Archivio del Tag ‘Settecento’
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Moiso: rigore inglese, non basta la Brexit per esser sovrani
In caso di no-deal, la Gran Bretagna potrebbe ritrovarsi di fronte a gravissime scelte di austerity, “dettate” da dinamiche economico-finanziarie globali. Chi ha votato Brexit, sperando di poter riconquistare la porzione di sovranità pro-quota che spetta ad ogni cittadino di una democrazia, potrebbe ritrovarsi a subire le speculazioni, i dogmi e le imposizioni dei mercati internazionali molto più di quanto non facesse prima. Stanno già preparando il terreno per l’attacco allo stato sociale britannico; l’articolo dell’“Evening Standard” uscito il 30 ottobre ne è una prova, e la graduale privatizzazione del sistema sanitario nazionale ne è l’inizio. Tutto questo mi porta a riflettere sulla battaglia che dobbiamo portare avanti in Europa. Questa dis-Unione Europea non va cambiata, va radicalmente, completamente e letteralmente rivoltata sottosopra. Infatti, se questa dis-Unione Europea mette l’economia neoliberista – e i suoi faziosi indicatori economici – sopra la politica, noi dobbiamo creare una federazione di Stati in cui il popolo sia sovrano e in cui la politica determini le scelte monetarie ed economiche, nell’interesse della collettività.Le critiche a quest dis-Unione Europea sono più che fondate: gode dell’unico Parlamento al mondo senza potere legislativo, ha una Commissione di non-eletti verso la quale non ci può nemmeno essere un voto di sfiducia, e antepone interessi di piccoli gruppi di privati agli interessi della collettività. Addirittura, mi sentirei di dire che questa dis-Unione Europea tradisce i principi su cui si fondano le democrazie liberali, a partire dal famoso contratto sociale e dall’idea, già settecentesca, secondo cui non ci può essere “taxation without representation”. Un superministro dell’economia non eletto dal popolo, di chi farà gli interessi? Nelle istituzioni di questa dis-Unione Europea sembra che ogni Stato europeo abbia interessi particolari, da perseguire in ogni modo. Eppure, con gli altri popoli europei abbiamo molto più in comune di quanto non siamo abituati a pensare. In Europa, più che in ogni altro luogo del pianeta, i diritti dell’uomo hanno trovato vero riconoscimento. È tramite lo stato sociale che, nelle democrazie liberali degli Stati europei, nel dopoguerra, si sono conciliate le libertà individuali con le responsabilità dell’individuo nei confronti della società. È in Europa che abbiamo sviluppato il moderno stato sociale, per permettere a così tante generazioni di godere di pari opportunità e diritti.Quando si parla di quanto i popoli europei siano incompatibili, bisognerebbe confrontarli con le culture dei popoli extra-europei. Non possiamo non apprezzare quanto e cosa ci accomuni. Non possiamo non apprezzare come il popolo europeo abbia messo, per generazioni, il benessere dell’uomo al centro di politica ed economia. È la storia recente, oltre a quella di secoli di sviluppo parallelo, che dovrebbe indicare una base culturale e valoriale più che sufficiente per farci decidere di lottare, insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in Europa, contro quei processi storico-economici che stanno dando al capitale finanziario più valore che alla vita delle persone. Per cambiare questi processi storici – per cambiare la storia – non possiamo pensare di operare su scala nazionale. Non più. Tentare di combattere interessi, processi e dinamiche globali con politiche nazionali, come dice spesso Gioele Magaldi, sarebbe come voler combattere con arco e frecce chi usa missili balistici.Viviamo in un mondo interconnesso e non possiamo far finta di niente. Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e sperare che nessuno ci veda. Piuttosto, dobbiamo organizzare una proposta politica tanto forte e organizzata da poter scardinare le regole neoliberiste che mettono i capitali finanziari sopra il benessere della collettività. Dobbiamo ripristinare il ruolo sovraordinato della politica rispetto l’economia e dobbiamo armarci di strumenti politici che ci consentano di influenzare i processi globali di fronte ai quali le istituzioni nazionali sono oggi impotenti. Per questo abbiamo bisogno di una federazione politica e democratica degli Stati europei. Abbiamo bisogno dei valori, della forza, della credibilità e della spinta innovatrice che solo una federazione di Stati europei può avere; non certo singole nazioni. D’altronde, anche il Regno Unito, tanto ricco e avanzato, oggi si trova in difficoltà per non aver affrontato il vero problema: cambiare l’Europa e usarla nell’interesse del popolo.La Gran Bretagna sembra che uscirà sconfitta in ogni caso: se rimarrà nell’Unione, avallerà questo modello di dis-Unione Europea e dimostrerà che la volontà del popolo non conta, davanti al potere dell’econocrazia neoliberista; se troverà un accordo in stile Norvegia, pagherà, per accedere al mercato unico, più del doppio di quello che pagava prima, senza nemmeno poter partecipare ai processi decisionali delle istituzioni in cui, in qualche modo, prima veniva rappresentata; se uscirà con uno strappo sarà vittima di speculazioni, e il popolo si vedrà strappato quello stato sociale che William Beveridge diede anche al resto d’Europa. Purtroppo, poche persone hanno visto che i burattinai preparavano una storia senza lieto fine, a prescindere dalle decisioni prese lungo il percorso. L’unica via per garantire l’interesse e la sovranità del popolo britannico sarebbe stata quella di scegliere di farsi voce del vento di cambiamento nelle istituzioni europee, e lavorare per una federazione politica degli Stati. Così non è stato per la Gran Bretagna, ma può essere per l’Italia. L’Italia può e deve lottare per la sovranità del popolo europeo.(Marco Moiso, “Per la sovranità dei popoli europei”, dal blog del Movimento Roosevelt del 31 ottobre 2018, movimento di cui Moiso è vicepresidente).In caso di no-deal, la Gran Bretagna potrebbe ritrovarsi di fronte a gravissime scelte di austerity, “dettate” da dinamiche economico-finanziarie globali. Chi ha votato Brexit, sperando di poter riconquistare la porzione di sovranità pro-quota che spetta ad ogni cittadino di una democrazia, potrebbe ritrovarsi a subire le speculazioni, i dogmi e le imposizioni dei mercati internazionali molto più di quanto non facesse prima. Stanno già preparando il terreno per l’attacco allo stato sociale britannico; l’articolo dell’“Evening Standard” uscito il 30 ottobre ne è una prova, e la graduale privatizzazione del sistema sanitario nazionale ne è l’inizio. Tutto questo mi porta a riflettere sulla battaglia che dobbiamo portare avanti in Europa. Questa dis-Unione Europea non va cambiata, va radicalmente, completamente e letteralmente rivoltata sottosopra. Infatti, se questa dis-Unione Europea mette l’economia neoliberista – e i suoi faziosi indicatori economici – sopra la politica, noi dobbiamo creare una federazione di Stati in cui il popolo sia sovrano e in cui la politica determini le scelte monetarie ed economiche, nell’interesse della collettività.
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Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.
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Frater Kronos: voi popolo siete bestie, tocca a noi guidarvi
Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.Tutto ciò deve avvenire secondo regole ben precise. Pena il caos e l’anarchia distruttiva a danno di coloro che meritano davvero l’appellativo di donne e uomini, che hanno un’anima e uno spirito, che non riducono il proprio orizzonte esistenziale al solo aspetto materiale. È giusto considerarmi un aristocratico, ma appunto “neo”. Nel senso che, al di là del mio retaggio familiare, considero positiva la distruzione dell’Ancien Régime da parte dei liberi muratori del Sette-Ottocento. E reputo apprezzabile e necessaria anche la distruzione del potere temporale diretto delle Chiese, di quella cattolica in primo luogo. Sarebbe stato assurdo, in un mondo progredito sul piano scientifico e tecnologico come quello occidentale, perpetuare un controllo teocratico invasivo sulla società e la convivenza civile. Lo sbaglio, semmai, è consistito nella pretesa di edificare delle società troppo democratiche, anarcoidi e massificanti, puntando in modo eccessivo sui diritti e poco sui doveri dell’uomo e del cittadino. Sarebbe stato più giusto sostituire le aristocrazie del lignaggio con demoaristocrazie dello spirito, calibrate sul grado di elevatezza iniziatica degli aspiranti governanti. L’errore storico gravissimo dei massoni progressisti è stato quello di pensare che fosse giusto e opportuno estendere la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza a tutti gli esseri umani, anche a quelli indegni sul piano morale, intellettuale e spirituale.(Estratto di un intervento del misterioso “Frater Kronos”, presente con altre tre eminenze grigie della supermassoneria internazionale nell’appendice conclusiva dell’esplosivo volume “Massoni, società a responsabilità illimitata – La scoperta delle Ur-Lodges”, firmato da Gioele Magaldi e pubblicato nel 2014 da Chiarelettere, con prefazione di Laura Maragnani, redattrice di “Panorama”. Nel sito “Isola di Avalon”, Seyan Nagur ipotizza che “Frater Kronos” sia il miliardario super-speculatore George Soros, promotore di Open Society e finanziatore delle “rivoluzioni colorate” che hanno scosso l’Europa, inclusa la crisi ucraina. Grande sostenitore di Barack Obama, Soros è attualmente presidente del Soros Fund Management, dopo aver rivestito un ruolo di vertice nel Council on Foreign Relations, cuore del vero potere statunitense. Il suo appoggio al movimento sindacale polacco Solidarnosc, nonché il supporto all’organizzazione cecoslovacca per la tutela dei diritti umani “Charta 77”, ricorda il sito, contribuirono al crollo dell’Unione Sovietica. Gli si attribuisce un ruolo decisivo anche nella “Rivoluzione delle Rose”, costata poi alla Georgia la perdita dell’Ossezia del Sud, abitata da russi.Fortemente avversato dall’Ungheria, suo paese d’origine, oggi Soros è considerato tra i massimi finanziatori della “tratta dei migranti”, che nel Mediterraneo utilizza l’opaca rete delle Ong. Nel brano del libro di Magaldi (ove compare l’autore stesso, con lo pseudonimo di “Frater Jahoel”) emerge la visione apertamente sinarchica di “Frater Kronos”: secondo la dottrina ottocentesca del marchese Alexandre St-Yves d’Alveydre, medico francese e massone – la “sinarchia d’impero” – le élite sarebbero chiamate addirittura sul piano morale a governare le masse, ritenendo il popolo incapace di autogovernarsi. Da qui la diffidenza verso il sistema democratico promosso già nel Settecento dalla massoneria progressista attraverso l’Illuminismo. Diffidenza emersa in storici saggi come “La crisi della democrazia” che le superlogge reazionarie – guidate dalla “Three Eyes” di Kissinger, Brzezinski e Rockefeller – nel 1975 affidarono, per tramite della Commissione Trilaterale, a intellettuali come Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki.Una pietra miliare, che spiega l’involuzione oligarchica del potere finanziaerio globalista, neoliberista e privatizzatore, con il quale oggi l’umanità è costretta a fare i conti. Per contro, anche attraverso le rivelazioni contenute nel libro di Magaldi – cui seguirà nel 2019 un secondo volume, “Globalizzazione e massoneria” – si fa sempre più diffusa la percezione della vera natura del tornante storico che stiamo vivendo, con i suoi club esclusivi e i suoi inaccessibili protagonisti. Dunque, il “Frater Kronos” che parla in modo così apertamente franco e sconcertante, nel libro di Magaldi, è davvero George Soros, bestia nera di tutti i movimenti sovranisti che, per reazione, stanno sorgendo in Europa? Proprio Soros, scrive “Isola di Avalon”, è il tipico rappresentante di quella sedicente “sinistra” mondiale «che ha come unico scopo la destrutturazione degli Stati sociali e democratici per imporre il suo Totaler Staat Mondiale, quello degli autoreferenziali àristoi. Tra questi “neomalthusiani” ricordiamo Tony Blair, Bill Clinton, François Mitterrand, Jacques Attali, Gerhard Schröder, Christine Lagarde, François Hollande, non dimenticando il Pd italiano»).Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.
