Archivio del Tag ‘titolo V’
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Sapelli: Draghi contro Merkel, verso un’Ue democratica
Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero”. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».L’Europa, dice Sapelli, dovrebbe avere tutto l’interesse a mantenere ottime relazioni con l’Inghilterra, «madre di ogni democrazia e Stato più civile e giuridicamente più evoluto di tutti». Per il professore, alla Ue gli inglesi «hanno dato solo cose positive, come certe ottime regole per la governance delle imprese che noi abbiamo applicato male». Angela Merkel? «Non ha saputo sfruttare i vaccini e va verso una sconfitta storica, che in parte già abbiamo visto». Scandisce Sapelli: «La cancelliera si disvela per ciò che è: una politica che ha fatto solo tattica e non ha mai avuto una strategia». E spiega: «Quando vedi il modo in cui si comporta la Merkel con l’Inghilterra, capisci la differenza che c’è tra una potenza marittima come quella inglese, che come tale ha un futuro, e una potenza di terra come la Germania, che senza la guerra non ha futuro. Alla cecità della Merkel, poi, si è unito il tradizionale astio dei francesi verso gli inglesi». E noi? «L’Italia è una potenza di nulla, il problema è proprio questo. Per collocazione dovremmo essere una potenza talassocratica, però non ci siamo mai riconosciuti come tale. Abbiamo preteso di essere una potenza di terra stando in mezzo al mare: una storia tragica».Però la storia la fanno anche gli individui, sottolinea Sapelli. Ed ecco Mario Draghi: «E’ un politico, non un tecnico. Un fine politico non eletto, figura di cui è ricca la storia mondiale. È un uomo che quando si è laureato è andato negli Stati Uniti, e lì è diventato il pontiere tra Washington e Roma: ottima cosa, per noi». Sapelli definisce Draghi un uomo di mediazione: «Sa che i partiti non ci sono più, ma il Parlamento c’è ancora, e quindi lui deve trovare il modo di far passare le proprie leggi: anche attraverso un’attenta applicazione del manuale Cencelli, se serve». È normale che un “fine politico non eletto” arrivi alla guida del governo? «L’Italia non ha più uno Stato di diritto», sostiene Sapelli. «Dopo la legge Bassanini del 1997 e la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, tra Stato e Regioni non si sa più a chi appartengano le competenze. Si aggiunga che un ordinamento come la magistratura è diventato un vero e proprio potere, e si capisce perché la Costituzione italiana non funziona più. Questa situazione permette che emergano persone competenti, che conoscono lo Stato, o meglio ciò che ne rimane».Se anche Fratelli d’Italia fosse entrata nella maggioranza, secondo il professore, sarebbe stato il segno decisivo che ciò che rimane dell’Italia è unito. «Perché qui corriamo il pericolo di tornare ai livelli di prodotto interno lordo che avevamo prima del 2000. Stiamo sprofondando nell’ultimo decennio del Novecento: nel Mezzogiorno già è così». Sprofonda anche l’Unione Europea di Ursula von der Leyen, bocciata alla prima prova decisiva. «Ho conosciuto suo padre, Ernst Albrecht: grande intellettuale protestante», racconta Sapelli. «Fu direttore generale della Commissione Europea, e questo dice molto anche sulla famosa tecnocrazia, fatta di famiglie dove il potere si trasmette per via ereditaria. Però lei non è assolutamente all’altezza del compito, come non lo è questo Armin Laschet, diventato nuovo presidente della Cdu. È l’ennesima prova che la Merkel è di una povertà intellettuale e politica sconcertante: è il filisteismo tedesco fatto persona». Sapelli critica i contratti firmati dalla Commissione Europea con AstraZeneca: «Nemmeno uno studente che deve dare l’esame di diritto privato avrebbe fatto una cosa del genere: il confronto con i contratti preparati dagli inglesi è imbarazzante».Nel Regno Unito, sintetizza il professore, c’è la “common law”, che si basa su un’antropologia positiva: fai, intraprendi, e i controlli dello Stato verranno dopo. «Dietro al diritto romano e germanico (e al codice napoleonico) c’è invece un’antropologia negativa: prima lo Stato, poi il cittadino. Così, i contratti della Ue non si preoccupano di fare arrivare prima i vaccini, ma di spendere meno ed evitare la corruzione: una follia. Siamo in mano a persone irresponsabili». Il grande colpevole? Berlino. «Peggio della leadership tedesca non può esserci nulla. Non facciamoci paralizzare da questa questione: è come se gli antifascisti si fossero rifiutati di combattere il fascismo perché la caduta del fascismo avrebbe aperto le porte al disordine». Per Sapelli, «è tempo di un nuovo Quarantotto europeo». Una rivoluzione come quella del Risorgimento, per dare all’Ue uno statuto finalmente democratico. «O si fa così, o ci sarà una lunghissima crisi di cui pagheranno il prezzo i poveri, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i precari, le classi medie. Un’agonia senza fine, ecco qual è l’alternativa».Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero“. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».
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Cacciari: grazie a Conte e al Pd, è in arrivo una catastrofe
Per la Fase 2 post-Covid facevo il tifo per il governo Conte? Non ricordatemelo. Speravo che partendo da una condizione di emergenza, da uno stato di necessità, Pd e M5S riuscissero a elaborare un minimo di strategia. E invece non c’è stata nessunac composizione di contrapposte visioni. Sono due partiti deboli all’esterno e deboli al loro interno. Né il Pd né il M5S hanno preso atto delle trasformazioni avvenute; e l’epidemia, invece che fare da collante, ha accentuato le rispettive debolezze e messo in luce l’assenza di strategia. Il risultato è che non abbiamo un governo che governi la crisi. Siamo alla paralisi. Decreto legge Crescita, dl Rilancio? Un profluvio di decretazione d’urgenza, decreti incasinati, procedure complicate: un inno alla burocrazia e all’assistenzialismo. Guardate cosa hanno combinato con il bonus per le vacanze, l’albergatore che decidesse di accettarlo sarebbe un pazzo. Dal reddito di cittadinanza in poi, i bonus e le indennità sono la cifra del Movimento 5 Stelle. Il M5S sta mettendo in luce la sua inadeguatezza di forza di governo. Il problema vero però è il Pd, che non riesce a imporre un cambio di passo. Sta mostrando l’inconsistenza e l’inconcludenza della sua leadership. Per l’economia vera, per le imprese, per l’occupazione, non c’è nulla. Non so come affronteremo l’autunno.
