Archivio del Tag ‘sicurezza’
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Augè: noi, l’umanità, contro l’utopia nera dell’oligarchia
Gli ideologi neoliberisti come Francis Fukuyama ci avevano annunciato la “fine della storia”, cioè la grande narrazione in base alla quale avremmo conquistato una “democrazia universale” fondata sul libero mercato? Tutto sbagliato, come s’è visto. Sotto i nostri occhi, sostiene il filosofo Marc Augé, c’è «l’utopia nera dell’oligarchia planetaria»: nel mondo delle reti globalizzate, la competenza scientifica e il potere economico e politico si concentrano in poche mani. Non una democrazia diffusa su tutta la Terra, bensì «un’oligarchia planetaria dominata da tutti coloro che sono in qualche modo collegati alla sfera del potere politico, scientifico ed economico, mantenuto e riprodotto dalla massa degli utilizzatori passivi quali sono i consumatori costretti al dovere di consumare, ma anche dalla massa sconfinata di tutti gli esclusi dal sapere e dai consumi». Altro che “fine della storia” concepita come accordo unanime sulla forma definitiva di governo degli uomini. Uscite di sicurezza? Una, l’utopia: rimettere la conoscenza al centro della nostra vita, declassando il culto della produttività.Voler scindere economia e educazione, scrive Augè in una riflessione su “La Stampa” ripresa da “Micromega”, ha significato il fallimento di entrambi i campi. «Dissociarli significa infatti cedere alla grande tentazione postmoderna: rifiutare di porsi la questione delle finalità». Oggi, sotto i morsi della grande crisi, la priorità viene sempre data agli obiettivi a breve termine: aiuti d’emergenza, piani sociali, formazione professionale. Ma, intanto, viene elusa la questione centrale: «In vista di cosa si lavora o si studia?». Il nostro fine ultimo, la nostra umanità profonda. «È considerata una sorta di lusso, un sogno da intellettuali idealisti a beneficio di altri sognatori», da dimenticare in fretta per ripiegare prontamente sugli obiettivi a breve termine. «Come in altri ambiti, il problema dei fini ultimi è abbandonato alle divagazioni talvolta letali dei fanatici e dei folli». Ma le conseguenze sono catastrofiche: non siamo più sicuri di sapere perché facciamo quello che facciamo, in una sorta di pericolosa alienazione sempre più funestata dal peggiorare delle condizioni socio-economiche.«Nel momento in cui si invocano requisiti di redditività per giustificare i ridimensionamenti che provocano un calo del potere d’acquisto, a sua volta causa del rallentamento della crescita (è uno dei circoli viziosi del capitalismo nella sua fase attuale), le politiche educative sono sempre meno orientate all’acquisizione del sapere in sé e per sé», scrive Augè. Risultato: a cominciare da quelli “economicamente svantaggiati”, i bambini hanno una possibilità alquanto scarsa se non nulla di accedere a determinati tipi di insegnamento. Così, il sistema educativo tende a riprodurre le disuguaglianze sociali. E persino l’apertura delle università a tutti «è ufficialmente considerata come un mutamento della loro vocazione: le si invita a rispondere anzitutto ai bisogni del mercato del lavoro». Forse, continua Augè, un giorno ci ricorderemo che «non v’è altra finalità per gli uomini sulla Terra se non l’imparare a conoscersi e a conoscere l’universo che li circonda», un compito “infinito” che definisce l’umanità: «La conoscenza è l’unico modo di conciliare le tre dimensioni dell’uomo: individuale, culturale e generica».Se decidessimo di sacrificare tutto all’istruzione, alla ricerca e alla scienza, «facendo investimenti massicci e senza precedenti, nel settore dell’insegnamento a ogni livello», secondo Augè avremmo «più occupazione e maggior prosperità», perché l’ideale della conoscenza «non ha bisogno di disuguaglianze sociali o economiche ma, all’opposto, tali disuguaglianze sono fattori di stagnazione, sono ostacoli, una notevole dispersione di energia, un attentato al potenziale intellettuale dell’umanità». È certo, invece, che lasciare aumentare lo scarto tra i più istruiti e i non istruiti significa «aggravare irrimediabilmente l’impoverimento della stragrande maggioranza». Idea utopica? Per contro, quelle che guidano le politiche reali sono «follie», nutrite di «settarismo e ignoranza». Sicché, «obbligandoci a porre nuovamente la questione dei fini», proprio l’utopia «può aiutarci a definire un programma». In fondo, continua Augè, «quali individui mortali, siamo tutti condannati all’utopia. In vista di cosa viviamo? Malgrado la forma interrogativa, questa domanda è l’unica risposta – risposta critica, risposta di crisi – che si possa dare a coloro che pretendono di gestire la nostra vita quotidiana e al contempo di incaricarsi del nostro avvenire».È probabile che la crisi del mondo globalizzato «firmi l’atto di morte dell’ultimo “grande racconto”», per citare l’espressione di Jean-François Lyotard. Era il racconto liberale di Fukuyama: la felicità universale garantita da democrazia rappresentativa e libero mercato. Come sappiamo, la storia ha ripreso a correre – ma purtroppo in direzione opposta: siamo in balia di una élite nient’affatto democratica, anzi dispotica e oligarchica. Capace di infliggere infinite sofferenze all’umanità: diventa abissale il divario tra ricchi e poveri, pure «in un universo socio-economico in espansione», crescita che peraltro contrasta «con le dimensioni limitate del pianeta: ecco cosa la crisi ci ha manifestamente rivelato o confermato». A forza di «cullarci nell’illusione di un eterno presente», finiremo per scoprire di colpo che «i problemi attuali non erano che le premesse di uno sconvolgimento più radicale». Stiamo già vivendo «un ridimensionamento, al quale il nostro sguardo non si è ancora abituato e di cui la crisi è una delle conseguenze». Non possiamo sapere se a vincere sarà «l’utopia nera dell’oligarchia» o l’umanità, magari grazie «a un capovolgimento storico imprevisto, a qualche importante scoperta scientifica». Ma intanto già conosciamo l’utopia di domani: sarà la Terra, «il pianeta in quanto tale».Gli ideologi neoliberisti come Francis Fukuyama ci avevano annunciato la “fine della storia”, cioè la grande narrazione in base alla quale avremmo conquistato una “democrazia universale” fondata sul libero mercato? Tutto sbagliato, come s’è visto. Sotto i nostri occhi, sostiene il filosofo Marc Augé, c’è «l’utopia nera dell’oligarchia planetaria»: nel mondo delle reti globalizzate, la competenza scientifica e il potere economico e politico si concentrano in poche mani. Non una democrazia diffusa su tutta la Terra, bensì «un’oligarchia planetaria dominata da tutti coloro che sono in qualche modo collegati alla sfera del potere politico, scientifico ed economico, mantenuto e riprodotto dalla massa degli utilizzatori passivi quali sono i consumatori costretti al dovere di consumare, ma anche dalla massa sconfinata di tutti gli esclusi dal sapere e dai consumi». Altro che “fine della storia” concepita come accordo unanime sulla forma definitiva di governo degli uomini. Uscite di sicurezza? Una, l’utopia: rimettere la conoscenza al centro della nostra vita, declassando il culto della produttività.