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Konare: è la Francia a depredare l’Africa, ditele di smettere
Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cefa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.«Dobbiamo “assediare” pacificamente tutte le ambasciate francesi in Africa, per smuovere l’opinione pubblica internazionale. Ci stiamo preparando: lo faremo». Mohamed Konare è consapevole di quanto sia pericolosa la sua posizione: nel solo dopoguerra, l’Africa ha subito 45 golpe orchestrati da Parigi. La potenza coloniale non ha esitato a far uccidere chiunque abbia osato ribellarsi: le vittime sono decine, dal leader congolese Patrice Lumumba al rivoluzionario sovranista Thomas Sankara, che dal Burkina Faso osò chiedere l’annullamento del debito africano e la fine degli “aiuti” (usurai) della finanza internazionale: miliardi offerti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per vincolare l’economia africana alla schiavitù del debito e imporre la rapina neoliberista delle risorse, affidate alle multinazionali con la complicità dei governanti africani corrotti. Uno schema che è all’origine dell’attuale disastro che investe l’Africa, come spiega l’economista Ilaria Bifarini: il Pil africano sta crescendo ma resta in mano a pochissimi, la popolazione del continente nero sta letteralmente esplodendo ma vive in condizioni economiche molto peggiori, rispetto a trent’anni fa. Nel frattempo è cambiato tutto, nel mondo globalizzato, tranne un aspetto che non è esagerato definire mostruoso: l’arcaico sfruttamento coloniale da parte della Francia, di cui Konare fornisce un quadro semplicemente sconcertante.Il 50% della produzione delle ex colonie francesi finisce subito a Parigi: un furto sistematico, legalizzato dagli accordi della decolonizzazione, le “false indipendenze” concesse da Charles de Gaulle per continuare la razzia dietro il paravento dell’autonomia solo formale dell’Africa Francese. L’altro 50% del Pil viene comunque sottratto alla popolazione, grazie alla complicità dei regimi africani. Un sistema criminale, la cui regia – accusa Konare – è interamente francese: resta di proprietà della Francia il Franco Cefa, su cui Parigi esercita uno smisurato signoraggio. I paesi africani, obbligati a usare la moneta coloniale francese, non possono sviluppare liberamente la loro economia, né vendere a chi vogliono i loro prodotti. Il gas algerino finisce a Parigi insieme al petrolio. Stessa sorte per le merci di paesi importanti come il Senegal e il Camerun, la Costa d’Avorio, il Mali, il Togo, il Niger. Caffè e cacao, diamanti, oro, rame, uranio, coltan: il continente più ricco del pianeta sopravvive in miseria, sfruttato a sangue dai signori di Parigi, che oggi esibiscono l’ipocrita cinismo di Macron (ospite d’onore di Papa Francesco) ma ieri, almeno, erano capaci di franchezza: «Senza l’Africa – ammise François Mitterrand nel 1975 – la Francia non avrà storia nel 21mo secolo». Profezia confermata dal suo successore, Jacques Chirac, nel 2008: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E l’orrore continua: i paesi dell’Africa ex francese devono far approvare a Parigi i loro bilanci.Tutto questo deve finire, annuncia Konare: bisogna porre fine all’esodo dei giovani, e iniziare la lotta di liberazione dell’Africa. Come? Svelando, all’opinione pubblica, lo spaventoso vampirismo della Francia: beninteso, i cittadini francesi non ne sono nemmeno consapevoli. Piuttosto, sono potenziali alleati: lo diventeranno, dice Konare, quando prenderanno coscienza di questo orrore, perpetrato dalle stesse élite che, in Europa, organizzano le crisi e l’austerity per gli europei. Carte truccate: come farebbe, la Francia, a mantenere il bilancio in ordine secondo i vincoli Ue, se non avesse dalla sua – ogni anno – quei 500 miliardi “rubati” all’Africa occidentale? E con che coraggio l’ometto dell’Eliseo (sostenuto dal Vaticano) dà lezioni all’Italia sui migranti, visto è proprio Parigi la maggiore responsabile dell’esodo biblico che stiamo vivendo? L’Africa deve svegliarsi, ora o mai più: l’appello di Konare è intensamente drammatico. Missione: salvare gli africani, restituendo loro la sovranità economica. «L’Africa è ricca: se si smette di depredarla, fiorirà. Verremo ancora in Italia, ma come turisti, a visitare Venezia e Firenze».Patti chiari, dice Konare, e diventeremo amici. Ma di mezzo c’è una rivoluzione, da fare. «Un’alleanza tra popoli, africani ed europei, contro le élite che li sfruttano entrambi». Le armi? Una: l’informazione. «Tutti dovranno sapere. A quel punto, il dominio crollerà. Perché, se l’Africa ridiventerà sovrana, smetterà di esportare migranti». L’Italia? «Bene ha fatto a chiudere i porti: i nostri giovani che partono vengono ingannati dai trafficanti. L’emigrazione va scoraggiata in ogni modo, e l’Italia dovrebbe proprio chiudere le sue frontiere», sottolinea Konare, che si appella al governo gialloverde per ottenere una sponda nella grande battaglia, storica, per la resurrezione del continente nero. Italia cruciale: «Proprio a Roma, a settembre, faremo una grande manifestazione», annuncia Konare, al termine della lunga intervista sul video-blog di Claudio Messora. Una testimonianza, la sua, che vale più di una lezione universitaria: racconta di come l’ignoranza nasconda il peggior abominio, consumato sotto i nostri occhi. Un incubo, e una speranza: riconquistare un futuro. «Non avete idea di quanto siete buoni e di quanto siamo cattivi noi, in Occidente», dice Muhammad Alì ai bambini di Kinshasa, al termine dello storico match di boxe con Foreman, nel 1974. La cinepresa di Leon Gast immortalò un evento politico di portata storica: l’ultima voce africana capace di raggiungere, ed entusiasmare, il pubblico occidentale. Riuscirà nella stessa impresa l’altrettanto coraggioso e commovente Mohamed Konare?Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cfa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.
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Magaldi: massoni e democrazia, resa dei conti rivoluzionaria
«E speriamo che passi, all’Europarlamento, l’infame bavaglio del web promosso dal massone contro-iniziato Günther Oettinger: più forte sarà l’indignazione popolare contro questa oligarchia usurpatrice e più rovinoso e rapido sarà il suo crollo, dopo che tutti avranno finalmente aperto gli occhi». Parola del massone progressista Gioele Magaldi, pubblico smascheratore dell’élite neo-aristocratica cripto-massonica, subdola e occulta, che ha sequestrato la democrazia in Europa. «Se il Parlamento Europeo si macchierà di un simile misfatto avremo l’occasione, forse, per accelerare il processo di abbattimento di coloro che hanno fatto scempio del sogno europeo», dichiara Magaldi a “Colors Radio”, puntando l’indice contro le date, mai casuali, degli eventi-chiave dell’attualità europea. La “norma vergogna” contro la libertà delle Rete è attesa in aula per il 4 luglio, ricorrenza storica del celebre 1776, quando – con la dichiarazione d’indipendenza – le colonie americane si ribellarono al dispotismo della corona britannica. «Se venisse promulgata questa norma tutto sarebbe denudato e chiaro, l’attentato alla libertà di espressione sarebbe evidente e palese: con l’espediente della tutela del copyright, i provider potrebbero censurare preventivamente i contenuti web».Tanto peggio, tanto meglio: «L’eventuale approvazione di una norma così liberticida sarebbe l’inizio di una rivoluzione, contro questa infame gestione dell’Ue in senso antidemocratico». Autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, che illumina i retroscena del potere svelando il ruolo di 36 Ur-Lodges sovranazionali nelle grandi decisioni sul futuro del pianeta, Magaldi ha offerto al pubblico un’inedita rilettura dell’evo contemporaneo: proprio attraverso le idee, gli uomini e le storiche decisioni delle superlogge, è possibile fare piena luce sui troppi lati fino a ieri oscuri di fenomeni altrimenti incomprensibili, dai tentati golpe del dopoguerra fino alle stragi di mafia, inclusa la morte di morte di Falcone e quella di Paolo Borsellino, per la quale ora la magistratura parla di clamorosi depistaggi. «Ne parlerò nel prossimo volume della serie “Massoni”, intitolato “Globalizzazione e massoneria”, in uscita tra meno di un anno», annuncia Magaldi, che spiega: «Sicuramente, certi segmenti contro-iniziatici della massoneria hanno gestito gli eventi criminosi che hanno insanguinato l’Italia e che oggi, in modo scontato, ci viene detto che hanno visto anche apparati dello Stato lavorare contro l’accertamento della verità, per il suo depistaggio e la sua manipolazione. Nel volume verrà spiegato chiaramente chi ha fatto cosa, e perché, con le stragi del ‘92 e gli attentati del ‘93».L’ex dirigente della polizia Arnaldo La Barbera? «Luci e ombre: è piena la storia di personaggi che magari hanno fatto opere luminose e poi sono stati lambiti o costretti a cooperare con quelle che potremmo definire “tenebre”». Ma attenzione, avverte Magaldi: oggi sta letteralmente cambiando il mondo, perché la massoneria progressista internazionale – che dormiva – si sta letteralmente svegliando. Sul banco degli imputati, Magaldi mette in primo luogo i massoni che definisce contro-iniziati, ovvero: soggetti che hanno ricevuto un’iniziazione al sapere esoterico, che hanno poi utilizzato contro gli obiettivi di progresso dell’umanità ai quali si era votata storicamente la massoneria illuministica del ‘700. «Mi auguro che costoro vadano dritti verso la loro autodistruzione», dichiara Magaldi, fiducioso nel fatto che la storia sarebbe a una svolta: «In tanti tornanti del globo, i nodi stanno finalmente venendo al pettine». La narrativa a cui Magaldi ha ormai abituato il suo pubblico ha il pregio della coerenza: uomini come Kissinger, Breziznki e Rockefeller hanno plasmato il secondo ‘900 in senso neo-aristocratico, sdoganando il più feroce neoliberismo per liquidare la democrazia, svuotandola, fino a dare vita a una visione neo-feudale della società, diretta in modo esclusivo – e spesso occulto – da oligarchie privatizzatrici che si pretendono “illuminate”.Lo si è visto, dice Magaldi, anche con il tentativo di Sergio Mattarella di ostacolare il governo Conte con lo strano veto su Paolo Savona all’economia. Un “niet” sostanzialmente imposto da Mario Draghi per il tramite del suo “confratello” Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. La visione magaldiana propone un elenco sterminato di cripto-massoni di segno reazionario, a cominciare da Napolitano e Monti, ispiratori della linea dell’euro-rigore proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni, ora costata l’agonia elettorale del Pd. Tutto si tiene, sottolinea Magaldi: non è un caso che oggi la grande finanza Usa abbia “smontato” il fantasma dello spread per proteggere il governo Conte, né è casuale la tempistica con cui Trump – alla vigilia del G7, con l’Italia gialloverde osservata speciale – abbia fatto calare, sulla Germania della Merkel, la spada di Damocle dei dazi sull’acciaio. Trump, osserva Magaldi, è accreditato come conservatore, ma ha frequentato a lungo i democratici. E’ certamente un “cavallo pazzo”, capace comunque di cantare fuori dal coro: «In modo anche spregiudicato – dice Magaldi, ai microfoni di David Gramiccioli – la massoneria progressista lo ha appoggiato proprio perché rompesse gli schemi: e infatti sta rompendo le uova nel paniere di questa globalizzazione, a tanti livelli», anche appoggiando in modo evidente lo stesso governo Conte, individuato come leva fondamentale per abbattere l’ordoliberismo franco-tedesco che ha ridotto l’Europa a un “malato” in crisi perenne.«Gli aspetti apparentemente caotici di questa globalizzazione – spiega Magaldi – erano parte di un disegno: una globalizzazione post-democratica, lontana dal diffondere diritti sociali ed economici, oltre che civili». Di fronte a questo, «dopo tanti anni di egemonia di circuiti massonici neo-aristocratici, antidemocratici e post-democratici, c’è un contrattacco piuttosto gagliardo da parte di forze massoniche democratico-progressiste». La tesi di Magaldi è nota: di massoneria, in Italia, si parla solo in termini negativi per sanzionare (giustamente) gli abusi di piccole logge locali, mentre il mainstream – ipocrita e reticente – evita sempre di menzionare l’unica massoneria che conta, quella sovranazionale. Anche per questo, probabilmente, giornali e televisioni non riescono a “vedere” l’azione prospettica di Trump: «Naturalmente non è un campione di progressismo, ma è un prezioso elemento di rottura: da lui si potrà partire per la ricostruzione di un mondo più democratico, eliminando tutti i finti progressisti dell’Occidente, a cominciare da quelli di casa nostra, giustamente sconfitti dalla Lega di Salvini e dai 5 Stelle».Smontare l’ipocrisia finto-progressista: in questo, Trump e Salvini “funzionano” nello stesso modo. E non è un caso che siano bersagliati da «pretestuose campagne di odio, basate sulla disinformazione sistematica». Il governo gialloverde? «La massoneria progressista lo appoggia e si aspetta molto dall’esecutivo Conte, peraltro affollato di massoni progressisti», nonostante il divieto di facciata opposto ai “grembiulini” da Di Maio, «che prima delle elezioni aveva bussato ai circuiti massonici neo-aristocratici». Se non altro, vista l’identità di chi lo appoggia – in Italia e altrove – Magaldi si augura che Di Maio, nel caso, si rivolga in futuro a “circoli” di segno opposto, «quando avesse maturato una preparazione esoterica che oggi non ha». Quanto all’altro famoso “bussante”, Matteo Renzi, Magaldi lo definisce «un prodotto massonico, nella misura in cui ha rappresentato una continuità rispetto al “golpe bianco”, massonico, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi nel 2011». La verità è che da Monti a Letta, da Renzi a Gentiloni «non è cambiato nulla, nella gestione della politica e dell’economia italiana». Renzi? Messo alla porta dai massoni reazionari ai quali si era rivolto, «ha fatto “l’utile idiota” al servizio di una sceneggiatura che lui non aveva scritto, ma che ha interpretato, per poi uscirsene con la coda tra le gambe dopo aver fatto il suo compitino».Perché è stato scartato, l’ex leader del Pd, dal sancta sanctorum della destra finanziaria mondiale? «Per la sua impreparazione esoterica, per la sua enorme inaffidabilità e anche per la facile previsione che non sarebbe durato a lungo, un personaggio “transeunte” come lui». Ai dominus della supermassoneria neo-aristocratica, dice Magaldi, «è bastato dare uno sguardo ai suoi astri, che descrivono in fondo la panoramica della sua anima e del suo destino tendenziale (che l’iniziato, conoscendolo, può anche modificare)». Non è certo questione di fede: il fatto è che «in quegli ambienti si dà molta importanza all’astrologia, tant’è vero che gli stessi grandi manager delle maggiori multinazionali vengono scelti anche sulla base dei loro oroscopi, così come alcuni frontman della politica». Renzi? «La sua era solo spocchia, priva di un impegno reale sul piano esoterico». E gli aspiranti successori dell’ex rottamatore? «Rischiano di restare prigionieri dello stesso equivoco, se non avranno il coraggio di una rigenerazione sincera e non gattopardesca», sostiene Magaldi: «Devono prima ammettere, fino in fondo, di essere stati solo dei finti progressisti: per tutta la Seconda Repubblica hanno dimenticato i diritti sociali, abbandonando il popolo che aveva risposto fiducia in loro».«E speriamo che passi, all’Europarlamento, l’infame bavaglio del web promosso dal massone contro-iniziato Günther Oettinger: più forte sarà l’indignazione popolare contro questa oligarchia usurpatrice e più rovinoso e rapido sarà il suo crollo, dopo che tutti avranno finalmente aperto gli occhi». Parola del massone progressista Gioele Magaldi, pubblico smascheratore dell’élite neo-aristocratica cripto-massonica, subdola e occulta, che ha sequestrato la democrazia in Europa. «Se il Parlamento Europeo si macchierà di un simile misfatto avremo l’occasione, forse, per accelerare il processo di abbattimento di coloro che hanno fatto scempio del sogno europeo», dichiara Magaldi a “Colors Radio”, puntando l’indice contro le date, mai casuali, degli eventi-chiave dell’attualità europea. La “norma vergogna” contro la libertà delle Rete è attesa in aula per il 4 luglio, ricorrenza storica del celebre 1776, quando – con la dichiarazione d’indipendenza – le colonie americane si ribellarono al dispotismo della corona britannica. «Se venisse promulgata questa norma tutto sarebbe denudato e chiaro, l’attentato alla libertà di espressione sarebbe evidente e palese: con l’espediente della tutela del copyright, i provider potrebbero censurare preventivamente i contenuti web».
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Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia
«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
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La Cina spende, investe e vola. L’Italia? Finirà fuori dal G8
«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».La “buona” notizia, aggiunge Barnard nel suo blog, è che il flusso migratorio dei ragazzi istruiti, «cioè desiderosi di un futuro fuori dai call center», sta deviando verso Est «a stormi giganteschi». Il presidente cinese Xi Jinping, racconta il giornalista, è in sella al più faraonico progetto economico del III millennio, «avendo buttato, solo come antipasto, 900 miliardi di dollari nella conquista economica globale chiamata La Nuova Via della Seta». Si immagini quindi – nell’era dove le super-tech & Artificial Intelligence (Ai) sono come la scoperta della macchina a vapore nel XVIII secolo – la mole di esperti che la Cina sta cercando per sostenere quel progetto immenso. «Infatti, Pechino ha lanciato il cosiddetto Risveglio Cinese con un primo centro di studio sulle Ai del valore di 2,1 miliardi di dollari». Ma c’è un altro fattore che rende la Cina oggi il posto giusto dove spedire un figlio a studiare, o a cercare un lavoro di prestigio, «ed è che nel solo 2016 qualcosa come 440.000 super-tecnici, docenti universitari, colletti bianchi cinesi cresciuti e arrivati al top in Usa e Canada, sono tornati in Cina a portarvi la crème de la crème del sapere occidentale in diversi campi cruciali. Ed è una fuga di cervelli in continuo aumento».Ma non solo: «La Cina investe con denaro pubblico cifre immani in istruzione superiore ed economia». Di più: «Anche i soldi privati internazionali stanno seguendo il sopraccitato flusso di studenti esteri che mirano a Pechino come terra per il loro futuro». I soldi occidentali vanno là, a cascate: «Cina e sud-est asiatico (cioè Cina al 98%) erano solo pochi anni fa una specie di luogo dove investire 10 dollari per pagare 100 lavoratori a far scarpe da tennis; oggi sono sulla soglia del sorpasso sugli Usa come beneficiari d’investimenti, con un astronomico 71 miliardi di dollari investiti dai “venture capitals” occidentali nel solo 2017. Sommate quel “gruzzolo” a quello che ci mette il Tesoro cinese, e capite perché là i posti di lavoro e le imprese crescono come i batteri nel brodo tiepido». D’altronde, aggiunge Barnard, cosa si aspettavano gli yankees da un paese con 751 milioni di persone che usano Internet, col più affollato social del pianeta che è WeChat, e su cui “Bloomberg” ammette: «Tre delle 5 più ricche startup del mondo sono in Cina, non in California».«Nella Tolemaica, “Travagliata”, fantozziana Italietta dove per davvero la gggènte di ogni sorta e livello crede che “l’Italia è al centro del mondo” solo perché neppure si rende conto che “è l’Italia che resta ferma e tutto il mondo le gira intorno”, io scrivo con un senso d’incurabile disperazione, e scrivo per i vostri figli», dice Barnard, rivolto ai lettori, ai quali racconta di averne appena parlato a Bologna col titolare di un ristorante cinese. «Te lo confesso – gli ha detto il cinese – io venni qui 15 anni fa convinto di fare un figurone con la famiglia in Cina. Oggi mi vergogno a tonare, anche se lo vorrei disperatamente. Perché non posso tornare più povero dei miei amici studenti-contadini che lasciai là».«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».
