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Primo Levi: increduli e indifferenti verso lo sterminio
La promulgazione delle leggi razziali? Non è stata una sorpresa quello che è avvenuto nell’estate del ’38. Era luglio quando uscì “Il manifesto della razza”, dove era scritto che gli ebrei non appartenevano alla “razza italiana”. Tutto questo era già nell’aria da tempo, erano già accaduti fatti antisemiti, ma nessuno si immaginava a quali conseguenze avrebbero portato le leggi razziali. Io allora ero molto giovane, ricordo che si sperò che fosse un’eresia del fascismo, fatta per accontentare Hitler. Poi si è visto che non era così. Non ci fu sorpresa – delusione sì, con grande paura sin dall’inizio, mitigata dal falso istinto di conservazione: “Qui certe cose sono impossibili”. Cioè, negare il pericolo. Il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, privandoci della sensibilità. C’era la convinzione che la guerra l’Italia l’avrebbe vinta velocemente e in modo indolore. Ma quando abbiamo cominciato a vedere come erano messe le truppe che andavano al fronte occidentale, abbiamo capito che finiva male.Di quello che stava accadendo in Germania sapevamo abbastanza poco, anche per la stupidità, che è intrinseca nell’uomo che è in pericolo. La maggior parte delle persone, quando sono in pericolo, invece di provvedere ignorano, chiudono gli occhi, come hanno fatto tanti ebrei italiani, nonostante certe notizie che arrivavano da studenti profughi, che venivano dall’Ungheria, dalla Polonia: raccontavano cose spaventose. Era uscito allora un libro bianco, fatto dagli inglesi, girava clandestinamente, su cosa stava accadendo in Germania, sulle atrocità tedesche. Lo tradussi io. Avevo vent’anni e pensavo che, quando si è in guerra, si è portati a ingigantire le atrocità dell’avversario. Ci siamo costruiti intorno una falsa difesa, abbiamo chiuso gli occhi e in tanti hanno pagato per questo.Fino alla caduta del fascismo avevo vissuto abbastanza tranquillo, studiando, andando in montagna. Avevo un vago presentimento che l’andare in montagna mi sarebbe servito. È stato un allenamento alla fatica, alla fame e al freddo. La situazione peggiorò quando il Duce, nel dicembre ’43, disse esplicitamente, attraverso un manifesto, che tutti gli ebrei dovevano presentarsi per essere internati nei campi di concentramento. Nel dicembre ’43 ero già in montagna: da sfollato diventai partigiano in Val d’Aosta. Fui arrestato nel marzo del ’44 e poi deportato. Mi hanno catturato perché ero partigiano; che fossi ebreo, stupidamente, l’ho detto io. Ma i fascisti che mi hanno catturato lo sospettavano già, perché qualcuno glielo aveva detto; nella valle ero abbastanza conosciuto. Mi hanno detto: «Se sei ebreo ti mandiamo a Carpi, nel campo di concentramento di Fossoli; se sei partigiano ti mettiamo al muro». Decisi di dire che ero ebreo. Sarebbe venuto fuori lo stesso, avevo dei documenti falsi che erano mal fatti.Lager in tedesco vuol dire almeno otto cose diverse, compreso i cuscinetti a sfera. Lager vuol dire giaciglio, accampamento, luogo in cui si riposa, magazzino. Ma nella terminologia attuale, lager significa solo campo di concentramento, è il campo di distruzione. Il viaggio verso Auschwitz lo ricordo come il momento peggiore. Ero in un vagone con cinquanta persone, c’erano anche bambini e un neonato che avrebbe dovuto prendere il latte, ma la madre non ne aveva più, perché non si poteva bere, non c’era acqua. Eravamo tutti pigiati. Fu atroce. Abbiamo percepito la volontà precisa, malvagia, maligna, che volevano farci del male. Avrebbero potuto darci un po’ d’acqua, non gli costava niente. Questo non è accaduto per tutti i cinque giorni di viaggio. Era un atto persecutorio. Volevano farci soffrire il più possibile.La vita ad Auschwitz l’ho descritta in “Se questo è un uomo”. La notte, sotto i fari, era qualcosa di irreale. Era uno sbarco in un mondo imprevisto, in cui tutti urlavano. I tedeschi creavano il fracasso a scopo