Archivio del Tag ‘sbarchi’
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Il fantasma di Soros: buonismo migrante, guerre e affari
Una presenza ectoplasmatica si aggira per l’Europa: George Soros, il miliardario ottuagenario la cui longa manus rattrappita sta dietro tutti i movimenti (contro)rivoluzionari del pianeta, le novità pseudoculturali, l’umanitarismo di facciata che nasconde interessi economici inconfessabili. Osannato dal mondo della cooperazione, dalle Ong e dai partiti progressisti europei, l’arzillo nonnino è ormai diventato in Europa un’icona della filantropia, il difensore per eccellenza dei diritti umani e delle minoranze straniere e di genere. Ma sotto una crosta superficiale di santità questo personaggio nasconde ben altro, essendo il principale finanziatore a livello mondiale della sovversione controiniziatica che sta portando il mondo alla deriva. Poco noti al grande pubblico sono infatti gli intrecci loschi tra Soros e gli agenti della sovversione. Ma andiamo per ordine, cominciando col rivelare i legami torbidi tra Soros e il mondo della cooperazione, anche italiana. Stando al quotidiano “Il Sole 24 Ore” Soros avrebbe di recente investito sui titoli di alcune cooperative rosse del Nord Italia diventando, con il 5% del capitale sociale, il terzo azionista di alcuni colossi che fanno capo alla Lega delle Cooperative, quella presieduta dal pacioccone Poletti, ministro del lavoro dell’attuale governo.L’ingresso di Soros svela il passaggio del mondo della cooperazione italiana da un modello economico di tipo solidale a un modello capitalistico tout court, già da anni adottato dalle cooperative, che ancora oggi si ammantano di un idealismo e di una purezza che non hanno mai posseduto. Insomma, le mani del nonnino Soros sulla cooperazione italiana porta alla luce del sole quel che già si sapeva da tempo e che era sottaciuto da molti: la trasformazione di quel mondo in un potere forte in grado di esercitare pressioni lobbistiche sui governi (e la nomina di Poletti alla guida del ministero del lavoro ne è una prova tangibile). Soros finanzia anche la cooperazione bianca, di matrice cattolica. Ben documentata è infatti la partecipazione di Soros alle attività filantropiche della Compagnia delle Opere, che fa capo al colosso cattolico Comunione e Liberazione. In concomitanza con l’aumento dei flussi migratori verso il nostro paese, molte cooperative bianche e rosse hanno di recente riconvertito le loro attività nel sociale, precedentemente concentrate in settori quali i servizi educativi e sanitari, in attività di accoglienza e di gestione dei profughi. E’ quindi nata negli ultimi anni una costellazione di strutture residenziali e di comunità per accogliere e integrare i clandestini portati in Italia dalle Ong che operano nel Mediterraneo per il salvataggio di costoro.Altro aspetto, questa volta più noto, dell’intraprendenza “filantropica” di Soros è il suo legame a doppio filo con le Ong, specialmente con quelle che si occupano della promozione dei diritti umani, in paesi dove vengono a loro dire calpestati. Attraverso la Open Society Foundation, Soros ha creato in pochi anni una vera e propria ragnatela in cui sono state attirate migliaia di Ong, spesso politicizzate e ideologizzate in senso radical progressista, che operano come agenti di disturbo verso i governi legittimamente eletti di paesi non allineati. Il caso della Siria è emblematico: attraverso una machiavellica propaganda mediatica queste Ong hanno creato a tavolino la fola della Siria violatrice di diritti umani e diffuso l’immagine demoniaca di Assad dittatore sanguinario che tortura i suoi cittadini. Altro aspetto veramente inquietante della rete labirintica creata da Soros per destabilizzare il mondo è il generoso finanziamento che egli elargisce alle associazioni Lgbtq. Secondo i documenti desecretati da Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange, è Soros il principale finanziatore del movimento delle Pussy Riots, un gruppo punk di donne russe sciamannate che contesta con atti provocatori Putin e l’attaccamento del popolo russo alle tradizioni patrie, e le laide Femen ucraine, sospettate di simpatie naziste. Come è lo stesso Soros a finanziare, solo per fare un esempio tra i tanti, l’Arcigay e tante altre associazioni gay e gender.Il filo rosso che unisce Soros alle Ong che operano nel Mediterraneo è poi noto a tutti (o quasi). E’ lui che finanzia le navi che solcano il Mediterraneo per soccorrere i clandestini caricati nelle carrette degli scafisti. Anche se più che di soccorso bisognerebbe parlare di complicità vera e propria tra gli operatori Ong e gli scafisti, come alcune recenti indagini della magistratura italiana hanno rivelato. D’altra parte i referenti delle Ong non nascondono, con un certo autocompiacimento, la loro stretta collaborazione con la Open Society Foundation sorosiana, e i bilanci di tali Ong palesano il finanziamento diretto da parte di essa. Il legame tra il magnate ungherese e le Ong dei “profughi” è così stretto che quando il mese scorso il governo libico ha deciso di vietare alle navi Ong di accostarsi alle coste libiche per caricare i clandestini, Soros ha avuto un’esplosione di rabbia, tempestando di telefonate tutti i big della politica internazionale, Onu compresa, per bloccare la decisione del governo libico.E per sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale Soros ha già pronto l’avvio di un nuovo movimento di protesta pro migrates, i No Borders, che si attiveranno con manifestazioni e provocazioni di ogni tipo in tutti i paesi europei. Solita strategia della manipolazione dell’opinione pubblica a suon di slogan e attivismo a pagamento, insomma. Cambiamo gli attori ma la trama e il regista restano uguali. Che dire, per concludere, di questo magnate con il chiodo fisso della democrazia a tutti i costi? Ma che cosa intenderà mai il filantropo Soros con il termine “democrazia”? Potere al popolo, come l’etimologia suggerisce, o potere alle élite illuminate che sovrastano il popolo prendendo decisioni non condivise che peggiorano la qualità della vita? Democrazia come solidarietà e difesa delle fasce più deboli della cittadinanza o democrazia del denaro? Rispetto dell’autodeterminazione dei popoli o imposizione della democrazia attraverso campagne di demonizzazione o campagne militari? Lascio ai più lungimiranti l’ardua risposta.(Federica Francesconi, “Un ectoplasma si aggira per l’Europa: Soros e la sua mania di onnipotenza”, dal blog della Francesconi del 10 settembre 2017).Una presenza ectoplasmatica si aggira per l’Europa: George Soros, il miliardario ottuagenario la cui longa manus rattrappita sta dietro tutti i movimenti (contro)rivoluzionari del pianeta, le novità pseudoculturali, l’umanitarismo di facciata che nasconde interessi economici inconfessabili. Osannato dal mondo della cooperazione, dalle Ong e dai partiti progressisti europei, l’arzillo nonnino è ormai diventato in Europa un’icona della filantropia, il difensore per eccellenza dei diritti umani e delle minoranze straniere e di genere. Ma sotto una crosta superficiale di santità questo personaggio nasconde ben altro, essendo il principale finanziatore a livello mondiale della sovversione controiniziatica che sta portando il mondo alla deriva. Poco noti al grande pubblico sono infatti gli intrecci loschi tra Soros e gli agenti della sovversione. Ma andiamo per ordine, cominciando col rivelare i legami torbidi tra Soros e il mondo della cooperazione, anche italiana. Stando al quotidiano “Il Sole 24 Ore” Soros avrebbe di recente investito sui titoli di alcune cooperative rosse del Nord Italia diventando, con il 5% del capitale sociale, il terzo azionista di alcuni colossi che fanno capo alla Lega delle Cooperative, quella presieduta dal pacioccone Poletti, ministro del lavoro dell’attuale governo.