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Ha inghiottito il mondo, è il mostro chiamato neoliberismo
Il neoliberismo è come la mafia: non esiste, si diceva un tempo, in Sicilia. Poi sono arrivate le bombe: così, la mafia “esiste”, ormai ufficialmente, da decenni. E adesso che anche la bomba neoliberista ha fatto morti e feriti in tutto il mondo, lo ammettono: il neoliberismo esiste, parola del Fmi. Nell’estate 2017, tre ricercatori del Fondo Monetario hanno ribaltato l’idea quella parola non sia altro che un artificio politico: il loro “paper”, scrive Steven Metcalf sul “Guardian”, individua chiaramente un’agenda neoliberista, che ha sravolto il pianeta: ha spinto la deregolamentazione delle economie in tutto il mondo, ha forzato l’apertura dei mercati nazionali al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali, ha richiesto la riduzione del settore pubblico tramite l’austerità o le privatizzazioni. Parlano i dati statistici: la diffusione delle politiche neoliberali a partire dal 1980 ha coinciso con la crisi della crescita, i cicli economici a singhiozzo e il dilagare delle diseguaglianze. Neoliberismo? «E’ un termine vecchio, risalente agli anni Trenta, ma è stato rivitalizzato come un modo per descrivere la nostra politica attuale o, più precisamente, l’ordine delle idee consentite dalla nostra politica», fino al punto da plagiare la nostra mente: siamo meno umani e più soli, individui in feroce competizione tra loro.All’indomani della crisi finanziaria del 2008, scrive Metcalf in un articolo ripreso da “Voci dall’Estero”, il termine neoliberismo è stato un modo per attribuire la responsabilità della débacle: non a un partito politico di per sé, ma ad un establishment che aveva ceduto la sua autorità al mercato. Per i democratici Usa e i laburisti inglesi, questa cessione è stata descritta come un grottesco tradimento dei loro principi: Bill Clinton e Tony Blair, è stato detto, hanno abbandonato gli impegni tradizionali della sinistra, in particolare nei confronti dei lavoratori, a favore di un’élite finanziaria globale e di politiche autoritarie (che li hanno arricchiti). E nel fare questo, hanno permesso un terribile aumento delle diseguaglianze. Ormai l’accusa di neoliberismo è un’arma retorica, «un modo per la gente di sinistra di gettare le colpe su quelli che stanno anche un centimetro alla loro destra». Ma il neoliberismo, osserva Metcalf, è anche un filtro attraverso cui guardare il mondo: «I pensatori politici più ammirati da Thatcher e da Reagan hanno contribuito a modellare l’ideale della società come una sorta di mercato universale (e non, ad esempio, una polis, una sfera civile o una sorta di famiglia) e gli esseri umani come dei calcolatori di profitti e perdite (e non come beneficiari di previdenze o titolari di diritti e doveri inalienabili)».Naturalmente, si trattava di «indebolire lo Stato sociale e l’obiettivo della piena occupazione», nel frattempo abbattendo le tasse e spianando la strada al business senza regole. E’ anche e soprattutto «un modo per riordinare la realtà sociale, e ripensare il nostro status come individui isolati». Basta vedere «in quale maniera pervasiva siamo invitati a pensare a noi stessi come proprietari dei nostri talenti e iniziative, con quanta disinvoltura ci viene detto di competere e adattarci». Lo stesso linguaggio, prima limitato alle semplificazioni didattiche che descrivono i mercati delle materie prime (concorrenza, trasparenza, comportamenti razionali) ora «è stato applicato a tutta la società, fino a invadere la realtà della nostra vita personale», ridotta a marketing permanente. Neoliberismo non significa solo «politiche a favore del mercato o compromessi col capitalismo finanziario fatti dai partiti socialdemocratici falliti». È anche «la denominazione di una premessa che, silenziosamente, è arrivata a regolare tutta la nostra pratica e le nostre credenze», come se la concorrenza fosse «l’unico legittimo principio di organizzazione dell’attività umana».Non appena il neoliberismo – certificato come reale – ha «reso evidente l’ipocrisia universale del mercato», allora «i populisti e i fautori dell’autoritarismo sono arrivati al potere». Negli Usa, Hillary Clinton, cioè «il super-cattivo dei neoliberal», ha perso nei confronti di Trump, «un uomo che sapeva solo quanto basta per fingere di odiare il libero scambio». Contro la globalizzazione, scrive Metcalf, si è riaffermata l’identità nazionale nel modo più duro possibile: da una parte la Brexit e, oltreoceano, «un folle a ruota libera» alla Casa Bianca. «Non è solo che il libero mercato produce una piccola squadra di vincitori e un enorme esercito di perdenti – e i perdenti, in cerca di vendetta, si sono rivolti alla Brexit e a Trump. C’era, sin dall’inizio, una relazione inevitabile tra l’ideale utopistico del libero mercato e il presente distopico in cui ci troviamo; tra il mercato come dispensatore unico di valore e tutore della libertà, e la nostra attuale caduta nella post-verità e nell’illiberalismo», afferma l’analista inglese, secondo cui – per capire bene il fenomeno – è meglio archiviare i Clinton e tornare alla radice del male: «C’era una volta un gruppo di persone che si definivano neoliberali, e lo facevano con molto orgoglio, e ambivano a una rivoluzione totale nel pensiero».Il più importante fra di loro, l’economista austriaco Friedrich von Hayek, «non pensava di conquistare una posizione nello spettro politico, o di giustificare i ricchi, o aggrapparsi ai margini della microeconomia: pensava di risolvere il problema della modernità». Per Hayek, «il mercato non agevolava semplicemente il commercio di beni e servizi: rivelava la verità». Solo che «la sua ambizione si è rovesciata nel suo opposto». Ovvero: «Grazie alla nostra venerazione sconsiderata del libero mercato, la verità potrebbe essere scacciata del tutto dalla vita pubblica», scrive Metcalf. Quando nel 1936 Friedrich Hayek ebbe “l’illuminazione”, pensò di aver incontrato qualcosa di inedito: «Come può la combinazione di frammenti di conoscenze esistenti in menti diverse – ha scritto – portare a risultati che, se dovessero essere perseguiti deliberatamente, richiederebbero una conoscenza da parte del regista che nessuno può possedere?». Non era tecnicismo economistico, né una polemica reazionaria contro il collettivismo: «Era un modo di far nascere un mondo nuovo», sostiene Metcalf. «Con crescente eccitazione, Hayek capì che il mercato potrebbe essere considerato come una sorta di mente».La “mano invisibile” di Adam Smith ci aveva già consegnato la concezione moderna del mercato: una sfera autonoma dell’attività umana e quindi, potenzialmente, un oggetto valido di conoscenza scientifica. Ma Smith era un moralista del XVIII secolo, «pensava che il mercato fosse giustificato solo alla luce della virtù individuale, e temeva che una società governata da nient’altro che dall’interesse personale allo scambio non fosse affatto una società». Il neoliberismo? «E’ Adam Smith senza il suo timore», dice Metcalf. «Che Hayek sia considerato il padre del neoliberalismo – uno stile di pensiero che riduce tutto all’economia – è un po’ assurdo, dato che era un economista mediocre. Era solo un giovane e oscuro tecnocrate viennese quando era stato reclutato alla London School of Economics per competere con la stella nascente di John Maynard Keynes a Cambridge, o addirittura contrastarla». Il piano fallì, e l’Hayek contrapposto a Keynes fu una disfatta. La “Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di Keynes, pubblicata nel 1936, fu accolta come un capolavoro. «Dominava la discussione pubblica, specialmente tra i giovani economisti inglesi in formazione, per i quali Keynes, brillante, affascinante e ben inserito socialmente, rappresentava un modello ideale».Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, continua Metcalf, molti eminenti sostenitori del libero mercato si erano avvicinati al modo di pensare di Keynes, riconoscendo che il governo aveva un ruolo da svolgere nella gestione di un’economia moderna. L’eccitazione iniziale su Hayek si era dissipata. La sua peculiare idea che non fare niente avrebbe potuto curare una depressione economica era stata screditata in teoria e nella pratica. Più tardi, lo stesso Hayek ammise addirittura di aver sperato che il suo lavoro di critica a Keynes venisse semplicemente dimenticato. Nel 1936 era un accademico senza pubblicazioni e senza un futuro scontato. «Adesso viviamo nel mondo di Hayek, come abbiamo vissuto una volta in quello di Keynes». Lawrence Summers, il consigliere di Clinton ed ex rettore dell’università di Harvard, ha affermato che la concezione di Hayek del sistema dei prezzi è «un’impresa penetrante e originale, alla pari della microeconomia del XX secolo», nonché «la cosa più importante da imparare oggi in un corso di economia». Il pensiero di Keynes, un uomo che non ha vissuto né previsto la guerra fredda, era comunque «riuscito a penetrare in tutti gli aspetti del mondo della guerra fredda». Allo stesso modo, osserva Metcalf, «anche ogni aspetto del mondo post-1989 è imbevuto del pensiero di Hayek».L’economista austriaco aveva una visione globale: un modo di strutturare tutta la realtà sul modello della concorrenza. Comincia col dire che le attività umane sono una forma di calcolo economico e possono così assimilate ai concetti fondamentali di ricchezza, valore, scambio, costo – e soprattutto: prezzo. «I prezzi sono un mezzo per allocare le risorse scarse in modo efficiente, secondo necessità e utilità, in base alla domanda e all’offerta». Perché il sistema dei prezzi funzioni in modo efficiente, i mercati devono essere liberi e concorrenziali. «Da quando Smith aveva immaginato l’economia come una sfera autonoma – prosegue Metcalf – esisteva la possibilità che il mercato non fosse solo un pezzo della società, ma la società nel suo complesso». Uomini e donne che «hanno bisogno solo di seguire il proprio interesse personale e competere per le risorse scarse». Attraverso la concorrenza diventa possibile, per citare il sociologo Will Davies, «discernere chi e che cosa ha valore». E così, rileva Metcalf , nel pensiero di Kayek non ha più alcun posto «tutto ciò che una persona che conosce la storia vede come necessari baluardi contro la tirannia e lo sfruttamento: una classe media prospera e una sfera civile, istituzioni libere, suffragio universale, libertà di coscienza, dimensione collettiva, religione e stampa».In Hajek viene mancare «il riconoscimento di fondo che l’individuo è portatore di dignità». L’austriaco, infatti, «ha incorporato nel neoliberalismo l’ipotesi che il mercato fornisca tutta la protezione necessaria contro l’unico reale pericolo politico: il totalitarismo. Per evitare questo, lo Stato deve solo mantenere libero il mercato. Quest’ultimo è ciò che rende il neoliberalismo “neo”. È una modifica fondamentale della credenza precedente in un mercato libero e uno Stato minimo, noto come “liberalismo classico”». Nel liberalismo classico, infatti, i commercianti semplicemente chiedevano allo Stato di “lasciar fare” a loro. Il neoliberismo, invece, «riconosce che lo Stato deve essere attivo nell’organizzazione di un’economia di mercato». E