scioglie dal di dentro». Qual è la base delle grandi piramidi di potere? Siamo noi: «Sono le nostre stesse scelte quotidiane, in favore del potere: compro il prodotto sbagliato, esprimo il voto sbagliato». Il rimedio? La crescita della coscienza: «Man mano che noi cresciamo, le piramidi crollano. E i grandi poteri lo sanno: per questo hanno paura, e stanno diventando sempre più violenti. Basta non farsi impressionare dal loro frastuono: stanno per cadere a pezzi, travolti dalla nostra rivoluzione inarrestabile, fondata sulla consapevolezza». Conclude Carotenuto: l’arma segreta si chiama amore, ed è invincibile: «Amore significa: voler fare un bene che ancora non c’è. E’ una forza inarrestabile, che silenziosamente sta già trionfando».Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.
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Il vero Brzezinski, grande architetto del terrorismo moderno
Era lui il vero “inventore” del cosiddetto “terrorismo islamico”. Zbigniew Brzezinski, già consulente per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, spentosi il 26 maggio 2017 all’età di 89 anni, è stato «il grande architetto del terrorismo moderno», secondo il blog “The AntiMedia”, che prova a riassumerne l’eredità. «Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’Isis, e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marziale quasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’Isis, la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno». Come spiega il “New York Times”, «il profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica» ha guidato molta della politica estera americana, «nel bene e nel male». Brzezinski sostenne l’invio di miliardi di dollari ai militanti islamisti che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. E incoraggiò tacitamente la Cina a mantenere il suo sostegno al brutale regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Urss, prendessero il controllo del paese. Ma il “New York Times” «non non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski».Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Usa si impegnarono a rovesciarlo con una serie di tentativi di colpi di Stato «tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli Usa», scrive “The AntiMedia” in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della Cia denominato “Operazione Ciclone”. «Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione». In un’intervista del 1998, Brzezinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava «consapevolmente aumentando la probabilità» che i sovietici intervenissero militarmente. In altre parole, Brzezinski suggerisce che gli Usa «avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica».Brzezinski disse poi: «Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’Urss il suo Vietnam». Questa affermazione, annota “The AntiMedia”, andava al di là del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate “From the Shadows“, Robert Gates – ex direttore della Cia sotto Ronald Reagan e George W. Bush, nonché segretario alla difesa sia sotto Bush junior che sotto Obama – confermò direttamente che quella operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i russi in un pantano in stile vietnamita. «Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden – una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire».Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla Cia, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori: «Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?». L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté: «Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno». Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: «Nonsense!». Cose di questo genere, osserva il blog, «succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado». Di fatto, il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di Al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. «Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze Nato».Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, «la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata», sottolinea “The AntiMedia”. «Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte: non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad». Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, a quel tempo incaricato d’affari presso l’ambasciata americana a Damasco, allude esplicitamente alla possibilità concreta di scommettere su «una crescente presenza di estremisti islamisti». Un po’ come con l’Operazione Ciclone in Afghanistan, sotto Barack Obama «la Cia ha speso circa un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani, affinché si impegnassero in tattiche terroristiche». E la maggioranza di questi ribelli «condivide l’ideologia fondamentalista dell’Isis e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria».Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli “avvertimenti” di Obama al presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe spinto la Russia verso un altro pantano in stile afghano. «Da chi può aver acquisito, Obama, queste tecniche “alla Brzezinski”, gettando la Siria nell’orrore di sei anni di guerra e di nuovo trascinando una grossa potenza nucleare in un conflitto pieno di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?». Ecco la risposta: «Le ha acquisite da Brzezinski stesso». Secondo Obama, Brzezinski è stato un suo mentore personale, un «amico eccezionale», dal quale ha imparato moltissimo. «Alla luce di questo, c’è forse da sorprendersi che siano sorti così tanti conflitti dal nulla durante la presidenza Obama?». Un’azione a tutto campo, dal Medio Oriente all’Ucraina: il 7 febbraio 2014, la “Bbc” ha pubblicato la trascrizione dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra l’assistente segretaria di Stato, Victoria Nuland, e l’ambasciatore americano in Ucraina, Geoffrey Pyatt. In quella conversazione, i due alti funzionari «stavano discutendo su chi avrebbero voluto piazzare al governo ucraino dopo il colpo di Stato che aveva cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovych».Ed ecco che Brzezinski stesso, nel suo libro del 1998, “La Grande Scacchiera”, sosteneva la necessità di prendere il controllo dell’Ucraina, dicendo che era «uno spazio nuovo e importante sulla scacchiera euroasiatica, un perno geopolitico, perché la sua stessa esistenza come nazione indipendente implicava che la Russia cessasse di essere un impero euroasiatico». Brzezinski ammoniva contro l’eventualità di permettere alla Russia di prendere il controllo dell’Ucraina, perché «la Russia si riprenderebbe automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente Stato imperiale, con influenze sia in Europa che in Asia». Dopo Obama, Donald Trump è salito in carica con tutta un’altra mentalità, con l’idea di lavorare con la Russia e con il governo siriano per combattere l’Isis. «Non c’è da sorprendersi che Brzezinski non abbia sostenuto la campagna di Trump per la presidenza, e abbia ritenuto che le idee di Trump sulla politica estera mancassero di coerenza», aggiunge “The AntiMedia”. Poi, forse, qualche ripensamento in extremis: l’anno scorso, Brzezinski è sembrato aver cambiato posizione sulla “geopolitica del terrore”, iniziando a sostenere una redistribuzione del potere globale, alla luce del fatto che gli Usa non sono più la grande potenza imperiale di un tempo.Tuttavia, Brzezinski sembrava ancora ritenere che, senza il ruolo-guida dell’America, il risultato sarebbe stato solo «il caos globale». Pare perciò improbabile che il suo cambiamento di posizione fosse fondato su un cambiamento reale e significativo sullo scacchiere geopolitico. «La stessa esistenza della Cia è fondata sull’idea di una minaccia russa, come è stato evidenziato dall’aggressione decisa da parte della stessa Cia contro l’amministrazione Trump non appena si è delineata una possibile distensione con l’ex Unione Sovietica», conclude “The AntiMedia”. «Brzezinski è morto nella tranquillità del suo letto di ospedale, a differenza di milioni di civili sfollati e assassinati, risucchiati nel suo contorto gioco di scacchi geopolitico, fatto di sangue e follia. La sua eredità è la militanza jihadista, la formazione di Al-Quaeda, il più devastante attacco su suolo americano che sia mai stato fatto da un’entità straniera nella storia recente, e la demonizzazione della Russia come eterno avversario, con il quale la pace non si può e non si deve fare».Era lui il vero “inventore” del cosiddetto “terrorismo islamico”. Zbigniew Brzezinski, già consulente per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, spentosi il 26 maggio 2017 all’età di 89 anni, è stato «il grande architetto del terrorismo moderno», secondo il blog “The AntiMedia”, che prova a riassumerne l’eredità. «Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’Isis, e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marziale quasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’Isis, la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno». Come spiega il “New York Times”, «il profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica» ha guidato molta della politica estera americana, «nel bene e nel male». Brzezinski sostenne l’invio di miliardi di dollari ai militanti islamisti che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. E incoraggiò tacitamente la Cina a mantenere il suo sostegno al brutale regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Urss, prendessero il controllo del paese. Ma il “New York Times” «non non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski».
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Per l’Occidente, i criminali sono sempre e soltanto gli altri
