Archivio del Tag ‘Dante Alighieri’
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Bogre, il martirio dei Catari che nessuno vuole ricordare
«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della più recente pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora accomunato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».Catarismo e Bogomilismo, riassume il regista, reduce dalle prime riprese condotte in Bulgaria, «sono la testimonianza storica di un medioevo tutt’altro che buio e immobile come spesso viene rappresentato: le idee viaggiavano da un capo all’altro dell’Europa, dai Balcani ai Pirenei, dall’Italia centro-settentrionale alla Bosnia». Proprio in Bulgaria, la troupe ha filmato i luoghi dell’eresia bogomila e raccolto le testimonianze dei più grandi esperti: «Abbiamo incontrato storici, filologi, archeologi. È stata la prima tappa, la seconda sarà in Occitania francese e poi seguiranno l’Italia centro-settentrionale, la Bosnia e Istanbul». La ricognizione filmica in Occitania rappresenta il cuore del documentario: «Qui la vittoria della Chiesa di Roma, delle armi dei crociati e dell’Inquisizione sui càtari, pose fine a un’idea di Dio che si voleva fedele alle origini, che predicava la pace, sosteneva l’eguaglianza sociale e – cosa inaudita a quei tempi – la parità uomo-donna». Fu lo sterminio di un mondo, aggiunge Valla, che ora promette di far entare gli spettatori «nella quotidianità dell’essere càtari e bogomili in quegli anni». All’eresia non aderirono solo i servi e i contadini che si opponevano all’alto clero, ma anche i feudatari e le classi mercantili e colte delle città.«Sono tante le famiglie di alto lignaggio che abbracciarono la novità della dottrina càtara: a Firenze – spiega l’autore di “Bogre” – erano càtari personaggi che tutti conosciamo, come Farinata degli Uberti, il poeta Guido Cavalcanti e, secondo studi recenti, lo stesso Dante Alighieri». Eppure, nonostante il suo evidente ruolo storico, il Catarismo spesso viene considerato un fenomeno marginale. Innumerevoli documenti e tradizioni svelano i rapporti dottrinali e umani che unirono i dualisti dell’Est Europa a quelli dell’Ovest: «L’episodio che rappresenta al meglio il mondo di “Bogre” è il concilio càtaro che si tenne nel 1167 a Saint-Felix de Caraman, presso Tolosa: un concilio a cui parteciparono rappresentanti delle varie comunità càtare occitane e italiane (le comunità di Tolosa, Carcassonne, Albi e Aran, più Marco di Lombardia per l’Italia) e che vide tra gli invitati il bogomilo Nicetas, che trasmise lo Spirito Santo attraverso l’unico sacramento riconosciuto dai càtari, il “consolamentum”». È innegabile che tra i due movimenti religiosi ci fosse non solo un’affinità, ma rapporti tutt’altro che sporadici. Entrambi condividevano una teologia drasticamente alternativa a quella cattolica: per càtari e bogomili, il mondo materiale era il frutto di una “creazione dannata”, operata dal Dio Straniero, alla quale il Padre Celeste (signore del cielo, ma non onnipotente) non aveva potuto opporsi.Può sembrare un espediente teologico: scagionare “Dio” dalla responsabilità del male presente nel mondo. Ma il sincretismo gnostico e proto-cristiano dei càtari ricorda da vicino la grande religione largamente diffusa nell’area mediorientale fino all’anno zero, quella dei Magi “venuti dall’Oriente” ad adorare il neonato di Betlemme. Era l’antica religione di Zoroastro, il mazdeismo, risalente al 1400 avanti Cristo, che aveva abolito i sacrifici animali (i càtari poi saranno addirittura vegetariani) e aveva aperto il sacerdozio alle donne (accanto ai Perfetti, il Catarismo ordinerà le Perfette). I Buoni Uomini, o Buoni Cristiani, erano casti e “francescani”, nonviolenti, contrari alla proprietà privata. La prima strage di massa, nel 1028, fu ordinata, suo malgrado, dal vescovo milanese Ariberto d’Intimiano, che interrogò i “bulgari” catturati a Monforte d’Alba, nelle Langhe: bruciateci pure, rispose il loro portavoce, così torneremo più velocemente al Padre Celeste. Il loro motto (“Noi non siamo del mondo, e il mondo non è nostro”) ricalca quello dei Sufi, con cui strinse un sodalizio Francesco d’Assisi. “Nel mondo, ma non del mondo; nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”, è infatti il credo dei mistici islamici, da cui derivano i Dervisci Rotanti.In piena “new age”, avverte una studiosa rigorosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sull’argomento, il Catarismo è stato anche strumentalizzato, in modo superficiale, in funzione anti-cattolica. Uno dei massimi storici europei del fenomeno, il francese René Weis, interpreta l’adesione a quell’eresia come il bisogno del credente medievale di tornare agli ideali evangelici, in un’epoca dominata dal potere ecclesiastico, spesso corrotto. Fu lo stesso Bernardo di Chiaravalle a condurre una storica missione in Occitania: lo stile di vita dei càtari è esemplare, riferì al Papa il futuro San Bernardo, auspicando che il clero cattolico abbandonasse lussi e privilegi. Il pontefice non era dello stesso avviso: Innocenzo III bandì addirittura una crociata, in terra europea, per stroncare un’eresia che – attraverso l’adesione della classe dirigente, l’aristocrazia e la nascente borghesia artigianale e mercantile – metteva in pericolo il potere del Papato. Fonti storiche citate da Weis parlano addirittura di mezzo milione di morti, fra Crociata Albigese e Inquisizione. La tragedia scoppiò nel 1209, quando la cittadina rivierasca di Béziers, in Linguadoca, si oppose al diktat dei crociati: volevano che Béziers consegnasse loro i 200 eretici riparati fra le mura. Di fronte al rifiuto dei consoli, l’abate Arnaud Amaury – capo spirituale della crociata – reagì nel modo più spietato: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi».La tradizione storiografica parla di migliaia di vittime. Lo choc per lo sterminio dell’intera popolazione di Béziers spinse il potente Re d’Aragona, Pietro II, a scendere in battaglia a fianco del conte di Tolosa, che difendeva – di fatto – la libertà di culto nelle terre occitane. Pietro II perse la vita nel 1213 combattendo cavallerescamente nella battaglia di Muret, ma la crociata devastò la regione fino al 1229. Si arrese Tolosa, ma non i suoi alleati: i cavalieri “faidits”, messi al bando, si rifugiarono nei castelli di montagna sui Pirenei, per proteggere gli eretici in fuga. Nel 1244, dopo nove mesi di assedio, cadde la fortezza di Montségur. L’ultima notte prima della resa, donne e soldati vollero ricevere il “consolamentum”, il battesimo càtaro, ben sapendo cosa li avrebbe attesi, l’indomani: furono 220 le persone arse vive nella spianata ai piedi del castrum, in quello che ancora oggi porta il nome di “Prat dels Cremats”. I càtari? Un fantasma scomodo: erano nullatenenti, vivevano di carità. Non veneravano nessun libro sacro: per loro, l’Antico Testamento (con la sua “terra promessa”) era opera del Dio Straniero. Non avevano neppure chiese, né templi: irriducibilmente anarchici, rifiutavano qualsiasi struttura organizzata. La comunità càtara, pur articolata in diocesi, non disponeva di beni materiali.Il Catarismo aborriva la dimensione materiale del vivere, ripudiando la materia come “prigione dello spirito”: riparlarne oggi forse non è casuale, nel momento in cui è la stessa fisica a diffidare della percezione spazio-temporale, mentre la comunità scientifica rivaluta l’esegesi non teologica dei cosiddetti testi sacri. Lo stesso Mauro Biglino, che traduce la Bibbia alla lettera «scoprendo che in quelle pagine non c’è nessun Dio», ricorda che il “format” cattolico (con i suoi dogmi) si affermò soltanto nel 325 dopo Cristo, per il volere politico dell’imperatore Costantino, «a spese di tutti gli altri Cristianesimi dell’epoca, che erano decine, a partire da quelli gnostici». In quella corrente si colloca certamente il Catarismo, che invoca la divinità “celeste” con queste parole: «Facci conoscere ciò che Tu conosci». Per i càtari, il vero Graal è, appunto, la conoscenza, al quale il credente può aspirare in modo autonomo, senza alcuna mediazione sacerdotale. Di fatto, il Catarismo nega alla religione il ruolo di struttura sociale al servizio del potere politico: i Buoni Cristiani proibivano di giurare, in un’epoca in cui proprio sul giuramento si fondava l’investitura feudale, e non riconoscevano alcuna legittimazione alle autorità terrene, né ai confini tra le nazioni.L’atteso lavoro cinematografico di Fredo Valla si basa su fonti storiche e dati d’archivio, nonché su consulenze autorevoli come quella di Maria Soresina e del Centro Ivan Dujčev di Sofia, una delle più importanti istituzioni accademiche bulgare, senza dimenticare il Cirdoc, la Mediateca Occitana di Béziers e l’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze. Il documentario sarà completato grazie al contributo fondamentale del crowdfunding: anche una piccola donazione può essere importante, per una produzione che accanto a Valla (autore e regista) vede impegnati Andrea Fantino ed Elia Lombardo (fotografia, suono, montaggio) con Ines Cavalcanti della Chambra d’Oc (produzione). «Abbiamo deciso di lanciare questa campagna di crowdfunding per condividere il nostro lavoro di ricerca e continuarlo in Occitania, dove nasce la parola “bogre”, e dove in fondo nasce il nostro film documentario». Proprio l’attuale Midi francese sarà la tappa più importante del viaggio. «Abbiamo intenzione di mantenere un metodo di lavoro attento alla storiografia e ai documenti più attendibili», assicura il regista. «Vogliamo che la storia di “Bogre” contribuisca alla storia dei “bogre”, di chi quel nome se l’è trovato appiccicato come un insulto dal momento in cui ha scelto una fede diversa da quella dominante». Una storia di idee che camminano, e che lottano per non essere dimenticate.«Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora cementato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».