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Gli 007: l’Italia soffre e protesta, ma non farà rivoluzioni
L’Italia in preda alla grande crisi sta soffrendo molto, ma la protesta è rimasta finora all’interno di limiti accettabili, grazie anche agli ammortizzatori sociali e all’azione moderatrice dei sindacati. Lo sostengono i servizi segreti, nella relazione annuale indirizzata al Parlamento. Secondo l’Aisi, per cui l’estremismo di destra non supera il folklore dei “forconi” o la violenza sporadica degli ultras del calcio, il problema sono le «strumentalizzazioni estremiste», che – potenziate dalla capacità di comunicazione del web – conterrebbero una potenziale «minaccia eversiva». Nel mirino degli 007, le “frange estreme” ai margini dei principali movimenti sociali: No-Tav e No-Muos, movimento per la casa, Terra dei Fuochi, comitati milanesi contro l’Expo 2015. E’ l’Italia che alza la voce nella sua protesta anti-crisi, quella che contesta il Fiscal Compact e i trattati neoliberisti della Troika europea, «con l’obiettivo di aggregare la militanza attorno all’appello “anticapitalista”», una lotta dal basso «per costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico».In pratica, segnala Federico Rucco su “Contropiano”, a suscitare l’attenzione dei servizi segreti sono «i movimenti di sinistra e antagonisti», quelli che «intervengono nel “sociale” in tutte le sue declinazioni (sindacali, problema abitativo, ambientale, antimilitarista». Non mancano gli anarchici, che «continuano ad essere identificati come la minaccia principale». Una “lettura politica” estremamente interessante, annota Rucco. Premessa: «Gli ammortizzatori sociali e il ruolo di mediazione dei sindacati confederali – scrive l’Aisi – hanno continuato ad agire da depotenziatori del conflitto, limitando i margini d’intervento delle frange estreme della sinistra antagonista». Per “Contropiano”, «non si potrebbe definire in modo più chiaro quello che siamo andati denunciando in questi anni rispetto al ruolo di Cgil, Cisl e Uil». Le lotte nei call center e nella logistica vengono indicate come «sporadiche, emergenti forme di autorganizzazione operaia».Per i servizi di sicurezza, «il ruolo del web si è confermato determinante quale amplificatore delle iniziative di lotta funzionale allo sviluppo di campagne condivise». Interessante l’analisi sulla dinamica dei conflitti sociali. All’Aisi non sfugge l’importanza della due giorni di mobilitazione nazionale del 18 e 19 ottobre «con lo sciopero generale dei sindacati di base e la manifestazione per il diritto alla casa e contro la crisi». Agli analisti dell’intelligence non sfugge l’importanza di forme di lotta come «la pratica dell’occupazione della piazza», che – pensando a Turchia, Grecia e Spagna – potrebbe «diventare una pratica di aggregazione del consenso facilmente replicabile anche altri ambiti, sia territoriali che tematici». Allarme rosso, ovviamente, per la mobilitazione in Sicilia contro l’insediamento militare Usa del Muos a Niscemi. Secondo i servizi, «il movimento No-Muos continua a vedere impegnati da un lato i “comitati popolari” intenzionati a muoversi in un contesto legale, e dall’altro componenti radicali determinate a compiere, con il supporto di esponenti antagonisti e anarchici siciliani, azioni di lotta più incisive, incentrate prioritariamente sulla tematica antimilitarista».Oltre alla crescita «dell’attivismo degli ambienti antimperialisti a sostegno della causa palestinese», l’Aisi rileva le «proteste di crescente spessore dell’antagonismo lombardo contro l’Expo di Milano 2015» e di quello pugliese contro il gasdotto Tap. Riferendosi poi alla Campania e alla Terra dei Fuochi, i servizi segreti sottolineano che è sotto «attenzione informativa» il tentativo, da parte di «settori dell’antagonismo locale», di «strumentalizzare la tematica, inserendosi nella protesta animata dalla popolazione locale». Ovviamente, aggiunge Rucco, un ampio dossier è dedicato al movimento No-Tav. In valle di Susa, secondo i servizi, c’è una netta differenziazione tra le «frange oltranziste» e la «componente popolare» del movimento, decisa a continuare una “resistenza “pacifica” alla grande opera, «anche se nel suo ambito – sempre secondo i servizi – si sono talora registrate posizioni di acquiescenza ad episodi di sabotaggio». E attenzione: alla lunga, la popolazione potrebbe dare segni di esasperazione. I servizi temono «l’innalzamento del livello di contrapposizione quale inevitabile conseguenza della “reazione” della popolazione a politiche decise dall’alto e al dispositivo repressivo».Quanto alle frange a vocazione violenta – anarchiche o marx-leniniste – la conclusione a cui giungono i servizi segreti è che «si tratta di gruppi esigui, in condizione di minoranza rispetto all’area antagonista». Al più, è possibile temere «azioni violente di limitato spessore operativo da parte di aggregazioni estemporanee o di individualità, intese non tanto a colpire il cuore del sistema, quanto piuttosto a dimostrare la capacità di ribellione, al fine di alimentare una progressiva radicalizzazione delle istanze contestative». Forte la sottolineatura sul ruolo di “pompieri sociali” svolto dalle organizzazioni sindacali, efficaci nel contenere il conflitto sociale in modo che resti «più ribelle che rivoluzionario». Conclude Rucco: «Chissà se l’iconoclastia di Renzi verso i sindacati e gli ammortizzatori sociali terrà conto di questo suggerimento dei servizi di sicurezza».L’Italia in preda alla grande crisi sta soffrendo molto, ma la protesta è rimasta finora all’interno di limiti accettabili, grazie anche agli ammortizzatori sociali e all’azione moderatrice dei sindacati. Lo sostengono i servizi segreti, nella relazione annuale indirizzata al Parlamento. Secondo l’Aisi, per cui l’estremismo di destra non supera il folklore dei “forconi” o la violenza sporadica degli ultras del calcio, il problema sono le «strumentalizzazioni estremiste», che – potenziate dalla capacità di comunicazione del web – conterrebbero una potenziale «minaccia eversiva». Nel mirino degli 007, le “frange estreme” ai margini dei principali movimenti sociali: No-Tav e No-Muos, movimento per la casa, Terra dei Fuochi, comitati milanesi contro l’Expo 2015. E’ l’Italia che alza la voce nella sua protesta anti-crisi, quella che contesta il Fiscal Compact e i trattati neoliberisti della Troika europea, «con l’obiettivo di aggregare la militanza attorno all’appello “anticapitalista”», una lotta dal basso «per costruire un’alternativa all’attuale sistema economico, sociale e politico».
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Con il Ttip, addio made in Italy e sicurezza alimentare
La nostra salute e il futuro del nostro clima? Fastidiose variabili, da cui il libero scambio Usa-Europa dovrebbe essere liberato, con l’adozione del riservatissimo Trattato Transatlantico, intavolato da 600 emissari delle principali multinazionali, a cui Washington e Bruxelles si preparano a spianare la strada. Proprio per «combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibilità politica dell’élite che l’ha lanciata», osserva Monica Di Sisto, l’Unione Europea ha appena varato una sorta di “confronto” pubblico, fatto di «piccole presentazioni e piccole domande, studiate per ottenere piccole risposte». Meno ipocrita, sul “misterioso” Ttip, l’atteggiamento degli Usa, che «con il solito approccio ruvido e diretto» affidano a un comunicato la “lista della spesa” dei nostri pezzi di mercato in cui vogliono entrare coi loro servizi e prodotti, inclusi quelli oggi vietati in Europa perché pericolosi.Scorrerla è istruttivo, scrive Di Sisto in un post ripreso da “Senza Soste”, soprattutto perché chiarisce i contorni concreti della questione, visto che si apre con la volontà dichiarata di «eliminare tutti i dazi e le tariffe sui prodotti agricoli, industriali e di consumo, una sostanziale parte dei quali da eliminare con l’entrata in vigore dell’accordo».A fronte degli oltre 730 milioni di dollari di prodotti che gli Stati Uniti esportano in Europa, e della ripresa della produzione manifatturiera negli Usa, l’obiettivo è quello di vendere sempre più pezzi e componenti a quell’Europa che non li produce più, e per farlo c’è un’unica condizione: abbattere anche gli standard di sicurezza, qualità e salute che al momento li mettono fuorilegge da noi. Quelle su Ogm, residui chimici, pesticidi e ormoni sono considerate dagli Usa «restrizioni non basate sulla scienza, ingiustificate barriere tecniche al commercio, che limitano le opportunità degli esportatori Usa di competere». Washington si appella alle disposizioni del Wto per imporre «una maggiore compatibilità tra livelli di regole e standard tra Usa e Ue».La qualità dei prodotti agricoli e del cibo in America – dove sono tuttora sul mercato sostanze e prodotti da noi vietati da anni perché provatamente tossici e cancerogeni – dovrebbero essere perfettamente legali anche da noi, secondo il comunicato del ministero del commercio Usa, perché «si basano su evidenze scientifiche e non su ostacoli al commercio infondati». Questo non renderebbe solo più competitive le imprese americane, assicurano, ma stabilirebbe un meccanismo permanente innovativo per risolvere questi problemi. «L’idea, dunque – riassume Monica Di Sisto – è di introdurre un nuovo organismo congiunto di cooperazione sugli standard, che si porrebbe ad un livello superiore rispetto alle legislazioni nazionali e che, stando al numero di righe ad esso dedicate dal comunicato, è uno degli obiettivi più importanti da portare a casa per i negoziatori americani». Obiettivo: “semplificare” le regole, anche per evitare che alcuni prodotti restino particolarmente protetti, «con buona pace del Made in Italy come del Borgogna».Questo, aggiunge Di Sisto, «è un altro obiettivo degli esportatori a stelle e strisce: impedire ai nostri produttori di opporsi alle loro copie a basso costo dei nostri prodotti tipici, e di abbattere le denominazioni d’origine e di qualità che sono tanto care ai consumatori attenti, ma tanto penalizzano i produttori intensivi delle due sponde dell’Oceano». Gli Stati Uniti, che non hanno mai sottoscritto il Protocollo di Kyoto per l’abbattimento delle emissioni climanteranti, né «una montagna di altre convenzioni internazionali per la protezione dell’ambiente», oggi si dichiarano «leader nella ricerca di misure di protezione ambientale d’alto livello e di un’efficace implementazione delle leggi a difesa dell’ambiente all’interno delle regole commerciali». Per questo, dicono, intendono «abbattere tutte le barriere commerciali in atto rispetto ai prodotti, alle tecnologie e ai servizi ambientali come l’energia pulita», tra cui essi inseriscono anche il “nucleare pulito” e il gas derivato dal fracking. Questo è il futuro che ci stanno preparando gli strateghi di Wall Street e i loro colleghi della Commissione Europea.La nostra salute e il futuro del nostro clima? Fastidiose variabili, da cui il libero scambio Usa-Europa dovrebbe essere liberato, con l’adozione del riservatissimo Trattato Transatlantico, intavolato da 600 emissari delle principali multinazionali, a cui Washington e Bruxelles si preparano a spianare la strada. Proprio per «combattere le critiche contro la segretezza di un negoziato tanto importante per la credibilità politica dell’élite che l’ha lanciata», osserva Monica Di Sisto, l’Unione Europea ha appena varato una sorta di “confronto” pubblico, fatto di «piccole presentazioni e piccole domande, studiate per ottenere piccole risposte». Meno ipocrita, sul “misterioso” Ttip, l’atteggiamento degli Usa, che «con il solito approccio ruvido e diretto» affidano a un comunicato la “lista della spesa” dei nostri pezzi di mercato in cui vogliono entrare coi loro servizi e prodotti, inclusi quelli oggi vietati in Europa perché pericolosi.