Secondo Furio Colombo, in un articolo pubblicato dal “Fatto Quotidiano” dell’8 maggio e intitolato “La follia come politica del mondo”, i leader dei paesi che non rientrano nel circolo buono delle democrazie occidentali propriamente dette, sono dei pazzi o quantomeno dei pericolosi psicolabili. Al primo posto sta, per antonomasia, “a prescindere”, di diritto, il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Al secondo Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela, al terzo e al quarto, a scelta, leggermente distaccati, Putin ed Erdogan. Sarò più pazzo di lui, ma Kim Jong-un a me non sembra affatto pazzo. È l’unico a essere rimasto, col suo paese, nel famigerato “Asse del Male”. Saddam Hussein, che abbiamo a lungo utilizzato in funzione anti-iraniana e anti-curda, lo abbiamo fatto fuori quando non ci serviva più; al contrario, l’Iran degli ayatollah è uscito dall’ “Asse” perché, dopo averlo osteggiato per più di trent’anni con uno spietato embargo economico, e militarmente (aiuti a Saddam quando l’Iran stava per vincere una guerra in cui era l’aggredito e non l’aggressore) ora è tornato utile e ci serve nella guerra all’Isis. E stare nell’“Asse del Male” non è proprio tranquillizzante per chi vi è inserito. La Corea del Nord è l’ultimo paese comunista rimasto al mondo. È criminale, oltre che folle, essere comunisti?Per decenni, almeno fino al collasso dell’Urss, pregiati e stimati leader politici occidentali, italiani, francesi, tedeschi, appartenenti all’area della sinistra europea sono stati comunisti – alcuni ancora lo sono – senza che li si considerasse né criminali né folli. La Corea del Nord è circondata da paesi ostili, alcuni nucleari; e anche quelli che nucleari non sono, come la Corea del Sud, è come se lo fossero, perché sono di fatto un protettorato della più grande potenza atomica del mondo. È così strano, così criminale, così folle che la Corea del Nord voglia farsi un armamento nucleare peraltro minimo e ridicolmente inefficiente, come deterrente per non essere spazzata dalla faccia della terra dal primo che abbia la voglia di farlo? Il venezuelano Maduro, eletto democraticamente, è quotidianamente sotto il fuoco incrociato delle democrazie occidentali; non, come si afferma, per i suoi eccessi nella repressione degli oppositori (altri paesi nostri alleati fanno ben di peggio) ma perché è erede dello chavismo che è stato il tentativo, per qualche tempo riuscito, di sottrarre i paesi del Sud America, più efficacemente di quanto non avesse fatto Fidel, al soffocante abbraccio dell’“amico americano”.Putin è un autocrate criminale, responsabile insieme a Eltsin e al molto venerato Gorbačëv del genocidio ceceno; fa sparire in un modo o nell’altro i suoi oppositori, ma non è affatto un folle. La sua politica di appeasement con i Talebani afghani, che l’Isis lo combattono, lo dimostra. Perché se l’Isis sfonda in Afghanistan poi può dilagare in Turkmenistan, Tagikistan, e altri paesi con forti componenti musulmane che potrebbero diventare un serio pericolo per Mosca. Erdogan è effettivamente il peggiore di tutti. Come scrive Colombo, «il numero delle persone arrestate e tuttora detenute è troppo alto per essere compatibile con una pur crudele normalità». Peccato che Erdogan sia un nostro alleato e membro della Nato. Fra gli “imperatori folli” Colombo non inserisce, pudicamente, il generale Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, che per giunta – e a differenza di Erdogan – non è stato democraticamente eletto, ma è autore di un colpo di Stato in cui ha messo in galera tutti i dirigenti dei Fratelli Musulmani vincitori delle prime elezioni libere in Egitto, ne ha ammazzati per ora circa 2.500 e ne ha fatti sparire 4.000 di cui ci siamo accorti solo quando è stato ritrovato il cadavere del ricercatore dilettante Giulio Regeni (diciamolo: non si va nell’Egitto di al-Sīsī a fare un’inchiesta sui “sindacati indipendenti”). Ma l’Egitto è da moltissimi anni un alleato degli americani che lo foraggiano e lo armano, e tanto più lo è ora al-Sīsī che l’imprudente Matteo Renzi, con la sua solita impudente leggerezza si è spinto a definire «un grande statista».I leader delle democrazie occidentali non sono folli. Si chiamino Bush padre, Bush figlio, Clinton, Obama, Hollande, Sarkozy, si presentano bene, ingiacchettati e incravattati. Sanno stare in società. Hanno modi gentili. Sono affidabili. Però da vent’anni a questa parte, perlomeno dall’attacco alla Serbia del 1999, si sono resi responsabili di cinque guerre di aggressione (Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia più l’intromissione, con i russi e i turchi, nella guerra civile siriana) che hanno causato, direttamente o indirettamente, più di un milione di morti civili e altri ne continuano a causare, insieme a migrazioni bibliche. Non sono folli. Sono semplicemente dei criminali, o se si preferisce, dei terroristi di Stato. È la solita storia. Noi siamo il Bene per definizione; gli altri, di conseguenza, il Male. I nostri sono eserciti regolari, quelli degli altri sono “orde”. I nostri nemici non appartengono mai alla categoria dello iustus hostis, ma sono sempre dei terroristi. Quando li facciamo prigionieri non gli riconosciamo lo status di “prigionieri di guerra” e li trattiamo come criminali (vedi Guantánamo e Abu Ghraib). Forse dovremmo smetterla con questo doppiopesismo ipocrita e un tantino ripugnante. A mio avviso il vero folle è chi considera tutti gli altri “folli”.