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Credito ai poveri, e nacque il banchiere più grande al mondo
C’era una volta un uomo. Era un uomo vero, di quelli d’un tempo, e sarebbe divenuto il banchiere più grande del mondo. Uno di quegli uomini che dicevano “non voglio diventare troppo ricco, perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. All’epoca – si era in California, nell’America dei primi del Novecento – le banche davano soldi solo alle imprese già affermate. Nessuno dava credito alle piccole imprese. Quell’uomo decise di aprire la sua banca, ma non aveva una sede. Rilevò allora da una signora che voleva ritirarsi in pensione il contratto di affitto di un bar, in un incrocio, per 1.250 dollari. Non aveva clienti, e così iniziò un modo di fare banca diversa da tutte le altre dell’epoca. Si mise a girare per le strade, offrendo piccoli prestiti a chi voleva aprire un capannone, un piccolo ristorante, un esercizio commerciale. Nei primi del Novecento, era impossibile in America avere credito dalle banche, se eri una micro-impresa: vi era una regola per la quale non si davano prestiti inferiori ai 200 dollari. In pratica, per le somme minori ci si doveva rivolgere agli usurai. Quell’uomo iniziò a finanziare piccole cose, dando prestiti a partire da 25 dollari. Divenne famoso per la sua nuova cultura di banca.Io per finanziare un uomo – era solito dire – voglio guardarlo negli occhi e vedere i calli sulle mani. A proposito del fatto che oggi tanto si parla di riforma delle banche popolari, ricordo che quell’uomo volle per la sua banca un azionariato diffuso, un azionariato popolare. Si occupò personalmente di andare a proporre le azioni a gente che non era mai stata in una banca: fornai, lattai, droghieri, ristoratori, idraulici, barbieri. Oggi si parla di austerity, di termini inglesi come “leverage” (il rapporto tra capitale e prestito), di rigore. Ricordo che anche allora si dicevano le stesse cose: in due mesi aveva raccolto 70.000 dollari, ma ne aveva impiegati 90.000 e i suoi soci erano preoccupati. Come faremo? – strillavano. Bisogna avere fiducia nella gente – rispondeva lui agli altri. La gente la ripagò, la sua fiducia. Cominciò ad andare nella banca che permetteva loro di finanziare una bottega, di avere un reddito dignitoso, di comprare una casa, di metter su famiglia, di mandare i figli a scuola. In un anno, quei 70.000 dollari divennero 700.000, e la banca continuava a crescere e a dare fiducia.Nel 1906 a San Francisco avvenne un fatto terribile. Il terremoto distrusse la città e la gente si aggirava disperata per le strade, avendo perso tutto, casa e lavoro. Quell’uomo, mentre gli strozzini si aggiravano per le strade, andò sul molo della città, mise un tavolaccio di legno appoggiato su due barili, in mezzo alla folla dei disperati, ci salì sopra ed espose un cartello, con il titolo “Banca di (X), aperto ai clienti” (il nome della “X” ve lo dirò alla fine di questa storia). Resta il fatto che quell’uomo mise un sottotitolo che aveva lui stesso dipinto sul cartello quella notte: “Prestiti come prima, più di prima”. Quell’uomo si chiamava Peter, e stava realizzando il suo sogno di aprire una banca per i piccoli imprenditori, i diseredati, gli emigranti. La “banca” venne assalita da persone che avevano idee per ricostruire la città e lui prestava soldi con il suo metodo, guardando le persone negli occhi e osservando i calli sulle mani. Segnava i crediti su un quadernetto, annotando nomi e cifre. Girava con un carretto ed elargiva prestiti sulla fiducia, senza garanzia, a persone che non avevano potuto andare a scuola e che per lo più firmavano con una croce. Li valutava fidandosi della loro parola e del loro onore. Lui dava fiducia a quelli che avevano delle idee, dei progetti, non a quelli che avevano dei soldi o proprietà da dare in garanzia.I suoi consiglieri gli dicevano che era un pazzo, che sarebbe finito in rovina. Invece, successe una cosa che nessuno si sarebbe aspettato. Quei piccoli imprenditori tornarono da lui, portando tanti altri amici, gente che toglieva i propri pochi depositi dalle altre banche e li andava a investire da Peter, l’uomo col carrettino. Pochi depositi, ma erano milioni di persone. Tutti gli immigrati della California, i nuovi piccoli imprenditori, vennero presto a conoscere la storia dell’uomo col carrettino e il nome di Peter divenne in breve mito, e da mito leggenda. Successe che l’uomo che dava fiducia al prossimo ricevette fiducia dal prossimo e i suoi conti crebbero, perché tutti volevano portare i propri risparmi alla banca di Peter. La sua politica era diversa da quella di tutte le banche dell’epoca ed era volta a dare soldi ai piccoli, agli artigiani, ai commercianti, agli agricoltori, ai piccoli imprenditori. La banca di Peter negli anni crebbe in tutta la California, aprendo filiali a San Francisco, a Los Angeles, fino ad attraversare l’immensa giovane nazione ed arrivare, nel 1919, a New York. Otto anni dopo, quella banca cambiò nome, e divenne la Bank of America.All’epoca, i consiglieri della banca proposero un premio al suo fondatore, di addirittura 50.000 dollari. L’uomo, che aveva già guadagnato nella sua carriera quasi mezzo milione di dollari, restando fedele al suo detto di quando, da giovane, aveva deciso di creare una banca, per evitare di “essere posseduto dalla ricchezza” rifiutò il premio, dicendo che chiunque desiderasse avere più di 500.000 dollari doveva farsi vedere da un dottore. La smania di denaro è una brutta cosa – disse una volta – io non ho mai avuto quel problema. Detto da uno che a sette anni aveva visto il padre ucciso dopo un litigio per un dollaro, c’era da credergli. Infatti, fece devolvere più volte vari premi alla ricerca scientifica. Oggi le banche aborrono progetti innovativi e la finanza moderna pretenderebbe che non si investa in progetti