quindi, «le condizioni che consentono il libero mercato devono essere conquistate politicamente». Per questo, «lo Stato deve essere riprogettato per sostenere il libero mercato in modo costante e continuativo». E non è tutto: «Ogni aspetto della politica democratica, dalle scelte degli elettori alle decisioni dei politici, deve essere sottoposto ad un’analisi puramente economica. Il legislatore è obbligato a lasciare abbastanza le cose come stanno per non distorcere le azioni naturali del mercato e così, idealmente, lo Stato fornisce un quadro giuridico fisso, neutrale e universale in cui le forze di mercato operano spontaneamente».La direzione consapevole del governo non è mai preferibile ai “meccanismi automatici di aggiustamento“, cioè il sistema dei prezzi, che non è solo efficiente, ma massimizza la libertà, o l’opportunità per gli uomini e le donne di fare scelte libere sulla propria vita. «Mentre Keynes volava tra Londra e Washington, creando l’ordine del dopoguerra, Hayek se ne stava imbronciato a Cambridge». Era stato mandato lì durante le evacuazioni di guerra, e si lamentava di essere circondato da «stranieri» e «orientali di tutti i tipi», nonché da «europei di praticamente tutte le nazionalità, ma solo pochissimi dotati di una reale intelligenza». Bloccato in Inghilterra, senza alcuna influenza o credibilità, Hayek aveva solo la sua idea a consolarlo: «Un’idea così grande che un giorno avrebbe fatto mancare il terreno sotto i piedi a Keynes e a qualsiasi altro intellettuale». Lasciato libero di funzionare, il sistema dei prezzi funziona come una sorta di mente: «E non come una mente qualsiasi, ma una mente onnisciente: il mercato calcola ciò che gli individui non possono afferrare».Rivolgendosi a lui come a un compagno d’armi intellettuale, il giornalista americano Walter Lippmann scrisse a Hayek dicendo: «Nessuna mente umana ha mai colto l’intero schema di una società. Nella migliore delle ipotesi, una mente può cogliere la propria versione dello schema, qualcosa di molto più limitato, che sta alla realtà come una sagoma sta a un uomo reale». Affermazione forte: il mercato è un sistema per conoscere le cose che supera radicalmente la capacità di ogni mente individuale. «Un tale mercato non è tanto una convenzione umana, da manipolare come qualsiasi altra cosa, quanto una forza da studiare e da placare», scrive Metcalf. «L’economia cessa di essere una tecnica – come credeva Keynes – per raggiungere fini sociali desiderabili, come la crescita o la stabilità del valore della moneta. L’unico fine sociale è il mantenimento del mercato stesso. Nella sua onniscienza, il mercato costituisce l’unica forma legittima di conoscenza, davanti alla quale tutti gli altri modi di riflessione sono parziali, in entrambi i sensi della parola: comprendono solo un frammento di un intero e rispondono a un interesse particolare. A livello individuale, i nostri valori sono solo personali, o semplici opinioni; a livello collettivo, il mercato li converte in prezzi, o fatti oggettivi».Via dall’ateneo, Hayek non ebbe mai un incarico permanente che non fosse pagato da grandi sponsor aziendali. «Anche i suoi colleghi conservatori dell’università di Chicago – l’epicentro globale del dissenso libertario negli anni ’50 – consideravano Hayek come un portavoce reazionario, un “uomo di squadra della destra” con uno “sponsor di squadra della destra”, come si suol dire». Ancora nel 1972, quando un amico andò a trovare Hayek a Salisburgo, «trovò un uomo anziano prostrato nell’autocommiserazione, convinto che il lavoro della sua vita era stato inutile: nessuno si interessava a quello che aveva scritto!». C’era, però, qualche segno di speranza: Hayek era il filosofo politico preferito di Barry Goldwater e a quanto si dice anche di Ronald Reagan. Poi c’era Margaret Thatcher, che «esaltava Hayek di fronte a tutti e prometteva di mettere insieme la sua filosofia del libero mercato con una ripresa dei valori vittoriani: famiglia, comunità, lavoro duro». Hayek si incontrò privatamente con la “lady di ferro” nel 1975, proprio nel momento in cui lei, appena nominata leader dell’opposizione, si stava preparando a mettere in pratica la sua Grande Idea per consegnarla alla storia.L’incontro durò mezz’ora. Al termine, lo staff della Thatcher chiese ad Hayek cosa ne pensasse. «Per la prima volta in 40 anni, il potere restituiva a Friedrich von Hayek la tanto preziosa immagine che egli aveva di se stesso, l’immagine di un uomo che poteva sconfiggere Keynes e ricostruire il mondo». Rispose: «Lei è veramente bella». La Grande Idea di Hayek non è granché, come idea, fino a che non la ingigantisci. Continua Metcalf. «Processi organici, spontanei ed eleganti che, come un milione di dita sul tavolo di una seduta spiritica, si coordinano per creare risultati che altrimenti sarebbero accidentali. Applicata ad un mercato reale – il mercato della pancetta di maiale o i futures del granturco – questa rappresentazione dei fatti è poco più che un’ovvietà. Può essere ampliata per descrivere come i vari mercati, delle materie prime e del lavoro e anche lo stesso mercato della moneta, compongano quella parte della società conosciuta come “l’economia“. Questo è meno banale, ma ancora irrilevante; un keynesiano accetta tranquillamente questa rappresentazione. Ma cosa succede se le facciamo fare un passo avanti? Cosa succede se concepiamo tutta la società come una sorta di mercato?».Più l’idea di Hayek si espande, più diventa reazionaria, più si nasconde dietro la sua pretesa di neutralità scientifica – e più permette alla scienza economica di collegarsi alla tendenza intellettuale più importante dell’Occidente sin dal 17° secolo, continua Metcalf. «L’ascesa della scienza moderna ha generato un problema: se il mondo universalmente obbedisce alle leggi naturali, cosa significa essere esseri umani? L’essere umano è semplicemente un oggetto nel mondo, come qualsiasi altra cosa?». Tutta la cultura politica del dopoguerra gioca a favore di Keynes e di un forte ruolo dello Stato nella gestione dell’economia. Ma tutta la cultura accademica postbellica si trova a favore della Grande Idea di Hayek. «Prima della guerra, anche l’economista più conservatore pensava al mercato come lo strumento per un obiettivo limitato, l’efficiente allocazione delle risorse scarse. Fin dai tempi di Adam Smith a metà del 1700, e fino ai membri fondatori della scuola di Chicago negli anni del dopoguerra, vi era la credenza comune che gli obiettivi finali della società e della vita, si trovavano nella sfera non-economica». Lo scrive nel 1922 il saggio “Etica e interpretazione economica” di Frank Knight, che giunse a Chicago due decenni prima di Hayek: «La critica economica razionale dei valori dà risultati ripugnanti per il buon senso: l’uomo economico è egoista e spietato, degno di condanna morale».Gli economisti, prosegue Metcalf, avevano dibattutto aspramente per 200 anni su come considerare i valori sui quali si organizza una società mercantile, al di là di un semplice calcolo e interesse personale. Knight, insieme ai suoi colleghi Henry Simon e Jacob Viner, si trovava davanti a Franklin Delano Roosevelt e agli interventi sul mercato del New Deal. Quegli economisti «fondarono l’università di Chicago facendone quel tempio intellettualmente rigoroso dell’economia del libero mercato che rimane ancora oggi». Tuttavia, Simons, Viner e Knight iniziarono tutti la loro carriera prima che l’inarrivabile prestigio dei fisici atomici riuscisse a far fluire enormi somme di denaro nel sistema universitario e lanciasse la moda postbellica per la scienza “dura”. «Non adoravano le equazioni o i modelli, e si preoccupavano di questioni non scientifiche. Più esplicitamente, si preoccupavano di questioni di valore, dove il valore era assolutamente distinto dal prezzo». Non che fossero meno dogmatici di Hayek o più disposti a “perdonare” lo Stato per e le tasse e la spesa pubblica. «Semplicemente, riconoscevano come principio fondamentale che la società non era la stessa cosa del mercato, e che il prezzo non era la stessa cosa del valore».Questo, continua Metcalf, ha fatto sì che Simons, Viner e Knight venissero completamente dimenticati dalla storia. «È stato Hayek che ci ha mostrato come arrivare dalla condizione senza speranza della relatività umana alla maestosa oggettività della scienza. La Grande Idea di Hayek funge da anello mancante tra la nostra natura umana soggettiva e la natura stessa. Così facendo, pone qualsiasi valore che non possa essere espresso come un prezzo – il verdetto del mercato – su un piano incerto, come nient’altro che un’opinione, una preferenza, folklore o superstizione». Ma più di chiunque altro, «anche più di Hayek stesso», è stato il grande economista del dopoguerra di Chicago, Milton Friedman, che «ha contribuito a convertire i governi e i politici al potere alla Grande Idea di Hayek». Prima, però, ha dovuto rompere con i due secoli precedenti e dichiarare che l’economia è «in linea di principio indipendente da qualsiasi posizione etica particolare o da giudizi normativi», e che è «una scienza oggettiva, nello stesso senso di qualsiasi scienza fisica». I valori del vecchio ordine mentale normativo erano viziati, erano «differenze su cui gli uomini alla fine possono solo combattere». Detto con altre parole, da una parte c’è il mercato, e dall’altra il relativismo. «I mercati possono essere facsimili umani di sistemi naturali, e come l’universo stesso, possono essere senza autori e senza valore».Ma l’applicazione della Grande Idea di Hayek ad ogni aspetto della nostra vita, sottolinea Metcalf, nega ciò che di noi è più caratteristico: «Nel senso che assegna ciò che è più umano degli esseri umani – la nostra mente e la nostra volontà – agli algoritmi e ai mercati, lasciandoci meccanici, come zombi, rappresentazioni rattrappite di modelli economici». Espandere l’idea di Hayek sino a promuovere radicalmente il sistema dei prezzi a una sorta di “onniscienza sociale” significa «ridimensionare radicalmente l’importanza della nostra capacità individuale di ragionare, la nostra capacità di trovare le giustificazioni delle nostre azioni e credenze e valutarle». Di conseguenza, la sfera pubblica, cioè lo spazio in cui offriamo ragioni e contestiamo le ragioni degli altri, «cessa di essere lo spazio della deliberazione e diventa un mercato di click, “like” e “retweet”». Internet? «E’ la preferenza personale enfatizzata dall’algoritmo: uno spazio pseudo-pubblico che riecheggia la voce dentro la nostra testa. Piuttosto che uno spazio di dibattito in cui facciamo il nostro cammino, come società, verso il consenso, ora c’è un apparato di affermazione reciproca chiamato banalmente “mercato delle idee”».