(Massimo Fini, “Per l’Occidente i criminali sono sempre gli altri”, dal “Fatto Quotidiano” del 15 maggio 2017).Secondo Furio Colombo, in un articolo pubblicato dal “Fatto Quotidiano” dell’8 maggio e intitolato “La follia come politica del mondo”, i leader dei paesi che non rientrano nel circolo buono delle democrazie occidentali propriamente dette, sono dei pazzi o quantomeno dei pericolosi psicolabili. Al primo posto sta, per antonomasia, “a prescindere”, di diritto, il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Al secondo Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela, al terzo e al quarto, a scelta, leggermente distaccati, Putin ed Erdogan. Sarò più pazzo di lui, ma Kim Jong-un a me non sembra affatto pazzo. È l’unico a essere rimasto, col suo paese, nel famigerato “Asse del Male”. Saddam Hussein, che abbiamo a lungo utilizzato in funzione anti-iraniana e anti-curda, lo abbiamo fatto fuori quando non ci serviva più; al contrario, l’Iran degli ayatollah è uscito dall’ “Asse” perché, dopo averlo osteggiato per più di trent’anni con uno spietato embargo economico, e militarmente (aiuti a Saddam quando l’Iran stava per vincere una guerra in cui era l’aggredito e non l’aggressore) ora è tornato utile e ci serve nella guerra all’Isis. E stare nell’“Asse del Male” non è proprio tranquillizzante per chi vi è inserito. La Corea del Nord è l’ultimo paese comunista rimasto al mondo. È criminale, oltre che folle, essere comunisti?
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Corbyn tallona la May? Urge attentato elettorale, a Londra
Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.A Torino, nel tempo accuratamente costruito dal terrorismo di regime e media, in cui, se cade per terra un mazzo di chiavi, o esplode una miccetta, o qualcuno starnuta forte, scatta il panico da attentato e conseguente fuga tumultuosa che travolge e schiaccia chi non corre abbastanza veloce, o non trova varchi, o è inciampato, per una partita virtuale su maxischermo si contano mille feriti e alcuni a portata di Caronte. In entrambi i casi, come in tutti quelli del prima e del dopo, il risultato è raggiunto. Colpendo nel mucchio. Di quelli che non c’entrano niente. Di quelli spendibili. Non una volta che si spari una bazookata contro le finestre di Goldman Sachs, o si faccia saltare la corrente alla Nato a Bruxelles, o si infili un candelotto sotto il sedile dell’ambasciatore saudita. Che sia mai. Non facciamoci del male da soli.A cui si aggiunge un’altra considerazione. Social, vanterie degli specialisti e dei ministri della “sicurezza”, gole profonde della Nsa, perfino il “Report” disinquinato di Sigfrido Ranucci (Rai 3), o le voci alternative di Gianluigi Paragone (La7), ci informano a valanga di quanto tutti siamo controllati, di come non sfuggiamo neanche al cesso o nell’alcova, di come il nostro cellulare racconti al collegato di che pasta siamo fatti e che pasta consumiamo, insomma come nulla di nessuno sfugga al Grande Occhio. Grande Occhio onnivedente e onniconoscente che resta cieco o chiuso quando gli formicolano davanti migliaia di reclute dell’Isis (chiamiamole così, per non disturbare), istruite nelle carceri o nei campi di Siria e Iraq, pendolari tra sgozzamenti a Mosul e Raqqa e deflagrazioni o piraterie stradali in Europa. «Li conoscevamo, li abbiamo anche registrati, ma poi li abbiamo persi di vista…». Volatilità, volubilità, spensieratezze, disattenzioni, dei servizi di intelligence. Son ragazzi. Sempre meglio che farsi scoprire mandanti. «Tanto poi li secchiamo tutti». Basterebbe sparare alle gambe, o tirare una siringa come alle pantere randagie, o un po’ di gas come i russi nel teatro di Mosca… Ma i morti non parlano.(Fulvio Grimaldi, estratto dal post “Corbyn tallona May? Urge attentato”, pubblicato dal blog di Grimaldi il 4 giugo 2017).Finiti i botti, si può anche sospendere la campagna elettorale. Se lo devono essere detti l’Mi5, l’Mi6, la loro dependance Scotland Yard, i fratelloni Mossad, Cia e i suoi 14 nipotini in Usa, i cugini delle varie marche imperiali europee, alla vista di uno che s’impegnava per un apocalittico cambio «dalla politica per i pochi alla politica per i tanti» (Jeremy Corbyn). Roba mai vista da quando l’Ue è entrata in funzione su mandato Rothschild, Rockefeller, Bilderberg e galassia finanziaria globale. Anatema. E così, dopo gli impiegati e il poliziotto sul ponte di Westminster e i ragazzetti al concerto di Manchester, è toccata ai flaneur e alle flaneuses serali sul London Bridge e nei pub sottostanti a finire, come va il trend di questi tempi, sotto un veicolo e tra le lame dei servizi. Quattro morti, più 22, più sette = 33, più parecchie decine di feriti, mutilati, menomati. Esito di una battaglia elettorale sul destino dei pochi e dei tanti. La May, primo ministro, ha cancellato quanto restava della campagna dei tanti. Se ne poteva fare a meno. Forse.