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Italia sconfitta: non solo calcio, è il paese a non vincere più
«Personalmente vedo l’uscita dell’Italia dal girone finale dei mondiali di calcio come la Nemesi, la giusta punizione per un paese cantato da Dante quale regno dell’ignavia». Mai definizione fu più azzeccata, per Mitt Dolcino, che ricorda: nel 1996 la sconfitta con la Corea fermò l’invasione dei calciatori stranieri in Italia, concentrandosi sugli italiani e portando in dote il mondiale 15 anni dopo. Che farà l’Italia, ora che anche i giovani italiani scappano? Dettaglio: queste note profetiche, Dolcino le ha scritte (su “Scenari Economici”) prima di conoscere l’esito del catastrofico match di San Siro, conclusosi a reti inviolate tra le lacrime dell’eroe nazionale Buffon. Calcio a parte: un segnale sinistro, simbolico e inquietante, per un’Italia che non riesce più a vincere. Fuor di metafora: «C’è una regola abbastanza affidabile: vittorie ricorrenti nello sport arrivano quando un paese funziona, nel caso del calcio quando l’economia “tira” almeno in certi settori in cui il paese rappresentato eccelle». Questo vale certamente per l’Italia, assicura Dolcino: i 4 mondiali di calcio vinti dalla nazionale azzurra «sono arrivati a seguito di grandi miglioramenti differenziali a livello economico». Anche il mitico “mundial” spagnolo del 1982, quello di Bearzot (con Pertini al seguito) arrivò dopo l’aggancio della ripresa Usa spinta da Reagan.Stesso discorso per i mondiali pre-bellici, continua Dolcino, in cui «la crescita innescata dalle conquiste fasciste – prima di fare la follia di seguire Hitler – aveva dato nuova linfa alla speranza italica». La stessa “ratio” vale anche per il mondiale del 2006, quando l’Italia «era il darling europeo degli anglosassoni, con la proficua guerra in Iraq, mentre Germania e Francia arrancavano nel Vecchio Continente, incazzate con gli italiani troppo filo-Usa». Tutto sommato «anche per Italia ’90 si poteva vincere», visto che «l’economia italiana pre-Tangentopoli tirava alla grande». Dolcino ricorda anche «i trionfi sportivi del venerato Moro di Venezia figlio di Montedison, azienda poi svenduta ai francesi per via di una tangente pagata alla magistratura milanese». Agli sfortunati mondiali Usa 2000 «si poteva vincere sulle ali dell’illusione speranzosa – mal riposta – della scellerata entrata nell’euro». Oggi, invece, «l’Italia è letteralmente annichilita dallo schema che la Germania ha imposto attraverso l’euro, un piano per affossare il più grande alleato Usa non-anglosassone in Europa».Peggio: «L’Italia è prossima al fallimento economico». Nei piani franco-tedeschi «il prossimo anno arriverà la Troika per disporre degli asset nazionali più preziosi, in presenza di una classe politica nazionale non-eletta che, da 4 governi, fa gli interessi stranieri e non quelli italiani». Non poteva conoscere il risultato di Italia-Svezia, Dolcino, quando scriveva: «Pensate davvero che possa vincere i mondiali un paese al collasso, prossimo al fallimento, con l’Inps che deve attingere per oltre 100 miliardi di euro annui ai bilanci statali per non fallire?». Pensate davvero che possa farcela, un paese «con crescita del Pil nulla o quasi, con centinaia di migliaia di disperati che arrivano sulle coste», quelli che per la sinistra «saranno il futuro»? Questo è un paese «con le tasse più alte d’Europa per le imprese». In altre parole: così, non si va da nessuna parte (nemmeno ai mondiali di calcio, infatti). Il parallelo con il pallone è suggestivo e impietoso: «Il Milan del Cavaliere vinceva perchè l’economia tirava, perchè il Cavaliere fu un grande condottiero sportivo, perchè c’erano delle nicchie con enorme valore associato che permettevano al calcio italiano di eccellere».Oggi c’è qualcosa o qualcuno che eccelle in Italia? Voi direte, la Ferrari o qualcosa del genere. Vero, ma allora dovreste tifare Olanda, visto che la sede è là». Colpa delle delocalizzazioni? Certo, «imposte da tasse altissime, come conseguenza del rigore euro-imposto». La fuga delle aziende ormai ha lasciato «il deserto economico (e sociale)», vale a dire «un paese con bassi stipendi, dormitorio di vecchi, a forte emigrazione di italiani capaci e formati, serbatoio di manodopera a basso costo, con masse consumanti ma non risparmianti in quanto il valore aggiunto deve rimanere per forza oltre Gottardo. E tutto questo per preciso volere euro-tedesco». Come non far giungere il nostro sentito grazie agli ultimi quattro premier, tutti rigorosamente non-eletti? Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: grazie, «per non aver difeso il paese». Scriveva Dolcino, alla vigilia di Italia-Svezia: «Sappiate che non gioirò per l’eventuale mancata qualifica, spero anzi che l’Italia possa farcela. Ad ogni modo non tutto il male vien per nuocere: se la mancata qualifica potesse essere utile a farvi capire che l’Italia è davvero nella cacca fino al collo – al contrario di quello che i media cooptati al potere europeo vogliono farvi credere, per tenervi tranquilli – beh, questo sarebbe davvero un ottimo risultato. Meglio di una vittoria sportiva».Campane a morto per l’Italia: «Personalmente vedo l’uscita dal girone finale dei mondiali di calcio come la Nemesi, la giusta punizione per un paese cantato da Dante quale regno dell’ignavia». Mai definizione fu più azzeccata, per Mitt Dolcino, che ricorda: nel 1996 la sconfitta con la Corea fermò l’invasione dei calciatori stranieri in Italia, concentrandosi sugli italiani e portando in dote il mondiale 15 anni dopo. Che farà l’Italia, ora che anche i giovani italiani scappano? Dettaglio: queste note profetiche, Dolcino le ha scritte (su “Scenari Economici”) prima di conoscere l’esito del catastrofico match di San Siro, conclusosi a reti inviolate tra le lacrime dell’eroe nazionale Buffon. Calcio a parte: un segnale sinistro, simbolico e inquietante, per un’Italia che non riesce più a vincere. Fuor di metafora: «C’è una regola abbastanza affidabile: vittorie ricorrenti nello sport arrivano quando un paese funziona, nel caso del calcio quando l’economia “tira” almeno in certi settori in cui il paese rappresentato eccelle». Questo vale certamente per l’Italia, assicura Dolcino: i 4 mondiali di calcio vinti dalla nazionale azzurra «sono arrivati a seguito di grandi miglioramenti differenziali a livello economico». Anche il mitico “mundial” spagnolo del 1982, quello di Bearzot (con Pertini al seguito) arrivò dopo l’aggancio della ripresa Usa spinta da Reagan.
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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo. Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento. Questo lo scenario targato Italia 2017. Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati. Chiunque, l’importante che non sia italiano. Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese. Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire. Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria. Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina? Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti. Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale. Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo. Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione. Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro. Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano. Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno. Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza. Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto. Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini. Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva. Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle. Si votassero da soli. Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale. Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno. Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà. Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna. Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto. Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio. La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale. La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni. Questo paese è devastato dal dolore. Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.