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Carpeoro: è tutto ipocrita, dal referendum alla Costituzione
Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente. Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita. E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente? Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso? Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare. Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa? Ma come ragionano, costoro? Non capiscono la grevità di questo sistema di potere. E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla. Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie? Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma. E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così. Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione. Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.Ti è consentito urlare nelle piazze, e poi arrivi anche tu a una fettina di potere, ti eleggi cinque sindaci, venti parlamentari, ma tu sei costretto a essere come gli altri – sei costretto, non puoi scegliere. Oggi, dire che uno è anti-sistema è diventato quasi un’offesa. Per me no: per me, dire che uno è anti-sistema non è un’offesa. Quale effetto e che peso hanno avuto gli ultimi 12-15 referendum che si sono fatti in Italia? Non serve cambiare le leggi, se non si cambia la burocrazia di questo paese. Puoi cambiare il sindaco, ma non il segretario generale. Non è strano che la Raggi, a Roma, si sia presa un personaggio come Marra, cioè esattamente il burocrate che c’era prima? Se non cambi il paradigma, tu puoi cambiare Costituzione e Titolo V, ma le regole sono vuote, senza le persone che poi le devono interpretare e applicare. Le regole possono anche essere buone, se le persone che le devono gestire sono positive. Non vi è nulla di più mobile di una regola, di una legge: la interpreti come vuoi.L’immunità parlamentare: perché nasce? Perché Mussolini gli onorevoli li aveva quasi incarcerati, per non farsi fare opposizione. Così si è fatta la legge sull’immunità, per fare in modo che il parlamentare non fosse attaccabile. Peccato che poi l’immunità parlamentare, che avrebbe dovuto servire soprattutto per reati d’opinione, è stata usata per coprire la corruzione e la mafia, perché i parlamentari che abbiamo eletto sono dei mascalzoni. Quindi, risolvere il problema alla radice significa trovare le formule per non eleggere dei mascalzoni – e non invece togliere l’immunità parlamentare. In che modo questo paese seleziona la sua classe dirigente? Stirpe familiare, potere economico, funzionalità ai sistemi di potere sovranazionali: questi sono gli elementi per cui Monti diventa presidente del Consiglio e Renzi fa quello che fa. Dice che si dimette, se perde il referendum? Il presidente della Repubblica è già pronto a chiedergli di non lasciare l’Italia senza governo; Renzi resterà, magari ottenendo dai suoi padroni europei qualche piccola concessione di facciata.Noi dovremmo rivedere radicalmente queste modalità di selezione della classe dirigente, ma non lo facciamo. E in nessun modo ci insospettisce e ci allarma il fatto che i vertici dei 5 Stelle siano abituali frequentatori di consolati e di sistemi dei servizi segreti americani: lo consideriamo un fatto normale. Ma, finché avremo questo tipo di selezione della classe dirigente, qualunque legge fai, qualunque modifica della Costituzione, non ha effetto. Qualcuno mi dice: eh, ma potrebbe non esserci più democrazia, in caso di vittoria del Sì al referendum. Ah sì? E dov’è la democrazia, in Italia? Abbiamo taroccato le elezioni, compresi i 5 Stelle a Palermo. Di quale ipocrisia ci stiamo nutrendo? Noi non abbiamo una mentalità democratica. Noi riteniamo sacra una Costituzione che è stata fatta dopo un referendum, e che ha messo fuori legge quelli che l’avevano perso, il referendum, cioè i monarchici. Noi abbiamo una Costituzione che non consente al popolo di metterla in discussione.Se il regime è stato scelto con un referendum, perché quella stessa Costituzione dice che non si può tornare indietro? Se il popolo cambia idea, si deve poter tornare indietro. Altro che “la più bella del mondo”: quella Costituzione è nata antidemocratica. E’ nata su un grave attentato alla democrazia: chi ha vinto il referendum ha messo fuori legge chi l’ha perso. I Savoia si erano macchiati di gravi crimini? E allora non lo fai, il referendum. Così li si è legittimati. Li si doveva processare subito, senza fare nessun referendum. Noi siamo ipocriti, dobbiamo sempre mettere la foglia di fico sulla vergogna. Le responsabilità sono sempre individuali. Tutti sanno che il ramo legittimo della monarchia italiana sarebbe quello degli Aosta, non quello dei Savoia. E, fino a prova contraria, Amedeo d’Aosta aveva pure fatto il partigiano. Beninteso: io non sono un monarchico, sono un socialista. Ma perché delegittimare, come facciamo ancora adesso, una forma, quella della monarchia costituzionale, che governa mezza Europa? Svezia, Inghilterra, Belgio, Spagna. Già, perché?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nighs” durante la diretta streaming “Carpeoro risponde”, su YouTube il 20 novembre 2016).Noi viviamo di ipocrisia, non ragioniamo laicamente. Questo è un referendum ipocrita, fatto su una legge ipocrita, da un capo del governo ipocrita, con un’opposizione ipocrita. E uno perché si deve prestare a tutta questa ipocrisia, se tanto sa che dopo non cambia niente? Se passa il Sì verremmo assoggettati all’Europa? Caspita, e ce ne accorgiamo adesso? Tutti gli accordi europei sono passati senza farceli votare. Ed è questa riforma che ci sottomette all’Europa? Ma come ragionano, costoro? Non capiscono la grevità di questo sistema di potere. E si fanno coinvolgere in futili battaglie dalle quali si accorgeranno che non raccoglieranno nulla. Ove dovesse vincere il No, com’è che saremmo liberi dalle burocrazie europee, bancarie e finanziarie? Non succederà, finché non si mette in discussione il paradigma. E la fase iniziale del paradigma è la selezione della classe dirigente, che non può continuare a essere svolta così. Ma per arrivare a questo obiettivo bisogna fare una mezza rivoluzione – nonviolenta, ma una mezza rivoluzione. Forse una rivoluzione intera, perché con i mezzi democratici non è più consentito mettere in discussione questo sistema.
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I poteri forti voglion sfrattare Renzi. Il motivo? Terrificante
Tutto cominciò cinque anni fa alla Leopolda quando sul palcoscenico della stazione ferroviaria di Firenze si affacciava quello che all’epoca era considerato poco più di un giovanotto rampante e piuttosto arrogante, uno di quelli con la parlata svelta ma che non si preoccupa troppo di quello che dice. Matteo Renzi esordiva così nella politica italiana, parlando della necessità di una rottamazione della vecchia classe dirigente del Pd, incapace di interpretare al meglio i cambiamenti del futuro e ormai troppo legata ad un passato fatto di effigi e simboli che non appartengono più alla sinistra moderna. Dentro il Pd, non fu accolto bene. D’Alema, Marini e Bersani non hanno mai visto con favore l’avvento di questo giovane spregiudicato e arrampicatore, ma hanno ingoiato il rospo della sua ascesa perché così era stato deciso dai piani alti dell’Europa e di Washington. Quando Renzi venne scelto come sostituto di Enrico Letta, l’intera stampa italiana e internazionale si schierò tutta come un sol uomo a favore dell’ex sindaco di Firenze. La presenza del rottamatore nei media era bulimica, e invadeva tutti gli spazi delle principali reti nazionali a ogni ora del giorno.Confindustria e De Benedetti ne decantavano le lodi, vedevano nella sua figura l’uomo che avrebbe una volta per tutte infranto quei tabù che tutti i governi precedenti non avevano osato sfidare. È stato così per la riforma dell’articolo 18, un passaggio storico che ha inferto un duro colpo al già provato edificio dello Stato sociale e ha concesso un potere ancora maggiore al grande capitale dell’industria italiana. Nessuno era riuscito in questo, né i vecchi ex compagni di una volta come D’Alema avrebbero potuto riuscirci. Il motivo è apparentemente intuitivo quanto semplice: per approvare delle riforme del genere occorreva costruire un logos di novità, di immagine giovane e fresca di cui la classe dirigente del Pd era del tutto priva. I media hanno contribuito e alimentato quel logos falso e artificiale per