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Della Luna: indipendentisti veneti e violenza di Stato
Pericolo indipendista? Non scherziamo, dice l’avvocato Marco Della Luna: «In Italia, le uniche organizzazioni capaci di condurre una vasta e metodica azione militare sono le mafie». Gli indipendentisti irlandesi che conquistarono la libertà nel 1922 dopo otto secoli di occupazione britannica «lo fecero con metodi che i veneti e i padani non sono assolutamente in grado di replicare né di digerire moralmente». Della Luna, sul suo blog, ricorda di aver personalmente conosciuto alcuni degli attivisti veneti ora arrestati con l’accusa di aver commesso reati eversivi: «Erano persone del tutto incapaci di violenza organizzata e metodica. Spirito marziale zero. Dissi loro che non è pensabile conquistare l’indipendenza con la forza, mancando la mentalità, il temperamento, la volontà di combattere realmente, indispensabili per l’auto-liberazione sul modello irlandese». Riformare lo Stato in senso democratico per vie legali? «E’ pure impossibile, perché il potere costituito non molla la gallina dalle uova d’oro. E aspettare poi che siano gli stranieri a liberarci, è semplicemente assurdo».Secondo Della Luna, ogni unione tra aree geografiche con diversi livelli di produttività «funziona male e tende a degenerare», perché «esclusi gli Usa, che scaricano i costi sul resto del mondo attraverso il dollaro», per tenere insieme le parti tendenzialmente divergenti lo Stato «deve trasferire reddito dalle aree più produttive a quelle meno produttive, col risultato di super-tassare le prime». Si finisce per tagliare fondi per l’investimento e l’innovazione e si provica una fuga di capitali, imprese e cervelli. Sicché, sempre secondo Della Luna, col tempo le aree “forti” si impoveriscono, e così non riescono neppure più a «sussidiare le aree meno produttive». In questo modo, anziché correggere il sistema, si incentivano e si stabilizzano «le caratteristiche disfunzionali delle aree meno produttive», cioè «sprechi, mafie, corruzione, parassitismo», favorendone la propagazione verso le aree “forti” attraverso l’emigrazione interna, «in Italia soprattutto attraverso il pubblico impiego».Per Della Luna, si genera «un livellamento al basso, un degrado civile, un impoverimento globale» che destabilizza il sistema-paese «quando lo Stato centrale non è più in grado di “comprare” il consenso o perlomeno la quiete mediante l’assistenzialismo», e dunque «si mette a consumare con le tasse e con le privatizzazioni il risparmio e le risorse». Si raschia il fondo del barile, esaurendo le riserve. «Aree di diversa produttività (e mentalità) abbisognano di bilanci, monete e politiche economiche separate», insiste Della Luna. «Questa è la ragione oggettiva per la quale, insieme all’Eurozona, anche l’Italia – come assemblato di aree eterogenee – funziona male». Problemi a cascata: «Funzionando male», gli aggregati disomogenei «per sopravvivere arrivano alla violenza», che nel caso dell’Eurozona è «la violenza distruttiva di regole finanziarie economicamente assurde e controproducenti, con la quali la Germania si difende dal pericolo della solidarietà coi paesi mediterranei», a cui nel nostro caso si aggiunge «la violenza famelica, cieca e distruttiva della casta italiana».Una casta che, «per procurarsi i soldi necessari a mantenere i suoi redditi e privilegi», ben sapendo di essere «in un paese che affonda», da un lato «si asservisce agli interessi tedeschi», e dall’altro lato «spreme ciecamente il Nord e soprattutto il Veneto (40 miliardi l’anno) mentre chiude uno o due occhi sugli sprechi e sull’evasione fiscale e contributiva delle regioni più sussidiate, incurante delle imprese che muoiono, degli imprenditori che si suicidano, dei flussi migratori di aziende, imprese e lavoratori». Questa, aggiunge Della Luna, «è violenza reale di ogni giorno, che distrugge e uccide, che annienta il futuro». Violenza «perpetrata attraverso il fisco e il braccio armato dello Stato contro i lavoratori e interi popoli produttivi da parte di gente spinta da una bramosia di denaro simile a quella degli eroinomani disposti ad ammazzare i genitori per trovare i soldi della dose quotidiana». L’avvocato la definisce «violenza organizzata, armata, legale, ingiusta. Violenza al potere. Violenza che col Parlamento si fa le leggi per blindarsi e assolversi. Ad oltranza».L’Italia, sostiene Della Luna, è «preda di 10 milioni di voti, mafiosi o clientelar-parassitari». Con questa base di partenza «non si potrà mai cambiare veramente». Le mafie, tra l’altro, «si rinforzano con l’immigrazione incontrollata», che «provoca una concorrenza sleale tra lavoratori nostrani e no: chi non lavora cerca assistenzialismo». Così, «il cancro aumenta vertiginosamente le sue metastasi: poi il malato (Italia) muore generando un mostro incontrollabile che si dirigerà spavaldamente verso una più evidente forma di tirannia».Della Luna è pessimista: per lui, l’unica via d’uscita da questo sistema oppressivo e concertato con le potenze economiche estere è la «secessione pacifica». Ovvero: «Andarsene, trasferirsi con beni e risparmi in qualche paese migliore, lasciando gli italiani ad arrangiarsi. Trasferirsi in gruppo, in modo organizzato, dopo aver concordato con le autorità dei paesi di destinazione condizioni favorevoli per una nuova vita».Pericolo indipendentista? Non scherziamo, dice l’avvocato Marco Della Luna: «In Italia, le uniche organizzazioni capaci di condurre una vasta e metodica azione militare sono le mafie». Gli indipendentisti irlandesi che conquistarono la libertà nel 1922 dopo otto secoli di occupazione britannica «lo fecero con metodi che i veneti e i padani non sono assolutamente in grado di replicare né di digerire moralmente». Della Luna, sul suo blog, ricorda di aver personalmente conosciuto alcuni degli attivisti veneti ora arrestati con l’accusa di aver commesso reati eversivi: «Erano persone del tutto incapaci di violenza organizzata e metodica. Spirito marziale zero. Dissi loro che non è pensabile conquistare l’indipendenza con la forza, mancando la mentalità, il temperamento, la volontà di combattere realmente, indispensabili per l’auto-liberazione sul modello irlandese». Riformare lo Stato in senso democratico per vie legali? «E’ pure impossibile, perché il potere costituito non molla la gallina dalle uova d’oro. E aspettare poi che siano gli stranieri a liberarci, è semplicemente assurdo».