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Vale tutto, anche la mafia, tranne la vera storia del disastro
Il culto del lavoro ben fatto è la stella polare dell’operaio Faussone, il protagonista del romanzo “La chiave a stella”. Ma Fassone è un uomo libero: non ha nulla a che vedere col muratore prigioniero di Auschwitz che Primo Levi vide lavorare con zelo, sfinendosi, agli ordini dei kapò. Fino a che punto è un valore, il lavoro? Lo è fino a quando non è sottoposto a una legalità bestiale, come quella delle SS o quella del deposto regime sudafricano dell’apartheid. Anche il massone progressista Nelson Mandela spaccavava pietre, a Robben Island, ma non ne era certo felice. Legalità: maneggiare con cura, evitando di farne per forza un totem. O magari un mestiere, come Roberto Saviano. O una crociata politica, come Antonio Di Pietro. Beninteso: l’illegalità dilagante – mafia, corruzione – imputridisce l’habitat e trasforma una democrazia in un girone dantesco dove regna la paura, insieme alla menzogna. La Sicilia è un vasto cimitero di eroi antimafia: carabinieri, poliziotti, magistrati. Un politico come Pio La Torre, comunista del Pci, non aveva mai pensato di celebrare un’epica dell’antimafia. Si era limitato, per così dire, a fare la guerra alla mafia: creando una legge che avesse finalmente il potere di confiscare i patrimoni dei boss. Non è finito in televisione: è andato a un funerale, il suo.Oggi il presidente del Senato, il palermitano Pietro Grasso, già magistrato antimafia, è invocato da Pierluigi Bersani come possibile salvatore della patria – o meglio, della “ditta”, come Bersani è abituato a chiamare il partito in cui milita. Da capo del Pd non esitò a devastare e amputare la Costituzione “più bella del mondo” sfigurandola con il pareggio di bilancio imposto dai “mandanti” di Monti, salvo poi dare battaglia a Renzi che voleva semplicemente archiviare il Senato elettivo. Ora, Bersani sogna a occhi aperti una candidatura di Grasso, cioè di un simbolo dell’antimafia, come se la mafia – nel 2017 – fosse la vera emergenza nazionale, come lo era ai tempi di Pio La Torre, assassinato nel 1982. Allora, l’Italia aveva già perso buona parte della sua sovranità finanziaria, dopo il divorzio da Bankitalia. Ma non era ancora caduta nella trappola del Britannia, del Trattato di Maastricht e dell’Eurozona, dell’Unione Europea governata dai banchieri privati che dettano legge alla Bce, trasformando in diligenti kapò i governanti di interi paesi. Lo ha ripetuto fino alla noia lo spigoloso Paolo Barnard: prima dell’euro-regime il Pil italiano volava, nonostante la mafia, la corruzione della politica e un’evasione fiscale da record.Dimostrò coraggio, l’allora giovanissimo Saviano, nel denunciare il fenomeno criminale della nuova camorra imprenditrice, la sua insospettabile pervasività, ma poi – esplosa la grande crisi – lo stesso Saviano non ha usato la sua enorme visibilità per aggiornare l’analisi sulle cause del disastro italiano. Si infuria, Di Pietro, se qualcuno gli fa notare che il pool Mani Pulite ha azzerato una casta corrotta ma non così prona ai grandi poteri anti-italiani come quella che ne ha preso il posto, offrendo il collo dell’Italia a una sorta di sacrificio rituale da milioni di vittime e decine di migliaia di aziende chiuse. Analisi estranee alla narrativa politica di Di Pietro ma anche a quella di Grasso e della sua collega della Camera, Laura Boldrini, sempre severissima con i teppisti del web ma insensibile alla catastrofe socio-economica di un paese che ha smesso di andare a votare, nauseato dallo spettacolo elettorale. La scelta è solo apparente, ancora e sempre teatrale: la recita giovanilista di Renzi, il copione dei grillini duri e puri (ma senza un programma per l’Italia) e l’ennesima reincarnazione di nonno Silvio, altro grande attore, lieto di constatare quanto sia ancora valida, numeri alla mano, la sua sceneggiatura di cartapesta. Era già decrepita nel 1994 la rivoluzione para-neoliberista del Cavaliere: se oggi tiene ancora banco, significa che i suoi ipotetici antagonisti sono ancora peggio di nonno Silvio, perlomeno come attori.Il culto del lavoro ben fatto è la stella polare dell’operaio Faussone, il protagonista del romanzo “La chiave a stella”. Ma Faussone è un uomo libero: non ha nulla a che vedere col muratore prigioniero di Auschwitz che Primo Levi vide lavorare con zelo, sfinendosi, agli ordini dei kapò. Fino a che punto è un valore, il lavoro? Lo è fino a quando non è sottoposto a una legalità bestiale, come quella delle SS o quella del deposto regime sudafricano dell’apartheid. Anche il massone progressista Nelson Mandela spaccava pietre, a Robben Island, ma non ne era certo felice. Legalità: maneggiare con cura, evitando di farne per forza un totem. O magari un mestiere, come Roberto Saviano. O una crociata politica, come Antonio Di Pietro. Beninteso: l’illegalità dilagante – mafia, corruzione – imputridisce l’habitat e trasforma una democrazia in un girone dantesco dove regna la paura, insieme alla menzogna. La Sicilia è un vasto cimitero di eroi antimafia: carabinieri, poliziotti, magistrati. Un politico come Pio La Torre, comunista del Pci, non aveva mai pensato di celebrare un’epica dell’antimafia. Si era limitato, per così dire, a fare la guerra alla mafia: creando una legge che avesse finalmente il potere di confiscare i patrimoni dei boss. Non è finito in televisione: è andato a un funerale, il suo.
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Il fisico Rovelli: non fidatevi del tempo, è solo un’illusione
A livello fondamentale il tempo non c’è. Ci sono processi elementari in cui quanti di spazio e materia interagiscono tra loro in continuazione. L’illusione dello spazio e del tempo continui intorno a noi è la visione sfocata di questo fitto pullulare di processi. Come possiamo accettare l’idea che il tempo non sia reale? Quello del tempo è un problema con cui ci si è scontrati lavorando sulle equazioni fondamentali. Dobbiamo farci i conti, ma forse è più semplice di quanto sembri a prima vista. In fondo noi viviamo in un mondo in cui c’è l’alto e il basso, ma sappiamo bene che si tratta di una distinzione locale e che non vale per tutto l’universo. Anche il tempo probabilmente è così: utile per descrivere fenomeni alla nostra scala, imprescindibile nella nostra esperienza quotidiana, ma che non vale per tutto l’universo. Abbiamo certezze al riguardo? No, ma la scienza non dà mai risposte certe, dà solo le migliori risposte del momento. Non è un male: possiamo vivere anche senza certezze assolute. Il che non vuol dire che non possiamo fidarci.In fisica fondamentale, ovvero la fisica che si occupa della descrizione delle cose più elementari, oggi ci sono vari problemi aperti, ma ce n’è uno più bello degli altri: quello della gravità quantistica. Lungo tutto il Novecento abbiamo scoperto molte cose, sul mondo, grazie alla meccanica quantistica e alla relatività generale. Ma le immagini dell’universo fornite da queste due teorie sono difficili da mettere insieme, non si conciliano. La gravità quantistica tenta di farlo, ma per riuscirci dobbiamo cambiare l’idea che abbiamo di spazio e di tempo. E’ come se, dopo un periodo in cui la scienza è andata sempre più verso una dimensione specialistica, si volesse tornare ai grandi sistemi filosofici. Nei primi anni del secolo scorso abbiamo fatto passi da gigante nella comprensione del mondo: era l’epoca di Einstein, di Bohr, di Fermi. Poi c’è stato il nazismo e molti fisici si sono spostati dall’Europa agli Stati Uniti. Lì la fisica è rinata, ma non era più la stessa: era una scienza imbevuta di pragmatismo americano, finanziata anche dall’esercito.Con la Seconda Guerra Mondiale, che ha coinvolto molto i fisici, il fenomeno si è acuito. Questo ha creato una generazione di scienziati il cui interesse principale era fare i calcoli e far funzionare le cose. Del resto, la meccanica quantistica permetteva di fare moltissime cose: laser, conduttori, computer. E la relatività di Einstein si poteva impiegare per spiegare molti fenomeni in astrofisica, dai buchi neri alle stelle di neutroni. Così si è andati avanti senza chiedersi se ci fosse qualcosa da cambiare. Generazioni di fisici hanno lavorato seguendo il principio: calcola e non fare domande. Ora però è passato quasi un secolo, i nodi lasciati irrisolti vengono al pettine e la fisica sta tornando a un modo di pensare più approfondito per cercare di rispondere alle domande ancora aperte. Ma forse c’è anche qualcos’altro. Un paio d’anni fa è uscito un libro intitolato “Come gli hippie hanno salvato la fisica”; l’autore (David Kaiser) sostiene che molti fisici teorici contemporanei fanno parte di quella generazione che pensava in termini universali e che, probabilmente, hanno conservato quel “vizio”.E’ passato un secolo da quando la relatività generale ha cambiato la natura dello spazio e del tempo, ma a noi sembra ancora strano immaginare il mondo secondo la fisica di Einstein. Aveva ragione Kant nel dire che spazio e tempo sono le forme a priori entro le quali solamente è possibile la nostra esperienza? Kant aveva ragione su quasi tutto. In particolare, oggi sappiamo che aveva ragione nel dire che quello che vediamo è il mondo esperito da un soggetto fatto così come è fatto. Ma la nozione di spazio che Kant considera naturale in realtà è quella nata nel 1670 con i Principia di Newton: lo spazio di Dante o quello di Aristotele non sono così. Bisogna allora prendere in considerazione la storia. La relatività ha cento anni, ma le sue basi sperimentali sono di oggi: quando andavo a scuola già mi insegnavano che, secondo la teoria di Einstein, un orologio su un tavolo corre più velocemente di uno a terra, ma solo recentemente sono stati creati orologi così precisi da provarlo. Cento anni sono pochi: in fondo Copernico è vissuto nel Cinquecento, ma nel Seicento solo alcuni visionari come Galilei pensavano di prendere sul serio le sue teorie. Arte e filosofia: c’è un collegamento intimo tra i campi del sapere. L’idea delle due culture è una sciocchezza contemporanea. Letteratura, scienze, arte, filosofia sono gli strumenti concettuali migliori che la nostra cultura ha prodotto e approfondiscono la comprensione del mondo. La spaccatura è disastrosa perché crea due gruppi di persone più ignoranti e più stupide.(Carlo Rovelli, “Spazio e tempo? Solo un’illusione”, dichiarazioni rilasciate a “Unità.it” per una recente intervista, ripresa dal blog “La Crepa nel Muro” il 4 settembre 2017. Rovelli, fisico teorico che insegna all’università di Aix-Marsiglia, ha firmato il saggio “La realtà non è come ci appare”, Raffaello Cortina editore, 240 pagine, 22 euro).A livello fondamentale il tempo non c’è. Ci sono processi elementari in cui quanti di spazio e materia interagiscono tra loro in continuazione. L’illusione dello spazio e del tempo continui intorno a noi è la visione sfocata di questo fitto pullulare di processi. Come possiamo accettare l’idea che il tempo non sia reale? Quello del tempo è un problema con cui ci si è scontrati lavorando sulle equazioni fondamentali. Dobbiamo farci i conti, ma forse è più semplice di quanto sembri a prima vista. In fondo noi viviamo in un mondo in cui c’è l’alto e il basso, ma sappiamo bene che si tratta di una distinzione locale e che non vale per tutto l’universo. Anche il tempo probabilmente è così: utile per descrivere fenomeni alla nostra scala, imprescindibile nella nostra esperienza quotidiana, ma che non vale per tutto l’universo. Abbiamo certezze al riguardo? No, ma la scienza non dà mai risposte certe, dà solo le migliori risposte del momento. Non è un male: possiamo vivere anche senza certezze assolute. Il che non vuol dire che non possiamo fidarci.