permettere di descrivere le riforme renziane come un enorme passo in avanti per la società italiana, quando esse rappresentano un salto all’indietro di 60 anni, azzerando decenni di conquiste e lotte sindacali.Da qui la fiducia in bianco al rottamatore da tutti gli ambienti che contano: dalla finanza anglosassone per mezzo del “Financial Times”, dalla cancelliera Angela Merkel che vedeva in Renzi una garanzia che l’Italia non violasse il teorema dell’austerità e rimanesse ben salda all’euro, fino alle istituzioni europee sicure che il Belpaese nelle mani del governo Renzi non fosse più una minaccia per la stabilità dell’Ue. Ora l’idillio sembra essere finito. La Commissione Europea solamente pochi mesi fa ha descritto Renzi come un personaggio «inaffidabile», l’ingegner De Benedetti si schiera per il No al referendum e il “Financial Times” condanna la riforma costituzionale definendola come «un ponte verso il nulla». Dunque il potere attrattivo dell’uomo nuovo sembra esaurito, gli ambienti un tempo di casa lo considerano ora un ospite indesiderato al quale va mostrata l’uscita per fare spazio ad altri invitati più graditi. Se dunque gli sponsor di Renzi gli voltano le spalle, e preferiscono schierarsi apertamente per il No al referendum, appare evidente che l’intenzione è quella di provocare un cambio nella politica italiana.Sebbene le riforme costituzionali siano state pensate principalmente per dare ancora più potere alle istituzioni europee e abrogare il titolo V (ultimo ostacolo per le privatizzazioni delle municipalizzate ancora in mano agli enti locali) i poteri esteri e italiani preferiscono adesso votare No per favorire così una probabile crisi di governo i cui esiti porteranno a tutto tranne che a elezioni anticipate. Negli anni passati il Quirinale ha sempre rimandato l’opzione delle urne, viste come fonte di instabilità dai mercati, e ha preferito sempre cercare una soluzione per mantenere in vita la legislatura. Da Monti in poi, è stato impedito ai cittadini italiani di potersi esprimere nel nome di logiche sovranazionali che chiedevano la prosecuzione delle legislature, così da mantenere inalterato lo status quo e guadagnare terreno sullo smantellamento dello Stato sociale italiano.Ora però per continuare su quel cammino è necessario un altro cambio perché il tempo di Renzi è finito. E il referendum pare quasi diventato lo strumento migliore per dare il benservito a Renzi. In caso di un’eventuale sconfitta al referendum farà di tutto per restare al suo posto ma non ci riuscirà. È molto più probabile l’entrata in scena di un governo tecnico o di larghe intese: in entrambi i casi sarebbero approvate altre “riforme” che il premier precedente governo non aveva la forza di approvare. Il cammino degli ultimi 5 anni è stato così, si designa un premier dall’esterno e si giustifica la sua ascesa con la situazione interna di emergenza indotta. Una volta che lo scopo è stato raggiunto e occorre passare alla fase successiva, gli si dà il benservito e si passa al nuovo personaggio da sostenere, che può essere anche un vecchio riciclato. Monti, Letta e Renzi sono saliti al potere con questo schema. Chi verrà dopo di loro dovrà portare a termine il lavoro iniziato da questi. Svendere completamente gli asset più importanti dello Stato e aggredire il risparmio degli italiani.(Paolo Becchi e Cesare Sacchetti, “Ai poteri forti serve un nuovo governo. Il motivo? Terrificante”, da “Il Giornale” del 7 ottobre 2016).Tutto cominciò cinque anni fa alla Leopolda quando sul palcoscenico della stazione ferroviaria di Firenze si affacciava quello che all’epoca era considerato poco più di un giovanotto rampante e piuttosto arrogante, uno di quelli con la parlata svelta ma che non si preoccupa troppo di quello che dice. Matteo Renzi esordiva così nella politica italiana, parlando della necessità di una rottamazione della vecchia classe dirigente del Pd, incapace di interpretare al meglio i cambiamenti del futuro e ormai troppo legata ad un passato fatto di effigi e simboli che non appartengono più alla sinistra moderna. Dentro il Pd, non fu accolto bene. D’Alema, Marini e Bersani non hanno mai visto con favore l’avvento di questo giovane spregiudicato e arrampicatore, ma hanno ingoiato il rospo della sua ascesa perché così era stato deciso dai piani alti dell’Europa e di Washington. Quando Renzi venne scelto come sostituto di Enrico Letta, l’intera stampa italiana e internazionale si schierò tutta come un sol uomo a favore dell’ex sindaco di Firenze. La presenza del rottamatore nei media era bulimica, e invadeva tutti gli spazi delle principali reti nazionali a ogni ora del giorno.
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Foa: Renzi, il piccolo Duce, e i suoi complici. Che vergogna
Qualcosa vorrà pur dire se per la seconda volta in poche settimane le opposizioni abbandonano in massa il Parlamento al momento del voto di leggi fondamentali per il futuro del paese. Tutte le opposizioni: da Sel alla Lega. Un comportamento senza precedenti. Significa che i principi fondamentali della democrazia sono in pericolo, non sono più condivisi. E’ in questi frangenti che un presidente della Repubblica deve intervenire, rimandando alle Camere le leggi contestate e costringendo il premier a riaprire trattative su quelle che non possono essere che regole condivise. Sergio Mattarella, che nella sua vita professionale si è creato l’immagine di giudice inflessibile, ora appare come un fantasma politico, una non-entità, tanto lusingata per l’inaspettata elezione al Colle quanto palesemente inadeguata, al punto da convalidare il sospetto che sia stato messo lì apposta per non disturbare il manovratore.Se ha personalità, se ha davvero il senso dello Stato, questo è il momento di mostrarlo, di imporlo con forza ma temo che Mattarella questo coraggio non l’abbia e che preferisca passare alla storia come il presidente che ha avallato due misure golpiste – riforma dell’articolo V della Costituzione e ora l’Italicum – anziché, come suo dovere istituzionale, fermare il nuovo piccolo Duce, Matteo Renzi. E che dire del Partito democratico? All’ultima votazione i dissidenti sono stati 60, più di prima ma ancora troppo pochi e chiaramente isolati. Nel Pd non si respira un clima di rivolta; si percepisce, semmai, uno straordinario ma non sorprendente conformismo, un appiattimento delle coscienze che cancella d’un tratto tutte le loro emozionanti, travolgenti, irrinunciabili battaglie civiche degli ultimi due decenni.Già, perché la sinistra dei “pecoroni” si era fatta leonina per combattere i rischi di una deriva autoritaria da parte di Berlusconi, che avrà avuto tanti difetti e ha commesso tanti errori, ma non ha mai avuto mire dittatoriali. All’epoca, però, era facile opporsi, tutti assieme, a Berlusconi; era facile provare, tutti assieme l’ebrezza di sentirsi inflessibili paladini della democrazia di fronte al satrapo di Arcore. E ora che quei timori si materializzano – e non è un’opinione, ma un fatto – quella sinistra non solo non si oppone all’uomo che rappresenta davvero una minaccia per la democrazia, Matteo Renzi, – il caudillo, come lo ha definito Ferruccio De Bortoli – ma lo saluta festante, partecipa attivamente al golpe, approvandolo in Parlamento. Ancora una volta, tutti assieme, con poche lodevoli ma insufficienti eccezioni. Sempre e comunque omologati e cortigiani. Lasciatemelo dire: che vergogna.(Marcello Foa, “Renzi, il piccolo Duce (e i suoi complici). Che vergogna”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 5 maggio 2015).Qualcosa vorrà pur dire se per la seconda volta in poche settimane le opposizioni abbandonano in massa il Parlamento al momento del voto di leggi fondamentali per il futuro del paese. Tutte le opposizioni: da Sel alla Lega. Un comportamento senza precedenti. Significa che i principi fondamentali della democrazia sono in pericolo, non sono più condivisi. E’ in questi frangenti che un presidente della Repubblica deve intervenire, rimandando alle Camere le leggi contestate e costringendo il premier a riaprire trattative su quelle che non possono essere che regole condivise. Sergio Mattarella, che nella sua vita professionale si è creato l’immagine di giudice inflessibile, ora appare come un fantasma politico, una non-entità, tanto lusingata per l’inaspettata elezione al Colle quanto palesemente inadeguata, al punto da convalidare il sospetto che sia stato messo lì apposta per non disturbare il manovratore.
