Archivio del Tag ‘soldati’
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Siria-Turchia, Phantom disarmati per giornalisti imbecilli
Mentre le notizie dalla Siria dicono, giorno dopo giorno, che la guerra sta trascolorando da “civile” in guerreggiata; da “bassa intensità” a livello libico, vorrei ritornare alle cose lette sulla stampa italiana, e viste su tutte le tv italiane, a proposito dell’abbattimento del Phantom turco nei cieli della Siria. Avevo avuto l’impulso, inizialmente, di proporre la costituzione immediata di un comitato di solidarietà con i Phantom turchi che viaggiano disarmati dentro lo spazio aereo siriano, o nelle sue immediate vicinanze. Sono sicuro che avrei avuto la firma immediata dei direttori della “Stampa”, del “Corsera” e di “Repubblica”, tutti uniti nella deprecazione della violenza aggressiva dell’esercito siriano. Ma poi ho pensato che neanche l’ironia, o il sarcasmo, sarebbe capace di far sorgere nelle loro menti un qualche dubbio. Sebbene dovrebbero porsi almeno l’interrogativo sul cosa ci facesse, da quelle parti, un Phantom turco, per giunta disarmato, in piena zona di guerra.
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Video-choc: lo stragista di Tolosa era una pedina degli 007
«Va’ all’inferno, traditore. Mi hai mandato in Iraq, Pakistan e Siria per aiutare i musulmani. E ora ti riveli essere un criminale e un capitano dei servizi francesi. Non lo avrei mai creduto». A parlare è Mohammed Merah, lo stragista franco-algerino di Al Qaeda poi ucciso a Tolosa dalla polizia, nell’alloggio in cui si era asserragliato dopo aver commesso l’ennesimo attentato. Merah parla in un video e accusa il suo migliore amico, Zouheir: «Mi ucciderete senza un motivo», dice, ma «siete voi che mi avete messo in questa situazione». Merah si congeda drammaticamente da Zouheir: «Non ti perdonerò mai». Il giovane attentatore, scrisse il “Foglio” già il 22 marzo «grazie a fonti dei servizi», era nientemeno che «un’operazione dell’intelligence francese finita male». Un infiltrato “inconsapevole”, incaricato di organizzare stragi da attribuire poi a paesi come la Siria, accusati di ospitare terroristi.
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La guerra democratica: noi ipocriti, i peggiori assassini
Con un profetico bestseller, Giulietto Chiesa la battezzò “la guerra infinita”: era l’incubo che doveva metter fine al breve sogno della pacificazione globale, dopo il lungo inverno della guerra fredda. I Grandi si promisero una pace duratura, ma mentivano: appena l’Urss abbassò le armi, l’America ne approfittò per assediarla e conquistare posizioni in tutto il mondo. «Da quando è crollato il contraltare sovietico – dice oggi Massimo Fini – le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in vent’anni». Così, la “guerra asimmetrica” di cui parlava Giulietto Chiesa – potenti eserciti super-tecnologici contro sparute armate di miliziani irregolari e vaste stragi di civili – è ora la “guerra democratica”, nella traduzione di Massimo Fini: oggi il boia siamo noi, l’Occidente “umanitario” e ipocrita, che uccide a distanza, rifiutandosi di guardare in faccia le vittime dilaniate, a migliaia, da missili-killer che cadono lontano dalle nostre case.
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Un testimone: le milizie anti-Assad massacrano i siriani
Sono originario di Homs. Vivevo nel quartiere di Bab Sebaa. A metà aprile del 2011, gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi pacificamente nel centro di Homs, sulla via Al-Kowatly, per chiedere riforme. Ben presto, però, la gente ha cominciato a sospettare di queste manifestazioni, c’era qualcosa di strano, di poco chiaro: taluni avevano comportamenti provocatori, estranei al sentire comune del nostro paese, ad esempio lanciavano slogan che incitavano alla Jihad. Molto rapidamente tutte le persone che conoscevo hanno smesso di manifestare, non si sentivano più a loro agio e concordi con questo genere di proteste del venerdì, all’uscita dalle moschee.
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Scandalo, guerra segreta: soldati francesi catturati in Siria
Nel prendere la roccaforte degli insorti nel quartiere di Bab Amr, a Homs, l’esercito siriano ha fatto più di 1.500 prigionieri, per lo più stranieri. Di questi, una dozzina di francesi hanno chiesto lo status di prigioniero di guerra fornendo la loro identità, il grado e il corpo di appartenenza. Uno di questi è un colonnello del servizio trasmissioni della Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure). Nell’armare la rivolta wahhabita e nel fornirle informazioni satellitari, la Francia ha dunque condotto una guerra segreta contro l’esercito siriano, che ha portato, in dieci mesi di combattimenti, all’uccisione di circa 3.000 militari e oltre 1.500 civili.
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2012, Israele-Iran: la guerra di Obama per oscurare la crisi
Minacce, sanzioni economiche, test missilistici e manovre navali nel Golfo. Il palcoscenico della guerra è sotto gli occhi di tutti, ma quello che conta procede sottotraccia, da Washington a Tel Aviv. Obama ha firmato una legge straordinaria contro il dissenso, che consente la “detenzione a tempo indeterminato” di cittadini americani. E intanto sta trasformando Israele nella base di lancio per l’attacco contro l’Iran. In agenda, le grandiose esercitazioni congiunte della primavera 2012. Usa e Israele insieme, a comando unificato e con quartier generale a Stoccarda, cuore europeo del sistema difensivo americano in Europa. Il pericolo? L’escalation militare. Se voleranno missili contro Teheran, l’Iran reagirà. A quanto pare, è esattamente quello che gli Usa vogliono: una guerra globale, per azzerare i conti della crisi.