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Usa, élite criminale depravata: è in ogni film di Kubrick
L’Armageddon si sta avvicinando e vale la pena citare Lincon che affermava che «la fine degli Stati Uniti non potrà che avvenire mediante suicidio». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, «né i neocon né Trump nascono dal nulla. Abbiamo a che fare con un paese di pazzi che adora le armi e massacra per puro divertimento. Bisonti, russi e cinesi sono avvertiti. In America, il genocidio indiano fu uno sport, come la caccia di schiavi che Dickens descrisse inorridito nelle sue cronache americane». Tutti conoscono il “dottor Stranamore” e magari hanno visto film come “Eyes Wide Shut”, di Stanley Kubrick, regista su cui Bonnal ha scritto un libro, facendo notare che «una costante, generalmente trascurata, presente in tutta la sua opera: una critica radicale, sarcastica e costante delle élites». Nel film “Il bacio dell’assassino”, siamo di fronte a un personaggio, il proprietario, che ha pulsioni sessuali incontrollate e tendenze omicidie: verrà ucciso. In “Spartacus”, abbiamo a che fare con la depravazione dell’élite romana. «Attori britannici contro attori americani, come rivelava umoristicamente Michel Ciment. Lo scrittore comunista Howard Fast aveva pensato, per questo soggetto, alle élites statunitensi maccartiste del suo tempo».In “Lolita”, continua Bonnal in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, siamo di fronte a un asso del travestimento chiamato Quilty: come “quilt”, il materasso, che potrebbe designare anche la colpevolezza, secondo un gioco di parole dello stesso Nabokov. Ebbene, Quilty violenta madre e figlia prima di subire la concorrenza dal docente europeo yéyé che sposa la madre e violenta la figlia. Nel film “Il dottor Stranamore”, prosegue Bonnal, abbiamo una sintesi della cultura statunitense basata sull’omicidio di massa e sull’ossessione sessuale. «Von Neumann inspira il dottor Stranamore, Curtis Le May il generale Turgidson (turgido) sul quale il suo amico Raico ci ha detto tutto. L’assassino di massa è rappresentato da un certo Jack Ripper, d’ispirazione londinese per così dire – si sa che era un intoccabile chirurgo in là con gli anni. Il film di Kubrick pone sullo stesso piano la liberazione sessuale (anni di play-boy) e l’adorazione nucleare. Le Barbie che oggi spopolano sui canali statunitensi gioiscono annunciando le esplosioni». Poi ecco “2001, Odissea nello spazio”, «una storia di cospirazione», dove «i responsabili della Nasa celano informazioni ai loro rivali russi e nascondono la scoperta del monolite grazie alle voci su una presunta epidemia (un attacco batteriologico? Chimico?)».Alla fine si scopre che il computer aveva la possibilità di distruggere l’equipaggio: «Ne sapeva più dell’equipaggio stesso». Ridley Scott se ne ricorda in “Alien”, dove «l’equipaggio è sacrificabile, come il popolo di oggi sotto la guida di Wall Street e di Bruxelles. Ed è pure ibernato». Sorvolando sui film successivi di Kubrick, Bonnal arriva a “Eyes Wide Shut”, «che ben rappresenta le inclinazioni degli anni di Clinton: ossessione sessuale (per Clinton come per Trump e le sue modelle), speculazione finanziaria, corrispondenza con gli Illuminati (scoperta da Texe Marrs), culto per le società segrete e soprattutto gusto per i sacrifici umani». Per il film, annota Bonnal, il regista si è ispirato a “Doppio sogno” di Schnitzler: «L’impero austroungarico, al tramonto, diede inizio alla Prima Guerra Mondiale – e ci ha lasciato Hitler in regalo». Osserva Bonnal: «In Kubrick le élites inglesi (“Barry Lyndon”, “Arancia meccanica” dove si serve dei teppisti per controllare le masse) o francesi (“Orizzonti di gloria”) non valgono di più. Ci sono, per citare Clint Eastwood, quelli che scavano e quelli che hanno la pistola. Adesso c’è chi ha i soldi e chi lavora. Chi lavora rischia di morire presto per permettere all’élite ecologista statunitense, che trova questa terra troppo popolata, di respirare».E cos’è “Donald”? Avic ne ha fatto un attore, Philippe Grasset, un uomo di reality. «Donald è presente anche nel thriller comico “Zoolander” (un top model che