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Acqua, luce e gas: la fregatura è servita (firmata Renzi)
L’importante, spesso, non è spiegare, ma non far capire. Molte riforme fondamentali passano tra le pieghe di un provvedimento come se fossero marginali. I parlamentari approvano senza nemmeno sapere cosa votano, seguendo le indicazioni del capogruppo mentre i giornalisti ne scrivono senza capire o, ancora meglio, non ne scrivono affatto. Prendiamo la recente riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. I giornali si sono concentrati sugli aspetti più eclatanti come l’abolizione di fatto del Senato e l’aumento delle firme per referendum e iniziative popolari; pochi hanno parlato dell’articolo V della Costituzione, che solo a nominarlo… bah, che noia! Tutti, la settimana scorsa, hanno pubblicato un vademecum sulle riforme. Ecco cosa scrive ad esempio “La Stampa”: «Titolo V. Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”».Caro lettore, cosa hai capito? Nulla, scommetto. Però se riascolti un bel servizio televisivo de “La Gabbia”, mandato in onda il 26 settembre 2013 e ripreso in questi giorni su Twitter da Alessandro Greco, la riforma dell’articolo V assume un altro significativo. Guardalo, ne vale la pena, dura appena 3 minuti. In questo servizio il dirigente generale Lorenzo Codogno, a capo della direzione I analisi economico-finanziaria del dipartimento del Tesoro, del ministero dell’economia e delle finanze, intervistato sulla vendita di partecipazioni Eni, Finmeccanica ed Enel, dichiarò: «Il problema è che non prendi tantissimo perché – ho fatto il calcolo un po’ di tempo fa – sono 12 miliardi, non è una gran cifra, meno di un punto di Pil. La vera risorsa sono le utilities a livello locale. Lì sono veramente tanti, tanti miliardi. Il problema è che non sono nostri, dello Stato, sono dei Comuni, delle Regioni, e quindi bisogna cambiare il titolo V della Costituzione. Ed espropriare i Comuni e le Regioni».Il deputato Simonetta Rubinato del Pd depositò un’interrogazione alla Camera chiedendo spiegazioni al primo ministro. A quanto mi risulta, nessuno ha risposto. E ora, guarda un po’, il Titolo V è stato riformato e prevede, cito il “Sole 24 Ore”, quanto segue: «Il nuovo articolo 117 si caratterizza per l’eliminazione della legislazione concorrente con riattribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di diverse materie, quali quelle relative alla regolamentazione del procedimento amministrativo, della disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, della previdenza complementare e integrativa, del commercio con l’estero, della valorizzazione (oltrechè tutela) dei beni culturali e paesaggistici, dell’ordinamento delle professioni e della comunicazione, della produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia, delle infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; dei porti ed aeroporti di interesse nazionale ed internazionale».Come sempre le leggi italiane sono pasticciate e pare che la norma non si applichi alle Regioni a statuto speciale; però il senso mi sembra inequivocabile: quando sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il nuovo Titolo V permetterà a quel galantuomo di Renzi, che tanto ha a cuore i destini del suo paese, di fare un immenso regalo ai colossi stranieri dell’energia privatizzando i servizi di acqua, luce e gas. Io sono un liberale e, se le privatizzazioni servissero a portare vera concorrenza e servizi e tariffe migliori per tutti, sarei il primo a rallegrarmene, tanto più che le utilities pubbliche non sono certo un modello di gestione e di efficienza. Ma il rimedio rischia di essere peggiore del male. Purtroppo l’esperienza dimostra che, in questo settore, come avvenuto per le autostrade, le privatizzazioni si risolvono nella sostituzione di un monopolio pubblico con uno privato. E a rimetterci sono gli utenti, costretti a far fronte a un’esplosione dei prezzi delle bollette. Insomma, una fregatura su tutta la linea. Prendetene nota e al momento opportuno ricordatevi chi ringraziare.(Marcello Foa, “Acqua luce e gas, la fregatura è servita, firmata Matteo Renzi”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 12 marzo 2015).L’importante, spesso, non è spiegare, ma non far capire. Molte riforme fondamentali passano tra le pieghe di un provvedimento come se fossero marginali. I parlamentari approvano senza nemmeno sapere cosa votano, seguendo le indicazioni del capogruppo mentre i giornalisti ne scrivono senza capire o, ancora meglio, non ne scrivono affatto. Prendiamo la recente riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. I giornali si sono concentrati sugli aspetti più eclatanti come l’abolizione di fatto del Senato e l’aumento delle firme per referendum e iniziative popolari; pochi hanno parlato dell’articolo V della Costituzione, che solo a nominarlo… bah, che noia! Tutti, la settimana scorsa, hanno pubblicato un vademecum sulle riforme. Ecco cosa scrive ad esempio “La Stampa”: «Titolo V. Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”».
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Vogliono acqua, luce e gas: soldi a palate, e il Pd obbedirà
Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.Dopo le “limature” di Prodi e D’Alema alla fine degli anni ’90, continua Barnard, oggi Renzi «vuole portare la stoccata finale alla privatizzazione dei servizi enti locali». Domanda: «Ma perché tutta ’sta furia del Pd (coccige di Wall Street) a fare ’ste “riforme”?». La risposta è persino banale: «Gli investitori sanno da tempo che investire in un servizio “utility” rende molto di più e si rischia molto di meno che investire nelle banche». Per la precisione, «significa che uno speculatore/investitore americano o russo o cinese guadagna molto di più, e rischia 9 volte di meno!, a investire nell’acqua o nel gas di un Comune che li privatizza piuttosto che a investire in Unicredit o Intesa o Bank of America o Bnp Paribas o Deutsche Bank». Non ci credete? «Non credete che mettere 1 milione di dollari sull’acqua sia mooolto meglio che metterli nelle super-potenti banche?». Il modello, continua Barnard, viene ovviamente dall’America: «Le “utility”, cioè proprio i servizi locali di acqua, luce e gas, hanno garantito agli investitori americani degli utili dall’80% al 50% di media!».Rendimenti stellari, se paragonati ai settori finanziari classici, le mega-banche: ai suoi investitori, Jp Morgan ha garantito il 30%, mentre Bank of America «un miserabile 4%», e un colosso come Citigoup «un’agonia dello 0,9%». Senza contare i debiti, naturalmente: «Imparate che il rapporto fra i debiti di una banca e il suo capitale (azioni) si chiama “leverage ratio”. Più alto è il debito e più basso è il capitale, più c’è “leverage” (rischio). Gli investitori hanno sempre guardato a questo rapporto debiti-capitale quando hanno messo soldi in banche o in “utility”. Oggi – aggiunge Barnard – la realtà che gli Stati Uniti hanno insegnato all’Europa è che chi investe in banca si becca in media un “leverage” di 1 di capitale contro 10 di debiti, mentre, e qui sta il punto dei punti, chi investe in “utilities” si becca un rischio 9 volte inferiore, oltre che molti più utili». Il nostro problema? «Il rapido Renzi scondinzola», quindi «noi cittadini siamo fottuti», visto che «qui si chiude il cerchio maledetto: la finanza ordina, il Pd obbedisce». Disposizione chiara: via il Titolo V, per poter privatizzare le “utility”. Coi più sentiti ringraziamenti, da parte degli speculatori, agli italiani che hanno votato Pd.Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.