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Forte: e ora Berlino farà pagare a noi il conto della sua crisi
Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.Va in fumo il sogno di Renzi di rivedere le regole di bilancio europee con una deroga permanente al principio del pareggio per il bilancio statale, che peraltro su iniziativa di Forza Italia è stato adottato anche nella Costituzione italiana. Va in soffitta fra le cianfrusaglie l’idea dei 5 Stelle di fare gli europeisti e, insieme, di dare un reddito di cittadinanza generalizzato a chi non lavora. Cade a picco anche l’erronea interpretazione del dovere di prima accoglienza, che per il vigente diritto comunitario compete allo Stato in cui essi cercano di sbarcare. Questa prima accoglienza, secondo la tesi che ora la Germania sosterrà, modificando la politica immigratoria della Merkel, consisterà nel soccorrerli, rimandandoli nei luoghi di provenienza, intervenendo là. Si accetteranno solo immigrati regolari che domandano un lavoro di cui c’è disponibilità. Chi vuole lo ius soli, si rassegni: Berlino lo bloccherà perché comporta il passaporto europeo.Il governo Gentiloni ha varato una legge di bilancio 2018-20 che implica un “margine di flessibilità”. Contava sull’appoggio dei socialdemocratici tedeschi (che non saranno più al governo) e dei francesi che dovranno faticare a contrattare per sé margini di flessibilità con l’Europa in versione “liberale rigorista tedesca”. È vero che la creazione del ministro delle finanze europeo, secondo il progetto lanciato da Schäuble che vi aspira, comporta la revisione di regole europee, perciò tempi lunghi. Ma Juncker, presidente della Commissione Europea, nel discorso sullo stato dell’Unione lo ha modificato, così da escludere tale revisione. Questa carica sarebbe tecnica: toccherebbe al vicepresidente dell’Unione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze, dotato di maggiori competenze nell’attuazione delle regole vigenti del Fiscal Compact su bilanci e debiti degli Stati membri.Ci vorrà tempo prima che vengano formate la nuova coalizione politica e la nuova compagine governativa a Berlino, sicché la richiesta di rettifica del bilancio italiano 2018 può slittare e ricadere sul governo che verrà dopo le elezioni politiche. Draghi frattanto continuerà il Qe per tutto il 2017, anche a favore dell’Italia, contrariamente alla richiesta avanzata dalla Germania. Ma poi Draghi sarà sostituito. Senza una politica fiscale europea di investimenti, rivolta a compensare gli effetti deflattivi dello smantellamento del Qe e del rientro dai deficit dei paesi membri, rischiamo di trovarci con una riduzione della crescita del Pil. Dovremo aiutarci da soli, pagando con gli interessi il costo degli errori dei governi marcati Pd dal 2012 a ora.(Francesco Forte, “Immigrati ed economia: la nuova Germania sarà nemica dell’Italia”, da “Il Giornale” del 26 settembre 2017).Saremo noi in Italia a pagare per i risultati del voto in Germania che ha terremotato la coalizione fra popolari della Cdu e i socialdemocratici. È la fine della “ricreazione” di cui abbiamo usufruito con le deroghe sulle regole di bilancio e con la politica monetaria della Bce di Draghi. Il governo che la Merkel farà con i liberali (che con il 10% hanno più che raddoppiato i voti) comporta che essi avranno il ministero delle finanze e applicheranno all’Europa la politica fiscale di rigore di bilancio di cui sono fautori. Lo faranno tramite il “falco” Schäuble della Cdu, che diventerà vicepresidente della Commissione Europea, presidente dell’Eurogruppo e commissario alle finanze. Mario Draghi ha sostenuto ieri che c’è ancora bisogno del Qe, ma la politica di facilitazione quantitativa dovrà fare i conti con Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank candidato a succedergli, che ha detto che non si può porre un veto a un tedesco come a un italiano, alla guida della Bce, e che ritiene pericolosa la sua linea. Va in fumo il progetto di Macron, che vorrebbe una politica di bilancio non rigorista per la Francia e una politica di investimento europeo, mediante i fondi dell’Esm, il meccanismo europeo di stabilità sinora utilizzati solo per il soccorso agli Stati in crisi, in cambio del loro commissariamento.
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Se Trump spegnesse, con un tweet, anche il Sacro Tav
Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.La mitologia del Tav occidentale resiste da decenni, inattaccabile come un dogma, anche se la sua surreale teologia è stata ripetutamente capovolta, relativizzata, rettificata, sminuita. Doveva essere una linea superveloce per passeggeri, con l’avvento dei voli low-cost è diventata una linea medio-veloce per merci, infine solo un tunnel (ma di 50 chilometri) per merci ormai estinte, che non esisteranno più, sulla dimenticata rotta transalpina tra Italia e Francia, nel ventre del Massiccio dell’Ambin gravido d’acque sommerse, rocce di amianto e vene di uranio. Anche i cinesi devastano intere province, ma almeno hanno uno scopo: costruire dighe idroelettriche. Lo scopo del Tav Torino-Lione va invece rintracciato nella metafisica, evidentemente, nella mistica del potere europeo, il potere reale ma impalpabile, fatto di moneta elettronica gestita da terminali alieni, da imperatori alieni come Mario Draghi, a sua volta agli ordini di invisibili Elohim biblici. La religione, appunto: è l’unica categoria che può spiegare, davvero, la natura più intima dell’oscuro potere europeo, da cui promana – anche – l’ostinata superstizione che protegge, ad ogni costo, la grande opera più screditata della storia italiana, bocciata senza appello (devastante, costosa, completamente inutile) da tutti gli esperti indipendenti della penisola, i tecnici, gli specialisti universitari d’ogni ordine e grado.Lo ripete, inutilmente, anche l’autorità elvetica delegata dalla Commissione Europea a monitorare i trasporti transalpini: la valle di Susa dispone già di una ferrovia internazionale Italia-Francia, quella del Fréjus, che è semi-deserta da anni per mancanza di utenza; sulla linea attuale, il traffico merci potrebbe tranquillamente essere incrementato del 900%. Inutile, dunque – per non dire folle, coi tempi che corrono – insistere nell’aprire un secondo traforo, che costerebbe decine di miliardi, a carico di contribuenti stremati dalla crisi. Le autorità svizzere però ragionano, ingenuamente, come Galileo e Copernico, ignorando cioè che l’astrofisica di Roma e Parigi, Bruxelles e Francoforte è ancora e sempre quella di Tolomeo. A motivare così tenacemente i grandi decisori non è scienza, è verità di fede: gli egemoni non si chinano sul volgare cannocchiale per scoprire com’è davvero il cielo, a loro basta e avanza la certezza incrollabile del dogma, che sorregge la visione magica su cui si fonda il presente feudalesimo illuminato, affidato a una schiera di eletti, secondo cui, semplicemente, quella ferrovia della malora si deve fare, punto. Dio lo vuole. E se la plebe protesta, tanto meglio: imparerà, a sue spese, che la voce del padrone non ammette repliche. Gli ordini non si discutono. La legge è una sola, quella dell’obbediente sottomissione.Ingenui come gli svizzeri, anche i valsusini hanno obiettato, appellandosi alla ragione, ancora confidando in Galileo. Promossero studi, scovarono prove, sfilarono in cortei. Brandendo Copernico, nel lontano 2005 si accamparono in massa sui prati destinati al primo cantiere. Intervenne il governo, che li disperse con la forza (spedendoli all’ospedale). Poi cambiò il governo, ma non la teologia: anche per Prodi, come per Berlusconi, la Terra era sempre piatta e assolutamente immobile. Seguirono ancora Berlusconi, poi Monti, poi Letta, poi Renzi. Tutti devoti alla religione di Tolomeo. Nel frattempo, la situazione non fece che peggiorare: fu introdotto stabilmente il germe dell’ostilità, per coltivare con profitto il carburante della rabbia, foriero di nefaste conseguenze – per la plebe, non certo per gli arconti, i re-sacerdoti, i custodi del Sacro Tav. Ogni tanto alla plebe viene concesso qualche effimero sollievo (il voto, persino il referendum), ma l’impianto teologale resta là, granitico, immutabile. E’ sempre lui, il Signore della Banca, a stabilire il prezzo dei sudditi, inclusi i servitori intermedi e le loro precarie carriere.Così, la Talpa tolemaica ancora scava la sua buia galleria – tunnel geognostico, lo chiamano. Fin dove arriverà, nel suo slancio metafisico? Un tempo, l’antica cosmogonia del Tav ne attestava l’origine divina: sarebbe stato il segmento alpino di un Sommo Disegno, chiaramente provvidenziale, destinato a unire l’Atlantico al Mar della Cina: non più semplici sudditi, gli abitanti dell’area interessata dai futuri cantieri, ma entusiasti neo-cittadini, viaggianti, di una nuova repubblica onirica, la Tratta Kiev-Lisbona. Forse c’è stato qualche contrattempo (provvidenziale, anche quello) se oggi il mezzo di trasporto più in voga è diventato il barcone, la scialuppa. Ma guai a sottovalutare il Disegno: la Talpa è inarrestabile, può raggiungere qualsiasi latitudine sotterranea, dal Celeste Impero al Cremlino. Può scavare anche il fondale oceanico e raggiungere le lontane Americhe. Purché non sbuchi, per errore, alla Casa Bianca – a quel punto, forse, con un tweet, persino il Sacro Tav potrebbe fare la fine dell’F-35. Ma l’America è lontana, cantava qualcuno. E, da questa parte dell’Atlantico, nessuno – nemmeno a Roma, tra i più accesi outsider del Parlamento – ha ancora osato sfidare, per davvero, la teologia di Tolomeo e il feudalesimo dei nuovi Elohim, che s’illuminano d’immenso davanti al terminale elettronico che decreta vita e morte, il destino di interi bilanci, la fortuna e la rovina di interi popoli, a lungo illusi da un sogno chiamato democrazia.Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.