«Quello che appare pubblico e chiaro è solo un’estensione delle nostre preesistenti opinioni, pregiudizi e credenze, mentre l’autorità delle istituzioni e degli esperti è stata spiazzata dalla logica aggregativa dei grandi dati», sostiene Metcalf. «Quando accediamo al mondo attraverso un motore di ricerca, i suoi risultati vengono classificati, per come la mette il fondatore di Google, “ricorrentemente” – da un’infinità di singoli utenti che funzionano come un mercato, in modo continuo e in tempo reale». A parte l’utilità straordinaria della tecnologia digitale, «una tradizione più antica e umanistica, che ha dominato per secoli, aveva sempre distinto fra i nostri gusti e preferenze – i desideri che trovano espressione sul mercato – e la nostra capacità di riflessione su quelle preferenze, che ci consente di stabilire ed esprimere valori». Un sapore è definito come una preferenza su cui non si discute, dice il il filosofo ed economista Albert Hirschman: un gusto che si può contestare diventa un valore. Uomini e donne, dice Hirschman, hanno anche la capacità di rivedere i loro desideri, volontà e preferenze, per chiedersi se valga la pena di volere quelle cose. E’ decisivo: «Modelliamo noi stessi e le nostre identità sulla base di questa capacità di riflessione».Ragiona Metcalf: «L’uso del potere di riflessione del singolo individuo è la ragione; l’uso collettivo di questi poteri di riflessione è la ragione pubblica; l’uso della ragione pubblica per approvare le leggi e la linea politica è la democrazia. Quando forniamo ragioni per le nostre azioni e credenze, ci realizziamo: individualmente e collettivamente, decidiamo chi e che cosa siamo». Secondo la logica della Grande Idea di Hayek, invece, queste espressioni della soggettività umana senza la ratifica del mercato sono senza significato – come ha detto Friedman, «non sono altro che relativismo, ogni cosa risultando buona come qualsiasi altra». Quando l’unica verità oggettiva è determinata dal mercato, tutti gli altri valori hanno lo status di mere opinioni; tutto il resto è aria fritta relativistica. Ma il “relativismo” di Friedman «è un insulto assurdo, visto che tutte le attività umane sono “relative”, a differenza delle scienze». Sono relative alla condizione (privata) di avere una mente, e alla necessità (pubblica) di ragionare e comprendere, anche quando non possiamo aspettarci delle prove scientifiche. E quando i nostri dibattiti non sono più risolte con ragionamenti, allora l’esito sarà determinato dall’arbitrio del potere. «È qui che il trionfo del neoliberismo si traduce nell’incubo politico che viviamo oggi».Il grande progetto di Hayek, concepito negli anni ’30 e ’40 per impedire di ricadere nel caos politico e nel fascismo, «ha sempre coinciso con questo abominio stesso che voleva impedire che accadesse», rivela Metcalf. Era un’idea «fin dall’inizio intrisa della cosa stessa da cui sosteneva di proteggereci», anche perché «la società riconcepita come un gigante mercato porta ad una vita pubblica ridotta a uno scontro tra mere opinioni, finché il pubblico frustrato non si rivolge, infine, ad un uomo forte come ultima risorsa per risolvere i suoi problemi, altrimenti ingestibili». Nel 1989, un giornalista americano bussò alla porta di un ormai novantenne Hayek. «Non era più l’uomo di una volta, sprofondato nella sconfitta per mano di Keynes». La Thatcher gli aveva appena scritto, con un tono di trionfo epocale, che niente di ciò che lei e Reagan avevano compiuto «sarebbe stato possibile senza i valori e le idee che ci hanno portato sulla strada giusta e fornito la giusta direzione». Hayek ora era soddisfatto di se stesso e ottimista sul futuro del capitalismo. Vedeva «un maggiore apprezzamento per il mercato tra le giovani generazioni». Diceva: «Oggi i giovani disoccupati di Algeri e Rangoon non protestano per uno Stato sociale pianificato a livello centrale, ma per le opportunità: la libertà di acquistare e vendere – jeans, automobili, qualunque cosa – a qualsiasi prezzo che il mercato possa sostenere».Sono passati trent’anni, e si può giustamente dire che la vittoria di Hayek non ha rivali, conclude Metcalf: viviamo in un “paradiso” costruito dalla sua Grande Idea. E’ vero, purtroppo: ogni giorno «ci sforziamo di diventare più perfetti come acquirenti e venditori, isolati, discreti, anonimi, e ogni giorno consideriamo il desiderio residuo di essere qualcosa di più di un consumatore come un’espressione di nostalgia, o di elitismo». Tutto era iniziato come una visione intellettuale «onestamente apolitica», ma quel pensiero si è trasformato «in una politica ultra-reazionaria». Aggiunge Metcalf, amaramente: «Quando abbiamo abbandonato, per il suo imbarazzante residuo di soggettività, la ragione come una forma di verità e abbiamo reso la scienza l’unico arbitro del reale e del vero, abbiamo creato un vuoto che la pseudo-scienza è stata ben felice di riempire». L’autorità del professore, del riformatore, del legislatore o del giurista «non deriva dal mercato, ma da valori umanistici come la passione civile, la coscienza o il desiderio di giustizia». Ma queste figure erano state private di rilevanza molto tempo prima che Trump cominciasse a squalificarle. E’ una storia ormai lunga quasi un secolo: e non c’è ancora in circolazione un vaccino efficace contro il virus mortale, il veleno psico-economico del neoliberismo.Il neoliberismo è come la mafia: non esiste, si diceva un tempo, in Sicilia. Poi sono arrivate le bombe: così, la mafia “esiste”, ormai ufficialmente, da decenni. E adesso che anche la bomba neoliberista ha fatto morti e feriti in tutto il mondo, lo ammettono: il neoliberismo esiste, parola del Fmi. Nell’estate 2017, tre ricercatori del Fondo Monetario hanno ribaltato l’idea quella parola non sia altro che un artificio politico: il loro “paper”, scrive Steven Metcalf sul “Guardian”, individua chiaramente un’agenda neoliberista, che ha sravolto il pianeta: ha spinto la deregolamentazione delle economie in tutto il mondo, ha forzato l’apertura dei mercati nazionali al libero commercio e alla libera circolazione dei capitali, ha richiesto la riduzione del settore pubblico tramite l’austerità o le privatizzazioni. Parlano i dati statistici: la diffusione delle politiche neoliberali a partire dal 1980 ha coinciso con la crisi della crescita, i cicli economici a singhiozzo e il dilagare delle diseguaglianze. Neoliberismo? «E’ un termine vecchio, risalente agli anni Trenta, ma è stato rivitalizzato come un modo per descrivere la nostra politica attuale o, più precisamente, l’ordine delle idee consentite dalla nostra politica», fino al punto da plagiare la nostra mente: siamo meno umani e più soli, individui in feroce competizione tra loro.
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Crisi e terrore, ma il Nuovo Ordine Mondiale lo farà la Cina
Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.«Il destino profetizzato dai consulenti del Club di Roma è stato previsto anche da altri ricercatori, che hanno puntato in particolare sulla forza economica e finanziaria della Cina che negli ultimi anni si sta accaparrando le risorse naturali, dall’energia ai minerali, dalle foreste alle derrate agricole, insidiando così le zone d’influenza che appartenevano all’Occidente», afferma Enrica Perucchietti in un’intervista su “Letture.org” in occasione dell’uscita dell’edizione aggiornata dal saggio “Governo globale, la storia segreta del nuovo ordine mondiale” (Arianna), scritto insime a Gianluca Marletta. «Credo che nonostante gli sforzi dell’imperialismo mondialista di portare avanti i propri progetti, nel giro di qualche anno lo scettro passerà di mano e probabilmente il centro del potere si sposterà in Cina», ribadisce la Perucchietti, pur ammettendo che le variabili imprevedibili sono comunque molte, «così come sono da prendere in considerazione delle anomalie che si sono registrate come l’elezione Trump e la Brexit, che sono state evidentemente sottostimate». Tuttavia, come segnala lo stesso Paolo Barnard, colpisce l’arma segreta di Pechino: il suo “capitalismo di Stato” con moneta sovrana mette il governo al riparo dallo strapotere della finanza mondialista non allineata agli oligarchi del partito unico.La riflessione sul futuro “cinese” del mondo conclude un’analisi che la giornalista affronta partendo dallo studio del Nwo, inizialmente liquidato come fiaba cospirazionista. «Oggi la sensazione che sia in atto un progetto di mondialismo (seguente alla globalizzazione delle merci) è comunemente accettato: pensiamo per esempio a Henry Kissinger che ha dato un’opera dal titolo altisonante come “World Order”». Sempre più politici, ministri, capi di Stato e pontefici, aggiunge Perucchietti, negli ultimi decenni hanno parlato pubblicamente dell’esigenza di costituire un “nuovo ordine mondiale”. Lei e Marletta, nel libro, ricostruiscono la storia (documentata) di questo progetto, e le tappe che arrivano fino a noi. «Al di là delle confusioni generate dalla cultura web, lungi dall’essere il delirio di una manciata di paranoici, il nuovo ordine mondiale è al contrario un argomento serissimo, che merita di essere indagato». L’elezione di Trump? «Ha illuso alcuni di poter condurre a una battuta d’arresto del progetto mondialista, ma nei mesi abbiamo assistito a una “normalizzazione” del neo-presidente e l’anacronistico ritorno alla guerra fredda, che ha portato anche alla comparsa di un nuovo nemico sullo scacchiere geopolitico, la Corea del Nord».Se Pyongyang è solo l’ultimo apparente “nemico pubblico” da gettare in pasto alla società per distrarla dalla crisi e «compattarla rispetto a una emergenza esterna», visto che ormai «la Russia non poteva più rispecchiare quel ruolo, dato che la figura di Putin desta sempre maggior consenso o comunque meno diffidenza», posto che un conflitto contro la Corea del Nord «sarebbe non solo inutile, ma svantaggioso e pericoloso», dato che «non apporterebbe nemmeno benefici da un punto di vista geopolitico», vale la pena inquadrare anche questo capitolo («solo teatrale», anche secondo Gioele Magaldi) come parte dello stesso copione mondialista che sta tenendo in scacco il pianeta da ormai moltissimo tempo. Per comprendere che cosa sia il nuovo ordine mondiale, secondo Enrica Perucchietti, è necessario ricostruire le tappe storiche che hanno portato, attraverso i secoli, allo sviluppo dell’ideologia globalista, riscoprendone le radici e i presupposti filosofici, spirituali e teologici. «L’ideologia del Nwo, infatti, attinge la sua linfa vitale da un preciso contesto storico, identificabile con il mondo protestante dei secoli XVII e XVIII. È a partire dall’Inghilterra protestante che l’idea di una Nuova Era di “trasformazione del mondo”, di un progetto prima utopistico e poi politico di “rinnovamento” dell’umanità trova adesione, sostegno e suoi primi “profeti”».Un progetto, rileva la giornalista, che è nato inizialmente come contraltare all’universalismo della nemica Chiesa cattolica e dell’Impero Asburgico e fusosi, successivamente, con analoghe correnti fiorite nello stesso periodo in Nord Europa. L’ideologia mondialista ha recepito e rielaborato nei secoli anche altri tipi di influssi: sull’originario substrato protestante-anglosassone, infatti, si innestano successivamente almeno altre due correnti politico-spirituali: l’ideologia universalistica di matrice massonica (su cui si innestano alcune derive occultistiche) e un certo neo-messianismo di matrice sionista. «Queste correnti così diverse tra loro troveranno una convergenza fondata sull’elitismo di chi (gli Usa in primis) si sente in diritto e in dovere di promuovere anche con la forza il proprio imperialismo e assoggettare il resto del mondo ai propri interessi». L’autrice