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Ida Magli: governati da servi ignoranti che ci disprezzano
C’è un’indifferenza a qualsiasi fatto che possa far ripensare a quello che hanno progettato. Sento citare di nuovo Romano Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica: il responsabile del nostro ingresso nella moneta unica. Oggi, con l’euro, siamo tutti più poveri. Ci arrabattiamo. L’Europa unita? Era un progetto sbagliato. L’Europa è giunta a essere quella che è per la storia delle varie nazioni che la compongono, che è storia di civiltà, di arte, di lingua. C’è un itinerario di identità dei singoli popoli e non si può sommare l’Italia con la Francia, l’Inghilterra con il Belgio. Ogni popolo la propria letteratura, la propria arte, la propria lingua. E che facciamo? Buttiamo Goethe? Perché Goethe non è europeo, è tedesco! Scrive in tedesco! Il punto è che non esisteva un’idea di Europa. Ho fatto tante ricerche ma non ho mai trovato il delinearsi di un popolo europeo. Fin dalle origini. Nemmeno nell’Impero Romano che era lo stesso a Parigi, a Londra, a Francoforte come a Roma, c’era questa idea. Semmai, appunto, potrebbe essere l’Italia a rivendicare qualcosa in questo senso. È che siamo governati da gente che ci disprezza e che è veramente fuori dalla storia.Unificare è stato un errore. Non era possibile farlo se non perdendo tutte le ricchezze europee. Quale lingua parleremo negli Stati Uniti d’Europa? Nella testa dei politici sarà l’inglese, cioè l’americano. E allora perderemo la ricchezza delle letterature nelle varie lingue del Vecchio continente, da Voltaire a Cervantes, da Kafka a Pirandello. Si pensa di poter fare l’unità così. Così come si è pensato di fare lo stesso con la moneta unica, dimenticando che la moneta è lo strumento di un popolo e non la si può imporre fuori dall’economia dei singoli Stati. Lo dicevo da antropologa ma l’hanno detto anche molti economisti. L’obiezione è che questo processo lo hanno fatto gli americani, certo con meno storia sulle spalle? Gli americani non avevano storia letteralmente, erano tutti immigrati e gli indigeni sono stati annientati quasi subito. Annientati con la violenza di chi conquista. E poi avevano un territorio immenso. Ho spesso detto che quello dell’unificazione è un progetto massonico. E ora c’è un libro di un massone, Gioele Magaldi, che lo conferma (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, Chiarelettere). L’ho letto e riletto.E’ anche un’operazione intrigante. La tesi è la seguente: la massoniera ha vinto, tutti i suoi progetti sono stati realizzati, ora esca allo scoperto e lavori con trasparenza. Secondo quel libro, tutti sarebbero massoni. Certo fa dei nomi: Romano Prodi, Enrico Letta, Mario Monti. Che non hanno neppure sentito il bisogno di replicare. Si saranno messi d’accordo per non reagire in alcun modo. Comunque, prescindendo da questo, noto che Prodi torna in un momento in cui lo si dava per politicamente finito. E Matteo Renzi è al servizio della Commissione. Le sue riforme, come ammette Pier Carlo Padoan, sono dettate dai commissari. Un esempio, tratto dalla Legge di Stabilità: la depenalizzazione di alcuni reati. Il reato di omissione di soccorso in Congo non c’è. La coscienza individuale sta anche in un codice. Avere valori significa avere un codice. Depenalizzare i piccoli furti che opprimono le persone, rubare la borsetta dove ci sono gli affetti più cari sarebbe un limpida conquista? Se la giustizia è intasata, che si aumenti il numero dei magistrati. Depenalizzare, amnistiare non è una giustificazione delle civiltà ma mancanza dello Stato. Si vuole l’imbarbarimento degli italiani, dei belgi, degli inglesi.Uno Stato non ha l’obbligo di essere umanitario. Deve difendere i cittadini, il territorio, l’indipendenza. Sono convinta che gli Italiani siano all’ultima fase. Perché nessuno li difende. Silvio Berlusconi vuol salvare se stesso e s’è messo a praticare le larghe intese, che sono la fine della democrazia. Ha portato alla fine del suo partito, benché all’interno di Forza Italia ci fosse chi lo metteva sull’avviso. Beppe Grillo? All’inizio ci contavo, e invece… si barcamena pure lui: oggi dice una cosa, domani un’altra. Ecco, su di lui mi sono sbagliata. La selezione fatta sul web: errore clamoroso, mettendo insieme gente che non sa quello che fa, trapiantati dal nulla si trovano serviti e riveriti, con stipendi incredibili. Matteo Salvini? Forse ha delle idee, forse. Ma ha anche una presunzione tale che ralizzarle sarà difficile. Qui non si sono fatte le elezioni e, come ha dimostrato la Consulta, sono tutti illegittimi, compreso Giorgio Napolitano, che è stato eletto da quel Parlamento. E invece di preoccuparsi di legittimare, hanno tutti approfittato dello sgangheramento delle democrazia per cambiare la Costituzione a quattro mani.La riforma del Senato e del Titolo V: è fatta da un governo ignorante, nel senso che nessuno dei ministri di Renzi ha una competenze specifica per quello che è chiamato a fare. I politici di una volta venivano fuori dalle scuole della Dc e del Pci, facevano anni di commissioni interne e di governi ombra. Ora abbiamo un ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, che non è laureata: è umiliante per medici, ricercatori, biologi. Renzi è una persona furba, non intelligente. Che butta lì ogni tanto delle battute, un po’ sbruffone. E dicono che è il suo stile. Ma nessun capo di Stato fa cose simili. Per stare nel mondo di Bruxelles devi essere stupido, nel senso di essere obbediente alla lettera. Il progetto europeo punta a tenere al guinzaglio la Germania e quei paesi che sono il serbatoio della civiltà. Anche Renzi finge di essere indipendente. E non c’è nessun complotto, è tutto alla luce del sole.(Ida Magli, dichiarazioni rilasciate a Goffredo Pistelli per l’intervista “L’Europa è un continente inventato”, pubblicata da “Italia Oggi” il 27 dicembre 2014).C’è un’indifferenza a qualsiasi fatto che possa far ripensare a quello che hanno progettato. Sento citare di nuovo Romano Prodi come candidato alla presidenza della Repubblica: il responsabile del nostro ingresso nella moneta unica. Oggi, con l’euro, siamo tutti più poveri. Ci arrabattiamo. L’Europa unita? Era un progetto sbagliato. L’Europa è giunta a essere quella che è per la storia delle varie nazioni che la compongono, che è storia di civiltà, di arte, di lingua. C’è un itinerario di identità dei singoli popoli e non si può sommare l’Italia con la Francia, l’Inghilterra con il Belgio. Ogni popolo la propria letteratura, la propria arte, la propria lingua. E che facciamo? Buttiamo Goethe? Perché Goethe non è europeo, è tedesco! Scrive in tedesco! Il punto è che non esisteva un’idea di Europa. Ho fatto tante ricerche ma non ho mai trovato il delinearsi di un popolo europeo. Fin dalle origini. Nemmeno nell’Impero Romano che era lo stesso a Parigi, a Londra, a Francoforte come a Roma, c’era questa idea. Semmai, appunto, potrebbe essere l’Italia a rivendicare qualcosa in questo senso. È che siamo governati da gente che ci disprezza e che è veramente fuori dalla storia.
