Archivio del Tag ‘Siria’
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Al-Qaeda non serve più, e gli Usa “licenziano” i sauditi
Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.Secondo Meyssan, se Riyadh non si adegua alla nuova linea di Obama, è a rischio la stessa sopravvivenza dell’Arabia Saudita come Stato: l’emirato petrolifero potrebbe facilmente essere smembrato in cinque unità. «È improbabile che Washington si lasci dettare la propria condotta da alcuni facoltosi beduini, mentre è prevedibile che li rimetterà a posto. Nel 1975, non esitarono a far assassinare il re Faysal. Questa volta, dovrebbero essere ancora più radicali». Lo conferma la presenza alla guida della Cia di un uomo come Brennan, «strenuo oppositore del sistema messo in atto dai suoi predecessori assieme a Riyadh: lo jihadismo internazionale». Secondo Meyssan, Brennan ritiene che, «ancorché questi combattenti abbiano svolto bene il loro compito, un tempo in Afghanistan, Jugoslavia e in Cecenia, siano nondimeno diventati troppo numerosi e troppo ingestibili». Quella che all’inizio era costituita da alcuni estremisti arabi partiti per sparare all’Armata Rossa, è poi diventata una costellazione di gruppi, presenti dal Marocco alla Cina, che si battono per far trionfare il modello saudita di società, più che per sconfiggere gli avversari degli Stati Uniti.Già nel 2001, continua Meyssan, gli Usa avevano pensato di eliminare Al-Qaeda «attribuendole la responsabilità degli attentati dell’11 Settembre». Tuttavia, «con l’assassinio ufficiale di Osama Bin Laden nel maggio 2011, hanno deciso di riabilitare questo sistema per farne ampio uso in Libia e in Siria: senza Al-Qaeda non si sarebbe mai potuto rovesciare Muhammar Gheddafi, come dimostra oggi la presenza di Abdelkader Belhaj, ex numero due dell’organizzazione, come governatore militare di Tripoli». Licenziare i terroristi e i loro gestori mediorientali? “Gettare i Saud fuori dall’Arabia” era il titolo di un powerpoint del 2002 presentato dal Pentagono allora diretto da Donald Rumsfeld. Sono i sauditi, oggi, a mettersi nei guai. Il principe Bandar Bin Sultan, capo dei servizi segreti, in pochi mesi si è messo contro il resto del mondo: ha minacciato la Russia (terrorismo sulle Olimpiadi di Soči), bocciato la politica dell’Onu sulla Siria (promossa anche dalla Cina, super-cliente saudita), rifiutato di parlare al Palazzo di Vetro e annunciato che non userà mai il seggio offerto all’Arabia Saudita al Consiglio di Sicurezza. Quindi ha accusato Israele e l’Iran di accumulare “armi di distruzione di massa”, e ha addirittura annunciato il ritiro dagli Usa degli investimenti sauditi. Gioco pericoloso. Riyadh non ha ancora capito che è terminata la fiction della dittatura medievale travestita da “alleato arabo moderato”, perché – oltre al petrolio – è finita in soffitta la sua arma migliore: il terrorismo “islamico” pilotato dall’intelligence occidentale.Dopo aver minacciato e “insultato” la Russia e la Cina, l’Onu e persino gli Usa, l’Arabia Saudita – che ha deciso di continuare ad alimentare la guerra civile in Siria nonostante il disgelo tra Washington e Mosca persino sull’Iran – ora rischia grosso: il suo petrolio non è più così indispensabile, e in ogni caso l’America non lo comprerebbe sotto ricatto, cioè in cambio della cessione a Riyadh della sua politica in Medio Oriente. Qualcosa di fondamentale sta accadendo, avverte su “Megachip” il giornalista indipendente Thierry Meyssan: per la prima volta, dopo tanti anni, gli Usa stanno abbandonando il loro più decisivo alleato occulto, il network del terrore chiamato “Al-Qaeda”, emanazione diretta dell’intelligence saudita. Agli occhi del nuovo capo della Cia, John Brennan, «lo jihadismo internazionale deve essere ridotto a proporzioni più deboli», tenuto in vita solo come carta di riserva da usare «in alcune occasioni». Lo dimostra la rinuncia della Casa Bianca – di fronte alla fermezza di Putin – a scatenare in Siria l’inizio di una possibile Terza Guerra Mondiale. I terroristi usa e getta? Probabilmente non serviranno più.