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Sicilia, futura Wall Street (ma la mafia non lo capisce)
La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.Bene, la Sicilia dove sta? Proprio sulle soglie della più grande ricchezza del futuro, fra l’Africa e l’Occidente, al confine marittimo. Saranno decine di migliaia di aziende mondiali che nei prossimi 200 anni si accavalleranno disperatamente per arrivare nel business Africa. Ok, la Mafia la pianta di vivere di puzzette come prostitute, armi, droga e appalti da Topolino, e si mette la cravatta, manda i suoi alla Bocconi, e infine fa della Sicilia la Wall Street più importante del mondo. Cioè…. Fa banche! Fa servizi finanziari! Fa ponti finanziari fra l’Europa e il megabusiness dell’Africa. Cioè, la piantate di fare le puzze di capra a Roma coi puzzoni di Palazzo Chigi, e fate i veri soldi. Come dire… fate a Palermo o a Messina delle Goldman Sachs che invece di avere come Ceo Lloyd Blankfein e altri, hanno un tal Ciro Roccomanno, o una Rosanna Maniscalco. E pagate le vostre tasse, e date da lavorare a TUTTA LA SCILIA, e la Dia non vi rompe più i coglioni, e fate 30.000 (trentamila) volte i soldi che fate oggi coi vostri traffici di armi, puzze, pizzini, prostitute, barconi di disperati, e appalti dei Puffi. Lo capite o no, stolti mafiosi? E’ quello che fece la malavita inglese negli anni ‘50, passando dalla puzza di cui sopra alla City di Londra. La City, sapete cos’è?B) Investite nella bellezza della Sicilia. Per il turismo di tutto il mondo le Maldive diventerebbero un laghetto di pesca sportiva confronto alla Sicilia, che se abbellita, curata, attrezzata, sarebbe il Paradiso delle vacanze del Pianeta. E voi, coi vostri soldi puliti – senza prostitute, armi vendute a psicopatici in giro per il mondo, senza pizzo alle vedove, senza puzze di questo genere – investirete nella più bella isola del mondo. E il Roe (il “return on equities”) sarà 2.000 volte quello che avete oggi dalla puzza in cui sguazzate, senza avere la Dia, la polizia, e ogni sorta di scocciatura alle calcagna. Senza dare, come dovete fare adesso, alle griffe di moda internazionali 400 milioni di cui vi riciclano 200 e gli altri li buttate al cesso aprendo un megastore a Singapore (in cui non compra nessuno). Cara Mafia, sveglia. E’ tempo che i vostri rampolli mandino in pensione le prostate di capra di 70 anni che ancora vi governano e che facciate… BUSINESS. E Wall Street guarderà a Palermo o a Catania con un metro di lingua fuori dalla bocca.Non avete mai capito nulla, signori capi mandamento. I soldi, quelli tanti e veri e tranquilli, si fanno in finanza, con la faccia alla luce del sole, con tante bella fondazioni e ASSICURAZIONI (tipo Carisbo? o Monte dei Paschi? Unipol?) e con la sicurezza che né lo Stato né il pubblico, vi obiettino nulla. Anzi, con la certezza che, se le cose vi vanno male, lo Stato e la Bce interverranno per salvarvi il deretano. Con la certezza che l’Europa manderebbe a puttane centinaia di milioni di famiglie e aziende – CON UN BEL TRATTATO LEGALE – per salvarvi il deretano. Non so se voi, capi mandamento puzzoni, avete mai sentito parlare di Ltro per le banche o di Tremonti? Voi oggi ci smenate la paghetta, confronto a quello che Draghi farebbe per voi se diventaste banche, puliti, con la cravatta, come Unicredit? Intesa? Ubi? Lo sapete che alle banche Usa e Ue dal 2007 sono stati regalati 14.000 miliardi di dollari? Quanto fate voi, Camorra, Mafia, ‘Ndrangheta e altre puzze messe assieme all’anno? 100 miliardi? Dai, siete agli spiccioli del caffè, ma dai… Cristo, mafiosi, ma siete proprio idioti. Non avete capito un cazzo di soldi. Ma c’è un p.s. (Ps: Mafia, rimani quello che sei, perché come sei fai diecimila volte meno danni della finanza che ho descritto, e del Pd, di De Benedetti, di Saviano, di Benigni, o di Renzi – i paggi del Vero Potere qui da noi. Dammi un pizzo tutti i giorni, piuttosto che un Padoan o un Marco Buti).(Paolo Barnard, “Lettera alla Mafia: per favore, rimani Mafia”, dal blog di Barnard del 6 agosto 2014).La Mafia, se non fosse composta da qualche migliaio di culi di pecora col cervello del retto di una pecora, farebbe le seguenti cose: A) La Mafia capisce (intendo i giovani istruiti mafiosi, non quei cervelli prostate di capra che sono oggi i tradizionali capi) che la Sicilia è posizionata nel canale di intermediazione finanziaria più importante del mondo. Quella fra Africa e Occidente. Ci sono 2 colossali business del futuro, indiscutibilmente, roba di proporzioni tali da far impallidire il petrolio e i Mercati: l’Agroalimentare (destinato all’Occidente) che Cina, Arabia Saudita, Corea et al. stanno sviluppando in Africa con progetti agricoli delle dimensioni del Belgio, ipertecnologici, (ritorni finanziari di un minimo del 7% fino al 24%, di media, roba che non esiste una equity o un titolo in tutto il mondo che ti renda questi soldi); e i mega-progetti energetici come la Inga-3 del Congo, ma moltissimi altri del genere. La Cina e gli Usa ci si stanno buttando a capofitto, ma pensate al giorno in cui l’Europa si accorgerà che il futuro dei mega-soldi è nello sviluppo dell’Africa.