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Rino Gaetano fu assassinato, osava minacciare il potere
Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto pericoloso da costargli la vita? Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”».Si tratta di apparato riservato dello Stato «che compiva atti di intelligence in modo autonomo rispetto ai servizi istituzionali», prima il Sid e poi il Sismi e il Sisde, «spesso sfociando in atti illegali e gravissimi». Specialità inquietante del “Noto Servizio” «risultò essere, con atti sequestrati e acquisiti dalla magistratura, l’uccisione di persone ritenute “scomode” con incidenti stradali». Nel libro, Mautone ricostruisce le vistose anomalie dell’incidente che causò la morte di Gaetano, travolto da un camion e poi morto dissanguato, nella notte, a bordo di un’ambulanza militare, dopo che il ricovero fu rifiutato dal pronto soccorso di diversi ospedali. Una vicenda su cui inutilmente chiesero di fare luce, subito dopo, due senatori del Msi, Araldo di Crollalanza e Tommaso Mitrotti. Dal governo Forlani, un muro di silenzi e omissioni: il liberale Renato Altissimo, autore della risposta, non precisò l’ora dell’incidente sulla Nomentana, non disse chi allertò i soccorsi e come, né perché intervenne un’unica ambulanza nonostante fosse ferito anche il camionista coinvolto nell’incidente, esanime sull’asfalto, accanto all’artista intrappolato nella sua Volvo. Nella risposta di Altissimo, inoltre, «non si precisa perché l’unica ambulanza intervenuta fosse un mezzo poco attrezzato dei vigili del fuoco e perché Rino, una volta prelevato con una gravissima ferita cranica, venne condotto fatalmente in un ospedale privo del reparto di traumatologia cranica».Non si fanno neppure i nomi dei medici che avrebbero curato o cercato di curare il ferito in quelle condizioni, né si fa cenno ai presunti motivi che spinsero altri ospedali, pur allertati, a non approntare nessuna forma di soccorso. Non si dice nemmeno chi convocò il medico traumatologo, fatto accorrere al Policlinico, né il nome dello specialista e degli altri sanitari coinvolti. Tanta evidente vaghezza finisce per moltiplicare i sospetti: «Sin dai primi momenti, la morte prematura dell’artista calabrese suscitò interrogativi e dubbi». Oltre alla storia dell’amico impegnato in uffici diplomatici, che di lì a poco avrebbe seguito Rino Gaetano nel cimitero maggiore della capitale (per poi esservi rimosso), Mautone rimarca una clamorosa dichiarazione rilasciata da Rino dopo i trionfi sanremesi al giornalista Manuel Insolera: il festival della canzone viene paragonato in modo esplicito ad «un ordine massonico». In un articolo della “Stampa” di Torino, pubblicato il 3 giugno 1981 all’indomani della morte del cantante, si rileva come i testi di diverse canzoni facessero riferimento alle scabrose cronache della P2. A Mautone non sfugge che Rino Gatano è stato esplicitamente citato da Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, nel suo discorso ufficiale di insediamento, il 6 aprile 2014, utilizzando un verso del cantante per sottolineare la necessità di concordia: «Vi ricordo che cosa cantava Rino Gaetano: “Chi nuota da solo affoga per tre”».«Una notizia di grande interesse – aggiunge il blog “Scomparsi” – è rappresentata da una stretta frequentazione di Rino: nel cerchio delle sue più care amiche si annovera la giornalista Elisabetta Ponti, figlia di un medico, Lionello Ponti, che risultò inserito nella lista della P2 ed era il sanitario di fiducia di Licio Gelli». Il libro di Mautone, poi, mette a fuoco i costanti, fittissimi riferimenti (cifrati) con cui Rino Gaetano alludeva, nelle sue canzoni, ai principali “eroi” dei tanti scandali italiani: la Berta di “Berta filava” non sarebbe una ragazza qualunque, ma l’America, che “filava con Mario, filava con Gino”, ovvero i ministri Mario Tanassi e Luigi Gui, accusati per lo scandalo Lockeed, legato all’acquisto di velivoli militari Hercules C-130. Lo stesso Gaetano, in un concerto in Puglia, dichiarò che il brano era «dedicato al mondo dei grossi politici ed altri enigmatici mondi». Ci sono passaggi apparentemente inspiegabili come “il rapido Taranto-Ancona”, dalla canzone “Mio fratello è figlio unico”: «Da deposizioni giudiziarie – ha spiegato lo stesso Mautone – è poi risultato che proprio quel treno era stato utilizzato, da servizi deviati, per il trasporto di esplosivi destinati alle stragi nelle piazze».Ancora: il Cazzaniga citato nella canzone “Nun te reggae più” dopo la sequenza “Dc-Dc-Dc-Dc” sarebbe, secondo Mutone, l’oscuro democristiano Vincenzo Cazzaniga, già manager della Esso e poi vicepresidente della holding super-massonica Bastogi, posta sotto il controllo di Giulio Andreotti ed Eugenio Cefis, e citata espressamente da Gaetano in un’intervista. Cazzaniga, sostiene Mautone, risultò essere un collaboratore dei servizi americani e, per conto degli Usa, finanziava segretamente la Dc in chiave anti-sinistra. Altri riferimenti «allarmati», disseminati in vari brani musicali, citano una “rosa” e un “pugnale Usa”, richiamando l’eversione nera (la “Rosa dei Venti”) e Gladio. Nella canzone “La zappa, il tridente, il rastrello” compare direttamente “una mansanda in via Condotti”, che – si scoprirà poi – ospitava il vertice della P2. Decisamente inquietante, poi, il brano “La ballata di Renzo”, inciso nel 1970 ma uscito soltanto nel 2009, postumo. Sembra l’anticipazione, profetica e millimetrica, della fine che attendeva l’artista. “Quando Renzo morì, io ero al bar”, cantava Rino. L’incidente, poi l’odissea in ambulanza: “S’andò al san Camillo, e lì non lo vollero per l’orario”. Altro ospedale: “S’andò al san Giovanni, e lì non lo accettarono per lo sciopero”. E quindi l’epilogo, con persino il sinistro riferimento cimiteriale: “Con l’alba, le prime luci, s’andò al Policlinico, ma lo respinsero perché mancava il vice capo. In alto c’era il sole, si disse che Renzo era morto. Ma neanche al cimitero c’era posto”.Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto pericoloso da costargli la vita? Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”».
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Stieg Larsson ucciso perché tacesse la verità su Olof Palme?