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Bombe e stragi: così Israele spiega la prossima guerra
Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.Non è il tema di un war-game apocalittico. Sono parole autentiche, pronunciate l’11 ottobre 2013 dal capo supremo delle Israel Defence Forces, il luogotenente generale Benny Gantz. Il generale spiega così le modalità della “prossima guerra” che attende lo Stato ebraico, e lo fa di fronte agli studenti assiepati nel centro di studi strategici Begin-Sadat, ospitato nel campus dell’università Bar Ilan, vicino a Tel Aviv. Ha parlato a braccio, riferisce Roy Tov su “The Truth Seeker”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Avvertimento all’opinione pubblica: non rilassatevi, il nemico ci minaccia sempre e oggi dispone di nuove capacità operative, niente più scontri frontali tra eserciti ma insidiose azioni di guerriglia, con combattenti mescolati ai civili. Per Israele, conterà «la prova delle azioni», cioè – tanto per cambiare – la capacità di colpire duro e senza esitazioni. Il generale anticipa lo scenario studiato dai suoi strateghi: Hezbollah sparerà salve di razzi sulla Galilea, colpendo le città, mentre le milizie jihadiste «proveranno ad annientare i posti di blocco al confine con Gaza». Forti contraccolpi anche nelle retrovie: una vasta guerra cibernetica coinvolgerà i sistemi militari e anche quelli civili.Il capo di stato maggiore di Israele ammette di temere molto le insidie dell’informatica, che potrebbero paralizzare sistemi di difesa e persino i grossi carri armati Merkava, dotati di sofisticate tecnologie. Degno di nota, secondo “Truth Seeker”, il fatto che egli abbia completamente ignorato il ruolo dell’Iran: un “problema” in più, dopo la crescita della difesa missilistica di Teheran, o è solo diplomazia dopo i primi storici contatti tra Obama e Rohani? Resta, in ogni caso, la vergogna incancellabile della guerra sporca, cioè di ogni vera guerra: «In certi casi – ammette il generale – la potenza di fuoco che affronteremo non ci permetterà di distinguere appieno tra civili e terroristi, e questa confusione si esprimerà operativamente con risultati indesiderabili, che purtroppo costituiscono un elemento integrante della guerra». I famosi “danni collaterali”: la solita macelleria di civili, donne e bambini. Il generale Gantz ha annunciato tranquillamente che continuerà a permettere l’attacco militare contro civili disarmati. «A un generale serbo che avesse rilasciato una simile dichiarazione sarebbe stata mostrata la strada per la Corte internazionale di giustizia», rileva Roy Tov. Ma, evidentemente, «Israele è al di sopra della legge».Succederà fra dieci anni, o magari domani. Il comandante di divisione aprirà gli occhi alle quattro del mattino, svegliato dal suo capo di stato maggiore. Un missile avrà colpito il centro nevralgico della Kira, la difesa israeliana, quartier generale dell’Idf. E magari un cyber-attacco paralizzerà i servizi di tutti i giorni, dai semafori alle transazioni bancarie. Esploderà una bomba in un asilo, introdotta attraverso un tunnel sotterraneo disseminato di trappole esplosive. O ci sarà un massiccio attacco di arabi in una località israeliana vicino al confine, magari sul Golan, dove – dopo quasi quarant’anni di quiete – la frontiera con Siria e Libano è ridiventata instabile e violenta. Scenari realistici: un ordigno esplosivo contro i soldati e un missile anticarro sparato contro una pattuglia israeliana lungo il confine, proprio come nel 2006 quando si scatenò la guerra contro Hezbollah. Tre soldati verranno catturati, uno dei quali comandante di battaglione. Una organizzazione jihadista rivendicherà l’attacco. Così si infiammerà un’altra volta la frontiera di Israele.