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Crepi Lampedusa, meglio soldi sporchi da migranti ricchi
Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.La conditio sine qua non per ottenere un permesso di soggiorno è possedere un bene immobile sul suolo lettone – d’un valore minimo di 150 mila euro nella capitale, della metà di tale cifra in provincia. Alcuni, meno numerosi, hanno scelto una delle altre opzioni offerte: investire in un’azienda nazionale o piazzare 300 mila euro in una banca lettone. In cambio, un permesso di soggiorno di 5 anni che, in seguito, può diventare definitivo. Immigrati, sì, ma facoltosi. Per il governo questa manna finanziaria deve aiutare a risanare l’economia nazionale, ma anche a sostenere la demografia. In dieci anni, il paese ha perso più del 10% della sua popolazione, in parte a causa di un saldo migratorio negativo. Tra il 2010 e il 2011, data d’inizio d’entrata in funzione del dispositivo, il numero di permessi di soggiorno è raddoppiato. Il primo anno, sono stati consegnati 1.700 certificati di residenza rispondenti ai criteri d’investimento economico. Abbastanza per rilanciare gradualmente l’immigrazione – facoltosa – verso questo paese. Per il poco che la gente ci resta!Agli arrivanti non è imposta nessuna condizione di residenza sul territorio nazionale: in quanto residenti di un paese dell’Unione Europea e dell’area Schengen, sono liberi di spostarsi in Europa. In base a certi criteri, possono anche ottenere un diritto di soggiorno in un altro Stato membro. Basta provare che possiedano le risorse necessarie e un’assicurazione sanitaria, spiega Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni. La Lettonia non è il solo paese in Europa a proporre i nuovi visti. Quanti altri praticano questo scambio nell’Unione? Due? Cinque? Una quindicina! Ungheria, Portogallo, Malta, Paesi Bassi…da nord a sud, dai più toccati dalla crisi ai più risparmiati. La maggior parte hanno iniziato tale pratica tra il 2010 e il 2014, certi vedendoci un mezzo per attirare nuovi capitali, altri per ridinamizzare un mercato immobiliare duramente colpito dalla crisi, come la Spagna.Le condizioni iniziali variano da un paese all’altro: investimenti finanziari nell’industria, aiuto al riscatto del debito pubblico, acquisizione di un bene immobile… Si tratta soltanto di essere ricchi. La differenza sta negli importi imposti e nel monitoraggio dei nuovi residenti. Nei Paesi Bassi, dove il sistema esiste da ottobre 2013, la soglia imposta è tra le più elevate 1,25 milioni di euro piazzati nell’economia locale per ottenere un visto definitivo. Quasi allo stesso livello della Spagna che, da settembre 2013, chiede due milioni di euro di riscatto del debito pubblico. Per i “più modesti”, la penisola iberica concede anche permessi di soggiorno per un investimento immobiliare di 500 mila euro. Dal canto suo, Cipro propone dal 2012 dei permessi di soggiorno per l’acquisto di un bene per 300.000 euro, ma esige che i candidati abbiano la fedina penale immacolata, per prevenire le cattive sorprese.Dall’Irlanda a Malta: come ci si compra il diritto di vivere in Europa? Verificare chi sono i nuovi arrivanti è una condizione che forse il Portogallo avrebbe dovuto applicare quando ha lanciato il suo dispositivo nel 2012. In questo paese colpito dalla crisi, con l’avallo della Troika (Commissione Europea, Bce e Fmi), il governo portoghese di Pedro Passos Coelho (centro-destra) decide di creare a sua volta un “permesso di soggiorno per attività d’investimento”. Permessi soprannominati nel paese “vistos durados”, visti dorati. I candidati possono scegliere tra un acquisto immobiliare di almeno 500.000 euro, il trasferimento di minimo un milione di euro, o la creazione di 10 impieghi. Dalla sua applicazione, secondo le stime ufficiali il Portogallo avrebbe rilasciato 772 permessi di soggiorno, di cui 612 a cinesi. Tra questi Xiadong Wang, sistematosi dal 2013 a Cascais, sontuosa città alle porte di Lisbona. Nel marzo 2014, il cittadino cinese viene arrestato dalle autorità portoghesi. Come rivelato da un giornale locale, “Diario de Noticias”, l’uomo è ricercato in Cina per frode fiscale. Su di lui pende una pena di 10 anni di prigione. Il suo paese d’origine non l’aveva segnalato.L’elemento scatenante è stato l’inserimento del suo nome della banca dati dell’Interpol, lo scorso gennaio. Per le autorità portoghesi, il suo arresto è la prova che il governo e la polizia di frontiera hanno fatto il loro lavoro. Ma sul sito Internet di “Diario de Noticias”, numerosi internauti insorgono. «Questo governo è incompetente. Svendono il paese, ne fanno una discarica a cielo aperto dove i [truffatori] vengono a lavare il denaro sporco», si legge. Poco dopo, un’altra persona non esita a dire: «Questo governo [e il suo dispositivo] sono la vergogna dei portoghesi». La faccenda è stato uno shock, rilanciando la domanda delle ragioni di questo ricchi migranti. Far traghettare i ricchi? Un affare redditizio. Alcune aziende si sono specializzate nell’accompagnamento dei migranti facoltosi. Un esempio è la società Henley & Partners, come descrive “Le Figaro” in un articolo. Con base a Jersey, un paradiso fiscale, tale società rappresenterebbe il leader mondiale nel settore. Sul suo sito Internet, sono elencate le destinazioni. L’Europa è largamente rappresentata: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, e ancora la Svizzera e il Regno Unito. Per ciascun paese, un programma dettagliato di tappe e condizioni da rispettare.Un autentico manuale d’istruzioni, al quale si aggiungono le attrattive proprie ad ogni regione. Natura verdeggiante e calorosa qui, vantaggi fiscali per i residenti là, e le nicchie di cui si può beneficiare. La società non lascia nulla al caso affinché ognuno trovi il suo paradiso. E per agevolare l’arrivo dei nuovi migranti. Perché perdere tempo con le lunghe e complesse procedure di richiesta dei visti quando un permesso di residenza permette di circolare facilmente in tutta l’Unione? In più, la maggior parte di questi paesi tassa poco o per nulla i residenti in possesso di un permesso di soggiorno a lungo periodo. Per gli stranieri dai migliori portafogli, la ditta propone una soluzione ancor più interessante: regalarsi una nazionalità europea. Sul sito ci sono tre destinazioni: l’Austria, Cipro e Malta. Dal 2013, il governo del più piccolo stato dell’Unione Europea, Malta, ha deciso di “vendere” la cittadinanza del suo paese. Ha affidato l’esclusività della gestione delle pratiche alla società Henley & Partners, in cambio di una commissione di 7.500 euro per candidatura.Una cittadinanza europea da vendere ai migliori offerenti: 650.000 euro, è il prezzo fissato lo scorso autunno dal parlamento maltese. Nessuna condizione di residenza sull’isola, basta questo semplice apporto finanziario. Il primo ministro, Joseph Muscat, vede in ciò un modo di attirare nuovi capitali nel paese. Secondo le stime avanzate dal governo, la misura potrebbe interessare dai 200 ai 300 candidati l’anno. Ossia un minimo di 130 milioni di euro di introiti annui per il paese. Ma secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano locale “Malta Today”, la maggior parte della popolazione sarebbe contraria al dispositivo. Un parere condiviso da Bruxelles. La decisione ha provocato un vero terremoto all’interno del Parlamento Europeo, sollevando alcune critiche rispetto alla mercificazione della cittadinanza europea. Nelle istanze dell’Unione, alcuni eurodeputati e membri delle commissioni europee hanno immediatamente manifestato la loro ostilità verso la nuova normativa maltese. Tra questi, Vivianne Reding, commissario incaricato della Giustizia. «La cittadinanza non è in vendita», ha dichiarato a Strasburgo nel mese di gennaio. Subito dopo, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione, stimando che «un tale regime di vendita pura e semplice della cittadinanza europea compromette la fiducia reciproca su cui poggia l’Unione».Da allora Malta ha accettato di tornare sul dispositivo, in parte: è oramai obbligatorio risiedere sull’isola la maggior parte dell’anno e dimostrare un legame reale con Malta. È inoltre necessario un investimento di 1,15 milioni di euro, di cui 500.000 in acquisti immobiliari, a cui si aggiunge un importo di 25.000 euro per il coniuge o per il figlio minorenne, e 50.000 euro per il figlio dai 18 ai 26 anni. Concessioni che il governo maltese ha accettato nonostante nulla lo obbligasse a farlo. Nell’Unione Europea, la nazionalità di un paese membro permette di accedere automaticamente alla nazionalità europea, ma le condizioni di rilascio fanno parte di prerogative proprie ad ogni Stato. Ciascuno dei 28 governi decide quindi della propria legislazione e delle sue condizioni. Mentre l’immigrazione clandestina è al cuore dei dibattiti per le elezioni europee, i candidati ignorano completamente la mercificazione dei permessi di soggiorno.Clarisse Heusquin, candidata per “Europe Écologie-Les Verts” nella regione Centro-Massiccio Centrale (Francia), ammette di scoprire il dispositivo: «Sono rimasta scioccata, mortificata venendone a conoscenza. Si sta costruendo un’Europa a due velocità. Da un lato, si chiudono le frontiere e dall’altro si accolgono i capitali. Questa Europa-fortezza è indegna». Secondo lei la soluzione passa da un’Europa federale e politiche armonizzate in materia d’immigrazione. Dal canto suo, Pierre Henry, direttore generale dell’Ong “France Terre d’Asile” si rammarica che il dibattito sulle questioni migratorie non sia affrontato nel suo insieme. «Tra quelli che si augurano di uscire da Schengen, quelli che vogliono punire gli Stati che non rispettano alcune regole, quelli che pensano che la nomina di un commissario europeo per l’immigrazione risolverebbe il problema e quelli che si accontentano di criticare senza proporre. In realtà, non c’è un vero dibattito sulla questione migratoria».La vendita della nazionalità è tenuta a debita distanza dalla pubblica piazza, ma si popolarizza tra i governi. La Lituania affina il progetto e dovrebbe essere il prossimo paese a porre le sue condizioni. Il prezzo: 260.000 euro versati a un’azienda lituana e la creazione di cinque posti di lavoro. Il governo non attende altro che il via del Parlamento. E in Francia? L’Esagono non propone le stesse condizioni agevolate dei suoi vicini. Tuttavia, in un documento della Commissione Europea, si precisa che in Francia si possono attribuire dei permessi di residenza per “contributi economici eccezionali” ad azionisti (almeno il 30% del capitale) di grandi società. Le condizioni: creare 50 posti di lavoro sul territorio nazionale o investire almeno 10 milioni di euro. Per ora non è prevista l’applicazione di clausole più vantaggiose o più severe per i ricchi investitori. Nulla di sorprendente, secondo Pierre Henry: «Oggi, in Francia, il governo cerca ad ogni costo di evitare il dibattito sull’immigrazione, come per paura del populismo. Ciò non risolve niente e non è in questo modo che si arrestano le polemiche». Quelle e quelli che non dispongono dei visti “business class” ne pagano caro il prezzo: in 14 anni, 23.000 migranti sono morti alle porte dell’Europa.(Morgane Thimel, “Quando la cittadinanza europea diventa mercanzia”, da “Bastamag” del 21 giugno 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d’accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato. La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del Mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi.