Ultimamente nelle librerie si trova la trilogia “Millennium”, di Stieg Larsson. Si tratta di tre romanzi molto belli e ben fatti. Un successo da milioni di copie. L’autore è morto subito dopo aver terminato l’ultimo dei tre. Infarto. Avendo ormai capito che nessun successo internazionale arriva per uno scrittore se non c’è un motivo specifico collegato al sistema, mi incuriosisco e decido di capire di più riguardo alla sua morte. Approfondendo si scoprono alcune cose, che rendono evidente che la sua morte non è stata casuale, ma un vero e proprio assassinio. Primo indizio: l’autore muore come il personaggio del suo terzo libro (“La ragazza che giocava con il fuoco”). Muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale. Abbiamo detto che questa tecnica è la legge del contrappasso utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa. Secondo indizio: nella prima pagina della rivista “Expo”, ovverosia la rivista da lui fondata e dove esercitava il suo lavoro di giornalista, compare la sua foto con una rosa rossa in mano. La rosa campeggia da anni insieme alla foto dello scrittore.Terzo indizio: il nome del protagonista dei suoi romanzi è Mikael Blomkvist. Costui è conosciuto nel suo ambiente col soprannome di Kalle Blomkvist. Tale soprannome viene da un personaggio di un romanzo di Astrid Lindgren, l’autrice famosa per la saga di Pippi Calzelunghe. Il personaggio si chiama, appunto, Kalle Blomkvist, ed è un ragazzino che capeggia la banda della Rosa Bianca, in perenne conflitto con la banda avversaria della Rosa Rossa. Quarto indizio, la data rituale: 9.11.2004. Il valore numerico di questa data è 8: giustizia. Stieg Larsson è stato quindi probabilmente giustiziato. E la regola del contrappasso viene applicata a chi si è macchiato di una determinata colpa; tale tipo di morte dà quindi un indizio per capire il motivo per cui la persona è stata assassinata. E qui la ragione probabilmente deve essere ricercata nei suoi stessi romanzi e non altrove.Larsson era un collaboratore di Scotland Yard e consulente del ministero della giustizia svedese. Non a caso dopo l’omicidio di Olof Palme i servizi segreti chiesero la sua collaborazione per le indagini. I suoi romanzi dimostrano infatti una buona conoscenza del sistema dei servizi segreti (ad esempio viene ben descritto, nel terzo romanzo, il sistema dei suicidi in ginocchio e degli incidenti, di cui noi abbiamo parlato nei nostri articoli sull’omicidio massonico) e del sistema giudiziario in genere. Probabile quindi che si sia spinto troppo in là nel descrivere i dettagli di alcune operazioni segrete; probabile che i suoi romanzi abbiano attinto troppo dalla realtà, e che per giunta, adottando il soprannome di Kalle Blomkvist, volesse far intendere a chi leggeva che stava descrivendo il “sistema” della Rosa Rossa, dal punto di vista di una persona che tale sistema voleva combatterlo.Tra l’altro i suoi romanzi procedono in un crescendo: si passa da quello che sembra un normale romanzo giallo (il primo), ad una trama sempre più complicata che vede coinvolti i servizi segreti in un traffico di prostitute (il secondo), per arrivare ad un intrigo in cui sono coinvolti magistrati, politici e medici (il terzo). Tale intrigo è molto simile alla realtà. Probabile che nei successivi romanzi Larsson avesse voluto programmare una escalation di intrighi, ma anche di informazioni sul sistema in cui viviamo. Il mistero della sua morte va quindi ricercato, probabilmente, nei suoi futuri romanzi. Ma anche approfondendo e interpretando meglio i tre romanzi già scritti, leggendone il simbolismo, i riferimenti, le metafore, si potrebbero già scoprire molte cose interessanti.E allora mi vengono in mente le parole della Carlizzi, la prima volta che la incontrai e che mi spiegò “il sistema”. Alla mia esclamazione «ma questo è peggio di Dan Brown e di qualsiasi romanzo, siamo nella fantascienza», mi rispose: «Sbagli. La fantasia è inferiore alla realtà, per la complessità e la gravità degli eventi. Se un romanziere provasse a scrivere la verità in un romanzo, non glielo permetterebbero. Perché poi chi legge potrebbe insospettirsi e pensare che sia tutto vero. Quindi nessuno può pubblicare, anche in forma di romanzo, la verità». A mio parere quindi Larsson è stato assassinato non tanto per quel che ha scritto, ma per quello che avrebbe potuto scrivere: la verità sul sistema in cui viviamo.(Paolo Franceschetti, “Il mistero della morte di Stieg Larsson”, dal blog di Franceschetti del 21 ottobre 2010).Ultimamente nelle librerie si trova la trilogia “Millennium”, di Stieg Larsson. Si tratta di tre romanzi molto belli e ben fatti. Un successo da milioni di copie. L’autore è morto subito dopo aver terminato l’ultimo dei tre. Infarto. Avendo ormai capito che nessun successo internazionale arriva per uno scrittore se non c’è un motivo specifico collegato al sistema, mi incuriosisco e decido di capire di più riguardo alla sua morte. Approfondendo si scoprono alcune cose, che rendono evidente che la sua morte non è stata casuale, ma un vero e proprio assassinio. Primo indizio: l’autore muore come il personaggio del suo terzo libro (“La ragazza che giocava con il fuoco”). Muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale. Abbiamo detto che questa tecnica è la legge del contrappasso utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa. Secondo indizio: nella prima pagina della rivista “Expo”, ovverosia la rivista da lui fondata e dove esercitava il suo lavoro di giornalista, compare la sua foto con una rosa rossa in mano. La rosa campeggia da anni insieme alla foto dello scrittore.
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La materia è pensiero: Giordano Bruno anticipò la scienza
«Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia», scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. «La Forza è la Vita Cosmica». Giordano Bruno? «Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo». Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600 «anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza». Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, «perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio». Infatti, «la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di “aver mutato intento”, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo». Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che «indicano la via per edificare un nuovo mondo, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine». Forse «venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite», come direbbe Nietzsche.Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi un nobile antesignano di questa specie chiamata “indaco”, giunta a edificare un nuovo mondo, «un mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili», scrive la Racci, in una riflessione ripresa dal blog “Visione Alchemica”. «Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare; un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale». Quello che trasmetteva «non era solo un’immagine della vita, ma un’emozione del mondo». Giordano Bruno «era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili». Straordinario, per quei tempi. La sua profondità «non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente». Va ricercata nell’inconscio della scienza stessa, «che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove». Innegabili sono i miglioramenti che la scienza ha apportato alla vita dell’uomo occidentale. «Ma sotto l’aspetto della felicità, della ricerca di una pace interiore, di una quiete dell’anima in piena armonia con la natura e più ampiamente con il Tutto, risulta più difficile parlare di progresso».Per la professoressa Racci, sembra quasi che la scienza abbia sdradicato l’uomo dal suo habitat naturale, la fusione con la natura, «facendolo sentire meno alienato di fronte a un computer che al cospetto di un tramonto». Allo stesso modo, la religione, «per quanto antiscientifica possa sembrare», ha sovente «cercato il connubio con la ragione, con l’evidenza e la chiarezza del “lumen” naturale, perdendo in realtà la sua vera “quidditas”, la sua dimensione sacrale». Per questo Giordano Bruno fu messo al rogo: «La sua “nova filosofia” non era né scientifica, né strettamente religiosa, in quanto si fondava sulla “magia naturale”, sulla “prisca Aegiptorum sapientia”», l’amtica sapienza egizia. «Bruno è infatti il vero sensitivo immerso nella “fusis”, convinto che si possano abbattere le barriere tra l’umano e il divino». E attenzione: «Niente è più positivo dello sfondamento dei limiti, dello spostare le pietre di confine per arrivare alla comprensione che l’uomo, la Natura e Dio sono la stessa cosa. Nell’universo tutto è Vita, tutto è animato da uno stesso spirito vivificatore». Letteralmente: «Tutte le cose sono nell’universo e l’universo è in tutte le cose», in perfetta armonia.E’ un’innegabile forma di animismo: per Bruno, tra le piante, gli animali, gli uomini non c’è differenza se non di grado. La differenza è nel “Dorso della Forma”, sono fenomeni di un’unica sostanza universale. Pensare che il mondo sia là solo per l’uomo è un grave errore: «Il filosofo esce così dalla cultura occidentale cristiana e modula il suo sentire sul registro affine a quello buddista». Con l’ammirazione dovuta a chi sacrifica la vita per le proprie idee, «Bruno andrebbe inserito in una sfera iniziatica, riferendosi non tanto alla sua laicità, bensì alla sua sacralità, al suo vedere la presenza divina in ogni cosa, alla sua ansia di ricerca che trascende il raziocinio nel suo identificarsi nella natura, che è per lui un vero e proprio “indiamento”», cioè un’unione estatica tra l’umano e il divino. Si tratta di varcare il limite dell’homo sapiens per avviarsi «verso altra natura, altri corsi, altri mondi».La materia dunque non è inerte, ma viva, animata (pampsichismo) e costituisce uno dei centri archimedei del pensiero di Bruno: infatti, continua Manuela Racci, il filosofo perviene a una concezione della materia universale come fonte dell’infinito prodursi di tutta la realtà: come la gestante che riscuote da sé la sua prole, la materia contiene in sé tutte le forme, è «cosa divina e ottima parente, genitrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza»; è «fonte de l’attualità» di ogni cosa. Per Bruno la materia è Vita, materia infinita, e tra l’anima dell’uomo e quella delle bestie non c’è alcuna differenza sostanziale. «Potremmo dire che la “magia naturale” di Bruno si colloca in quella sotterranea corrente che prende il nome di “pensiero per immagini” che, pur perdente in Occidente, costituisce la fonte segreta del sapere, fonte a cui si accede non per via logico-architettonica ma per pratica amorosa». La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità di tale concetto in campo metafisico e metempirico: la forza «che move il sole e l’altre stelle», di cui parla Dante, è «l’unica che muove infiniti mondi e li rende vivi». E quella “magia naturale” che solo il vero saggio da sempre sente.