originali e non consolidati, senza patrimoni dell’imprenditore e adeguate garanzie. Pensate allora a cosa doveva voler dire, all’epoca, finanziare una cosa sconosciuta e incredibile che si chiamava cinematografo: follia, per i suoi colleghi. Peter, a differenza di tutti gli altri banchieri, prestò i suoi soldi a un geniale innovatore, consentendo nel 1921 a tutto il mondo di conoscere “Il Monello”, il meraviglioso film di Charlie Chaplin.Anni più tardi, finanziò Walt Disney, che gli parlava di finanziare un’altra incredibile rivoluzione tecnologica e cioè i cartoni animati. Il mondo conobbe così la favola di “Biancaneve e i sette nani.” Ancora, finanziò un visionario siciliano, Francesco Rosario Capra, rimasto senza lavoro per la crisi del ’29, rivelando così al mondo il genio del celeberrimo regista Frank Russel Capra. Così, mentre gli esperti di finanza insegnavano l’importanza di adottare regole restrittive, Peter finanziava i piccoli imprenditori guardandoli negli occhi e alla fine, tirando i conti, si scoprì che il 96% dei prestiti della banca erano stati rimborsati, senza alcuna garanzia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la banchetta nata in un bar, proseguita su un carrettino, che ora si chiamava Bank of America, superò per depositi la First National Bank e la Chase Manhattan Bank, le due più grandi banche di New York, diventando così la più importante banca del mondo. Dopo la fine della guerra, Peter volle che la Bank of America si impegnasse in prima persona nel piano Marshall, cioè nel gigantesco piano di ricostruzione che ha consentito anche al nostro paese di ripartire, finanziando così, indirettamente, milioni di nostri piccoli imprenditori.Quando, nell’ottobre del 1945, lasciò la presidenza della banca, lasciò i cassetti aperti, affermando che “né lui, né la sua banca, avevano nulla da nascondere”. Quando morì, quattro anni più tardi, dall’inventario dei suoi beni si scoprì che aveva mantenuto la sua parola, e pur essendo stato il banchiere della banca più grande del mondo, il suo patrimonio ammontava esattamente a soli 489.278 dollari, meno del mezzo milione per cui, secondo lui, uno sarebbe dovuto farsi vedere da uno psichiatra. Può sembrare una favola, ma è storia vera. L’ho raccontata perché oggi, se mi guardo intorno, io non vedo una situazione abissalmente diversa dal disastro di San Francisco del 1906 o dalla crisi del ’29. Mentre i politici parlano di riforma della legge elettorale, le imprese chiudono ogni giorno, la gente è a spasso, molti restano senza lavoro e senza speranza. Allora, esistevano uomini di banca come Peter. Oggi i piccoli imprenditori sono disperati. Le banche ripetono il mantra appreso da docenti, banchieri e politici che parlano in lingua inglese, chiedono garanzie, e si sente a ogni angolo la parola “austerity”. Gli anglosassoni ci vengono a insegnare come si fa il mestiere di banchiere e i tedeschi ci insegnano il rigore. Ora, io avrei un sogno. Vorrei che in una nostra città, una qualunque, tra le macerie della nostra economia, un banchiere italiano, un politico italiano, uno statista, prendesse un tavolaccio, lo mettesse in mezzo a una strada e poi ci salisse sopra.Vorrei che ci posasse sopra un cartello con una scritta a mano in cui si leggesse: “Da oggi, prestiti all’economia, come prima, più di prima”. Sottotitolo: “Colleghi, l’austerity ve la potete mettere in quel posto”. E poi, vorrei che quest’uomo cominciasse a ridisegnare le regole del gioco della finanza mondiale, per insegnare a tutti che noi italiani non abbiamo bisogno di lezioni da nessuno, sul come si fa a fare il mestiere del banchiere. Il vero banchiere non chiede le garanzie, ma guarda i calli sulle mani. Questo, sarebbe il mio sogno. Perché sul cartello che quell’uomo aveva scritto di suo pugno, su quel tavolo in mezzo alla strada, c’era il nome della sua banca: Bank of Italy. Questo era il nome originario di quella che sarebbe divenuta, molti anni dopo, la più grande banca del mondo: la Bank of America. Il suo fondatore, l’uomo che guardava gli altri negli occhi e finanziava guardando i calli delle mani, l’uomo che si alzò in piedi insegnando al mondo a rialzarsi in piedi, l’uomo che insegnò a tutti che fare banca non significa chiedere regole, ma dare fiducia, non era un anglosassone. Peter era il secondo nome di Amedeo Giannini, in cerca di fortuna nell’America di fine ottocento, figlio di poveri migranti dell’entroterra ligure. C’era una volta un banchiere. Era un uomo vero. Era un italiano.(Valerio Malvezzi, “L’incredibile storia del banchiere più grande del mondo”, dal sito “Win The Bank”, 2018).C’era una volta un uomo. Era un uomo vero, di quelli d’un tempo, e sarebbe divenuto il banchiere più grande del mondo. Uno di quegli uomini che dicevano “non voglio diventare troppo ricco, perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. All’epoca – si era in California, nell’America dei primi del Novecento – le banche davano soldi solo alle imprese già affermate. Nessuno dava credito alle piccole imprese. Quell’uomo decise di aprire la sua banca, ma non aveva una sede. Rilevò allora da una signora che voleva ritirarsi in pensione il contratto di affitto di un bar, in un incrocio, per 1.250 dollari. Non aveva clienti, e così iniziò un modo di fare banca diversa da tutte le altre dell’epoca. Si mise a girare per le strade, offrendo piccoli prestiti a chi voleva aprire un capannone, un piccolo ristorante, un esercizio commerciale. Nei primi del Novecento, era impossibile in America avere credito dalle banche, se eri una micro-impresa: vi era una regola per la quale non si davano prestiti inferiori ai 200 dollari. In pratica, per le somme minori ci si doveva rivolgere agli usurai. Quell’uomo iniziò a finanziare piccole cose, dando prestiti a partire da 25 dollari. Divenne famoso per la sua nuova cultura di banca.