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Lerner: proni ai diktat Ue, il Grillo no-euro vi punirà
Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».La stessa contrarietà dichiarata da Grillo all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, aggiunge Lerner, conferma che il leader del M5S «vuole assecondare la sindrome da invasione straniera, impersonata altrove dai partiti populisti e xenofobi antieuropei, per offrirsi così come punto di riferimento all’elettorato di destra in libera uscita». Sfumature “strumentali” a parte, il progetto di Grillo è ambizioso: «Mira infatti a una clamorosa bocciatura per via elettorale di quegli “stupidi” parametri con cui, vent’anni fa a Maastricht, si diede vita a una Unione prima finanziaria e monetaria che politica». Parametri «inaspriti ulteriormente, sotto i colpi della recessione, con i vincoli di bilancio pretesi dalla cancelleria di Berlino», e col rubinetto della liquidità creditizia gestito col contagocce dalla Bce. «Grillo sa di riscuotere vasto consenso quando parla di “tributo di sangue” imposto dall’Europa all’Italia. Nella sua propaganda, “Imu, Iva, Tarsu, Tares, Trise sono il frutto della religione dell’austerità”. Poi, nel 2016, entrerà in vigore il Fiscal Compact, col quale “siamo condannati a trovare ogni anno 50 miliardi per i prossimi vent’anni”. Senza peraltro che ciò garantisca il ripianamento del nostro debito pubblico».Ecco l’argomento anti-Ue grazie a cui Grillo confida di imporsi come maggioranza relativa in Italia: «Le enormi cifre che l’Europa ci impone di versare, da sole “basterebbero a riavviare la nostra economia e a fare del nostro paese uno Stato florido”. Dunque l’Europa sarebbe un impedimento anziché la levatrice della nostra rinascita». Per Lerner si tratta di «demagogia»: giudizio davvero sorprendente, e non spiegato. “Demagogia” comunque «efficacissima», quella di Grillo, specie se messa a confronto con l’uscita di Letta alla Sorbona: «Dirò qualcosa di impopolare, ma se non avessi avuto lo scudo comunitario, non avrei potuto dire no a chi in Italia faceva pressione per aumentare il debito». Se la contrapposizione resta frontale – Grillo che sconfessa i trattati europei e il governo che si trincera dietro lo “scudo comunitario” pur di non rivedere i vincoli di bilancio – l’esito delle elezioni europee è segnato, «col partito dell’austerità destinato alla sconfitta, Renzi o non Renzi», con in più l’incognita dei contraccolpi che causerebbe nell’Ue «la vittoria di un movimento antieuropeo in un grande paese come Italia».Più che antieuropeo, sarebbe meglio dire antieuropeista: cioè contro l’attuale gestione dell’Unione, frutto del disastroso europeismo finanziario dei suoi padri fondatori. Lerner giudica “drammatica”« l’irrilevanza cui sembra condannato il progetto sociale e politico di una sinistra europeista». E più che di irrilevanza, bisognerebbe parlare delle responsabilità primarie che partiti come il Pds-Ds-Pd, l’Spd e i socialisti francesi hanno assunto nell’interpretare la politica antisociale di Bruxelles – ruolo tutt’altro che irrilevante, purtroppo. Le conseguenze sono ben evidenziate dallo stesso Lerner: «Viviamo un passaggio storico cruciale in cui sembrerebbe che l’Europa dei cittadini indebitati, dei giovani disoccupati, del ceto medio impoverito, del Quinto Stato in cui confluiscono milioni di lavoratori parasubordinati, autonomi, precari, possa trovare solo nel populismo nazionalista uno sbocco politico al suo malessere».E’ come se all’analisi di Lerner mancasse un passaggio: il giornalista sembra non “vedere” l’abisso che separa «il cosmopolitismo sessantottino dei Cohn-Bendit, Langer, Fischer», da quella che chiama «la visione sociale di Delors e Prodi», cioè del “nonno” del rigore – massimo padrino europeo dell’euro-sciagura – e del super-tecnocrate professore dell’Ulivo, già presidente della Commissione Europea nonché advisor della famigerata Goldman Sachs. Grandi privatizzatori, demolitori delle fondamenta del welfare. Risultato? Quello attuale: il «vuoto di cultura della cittadinanza e del comune destino europeo», su cui in Italia giganteggia l’anziano Napolitano, «il principale interlocutore dei partner dell’Unione, e come tale appare proteso in un faticoso impegno di salvaguardia degli architravi comunitari vacillanti». La democrazia federale degli Stati Uniti d’Europa è rimasta nel grande sogno di Altiero Spinelli. «Sarebbe prezioso», conclude Lerner, che in campagna elettorale «emergesse una visione europeista disincagliata dai parametri di Maastricht e dal Fiscal compact». Non accadrà. Vincerà quello che Lerner chiama «il catastrofismo no-euro di Grillo, nutrito dai fallimenti di una tecnocrazia che s’illude ancora di trovare riparo dietro allo “scudo comunitario”».Unione Europea intoccabile? Chiunque la critichi da sinistra, chiedendo una revisione dei trattati-capestro per allentare il rigore in nome della giustizia sociale, viene subito bollato come sovversivo. Dunque poi non ci si lamenti, osserva Gad Lerner, se a fare il pieno di voti alle prossime europee sarà Beppe Grillo, che ora attacca Napolitano, «individuato come il garante della stabilità del nostro sistema di fronte all’establishment dell’Unione Europea». Parola d’ordine del terzo Vday: “L’Italia non deve più versare il suo tributo di sangue all’Europa”. Primo atto di una lunga campagna elettorale. Obiettivo: «Trasformare in plebiscito no-euro l’ostilità abbattutasi un po’ dappertutto sull’Ue, e liquidare come velleità riservata ai benestanti gli ideali della sinistra europeista». Molto probabile che, a maggio 2014, il “referendum contro l’Europa dell’euro” incoroni come partito di maggioranza relativa la formazione grillina, che avrà buon gioco «nell’indicare il governo delle larghe intese, e la sua sudditanza ai diktat di Bruxelles, come i responsabili della crescente sofferenza sociale».