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Guerra e gas, obbedire a Obama è un pessimo affare
Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.Significativo, scrive Dinucci sul “Manifesto”, è che la visita di Obama in Europa si sia aperta con il terzo summit sulla sicurezza nucleare: una creazione dello stesso Obama, «non a caso Premio Nobel per la Pace», per “mettere in sicurezza” l’immenso arsenale atomico occidentale: alle 8.000 testate nucleari americane, tra cui 2.150 pronte al lancio, si aggiungono le 500 testate francesi e britaniche, che portano il totale Nato a oltre 2.600 testate pronte al lancio, a fronte delle circa 1.800 russe. Potenziale ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli Usa di oltre 300 chili di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito adatti alla fabbricazione di armi nucleari, cui si aggiungono 20 chili da parte dell’Italia. Nel club nucleare c’è anche Israele, l’unica potenza nucleare in Medio Oriente (non aderente al Trattato di non-proliferazione), che possiede fino a 300 testate e produce tanto plutonio da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki.Obama ha ordinato che circa 200 bombe B-61 schierate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia (violando il trattato di non-proliferazione) siano sostituite con nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, progettate in particolare per il caccia F-35, comprese quelle anti-bunker per distruggere i centri di comando in un “first strike” nucleare. La strategia di Washington ha un duplice scopo, sostiene Dinucci: da un lato, ridimensionare la Russia, che ha rilanciato la sua politica estera (si veda il ruolo svolto in Siria) e si è riavvicinata alla Cina, e dall’altro «alimentare in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati». Alcuni sono veri e propri alleati, come la Germania: «Con il governo tedesco Washington tratta per la spartizione di aree di influenza». Con altri, come l’Italia, semplici paesi satelliti, la Casa Bianca «si limita a pacche sulle spalle sapendo di poter ottenere ciò che vuole».Contemporaneamente, continua Dinucci, Obama preme sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Obiettivo non facile. L’Unione Europea dipende per circa un terzo dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per oltre il 90%. L’amministrazione Obama, scrive il “New York Times”, persegue una «strategia aggressiva» che mira a ridurre le forniture energetiche russe all’Europa: essa prevede che la Exxon Mobil e altre compagnie statunitensi forniscano crescenti quantità di gas all’Europa, sfruttando i giacimenti mediorientali, africani e altri, compresi quelli statunitensi la cui produzione è aumentata permettendo agli Usa di esportare gas liquefatto.In questo quadro rientra la “guerra dei gasdotti”: obiettivo statunitense è bloccare il Nord Stream, che porta nella Ue il gas russo attraverso il Mar Baltico, e impedire la realizzazione del South Stream, che lo porterebbe nella Ue attraverso il Mar Nero. Entrambi i grandi gasdotti aggirano l’Ucraina, attraverso cui passa oggi il grosso del gas russo, e sono realizzati da consorzi guidati dalla Gazprom di cui fanno parte compagnie europee. Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni, ha avvertito il governo che, se venisse bloccato il progetto South Stream, l’Italia perderebbe ricchi contratti, come l’appalto da 2 miliardi di euro che la Saipem si è aggiudicata per la costruzione del tratto sottomarino.Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.
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Blondet: imbecilli, applaudono l’uomo della guerra
«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.«Quelli che decidono a vostro nome sia da Roma, sia soprattutto da Bruxelles, hanno scelto per voi», scrive Blondet, in un post ripreso da “Megachip”. Escludere Mosca dal G8 e accodarsi a Obama, che si permette di minacciare la Russia «in difesa del governicchio ucraino, frutto delle eversioni americane, ovviamente anch’esso non eletto dagli ucraini». Esplicito, l’inquilino della Casa Bianca: «Agiremo in loro difesa qualunque cosa accada: questa è la Nato». Secondo Obama, «ci sono momenti in cui l’azione militare può essere giustificata». Possibile casus belli, dopo l’Ucraina, la “difesa” dei paesi baltici: Lituania, Estonia e Lettonia hanno una popolazione paragonabile a quella di una media provincia italiana, eppure «a Bruxelles contano più di Italia e Spagna», inoltre «fanno i galletti e sfidano Mosca, si armano spendendo il 4% del loro ridicolo bilancio per gli armamenti, perché si sanno coperti dall’America». E Washington, dice Blondet, li addita ad esempio: «Voi europei grossi e molli spendete troppo poco in armi, l’1, il 2% del Pil, scrive il “Wall Street Journal”, dovete armarvi di più, spendere più dalla Lockheed».Accusa Blondet: «Ebbene: i vostri politici vi hanno impegnato a difendere i baltici. Hanno detto sì ad Obama, senza nemmeno rimproverargli le manovre eversive americane a Kiev, ampiamente provate». In pratica, i nostri politici hanno «firmato di nuovo il patto di difesa reciproca della Nato», struttura «che avremmo dovuto sciogliere già dal ‘90, quando si sciolse il Patto di Varsavia». Sicché ora, «se uno dei galletti baltici fa qualche provocazione, noi dovremo partecipare alla guerra contro la Russia, e intanto subire le conseguenze economiche dell’embargo decretato anche da noi, per ordine di Washington». Pericolosa, aggiunge Blondet, la pratica dei sorvoli dello spazio aereo russo, avviati dopo la conquista di Kiev da parte delle milizie di piazza Maidan. Gli Usa «hanno cominciato a sorvolare coi loro aerei lo spazio russo, obbligando anche noi a fare altrettanto». Lo fanno «in base al trattato internazionale Cieli Aperti, “Open Skies”, firmato a Vienna per aumentare la fiducia reciproca nel campo della minaccia nucleare».Il trattato obbliga i paesi firmatari ad aprire il loro spazio aereo a regolari ispezioni. «In buona fede, Putin ha firmato questo trattato nel 2001. La Cina invece no, e guardacaso nessuno la minaccia». Da giorni, «il sorvolo è diventato una vera passione per Washington».Blondet riferisce che il 3 marzo il sorvolo ha visto ispettori francesi a fianco degli americani, mentre l’11 marzo con gli statunitensi «si sono levati ispettori italiani», imitati il 17 marzo da “ispettori” ucraini («non si sa a che titolo») e il 24 marzo di nuovo da ispettori francesi. Un sorvolo a settimana: «Immaginate solo se Putin pretendesse di fare altrettanto nello spazio aereo americano, in questo momento di estrema tensione: tutti i nostri media, all’unisono con i loro padroni americani, strillerebbero: “Provocazione! Aggressione! Espansionismo paleo-sovietico!”». La cosa preoccupante? «E’ quel che ha detto Obama, piombato in Europa a darci ordini. Ha detto di non essere preoccupato dall’aggressione Russa come minaccia per gli Stati Uniti; ha aggiunto però che quello che lo preoccupa è “un fungo atomico sopra Manhattan”. Sapendo che a Manhattan hanno avuto lo stomaco di far saltare quei due grattacieli (l’11 Settembre, e vi siete bevuti la storia ufficiale) per giustificare l’invasione di Afghanistan ed Iraq nonché l’introduzione della tortura nel diritto di guerra statunitense e il non-riconoscimento dei nemici come combattenti legittimi».Blondet riferisce che, nel frattempo, all’Aia si è svolto uno strano vertice sulla sicurezza nucleare. Secondo il ministro degli esteri canadese, John Baird, «al momento attuale la minaccia di terrorismo nucleare resta una delle più gravi per la sicurezza mondiale». Da qui il rafforzamento del partenariato con Israele – presente Yuval Steinitz, ministro dell’intelligence di Tel Aviv – per aiutare «gli Stati del Medio Oriente e altrove a perseguire i pericolosi criminali che conducono attività nucleari illecite». Chi pensava alla solita trama paranoide sionista contro l’Iran, dice Blondet, ora dovrà ricredersi, di fronte alla sconcertante uscita di Obama, che dice di temere «un fungo atomico sopra Manhattan». Siamo sicuri che l’Ucraina abbia consegnato, a suo tempo, tutte le testate che aveva in custodia dall’Armata Rossa? La stessa Yulia Tymoshenko ha appena dichiarato di voler sterminare, con l’atomica, gli 8-10 milioni di russi che vivono nell’Est dell’Ucraina.Escalation nucleare? «Se accade, italioti, ci siete in mezzo», scrive Blondet. «Vi hanno messo in mezzo i mascalzoni di Bruxelles, vi ci ha messo quel tizio danese che si chiama Ander Fogh Rasmussen, vi ha messo in mezzo il governo Napolitano – pardon, volevo dire il governo Renzi». E per cosa? «Per salvare “la democrazia” in Ucraina», un paese che vuole “venire in Europa” e intanto – a parte le atomiche della Tymoshenko – ha già proibito la lingua russa e spento le televisioni che trasmettevano in russo. E sui nostri media mainstream, naturalmente, notte fonda: si evita di dire che l’Ucraina ha firmato solo il 2% del trattato di pre-adesione all’Ue, cioè la parte che riguarda «un piano per una politica estera e di sicurezza congiunta», e che dopo le elezioni del 25 maggio si trasformerà in «un insieme di condizioni di riforma militare che equivalgono “ad un accordo con la Nato preliminare all’integrazione”».Regista dell’operazione, Herman Van Rompuy. «E i nostri politici non hanno eccepito. Anzi, hanno detto: “Sì, escludiamo la Russia dal G8”». Tutti, tranne uno: Berlusconi. «Credo sia avventato e controproducente aver escluso la Russia dal vertice di ieri all’Aia», ha detto il Cavaliere. «Questo contrasta con il lungo lavoro fatto da noi, dal governo italiano: siamo stati noi a trasformare il G7 in G8 a Genova con Putin». Peccato però che Berlusconi non sia più in Parlamento e sia prossimo agli arresti domiciliari, conclude Blondet. Il leader di Forza Italia – l’unico fuori dal coro anti-russo – non ha più alcuna prospettiva di governare in futuro, e dopo tutti i disastri del passato recente – ora appare troppo indebolito per impostare una politica anti-Ue e contraria alle pericolose forzature di Obama. «L’elettorato di centrodestra è nella mani dell’harem, della mignottocrazia, delle concubine». In altre parole, siamo rovinati: se Berlusconi sembra «un decrepito imperatore cinese», tutti gli altri applaudono entusiasti alla guerra che verrà.«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.