intimidatorio. Questo l’ho capito dopo; serviva a far soffrire, a spaventare per troncare l’eventuale resistenza, anche quella passiva. Siamo stati privati di tutto, dei bagagli prima, degli abiti poi, delle famiglie subito. Per mia fortuna non ho visto i lager russi, se non in condizioni molto diverse, cioè in transito durante il viaggio di ritorno, che ho raccontato nel libro “La tregua”. Non posso fare un confronto. Ma per quello che ho letto non si possono lodare quelli russi: hanno avuto un numero di vittime paragonabile a quello dei lager tedeschi. Ma per conto mio una differenza c’era, ed è fondamentale: in quelli tedeschi si cercava la morte, era lo scopo principale, erano stati costruiti per sterminare un popolo; quelli russi sterminavano ugualmente ma lo scopo era diverso, era quello di stroncare una resistenza politica, un avversario politico.Che cosa mi ha aiutato a resistere nel campo di concentramento? Principalmente la fortuna. Non c’era una regola precisa, visibile, che faceva sopravvivere il più colto o il più ignorante, il più religioso o il più incredulo. Prima di tutto la fortuna, poi a molta distanza la salute. E proseguendo ancora, la mia curiosità verso il mondo intero, che mi ha permesso di non cadere nell’atrofia, nell’indifferenza. Perdere l’interesse per il mondo era mortale, voleva dire cadere, voleva dire rassegnarsi alla morte. Ero nel campo centrale, quello più grande, eravamo in dieci-dodicimila prigionieri. Il campo era incorporato nell’industria chimica; per me è stato provvidenziale perché io sono laureato in chimica. Ero non Primo Levi ma il chimico n. 4517; questo mi ha permesso di lavorare negli ultimi due mesi, quelli più freddi, dentro a un laboratorio. Questo mi ha aiutato a sopravvivere.Sopravvivevano più facilmente quelli che avevano fede. E’ una constatazione che ho fatto e che in molti mi hanno confermato. Qualunque fede religiosa – cattolica, ebraica o protestante – o fede politica. È il percepire se stessi non più come individui ma come membri di un gruppo: «Anche se muoio io qualcosa sopravvive e la mia sofferenza non è vana». Io, questo fattore di sopravvivenza non lo avevo. Cadevano più facilmente i più robusti. È anche spiegabile fisiologicamente: un uomo di quaranta-cinquanta chili mangia la metà di un uomo di novanta, ha bisogno di metà calorie; e siccome le calorie erano sempre quelle, ed erano molto poche, un uomo robusto rischiava di più la vita. Quando sono entrato nel lager pesavo 49 chili, ero molto magro, non ero malato. Molti contadini ebrei ungheresi, pur essendo dei colossi, morivano di fame in sei o sette giorni.Che cosa mancava di più? In primo luogo il cibo. Questa era l’ossessione di tutti. Quando uno aveva mangiato un pezzo di pane allora venivano a galla le altre mancanze, il freddo, la mancanza di contatti umani, la lontananza da casa. La nostalgia pesava soltanto quando i bisogni elementari erano soddisfatti. La nostalgia è un dolore umano, un dolore al di sopra della cintola, diciamo, che riguarda l’essere pensante, che gli animali non conoscono. La vita del lager era animalesca e le sofferenze che prevalevano erano quelle delle bestie. Poi venivamo picchiati, quasi tutti i giorni, a qualsiasi ora. Anche un asino soffre per le botte, per la fame, per il gelo. E quando, nei rari momenti in cui capitava che le sofferenze primarie (accadeva molto di rado) erano per un momento soddisfatte, allora affiorava la nostalgia della famiglia perduta. La paura della morte era relegata in second’ordine.Ho raccontato nei miei libri la storia di un compagno di prigionia condannato alla camera a gas. Sapeva che, per usanza, a chi stava per morire davano una seconda razione di zuppa; siccome avevano dimenticato di dargliela, ha protestato: «Ma signor capo baracca, io vado nella camera a gas quindi devo avere un’altra porzione di minestra». Pochi suicidi: la disperazione non arrivava che raramente alla autodistruzione. E’ stato poi studiato da sociologi, psicologi e