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Cecchini killer di feti? Ron Paul: altra ripugnante bufala
Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?Dietro al “Times”, scrive l’Istituto Ron Paul in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, si è allineata l’intera stampa britannica, a cominciare dal “Daily Mail”. Le prove di un gioco così macabro e diabolico? Nessuna: solo voci orecchiate. E chi dice che i killer fossero tiratori scelti del regime? «Sappiamo che gli insorti fanno uso regolare di cecchini», infatti hanno appena ucciso il generale Jameh Jameh, un alto funzionario dell’intelligence di Damasco. «Sappiamo anche che i cecchini ribelli sono rintanati nelle grotte sopra il villaggio cristiano di Maaloula, dove terrorizzano la popolazione e prendono di mira abitualmente gli stessi giornalisti». Accanto all’articolo del “Times”, l’immagine di una radiografia raccapricciante: in evidenza un feto nel grembo materno, con un proiettile di grosso calibro nel cranio. Strano: il proiettile «sembra essere passato attraverso il corpo della madre fino al cranio del feto». Ha penetrato il tessuto molle e, «in modo perfettamente drammatico», si è fermato nel lobo frontale del cervello «senza danni visibili al cranio del bambino». Già: «Perché nessun danno al cranio? Perché nessun punto visibile di entrata?».Inoltre, aggiunge Ron Paul, ci viene detto che i medici stanno operando in condizioni disperate, senza mezzi sanitari. «Perché un medico in una tale situazione di crisi avrebbe avuto il tempo e le risorse per fare i raggi x di un bambino già morto? Ha senso tutto questo?». Domanda: da dove viene quella radiografia? E’ stata fornita ai media britannici da una Ong come “Syria Relief”, che assicura che il referto proviene effettivamente dalla Siria ma, nel suo sito web, è «incredibilmente reticente nel fornire informazioni circa l’organizzazione, i suoi fondatori, i suoi funzionari, i suoi amministratori e i suoi finanziatori». Quanto al dottor Nott, aggiunge l’istituto di Ron Paul, «è interessante notare che, una volta, era medico dell’ex primo ministro britannico e profittatore di guerra Tony Blair». Il “Times” e gli altri? «Come Goebbels, nella loro trasparente propaganda a favore della guerra». Come quando raccontarono la storia – falsa – dei “bambini strappati dalle incubatrici” dai soldati di Saddam nel Kuwait occupato. Attenti ai cecchini, dunque: quelli appostati in Siria, e quelli annidati nelle redazioni del mainstream.Cecchini-killer, così feroci da prendere di mira le gestanti per colpire il feto nel loro grembo. Oltre l’orrore. L’ennesimo crimine del regime di Assad, denunciato dal “Times” di Londra: quei cecchini, probabilmente cinesi o provenienti dall’Azerbaijan, si “giocavano” i nascituri, per ottenere il premio in palio: sigarette. La fonte? Un medico britannico, David Nott, reduce da alcune settimane in Siria come volontario. Agghiacciante, se fosse vero. Dubbi? No, certezze: non c’è nessuna prova a supporto di questa storia allucinante. E lo stesso dottor Nott ha ammesso che quelli sull’identità dei cecchini, che avrebbero colpito 7-8 donne, erano soltanto “pettegolezzi”. Per l’istituto di Ron Paul, ginecologo ed ex deputato statunitense, è uno scandalo: come fa il “Times” di Rupert Murdoch a spacciare per vere simili storie? Dov’è finito quello che un tempo si chiamava giornalismo?