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Biglino: Elohim biblici, Yahvè e soci oggi hanno paura di noi
Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di fermare il suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».Una su tutte? Yahvè – per la Bibbia – non è Dio: è solo un Elohim, “collega” di Kamòsh e Milcòm, a loro volta “signori” di altri confinanti clan ebraici, della stessa discendenza del mitico Abramo. «La Bibbia ne nomina almeno una dozzina: erano tanti. Molto longevi, ma non immortali né onnipotenti: ammesso che sia ancora vivo, Yahvè non è ancora riuscito a mantenere l’antica promessa fatta agli israeliti, cui aveva garantito vastissimi possedimenti, fino in Mesopotamia». Si sta sgretolando un muro di dogmi, fondato su traduzioni erronee o addirittura deliberatamente manipolate? Clamoroso il caso della Bibbia editata nel 2017 dalla Cei tedesca, che annulla – come anticipato da Biglino – la pretesa profezia messianica contenuta nel Libro di Isaia (17, 4-17): “La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele”. E’ l’appiglio biblico al quale i Vangeli si richiamano per dimostrare l’ascendenza veterotestamentaria della missione di Cristo. Peccato che quella traduzione fosse inventata di sana pianta: non c’è nessuna “vergine”, né alcun verbo al futuro. E’ scritto, testualmente: “La ragazza è incinta”. «Nessun mistero», chiarisce Biglino: «Isaia non parla di Maria di Nazareth, che ancora doveva nascere, ma di Abia, giovane moglie del re Achaz: semplicemente, gli israeliti si aspettavano che quel bambino, una volta cresciuto, potesse liberarli dalla condizione di schiavitù cui allora erano sottoposti».Un errore tenuto in vita per oltre duemila anni, che annulla il collegamento tra Vecchio e Nuovo Testamento? Colpa della traduzione, sostiene Biglino: il libro fu tradotto in latino attraverso un passaggio intermedio, in lingua greca. E il greco ha un unico termine, “pàrthenos”, che significa sia “ragazza” che “vergine”. «Quella di Isaia è solo una “almà”, una fanciulla. L’ebraico infatti ce l’ha, la parola che designa una vergine: ed è “betullah”, che però in Isaia non c’è». In più, il libro tradizionalmente attribuito al profeta biblico non usa nemmeno il verbo “concepire”: «Compare solo l’aggettivo “incinta”, dunque significa che quella ragazza – non vergine, tantomeno Maria – aveva già concepito: non Gesù, ma il futuro figlio del re Achaz». Ne tengono conto, nella loro nuova Bibbia, i vescovi tedeschi. In Italia, per ora, silenzio. Fino a quando? «Credo che la Chiesa si stia comunque preparando a prendere le distanze dall’Antico Testamento: sa che non potrà più ignorare a lungo le verità che stanno emergendo», sostiene Biglino, il cui lavoro è in linea con settori avanzati della ricerca scientifica internazionale, dall’archeologia alla bioingegneria. La tesi: i cosiddetti “libri sacri”, non solo la Bibbia ma anche i Veda indiani e testi sumerici (di cui l’Antico Testamento è una fotocopia) sembrano svelare il famoso “missing link” tra uomo e scimmia.Genetica, innanzitutto, e non solo animale: «Alimenti essenziali per l’umanità, come la patata e il grano, sono comparsi di colpo – senza diretti antenati genetici – all’epoca di cui parlano i testi antichi e proprio in quelle aree: cioè dove si presentarono quegli esseri temuti e potenti, che gli ebrei chiamarono Elohim e i sumeri Anunnaki». Tracce analoghe costellano le memorie di ogni civiltà, in tutto il mondo: gli “Spendenti”, i “Figli delle Stelle” venuti forse dalla costellazione di Orione? «Facciamo un gioco», propone Biglino: «Facciamo finta che i testi antichi – di cui peraltro non esistono fonti – raccontino fatti realmente accaduti. Sono coerenti? La risposta è sì». A cominciare dalla creazione, «che nella Bibbia non esiste: il verbo usato, “barà”, non significa “creare dal nulla” – concetto assente, nell’ebraico antico – ma solo “separare”: la terra, le acque, il cielo. Come se la Genesi narrasse, in realtà, la sistemazione di un territorio perché divenisse fertile». Quando fu clonata la pecora Dolly, tra lo scandalo dei teologi, i rabbini risposero in modo serafico: perché mai stupirsi? E’ la Bibbia la prima a parlare di clonazione. La Genesi non dice chi creò Adamo, ma solo Eva: testualmente, l’Adàm “fu posto in Gan-Eden”, cioè nel Gan (territorio agricolo protetto) situato nella regione geografica di Eden, tra il Mar Caspio e l’Eufrate. «Eva nacque per clonazione, dopo un’infinità di esperimenti fallimentari: quando la vide, Adamo rispose: finalmente ci siamo, questa sì che è carne della mia carne».Il peccato originale? «Inesistente, come ben sanno gli ebrei». La cacciata dall’Eden? «Un atto precauzionale, perché gli Adamiti avevano scoperto la possibilità di riprodursi: si stavano pericolosamente avvicinando alle pratiche dell’Albero della Vita, minacciando l’egemonia degli Elohim». Colpa – anzi, merito – del Serpente: «Che non era un rettile, ma un Elohim antagonista, in lizza coi signori del Gan-Eden: la Genesi lo chiama Nahàsh, che in ebraico vuol dire anche serpente, sinonimo di “sapiente”. In altre parole, il genetista». Fu proprio lui, continua Biglino, ad accoppiarsi per