respinge la tesi del Grande Complotto Universale: è storicamente indimostrabile e serve solo a screditare chi indaga seriamente sul mondialismo. Però, «se è impossibile affermare l’esistenza di una “continuità programmatica” nello sviluppo del Nwo, è legittimo tuttavia parlare di un’evidente continuità ideale che lega, attraverso i decenni e persino i secoli, una serie di “forze” e “poteri” in una complicità di interessi e di azioni».Non esiste un Grande Complotto unico, monolitico? «Esiste però una dottrina di base e una “confluenza di interessi” che spingono verso la costituzione del mondialismo, così come esistono i suoi profeti e “architetti” che ne hanno scritto e parlato anche pubblicamente». Ovvero: «Dalla rete inestricabile dei poteri occulti, delle logge e delle sette, dei potentati economici e dei gruppi di pressione impegnati da tempo a promuovere il progetto del nuovo ordine mondiale, emergono con una frequenza non casuale, nomi, realtà e concreti gruppi di potere che nel nostro “Governo Globale” definivamo il “volto visibile del Nwo” di cui trattiamo ampiamente nella prima parte del saggio». Il progetto mondialista? «Nasce in ambito anglosassone ed è quindi naturale che esso abbia avuto, nella potenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, il perno della sua potenza (a cui si è aggiunto, a partire dal secondo dopoguerra, il fattore geopolitico costituito dallo Stato di Israele). Quando parliamo del potere di queste nazioni, tuttavia, ci riferiamo a certe strutture di potere che rimangono invariate nel tempo». Nel suo saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi le chiama Ur-Lodges, superlogge: sarebbero la chiave segreta del back-office del potere mondiale, ormai esteso anche alla Cina nel disegno condiviso della globalizzazione autoritaria.Fatte salve le differenze che contraddistinguono le diverse correnti, osserva Perucchietti, esistono alcune costanti fondamentali alla base del progetto mondialista, e alcuni interessi specifici: per esempio, l’aspirazione a costituire una res-pubblica universale e sovranazionale controllata più o meno direttamente da un’autoselezionata élite. «Quindi la creazione di un governo elitario, di pochi». Inoltre, si registra «la diffusione o imposizione di un pensiero omologato, tendente a dissolvere le identità e le particolarità culturali, politiche e religiose in una sorta di pensiero unico globale». Il progetto di costituzione di un mondo nuovo, infatti, richiede anche «un uomo nuovo, che sia omologato e omologabile, facilmente controllabile», magari anche attraverso l’ideologia gender, di cui la Perucchietti ha parlato in libri come “La fabbrica della manipolazione” e “Unisex”. A cascata, pesano «la conseguente lotta contro le “identità forti” difficilmente omologabili alla cultura mondialista e l’abbattimento dei valori tradizionali». Non solo: ci sono anche «censura e psicoreato, ossia il controllo della comunicazione, dei mass media ma anche delle menti e dell’espressione dei cittadini, di cui la recente battaglia contro le “fake news” è un lampante esempio».E’ all’opera una strategia d’azione che privilegia «l’utilizzo strumentale della politica (una sorta di vera e propria criptopolitica basata su ricatti e complotti per lo più sotterranei)», di cui – come vetta dell’iceberg – abbiamo vaghe notizie, attraverso sigle come la Trilaterale o il Bilderberg, cenacoli «i cui membri si riuniscono a porte chiuse per discutere del destino dell’umanità». Alcuni aspetti ideologici restano imprescindibili, «come il neomalthusianesimo che considera l’eccesso delle nascite nelle classi povere come un problema per la qualità di vita». E infatti «gli architetti del Nwo sono ossessionati dal contenimento/riduzione della popolazione». Nell’immaginario collettivo, il Nwo «ha finito per identificarsi con il potere dei colossi bancari e delle multinazionali che ne sono, per certi versi, l’espressione più visibile». E non è tutto: c’è anche «una visione prometeica e luciferina che convoglia nel Transumanesimo e nelle sue applicazioni cibernetiche, virtuali e tecnologiche: l’idea di fondo è che l’uomo può farsi Dio e abbattere la natura, arrivando a derive post-umane finora impensabili». Nel frattempo, le masse occidentali (e mediorientali, manipolate anch’esse) possono “godersi” l’orrore del terrorismo, una macchina infernale che genera paura, «e la paura è un potente strumento di controllo».Riflette Enrica Perucchietti: «Manipolando le persone in fase di shock, sull’ondata emotiva degli eventi, è possibile introdurre misure liberticide fino a quel momento impensabili, lasciando credere ai cittadini che i provvedimenti scelti siano per il loro bene e la loro sicurezza». Terrorismo ed estremismo «vengono sfruttati abilmente, evocati quotidianamente, politicizzati per poterne sfruttare l’ondata d’urto emotiva». Citando Orwell, la sensazione è che la “guerra al terrore” sia stata concepita come perenne per «poter mantenere intatta la struttura della società» e introdurre uno Stato di polizia. «La guerra non deve cioè aver fine, ma deve servire per poter legittimare misure estreme». Per questo, aggiunge l’analista, «non si può distruggere Al-Qaeda senza pensare che spunti un altro pericolo, Isis o altra organizzazione terroristica che sia». E il terrore «doveva finire per divampare anche in Europa», perché «si stava affievolendo la tolleranza del popolo ad accettare sacrifici per “esportare” la democrazia in paesi lontani». Sicché, «l’unico modo per poterlo spingere a continuare a oliare la macchina da guerra era far assaggiare all’Occidente quel genere di “paura” che noi italiani conosciamo bene: gli anni di piombo».Gli artefici del mondialismo, conclude Perucchietti, «hanno sfruttato con cura occasioni tragiche e non si sono fatti problemi a inscenare od ordire attentati, o comunque a strumentalizzarli per creare i presupposti per poi poter raccogliere e sfruttare delle opportunità calcolate con cura». In questo contesto «rientrano anche le cosiddette “false flag”», ovvero le operazioni “sotto falsa bandiera” come quelle che hanno funestato la Francia con sinistra, cronometrica precisione. Lo rileva Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, secondo cui – nella Francia che ha imposto il silenzio alle indagini su Charlie Hebdo (segreto militare, dopo la scoperta del possibile ruolo dell’intelligence nell’armamento del commando), l’opaco neo-terrorismo ha colpito Nizza il 14 luglio, giorno “sacro” per i massoni progressisti anti-oligarchici, e Parigi il 13 novembre (Bataclan), nell’anniversario di una giornata infausta per i Templari perseguitati nel ‘300, a cui evidentemente i mandanti dell’Isis, mondialisti e atlantici, vorrebbero richiamarsi, firmando il loro sanguinoso delirio. Dove finiremo, di questo passo? A Pechino, risponde Enrica Perucchietti: sarà probabilmente a Cina a mandare in fumo i giochi “illuminati” dell’élite nera, insediando sul trono del pianeta – diversamente mondializzato, ma sempre senza democrazia – da una futura élite “gialla”.Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.
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Rivolta legale: 12 vaccini imposti da un ministro in vendita
Rivolta legale contro il decreto-mostro che prescrive l’obbligatorietà dei 12 vaccini: lo Stato non ha il diritto di imporre una tale restrizione della libertà, senza dare adeguate spiegazioni. «Spero che il decreto-legge venga boicottato: consiglio i genitori di costituirsi in una o più associazioni, con eserciti di avvocati, per sottrarsi all’eventuale decreto, ove venisse convertito in legge». Obiezione di coscienza, contro i nuovi 12 vaccini obbligatori: a lanciare l’appello è l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, autore di clamorose denunce come quelle contenute nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. «Io non sono un anti-vaccinista», premette: «L’obbligatorietà del vaccino non è uno scandalo». Ma, aggiunge Carpeoro, «l’imposizione deve avere una motivazione: legata al tipo di malattia infettiva, al tipo di ambiente, al tipo di frequentazioni dei soggetti. Se ci sono queste premesse, lo Stato ha il diritto di chiedere l’obbligatorietà. Se non ci sono, lo Stato questo diritto non ce l’ha». Né si stupisce, Carpeoro, dell’improvvisa accelerazione sui vaccini, evidentemente suggerita dai businessman di Big Pharma a Beatrice Lorenzin: «Si sono comprati un ministro in vendita».Secondo Carpeoro, in collegamento web-video con Fabio Frabetti di “Border Nights”, l’attuale titolare del dicastero della salute è un ministro “in vendita”: «Mancava solo che la mettessero nelle vetrine, col prezzo: saldi di fine stagione». E spiega: la Lorenzin nasce con Forza Italia, fedelissima di Berlusconi. «Era la “cocca”, l’allieva di un senatore di Forza Italia piuttosto prestigioso. Poi si schiera con Marcello Pera, ma quando Pera si dissocia da Berlusconi, lei resta con Berlusconi perché preferisce la cuccia calda». Presente nel governo delle “larghe intese” guidato da Enrico Letta, «si sarebbe dovuta dimettere perché l’allora “Popolo delle libertà” si stava spaccando, dissociandosi dal gran governone». Ma la Lorenzin, di fronte alla possibilità di dimettersi da sottosegretario «rimanendo coerente politicamente» ha preferito restare, aderendo al gruppo di Alfano. «E adesso, siccome Alfano fa un po’ i capricci, ha scaricato pure lui. E’ proprio un ministro in vendita, politicamente». E’ in vendita tutto il governo Gentiloni? «No, perché il questo caso l’obbligo dei 12 vaccini sarebbe già passato. E invece, come vediamo, sta incontrando delle difficoltà. Quindi per ora il governo non se lo sono comprato».Carpeoro non si stupisce neppure dell’assordante silenzio della politica: nessun partito, nemmeno i 5 Stelle, sta facendo le barricate. «I vertici dei 5 Stelle sono giustizialisti ma comunque collusi con precisi gruppi di potere», accusa Carpeoro. Per contro, la base dei grillini «è invece è fatta di gente pulita, convinta: al contrario di quella degli altri partiti, che è fatta di gente che chiede il posto per il figlio», al di là di esigue «minoranze in buona fede, vecchi compagni che andavano alle feste dell’Unità». E se i vertici di tutti i partiti non protestano per un’aberrazione come il super-decreto sui vaccini, «magari forse qualcuno si accorgerà, adesso, della mancanza di un uomo come Pannella, capace di cavalcare battaglie scomode». Carpeoro lo ricorda come «un illuminista, un uomo del Settecento», che in più aveva «un rispetto assoluto per la scienza», e quindi «non sarebbe mai stato un anti-vaccinista». Ma, al tempo stesso, «non si farebbe mai fatto imporre per decreto il “dodecavaccino”, mai e poi mai: aveva troppa considerazione della libertà individuale e dei diritti del cittadino». Il guaio dell’Italia? «Si è spaccata tra chi non vuol fare nessun vaccino e chi accetta di farne 50. E nessuno che pretenda di andare a rivedere l’intera filiera: come vengono prodotti i vaccini, che controlli ci sono, come lo Stato può pretenderne l’obbligatorietà».Questo è il punto, per Carpeoro: «Non sono state verificate le premesse, non abbiamo ancora capito in base a quale principio la commissione della sanità