filosofi. Il suicidio era raro nei campi; le ragioni erano molte, una per me è la più credibile: gli animali non si suicidano. E noi eravamo animali, intenti per la maggior parte del tempo a far passare la fame. Il calcolo che quel vivere era peggiore della morte era al di là della nostra portata.Quando ho saputo dell’esistenza dei forni? Per gradi, ma la parola crematorio è una delle prime che ho imparato appena arrivato nel campo. Ma non le ho dato molta importanza perché non ero lucido, eravamo tutti molto depressi. Crematorio, gas, sono parole che sono entrate subito nelle nostra testa, raccontate da chi aveva più esperienza. Sapevamo dell’esistenza degli impianti con i forni a tre o quattro chilometri da noi. Io mi sono esattamente comportato come allora quando ho saputo delle leggi razziali: credendoci e poi dimenticando. Questo per necessità: le reazioni d’ira erano impossibili, era meglio calare il sipario e non occuparsene.Poi arrivarono i russi e fu la libertà. Il giorno della liberazione non è stato un giorno lieto perché per noi è avvenuto in mezzo ai cadaveri. Per nostra fortuna i tedeschi erano scappati senza mitragliarci, come hanno fatto in altri lager. I sani sono stati ri-deportati. Da noi sono rimasti solo gli ammalati e io ero ammalato. Siamo stati abbandonati, per dieci giorni, a noi stessi, al gelo; abbiamo mangiato solo quelle poche patate che trovavamo in giro. Eravamo in ottocento, in quei dieci giorni seicento sono morti di fame e freddo. Quindi, i russi mi hanno trovato vivo in mezzo a tanti morti. Il lager mi ha maturato – non durante ma dopo – pensando a tutto quello che ho vissuto. Ho capito che non esiste né la felicità, né l’infelicità perfetta. Ho imparato che non bisogna mai nascondersi per non guardare in faccia la realtà e sempre bisogna trovare la forza per pensare.(Primo Levi, dichiarazioni rilasciate ad Enzo Biagi per l’intervista trasmessa l’8 giugno 1982 da RaiUno nel programma “Questo secolo”, riproposta da “Il Fatto Quotidiano” il 26 gennaio 2014).La promulgazione delle leggi razziali? Non è stata una sorpresa quello che è avvenuto nell’estate del ’38. Era luglio quando uscì “Il manifesto della razza”, dove era scritto che gli ebrei non appartenevano alla “razza italiana”. Tutto questo era già nell’aria da tempo, erano già accaduti fatti antisemiti, ma nessuno si immaginava a quali conseguenze avrebbero portato le leggi razziali. Io allora ero molto giovane, ricordo che si sperò che fosse un’eresia del fascismo, fatta per accontentare Hitler. Poi si è visto che non era così. Non ci fu sorpresa – delusione sì, con grande paura sin dall’inizio, mitigata dal falso istinto di conservazione: “Qui certe cose sono impossibili”. Cioè, negare il pericolo. Il fascismo aveva funzionato soprattutto come anestetico, privandoci della sensibilità. C’era la convinzione che la guerra l’Italia l’avrebbe vinta velocemente e in modo indolore. Ma quando abbiamo cominciato a vedere come erano messe le truppe che andavano al fronte occidentale, abbiamo capito che finiva male.
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Un giorno il Giappone sgancerà l’atomica su New York
Caroline Kennedy, figlia di Jfk, nuova ambasciatrice americana a Tokyo, ha denunciato la mattanza di 40 delfini avvenuta nella baia di Taiji, nel distretto di Wakayama, dicendosi «profondamente preoccupata dalla disumanità della caccia e dell’uccisione dei delfini» e ricordando che «il governo degli Stati Uniti si oppone a questa pratica». La caccia ai delfini, specie non a rischio di estinzione, in Giappone comincia in autunno e finisce a marzo e «come la signora ambasciatrice deve sapere, noi viviamo di questa attività», ha detto il capo dei pescatori di Taiji. Sono curiosi questi americani, negli ultimi anni con i loro bombardamenti alla “chi cojo cojo”, con i loro dardo senza equipaggio, hanno ucciso, in Afghanistan e in Iraq, centinaia di migliaia di persone, uomini, donne, vecchi, bambini, ma poi si inumidiscono