primo con Eva: da cui nacque un ibrido, Caino», il nostro vero progenitore. Dopo di allora, gli Adamiti presero a vivere anche per 900 anni, racconta la Bibbia. «Fino a quando non furono gli Elohim stessi a cessare di accoppiarsi con le femmine Adàm, proprio per impoverire il Dna della loro discendenza, riducendone la longevità». Questo, dice Biglino, è quello che – né più né meno – racconta la Bibbia. C’è da crederci? «Possiamo solo “fare finta” che sia tutto vero, controllandone la coerenza. Come noto, la Bibbia non ha fonti. Non si sa quando sia stata scritta, né da chi, né in che lingua: non in ebraico, comunque, perché non esisteva ancora. L’unica certezza, dicono i biblisti ebrei, è che la Bibbia attuale non è l’originale: si sono dati due secoli di tempo per ricostruire una Bibbia più attendibile, attraverso il “Bible Projetc” a cui lavorano i massimi studiosi».Secondo Biglino, l’ultima cosa che si può fare, con la Bibbia, è fondarvi delle religioni: «La natura tutt’altro che divina di Yahvè emerge ovunque: un guerriero avido e spietato, ma meno potente di altri Elohim. E per giunta neppure a capo di tutti gli ebrei, ma solo della famiglia di Giacobbe-Israele». Un piccolo, dispotico feudatario locale: «Come si fa a presentarlo come riferimento per l’intera umanità?». Un abbaglio durato oltre due millenni, la Bibbia? Sì e no, secondo Biglino: è insensata la derivazione religiosa, mentre gli indizi storici potrebbero reggere. Il vasto corpus dei libri biblici è a geometria variabile, non esiste una sola Bibbia. E, mentre ha libero corso ogni tipo di interpretazione – teologica, esoterica, simbologica, cabalistica – è praticamente scomparsa la traduzione letterale. «E’ giusto che la lettura del testo ebraico abbia, almeno, pari dignità». Spesso, insiste Biglino, chi cita la Bibbia a scopo religioso in realtà non l’ha mai letta: «Quanti vescovi conoscono l’ebraico antico? Se lo conoscessero, scoprirebbero che in quel testo non c’è traccia di trascendenza. Non esiste la base per alcun assunto teologico. Si parla solo di guerre, conquiste, punizioni e stragi efferate. Non c’è alcuna metafisica, non esiste il concetto di eternità. E quello di immortalità non vale neppure per Yahvè. Lo ricorda Elyon, il capo supremo, parlando agli Elohim: anche loro dovranno morire, proprio come gli Adàm».Un racconto «in ogni caso eloquente e persino affascinante», dice lo studioso: «Spesso la Bibbia è terribilmente esplicita, nella sua narrazione sempre concreta e assolutamente terrena: le implicazioni soprannaturali sono frutto di invenzioni teologiche, basate su traduzioni clamorosamente distorte». Nella Bibbia, gli angeli (dal greco “anghelòi”, messaggeri) si chiamano Malakhìm. Nelle traduzioni “appaiono” e “scompaiono”, svolazzando graziosamente, mentre nel testo originale «camminano, sfatti di fatica: sono individui in carne e ossa». Gabriele, quello dell’annunciazione? «E’ anche lui un Malàkh, e di alto rango. Ma il nome non designa un singolo individuo, bensì una categoria: il nome originario, Ghevèr-El, significa “alto ufficiale di un El”. Per la cronaca: sono tutte cose che gli ebrei sanno benissimo, così come sanno che i Keruvìm non sono gli alati Cherubini della tradizione cristiana, ma velivoli meccanici monoposto». Ben quattro “Cherubini”, scrive la Bibbia, stavano attaccati al Kavòd, l’aeromobile da guerra di Javhè. Traduzione cristiana: il Kavòd, letteralmente (arma) “pesante”, diventa “gloria”: «Così, dal Kavòd di Jahvè si arriva alla “gloria di Dio”». Fantastico, no? «Non siamo certi che la Bibbia dica il vero. Quel che è sicuro, invece, è che la teologia travisa la Bibbia per inventare di sana piana la sua versione, di cui nell’Antico Testamento non c’è la minima traccia».La Bibbia non spiega tutto, ma forse aiuta a capire. Quel che non si può ricavare direttamente dall’Antico Testamento, «dato il carattere frammentario e spesso contraddittorio del testo ebraico giunto fino a noi, continuamente manipolato fino all’epoca di Carlomagno», lo possiamo comunque compediare con altri testi, coevi e precedenti: «Testi ebraici non biblici e testi non ebraici, sumeri e in generale mediorientali», spiega Biglino all’americana Sarah Westall. Che idea si è fatto, il traduttore indipendente, di tutta questa storia? Ancora una volta, Biglino cita testi antichi, del Medio Oriente, per comporre un mosaico teoricamente credibile: grazie ai Sumeri sappiamo che quella misteriosa popolazione approdò sulla Terra – non sappiamo da dove – attratta dai minerali come l’oro, preziosi in ambito aerospaziale. Un giorno, stanchi di lavorare, gli Elohim-Anunnaki decisero di “fabbricare” una nuova “razza” di lavoratori, attraverso la clonazione, fondendo cioè il proprio Dna con quello degli ominidi allora presenti, Homo Habilis e Homo Erectus. Fu così che nacque l’Homo Sapiens, ed ecco spiegato il “missing link”. Gli Adamiti? Una ulteriore élite di lavoratori specializzati, successivamente ri-selezionati sempre per via genetica e destinati in esclusiva al Gan-Eden.Biglino la ritiene una storia plausibile, confermata dal racconto biblico. «Poi, attorno al 500 avanti Cristo, gli Elohim si fecero da parte: sorse la casta sacerdotale, come mediatrice dei loro ordini. Nacquero allora le grandi religioni: senza colpo ferire, si sperimentò uno straordinario strumento di dominio, basato sulla sola persuasione». Una possibile storia alternativa dell’umanità: dai genocidi a ripetizione ordinati da Yahvè, ossessionato dalla paura dell’insubordinazione dei sudditi, alla nuova obbedienza “dolce” imposta dal dogma e tuttora vigente, nel mondo. Ma erano tutti ostili e vendicativi come Yahvè, gli Elohim biblici? «Niente affatto: c’era anche chi era amante delle arti e della musica. Uno di loro, Baal Pehòr, concorrente del bellicoso Yahvè, predicava la diffusione del sesso libero». Fate l’amore, non la guerra? «Esatto. Solo che poi l’esegesi cristiana ha trasformato gli avversari politici di Yahvè in nemici di Dio: così Baal Pehòr è diventato il demonio Belfagor».Libere traduzioni, che suonano false come menzogne. Miracoli inesistenti, come il mitico attraversamento del Mar Rosso: «Quelli che Mosè portò via dall’Egitto – non sappiamo nemmeno se fossero ebrei o egiziani – non valicarono mai il mare, ma solo uno Yam Suf, un canneto paludoso», habitat diffusissimo nel delta del Nilo. E’ come se la Bibbia, riscritta mille molte e poi manipolata dalla religione, avesse riproposto una storia molto più antica, vista in ritardo e da lontano. Lo suggeriscono alcuni testi preesistenti, come quelli sumerici dove, ad esempio, si parla del Grande Diluvio. «A salvare il Noè sumero fu En-Ki, uno dei figli del capo dell’impero: fu lui a dirgli di costruire la barca per sovravvivere all’inondazione». Sumera anche l’origine della Genesi: «L’antenato mesopotamico “fabbricato” dagli Anunnaki si chiama, guardacaso, Adamu». Vengono le vertigini, a chi ha sempre sentito citare Bibbia solo in termini religiosi. A proposito: Dio che c’entra, in tutto questo? «Mi guardo bene dal parlarne: non ho neppure le certezze degli atei», ammette Biglino. «Dico solo che, nella Bibbia, non c’è nessun Dio». E scusate se è poco.Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia, ogni anno. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di tappare la bocca al suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».
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Giannuli: Potere al Popolo, per scuotere questi partiti morti
«Non per dare consigli a nessuno (non mi sembra di averne titolo) ma per chiarezza, faccio il mio “coming out” elettorale». Ovvero: “Potere al Popolo” alla Camera, «scommettendo che faccia il 3%», e i 5 Stelle al Senato «per dare ancora un segnale di disponibilità, sempre che raddrizzino il timone». Parola del professor Aldo Giannuli, storico dell’università di Milano, ascoltato politologo e attento osservatore “da sinistra” della scena italiana. «Come ho detto più volte – premette – il principale problema del momento è l’indecente offerta politica: è troppo al di sotto di quel che ci vorrebbe». Quindi, «più che per adesione», Giannuli voterà pensando agli effetti del suo voto «in questa specie di partita a carambola che sono diventate le consultazioni elettorali». Andando per esclusione: «Partiamo da quello che assolutamente non si può votare: centrodestra e centrosinistra sono solo avversari da battere». E per essere più precisi, «l’avversario peggiore e quello “di sinistra”, proprio per la truffa di un partito di destra che si presenta come “sinistra” e, in questo modo, riesce a fare quello che alla destra aperta non riusciva». E cioè: abolizione dell’articolo 18, Jobs Act, “buona scuola”: «Sono cose che Berlusconi avrebbe voluto fare ma non ci riuscì, per la reazione di sindacati e opposizione». Renzi invece ce l’ha fatta, «e per poco non è riuscito a stravolgere anche la Costituzione, non fosse stato per la rivolta popolare del 4 dicembre 2016».La destra berlusconiana, «anche se solo tatticamente» (per affondare Renzi) ha votato No al referendum, «mentre il Pd era l’eversore». Secondo Giannuli, «il nemico costituzionale è un nemico strategico assoluto». Dopo, non c’è più possibilità d’intesa: «Non glielo perdoneremo mai». Questo però non è chiaro a quella parte del Pd (neppure a tutta) che votò No e poi si è scissa, dando vita a “Liberi e Uguali”. Ok, ieri hanno ingaggiato la battaglia referendaria e oggi non hanno accettato di entrare in coalizione col Pd, ma l’hanno fatto «con un costante margine di ambiguità, per cui in Lazio entrano nella coalizione di Zingaretti e non escludono alleanze future». Il problema? Per Leu non è il Pd, ma Renzi: «Con un Pd senza Renzi si potrebbe ragionare», pensano. «E invece no: il Pd era una cosa sbagliata anche prima del fiorentino, un intruglio venefico fra neoliberismo e centralismo staliniano per il quale il gruppo dirigente fa opportunisticamente quel che vuole senza mai rendere conto a nessuno». D’altra parte, aggiunge Giannuli, il Pd appartiene a quella post-socialdemocrazia “terzista”, blairiana, «che si arrese al neoliberismo e che oggi sta pagando il conto, riducendosi a percentuali non rilevanti». La sua stagione è finita, e questo vale anche per il Pd. «Ma i nostri amici di Leu non sembrano capaci di imparare dall’esperienza, e insistono».Poi c’è