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Kiev, la strana Padania atomica di Yulia Tymoshenko
Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.Pietra dello scandalo, l’intercettazione telefonica in cui è incappata l’ex oligarca Yulia Timoshenko, promossa “pasionaria” anti-russa dal mainstream occidentale, che in una conversazione privata dichiara che vorrebbe sterminare, con la bomba atomica, gli 8 milioni di russi che popolano l’Est ucraino. «Non li chiama neppure russi, ma “izgoi”, banditi, fuorilegge», osserva Glushkov, che vive in Italia e ricorda come l’Ucraina non sia «un territorio etnicamente definito da una nazionalità», bensì «una specie di puzzle, che si è venuto componendo in tappe diverse della storia». L’“ucrainizzazione” forzata degli ultimi vent’anni non è tale «da poter mobilitare un esercito di ucraini contro i russi», e addirittura «non c’è nemmeno una polizia disponibile a soffocare le manifestazioni del sud-est: è per questo che sono stati costretti a chiamare i mercenari dall’esterno», cioè «gruppi di guerriglia armata composti da nazisti, preparati ad azioni violente dagli Stati Uniti in veri e propri lager».Il resto del paese, continua Glushkov, per adesso è impaurito, blindato dalla manipolazione di una Tv ucraina che sta bombardando la gente con informazioni false. «Gente che, comunque, non è disponibile ad accettare una guerra aperta contro la Russia. Perché? Perché la stragrande maggioranza si sente parte della nazione russa! Questo dimostra il referendum di Crimea e le precedenti elezioni». Naturalmente, però, i nostri media si sono tenuti a debita distanza dalla verità. «Il pubblico italiano, grazie all’ignoranza storica, politica, di quasi tutti i commentatori (nel silenzio, peraltro, del mondo accademico e universitario), ha ricevuto un’informazione completamente distorta», sostiene Giulietto Chiesa. Così, «la russofobia anglosassone ha dettato le notizie», nobilitando «i nazisti di Maidan». E la Russia, «che ha subito per vent’anni la penetrazione americano-tedesco-polacca praticamente senza reagire (perché guidata da idee filo-occidentali), ha di fatto soltanto reagito, difendendo il popolo russo di Crimea. Ed è stata rappresentata come l’aggressore, sebbene fosse stata aggredita».Questa, ribadisce Giulietto Chiesa – autore di numerosi video-editoriali su “Pandora Tv” – è una crisi di gravità senza precedenti nella storia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: gli equilibri europei sono stati modificati, la sicurezza europea è stata distrutta. «Tutto questo non sarebbe stato possibile se l’informazione giunta ai cittadini italiani ed europei fosse stata decentemente vicina alla realtà, ma noi invece viviamo ormai dentro Matrix, prigionieri dell’illusione dell’Occidente di continuare a dominare il mondo». Resta, intanto, l’imbarazzo per le esternazioni stragiste della Tymoshenko, la cui carriera politica – scrive Igor Glushkov – è stata «molto simile a quella di quasi tutti gli oligarchi russi e ucraini: fatta rubando». Di sicuro, conferma Giulietto Chiesa, oggi la Tymoshenko rappresenta «un dato negativo, agli occhi dell’Europa». Dopo aver gettato il sasso, «usando i nazisti», adesso gli europei vorranno «ripulirsi dagli schizzi di fango». La stessa Yulia Tymoshenko «è uno schizzo di fango: ricattabile, certo, ma anche in grado di ricattare». Tutto molto prevedibile: «Quando si porta al potere una banda di criminali bisogna mettere in conto che, per normalizzare la situazione, li si deve rieducare, o eliminare. Resta da vedere se la Tymoshenko sarà in grado di essere rieducata, oppure se la dovranno eliminare».Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.
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Schmidt: capisco Putin, l’Occidente scherza col fuoco
«Nelle due guerre mondiali la Russia era con l’Occidente e la Germania era dalla parte sbagliata, oggi lo dimentichiamo». L’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt avverte l’Europa: la politica di Obama è pericolosa, sulla Crimea è «comprensibile» la posizione di Putin. «Al Consiglio di sicurezza dell’Onu, mi asterrei come hanno fatto i cinesi», dice Schmidt, intervistato da Matthias Nass per “Die Zeit” e “Reoubblica”. La situazione potrebbe precipitare, se l’Occidente continuasse il suo “assedio” nei confronti della Russia. Specie nella contesa sull’Ucraina, che non è mai neppure esistita, veramente, come Stato nazionale. Dall’anziano statista tedesco un monito esplicito: «Si discute molto sulle cause della Prima Guerra Mondiale, che nessuno voleva, eppure scoppiò. La maggior parte delle guerre non sono pianificate. Lo furono solo alcune: l’attacco di Napoleone alla Russia, o la Seconda Guerra Mondiale, pianificata da Hitler. Una Terza Guerra Mondiale è molto inverosimile, ma non è totalmente impensabile».La situazione è pericolosam spiega Schmidt, perché «il nervosismo dell’Occidente crea nervosismo anche in Russia». Poco saggio, secondo l’ex cancelliere, utilizzare solo il metro del diritto internazionale, magari per giudicare “una violazione” l’annessione della Crimea, peraltro attuata a furor di popolo. «Il diritto internazionale è molto importante, ma è stato violato molte volte. Per esempio l’ingerenza nella guerra civile in Libia: l’Occidente ha ben ecceduto il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu». Attenzione: «Lo sviluppo storico della Crimea è più importante del diritto internazionale». Tanto più che, fino ai primi anni ‘90, «l’Occidente non ha dubitato che Crimea e Ucraina fossero parti della Russia». Kiev è capitale di uno Stato indipendente ma non nazionale: «E’ molto discusso, tra gli storici, se esista una nazione ucraina». Quella di Putin, quindi, sarebbe una “violazione” molto anomala, perché commessa «contro uno Stato che, provvisoriamente, attraverso la rivoluzione di Majdan, non esisteva e non era capace di funzionare».A chi teme che Mosca ora potrebbe mettere un’ipoteca anche sull’Ucraina orientale popolata da russi e russofoni, Schmidt risponde che «sarebbe un errore, da parte dell’Occidente, comportarsi pensando che un simile sviluppo sia l’inevitabile prossimo passo russo». Uno scontro militare è possibile? «È pensabile. Non è né necessario, né inevitabile. Al momento il pericolo è piccolo, ma non è nullo». Le sanzioni antui-Cremlino? «Sono una stupidaggine. Specialmente il divieto di viaggio in Occidente per alte personalità della leadership russa. E sanzioni economiche colpirebbero l’Occidente come i russi». Idem per le forniture energetiche: l’Europa dovrebbe divenire indipendente dall’energia russa, come vorrebbero gli Usa? «È possibile», ma «non sarebbe saggio», perché «anche alla fine del XXI secolo la Russia resterà il vicino molto importante che fu dai tempi di Pietro il Grande». Quindi: cautela diplomatica, o si scherza col fuoco. E’ possibile che Putin si senta «erede di Pietro, dei Romanov e di Lenin», ma certo «non è un megalomane», dice Schmidt al giornalista di “Die Zeit”. «Si metta nei suoi panni: probabilmente sulla Crimea avrebbe reagito come lui».«Nelle due guerre mondiali la Russia era con l’Occidente e la Germania era dalla parte sbagliata, oggi lo dimentichiamo». L’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt avverte l’Europa: la politica di Obama è pericolosa, sulla Crimea è «comprensibile» la posizione di Putin. «Al Consiglio di sicurezza dell’Onu, mi asterrei come hanno fatto i cinesi», dice Schmidt, intervistato da Matthias Nass per “Die Zeit” e “Repubblica”. La situazione potrebbe precipitare, se l’Occidente continuasse il suo “assedio” nei confronti della Russia. Specie nella contesa sull’Ucraina, che non è mai neppure esistita, veramente, come Stato nazionale. Dall’anziano statista tedesco un monito esplicito: «Si discute molto sulle cause della Prima Guerra Mondiale, che nessuno voleva, eppure scoppiò. La maggior parte delle guerre non sono pianificate. Lo furono solo alcune: l’attacco di Napoleone alla Russia, o la Seconda Guerra Mondiale, pianificata da Hitler. Una Terza Guerra Mondiale è molto inverosimile, ma non è totalmente impensabile».