fino alle lacrime per 40 delfini.Il governatore di Wakayama, Yoshinobu Nisaka, ha replicato: «La cultura alimentare varia ed è saggio che le diverse civiltà si rispettino a vicenda. Ogni giorno vengono abbattuti maiali e vacche per la catena alimentare. Sarebbe crudele solo uccidere i delfini?». E il governo nipponico ha tenuto il punto: «Questa forma di caccia è una tradizione culturale». E’ il secondo incidente diplomatico che, in soli due mesi, la signora Kennedy provoca in Giappone. A dicembre si era detta «delusa» perché il primo ministro Shinzo Abe si era permesso di visitare il sacrario di Yasukuni dove sono onorati «anche 14 leader politici e militari giapponesi», condannati per crimini di guerra nel 1946 (nei processi di Tokyo, l’equivalente nipponico di quello di Norimberga; nel settembre 1986 il ministro dell’educazione giapponese, Masayuki Fuijno, sollevò un putiferio ponendo l’elementare domanda: «Chi ha dato ai vincitori il diritto di giudicare i vinti?»).In realtà dietro queste schermaglie c’è qualcosa di molto più profondo. Qualche anno fa mi recai in Giappone invitato dall’università di Kyoto (nemo propheta in patria) a tenere una conferenza su “americanismo e antiamericanismo, il ruolo dell’Europa”. In apparenza i rapporti fra Stati uniti e Giappone, che nel Pacifico è “la quarta sponda” degli Usa, erano ottimi, i rapporti commerciali intensissimi. Ma nell’animo dei giapponesi cova un sordo rancore, anche se, chiuso nel loro impenetrabile formalismo, non viene mai espresso. Lo si può notare solo da dei dettagli. Nel periodo in cui ero in Giappone c’era stata una partita di baseball fra americani e giapponesi, che in questo sport sono assai forti, vinta dai primi 4-3 con un punto contestatissimo. Ebbene, per giorni e giorni lo “Yumiuri Shimbun” e l’“Asahi Shimbun”, giornali serissimi, che parlano solo di economia e di politica internazionale, sono andati avanti a polemizzare su quel punto a loro dire “rubato”. La partita era solo un pretesto.I giapponesi non hanno mai digerito l’Atomica su Hiroshima e Nagasaki e, ancor meno, anche se a noi può sembrare strano, che gli americani, vinta la guerra, gli abbiano imposto di “dedivinizzare” l’Imperatore. L’Imperatore è la simbolica e intoccabile anima del Giappone, non è un uomo in carne e ossa (tanto che il mio giovane interprete, Ken, non ne sapeva nemmeno il nome, non per ignoranza, ma perché non ha importanza). In tanti secoli non c’è stato un solo tentativo di attentato all’Imperatore. Eppure le mura del palazzo imperiale di Kyoto, in legno, sono così basse che anche un ragazzino potrebbe saltarle agevolmente. Attraverso la “dedivinizzazione” dell’Imperatore gli americani, col consueto tatto da elefanti in un negozio di cristalli, hanno cercato di uccidere l’anima stessa del Giappone. I giapponesi non glielo hanno mai perdonato. E sono convinto che verrà il momento in cui getteranno una trentina di atomiche su New York.(Massimo Fini, “Un giorno i giapponesi getteranno 30 atomiche su New York”, intervento pubblicato da “Il Gazzettino” il 24 gennaio 2014 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Caroline Kennedy, figlia di Jfk, nuova ambasciatrice americana a Tokyo, ha denunciato la mattanza di 40 delfini avvenuta nella baia di Taiji, nel distretto di Wakayama, dicendosi «profondamente preoccupata dalla disumanità della caccia e dell’uccisione dei delfini» e ricordando che «il governo degli Stati Uniti si oppone a questa pratica». La caccia ai delfini, specie non a rischio di estinzione, in Giappone comincia in autunno e finisce a marzo e «come la signora ambasciatrice deve sapere, noi viviamo di questa attività», ha detto il capo dei pescatori di Taiji. Sono curiosi questi americani, negli ultimi anni con i loro bombardamenti alla “chi cojo cojo”, con i loro dardo senza equipaggio, hanno ucciso, in Afghanistan e in Iraq, centinaia di migliaia di persone, uomini, donne, vecchi, bambini, ma poi si inumidiscono fino alle lacrime per 40 delfini.