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Grazie a Putin, il mondo allontana l’incubo della guerra
Due missili Tomahawk, sparati contro la Siria ma intercettati dalla flotta russa schierata di fronte a Damasco: citato da molte fonti (ma non confermato da nessuna autorità) questo episodio potrebbe aver “convinto” gli americani a rinunciare all’attacco. Da quel momento, sostiene lo scrittore ebreo russo Israel Shamir, tutto è cambiato di colpo: Obama è giunto a parlare direttamente col presidente dell’Iran, irritando Tel Aviv, e l’Esercito Siriano Libero ha accettato di dialogare con Assad, spiazzando gli alleati jihadisti. Ora il presidente Usa ha potuto utilizzare il rischio-collasso della finanza federale per depennare la guerra (e i suoi costi folli) dall’agenda della Casa Bianca. La crisi siriana tra America e Russia è stata «rapida e rischiosa quanto la crisi dei missili a Cuba nel 1962: le probabilità di un conflitto mondiale erano alte». E i contraccolpi saranno epocali, sostiene Shamir, che quando crollò il Muro di Berlino era a Mosca e scriveva per il quotidiano israeliano “Haaretz”. Potrebbe essere la fine dell’Urss, disse ai dirigenti del Politburo. Gli risero in faccia, ma due anni dopo l’Unione Sovietica non c’era più.Ben lieto, Obama, di scrollarsi di dosso la casta militare-industriale? Di sicuro ha colto al volo l’assist di Londra (Cameron bloccato dal Parlamento) per chiedere a sua volta l’ok del Congresso, come alibi per fermare la macchina da guerra. «Non aveva nessuna voglia di dare il via all’Armageddon da solo», e dopo aver «tentato di intimorire Putin al G-20 di San Pietroburgo, ma senza successo», il capo della Casa Bianca «ha salvato la faccia» proprio grazie alla proposta russa di rimuovere le armi chimiche siriane. Disavventura che «ha inferto un colpo magistrale all’egemonia, alla supremazia e all’eccezionalità degli Usa». Attenzione: «Con la fine dell’egemonia statunitense, i giorni del dollaro come valuta delle riserve mondiali sono contati». E se la Terza Guerra Mondiale stava quasi per scoppiare, «dobbiamo dire grazie ai banchieri: hanno troppi debiti, compreso l’insostenibile debito estero degli Stati Uniti». Sicché, «se quei Tomahawk fossero volati, i banchieri si sarebbero appellati alla causa di forza maggiore e non avrebbero più onorato il debito. Milioni di persone sarebbero morte, ma miliardi di dollari si sarebbero salvati nei caveau di Jp Morgan e Goldman Sachs». Sono loro, gli uomini di Wall Street, i veri sconfitti: «Gli Stati Uniti dovranno trovare delle nuove occupazioni per tantissimi banchieri, carcerieri, militari e anche politici».Il mondo è cambiato, avverte Shamir, e ce ne accorgeremo. «La ribellione russa all’egemonia americana è iniziata a giugno, quando il volo dell’Aeroflot da Pechino che portava Ed Snowden è atterrato a Mosca», dove il dissidente Cia-Nsa minacciato da Obama ha ricevuto asilo politico. Niente a che vedere con la Russia in macerie degli anni ’90, troppo debole per opporsi alla devastazione Nato della Jugoslavia e all’irruzione delle truppe occidentali verso Est, condotta «infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov». Altro passo cruciale, la distruzione della Libia: per nessuna ragione Putin avrebbe sarebbe rimasto alla finestra anche in Siria, dove però la decisiva resistenza di Mosca «non sarebbe stata possibile senza il sostegno della Cina», anch’essa “scesa in campo” per la prima volta, con navi militari inviate nel Mediterraneo. «Miracolosamente, in questo tiro alla fune bellico, i russi hanno avuto la meglio», osserva Shamir. Le alternative sarebbero state tremende: «La Siria sarebbe stata distrutta come la Libia, i cristiani d’Oriente avrebbero perso la loro culla e l’Europa sarebbe stata invasa di milioni di rifugiati».La Russia ha