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Ttip, fine del diritto: ci giudicherà un Tribunale Speciale
Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.Il Trattato di Partenariato Usa-Ue per il Commercio e gli Investimenti, riassume Rosolen sul sito di “Attac Italia”, ci promette un reddito aggiuntivo per famiglia di 545 dollari all’anno, «a condizione che siano smantellate tutte le leggi e regolamenti di tutela sanitaria, ambientale, del lavoro, che attualmente impediscono o limitano la possibilità di realizzare il massimo profitto negli scambi e negli investimenti». Il che significa: «Libera produzione, circolazione e vendita sul mercato europeo degli organismi geneticamente modificati, della carne agli ormoni, dei polli al cloro». Addio al “principio di precauzione” contro la sospetta nocività di singoli prodotti, processi produttivi e componenti, adottato in Europa all’inizio degli anni ‘90 in seguito all’epidemia della “mucca pazza”. Obiettivo: ridurre o eliminare – tramite decisioni di prevenzione – quei rischi che non sono ancora scientificamente provati. Se verrà approvato il Ttip, dovremo dunque dire addio alle tutele a cui siamo abituati: cioè l’etichettatura e la tracciabilità dei prodotti alimentari e chimici.Emblematica, continua Rosolen, la situazione riguardante l’estrazione e lo sfruttamento del gas di scisto (fracking): circa 11.000 nuovi pozzi scavati in un anno negli Stati Uniti contro una dozzina in Europa, per effetto di divieti e moratorie in attesa di verificare i rischi che quella spericolata tecnologia estrattiva può arrecare alla salute e alla sicurezza delle persone e dell’ambiente. «La segretezza dei negoziati si confà egregiamente alla passività dei grandi mezzi d’informazione del nostro paese, che si guardano bene dal rompere il silenzio, appena scalfito dall’impegno dei “soliti” mezzi d’informazione alternativi. E poiché la Commissione Europea tratta e firmerà l’accordo a nome e per conto degli Stati membri – aggiunge Mariangela Rosolen – rischiamo di trovarci a fine 2014, data prevista per la conclusione dei negoziati, con la brutta sorpresa del pacco di Natale già confezionato e pronto per l’uso sotto l’albero». Forse però siamo ancora in tempo per fermare la macchina infernale.Alla fine degli anni ‘90, «un analogo pacco-dono del libero mercato, l’Ami – Accordo Multilterale sugli Investimenti – era stato preparato segretamente dalle stesse oligarchie che oggi lo traducono nel Ttip, e venne fatto saltare proprio grazie al fatto che i suoi demenziali contenuti erano divenuti di pubblico dominio». Certo, allora «c’erano ancora i tribunali a cui ricorrere per il ripristino dei diritti negati». Oggi è sempre più dura, ma fino a quando la sovranità giudiziaria non sarà stata smantellata siamo autorizzati a sperare che qualche autorità nazionale intervenga: «La totale cancellazione dello Stato Sociale Europeo che ora il Trip si propone, la dichiarata subordinazione al profitto di ogni tutela sul lavoro, la salute, l’ambiente che non sia compatibile con il profitto, può incontrare ancora forti resistenze nel sistema giudiziario dei paesi più evoluti».Se invece Washington e Bruxelles – obbedendo ai “suggerimenti” delle multinazionali – riusciranno ad imporci il Ttip, sarà tecnicamente finita anche l’attuale possibilità di avere giustizia: l’ultima parola infatti l’avrà il Tribunale Speciale, «organismo sovranazionale, extra-territoriale – si dice con sede presso la Banca Mondiale», pensato sul modello del collegio arbitrale, «le cui sentenze non saranno appellabili essendo sovraordinate alle stesse Costituzioni nazionali». Secondo Rosolen, è molto probabile che si tratti di tribunali simili a quelli già previsti da accordi come il Nafta, modellati su giurie private composte da tre arbitri, scelti generalmente tra “principi del foro” «un po’ distratti rispetto ai loro conflitti di interessi». Strani “giudici” che, «una volta nominati, non devono più rendere conto a nessuno», perché possono avvalersi di «lucrosissime consulenze, test e perizie», per emanare decisioni definitive e non più impugnabili. «Una gestione della giustizia di ricchi per i ricchi», che infatti non emette sentenze ma impone «multe, sanzioni, risarcimenti».Così facendo, aggiunge Rosolen, la giustizia si misura in dollari. La Lone Pine ad esempio, impresa californiana dell’energia, ha chiesto al Tribunale Speciale istituito dal Nafta di condannare lo Stato del Canada a un risarcimento di 191 milioni di dollari per aver imposto una moratoria sul fracking, il sistema di frammentazione idraulica per estrarre il gas o il petrolio di scisto. La moratoria canadese era dettata dalla preoccupazione per i rischi per la salute e l’ambiente provocati da quelle lavorazioni. La Philip Morris ha invece denunciato l’Australia al Tribunale Speciale del Wto per le leggi anti-fumo e chiesto un enorme risarcimento per i mancati profitti. Addirittura 3,7 miliardi di euro, per i mancati profitti delle sue due centrali nucleari tedesche, sono stati chiesti dalla svedese Vattenfall alla Germania, che ha abbandonato la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima. Si contano ben 514 cause legali di questo genere negli ultimi vent’anni: 123 sono state promosse da investitori Usa, 50 da maxi-imprese olandesi, 30 britanniche e 20 tedesche.«La sola minaccia di cause legali per milioni di euro, intentate da studi legali con centinaia di avvocati per conto delle multinazionali, può mettere sul chi va là i governi e indurli ad attenuare o addirittura rinunciare a emanare leggi a tutela del lavoro, della salute e dell’ambiente», conclude Mariangela Rosolen. Traduzione: «Se le decisioni politiche a livello locale, regionale o nazionale corrono questi rischi di strangolamento economico, ben più disarticolanti di una sentenza civile o penale, è a rischio la stessa democrazia». Sarebbe la fine della nostra civiltà giuridica, difettosa e inefficiente fin che si vuole nella sua amministrazione, ma pur sempre consacrata alla difesa dei diritti fondamentali del cittadino, della sua sicurezza sociale e della sua salute. Per fortuna, un po’ ovunque – dall’Europa agli stessi Stati Uniti – si stanno organizzando movimenti sociali e sindacali che rivendicano trasparenza dei negoziati e il rifiuto dei tribunali speciali per qualsiasi tipo di trattato. Serve un impegno democratico, ora: «Chiediamolo con forza e determinazione anche ai prossimi candidati al Parlamento Europeo».Votare alle europee? A un patto: che i candidati si impegnino, per prima cosa, contro l’approvazione del Trattato Transatlantico. Nessuna bozza, traccia o schema di Ttip è a oggi disponibile. Di certo sappiamo solo che il presidente Obama e la Commissione Europea hanno dato mandato all’ambasciatore Usa Michael Froman e al Commissario Ue al commercio Karel de Gucht di confezionare un trattato dai mirabolanti obiettivi: incrementare il commercio Usa-Ue di 120 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni e creare due milioni di posti di lavoro. A quale prezzo? «Non si deve sapere. Le trattative si svolgono in segreto, a porte chiuse, e in quelle segrete stanze si sono già tenuti oltre 100 incontri con i più importanti lobbisti, su corpose documentazioni di parte, a totale insaputa della società civile». Le uniche vere notizie a nostra disposizione, scrive Mariangela Rosolen, provengono da blog come “s2bnetwork”, riprese da “Attac”, che presenta “Un trattato dell’altro mondo” e le informazioni diffuse da Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale dell’università di Torino.