stata «l’imbarazzante vicenda della caccia al “capo”», prima inseguendo «quel nulla politico che è Pisapia», per poi planare incredibilmente su Pietro Grasso, «un nome che non ha bisogno di commenti». Quindi, continua Giannuli, sono passati all’ancora più imbarazzante vicenda delle candidature, «in cui Leu si è dimostrata un ufficio di collocamento per parlamentari in cerca di rielezione, senza nessuna consultazione della base», con politici a fine carriera «paracadutati in collegi in cui non c’entravano nulla». Il programma di “Liberi e Uguali”? Lo svela una colorita espressione siciliana: “Nuddu, ammiscàtu a nenti” (nessuno, sommato a niente). «Insomma, iniziativa politica zero, idee zero, democrazia interna zero: invotabili». Giannuli, che vota a Milano, farà un’eccezione solo per Onorio Rosati, candidato con Leu alle regionali lombarde, «perché la Regione non è il Parlamento nazionale». Quanto ai 5 Stelle, dopo la manfrina elettoralistica del “né di destra, né di sinistra”, hanno fatto la scelta peggiore: la destra neoliberista. Il “reddito di cittadinanza”? «Una proposta tutta interna al neoliberismo». Lorenzo Fioramonti, il guru arruolato da Di Maio nonché suo mentore a Wall Street? «Nemico numero uno del Pil, economista di spiccata ispirazione neoliberista» (vorrebbe amputare del 40% il debito pubblico).«La solita solfa “né di destra né di sinistra” è un vecchio trucco per raccogliere voti da ambo le parti», ricorda Giannuli: «Per primi lo usarono i Fasci di Combattimento di Mussolini esattamente 99 anni fa». Furbetti e pilateschi, i 5 Stelle, su questo punto, «per non dire dell’annosa vicenda dei migranti». Quanto al modello organizzativo – apparato di funzionari o notabili parlamentari, oppure gruppi dirigenti regolarmente selezionati in modo collegiale e democratico – il Movimento 5 Stelle «ha scelto il peggiore: quello dell’uomo solo al comando, tanto simile a quello renziano». E l’ha fatto «con un colpo di mano statutario sbalorditivo», adottando «un regolamento subito applicato, senza neppure essere mai stato votato da nessuno». Il risultato, ferma restando la “pasticcioneria dell’ultima ora” tipica dei 5 Stelle, «è questa selezione di candidati su cui non spenderemo neppure mezza parola». Unico auspicio: forse non finirà così. «La base del movimento non è stata consultata e ha taciuto perché c’erano le elezioni, ma il 5 marzo magari avrà qualcosa da dire». Poi bisogna vedere come andrà Di Maio alle elezioni, cosa diranno Grillo e Di Battista, «e Dio non voglia che vengano fuori una decina di “responsabili”»). Comunque sia, per Giannuli, la base pentastellata resta pur sempre «un serbatoio di forze antisistema per nulla trascurabile».Poi ci sono le liste-contro, specie quelle di sinistra: l’unica che in base ai sondaggi sembra avere una chance (almeno di conquistare qualche seggio) è “Potere al Popolo”, messa insieme all’ultimo momento e tra mille difetti. «Però non c’è dubbio che una sua affermazione scombinerebbe molti giochi», sostiene Giannuli: «Tanto per cominciare, questo significherebbe che la domanda di una nuova rappresentanza politica si fa avanti e non è frenata», nonostante le tante “trappole” inventate dalla classe politica, tra sbarramenti e scatole cinesi: dalla valanga di firme da raccogliere in tempo record per ogni per circoscrizione, fino alla stessa «incomprensibile» legge elettorale, per cui «persino quelli di Forza Italia hanno rischiato». Non sta scritto da nessuna parte che il Parlamento debba essere monopolio dei tre poli maggiori, sottolinea Giannuli. E allora «allarghiamo il club e vediamo soprattutto quanti voti raccoglieranno le liste fuori coalizione».Queste elezioni, in fondo, sono solo il secondo round del crollo dell’infelicissima Seconda Repubblica. Il primo round è stato il referendum. Ne verrà un terzo tra un anno alle europee, poi forse un quarto alle regionali, sempre che prima non ci siano elezioni anticipate. Dunque, un voto necessariamente tattico: «Se “Potere al Popolo” prendesse ora il 3%, fra un anno parteciperebbe alle elezioni senza dover raccogliere le firme». Un bel punteruolo nella schiena di Leu e M5S: «Mica male, considerate le porcherie che hanno combinato questa volta». Capirebbero che «non possono dar da bere alla gente proprio tutto»? Inizieranno a correggere la rotta? «Ho visto dei sondaggi che danno “Potere al Popolo” al 2,4%», scrive Giannuli. «Certo, c’è la valanga degli indecisi che poi, quando rientra, non premia i piccoli partiti». Ma forse l’impresa non è impossibile: “Potere al Popolo” ha registrato una crescita costante fin dall’inizio, «quando nei sondaggi non compariva proprio». Lo spazio politico da riempire c’è tutto, chiosa Giannuli: «Diciamo che deve rastrellare 120-130.000 voti, per farcela». Poi dipende anche dall’astensionismo: in quanti voteranno? Quanti, invece, diserteranno le urne?