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Noi ex cittadini, ora sudditi del Trattato Transatlantico
C’era una volta lo Stato di diritto. Con il Ttip, il Trattato Transatlantico in via di approvazione semi-clandestina da parte degli Usa e dell’Unione Europea, nessun governo avrà più il potere di tutelare liberamente i diritti dei cittadini: scuola, sanità, ambiente, economia, sicurezza alimentare. L’ultima parola spetterà a tribunali speciali, chiamati a tutelare gli interessi del business contro quelli del cittadino. Allo Stato “colpevole” di difendere il suo popolo, con leggi a garanzia del lavoro e del welfare pubblico, non resterà che pagare salatissime sanzioni. E’ chiaramente eversivo il carattere del super-trattato che potrebbe entrare in vigore tra due anni, scritto sotto dettatura delle maggiori multinazionali e delle grandi lobby americane ed europee, col placet dell’Unione Europea. In pratica, a diventare legge – contro l’interesse pubblico dei cittadini – sarà il profitto dei “padroni dell’universo”. Un super-diktat, il loro, che sembra voler azzerare in un colpo solo due secoli di democrazia occidentale.I nuovi “tribunali” orwelliani dotati di poteri speciali, accusa Lori Wallach su “Le Monde Diplomatique” in un intervento ripreso da “Micromega”, riconosceranno anche il diritto del capitale ad acquistare sempre più terre, risorse naturali, strutture, fabbriche, e senza alcuna contropartita: le multinazionali non avranno alcun obbligo verso gli Stati e potranno avviare delle cause dove e quando vorranno. Per capire quello che succederà basta sfogliare i giornali: società europee hanno già avviato contenziosi legali contro l’aumento del salario minimo in Egitto o contro la limitazioni delle emissioni tossiche in Perú, grazie alla protezione di trattati come il Nafta. Altro esempio: il gigante delle sigarette Philip Morris, contrariato dalla legislazione anti-tabacco dell’Uruguay e dell’Australia, ha portato i due paesi davanti a un tribunale speciale. E il gruppo farmaceutico americano Eli Lilly intende farsi giustizia contro il Canada, “colpevole” di aver varato un sistema di brevetti che rende alcuni medicinali più accessibili. E ancora: il fornitore svedese di elettricità Vattenfall esige diversi miliardi di euro dalla Germania per la sua “svolta energetica”, che norma più severamente le centrali a carbone e promette un’uscita dal nucleare.«Non ci sono limiti alle pene che un tribunale può infliggere a uno Stato a beneficio di una multinazionale», continua Lori Wallach. Un anno fa, l’Ecuador si è visto condannato a versare la somma record di 2 miliardi di euro a una compagnia petrolifera. E anche quando i governi vincono il processo, essi devono farsi carico delle spese giudiziarie e di varie commissioni, che ammontano mediamente a 8 milioni di dollari per caso, dilapidati a discapito del cittadino. «Calcolando ciò, i poteri pubblici preferiscono spesso negoziare con il querelante piuttosto che perorare la propria causa davanti al tribunale». Lo ha appena fatto il Canada, «abrogando velocemente il divieto di un additivo tossico utilizzato dall’industria petrolifera». A partire dal 2000, il numero di questioni sottoposte ai tribunali speciali è decuplicato, creando un fiorente vivaio di consulenti finanziari e avvocati d’affari. E’ il vivaio in cui sguazzano le super-lobby dei poteri forti, come il Trans-Atlantic Business Dialogue. Le stesse che dettano le loro regole – da anni – alla Commissione Europea, la quale poi le trasforma puntualmente in direttive comunitarie.Creata nel 1995 con il patrocinio della Commissione di Bruxelles e del ministero del commercio Usa, la super-lobby Tabd non è altro che «un raggruppamento di ricchi imprenditori», impegnato in un “dialogo” «altamente costruttivo» tra le élite economiche dei due continenti, l’amministrazione di Washington e i commissari di Bruxelles. Il Tabd «è un forum permanente che permette alle multinazionali di coordinare i loro attacchi contro le politiche di interesse generale che restano ancora in piedi sulle due coste dell’Atlantico». Il suo obiettivo, pubblicamente dichiarato, è di eliminare quelle che definisce come «discordie commerciali» (trade irritants), vale a dire di operare sui due continenti secondo le stesse regole e senza interferenze da parte dei poteri pubblici. Di fatto, archiviati i tradizionali strumenti di pressione, le super-lobby oggi si apprestano a ricattare gli Stati con minacce estorsive, dettando direttamente le nuove leggi. La Camera di Commercio Usa e la potente lobby “Business Europe”, ovvero «due tra le più grandi organizzazioni imprenditoriali del pianeta», hanno espressamente richiesto ai negoziatori del Ttip di riunire attorno a un tavolo di lavoro un campionario di grossi azionisti e di responsabili politici affinché questi «redigano insieme i testi di regolamentazione» che avranno successivamente forza di legge negli Stati uniti e in Unione Europea.Di fatto, aggiunge Lori Wallach, le multinazionali mostrano una notevole franchezza nell’esporre le loro intenzioni: sugli Ogm, ad esempio, la Monsanto auspica che «il baratro che si è scavato tra la deregolamentazione dei nuovi prodotti biotecnologici negli Stati uniti e la loro accoglienza in