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Baricco, Lou Reed e Matteo Renzi, l’ambidestro farlocco
«All’Italia serve una leadership risonante», dice Andrea Guerra, ad di Luxottica. Nella domenica in cui scompare Lou Reed, uno degli ultimi artisti pop capaci di raccontare la dannazione del mondo con occhi non ancora drogati dalla televisione, sui media impazza la gloriosa epifania di Matteo Renzi nella sua Emmaus, la mitica Leopolda. Alla fine, scrive Jacopo Jaoboni sulla “Stampa”, tra le frasi evocative resta quella di una studentessa della Scuola Holden, Andrea Marcolongo: «Siamo cresciuti a pane e sciatteria». L’altra, «la migliore», è del fondatore della Holden, il romanziere Baricco: «Il futuro è un ritorno». Citazione di Friedrich Holderlin, il poeta amato da Martin Heidegger, quello della poesia come forma del pensiero: «Io non faccio che tornare a casa, tornare a casa da vent’anni». Un altro pensatore, Marcello Veneziani, definisce il sindaco fiorentino «l’ambidestro per tutte le stagioni», e sintetizza: «In una notte buia e tempestosa, Berlusconi e Veltroni s’accoppiarono nel sonno e dalla loro unione nacque Matteo Renzi».Nessun rapporto carnale fu in realtà consumato, precisa Veneziani nel suo blog sul “Giornale”: si trattò piuttosto d’impollinazione involontaria e fecondazione a distanza, col telecomando. «Infatti il piccolo Matteo ebbe per culla la tv, che è poi il punto in comune tra i suoi genitori. Dal suo papà, Matteo prese la piacioneria spiritosa, il vincismo e l’egocentrismo, il fiuto del target e l’amore per i sondaggi; prese il dire, non il fare. Dalla sua mamma, Matteo prese il guscio, cioè la casa materna, detta la Sinistra, e ne condivise i cibi, le usanze, i parenti, l’arredo, il gergo». Ma, attenzione: «Non disse mai una cosa progressista che non fosse seguita da una cosa moderata». Da ambidestro, «è contro l’amnistia ed è per il reato di clandestinità. È governativo fuori e antigovernativo dentro, graffia i poteri forti ma poi si fa lisciare, compiace la sinistra attaccando il padre putativo d’Arcore, compiace la destra perché disubbidisce al nonno putativo del Colle».Altra aria, ovviamente, dalle parti di Baricco: ridicolo, dice, accusare Renzi di essere senza cultura – come se la politica media ne avesse. Ma cosa dice lo scrittore di così sorprendente alla Leopolda? Semplice, si risponde Jacoboni: mentre in sala vedi saltare un mucchio di improbabili sul carro del vincitore («i Franceschini, i Latorre, i Passigli, i tanti bersaniani trasmigrati, le vibrazioni negative di un modo d’essere che ha distrutto la sinistra in Italia»), Baricco avverte: il carro, semplicemente, non c’è. Non perché – come pure qualcuno capisce, il vero vincitore del momento è l’asse Letta-Napolitano, non Renzi – ma semmai perché «il giocattolo per Matteo è a portata di mano, ma proprio in questo momento la gente ha le pile scariche. E non è che io incontri solo fighette intellettuali, sto sempre in mezzo ai ragazzi, li ascolto. La gente non ha energia». Ecco il problema: l’energia. Ora la strettoia in cui s’è incuneato Renzi è più larga di un anno fa, ma è l’Italia che s’è ristretta. Tutti finto-renziani: «Gli danno il partito, non l’Italia. E l’Italia sta lì, moscia o esasperata».«Le pile sono scariche», dice l’autore di “Novecento”. E spiega: «Noi volevamo ridare contenuti a questa passione, che è l’essere di sinistra, ma per far questo dicevamo di abbandonare fiabe, leggende e miti che la sinistra si è raccontata per anni». Fiabe e miti come la giustizia sociale, l’eguaglianza, il welfare e i diritti del lavoro, la difesa delle comunità dagli artigli della globalizzazione predatoria? Ma dov’è stato, Baricco, in tutto questo tempo, in cui – mentre il vecchio mondo stava crollando – la sua maggiore preoccupazione sembrava quella di metterci in guardia dalla paura superstiziosa del futuro? Sfortunatamente, il peggiore futuro si sta avverando. Meno male che ci salverà il rivoluzionario Matteo Renzi. «Il suo sogno americano è Obama Fallaci, un mix», scrive Veneziani. «È bipolare in tutti i sensi». Boy scout a doppio taglio, «versione frivola e trendy dei Dc più una zaffata grillina», Renzi è leader in pectore grazie a tre requisiti: l’anagrafe, i sondaggi e le comparsate in tv dove è un magnifico venditore di se stesso. «Un curriculum adatto per promuovere un ipermercato, non per affidargli le sorti dell’Italia. Ma, pur di fermare Berlebù la sinistra è pronta a sposarne l’imitazione farlocca».«All’Italia serve una leadership risonante», dice Andrea Guerra, ad di Luxottica. Nella domenica in cui scompare Lou Reed, uno degli ultimi artisti pop capaci di raccontare la dannazione del mondo con occhi non ancora drogati dalla televisione, sui media impazza la gloriosa epifania di Matteo Renzi nella sua Emmaus, la mitica Leopolda. Alla fine, scrive Jacopo Jaoboni sulla “Stampa”, tra le frasi evocative resta quella di una studentessa della Scuola Holden, Andrea Marcolongo: «Siamo cresciuti a pane e sciatteria». L’altra, «la migliore», è del fondatore della Holden, il romanziere Baricco: «Il futuro è un ritorno». Citazione di Friedrich Holderlin, il poeta amato da Martin Heidegger, quello della poesia come forma del pensiero: «Io non faccio che tornare a casa, tornare a casa da vent’anni». Un altro pensatore, Marcello Veneziani, definisce il sindaco fiorentino «l’ambidestro per tutte le stagioni», e sintetizza: «In una notte buia e tempestosa, Berlusconi e Veltroni s’accoppiarono nel sonno e dalla loro unione nacque Matteo Renzi».
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Orsi: Napolitano è il garante della scomparsa dell’Italia
Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un paese che, in soli vent’anni, è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale a una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico-istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, coi ricavi dalla tassazione diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil superiore al 3% e un debito pubblico sopra il 130%, destinato a peggiorare ulteriormente. Ancora dieci anni, e del nostro paese non resterà più nulla. Lo afferma il professor Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science. Il declino: una classe politica miope, pronta a imporre tasse in nome della stabilità. Ieri Monti, oggi Letta. Un disastro: «Terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente. E il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa».Il governo, scrive Orsi in un’analisi pubblicata da “Affari Italiani”, sa perfettamente che la situazione è insostenibile. Ma per ora è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell’Iva (22%), che deprime ulteriormente i consumi. «Vacui» i proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie: tutti sanno che non accadrà. Politici e stampa mainstream annunciano una ripresa imminente? Perfettamente possibile, un trimestre positivo, per un’economia che ha perso l’8% del suo Pil. Ma chiamare “ripresa” un eventuale +0,3% «è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni: più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione». Numeri impietosi: il 15% del settore manifatturiero, che in Italia (prima della crisi) era il più grande in Europa dopo quello tedesco, è stato distrutto. E circa 32.000 aziende sono scomparse. «Questo dato, da solo, dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il paese subisce».Nell’Europa di Maastricht, quella della camicia di forza rappresentata dalla moneta unica, l’Italia è entrata nel peggior modo possibile, con una cultura politica «enormemente degradata». Negli ultimi decenni, osserva Orsi, l’élite italiana «ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione: l’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori». La leadership del paese, continua il professor Orsi, non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader nei loro settori. Poi la tagliola dell’Eurozona: l’Italia «ha firmato i trattati sull’euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità». Non solo: «Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’Ue sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini». Oggi, l’Italia è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono certa «la scomparsa completa della nazione».Da noi, il livello di tassazione sulle imprese è il più alto dell’Ue, e uno dei più elevati al mondo. Questo, insieme alla catastrofe dello Stato, sta spingendo gli imprenditori all’estero – non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo (Oriente, Asia meridionale), ma anche verso la vicina Svizzera e la stessa Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende trovano uno Stato «pronto a collaborare con loro, anziché a sabotarli». Aggiunge Orsi: «La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli, con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale». Chi è istruito e produce valore pensa solo a emigrare. Così, «l’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri paesi più organizzati, che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia».Inoltre, siamo entrati «in un periodo di anomalia costituzionale», dopo che i partiti nel 2011 hanno «portato il paese ad un quasi-collasso», evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Chi comanda, oggi? «Il paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’Ue e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del presidente della Repubblica, che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del presidente – aggiunge Orsi – è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale».Per il professore della London School of Economics, «l’illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il presidente, la Banca d’Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese». Errore: «Saranno amaramente delusi», perché «l’attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l’intenzione, di salvare il paese dalla rovina». Sarebbe facile, aggiunge Orsi, sostenere che Monti ha aggravato la già pesante recessione. Ma Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. «I tecnocrati – spiega l’economista – condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il paese». Letta, Napolitano e le loro coorti di tecnici «sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia».A sconcertare, è la rapidità del declino: di questo passo, «in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna». Entro un decennio, «intere regioni, come la Sardegna o la Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare». Riflette Orsi: «I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il paese aveva occupato solo nel tardo medioevo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità». Per il professor Orsi, «a meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia».Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un paese che, in soli vent’anni, è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale a una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di completo caos politico-istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato sta crescendo, coi ricavi dalla tassazione diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil superiore al 3% e un debito pubblico sopra il 130%, destinato a peggiorare ulteriormente. Ancora dieci anni, e del nostro paese non resterà più nulla. Lo afferma il professor Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science. Il declino: una classe politica miope, pronta a imporre tasse in nome della stabilità. Ieri Monti, oggi Letta. Un disastro: «Terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente. E il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa».