«L’amore, dice il filosofo, sa “comprendere” ciò che la ragione non sa “spiegare”, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere». L’astrofisica Giuliana Conforto, in uno studio irrinunciabile sulla futura scienza di Giordano Bruno, evidenzia come il pianeta si stia trasformando e come il filosofo nolano sia uno dei grandi saggi che l’abbiano previsto. «Quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e soprattutto della sua immortalità. Egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come Dna, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia». In altre parole, «Bruno rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna perché vanifica il ruolo della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio: Bruno rivela il ruolo centrale di protagonista dell’uomo nel progetto cosmico, prevede i tempi attuali e l’evento che ristabilirà l’antico volto: il risveglio dell’uomo alla coscienza dell’infinita e vera realtà, l’Amore».Quella forza cosmica prende il nome, in Bruno, di “eroico furore”: «L’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore che, con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Solo il fuoco dell’esperienza dell’Amore è in grado di aprire la strada alla visione di Dio, del Tutto, dell’unità». Scorrendo in particolare i suoi sette scritti magici, tra cui esemplare risulta essere la “Lampas triginta statuarum”, testo di eccezionale bellezza poetica e immaginativa, il lettore non può non cogliere questo moderno senso del divino nell’uomo come appartenenza al Tutto, scintilla perfetta di un Tutto unico e animato. Per Manuela Racci, è una affascinante concezione della metempsicosi di ascendenza orfico-pitagorica: la morte non è altro che una dissoluzione di legami, ma nessun spirito o nessun corpo celeste perisce; è solo un continuo mutare di complessione e combinazioni. Affiora un «senso etico di giustizia cosmica», che spinge le anime «a comunicarsi a corpi sempre diversi, in una sorprendente affinità con il Karma delle religioni orientali, nella commossa intuizione che l’anima possa istituire innumerevoli legami tra piani dell’universo».Prima ancora dello stesso movimento romantico, Giordano Bruno ha quindi riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, «non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura». All’enfatizzazione del soggetto, Bruno contrappone un percorso opposto: non il primato dell’uomo, ma «il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura». La sua “magia”? «Non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia». Ed è la proposta filosofica di Bruno, «antitetica sia alla matematica sia alla religione». Alla legge dell’uomo occidentale sul Tutto, la “magia” bruniana si volge alla legge del Tutto: siamo parte della natura, non i suoi dominatori. E la nostra possibilità di felicità risiede nella complementarità attraverso cui possiamo combaciare con altri esseri, al tempo stesso naturali e divini.Tra le idee straordinarie che Bruno ha consegnato alla modernità, aggiunge la Racci, è impossibile non citare le due opere in chiave ermetica che si presentano come veri trattati di arte della memoria, la mnemotecnica (“De umbris idearum” e “Cantus circaeus”). Ne sviluppa un’analisi sottile Gabriele La Porta, nel suo libro “Giordano Bruno. Vita e avventure di un pericoloso maestro del pensiero”: le immagini descritte dal filosofo non avrebbero solo il compito di potenziare e raffinare la memoria visiva, ma rivestirebbero anche un significato propriamente “magico”. «Infatti la loro contemplazione e la loro rammemorazione porterebbero in contatto con energie cosmiche primordiali, con la vera “quidditas” delle cose, con le realtà supreme e archetipe, infondendo nell’animo pace, quiete, serenità». Secondo La Porta, Bruno si propone di suscitare una sorta di rivoluzione spirituale: «Seguendo le vie di un sapere esoterico, che ha tutti i caratteri di un’illuminazione, l’uomo si libera dai pregiudizi, dalle passioni negative, dagli egoismi, per diventare saggio, cioè in grado di percorrere la via della Forza, quella Forza che è trasparenza, libertà, verità».Una vera e propria scienza futura, che i saggi come Bruno già conoscevano: «Una coscienza che comprende interamente il messaggio della Vita e soprattutto il ruolo cosmico, immortale dell’essere umano». Come non ricordare poi la sua vulcanica intuizione cosmologica? Giordano Bruno, aggiunge la Racci, fu il primo a dedurre che la vita intelligente è distribuita un po’ dappertutto nell’universo, «ponendo così le basi alla giustificazione dei trasferimenti di essa da pianeti in estinzione ma ad alto livello di tecnologia a pianeti non abitati ma tali da consentire la vita». A ragione, Bruno viene visto come il primo ufologo: «Oggi le sue osservazioni sono considerate il punto di partenza per la ricerca di altre forme di vita nell’universo». Superando la rivoluzione copernicana, Bruno immaginava un universo infinito, popolato da un’infinità di stelle che, abbattute le muraglie del cielo fisso e finito, corrono per ogni dove. «Stelle come il nostro sole, ciascuna circondata da pianeti, su taluni dei quali prosperano altre intelligenze, creature viventi senzienti e razionali».«Apri la porta attraverso la quale possiamo osservare il firmamento senza limiti», era il suo motto. «Così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza de l’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli, non in una terra, un mondo, ma in duecentomila, dico in infiniti». Un universo dunque senza limiti, dai caratteri divini: infinito lo spazio, infiniti i mondi, infinite le creature, infinita la vita e le sue forme. Per Manuela Racci si potrebbe chiudere questa riflessione, meramente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini. «L’umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca». Obiettivo: «Gettare i semi per piante che fruttifereranno nel futuro». Non è possibile dire quando, «ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, viver in una dimensione di segno opposto a quella dell’attuale imbecillità. E soprattutto, non scoraggiarsi».«Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia», scrive l’astrofisica Giuliana Conforto. «La Forza è la Vita Cosmica». Giordano Bruno? «Non esprime filosofia, ma una scienza del futuro e una saggezza antica. Testimonia l’eterno presente e, con l’Arte della Memoria, indica il modo per viverlo». Di fatto, il grande pensatore rinascimentale bruciato vivo a Roma il 17 febbraio 1600 «anticipa la scoperta della Forza, la Vita Cosmica, e rivela il grande segreto della materia nucleare che la scienza non ha ancora compreso: la comunione diretta e quindi l’etica naturale di ogni essere umano con la Forza». Fu questo, aggiunge la Conforto, il motivo vero della sua condanna, «perché rende vano il ruolo delle chiese come presunte rappresentanti di Dio». Infatti, «la comunione diretta rivela la centralità dell’uomo e spiega il faticoso preludio al grande evento: la nascita dell’uomo nuovo che, per il fatto di “aver mutato intento”, diverrà cosciente, responsabile di sé e capace di creare un nuovo mondo». Da sempre, sulla Terra, sottolinea una studiosa come Manuela Racci, esistono esseri che «indicano la via per edificare un nuovo mondo, per aprire il cammino all’umanità verso una nuova aurora: sono esseri di luce, accomunati dalla stessa forza ed energia, marchiati dalla stessa solitudine». Forse «venuti troppo presto, nati postumi con la mente dinamite», come direbbe Nietzsche.
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Medusa è il potere: se lo guardi ti pietrifica, succede a tutti
Per poter gestire la cosa pubblica bisogna essere formati, e formati molto bene. Questo gli antichi lo sapevano, ci hanno avvertito, ma è un sapere che ci è stato completamente tolto. Il potere è una delle cose più pericolose da maneggiare. Non si presenta mai come tale, ma indossa sempre dei panni – di prestigio, ambizione, ascendente, reputazione, carisma, decisione. Ha sempre una maschera, e i greci lo sapevano bene: il mito della Medusa lo descrive molto bene. La Medusa era il potere, il nome si riferisce a colei che domina, sovrana, ed è una combinazione tra umano e bestiale tra le più terrifiche. Insieme a Steno e Euriale è una delle tre Gorgoni. Secondo il mito, avevano il potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il loro sguardo. E, delle tre, Medusa era l’unica a non essere immortale. Solitamente venivano rappresentate con le ali d’oro, le mani con artigli di bronzo, il volto leonino, zanne da cinghiale, orecchie allargate – gli attributi simbolici di tutte le metafore zoomorfe del potere. E il loro potere mortale era nello sguardo. La Medusa era tutta mostruosa, ma concentrava negli occhi la sua arma fondamentale: fissare la Medusa significava perdersi, trasformarsi in pietra dura, opaca.Cosa voleva dire, il mito? Attenzione: il potere possiede quasi un incantesimo. E quindi, nel momento in cui tu guardi e non sei formato, non sei protetto, perdi te stesso. Perdi la tua capacità di guardare, di avere uno sguardo proprio, di appartenerti. La Medusa è disumana, ed è in grado di disumanizzare chi vi entra in relazione. E infatti chi uccide la Medusa? Perseo, perché è formato e protetto: ha lo scudo di Atena, i calzari alati offerti da Ermes. Perseo è colui che doma le potenze infere, la natura selvaggia del potere. La conoscenza non è altro che scudo e consapevolezza: solo chi è formato può resistere al potere, può andare in un posto di potere e non perdersi, una volta raggiunto il potere. Se non sei formato, puoi essere anche la persona con le migliori intenzioni del mondo, ma verrai pietrificato.Tanto è forte, questo insegnamento, che addirittura a Dante, nel nono canto dell’Inferno, quando incontra le Gorgoni, Virgilio dice di chiudere gli occhi; non sicuro che Dante tenga davvero gli occhi chiusi, gli chiude gli occhi lui stesso, con le mani, perché sa che le Gorgoni sono pericolosissime. Virgilio mette proprio le mani sugli occhi di Dante e gli dice: volgiti indietro e tieni il viso chiuso, perché se la Gorgona si mostrasse e tu la vedessi, nulla potrebbe più tornare come prima, saresti perso per sempre. E subito dopo c’è quel famoso verso, che poi ognuno interpreta un po’ come vuole, dove Dante, appena dopo l’avvertimento di Virgilio, dice: “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani”. Come dire: se un giorno avrai intenzione di ricoprire una carica importante, e quindi andare in un posto di potere a fare determinate cose, potrai essere la persona migliore del mondo e avere le intenzioni migliori del mondo, ma se non sei formato sarà un disastro, per te ma soprattutto per gli altri.Noi oggi questo non lo sappiamo, e quindi puntiamo sui giovani. Brave persone? Bene, ci fa piacere, ma sono anche adeguati? Bisogna essere formati, e bisogna avere esperienza. Siamo abituati a visitare New York sul computer; ma passeggiarci davvero, a piedi, è un’altra cosa. Queste sono tutte saggezze che a noi sono state tolte. Anzi, ci fanno credere il contrario: ci fanno credere che oggi il mondo dev’essere dei giovanissimi, e che a 25 anni sei già vecchio. “Largo ai giovani”, che non sono formati. E pur essendo persone meravigliose, quando arrivano in determinati posti vengono stritolati: si perdono. Questa è una saggezza tramandata ovunque, da Omero in poi, dal IX secolo avanti Cristo. Ma poi a noi hanno iniziato a cambiare il modello di insegnamento, perché noi non dovevamo più formare uomini, ma creare lavoratori.(Solange Manfredi, dichiarazioni rilasciate nel corso della diretta web-radio di “Forme d’Onda” del 4 maggio 2017).Per poter gestire la cosa pubblica bisogna essere formati, e formati molto bene. Questo gli antichi lo sapevano, ci hanno avvertito, ma è un sapere che ci è stato completamente tolto. Il potere è una delle cose più pericolose da maneggiare. Non si presenta mai come tale, ma indossa sempre dei panni – di prestigio, ambizione, ascendente, reputazione, carisma, decisione. Ha sempre una maschera, e i greci lo sapevano bene: il mito della Medusa lo descrive molto bene. La Medusa era il potere, il nome si riferisce a colei che domina, sovrana, ed è una combinazione tra umano e bestiale tra le più terrifiche. Insieme a Steno e Euriale è una delle tre Gorgoni. Secondo il mito, avevano il potere di pietrificare chiunque avesse incrociato il loro sguardo. E, delle tre, Medusa era l’unica a non essere immortale. Solitamente venivano rappresentate con le ali d’oro, le mani con artigli di bronzo, il volto leonino, zanne da cinghiale, orecchie allargate – gli attributi simbolici di tutte le metafore zoomorfe del potere. E il loro potere mortale era nello sguardo. La Medusa era tutta mostruosa, ma concentrava negli occhi la sua arma fondamentale: fissare la Medusa significava perdersi, trasformarsi in pietra dura, opaca.