Europa» sia presto colmato, proprio grazie al Trattato Transatlantico che imporrebbe agli europei il loro catalogo di organismi geneticamente modificati. E l’offensiva non è meno vigorosa sul fronte della privacy. La Coalizione del commercio digitale (Digital Trade Coalition, Dtc), che raggruppa industriali del Net e del hi-tech, preme sui negoziatori del Ttip per togliere le barriere che impediscono ai flussi di dati personali di riversarsi liberamente dall’Europa verso gli Stati Uniti. E l’Us Council for International Business (Uscib), un gruppo di società che ha massicciamente rifornito la Nsa di dati personali, «l’accordo dovrebbe cercare di circoscrivere le eccezioni, come la sicurezza e la privacy, al fine di assicurarsi che esse non siano ostacoli cammuffati al commercio».Anche le norme sulla qualità nell’alimentazione sono prese di mira. L’industria statunitense della carne vuole ottenere la soppressione della regola europea che vieta i polli disinfettati al cloro. All’avanguardia di questa battaglia, il gruppo “Yum!”, proprietario della catena di fast food Kentucky Fried Chicken (Kfc), può contare sulla forza d’urto delle organizzazioni imprenditoriali. Un gruppo di pressione come l’Istituto Americano della Carne, deplora «il rifiuto ingiustificato [da parte di Bruxelles] delle carni addizionate di beta-agonisti, come il cloridrato di ractopamina», un medicinale utilizzato per gonfiare il tasso di carne magra di suini e bovini. A causa dei rischi per la salute degli animali e dei consumatori, la ractopamina è stata bandita in 160 paesi, tra cui gli stati membri dell’Unione Europea, la Russia e la Cina. Per la filiera statunitense del suino, invece, il divieto di impiegare quella sostanza «costituisce una distorsione della libera concorrenza a cui il Ttip deve urgentemente porre fine». Avvertono i produttori americani di suino: «Non accetteremo altro risultato che non sia la rimozione del divieto europeo della ractopamina».Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, gli industriali raggruppati in “Business Europe”, denunciano le «barriere che colpiscono le esportazioni europee verso gli Stati uniti, come la legge americana sulla sicurezza alimentare». Dal 2011, essa autorizza infatti i servizi di controllo a ritirare dal mercato i prodotti d’importazione contaminati. Anche in questo caso, i negoziatori del Ttip sono pregati di fare tabula rasa. Si ripete lo stesso con i gas a effetto serra. L’organizzazione “Airlines for America” (A4A), braccio armato dei trasportatori aerei statunitensi, ha steso una lista di «regolamenti inutili che portano un pregiudizio considerevole alla [loro] industria» e che il Ttip, ovviamente, ha la missione di cancellare. Al primo posto di questa lista compare il sistema europeo di scambio di quote di emissioni, che obbliga le compagnie aeree a pagare per il loro inquinamento a carbone. Bruxelles ha provvisoriamente sospeso questo programma; A4A esige la sua soppressione definitiva in nome del «progresso». Se nessuno fermerà il Trattato Transatlantico, il destino della nostra civiltà è praticamente segnato.C’era una volta lo Stato di diritto. Con il Ttip, il Trattato Transatlantico in via di approvazione semi-clandestina da parte degli Usa e dell’Unione Europea, nessun governo avrà più il potere di tutelare liberamente i diritti dei cittadini: scuola, sanità, ambiente, economia, sicurezza alimentare. L’ultima parola spetterà a tribunali speciali, chiamati a tutelare gli interessi del business contro quelli del cittadino. Allo Stato “colpevole” di difendere il suo popolo, con leggi a garanzia del lavoro e del welfare pubblico, non resterà che pagare salatissime sanzioni. E’ chiaramente eversivo il carattere del super-trattato che potrebbe entrare in vigore tra due anni, scritto sotto dettatura delle maggiori multinazionali e delle grandi lobby americane ed europee, col placet dell’Unione Europea. In pratica, a diventare legge – contro l’interesse pubblico dei cittadini – sarà il profitto dei “padroni dell’universo”. Un super-diktat, il loro, che sembra voler azzerare in un colpo solo due secoli di democrazia occidentale.
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Uomini e maiali: i nostri organi “coltivati” sugli animali
Un team di scienziati giapponesi sta cercando di ottenere i permessi dal proprio governo per effettuare un nuovo tipo di esperimento embrionale. Si tratta di un processo di iniezione di una cellula staminale umana in un embrione animale, creando ciò che è definito un “embrione chimerico”. Verrà impiantato nell’utero di un animale, molto probabilmente di un maiale, e crescerà insieme ad esso, come organo di un essere umano. Quando la creatura crescerà, verrà però macellata per asportare l’organo, che verrà poi trapiantato in una persona con un organo malfunzionante o priva di esso. Secondo il professor Hirotsumi Nakauchi, responsabile del Centro per la biologia delle cellule staminali e la medicina rigenerativa dell’Università di Tokyo, «questo è un passo avanti molto importante per la medicina e ci sono voluti tre anni per raggiungere l’obiettivo». Il suo è il gruppo di ricercatori che in passato è riuscito ad iniettare cellule staminali in embrioni di topi geneticamente modificati.