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Cari africani, vi ingannano: l’Europa non è il paradiso
Cari africani, vi stanno ingannando: l’Europa Felix esiste solo sui giornali, alla radio, in televisione e al cinema. Ecco perché l’emigrazione di massa continua ad aumentare. Fuggono dalla povertà, certo, ma non basta: se così fosse – sostiene Marcello Foa – i racconti di chi da noi non ce l’ha fatta, e vive spesso in condizioni peggiori e più disumane che nel proprio paese, dovrebbero bastare per scoraggiare i propri connazionali a intraprendere l’avventura. E le notizie sconvolgenti di stragi come quelle di Lampedusa dovrebbero rappresentare il più formidabile deterrente. La verità è che in Africa queste notizie sovente non arrivano. «Anzi, i media continuano a diffondere il mito di un’Europa idilliaca, paradiso terrestre dove tutto è facile, dove la gente è bella, agiata, sorridente». Fino a quando questo mito non sarà smontato, la battaglia contro l’immigrazione “clandestina” non sarà mai vinta.Nella maggior parte del continente nero, scrive Foa nel suo blog sul “Giornale”, le scuole esaltano l’Europa come culla della democrazia, dei diritti umani e del progresso. «E i ragazzi, persino i bambini alle elementari, subliminalmente, iniziano a desiderarla». Quando diventano adulti, la simpatia si trasforma in bramosia: «L’Europa è uno spot, dove tutto brilla». La distorsione della realtà è accentuata dai racconti di chi lavora nel Vecchio Continente e, per orgoglio, mente sulle proprie condizioni: «Non potendo ammettere il fallimento di fronte alla famiglia, s’inventa una vita di successi. E basta poco per proiettare un’immagine di benessere: un vestito elegante, qualche regalino, la foto al volante di un’auto di marca. Così il mito cresce e si propaga di villaggio in villaggio».Secondo Foa, quando gli africani decidono di emigrare, «non conoscono neppure le nostre consuetudini sociali» e sono «talmente sprovveduti da non conoscere neppure le condizioni climatiche». Ciò che manca, insiste il giornalista, è una comunicazione adeguata. «Dobbiamo essere noi occidentali a smontare il mito dell’immigrazione, non ai nostri occhi ma a quelli degli africani. Nel loro interesse prima ancora del nostro. Perché l’illusione è fonte di tragedia, fonte di crudeltà. E fino a quando non verrà smascherata, il dramma continuerà a perpetuarsi, con la morte in mare o una vita d’inferno, immorale e inaccettabile, nella “scintillante” Europa».Cari africani, vi stanno ingannando: l’Europa Felix esiste solo sui giornali, alla radio, in televisione e al cinema. Ecco perché l’emigrazione di massa continua ad aumentare. Fuggono dalla povertà, certo, ma non basta: se così fosse – sostiene Marcello Foa – i racconti di chi da noi non ce l’ha fatta, e vive spesso in condizioni peggiori e più disumane che nel proprio paese, dovrebbero bastare per scoraggiare i propri connazionali a intraprendere l’avventura. E le notizie sconvolgenti di stragi come quelle di Lampedusa dovrebbero rappresentare il più formidabile deterrente. La verità è che in Africa queste notizie sovente non arrivano. «Anzi, i media continuano a diffondere il mito di un’Europa idilliaca, paradiso terrestre dove tutto è facile, dove la gente è bella, agiata, sorridente». Fino a quando questo mito non sarà smontato, la battaglia contro l’immigrazione “clandestina” non sarà mai vinta.
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Vauro in val Susa: proiettili, Alfano e le Brigate Rodotà
«Io credo che questa lotta si vincerà, perché saranno sempre meno gli spettatori e sempre di più i partecipanti». Vauro Senesi, il mattatore satirico accanto a Santoro negli studi televisivi di “Servizio Pubblico”, crede nel successo della battaglia civile della valle di Susa contro l’inutile ecomostro Torino-Lione. «Per me avete già vinto, sul piano morale e anche su quello politico – aggiunge Giulietto Chiesa, con Vauro in val Susa il 12 ottobre – dal momento che la Francia ha rinviato il capitolo Tav al 2030», cioè nel futuro remoto. «Fondamentale, però – dice Vauro – evitare si lasciarsi rinchiudere nel recinto militarizzato dello scontro: è esattamente quello che vogliono certi apparati dello Stato, per localizzare una protesta che invece è ormai diventata nazionale, grazie all’abilità dei valsusini». Lo diceva il generale Giap, l’eroe vietnamita che riuscì a battere sia i francesi che gli americani: «In un piccolo campo di battaglia, un piccolo esercito non ha scampo. Per vincere, deve uscire dal recinto e dare battaglia su un campo grande».Convinzioni serissime, quelle di Vauro, dispensate in mezz’ora di comicità intensa, a tratti irresistibile, giusto per scacciare il clima di cupezza che la repressione fa gravare sulla valle “ribelle”. Sulla questione No-Tav, Vauro dichiara di esser stato “illuminato” da un politico. Fassino? «Ma no, Fassino non illumina neanche se gli dai fuoco!». A “illuminare” Vauro è stato «questo astro nascente della politica italiana: Alfano. Che, dicono i tg, è andato in val di Susa a sorpresa – nella giungla, col machete? Nei telegiornali tutti decantavano il suo coraggio». Domanda al pubblico: «Ma voi mangiate i bambini come facciamo noi comunisti? Mangiate gli alfani? Sapete, noi del centro Italia abbiamo di voi del nord una visione barbarica, e quando ho sentito che Alfano era venuto qui – non senza scorta, ma coraggiosamente – mi son chiesto: ma cosa gli fanno, agli alfani lassù? C’è la Sagra degli Alfani? Se li mangiano?». Alfano in val Susa: «Il muso duro dello Stato, cazzo. E io che credevo che lo Stato non ci fosse neanche più, andato a puttane insieme all’ex presidente del Consiglio». E invece: «Alfano dice: noi la Tav la faremo, nonostante le Brigate Rodotà».Già, perché poi a Rodotà hanno dato del quasi-fiancheggiatore del terrorismo, per aver preso le difese della valle di Susa. Vauro: «Difatti son venuto qui speranzoso: ‘sta a vedere che ci sono ancora le Brigate Rosse, in val di Susa. Roba di quando avevo ancora i pantaloni a campana e c’erano i Pooh! Dico: ma io vado a fare un bel revival. E invece qui non vedo nessun brigatista, nessun passamontagna: che delusione». Tornando ad Alfano: «Vi ricordate quando la maestra vi spiegava che lo Stato siamo noi, tutti insieme? Bene, Alfano è venuto e dirvi: lo Stato sono io, tiè. Lo Stato sono io, non voi, perché – nonostante voi – noi faremo la Tav. E allora uno si chiede: chi è questo Stato? E cosa rappresenta, oltre ad Alfano?». Le risposte vanno cercate all’Ilva di Taranto, a Lampedusa, alla Fiat di Pomigliano. Luoghi dove lo Stato «sembra rappresentare un intreccio fortissimo di interessi finanziari, criminali ed economici». E’ la stessa concezione delle famigerate grandi opere, che dovrebbero modernizzare il paese e creare lavoro, in una repubblica dove l’Aquila è ancora com’era il giorno dopo il terremoto, e dove basta un giorno di pioggia per provocare alluvioni e morti. «La grande opera che serve? La manutenzione del territorio: quella sì che crea lavoro, tanto e utile, anche su scala locale».Dunque, se una popolazione come quella valsusina «si ribella a una devastazione scellerata e pericolosa», uno Stato veramente democratico «si interroga sul perché di questa ribellione». E invece: istituzioni sorde e politica «latitante e connivente con l’intreccio di interessi finanziari e mafiosi che caratterizza tutta la crisi: perché non si salvano i piccoli imprenditori e invece si salva il Monte dei Paschi di Siena?». Siamo il paese che piange perché non ha motovedette ma poi si affretta a comprare gli F-35. E’ uno Stato che non vuole ascoltare, ma la voce di chi protesta arriva lo stesso: «Colpisce vedere le bandiere No-Tav che sventolano anche a Niscemi alle manifestazioni contro il Muos, l’installazione che piloterà i droni che andranno a bombardare, massacrando donne e bambini». Le comunità parlano la stessa lingua, che non è quella dei poteri forti. E vengono boicottate: con la disinformazione, e non solo. «Non a caso, dov’è cominciato tutto lo scorreggiamento sulle nuove Brigate Rosse? Buste con proiettili: non so chi le abbia mandate, ma sono vecchio abbastanza per ricordare. Mi son chiesto: strano che non si siano firmati “falange”, data la fantasia dei servizi. C’è qualcuno che da trent’anni, quando fa queste cose, si firma “falange armata”». Quindi, attenzione: «Non fatevi rinchiudere in un ring, non accettate di dare battaglia in un “piccolo cortile”: è quello che gli avversari vogliono, per ridurre la questione al solo piano militare». Vale anche per molti giornali, sempre a caccia di mostri: «Peccato che è morto Bin Laden, sennò era qui: un perfetto No-Tav».