ha subito il lavaggio del cervello deve assassinare il presidente malese) e in “Celebrity” di Woody Allen», il quale «ha precisato che Trump era un eccellente uomo di spettacolo». Questo, chiosa Bonnal, dovrebbe rassicurarci «se crediamo, come Thierry Meyssan, che Donald non sia cambiato e che minacci la guerra solo per rassicurare i media neocon, in America e a Parigi». Tornando invece a Kubrick, «si dice abbia filmato le false immagini dell’allunaggio (lui avrebbe certamente fatto di meglio), che ha dovuto lasciare l’America, e che forse sarebbe stato assassinato, 666 giorni prima il primo gennaio 2001». Bonnal non chiude il suo libro con quest’argomento perché «la stupidità arriva presto alla conclusione, diceva Flaubert», ma insiste su un punto: «Da Lincoln e la sua folle guerra da un milione di morti (la schiavitù fu abolita ovunque e senza massacri), le élites statunitensi hanno perso il senno». Per Bonnal queste oligarchie «amano il detonatore, l’innesco, l’acceleratore, hanno il grilletto facile». Dopo, diceva il colonnello Kurz in “Apocalypse now”, «passano entusiasti agli aiuti umanitari».L’Armageddon si sta avvicinando e vale la pena citare Lincon che affermava che «la fine degli Stati Uniti non potrà che avvenire mediante suicidio». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, «né i neocon né Trump nascono dal nulla. Abbiamo a che fare con un paese di pazzi che adora le armi e massacra per puro divertimento. Bisonti, russi e cinesi sono avvertiti. In America, il genocidio indiano fu uno sport, come la caccia di schiavi che Dickens descrisse inorridito nelle sue cronache americane». Tutti conoscono il “dottor Stranamore” e magari hanno visto film come “Eyes Wide Shut”, di Stanley Kubrick, regista su cui Bonnal ha scritto un libro, facendo notare che «una costante, generalmente trascurata, presente in tutta la sua opera: una critica radicale, sarcastica e costante delle élites». Nel film “Il bacio dell’assassino”, siamo di fronte a un personaggio, il proprietario, che ha pulsioni sessuali incontrollate e tendenze omicidie: verrà ucciso. In “Spartacus”, abbiamo a che fare con la depravazione dell’élite romana. «Attori britannici contro attori americani, come rivelava umoristicamente Michel Ciment. Lo scrittore comunista Howard Fast aveva pensato, per questo soggetto, alle élites statunitensi maccartiste del suo tempo».
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Rovesciare Trump e insediare Mike Pence: il piano procede
Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.Il 6 aprile nuovo cedimento: l’altro fedelissimo, Steve Bannon, viene estromesso dal Consiglio nazionale della sicurezza, dove restano solo falchi, tra cui molti neoconservatori. Dopo poche ore Trump rinnega i capisaldi del suo discorso inaugurale e diventa improvvisamente interventista. Bombarda con i missili una base militare in Siria, lancia la “madre di tutte le bombe” in Afghanistan, fa salire alle stelle le tensioni con la Corea del Nord. Intanto, al Pentagono, si affinano i piani di guerra. Trump appare normalizzato, inghiottito dall’establishment. E improvvisamente il Russiagate sparisce dalle prime pagine, perde di intensità e di importanza. Il presidente annuncia la revoca del trattato di libero scambio Nafta ma dopo poche ore si rimangia tutto, a conferma del suo ammansimento. La revoca dell’Obamacare torna d’attualità con il convinto assenso del partito repubblicano. Poi, però, accade qualcosa. Trump ci ripensa o, almeno, dimostra di volersi riprendere qualche spazio, soprattutto diplomatico.Dopo aver incontrato da solo il leader cinese Xi, con cui stabilisce un ottimo rapporto personale, esautora di fatto il Dipartimento di Stato, decidendo da solo la visita dal Papa il 24 maggio e, soprattutto, avviando un dialogo con Mosca; parla al telefono con Putin e riceve alla Casa Bianca il ministro degli esteri russo Lavrov. L’establishment non gradisce e inizia ad agitarsi. Le polemiche interne riaffiorano, i giornali ricominciano a descrivere una Casa Bianca spaccata e caotica. Quando il presidente decide di licenziare il capo dell’Fbi Comey, il Deep State dichiara una nuova guerra, verosimilmente