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Trower: wi-fi pericoloso, verità nascosta a scopo di lucro
Come affermato da ricercatori universitari, scienziati governativi e consulenti scientifici internazionali, almeno il 57,7% delle studentesse esposte a radiazioni a microonde di basso livello (wi-fi) sono a rischio di avere aborti, malformazioni fetali o bambini con tare genetiche. I danni genetici possono essere trasmessi alle generazioni successive. Il professor John Goldsmith è consulente internazionale per le comunicazioni in Rf (radio-frequenze), consulente per l’Organizzazione Mondiale della Sanità in epidemiologia e scienze della comunicazione, consulente militare e universitario nonché ricercatore; a proposito dei bassi livelli di esposizione (sotto il livello termico) all’irraggiamento da microonde aventi le donne come bersaglio, ha scritto: «Nelle donne esposte a radiazioni di microonde, nel 47.7% dei casi ci sono stati aborti prima della settima settimana di gravidanza». E’ al di sotto di quello che la maggior parte delle studentesse riceve in un’aula dotata di trasmettitori wi-fi, a partire dall’età di circa cinque anni in su.
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Watts: facciamo la guerra perché ci manca l’onore dei ladri
Non ho ancora incontrato un santo o un saggio che non avesse qualche debolezza umana. Perché finché ti manifesti in forma umana o animale, devi mangiare a spese di altre forme di vita e accettare le limitazioni del tuo particolare organismo, che il fuoco può ancora bruciare e dove il pericolo ancora fa secernere adrenalina. La morale che possiamo trarre da questa comprensione è innanzitutto il sincero riconoscimento del fatto che dipendi da nemici, sottoposti, gruppi di esclusi, e in realtà da ogni altra forma di vita. Per quanto tu possa essere coinvolto nei conflitti e nei giochi competitivi della vita pratica, non potrai mai più lasciarti cullare nell’illusione che “l’altro che offende” abbia totalmente torto e potrebbe o dovrebbe essere eliminato. Questo ti darà la preziosa capacità di contenere i conflitti in modo che non sfuggano di mano, di essere disposto al compromesso e ad adattarti – di giocare, sì, ma di giocare con serena lucidità.
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Noi, docili cretini cerebrolesi: avvelenati da cibo e farmaci
Avvelenati per decenni dal cibo e dai farmaci, per costruire una società di automi. E’ la tesi di Roberto Marocchesi, basata su ricerche che studiano gli effetti neurologici dell’assunzione di sostanze chimiche contenute negli alimenti e nei medicinali. «Ci sono più di cinquemila specie di mammiferi sul pianeta, ma solo una di loro è “pazza”»: solo l’homo sapiens «volutamente avvelena pure i suoi figli, iniettando tossine e sostanze chimiche neurolesive nella maggior parte dei membri della specie». Mammiferi, uccelli, rettili e insetti hanno almeno cinque caratteristiche in comune: nessuno di loro mangia alimenti trasformati, assume farmaci, contamina la prole con vaccini tossici tenuti insieme da prodotti chimici nascosti, pratica l’agricoltura meccanizzata chimica e la monocoltura. E nessuno di loro, ovviamente, filtra la realtà in modo artificiale attraverso la Tv o Internet. L’uomo, invece, «la specie più folle del pianeta», s’impegna abitualmente in tutte e cinque queste cose, «avvelenando il corpo, la mente e i propri figli con metalli pesanti, pesticidi, mercurio, conservanti, farmaci che alterano la mente, solventi chimici, Ogm e deliri di programmazione mentale».
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Silverstone: abbracciare gli alberi fa bene, ora è provato
Abbracciare gli alberi, un’idea della “hippy generation” molto criticata, è ora provata in modo scientifico: contrariamente alle credenze popolari, toccare un albero rende più sani. Per stare meglio non importa neppure toccarlo, l’albero: il solo essere nelle sue vicinanze ha lo stesso effetto. Parola di Matthew Silverstone, autore del saggio “Blinded by Science”, bendati dalla scienza ufficiale. Tesi: tutto vibra, dal nucleo di un atomo alle molecole del nostro sangue e del nostro cervello. Suoni, piante, animali. Fino allo spazio esterno. «Una volta compreso questo principio di base, tutto diventa improvvisamente chiaro: se applichiamo questa teoria al mondo intorno a noi, ci stupiremo di cosa potremo imparare». “Blinded by Science” spiega come smettere di essere “accecati dalla scienza”, e offre una teoria che, se applicata a fattori come l’acqua, le piante, il sole e la luna, sembra avere un “senso perfetto”. Così, Silverstone prova “scientificamente” che gli alberi migliorano molti aspetti della salute: malattie mentali, disturbo di deficit di attenzione e iperattività (Adhd), livelli di concentrazione, tempi di reazione, depressione, emicranie.