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Carotenuto: parla Renzi, ma a decidere è Michael Ledeen
Siccome si sono resi conto del fatto che la gente sempre meno sopporta la centralizzazione europeista, i renziani hanno deciso di fare finta di essere antieuropeisti e minacciano addirittura la “disgregazione” della Ue. Hanno posto un veto al bilancio comunitario, in quanto non tiene conto delle esigenze italiane. Che non tenga conto delle vere esigenze degli italiani ce ne eravamo accorti da sempre, ma i vari Ciampi, Prodi, Napolitano, Letta, Monti, Mattarella e Renzi hanno sempre detto il contrario: «Ci vuole più Europa», hanno proclamato fino a ieri in ogni occasione, anche a sproposito. Come soluzione panacea di qualsiasi problema. Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone. Il problema è che a non volerla non è solamente quel 30% più maturo del paese, ma anche le parti più immature. E non è solo la gente a non volerla: i partiti contrari vanno dai comunisti a Casapound, passando per 5 Stelle e Lega, oltre ad un grupetto di livorosi oppositori interni nel Pd.Questa singolare “ammucchiata” di oppositori politici rende facile per i renziani sbandierare che tutti i peggiori sono contrari a questa “luminosa” riforma che farà risorgere il paese. E’ fin troppo semplice dire: “Casapound vota No, e tu non vuoi essere come Casapound, vero?” Ora il suo obiettivo è la maggioranza dormiente, quella che nelle democrazie occidentali c’è sempre. E che non si fa tante domande… Di quelli che stanno lì nel sonno profondo e sognano di poter vivere tranquilli senza informarsi bene, senza occuparsi di politica in modo consapevole. Quella maggioranza fatta di gente che vota Pd e che si fida comunque del leader, di altri che si bevono la panzana del rinnovamento del paese e della diminuzione dei costi della politica, di quelli che sono contenti dei loro 80 euro mensili in più, degli altri che vogliono andare in pensione prima e che pensano di dover ringraziare Renzi… e di quelli sonnecchianti, ai quali basta raccontare di giorno in giorno un po’ di balle: come l’aumento improvviso del Pil (un ridicolo 0,9%, per altro assai sospetto persino per “Repubblica”), la finta eliminazione del bicameralismo, la riforma elettorale da fare “dopo” il referendum, la falsa chiusura di Equitalia.Da un paio di giorni hanno persino riesumato il fantasma dello spread, poverino: riposava tanto bene da anni… Renzi le sta provando tutte. Ha veramente paura di dover andare a casa. E gira insistentemente la Sicilia alla ricerca dei voti della mafia e dei comitati d’affari. La parola d’ordine è “Ponte sullo Stretto”. Un ponte pericoloso e che non serve, ma che darebbe tantissimi soldi nostri a tutti i comitati d’affari siciliani e oltre. E manda lettere agli italiani all’estero promuovendo il Sì ed impedendo al comitato del No di fare altrettanto, rifiutandogli l’accesso alle liste di indirizzi. Del resto Renzi non avrebbe alcun problema – pur di sopravvivere politicamente – a trasformarsi da ”Clinton” in “Trump”. Tanto sarebbe tutto finto… solo questione di darla a bere agli italiani. E poi lui non gode solamente dell’appoggio della sinistra americana, quella clintoniana e obamiana, ma anche della destra di sostegno a Trump, attraverso personaggi inquietanti come Michael Ledeen, vera e propria ombra sul gabinetto Renzi. Potenza trasversale degli ambienti massonici…Sì, proprio Michael Ledeen, quello delle mene americane sul caso Moro, quello espulso perfino dai nostri servizi segreti perché troppo intrigante, quello legato alla P2, quello coinvolto nel Nigergate e nello scandalo Iran-Contra, quello che per conto del reazionario Reagan si scontrò con Craxi nella notte di Sigonella (Craxi pagò amaramente quel gesto di indipendenza dagli Usa). Quello di cui non si sanno la maggior parte delle cose che ha combinato in Italia, e sarebbe bene saperle… Quello che vuole che gli Stati Uniti aumentino radicalmente il livello dei loro interventi militari nel mondo. Quel Ledeen che è da anni intimo del pupillo di Renzi, Carrai, il cui ruolo è quello di coordinare i servizi segreti italiani… Quello che lavora per la Cia e per il Mossad contemporaneamente…E’ chiaro, solo un segnale forte da parte degli italiani potrà porre almeno un freno a questa deriva anti-democratica: un bel No al referendum. Non vogliamo perdere ancora più rappresentatività, non vogliamo ancora più centralizzazione. Non vogliamo più multinazionali a rovinare il nostro territorio… Senato, regioni e province funzionano male? E allora facciamoli funzionare bene invece di abolirli… invece di togliere loro potere e abolirle, lasciando tutto in mano a pochi oscuri funzionari centrali influenzati da lobbisti predatori di tutte le razze. Lontanissimi dal controllo e dalla vigilanza delle popolazioni locali. Quanto aveva già ragione Dante: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Ora il nocchiere c’è, ma è quello sbagliato, e la sua intenzione è proprio quella di aumentare il “bordello” a favore di poteri diversi da noi. Ed è singolare il profetico riferimento di Dante alle province. Forza, non dormiamo: diamoci da fare per il No.(Fausto Carotenuto, “Pur di vincere il referendum Renzi ora fa anche finta di essere antieuropeista”, da “Coscienze in Rete” del 16 novembre 2016).Siccome si sono resi conto del fatto che la gente sempre meno sopporta la centralizzazione europeista, i renziani hanno deciso di fare finta di essere antieuropeisti e minacciano addirittura la “disgregazione” della Ue. Hanno posto un veto al bilancio comunitario, in quanto non tiene conto delle esigenze italiane. Che non tenga conto delle vere esigenze degli italiani ce ne eravamo accorti da sempre, ma i vari Ciampi, Prodi, Napolitano, Letta, Monti, Mattarella e Renzi hanno sempre detto il contrario: «Ci vuole più Europa», hanno proclamato fino a ieri in ogni occasione, anche a sproposito. Come soluzione panacea di qualsiasi problema. Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone. Il problema è che a non volerla non è solamente quel 30% più maturo del paese, ma anche le parti più immature. E non è solo la gente a non volerla: i partiti contrari vanno dai comunisti a Casapound, passando per 5 Stelle e Lega, oltre ad un grupetto di livorosi oppositori interni nel Pd.