definitiva, al redivivo Trump. Seguendo i dettami illustrati dall’ex consigliere di Obama Kupchan, che invitava ad «adoperare i media e l’opinione pubblica», sulla stampa amica – ovvero “New York Times” e “Washington Post” fioccano indiscrezioni e rivelazioni pesantissime, insinuanti e, come sempre, anonime, ma di fonte sicura: servizi segreti, esponenti dell’amministrazione. Gli altri media amplificano. E l’isteria monta.Qualunque voce o ricostruzione contro Trump viene presentata dai media come sicura e provata, qualunque indizio a sua discolpa viene relativizzato o ignorato. La “Washington Post” annuncia che le informazioni passate a Lavrov durante l’incontro alla Casa Bianca sono segrete e che il presidente ha messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Si scopre, tuttavia, che si tratta dell’allarme sulla possibilità che l’Isis compia attentati sugli aerei nascondendo bombe nei laptop, rischio noto da giorni, e lo stesso Putin smentisce di aver ricevuto informazioni segretissime e si dice pronto a dimostrarlo. Ma non basta a riportare la quiete. McCain cita il Watergate, i democratici incalzano, i media attaccano con toni scandalizzati. E ora? Un esponente di lungo corso della politica Usa, insospettabile perché rappresenta la sinistra americana, Dennis Kucinich, legge con molta lucidità la situazione. Ricorda di non aver nulla in comune con Trump ma, in un’intervista a “Fox News”, giudica pretestuosa questa campagna.«Se l’informazione era così sensibile perché è stata passata al “Washington Post”?», si chiede. E ancora: «Qualcosa è fuori controllo. C’è un tentativo di stravolgere la relazione con la Russia. Dobbiamo chiederci: perché l’intelligence sta cercando di sovvertire il presidente degli Stati Uniti con questi leaks? Io sono in disaccordo con Trump su molte questioni, ma su questa no. Ci può essere solo un presidente e qualcuno, nel mondo dei servizi segreti, sta cercando di rovesciare questo presidente al fine di perseguire una linea politica che ci mette in conflitto con la Russia. Il punto è: perché? E chi? Abbiamo bisogno di scoprirlo». Kucinich ha quasi certamente ragione. Qualunque pretesto è utile per perseguire lo scopo finale: ribaltare la volontà popolare, cacciare Trump e mantenere il potere nelle mani dell’establishment, al cui interno si annullano le differenze politiche tra destra e sinistra, e che governa gli Usa dai tempi di Kennedy. Il successore è già pronto: è il vice Mike Pence, che non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano. Di lui si fidano.(Marcello Foa, “Obiettivo finale, rovesciare Trump. Preparatevi…”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 17 maggio 2017).Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.
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Manchester Satanic e terroristi Nato, nessuno è innocente
Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.Ora, secondo l’“Independent”, Salman Abedi, il figlio stragista di Manchester, si trovava nella Libia Orientale nel 2011, quando gli aerei britannici bombardavano le truppe del governo libico per portare al potere i Takfiri. Era giovanissimo. Secondo i suoi compagni di scuola, cambiò allora: «Prima era un ragazzo di compagnia, beveva, fumava erba – ma quando tornò dalla Libia nel 2011 era un’altra persona. Diventò religioso. Per qualche tempo è stata innalzata una bandiera nera con scritte in arabo sul tetto della casa degli Abedi a Elsmore Road». Spero che i lettori non abbiano dimenticato come, sotto gli auspici di Hillary Clinton allora segretaria di Stato, carichi e carichi di armamenti saccheggiati dai forniti arsenali di Gheddafi furono spediti in Siria, per armare i Takfiri mercenari arruolati per abbattere il legittimo governo. Una sporchissima faccenda in cui trovò la morte l’ambasciatore Usa Chris Stevens, sacrificato con la sua scorta di Marines per non far saltare fuori la storia. Potevano essere salvati, un commando era pronto a decollare dalla Sicilia, fu dato l’ordine di “stand-down”. Insomma la strage “islamica” di Manchester è un effetto collaterale delle sovversioni britanniche in Libia e in Oriente in obbedienza