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Col Ttip gli Usa ci arruolano nella guerra contro la Cina
Tra un paio d’anni potrebbe crollare il nostro attuale sistema democratico, se il potere supremo dovesse passare direttamente alle grandi multunazionali grazie all’approvazione del Ttip, il Trattato Transatlantico destinato a lasciare al business l’ultima parola su lavoro, salute, sicurezza alimentare, acqua e beni comuni. Su “Le Monde Diplomatique”, Ignacio Ramonet rilancia l’allarme: quel trattato super-segreto fa paura, perché rivela la volontà degli Usa di trascinare l’Europa nello scontro geopolitico con la Cina. Il vero obiettivo dell’Accordo Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, infatti, è fermare l’inesorabile avanzata di Pechino, che sta clamorosamente ridimensionando la leadership mondiale di Washington: tra una decina d’anni, al massimo, lo yuan potrebbe definitivamente scalzare il dollaro come valuta di scambio internazionale, mettendo fine a cent’anni di egemonia statunitense.Lo scopo del trattato che Washington e Bruxelles stanno mettendo a punto, lontano dai riflettori e con “l’assistenza” di 600 super-lobbysti, è quello di creare la maggiore zona di libero scambio commerciale del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. L’area formata da Usa ed Europa rappresenta quasi la metà del prodotto interno lordo mondiale e un terzo del commercio mondiale. L’Ue è la principale economia del mondo, ricorda Ramonet in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”: i suoi 500 milioni di abitanti dispongono in media, pro capite, di 25.000 euro di entrate all’anno. «Ciò significa che l’Ue è il maggior mercato mondiale e il principale importatore di manufatti e di servizi, dispone del maggiore volume di investimenti all’estero ed è il principale ricettore planetario di investimenti stranieri». L’Unione Europea è anche il primo investitore negli Usa, la seconda destinazione dell’esportazione statunitense e il maggior mercato per l’esportazione statunitense di servizi.La bilancia commerciale dei beni destina alla Ue un attivo di 76.300 milioni di euro; e quella dei servizi, un deficit di 3.400 milioni. Gli investimenti diretti dell’Ue negli Usa, viceversa, si aggirano sui 1.200 miliardi di euro. Washington e Bruxelles vorrebbero chiudere il trattato Ttip in meno di due anni, prima che scada il mandato del presidente Barack Obama. «Perché tanta fretta? Perché, per Washington, questo accordo ha un carattere geostrategico. Costituisce un’arma decisiva di fronte all’irresistibile crescita della potenza cinese», accompagnata da quella degli altri Brics, ovvero Brasile, Russia, India e Sudafrica. «Bisogna precisare che tra il 2000 e il 2008 il commercio internazionale della Cina si è più che quadruplicato: le sue esportazioni sono aumentate del 474% e le importazioni del 403%. Conseguenze? Gli Stati Uniti hanno perso la loro leadership come prima potenza commerciale del mondo che ostentavano da un secolo». Prima della crisi finanziaria del 2008, gli Usa erano il socio commerciale più importante per 127 Stati del mondo; la Cina lo era solo per 70 paesi. Questo bilancio si è invertito: oggi, la Cina è il socio commerciale più importante per 124 Stati, mentre gli Usa solo per 76.«Pechino, al massimo in dieci anni, potrebbe fare della sua moneta, lo yuan, l’altra grande divisa dell’interscambio internazionale e minacciare la supremazia del dollaro», spiega Ramonet. «È anche sempre più chiaro che le esportazioni cinesi non sono solo più di bassa qualità a prezzi accessibili grazie alla sua manodopera conveniente. L’obiettivo di Pechino è alzare il livello tecnologico della sua produzione e dei suoi servizi per essere leader domani anche nei settori (informatica, finanza, aereonautica, telefonia, ecologia) che gli Usa e altre potenze tecnologiche occidentali pensavano di poter preservare». Per tutte queste ragioni, ed essenzialmente per evitare che la Cina diventi la prima potenza mondiale, Washington desidera «blindare grandi zone di libero scambio dove i prodotti di Pechino avrebbero difficile accesso». Lo si sta facendo anche nel Pacifico, con un trattato gemello come la Tpp, Trans-Pacific Partnership.Tema cruciale, ma escluso dall’agenda-news dei grandi media: i cittadini “non devono sapere”, in modo che i tecnocrati di Bruxelles possano procedere indisturbati, cioè in modo opaco e non democratico, obbedendo ai “consigli” delle più grandi multinazionali del pianeta. Obiettivo finale: abbattere tutti i vincoli che oggi in Europa tutelano i consumatori, esponendo gli Stati al rischio di pesantissime penali – inflitte da tribunali speciali formati da legali d’affari – nel caso in cui le grandi compagnie accusassero i governi di “ostacolare il business” difendendo i lavoratori, l’ambiente, la salute pubblica, la sicurezza alimentare, la sopravvivenza di servizi non privatizzati. Pia Eberhardt, della Ong “Corporate Europe Observatory”, denuncia che i negoziati si sono tenuti senza alcuna trasparenza democratica: con la Commissione Europea solo impresari e lobby, esclusi tutti gli altri: giornalisti, ambientalisti, sindacati, organizzazioni per la difesa del consumatore. Un grande pericolo, denuncia Eberhardt, viene «dagli alimenti non sicuri importati dagli Usa, che potrebbero essere transgenici, o i polli disinfettati con cloro, procedimento proibito in Europa».Altri critici temono le conseguenze del Ttip in materia di educazione e conoscenza scientifica, inclusi i diritti intellettuali. In questo senso, la Francia, per proteggere il suo importante settore audiovisivo, ha già imposto una “eccezione culturale”, in modo che l’industria della cultura francese sia esclusa dal trattato. «Varie organizzazioni sindacali – continua Ramonet – avvertono che, senza dubbio, l’Accordo Transatlantico sprofonderà nei tagli sociali, nella riduzione dei salari, e distruggerà l’impiego in diversi settori industriali (elettronica, comunicazione, attrezzature dei trasporti, metallurgia, carta, servizi per le imprese) e agrari (pastorizia, agrocombustibili, zucchero)». Gli ecologisti europei spiegano inoltre che il Ttip, eliminando il principio di precauzione, potrebbe facilitare l’eliminazione di normative per la difesa dell’ambiente o di sicurezza alimentare e sanitaria.Alcune Ong ambientaliste temono che anche in Europa si incominci a introdurre il fracking, ossia l’uso di sostanze chimiche pericolose per le falde acquifere, per poter sfruttare il gas e il petrolio di scisto. Il maggior pericolo del Trattato Transatlantico resta il capitolo sulla “protezione degli investimenti”, che metterebbe fine alla residua sovranità degli Stati, costretti a piegarsi per non pagare sanzioni esorbitanti, inflitte per il “reato” di “limitazione dei profitti”. «Per il Ttip i cittadini non esistono», conclude l’analista di “Le Monde Diplomatique”: «Ci sono solo consumatori e questi appartengono alle imprese private che controllano i mercati. La sfida è immensa. La volontà civica di fermare il Ttip non deve essere da meno».Tra un paio d’anni potrebbe crollare il nostro attuale sistema democratico, se il potere supremo dovesse passare direttamente alle grandi multunazionali grazie all’approvazione del Ttip, il Trattato Transatlantico destinato a lasciare al business l’ultima parola su lavoro, salute, sicurezza alimentare, acqua e beni comuni. Su “Le Monde Diplomatique”, Ignacio Ramonet rilancia l’allarme: quel trattato super-segreto fa paura, perché rivela la volontà degli Usa di trascinare l’Europa nello scontro geopolitico con la Cina. Il vero obiettivo dell’Accordo Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, infatti, è fermare l’inesorabile avanzata di Pechino, che sta clamorosamente ridimensionando la leadership mondiale di Washington: tra una decina d’anni, al massimo, lo yuan potrebbe definitivamente scalzare il dollaro come valuta di scambio internazionale, mettendo fine a cent’anni di egemonia statunitense.