capito che, se stavolta non avesse agito con fermezza, «sarebbe apparsa come potenza inutile, incapace di difendere i propri alleati», incoraggiando così l’inesauribile aggressività degli Usa. «Tutto quello per cui Putin aveva lavorato per tredici anni sarebbe sfumato: la Russia sarebbe tornata indietro al 1999, quando Clinton fece bombardare Belgrado». Il punto più critico dello scontro tra i due presidenti? «Putin era infastidito dall’ipocrisia e dall’insincerità che avvertiva in Obama». La Siria, ha chiarito il capo del Cremlino a Bridget Kendall della Bbc, si era dotata di armi chimiche per cautelarsi dalla minaccia nucleare di Israele: per l’Occidente le bombe atomiche di Netanyahu non sono un problema? «Putin ha tentato di parlare amichevolmente con Obama», racconta Shamir. Gli ha chiesto: «Che pensi della Siria?». E Obama: «Sono preoccupato che il regime di Assad non osservi i diritti umani», cioè i diritti infranti dai miliziani jihadisti armati dagli Usa, che hanno scatenato la guerra civile in Siria. «A Putin sarà quasi venuto da vomitare di fronte alla sconcertante ipocrisia di quella risposta». Così, il Cremlino ha deciso di varcare il Rubicone: sfidare apertamente l’America, per evitare la Terza Guerra Mondiale. Il futuro è più che mai incerto, conclude Shamir, ma negli Usa ci sono anche politici come il senatore Ron Paul, che sollecita l’abbandono delle basi militari all’estero e il taglio alla spesa bellica, restituendo sovranità al pianeta. Se così fosse, «il mondo potrà ancora amare l’America».Due missili Tomahawk, sparati contro la Siria ma intercettati dalla flotta russa schierata di fronte a Damasco: citato da molte fonti (ma non confermato da nessuna autorità) questo episodio potrebbe aver “convinto” gli americani a rinunciare all’attacco. Da quel momento, sostiene lo scrittore ebreo russo Israel Shamir, tutto è cambiato di colpo: Obama è giunto a parlare direttamente col presidente dell’Iran, irritando Tel Aviv, e l’Esercito Siriano Libero ha accettato di dialogare con Assad, spiazzando gli alleati jihadisti. Ora il presidente Usa ha potuto utilizzare il rischio-collasso della finanza federale per depennare la guerra (e i suoi costi folli) dall’agenda della Casa Bianca. La crisi siriana tra America e Russia è stata «rapida e rischiosa quanto la crisi dei missili a Cuba nel 1962: le probabilità di un conflitto mondiale erano alte». E i contraccolpi saranno epocali, sostiene Shamir, che quando crollò il Muro di Berlino era a Mosca e scriveva per il quotidiano israeliano “Haaretz”. Potrebbe essere la fine dell’Urss, disse ai dirigenti del Politburo. Gli risero in faccia, ma due anni dopo l’Unione Sovietica non c’era più.
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Facciamo esplodere la Siria, poi piangiamo per gli sbarchi
Era completamente falsa la “notizia” strombazzata per due giorni, in primis da “Repubblica”, degli “scafisti siriani” che, a cinghiate, avrebbero costretto i migranti a uccidersi, gettandosi dal gommone proveniente dalla Libia nel mare davanti Scicli. Una notizia vera ha trovato, invece, pochissimo spazio sul mainstream: secondo l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono sempre di più i siriani che approdano sulle nostre coste: lo fanno per fuggire dalle bande di mercenari che stanno insanguinando quella nazione, e dalla conseguente reazione dell’esercito siriano, ma soprattutto, per fuggire dalla fame e dalla miseria esplose in Siria col feroce embargo decretato due anni fa dall’Unione Europea, Italia compresa. E i motivi di questo embargo, accusa Francesco Santoianni, sono politici e scritti nero su bianco: l’obiettivo è costringere la popolazione a ribellarsi ad Assad. «Una “primavera araba” dettata dall’Occidente, che ha già fatto 100.000 morti e due milioni di profughi».