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Colombo: crescita o decrescita? Pagano solo i poveri
Abbiamo aspettato la crescita come un Messia salvatore sotto forma di prodotti, di vendite, di profitti, di lavoro che torna, una terra promessa per la quale bastano alcune leggi, alcune sagge mosse di governo, alcuni sacrifici, magari duri ma necessari, che ti traghettano sulla parte salva del mondo. Su una sponda la corsa della civiltà lascerà indietro i neghittosi di un mondo antico e obsoleto che vogliono garanzie prima di dare. Sull’altra il mondo orgoglioso del nuovo profitto e del nuovo reddito, dove ognuno è protettore di se stesso, dunque affidabile. Chiaro? C’è qualche dubbio. «In tutti i casi la ricetta economica che ne discende è brutale: per avere crescita occorre più disuguaglianza, perché solo più disuguaglianza è in grado di imprimere il necessario dinamismo alla società. Tutto ciò spiega perché la parola eguaglianza – che pure figura, insieme a libertà e a fraternità tra le categorie chiave della modernità – sia caduta così in disuso nel lessico contemporaneo, compreso quello della sinistra».
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Uccidiamo tutto, per farne Pil: questa economia è delirio
Una delle ragioni per cui non ci sono persone che lavorano per far crollare il sistema che sta uccidendo il pianeta è che le loro vite dipendono dal sistema. Se la tua esperienza è che il tuo cibo viene dal negozio di alimentari e la tua acqua dal rubinetto, allora difenderai alla morte il sistema che ti porta quelle cose perché dipendi da esse. Siamo diventati così dipendenti da questo sistema che ci sfrutta e ci uccide che è diventato quasi impossibile per noi immaginare di viverne al di fuori. L’altro problema è la paura che abbiamo di avere ancora qualcosa da perdere. Abbiamo molto da perdere se questa cultura dovesse crollare. Una ragione primaria per la quale così tanti di noi non vogliono vincere questa guerra – o persino riconoscere che sia in corso – è che abbiamo dei benefici materiali dal saccheggio procurato da questa guerra. Quanti di noi rinuncerebbero ad automobili e cellulari, docce calde e luce elettrica, negozi di alimentari e vestiti? Ma la realtà è che il sistema sta uccidendo il pianeta.
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Lester Brown: presto non ci sarà più da mangiare per tutti
Il mondo è in una fase di transizione, da un’epoca dominata dal surplus, ad una dominata dalla scarsità. Sono in atto varie tendenze, che interessano sia la domanda che l’offerta e che portano ad un impoverimento delle scorte alimentari mondiali e ad un aumento dei prezzi. Questa situazione non è temporanea, si tratta piuttosto di una transizione di lungo periodo dall’abbondanza alla scarsità. Sotto il punto di vista della domanda c’è l’aumento della popolazione; non è una novità, negli ultimi decenni siamo cresciuti al ritmo di ottanta milioni l’anno. In pratica significa che stasera ci saranno 219.000 persone sedute a cena che ieri sera non c’erano, e che domani ce ne saranno altre 219.000 in più. La crescita della popolazione è continua e non accenna a diminuire. Il secondo elemento che crea l’aumento della richiesta di cibo è l’aumento della ricchezza. Aumentando il reddito, la gente, indipendentemente da dove si trovi, sale nella catena alimentare, e consuma più carne e pollame.
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Gli schiavi di Taranto prigionieri dell’Ilva: una favola nera
C’era una volta un presidente del Consiglio, Jumbolo, che vendette una grande industria a un signore, Creso. L’industria, che produceva acciaio, fu comprata a buon prezzo, a un ottimo prezzo. Jumbolo era famoso per la sua generosità. Creso ricompensò negli anni i partiti, gli elettori di Jumbolo, con ricche regalie e persino con omaggi personali, come accadde a Gargamella. Creso divenne così sempre più ricco. La grande industria funzionava infatti a meraviglia, tutta ricavi e senza costi. Gli investimenti per fare funzionare la Grande Macchina non erano necessari, li aveva fatti tutti Jumbolo con i soldi dei suoi sudditi. E’ vero che altri, urgenti investimenti per la salute dovevano essere fatti, ma nessuno controllava il veleno prodotto per incuria e per guadagno dalla grande industria nella città e nelle campagne, neppure il Gran Ciambellano dell’Ambiente, Peste Nera, che non mosse un dito per più di vent’anni.