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Guerra al gas russo? Ma a pagare il conto saremo noi
Dietro alla crisi dell’Ucraina, cioè il grande crocevia dei gasdotti, si nasconde una colossale operazione geopolitica: gli Usa puntano a uscire dalla crisi economica a spese dell’Europa, trasformata in importatrice di gas americano? A quanto pare, ci aspettano 6-7 anni d’inferno: tanto occorre, infatti, per attrezzare il vecchio continente in modo che possa rinunciare al gas russo e passare a quello norvegese e americano. Analoga scelta anche per la Russia: le servono 6-7 anni per sviluppare i nuovi gasdotti verso il più grande mercato industriale del mondo, la Cina. Per l’Europa, pessime notizie: riguardo all’energia e quindi all’economia, l’Unione Europea dipenderebbe al 100% dagli Usa e dai suoi prezzi. Secondo Giulietto Chiesa, dobbiamo aspettarci «una guerra fredda intensificata», perché «saremo sul fronte del combattimento» tra Washington e Mosca e «saremo costretti a pagarne il prezzo». Una sfida pericolosa, perché «l’intera sicurezza europea sarà completamente rivoluzionata, coi missili americani piazzati in Ucraina a 400 chilometri da Mosca».Putin, osserva Giulietto Chiesa in un video-editoriale su “Pandora Tv”, non può più arretrare: o si arrende, facendo la fine di Yanukovich, o – al contrario – ribatterà colpo su colpo, come sta facendo in Crimea. Facile previsione: «La popolarità di Putin aumenterà vertiginosamente». Il capo del Cremlino diventa il “salvatore” della Russia: «Lo hanno capito i russi d’Ucraina, lo stanno capendo i russi di Crimea, lo capiranno i 150 milioni di russi». E questo, aggiunge Chiesa, è un segnale molto preoccupante per l’Occidente, che gioca il tutto per tutto: «In una decina d’anni si decide il destino non solo dell’Europa e della Russia, ma del mondo intero». Sul peso della posta in gioco non ci sono dubbi: basta osservare la precisione con cui alcuni strateghi americani come Strobe Talbott, già consigliere di Clinton, si affrettano ad “avvertire” Putin sulle conseguenze finanziarie del braccio di ferro con Obama. Invasa la Crimea, la Borsa di Mosca è franata del 12%, provocando il crollo del rublo. Emergenza che «ha costretto Putin a intervenire per salvare la sua moneta con 60 miliardi di dollari. gli è costata più quest’operazione che non le Olimpiadi di Sochi».Da Gazprom a Rosneft, i colossi mondiali dell’energia russa sono quotati nelle maggiori Borse del pianeta e compartecipati da capitale internazionale, anche americano. Per non parlare degli “oligarchi” di Mosca, i cui asset sono depositati nelle banche occidentali. «E se improvvisamente gli Stati Uniti, tra le sanzioni, mettessero il congelamento dei loro conti? Che succederebbe alla gran parte dell’oligarchia russa? Ecco il grande problema. Putin – spiega Giulietto Chiesa – ha potuto prosperare e far aumentare la sua popolarità in Russia grazie a gigantesche entrate statali, prodotte dalla vendita di gas e petrolio. Ma se improvvisamente questa vendita diventasse difficoltosa, come potrebbe continuare ad aumentare le pensioni, come ha fatto, o gli stipendi dei militari, della polizia e degli alti funzionari, facendo prosperare un certo ceto medio? Come potrebbe, Putin, in una situazione del genere?». La minaccia è chiara. Perché «l’operazione “conquista dell’Ucraina” significa “conquista dei gasdotti”, attraverso i quali passa il 90% del gas russo verso gli utilizzatori europei». La Crimea? Trascurabile. Come dice Talbott: se la prendano pure, gliela porteremo via dopo. L’importante, adesso, è l’Ucraina: cioè il rubinetto del gas destinato all’Europa, oggi venduto a prezzi accessibili. Ma domani? Che fine farà la manifattura tedesca, italiana e francese, senza più la garanzia del gas russo?Gli analisti statunitensi ci promettono un altro gas, ovvero «il gas norvegese – che c’è già ma ha un difetto: non ha i gasdotti – oppure il gas americano e canadese, quello nuovo, che sta arrivando adesso, dicono, in grandi quantità e a prezzi economicissimi». Entrambi però «devono essere prima liquefatti, trasportati attraverso l’oceano e poi nuovamente rigassificati sulle coste di tutti i paesi europei». Quanto costerà l’operazione? «Le cifre sono vertiginose e fanno pensare a un vero disegno strategico: l’America si rilancerà, rilancerà la sua economia attraverso la costruzione di un gigantesco ponte gasifero attraverso l’Oceano Atlantico». Tempi già calcolati, dai russi ma anche dall’Eni: non meno di 6-7 anni per allestire le nuove infrastrutture. Cosa accadrà nel frattempo? «Nessuno lo sa. L’unica cosa certa è che con questo piano tutta l’industria europea dipenderà dalle decisioni degli Stati Uniti e dal prezzo del gas che stabiliranno loro. Quindi avremo rincari evidenti». Secondo Chiesa, «il colpo alla Russia sicuramente sarà inferto», perché – con questa “guerra del gas” – l’Europa finirà «sotto il controllo diretto degli Stati Uniti, anche economico oltre che finanziario». Ecco spiegato il fervore “democratico” con cui gli Usa sostengono Kiev contro Mosca. Un gioco molto pericoloso, tenendo conto che l’obiettivo finale, strategico, resta Pechino.Dietro alla crisi dell’Ucraina, cioè il grande crocevia dei gasdotti, si nasconde una colossale operazione geopolitica: gli Usa puntano a uscire dalla crisi economica a spese dell’Europa, trasformata in importatrice di gas americano? A quanto pare, ci aspettano 6-7 anni d’inferno: tanto occorre, infatti, per attrezzare il vecchio continente in modo che possa rinunciare al gas russo e passare a quello norvegese e americano. Analoga scelta anche per la Russia: le servono 6-7 anni per sviluppare i nuovi gasdotti verso il più grande mercato industriale del mondo, la Cina. Per l’Europa, pessime notizie: riguardo all’energia e quindi all’economia, l’Unione Europea dipenderebbe al 100% dagli Usa e dai suoi prezzi. Secondo Giulietto Chiesa, dobbiamo aspettarci «una guerra fredda intensificata», perché «saremo sul fronte del combattimento» tra Washington e Mosca e «saremo costretti a pagarne il prezzo». Una sfida pericolosa, perché «l’intera sicurezza europea sarà completamente rivoluzionata, coi missili americani piazzati in Ucraina a 400 chilometri da Mosca».
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Spararono sulla folla a Kiev, erano cecchini della Cia
Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini della Cia coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante a Kiev dell’Unione Europea ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.Le drammatiche “rivelazioni” di Yakimenko, rilasciate alle televisioni russe? «Probabilmente non tutte innocenti, ma certo molto credibili», scrive Chiesa sil “Manifesto”. Tanto più che combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Urmas Paet alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea: il ministro dell’Estonia disse che a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina, bensì i cecchini «assoldati dalle opposizioni». Le accuse, osserva Giulietto Chuiesa, «sono una più grave dell’altra, una più infamante dell’altra». E se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, «ciò vuol dire soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della comunicazione».Yakimenko ha chiamato in causa l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, il vincitore – con Julia Tymoshenko – della ormai sfiorita rivoluzione arancione. Sarebbe stato lui a «lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti nazionalisti seguaci di Stepan Bandera», l’uomo che nella Seconda Guerra Mondiale collaborò con Hitler, e la cui effigie è tornata – dopo tanti anni – sulla piazza Maidan. Quando arrivò Yanukovic, sempre secondo Yakimenko, i “campi paramilitari” non furono chiusi, ma spostati – in Polonia, Lettonia e Lituania. Neppure Yanukovic decise di chiuderli, osserva Chiesa: «Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani», perché evidentemente «l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo forti per poter essere contrastate».Insomma, l’ex capo della polizia politica ucraina sostiene che l’eversione in Ucraina abbia origini lontane: non è stata né spontanea, né improvvisata. «Ha fatto parte di un piano strategico nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione Europea». Certo, continua Chiesa, «in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da tutto il “mondo libero”, indignato per la sua ferocia».Yakimenko sostiene che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di cannocchiale». Gli uomini della sicurezza ucraina erano nella piazza, mescolati alla folla e – dice Yakimenko – videro tutto e riferirono. Ma «non furono gli unici a vedere»: anche i leader di alcuni gruppi estremisti videro che quei cecchini sparavano sulla folla, e si allarmarono al punto da contattare lo stesso Yakimenko, «chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue “teste di cuoio”, il famoso o famigerato “Gruppo Alfa”». Yakimenko, continua Giulietto Chiesa, parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di “Svoboda” e di “Settore Destro”. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». O forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva. E nel frattempo un gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i santi giorni». Sono gli uomini che oggi incarnano il nuovo potere di Kiev.Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante dell’Unione Europea nella capitale ucraina ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.