«Non per dare consigli a nessuno (non mi sembra di averne titolo) ma per chiarezza, faccio il mio “coming out” elettorale». Ovvero: “Potere al Popolo” alla Camera, «scommettendo che faccia il 3%», e i 5 Stelle al Senato «per dare ancora un segnale di disponibilità, sempre che raddrizzino il timone». Parola del professor Aldo Giannuli, storico dell’università di Milano, ascoltato politologo e attento osservatore “da sinistra” della scena italiana. «Come ho detto più volte – premette – il principale problema del momento è l’indecente offerta politica: è troppo al di sotto di quel che ci vorrebbe». Quindi, «più che per adesione», Giannuli voterà pensando agli effetti del suo voto «in questa specie di partita a carambola che sono diventate le consultazioni elettorali». Andando per esclusione: «Partiamo da quello che assolutamente non si può votare: centrodestra e centrosinistra sono solo avversari da battere». E per essere più precisi, «l’avversario peggiore e quello “di sinistra”, proprio per la truffa di un partito di destra che si presenta come “sinistra” e, in questo modo, riesce a fare quello che alla destra aperta non riusciva». E cioè: abolizione dell’articolo 18, Jobs Act, “buona scuola”: «Sono cose che Berlusconi avrebbe voluto fare ma non ci riuscì, per la reazione di sindacati e opposizione». Renzi invece ce l’ha fatta, «e per poco non è riuscito a stravolgere anche la Costituzione, non fosse stato per la rivolta popolare del 4 dicembre 2016».
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I cannibali di Pamela e la fine (meritata) della razza bianca
Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».Tutelare la “razza bianca” di fronte alla sua incombente estinzione? «Io la penso diversamente», dice Della Luna, secondo cui il mondo «sta diventando una fogna avvelenata senza via d’uscita», tiranneggiato da «una dominazione tecnologico-finanziaria disumana», al punto che, ormai, «estinguersi è un privilegio, è una liberazione, è un diritto che rivendichiamo». Meglio «lasciare questo mondo guastato all’avanzata di genti che lo accettano, anzi se lo vogliono proprio prendere, nonostante sia ridotto così». Provocazione inaccettabile, ovviamente, per chi ha figli. Una cosa, Della Luna, la pretende: «Essere lasciati estinguere in pace e con decoro, senza pressioni e intrusioni violente». Un caso atroce? Quello di Pamela Mastropietro, la ragazza uccisa e smembrata a Macerata. «Era stata irretita da alcuni nigeriani, membri della potente mafia tribale nigeriana». Una mafia che «spaccia droga, prostituzione e altro», e che «opera alla luce del sole e indisturbata nelle nostre città». Il che, sostiene l’avvocato, «implica che essa dispone di complicità opportunamente comperate negli apparati dello Stato italiano, il medesimo che va a imbarcare i migranti sotto le coste libiche». E il fatto che la criminalità migrante, specie africana, venga sostanzialmente tollerata, sempre secondo Della Luna, lascia supporre che le sue attività in Italia (droga, prostituzione, traffico di organi) «siano materia oggetto di accordi a livello politico nazionale», addirittura, «appoggiati dai capi dell’immigrazionismo organizzato, sia imprenditoriali, che politici, che religiosi».Il cadavere di Pamela, si apprende, è stato «dissezionato con grande perizia tecnica». Ma gli organi, «rilevanti per i sacrifici umani e per il pasto cannibalico rituale», non sono stati ritrovati. Forse perché la gente non si inquieti troppo? «Questi riti fanno parte del background culturale di quelle tribù nigeriane, in cui magia nera e affiliazione mafiosa e potere politico sono tutt’uno», continua Della Luna. Intanto, a Macerata si tengono manifestazioni in favore del meticciato, e l’Onu «rende noto il suo piano per la sostituzione del poco prolifico popolo italiano con il massiccio impianto di africani». Gli italiani però non sarebbero più così favorevoli all’idea del “melting”: «Sono divenuti in maggioranza afroscettici, oltreché euroscettici». Uno scenario da apocalisse? Della Luna l’aveva prefigurato nel saggio “Le chiavi del potere”, pubblicato nel 2003. Scriveva: per impedirgli di sentirsi libero di controllare il potere politico e il denaro pubblico, si costringe il cittadino a vivere nell’insicurezza, «attivamente importando criminalità soprattutto da paesi extracomunitari, e non reprimendola, anzi incoraggiandola quando criminali o facinorosi si impossessano di interi quartieri o spadroneggiano in ampie zone geografiche, sotto gli occhi di tutti, espropriandoci del nostro territorio, mentre le istituzioni non intervengono nemmeno su denuncia dei cittadini».«Si vuole che questi ultimi capiscano chiaramente che non sono cittadini, ma qualcosa di meno», sottolinea Della Luna. La legge scritta esiste, ma gli italiani «non possono pretendere che chi ha il potere la faccia osservare». E’ come se si dicesse: “Noi vi riduciamo a un livello di dignità e diritti inferiori a quelli degli immigrati clandestini”. «Il principale problema politico nella globalizzazione, da parte del potere, è produrre e governare le masse di consumisti-lavoratori imbecilli richieste dall’economia e dal bisogno di consenso», si legge ne “Le chiavi del potere”. «Il genere umano è ridotto a mera componente del ciclo produttivo del profitto. I popoli che non si prestano più al buon funzionamento del ciclo, anche per scarsa prolificità e troppa criticità – ossia noi – vengono rimpiazzati con invasioni di immigranti e neutralizzati con l’assistenzialismo, la