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Migranti: diritti e traghetti sicuri, o non siamo più umani
Traghetti. La prima cosa che ci vuole sono traghetti sicuri verso porti accoglienti. Quand’anche i politici non possano dirlo apertamente, è questa la prima ovvia necessità se si vuole evitare che il Canale di Sicilia si trasformi in una nuova Fossa delle Marianne. Quel tratto di mare non è di per sé insidioso per la navigazione; diventa tale quando lo solcano barche malconce e stipate all’inverosimile. Peggio dei vagoni merci diretti a Auschwitz esattamente settant’anni fa, se proprio vogliamo fare il calcolo del numero di persone ammucchiate in una superficie più o meno analoga. La differenza è che ad Auschwitz ci si andava deportati a morire, contro la propria volontà. Mentre sulle carrette del mare le persone si imbarcano volontariamente, pagando cifre con cui sugli aerei si viaggia in business class, nella speranza di vivere.
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11/9, ora l’America sa che il governo le ha mentito
Hanno davvero assassinato tremila innocenti per poi avere l’alibi per invadere il mondo? I retroscena sull’11 Settembre, ancora giudicati “puro delirio cospirazionista” dal mainstream, stanno facendo passi da gigante: di fronte all’aggressione della Siria, l’ex deputato Dennis Kucinich ha detto che gli Stati Uniti «diventeranno ufficialmente l’aeronautica militare di Al-Qaeda», ma l’America ne ha avuto abbastanza: nove americani su dieci erano contrari all’invasione. E a proposito dell’11 Settembre, un incredibile 84% delle persone oggi dice che il governo sta mentendo. «Disponiamo di precedenti documentati storicamente che dimostrano come il governo sia pronto a commettere i peggiori crimini contro la propria stessa popolazione». Grazie a “Consensus 9/11”, il board di tecnici indipendenti che ha smontato la verità ufficiale, emerge in tutta la sua minacciosa potenza la tesi peggiore, quella della strategia della tensione: senza esplosivo, le Torri Gemelle non sarebbero mai crollate. Lo dicono ex funzionari dell’intelligence, ingegneri, vigili del fuoco.
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Lampedusa, l’Europa di Schengen e l’Italia di Alfano
Ancora una volta, di fronte all’ennesima strage del proibizionismo, questa volta di proporzioni agghiaccianti, si prova ad additare come unici responsabili gli “scafisti”. Arrestare qualche povero disgraziato, di solito egli stesso esule o migrante, vale a tacitare le nerissime coscienze dei tanti che concorrono a perpetuare e moltiplicare l’ecatombe mediterranea. Serve ad additare un capro espiatorio per occultare le responsabilità dei decisori europei e dei ceti politici nostrani, di ogni tendenza, che del proibizionismo e della politica dei “respingimenti” hanno fatto un dogma da rispettare ad ogni costo umano. Solo una quindicina di giorni fa Angelino Alfano, feroce “colomba”, dichiarava che «va potenziata la frontiera europea nel Mediterraneo e il ruolo di Frontex, anche perché in questi flussi si annidano cellule terroristiche».
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Hersh: giornalisti bugiardi e cialtroni, ne caccerei 9 su 10
Pavidi, pigri e puntualmente “distratti”, di fronte a notizie scomode. In una parola: bugiardi. Giornalisti, brutta gente: bisognerebbe cacciarne a pedate il 90%. Sarebbe l’unico modo per restituire credibilità alle cronache, fornendo all’opinione pubblica un’informazione finalmente sincera. Lo sostiene un grande reporter come Seymour Hersh, vincitore del Premio Pulitzer e autore di inchieste dirompenti, dal Vietnam all’Iraq. Hersh è scandalizzato dalla sistematica disinformazione del mainstream: menzogne colossali, dalla presunta morte di Osama Bin Laden nel blitz in Pakistan – una storia spudorata e completamente inventata – fino alle reticenze omertose sul caso Snowden, che ha smascherato il super-potere spionistico della Casa Bianca. Come se ne esce? Non c’è che una soluzione: bisognerebbe licenziare in tronco nove giornalisti su dieci, specie quelli dei network più influenti come le reti televisive americane “Nbc” e “Abc”. Per andare finalmente a caccia della verità occorre «tornare al lavoro fondamentale del giornalista, che è quello di essere un outsider».