«Io credo che questa lotta si vincerà, perché saranno sempre meno gli spettatori e sempre di più i partecipanti». Vauro Senesi, il mattatore satirico accanto a Santoro negli studi televisivi di “Servizio Pubblico”, crede nel successo della battaglia civile della valle di Susa contro l’inutile ecomostro Torino-Lione. «Per me avete già vinto, sul piano morale e anche su quello politico – aggiunge Giulietto Chiesa, con Vauro in val Susa il 12 ottobre – dal momento che la Francia ha rinviato il capitolo Tav al 2030», cioè in un futuro remotissimo e improbabile. «Fondamentale, però – dice Vauro – evitare si lasciarsi rinchiudere nel recinto militarizzato dello scontro: è esattamente quello che vogliono certi apparati dello Stato, per localizzare una protesta che invece è ormai diventata nazionale, grazie all’abilità dei valsusini». Lo diceva il generale Giap, l’eroe vietnamita che riuscì a battere sia i francesi che gli americani: «In un piccolo campo di battaglia, un piccolo esercito non ha scampo. Per vincere, deve uscire dal recinto e dare battaglia su un campo grande».
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Scanzi a Grillo: anziché attaccarmi, fatti intervistare
Un minuto di silenzio per chi, per anni, mi ha dato del “servo di Grillo” (che non sento da maggio 2011) e ora deve prendere atto di come lui e Casaleggio mi abbiano simpaticamente sfanculato nel loro blog, con un post tanto prevedibile (ci avevo scommesso la casa) quanto meraviglioso. E un minuto di silenzio anche per chi, per anni, ha sostenuto che il “Fatto” fosse house organ di Grillo, ora pure quello amenamente crivellato dai due. Non che nutrissi la perversione triste di prendere lezioni da Zucconi o Battista, professionisti della non-critica e fedeli della non-linea, ma Grillo e Casaleggio ci hanno fatto un bel regalo. Da oggi non ho più neanche i difetti inventati e il mio ego potrà finalmente esplodere. Vamos. La speranza è che, un giorno, anche i santoni vicini al Pd facciano le pulci al Pd come noi abbiamo sempre fatto al M5S (e a tutti gli altri): ne guadagnerebbero il paese, il giornalismo italiano e magari pure la sinistra italiana.Capisco comunque la rabbia di Grillo e Casaleggio: sanno che il sottoscritto, Travaglio e il “Fatto” hanno ragione. E sanno anche che la maggioranza di elettori e parlamentari la pensa probabilmente come noi. Il loro rosicamento, per quanto infantile e masochistico, è dunque giustificato. Ne ho quindi rispetto. Mi permetto solo di rammentar loro un vecchio adagio: quando si sbaglia, si sbaglia. Quando si perde, si perde. Capita anche ai migliori. Non tutte le battaglie – e gli sfoghi – possono essere giusti. Quel post sul reato di clandestinità era e resta una cazzata titanica. E quello di stamani sul “Fatto” è persino peggiore. Meglio ammetterlo. Altrimenti viene il dubbio che per loro il giornalismo ideale non sia quello libero, ma quello che gli dà ragione.(Il Cernobbico Casaleggio mi accusa di dire il falso sulla sua candidatura in Forza Italia. Uh oh. Vedo che anche lui, in mancanza di appigli migliori, gioca alla pagliuzza e alla trave. Come un D’Alema qualsiasi. Vero: tecnicamente non si candidò in Forza Italia. Chiedo scusa per la gravissima semplificazione: mi autopunirò guardando in loop un video qualsiasi su “Gaia”. Casaleggio si candidò però in una lista civica, nel 2004, a Settimo Vittone nel Canavese. Quella lista, “Per Settimo”, era capeggiata da Vito Groccia, “politico calabrese vicino a Forza Italia”. Ops. Casaleggio partecipò alla stesura del programma, si impegnò in prima persona e ottenne un risultato rutilante: sei voti e niente elezione. Sarò felice di parlarne con lui. Chissà, magari in una intervista. Quella stessa intervista che, da mesi, Casaleggio rifiuta al “Fatto”. Oppure accetta, ma dettando condizioni capestro che ovviamente mai accetteremo. L’invito è ovviamente esteso anche a Grillo, nella speranza che prima o poi scenda stabilmente dall’eremo di Sant’Ilario, aiuti da vicino i suoi parlamentari soli contro tutti e – già che c’è – cominci a fare quelle conferenze stampa promesse da tempo. Fiducioso e divertito, nonché assai grato, attendo).(Andrea Scanzi, giornalista del “Fatto Quotidiano”, il 13 ottobre 2013 replica così – dalla sua pagina Facebook – alle accuse mossegli da Grillo e Casaleggio; il post è ripreso da “Megachip”).Un minuto di silenzio per chi, per anni, mi ha dato del “servo di Grillo” (che non sento da maggio 2011) e ora deve prendere atto di come lui e Casaleggio mi abbiano simpaticamente sfanculato nel loro blog, con un post tanto prevedibile (ci avevo scommesso la casa) quanto meraviglioso. E un minuto di silenzio anche per chi, per anni, ha sostenuto che il “Fatto” fosse house organ di Grillo, ora pure quello amenamente crivellato dai due. Non che nutrissi la perversione triste di prendere lezioni da Zucconi o Battista, professionisti della non-critica e fedeli della non-linea, ma Grillo e Casaleggio ci hanno fatto un bel regalo. Da oggi non ho più neanche i difetti inventati e il mio ego potrà finalmente esplodere. Vamos. La speranza è che, un giorno, anche i santoni vicini al Pd facciano le pulci al Pd come noi abbiamo sempre fatto al M5S (e a tutti gli altri): ne guadagnerebbero il paese, il giornalismo italiano e magari pure la sinistra italiana.
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Migranti, Grillo-choc: dopo il diktat, accusa il Fatto
Beppe Grillo tenta di rimediare in extremis, spiegandosi – sbagliato concentrarsi sulla disperazione dei migranti trascurando quella dell’Italia che affonda (lavoro, aziende, famiglie) – ma il post “stalinista” firmato con Casaleggio per scomunicare brutalmente i parlamentari 5 Stelle mobilitatisi per abrogare l’infame reato di clandestinità colpisce duro, con migliaia di proteste dalla Rete, di fronte allo spettacolo delle bare allineate a Lampedusa. Così non va, avverte un grande supporter grillino come Dario Fo. E persino Travaglio, che si è permesso di scrivere che Grillo e Casaleggio hanno «perso un’ottima occasione per tacere», finisce nella lista nera dei “falsi amici”. Peter Gomez, direttore della versione web del “Fatto Quotidiano”, affonda il coltello: a parte il fatto che a considerare “nemico” il suo giornale è solo una esigua minoranza di ultras, è semplicemente sconcertante che anche presso Grillo – esattamente come per Pd e Pdl – «resti molto popolare l’idea che l’esistenza di una stampa amica sia un fatto normale».