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Tasse, privatizzazioni e via il contante: Renzi, cioè Monti
Il monopolio delle multinazionali contro il sistema delle piccole e medie imprese, da caricare di tasse. Maxi-torta in arrivo: lo smantellamento dei servizi, da “regalare” ai grandi gruppi dopo aver smantellato il Titolo V della Costituzione, che ne tutela il controllo pubblico ancora affidato a Comuni e Regioni. E infine, la sparizione del denaro contante: fine della privacy nelle transazioni commerciali e «tracciabilità di tutti gli acquisti dei cittadini come nemmeno in Unione Sovietica accadeva». Sbucci Renzi e scopri Monti, sostiene Marcello Foa: il “bomba”, quello delle «promesse che non si realizzano mai», è stato piazzato a Palazzo Chigi al posto di Letta, troppo timido sul fronte della privatizzazione dello Stato, e ovviamente dopo Monti, penalizzato dall’immagine del rigore assoluto. Renzi? Fa la stessa politica di Monti, ma col sorriso. E, a differenza del predecessore, grazie al suo «ego ipertrofico» va avanti, distraendo gli italiani a suon di retorica e propaganda, in modo che nessuno capisca quello che sta avvenendo veramente, cioè il dominio definitivo dei poteri forti, a spese dei cittadini.«La politica economica di Renzi – scrive Foa nel suo blog sul “Giornale” – non è volta a difendere e incentivare la piccola e media impresa italiana, ma è favorevole soprattutto alle multinazionali, smaniose di trasformare ancor di più l’Italia in una riserva di talenti e di professionisti a buon mercato». Non è un caso che Renzi prediliga le sedi delle multinazionali nelle sue uscite pubbliche, prodigandosi in elogi nei loro confronti. «Ed è significativo l’atteggiamento elusivo del suo governo sui licenziamenti alla Thyssen Krupp: premuroso con i grandi gruppi, retorico e inconcludente con le piccole e medie imprese italiane». La verità? Più tasse e meno mercato. «Scusate, ma io i tanto promessi alleggerimenti fiscali e burocratici proprio non li vedo. Semmai, come ai tempi di Monti, assistiamo al moltiplicarsi di balzelli indiretti e occulti», come «la riforma per far pagare il canone Rai a tutti attraverso la bolletta della luce», esteso ai proprietari di case sfitte o di seconde o terze case. Ancora una volta, «emerge la volontà centralista vessatoria che caratterizza l’operato dei governi dalla caduta di Berlusconi in poi».Quindi, le privatizzazioni. Renzi ha predisposto la riforma del Titolo V: «Se passasse, permetterebbe al premier di privatizzare tutte le municipalizzate del settore delle utilities, con la conseguenza che ben conosciamo: non di liberalizzare e mettere in concorrenza più fornitori, ma di sostituire un monopolio pubblico con un monopolio privato, com’è inevitabile quando per la tipologia del servizio la concorrenza è di fatto impossibile». Valga l’esempio delle autostrade cedute ai privati: da Roma a Milano ne esiste solo una, o prendi quella o percorri le statali. Il mercato dov’è? Per molte utilities la situazione è analoga. Infine, si aggiunge la mazzata dell’abolizione del contante, come spiega Enzo Pennetta sul blog “Critica Scientifica”. Primo passo, informatizzare il paese – e sin qui, ok. Poi viene annunciato che si procederà all’eliminazione dello scontrino per ottenere la “tracciabilità totale”, «notizia criptica ma vagamente liberatoria». Quello che non viene detto, sottolinea Pennetta, è che questo significa procedere all’eliminazione del contante.«La tracciabilità assoluta e il superamento della necessità dello scontrino – scrive “Critica Scientifica” – non si possono conseguire che eliminando la possibilità di pagare in contanti, cosa che avrebbe dovuto essere detta con chiarezza». E così, senza neanche nominare il contante, è stato dato l’annuncio della sua prossima eliminazione. Notizia sfuggita al “Corriere della Sera”, che ha pubblicato per primo l’annuncio di Renzi, ma anche ai 58 lettori del “Corriere” che hanno commentato l’articolo. Nessuno ha intuito qual è la vera posta in gioco. E chi aveva proposto l’abolizione del contante? Mario Monti, risponde Foa, osservando che l’eliminazione del cash equivale alla cancellazione definitiva di ogni forma di privacy: saranno millimetricamente tracciati tutti gli acquisti dei cittadini, come non accadeva nemmeno in Urss. «Domenico Idone, su “Twitter”, mi ha ricordato questo articolo. Era il 2012 e Renzi diceva: “Sarò il Monti bis”. Ancora dubbi?».Il monopolio delle multinazionali contro il sistema delle piccole e medie imprese, da caricare di tasse. Maxi-torta in arrivo: lo smantellamento dei servizi, da “regalare” ai grandi gruppi dopo aver smantellato il Titolo V della Costituzione, che ne tutela il controllo pubblico ancora affidato a Comuni e Regioni. E infine, la sparizione del denaro contante: fine della privacy nelle transazioni commerciali e «tracciabilità di tutti gli acquisti dei cittadini come nemmeno in Unione Sovietica accadeva». Sbucci Renzi e scopri Monti, sostiene Marcello Foa: il “bomba”, quello delle «promesse che non si realizzano mai», è stato piazzato a Palazzo Chigi al posto di Letta, troppo timido sul fronte della privatizzazione dello Stato, e ovviamente dopo Monti, penalizzato dall’immagine del rigore assoluto. Renzi? Fa la stessa politica di Monti, ma col sorriso. E, a differenza del predecessore, grazie al suo «ego ipertrofico» va avanti, distraendo gli italiani a suon di retorica e propaganda, in modo che nessuno capisca quello che sta avvenendo veramente, cioè il dominio definitivo dei poteri forti, a spese dei cittadini.
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Via libera al golpe dell’élite, in Italia non vota più nessuno
Basta un pugno di voti, ormai, per eleggere persino il presidente dell’Emilia Romagna, perché gli italiani non vanno più a votare? Perfetto: è il “loro” piano, che si sta realizzando. Lo annunciò Mario Monti, l’uomo della Troika, «l’esponente italiano – dopo e insieme a Mario Draghi – più importante e rappresentativo del compatto fronte neoconservatore, neo-aristocratico e reazionario, che intende portare fino in fondo il piano strategico delle élite privilegiate della finanza, per il definitivo asservimento dei popoli». Monti? E’ «il vero vincitore» delle regionali 2014. Nel febbraio 2012, ricorda Sergio Di Cori Modigliani, ebbe a dire: «E’ il Parlamento che inceppa la via delle riforme strutturali, bisognerebbe aggirarlo per evitare che frenino lo sviluppo». E in un convegno dell’alta finanza a Milwaukee, negli Usa, nel settembre del 2013, spiegava che «il vero problema dell’Italia consiste nel fatto che si vota troppo spesso e sono ancora troppi ad andare a votare». E’ il sogno di ogni oligarca, osserva Di Cori Modigliani. E ora, con Renzi, si sta avverando: via il Senato, abolizione del Titolo V della Costituzione che ancora protegge i servizi pubblici, e legge elettorale che rende inutili gli elettori.«Riuscire a ridurre talmente tanto la percentuale dei votanti», scrive il blogger in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, all’indomani del record di astensionismo registrato alle regionali in Emilia e in Calabria, significa «avere la possibilità di poter effettuare dei veri e propri colpi di Stato senza sparare neppure un colpo, e – ciò che più conta – senza che neppure la gente se ne renda conto: e quando lo capirà, sarà ormai troppo tardi». Se l’obiettivo è riuscire ad arrivare al 65-70% di astensionismo alle politiche, continua Di Cori Modigliani, «su 14 milioni di voti validi, ne saranno sufficienti poco meno di 6 milioni per avere il potere assoluto, con il quale deliberare senza nessun ostacolo». In Emilia gli astenuti sono stati il 63%? «Neppure sanno di aver votato per Mario Monti». E’ il capolavoro della “società del Grande Fratello”, quella che ha vissuto «il più vasto genocidio culturale mai perpetrato in una società colta, evoluta, ricca, com’era un tempo quella italiana». Si affloscia la sfida del M5S? Tutto previsto: «Autostrada preferenziale per l’avanzata della Grande Destra, l’autentico populismo di bassa lega che preannuncia e avverte quale sarà il prossimo e imminente scenario politico internazionale, di qui a pochi mesi, quando esploderà la più grande crisi finanziaria mai esistita in Occidente».Quando l’Italia verrà chiamata alle urne, sarà «travolta e stravolta da nuovi arresti e nuovi scandali, sgomenta e sconcertata dinanzi alle continue denunce di nuove ruberie, di eterni sprechi, di nessuna proposta pragmatica all’orizzonte». La gente «si riverserà avvilita all’interno del proprio bozzolo esistenziale privato, nell’estremo tentativo di salvare il salvabile pur di sopravvivere». Di fatto, gli italiani «non si fideranno più di nessuno, non crederanno più a nessuno, non avranno voglia di seguire più nulla, perché ne avranno tutti le palle strapiene: si saranno arresi dichiarando “fate come vi pare, tanto non cambia mai nulla”». Meno gente va a votare, continua Di Cori Modigliani, e meglio è per «la pattuglia clientelare che gestisce i quotidiani brogli e imbrogli del sistema bancario italiano, ormai giunto al collasso imminente». In mancanza di un’alternativa credibile, «brinda la Destra festeggiando la definitiva dissoluzione della Sinistra italiana, suicidatasi con enfasi». Renzi? Può già incassare in Europa una bella cambiale in bianco: l’Italia è cotta, pronta per essere mangiata.«La fase finale della rivoluzione neo-conservatrice sta iniziando, perché la gente, oltre a non farcela più, davvero non ne può più», scrive Di Cori Modigliani. «Il nuovo presidente dell’Emilia Romagna ha ottenuto il 16,9% dei voti dei residenti nella sua regione: in una realtà come questa, non c’è più bisogno neppure di fantasticare un colpo di Stato». Gli italiani si sono arresi, sono «la carne da cannone della neo-aristocrazia imperiale della società mediatica post-moderna. Ma non lo sanno, neppure se ne accorgono», perché sono stati annientati innanzitutto sul piano della conoscenza, della consapevolezza: «A questo serve il genocidio culturale». Il “caro leader”? «Si lecca i baffi, e ha ragione a farlo. Volevate quest’Italia, quest’Italia avete oggi. Nel 2013 l’indice di lettori in Italia è diminuito del 32% rispetto all’anno precedente. E’ il paese più ignorante d’Europa. Perché mai dovrebbero andare a votare?».Basta un pugno di voti, ormai, per eleggere persino il presidente dell’Emilia Romagna, perché gli italiani non vanno più a votare? Perfetto: è il “loro” piano, che si sta realizzando. Lo annunciò Mario Monti, l’uomo della Troika, «l’esponente italiano – dopo e insieme a Mario Draghi – più importante e rappresentativo del compatto fronte neoconservatore, neo-aristocratico e reazionario, che intende portare fino in fondo il piano strategico delle élite privilegiate della finanza, per il definitivo asservimento dei popoli». Monti? E’ «il vero vincitore» delle regionali 2014. Nel febbraio 2012, ricorda Sergio Di Cori Modigliani, ebbe a dire: «E’ il Parlamento che inceppa la via delle riforme strutturali, bisognerebbe aggirarlo per evitare che frenino lo sviluppo». E in un convegno dell’alta finanza a Milwaukee, negli Usa, nel settembre del 2013, spiegava che «il vero problema dell’Italia consiste nel fatto che si vota troppo spesso e sono ancora troppi ad andare a votare». E’ il sogno di ogni oligarca, osserva Di Cori Modigliani. E ora, con Renzi, si sta avverando: via il Senato, abolizione del Titolo V della Costituzione che ancora protegge i servizi pubblici, e legge elettorale che rende inutili gli elettori.