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Dopo la Siria, sollevazione anti-Usa: non fate più paura
Nel 1991, gli Stati Uniti avevano considerato che la fine del loro grande rivale liberava il loro budget militare e permetteva loro di sviluppare la propria prosperità. Il presidente George H. Bush (il padre) aveva cominciato, dopo l’operazione Desert Storm, a ridurre le dimensioni delle sue forze armate. Il suo successore, Bill Clinton, rafforzò questa tendenza. Tuttavia, il Congresso repubblicano, eletto nel 1995, rimise in questione questa scelta e impose un riarmo senza nemici da combattere. I neo-conservatori lanciarono il loro paese all’assalto del mondo per creare il primo impero globale. Fu solo in occasione degli attentati dell’11 settembre 2001 che il presidente George W. Bush (il figlio ) decise di invadere successivamente l’Afghanistan e l’Iraq, la Libia e la Siria, poi la Somalia e il Sudan, e di terminare con l’Iran, prima di volgersi verso la Cina.
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Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere
Il governo Letta è andato a gambe all’aria. L’annuncio, con le dimissioni dei ministri Pdl, è arrivato un sabato di settembre e subito è partito il coro greco degli italiani, abituati al pianto a comando. Un governo sciapo, inconsistente, immobile. Perché piangere? Guardi Letta, imbronciato come un bimbo cui sia stato rotto il trenino e pensi, quest’uomo conosce la coerenza? Il 24 giugno 2012, intervistato da Arturo Celletti di “Avvenire”, s’era scagliato contro Berlusconi e Di Pietro parlandone come di «un male per l’Italia» e, della crisi, come «ossigeno per le forze antisistema», tanto da augurarsi un «grande progetto per il paese» sotto forma di «offerta politica capace di attrarre e convincere: noi, Casini e Vendola. Funzionerebbe. Avrebbe appeal europeo. Avrebbe forza». Sappiamo com’è andata a finire. E ancora, il 26 giugno, intervistato da Teresa Bartoli del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, eccitato dall’idea di un patto per arginare il populismo incarnato da Berlusconi, Di Pietro e Grillo: «La questione chiave è l’esclusione del populismo.
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Cala il sipario sulla poltiglia chiamata Seconda Repubblica
La crisi di governo si incrocia da subito con una profonda crisi istituzionale. Beppe Grillo sta già chiedendo perfino le dimissioni di Giorgio Napolitano. Quando il Pd e il Pdl rielessero il Peggiorista del Quirinale, parlammo di “vilipendio al popolo italiano”. Ci risultava ben chiaro che Napolitano Due avrebbe dato vita a un governo peggiore di quello – già disastroso – di Rigor Montis (il minor economista della nostra epoca, che Napolitano Uno aveva fatto senatore a vita per poi indirizzarlo a Palazzo Chigi). Peccavamo però di ottimismo. Nemmeno certi governi balneari di Giovanni Leone o di Amintore Fanfani al suo crepuscolo avevano congelato in modo tanto miserabile la funzione di governo quanto il governo di Enrico Letta, ora al capolinea. Perciò la crisi rivela bene quanto siano cadute in basso le cupole delle “larghe intese”. Al minimo di azione di governo (un minimo sotto zero), è corrisposto il massimo di fuga in avanti per stravolgere l’assetto della Repubblica.