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Israele, scuola di odio: oggi bimbi, domani killer in uniforme
Palestinesi? No, meglio: arabi. A meno che non ci sia di mezzo l’argomento principe: il terrorismo. Allora, come d’incanto, gli “arabi” che vivono tra Betlemme e Gaza diventano, magicamente, “palestinesi”. Per il resto, rimangono semplicemente “arabi”, magari a dorso di cammello, vestiti come Ali Babà. «Spregevoli, devianti e criminali, gente che non paga le tasse, che vive a spese dello Stato, che non vuole progredire». E’ quello che raccontano i libri di testo israeliani, che a partire dalla scuola elementare preparano i futuri soldati di leva a prendere a fucilate gli “arabi” dei Territori Occupati e magari qualche scomodo attivista loro amico, come l’americana Rachel Corrie o l’italiano Vittorio Arrigoni. Un’indecenza, alla quale ora si ribella una docente universitaria israeliana, Nurit Peled-Elhanan.
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Quale pace? Gli afghani festeggiano quando ci uccidono
Con Roberto Marchini i caduti italiani in Afghanistan sono saliti a 40. Cifra che impressiona ma che, in dieci anni di guerra, non è particolarmente rilevante. I danesi, con un contingente che è un quarto del nostro, ne hanno avuti altrettanti. Gli inglesi 364 su 9500 (stime ad aprile) cioè, proporzionalmente, il quintuplo degli italiani. È la logica e oserei dire anche l’etica, della guerra dove lo speciale diritto di uccidere ha come contraltare la possibilità di essere, altrettanto legittimamente, uccisi. Per questo danno fastidio le consuete e ipocrite geremiadi istituzionali quando un soldato italiano muore in Afghanistan come se si trattasse di qualcosa di inaccettabile, di inesplicabile.
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Guerra, tedeschi choc: che divertimento, uccidere gli italiani
«In Italia, in ogni luogo dove arrivavamo, il tenente ci diceva sempre: cominciate ad ammazzarne un po’». Lo racconta tranquillamente, a un compagno di prigionia, un caporale della Wehrmacht. E’ una delle tante conversazioni registrate dai servizi segreti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, a insaputa dei soldati tedeschi fatti prigionieri. Confessioni rubate, che costituiscono la sconvolgente novità dell’ultimo libro di Soenke Neitzel e Harald Welzer, in uscita in Germania. «Con la precisa freddezza degli storici – scrive Andrea Tarquini su “Repubblica” – il libro racconta una realtà agghiacciante, che nel dopoguerra i tedeschi avevano amato rimuovere: la Wehrmacht non fu l’esercito implacabile ma “pulito” e cavalleresco, fu nell’animo collettivo pieno complice sia dell’Olocausto, sia dei crimini di guerra».
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Un anno di Emergency? La Russa lo spende in due giorni
Restare in Afghanistan, nonostante le ultime perdite – i quattro alpini rimasti uccisi a Farah – e anche se niente va come vorremmo. Secondo l’ex ambasciatore Sergio Romano, ora editorialista del “Corriere della Sera”, è necessario che l’Italia, insieme alle altre forze europee, resti nel paese asiatico al fianco delle truppe statunitensi «per obbligo di lealtà verso un alleato, Barack Obama, che fa del suo meglio per uscire da una situazione di cui non è personalmente responsabile». Con quello che il ministro La Russa spende in due giorni, replica Maso Notarianni, direttore di “PeaceReporter”, «si mantiene per un anno l’intero programma di “Emergency” in Afghanistan: un modo migliore e più economico per “sconfiggere al-Qaeda”».
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Macelleria Afghanistan, altro sangue italiano dal fronte
Ancora morte in Afghanistan fra i soldati italiani: il 17 maggio è toccato a due giovani alpini, dilaniati dall’esplosione di un ordigno che ha sventrato il veicolo blindato “Lince” sul quale viaggiavano, alla testa di un convoglio Isaf diretto a Bala Murghab, verso il principale teatro di combattimento settentrionale delle truppe italiane. Alpini, bersaglieri e paracadutisti sono impegnati da un anno in una lenta avanzata verso nord contro le forze talebane che controllano le aride vallate a ridosso del confine turkmeno, in una guerra che ora fa paura anche agli Usa: popolazione, parlamentari e persino militari sono sempre più critici.
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Usa, malati di guerra: 18 suicidi al giorno tra i reduci
Ogni giorno negli Usa diciotto veterani, per lo più reduci di guerra, si suicidano. Lo riferisce “Army Times”, settimanale di militari diffuso fra gli operatori delle forze armate negli Stati Uniti. Ogni giorno sono in trenta a tentare il suicidio, diciotto dei quali, appunto, ci riescono. Degli altri dodici, meno di cinque ricevono assistenza da “Veterans Affairs”, considerato uno dei migliori programmi sanitari del paese. Quelli dei reduci rappresentano oltre un quinto dei 30.000 suicidi annuali degli Usa.