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Attac: una rivolta dei sindaci contro l’esproprio dei servizi
Renzi peggio di Berlusconi. Se quest’ultimo, a non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo l’obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata l’anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il “pacchetto 12” contenuto nello “Sblocca Italia” fa molto di più: questa volta non si parla “solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa. Entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%. Se non accetteranno il diktat, scrive Marco Bersani, entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei servizi; se soccomberanno otterranno un prolungamento della concessione di ben 22 anni e 6 mesi. Che aspettano, i Comuni italiani, a ribellarsi? Primo passo: sfilarsi dall’Anci presieduta da Piero Fassino, che “tifa” per la fine del servizio pubblico.Come già Berlusconi, continua il portavoce di “Attac Italia”, anche Renzi si mette la foglia di fico di non nominare l’acqua fra i servizi da consegnare ai capitali finanziari. Ma a parte il fatto che il referendum non riguardava solo l’acqua, bensì tutti i servizi pubblici locali, è evidente l’effetto domino del provvedimento, sia sulle società multi-utility che già oggi gestiscono più servizi (acqua compresa), sia su tutti gli enti locali che verrebbero inevitabilmente spinti a privatizzare tutto, anche per poter usufruire delle somme derivanti dalla cessione di quote, che il governo pensa bene di sottrarre alle tenaglie del Patto di Stabilità. In fondo, è la direzione nella quale procedono il Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue, e l’analogo Tisa, trattato sui servizi pubblici, al quale spalancherebbe una breccia definitiva la manomissione del Titolo V della Costituzione, spacciata come “riforma”, per impedire a Comuni e Regioni di continuare a gestire i servizi nell’interesse pubblico.«Nel pieno della crisi sistemica – scrive Bersani – ecco dunque il cambio di verso dello scattante premier: non più l’obsoleta privatizzazione dei servizi pubblici locali, bensì la loro diretta consegna agli interessi dei grandi capitali finanziari, che da tempo attendono di poter avviare un nuovo ciclo di accumulazione, attraverso “mercati” redditizi e sicuri (si può vivere senza beni essenziali?) e gestiti in condizione di monopolio assoluto (per un solo territorio vi è un solo acquedotto, un solo servizio rifiuti)». Da queste norme, «traspare in tutta evidenza l’idea non tanto dell’eliminazione del “pubblico” – quello è bene che rimanga, altrimenti chi potrebbe organizzare il controllo sociale autoritario delle comunità? – bensì della sua trasformazione da erogatore di servizi e garante di diritti, con un’eminente funzione pubblica e sociale, in veicolo per l’espansione della sfera d’influenza degli interessi finanziari sulla società».Ancora una volta, aggiunge Bersani, sarà la Cassa Depositi e Prestiti ad essere utilizzata per questo enorme «disegno di espropriazione dei beni comuni». Infatti, «come già per la dismissione del patrimonio pubblico degli enti locali, è già allo studio un apposito fondo per finanziare anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali». Secondo l’esponente di “Attac”, emerge – oggi più che mai – la necessità di una «nuova, ampia e inclusiva mobilitazione sociale», che deve «assumere la riappropriazione della funzione pubblica e sociale dell’ente locale come obiettivo di tutti i movimenti in lotta per l’acqua e i beni comuni». Serve «una nuova finanza pubblica e sociale», ovviamente impensabile sotto il regime dell’euro, «a partire dalla socializzazione della Cassa Depositi e Prestiti». E se il disegno di espropriazione dei servizi pubblici locali «viene portato avanti con il pieno consenso dell’Anci, espresso a più riprese dal suo presidente Fassino», una domanda sorge spontanea: «Non è il momento per i molti sindaci che ancora non hanno abdicato al proprio ruolo di primi garanti della democrazia di prossimità per le comunità locali, di iniziare a ragionare su un’aggregazione alternativa degli enti locali, fuori e contro un’Anci al servizio dei poteri forti?».Renzi peggio di Berlusconi. Se quest’ultimo, a non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria referendaria sull’acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo l’obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata l’anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il “pacchetto 12” contenuto nello “Sblocca Italia” fa molto di più: questa volta non si parla “solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa. Entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%. Se non accetteranno il diktat, scrive Marco Bersani, entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei servizi; se soccomberanno otterranno un prolungamento della concessione di ben 22 anni e 6 mesi. Che aspettano, i Comuni italiani, a ribellarsi? Primo passo: sfilarsi dall’Anci presieduta da Piero Fassino, che “tifa” per la fine del servizio pubblico.