ai neocon americani. A meno che non sia un’operazione voluta dagli stessi servizi britannici – l’attentatore era ben noto agli agenti – per distrarre l’opinione pubblica da qualcos’altro (Brexit? Elezioni?).Personalmente penso che valga più la prima ipotesi. Ma, come si dice: mai sprecare un disturbato mentale utilizzabile come islamista kamikaze. Quanto alla pop-star Ariana Grande, idolo delle giovanissime: nel 2014, in una intervista a “Billboard”, ha rivelato di essere divenuta “kabbalista” (complimenti) secondo «gli insegnamenti del rabbino Philip Berg», un agente d’assicurazione di New York, fondatore di una organizzazione magica chiamata Centro della Kabbala. Ariana Grande non è la sola celebrità ad aderirivi: Naomi Campbell, Madonna, Leonardo Di Caprio, Britney Spears, Demi Moore e (poteva mancare?) Paris Hilton si dice ne facciano parte. La giovanissima Ariana Grande ne deve essere particolarmente addentro, perché in una intervista ha parlato di come talora venga “abitata” da presenze inequivocabili: «Appena ho chiuso gli occhi ho sentito questa vampata davvero forte vicino alla mia testa… quando ho chiuso gli occhi ho iniziato di nuovo con i sussurri per molto tempo… ho iniziato a vedere questa immagine veramente inquietante, come con forme rosse».Sul web naturalmente si sono affollati complottisti che hanno intuito “messaggi” kabbalisti, per esempio, nell’età dell’attentatore e nella data della strage (22 è il numero delle lettere ebraiche su cui si basa la magia della Kabbala); altri hanno indicato simboli kabbalistici nei videoclip della piccola. La cosa ci stupirebbe poco e poco ci interessa. Oltretutto un produttore cinematografico che ha passato la vita ad Hollywood, Jon Robberson, ha appena accusato l’industria cinematografica hollywoodiana di essere «un nido di pedo-criminalità di natura luciferina». Il che, naturalmente, ci stupirà ancor meno. Stupirebbe di più il fatto che nessun giudice in Usa voglia riprendere in mano la faccenda della strana morte di Seth Rich, un addetto del comitato elettorale democratico che aveva rivelato a Wikileaks migliaia di mail compromettenti sul funzionamento interno del partito: fra cui i trucchi e i giochi sporchi con cui quel partito favoriva la Clinton e sabotava l’altro candidato, Bernie Sanders. «Seth Conrad Rich, 27 anni, fu assassinato per strada l’8 luglio in Washington Dc, da una o diverse persone che non gli rubarono nulla di quello che indossava, lasciando anche la sua ventiquattrore, il suo orologio o il cellulare». Julian Assange accusò Hillary come mandante dell’omicidio (Hillary: «Ma non c’è un drone, qualcosa, per ammazzarlo?»). Il fatto è che si stanno accumulando prove, indizi e testimonianze che puntano ai colpevoli nel Partito Democratico. Ma i giudici e i politici Usa sono tutti concentrati a cercare prove sul delitto originale di Trump, quello di essere un agente di Putin.(Maurizio Blondet, “Manchester Satanic, nessuno è innocente”, dal blog di Blondet del 25 maggio 2017).Ora viene fuori che il papà dell’attentatore di Manchester, il signor Ramadan Abidi, era un uomo reclutato dai servizi britannici, coinvolto in un vasto piano dell’esercito libico per assassinare Gheddafi, salvato – dopo che la sua copertura era stata svelata – dai servizi che l’avevano fatto esfiltrare con la famiglia. Il “Lybia Herald” lo indica come «un federalista della Cirenaica, che lottava per l’autonomia della regione, ma non noto per affiliazione religiosa». E’ stato nella Libia orientale che fu innescata la insurrezione tribale che portò alla caduta ed uccisione di Gheddafi, nel marzo 2011. Arrivarono carichi di armi dal Qatar. Truppe speciali britanniche erano sul terreno ad aiutare i rivoltosi: la “Bbc” riportò allora che sei elementi Sas erano stati catturati dalle truppe fedeli a Gheddafi; negli stessi giorni, sei “corpi speciali olandesi” (sic) furono catturati nella Libia occidentale mentre, dissero, aiutavano l’esfiltrazione di loro connazionali. Dunque, membri della Nato stavano assistendo (comandando, guidando) il Gruppo Islamico Libico Combattente, il cui capo sul fronte orientale era Abdelhakim Belhadj, noto esponente di Al-Qaeda.