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Carpeoro: come gli Illuminati hanno infiltrato l’America
Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.«Ma attenzione: gli Illuminati di oggi non hanno nulla a che vedere con i fondatori, tedeschi, di un’ideologia che era l’opposto del Nuovo Ordine Mondiale». Erano idee libertarie, su cui si fondò il primo socialismo utopistico, pre-marxista, di Saint-Simon, Blanc, Prudhomme. La parola “illuminati” richiama direttamente il ‘700, il clima culturale del secolo dei Lumi, racconta Carpeoro in una conversazione con Benedetto Sette, pubblicata su YouTube. Tramite i suoi esponenti di punta, come Diderot e d’Alembert, fondatori dell’“Encyclopédie”, l’Illuminismo «voleva restituire, a una civiltà dominata da poteri assoluti, autocratici e autoritari, l’equilibrio consentito dai “lumi” della ragione». Nella Francia del ‘700, la ragione viene posta al di sopra di ogni altra cosa: «D’altro canto, una cinquantina di anni prima, Cartesio sosteneva il “cogito ergo sum”, cioè che l’essere è dato dal pensare». E quindi: «Poter mettere in discussione qualunque cosa è giusto. L’importante, però, è non sostituire vecchi dogmi con nuovi dogmi, sul piedestallo di una finta razionalità: questo crea nuove ingiustizie».Ed è esattamente quello che è accaduto agli Illuminati, nella loro parabola: se gli ideologi tedeschi erano partiti dall’idealismo egualitario e proto-socialista, i loro epigoni americani (auto-proclamatisi “eredi” degli Illuminati di Baviera) sono diventati i massimi guardiani dello status quo, del potere oligarchico in mano a pochissimi. Tutto nasce il 1° maggio del 1776 a Ingolstadt, nel sud della Germania, dove il professor Johann Adam Weishaupt, docente di giurisprudenza, fonda la confraternita degli Illuminati di Baviera. Obiettivo: una società più giusta, liberata dall’arbitrio di un potere fondato sul dominio. Una prospettiva rivoluzionaria, a partire dall’abolizione del tabù assoluto, la proprietà privata. «Weishaupt era un massone tedesco che aveva nel suo progetto la creazione di un livello superiore alla massoneria», racconta Carpeoro. L’ideologo degli Illuminati di Baviera si muove come un altro massone libertario, il francese Louis Claude de Saint-Martin, che aveva creato quello che chiamava Ordine dei Perfettibili. Matrice comune: i Rosacroce, la leggendaria “fratellanza” che accomunò Dante Alighieri e Giordano Bruno, fino a Goethe, Victor Hugo e oltre, verso la prospettiva di un’umanità liberata dal bisogno e dalla paura.Lo statuto elaborato da Weishaupt «ha come presupposti l’abolizione della proprietà privata e l’allargamento progressivo della scala di interessi: individui e popoli devono sempre porsi al di sotto di un ordine superiore, cioè l’interesse di tutti, dell’umanità, del mondo». Il principio mistico-religioso è di origine gnostica, continua Carpeoro. E Weishaupt parte dall’opera di Comenius, che era anch’esso un Rosacroce, al secolo Jan Amos Komenský. «Fu l’ultimo di quei Rosacroce che avevano teorizzato la costruzione della società perfetta: Francesco Bacone con la “Nuova Atlantide”, Tommaso Campanella con “La città del sole”, Tommaso Moro con “Utopia”; lo stesso rifondatore dei Rosacroce, Johann Valentin Andreae, scrisse un’opera che si chiamava “Christianopolis” o “Viaggio all’isola di Caphar Salama”». Stesso tema: un mondo di cittadini liberi e consapevoli, con pari diritti. «Ben presto, però, Weishaupt si accorge che un ideale di questo tipo deve fare i conti col potere: deve cioè diventare un’organizzazione di potere». All’inizio, i primi Illuminati hanno un enorme successo: partono dalla Baviera, ma le loro idee finiscono per conquistare tutta la Germania. «Weishaupt diventa un interlocutore privilegiato dei malgravi tedeschi, dei potenti. E all’ombra di questo progetto abbastanza idealista nasce quindi una struttura dalle forti connotazioni pratiche».Così, inevitabilmente, affiorano i primi problemi: alla fine del ‘700, al movimento aderisce il barone Adolf von Knigge, «colui che dà la svolta vera alla società degli Illuminati come struttura», creando «una struttura di potere, di gestione e direzione unica della società». Fatale lo scontro con Weishaupt, «un idealista con la mania dei rituali magico-esoterici». Quei rituali gli varranno l’accusa di “gesuitismo” e autoritarismo. La realtà è un’altra: i baroni, che pure hanno aderito allo slancio ideolgico iniziale, capiscono che l’egualitarismo di Weischaupt mette in pericolo i loro privilegi. Sarà Federico II di Prussia a sciogliere ufficialmente la società, per legge. E Weishaupt morirà povero solo, in esilio, abbandonato da tutti, nel 1830. «La storia degli Illuminati di Baviera finisce qui», sottolinea Carpeoro: «Non è mai andata oltre la dimensione territoriale della Germania». Come dire: gli Illuminati successivi, che giureranno di ispirarsi a Weischaupt, non hanno mai avuto alcuna relazione diretta con il movimento tedesco. Non solo: se i primi neo-Illuminati americani avevano ancora, in parte, qualche germe idealistico nella loro ideologia, i successori hanno fatto piazza pulita di qualsiasi istinto democratico, divenendo la punta di lancia dell’élite finanziaria che oggi domina il pianeta.Il passaggio cruciale è la nascita degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776. Siamo ancora nel secolo dei Lumi, ma dall’altra parte dell’Oceano. Le idee viaggiano: il fondatore, George Washington, massone, è anch’egli un iniziato Rosacroce. «Succede che quando Washington giura come presidente – racconta Carpeoro – alcuni americani dichiarano di ispirarsi al modello degli Illuminati tedeschi, pur senza aver mai avuto alcun rapporto con essi. Ma è lo stesso Washington a sconfessarsi totalmente. In una lettera aperta a un giornale, avverte: mai e mai poi mai le idee dei nuovi Illuminati avrebbero dovuto prendere possesso dell’America». Bel problema: «Siccome Washington era anche il capo della massoneria americana – continua Carpeoro – questi signori capirono che dovevano inquinare la massoneria, per riuscire ad arrivare al potere negli Stati Uniti. E lo fecero utilizzando tutti coloro che avevano perso la guerra civile americana, quindi una serie di personaggi sudisti, cioè schiavisti, che vennero infiltrati nella massoneria, resero gran parte della massoneria americana conservatrice e reazionaria, e poi elaborarono le teorie dei Nuovi Illuminati».I Nuovi Illuminati nascono infatti all’inizio del XX secolo, tra l’Inghilterra e l’America. «Riferendosi – per l’etichetta e per il marchio – a quello che aveva fatto Weischaupt in Germania, in realtà teorizzano il cosiddetto mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale. Teorizzano cioè il fatto che, traversalmente agli Stati, possa nascere non “una” società perfetta in un determinato paese, ma “la” società perfetta». Nasce quindi «una struttura che deve necessariamente cospirare». Una super-struttura, «trasversale a tutti gli Stati». E questo accade attraverso uomini d’affari come Cecil Rhodes, secondo cui Usa e Gran Bretagna devono dare vita a un unico governo federale della Terra. A questo scopo, Rhodes crea una confraternita, la Rhodes Scholarship, che in America esiste tuttora. E così Lionel Curtis, che fonda vari gruppi, tra cui la Tavola Rotonda di Rohdes-Milner, presupposto dell’attuale Round Table. «In pratica, questi personaggi infiltrano soprattutto il governo americano, fin dalla sua nascita». Nonostante l’altolà di Washington, i Nuovi Illuminati riusciranno ad avere intensi rapporti con diversi presidenti americani: Edward Mandell House sarà il segretario di Woodrow Wilson, il presidente che costruirà la Società delle Nazioni, progenitrice dell’Onu. Altra eminente personalità dei neo-Illuminati americani, lo scrittore Herbert George Wells, autore nel 1897 del fortunato romanzo “La guerra dei mondi”.«Quindi – prosegue Carpeoro – fin dall’inizio si diffonde questo progetto di costruire il Nuovo Ordine Mondiale nel nome degli Stati Uniti d’America. Successivamente, come tutte le strutture di potere, questa diventa una struttura che affianca il potere in realtà senza cambiare niente». Il New World Order, che in origine doveva avere un’ispirazione rivoluzionaria, «in realtà si riduce alla pura gestione dell’esistente: una gestione trasversale, mondialista e di assoluto potere dello status quo». Evidente: «Per questi signori, meno cambia e meglio è: perché così fa comodo a loro». Ma il processo di “degenerazione” non è improvviso, avviene per gradi. Quando gli Illuminati devono aggirare Washington e quindi si alleano con le componenti più conservatrici del paese, il Sud schiavista, intuendo che saranno riassorbite nel vertice di potere in vista della riconciliazione nazionale postbellica, il loro capo è Albert Pike, «un eminente massone del neo-rito scozzese, che fece una politica di infiltrazione culturale molto capillare». Nonostante ciò, dice Carpeoro, «il suo modo di essere “illuminato” non è lo stesso di Rotschild: Pike è ancora fortemente ideologico».Il discorso degli attuali Illuminati diventa esclusivamente pragmatico successivamente, «con le associazioni tra banchieri, i trust, i vari Bilderberg». Così, «con un’ulteriore mutazione, diventa una struttura di conservazione; ma all’inizio gli Illuminati erano una struttura di rivoluzione». Il sionismo bellicista? «E’ una conseguenza, non una causa». E i motivi sono anch’essi evidenti: «Poiché una parte dei grandi banchieri mondiali sono di provenienza ebraica, ai tempi di Yalta hanno forzato la situazione e utilizzato anche la struttura trasversale degli Illuminati per arrivare alla costituzione dello Stato di Israele, e soprattutto per escludere che si facesse lo Stato di Palestina». E’ tristemente noto: «Una delle posizioni più reazionarie e meno sostenibili, pubblicamente, di un certo sionismo, è la negazione dell’esistenza del popolo palestinese, così come tra gli arabi esiste chi nega l’esistenza del popolo ebreo». Falsi storici: «I Filistei biblici sono gli attuali palestinesi, e già facevano le guerre per la terra, in quell’epoca». Il conflitto israelo-palestinese, “cristallizzato” nel retrobottega di Yalta nel 1945, è ancora oggi il focolaio di odio da cui la manipolazione culturale fa derivare lo “scontro di civiltà” tanto caro al complesso militare-industriale, a Wall Street, al Pentagono.Autore del romanzo “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) sulla “storia di una leggenda realmente accaduta”, quella dei Rosacroce, lo stesso Carpeoro sta per pubblicare un saggio, presso Uno Editori, intitolato “Dalla massoneria al terrorismo”. Focus: la strategia della tensione internazionale, affidata a manovalanza magari islamista ma accuratamente coperta dalla “sovragestione”, il network di potere che vede al lavoro interi settori dei servizi segreti occidentali impegnati in missioni “false flag”, attentati compiuti “sotto falsa bandiera”, per esempio quella dell’Isis, in Francia, e progettati da “menti raffinatissime”, appartenenti alla massoneria deviata, di potere, il cui vertice è costituito proprio dai neo-Illuminati. «La loro influenza principale, con la teorizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, è il condizionamento economico degli Stati: i banchieri si sono organizzati tramite questa struttura per condizionare le scelte economiche degli Stati». I risvolti di cronaca – le strane incongruenze nelle indagini, i messaggi simbolici di cui sono disseminate le stragi – suggeriscono l’idea che, dai diktat finanziari, si possa anche passare, all’occorrenza, alle bombe e ai Kalashnikov. Per contro, ripete Carpeoro, «l’intensificarsi di quella violenza indica che il vertice del massimo potere non è più così compatto: qualcuno si sta sfilando, chi resta al comando teme di perdere terreno e per questo spinge sul terrorismo». Mai stati del tutto granitici, i poteri forti: «Litigano spesso fra loro, e questo apre spazi per tutti noi». Del resto «il potere è uno schema, non una piramide monolitica», anche se si tratta di piramidi “illuminate”.Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta gli affiliati furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.