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Rubarci acqua, luce e gas: ecco la riforma del Titolo V
Acqua, luce e gas: oggi la riscossione delle tariffe è italiana, domani potrebbe non esserlo più. Proprio i servizi vitali, che valgono «moltissimi miliardi» secondo il Tesoro, sono il vero bottino della grande privatizzazione, spacciata per “riforma”. Obiettivo per il quale sono stati all’opera, ininterrottamente, i tre governi messi in pista da Napolitano, senza elezioni: prima Monti, poi Letta, ora Renzi. Missione comune: svendere il paese, usando l’emergenza-spread e l’alibi del debito. Facilissimo: il boom del debito pubblico è la diretta conseguenza dell’austerity. Meno Pil, meno consumi, meno entrate fiscali. L’Italia, costretta a elemosinare gli euro attraverso i titoli di Stato filtrati dal sistema bancario che ha accesso alla Bce, va rapidamente in rosso. Col diktat del rigore, il debito pubblico esplode. Così il momento si fa propizio: il Giorno dello Sciacallo si avvicina. All’asta Poste Italiane e Telecom, poi si parla di Eni, Enel, Finmeccanica. Ma il boccone grosso è un altro: rete elettrica, acquedotti, gas. Reti e servizi da svendere. Prima, però, bisogna scipparli ai legittimi proprietari: Comuni e Regioni. Ed ecco in arrivo la “riforma” del Titolo V della Costituzione, cavalcata da Renzi.Tutto già denunciato, a suo tempo, dalla trasmissione “La Gabbia” condotta su “La7” da Gianluigi Paragone, molto prima del “Patto del Nazareno” che ha reso evidente il piano oligarchico Renzi-Berlusconi per archiaviare il “rischio” della democrazia, amputando il Senato e soprattutto varando una legge elettorale “ad personam”. Il blog “Senza Soste” segnala l’ottimo servizio realizzato a settembre 2013 da Filippo Barone: “Italia, un paese in svendita”. In tre minuti, il trucco delle “riforme” è svelato: «Siccome la svendita delle quote statali di Eni, Enel e Finmeccanica farebbe racimolare solo 12 miliardi di euro, il governo e i tecnici dei ministeri hanno individuato nelle “utilities”, cioè le società di proprietà di Comuni e Regioni che gestiscono beni comuni e vitali – acqua, luce e gas – come la vera miniera d’oro da vendere ai privati per fare cassa». Con la “riforma del Titolo V” della Costituzione, in poche parole, «lo Stato scipperebbe i territori della gestione di questi beni, da poter poi vendere: tutto questo sarà fatto da un governo illegittimo formato da persone non elette, grazie a Napolitano».Il video è fulminante. Parla l’economista ed ex banchiere centrale Fabrizio Saccomanni, allora ministro dell’economia del governo Letta. Saccomani, al G-20 del luglio 2013 a Mosca, è «impegnato a spiegare agli italiani che ci servono altri soldi, altri sacrifici, perché non sappiamo come reggere il debito». Lo intervista un giornalista dell’emittente finanziaria americana “Bloomberg”. Domanda al ministro: come pensate di ridurre il debito? «Stiamo anche considerando la possibilità di vendere le nostre partecipazioni in aziende controllate dallo Stato». Dunque Eni, Enel, Finmeccanica? «Sì, stiamo considerando questo». Quando, dopo alcuni minuti, la notizia arriva in Italia, il ministero si affretta a smentire. «Peccato che il video sia finito su Internet». Un paese in vendita ha bisogno di una vetrina dove esporre la mercanzia, riassume il reporter de “La Gabbia”. E allora, quale migliore occasione di una fiera? Bari, 14 settembre. Ci sono «rappresentanti del ministero dell’economia, il capo della Cassa Depositi e Prestiti (cassaforte del patrimonio italiano), esperti di fondi sovrani e rappresentanti di governi stranieri». Tutti d’accordo: svendere l’Italia è essenziale, urgente.«L’Italia è stata colpita dalla crisi più di altri paesi», dice Franco Bassanini, presidente della Cdp. «Quindi, in Italia, oggi si possono fare investimenti e finanziamenti a condizioni molto favorevoli: ci sono ottime opportunità di investimento, in Italia». Bassanini, un tempo esponente della sinistra “riformista” italiana, è oggi un super-tecnocrate passato armi e bagagli ai “signori del mercato”, ai quali propone «ottime opportunità di investimento». Dall’ufficialità del forum di Bari, il servizio de “La Gabbia” si trasferisce nel party organizzato in un circolo privato, «al riparo da occhi e orecchie indiscrete». Mentre l’Italia precipita, «si organizzano incontri con uomini d’affari e fondi sovrani per vendere il vendibile». E dato che l’appetito vien mangiando, dice il reporter Filippo Barone, ecco il gran galà ben nascosto nel cuore del porto pugliese. Ricompare Bassanini, impegnato a spolverare un piatto del buffet: «Io non mi appassiono alle privatizzazioni», confida il capo della Cassa Depositi e Prestiti. E ammette: «Le privatizzazioni vanno fatte con molta cautela, perché il rischio della svendita è altissimo». Domanda: la cessione di Finmeccanica, Eni ed Enel era solo una boutade di Saccomani oppure corrisponde ai piani del governo? E qui arriva il colpo del ko: la svendita delle migliori aziende di Stato non basta, bisognerà strappare acqua, luce e gas alla gestione pubblica, regionale e comunale, e poter vendere i servizi vitali, la vera preda a cui ambiscono i “mercati”.Nel chiaroscuro felpato del party, la risposta – chiarissima – arriva dal “numero uno” dei tecnici del ministero del Tesoro, Lorenzo Codogno. Le cessioni di Eni, Enel e Finmeccanica «hanno un senso», certamente, «ma il problema è che non prendi tantissimo, perché – ho fatto un calcolo un po’ di tempo fa – sono 12 miliardi, meno di 1 punto di Pil». Parola del responsabile della direzione analisi economico-finanziaria del dipartimento, ieri retto da Saccomanni e oggi da Padoan. Secondo Codogno, per abbattere il debito non bastano Finmeccanica, le altre maxi-imprese dello Stato, gli immobili pubblici. Serve, soprattutto, «il resto». E cioè «acqua, luce e gas», o meglio, le “utilities” che ogni Comune gestisce per i propri cittadini. «La vera risorsa – dice Codogno all’inviato de “La Gabbia” – sono le “utilities” a livello locale: lì sono veramente tanti, tanti miliardi».Il problema – aggiunge il tecnocrate – è che quei servizi «non sono nostri, dello Stato: sono dei Comuni, delle Regioni. E quindi bisogna cambiare il Titolo V della Costituzione, ed espropriare i Comuni e le Regioni». Letteralmente: “espropriare”. Conclude l’inviato di Paragone: «Sindaci, preparatevi. Le aziende di servizio devono finire in mano araba o cinese, poche storie». Gli italiani? Non protesteranno, non se ne accorgeranno nemmeno. A loro provvederà l’ottimismo di Matteo Renzi: servirà a presentare come “vecchiume da rottamare” anche il Titolo V della Costituzione, cioè il dispositivo legale che assegna agli enti locali l’autonomia finanziaria per creare e gestire le reti di distribuzione dei servizi pubblici vitali. Quelle che fanno così gola agli “investitori” esteri. Perché, come dice il dottor Codogno, valgono «tanti, tanti miliardi». Basterà gonfiare le tariffe, per incamerare utili stratosferici. E a quel punto, l’Italia – come Stato – sarà tecnicamente estinta. E i cittadini, in balia degli “usurai” di mezzo mondo, futuri padroni del paese.Acqua, luce e gas: oggi la riscossione delle tariffe è italiana, domani potrebbe non esserlo più. Proprio i servizi vitali, che valgono «moltissimi miliardi» secondo il Tesoro, sono il vero bottino della grande privatizzazione, spacciata per “riforma”. Obiettivo per il quale sono stati all’opera, ininterrottamente, i tre governi messi in pista da Napolitano, senza elezioni: prima Monti, poi Letta, ora Renzi. Missione comune: svendere il paese, usando l’emergenza-spread e l’alibi del debito. Facilissimo: il boom del debito pubblico è la diretta conseguenza dell’austerity. Meno Pil, meno consumi, meno entrate fiscali. L’Italia, costretta a elemosinare gli euro attraverso i titoli di Stato filtrati dal sistema bancario che ha accesso alla Bce, va rapidamente in rosso. Col diktat del rigore, il debito pubblico esplode. Così il momento si fa propizio: il Giorno dello Sciacallo si avvicina. All’asta Poste Italiane e Telecom, poi si parla di Eni, Enel, Finmeccanica. Ma il boccone grosso è un altro: rete elettrica, acquedotti, gas. Reti e servizi da svendere. Prima, però, bisogna scipparli ai legittimi proprietari: Comuni e Regioni. Ed ecco in arrivo la “riforma” del Titolo V della Costituzione, cavalcata da Renzi.