abbia scelto questi 12 vaccini: non si capisce niente». E attenzione: «Quando lo Stato limita la libertà individuale ha un obbligo di maggior chiarezza nei confronti dei cittadini. Se mi impone di fare una puntura a mio figlio, mi deve dire tutto. Io non sono contrario alla puntura per principio, ma mi deve spiegare tutto, e mi deve dire anche chi la controlla, la puntura, chi ha controllato quella produzione, altrimenti non ci siamo». Ovvio che i cittadini siano diffidenti: «Viviamo in uno Stato dove hanno messo “monnezza” nel fare le strade, così i ponti stanno crollando». Di qui l’appello ai cittadini, per una battaglia legale: «Servono associazioni che non abbiano una posizione anti-vaccinista, ma che abbiano una posizione rigorosa di verifica e controllo dei presupposti democratici e civili necessari per fare delle imposizioni. Se il fronte non è anti-vaccinista ma li mette spalle al muro sulle reali responsabilità e sui reali obblighi nei confronti dei cittadini, la partita si apre: esistono le corti europee dei diritti dell’uomo, gli organismi internazionali».Per Carpeoro, vanno riviste integralmente le regole: il procedimento amministrativo e la verifica tecnico-sanitaria attraverso cui si stabilisce l’obbligatorietà dei vaccini. «Se lo Stato accerta con correttezza che ci sono presupposti di interesse di igiene pubblica per fare attività di prevenzione su alcuni tipi di malattie, io sono d’accordo sull’obbligatorietà. Ma questo non può essere fatto come è stato fatto finora, non può andare avanti così. E soprattutto, nel momento in cui si limita la libertà del cittadino, la trasparenza e la nitidezza delle procedure dev’essere totale, insieme all’assoluta correttezza della gestione», sottolinea Carpeoro. «Questo è il prezzo del limitare la libertà dei cittadini: se al cittadino limiti la libertà, il motivo glielo devi spiegare in tutti i modi, in tutte le lingue – non glielo devi imporre senza spiegazioni. Altrimenti, tu il diritto di limitare la libertà dei cittadini non ce l’hai: con la scarsa trasparenza, lo perdi». In parallelo, Carpeoro condanna «la coglionaggine di un certo tipo di complottismo, per la quale cominci a gridare contro 6 vaccini e poi te ne ritrovi 12. Perché, se non chiedi cose giuste e precise, chi è in malafede ti risponde raddoppiando l’errore».Che fare? «Chiedere controlli, chiedere che le associazioni dei genitori possano controllare i controllori». E senza cadere nel “negazionismo cieco”, che pretende di liquidare come spazzatura della storia anche vaccini come quelli che hanno debellato malattie come il vaiolo e la poliomielite. «Non si può essere negazionisti: è grazie a loro, se adesso ci troviamo il “dodecavaccino”. Se continuano così ce ne faranno 24, e sempre senza controlli sufficienti, così come purtroppo avviene oggi». Ma per agire con successo, conclude Carpeoro, occorre serietà: «Bisogna che il contrappeso democratico sia serio, perché le cose da buffoni non funzionano. Occorre intelligenza, perché la prima prova dell’esistenza di uno Stato (e di un popolo) sta in questo: quanto lo Stato rispetta i diritti? E quanto il popolo, quando lo Stato non li rispetta, se li fa rispettare legittimamente? Gli Stati funzionano solo se funzionano anche i cittadini. Se i cittadini non funzionano, non funzionano nemmeno gli Stati».Rivolta legale contro il decreto-mostro che prescrive l’obbligatorietà dei 12 vaccini: lo Stato non ha il diritto di imporre una tale restrizione della libertà, senza dare adeguate spiegazioni. «Spero che il decreto-legge venga boicottato: consiglio i genitori di costituirsi in una o più associazioni, con eserciti di avvocati, per sottrarsi all’eventuale decreto, ove venisse convertito in legge». Obiezione di coscienza, contro i nuovi 12 vaccini obbligatori: a lanciare l’appello è l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, autore di clamorose denunce come quelle contenute nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. «Io non sono un anti-vaccinista», premette: «L’obbligatorietà del vaccino non è uno scandalo». Ma, aggiunge Carpeoro, «l’imposizione deve avere una motivazione: legata al tipo di malattia infettiva, al tipo di ambiente, al tipo di frequentazioni dei soggetti. Se ci sono queste premesse, lo Stato ha il diritto di chiedere l’obbligatorietà. Se non ci sono, lo Stato questo diritto non ce l’ha». Né si stupisce, Carpeoro, dell’improvvisa accelerazione sui vaccini, evidentemente suggerita dai businessman di Big Pharma a Beatrice Lorenzin: «Si sono comprati un ministro in vendita».
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Badiou: giovani, rifiutate il potere e scegliete la vita vera
«Corrompere i giovani, spingendoli a rinunciare a piaceri e denaro per mettersi alla ricerca della “vera vita”, significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta il filosofo Alain Badiou, intervistato da Anais Ginori per “Repubblica”. L’intellettuale parigino, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante – commenta – il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito». Ora pubblica “La vera vita”: perché ha deciso di rivolgersi ai giovani? «Sono partito dall’osservazione dei miei figli, dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto». Come professore, si è rivolto ai giovani per tutta la vita: «In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di trasformare il pensiero all’origine». Poi c’è la storia personale: lo «straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e Settanta, seguito dalla delusione e persino da forme di disperazione. Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i genitori». Come se ne esce? Con una “alleanza” tra nonni e nipoti.«Provate ad andare in qualche riunione politica: l’opposizione è giovani e vecchi contro gli adulti», dice Badiou, nell’intervista ripresa da “Micromega”. «La mia generazione può tramandare l’idea del possibile. La grande oppressione contemporanea non è dire che il mondo di oggi sia il migliore – tutti ammettono che non è ideale – ma nel voler convincere tutti noi dell’assenza di alternative. La vera vita significa rifiutare quest’imposizione esterna». Oggi, continua Badiou, «i giovani sono i nuovi vecchi». E spiega: «Prima erano gli anziani i custodi dell’ordine costituito, che preservavano l’equilibrio sociale. Oggi sono i giovani perché è attraverso di loro, ma soprattutto dell’immagine della giovinezza, che si perpetua il sistema della concorrenza, del successo, della performance che rifiuta qualsiasi perdente. Voler rimanere giovani è qualcosa che abbiamo sempre visto nell’umanità». Chi era giovane negli anni Sessanta ha avuto più fortuna: «L’universo della tradizione era ancora sufficientemente forte per permettere alla rivolta di avere un senso all’interno della modernità». Oggi, invece, «la propaganda del capitalismo vuole imporre un’unica idea di modernità o postmodernità, e forse un giorno post-postmodernità: alla fine parliamo sempre della stessa cosa, visto che è scomparso l’ideale rivoluzionario ».Cosa significa oggi ribellarsi? Spesso la rivolta «si riduce a essere un sintomo della malattia», sostiene il filosofo. «In Occidente, le rivolte sono per lo più nostalgiche, tendono a voler conservare l’epoca d’oro del welfare, in nome di un passato ormai superato. Penso ad esempio ai ragazzi del movimento “Occupy Wall Street” che, pur con lodevoli intenzioni, rappresentano un ridotto manipolo della classe media minacciata, una protesta piccolo-borghese destinata a svanire nel nulla, in mancanza di un legame con i veri diseredati del pianeta». L’altro tipo di ribellione che osserviamo tra i giovani, continua Badiou, è quella nichilista, «che nasce nella modernità occidentale ma la vuole combattere: il terrorismo islamico, ad esempio». Attenzione: «Nessuna di queste è una vera rivolta. Il Ventunesimo secolo dovrebbe essere un nuovo Settecento, un secolo di nuovi Lumi, e noi filosofi dovremmo esercitare la nostra funzione destabilizzante». Una “buona vita”, secondo le convenzioni, è «un’esistenza orientata verso la comodità, il tornaconto personale, l’accumulazione individuale». La “vera vita”, invece, è «una ricerca di condivisione» che «porta in sé un’energia creatrice, da cui far scaturire un nuovo sistema di valori universali».“Vera vita”, per Badiou, è quel che Senofonte descrive nell’Anabasi, «ovvero la risalita, l’erranza, lo sradicamento: in definitiva significa vivere, e non sopravvivere». Una rassegnazione indotta dalla crisi del capitalismo? «Siamo nel mezzo di quel “disagio della civiltà” di cui già parlava Freud. La simbologia è stata distrutta dal capitale, come Marx aveva annunciato». Per questo, Badiou crede «in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera», verso «una nuova simbolizzazione egualitaria». E averte: «Se accetteremo la logica di dominio del capitalismo, andremo verso cataclismi. Tutti i drammi dell’umanità vengono dall’incontro tra meccanismi di potenza e disuguaglianza. Persino la ricchezza dell’aristocrazia durante l’Ancien Régime non provocava squilibri forti come quelli di oggi».Ma la “simbolizzazione egualitaria”, domanda Ginori, non è già fallita nel Novecento? «Non ho problemi a riconoscere il fallimento del comunismo», ammette Badiou, «ma non accetto l’ordine costituito del capitalismo, che sta producendo un caos mondiale, con diseguaglianze spaventose». E’ la cosiddetta ideologia neoliberista, o meglio «liberista tout court, perché si ripete da due secoli», che di fatto «è una semplice volontà di dominio». L’antidoto? «Creare nuove ideologie, senza prendere il rischio di riprodurre eredità del passato, escatologie rivoluzionarie sbagliate non solo sul piano empirico ma anche ideologico, perché opponevano la potenza dello Stato a quella del capitale». Da dove partire? «Già porsi la domanda, ed esprimere un’esigenza, mi pare un progresso». L’anziano filosofo si dichiara comunque ottimista: «Il capitalismo è giovane, ha solo qualche secolo. È diventato egemonico nell’Ottocento, poi c’è stata una contro-teoria, il comunismo, tramontata nel Ventesimo secolo. Il primo round è finito. Sta per cominciare il secondo. E noi stiamo nella fase di mezzo, quella più incerta e difficile».«Corrompere i giovani, spingendoli a rinunciare a piaceri e denaro per mettersi alla ricerca della “vera vita”, significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta il filosofo Alain Badiou, intervistato da Anais Ginori per “Repubblica”. L’intellettuale parigino, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante – commenta – il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito». Ora pubblica “La vera vita”: perché ha deciso di rivolgersi ai giovani? «Sono partito dall’osservazione dei miei figli, dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto». Come professore, si è rivolto ai giovani per tutta la vita: «In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di trasformare il pensiero all’origine». Poi c’è la storia personale: lo «straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e Settanta, seguito dalla delusione e persino da forme di disperazione. Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i genitori». Come se ne esce? Con una “alleanza” tra nonni e nipoti.