droga e il rimbecillimento televisivo, in modo che non si accorgano e non si oppongano». Buonismo, cioè eutanasia di massa? «Guardate le nuove generazioni: in larga parte menomate da un’educazione narcisizzante, che non insegna il governo dei propri impulsi quindi non forma all’indipendenza e all’applicazione; instupidite dalla televisione, dalla discoteca, da un uso dilagante di droghe; esistenzialmente fragilissime; istruite da una scuola penosamente inadeguata; giovani pieni di esigenze, schizzinosi, delicati, incapaci di sostenere privazioni e frustrazioni».I giovani italiani «devono competere con immigrati che in larga parte sono spinti da fortissima motivazione ad affermarsi, sono disposti a sacrifici e disagi, capaci di rinunce e disciplina, ma anche di violenza – la quale fa spesso parte della loro storia di vita e di adattamento sin dalla nascita. Sono capaci di fare e sopportare cose che i nostri neanche si sognano, e fanno figli a non finire». Se si lascia che questa competizione dilaghi, scriveva Della Luna 15 anni fa, «possiamo considerarci già sopraffatti, sconfitti e scacciati». Il problema? «Non è la nostra superiorità, bensì la nostra inferiorità». Rammolliti dalla società dei consumi: «Le esigenze del capitale e la ricerca del consenso hanno richiesto la coltivazione di personalità deboli e dipendenti dal consumismo, poco disposti alla rinuncia e al sacrificio. Hanno plasmato così i popoli dell’Occidente. Ma ora, popoli così plasmati non rendono più, non vanno più bene. Hanno troppe pretese ecologiche, sindacali, assistenziali; non si riproducono; contestano; non comperano più come prima. Vanno rimpiazzati: dentro gli altri!». Mettere in dubbio il dovere di accoglienza? «E’ immorale e fascista». Secondo Della Luna, «l’etologia, confermando la storia, ci avverte che l’uomo, una volta sciolto il suo legame col territorio, perde l’attitudine a difendersi e diventa remissivo, facilmente dominabile».Noi, “bianchi”, ci stiamo estinguendo. E ce lo meritiamo. Parola dell’avvocato Marco Della Luna, impietoso critico del sistema neoliberista, bancario e finanziario. Stiamo sparendo, lo dicono i numeri: «La razza bianca si sta estinguendo per denatalità, anche nella sua principale riserva, la Russia». Sembra che abbia maturato «un certo disincanto verso la vita e fosche aspettative circa il futuro». E all’interno dell’estinzione della razza bianca «sta avvenendo una seconda estinzione, forse più grave: l’estinzione della civiltà occidentale, creazione peculiare di una parte della razza bianca (diciamo essenzialmente dell’area greca, italica, franco-germanica e britannica)». Per Della Luna, la nostra «è l’unica civiltà che abbia concepito e in parte realizzato un pensiero scientifico, una filosofia razionale, le idee di democrazia, di Stato di diritto, di eguaglianza, di diritti individuali dell’uomo». Questa civiltà «sta estinguendosi per un generale imbarbarimento edonista e consumista» nonché «per il declino dei suoi capisaldi, per l’effetto della globalizzazione e della finanziarizzazione della società», senza contare «la pesante immigrazione di massa da aree culturali immensamente distanti e con caratteri generalmente opposti». Nella prospettiva dell’estinzione della nostra civiltà, «la minaccia della catastrofe ecologica ci angoscerà meno, appunto perché non colpirà gente simile a noi».
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Giannuli: elezioni-spazzatura. Dai partiti, una gara di rutti
La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».Per non parlare dei programmi: tutti i partiti esibiscono solo il “libro dei sogni”. «Abbassare le tasse, ridurre il debito, aumentare la spesa – cioè no, ridurla ma concedendo il reddito di cittadinanza». E poi: «Investimenti per l’occupazione, le dentiere ai vecchi, il bonus alle famiglie e i lecca-lecca agli infanti. E nessuno che si sia degnato di dire dove troverebbe le risorse per tutto questo». I conti? «Numeri in libertà, a casaccio». La gara, nel settore, «l’ha vinta il M5S, che promette tutto ed il contrario di tutto». Ma anche Pd e Forza Italia hanno il loro bel piazzamento. “Liberi e Uguali”, tra mille inconsistenti vaghezze, ha «una sola proposta precisa», cioè abolire le tasse universitarie per tutti: «La traduzione in chiave universitaria della “flat tax” trumpiana». S’indigna, Giannuli: «Ma chi credete di prendere in giro? Pensate che gli elettori abbiano tutti l’anello al naso?». E le liste? «Semplicemente un orrore. La Lega candida solo gli amici di Salvini, il Pd solo quelli di Renzi, il M5S esclude almeno 1/10 dei candidati alla selezione e non comunica le motivazioni, perché deve prevenire infiltrazioni, cambia-casacca, pregiudicati, scalatori e riciclati. Poi si scopre che fra i candidati c’è una valanga di riciclati dell’ultima ora, compreso qualcuno che non si ricordava di essere ancora consigliere comunale di un altro partito, c’è anche un amico di mafiosi, qualche altro ha precedenti penali… meno male che hanno fatto una attenta selezione, perché altrimenti chissà cosa ci presentavano!».E anche dal punto di vista politico, tra i 5 Stelle, spiccano gli economisti di scuola neoliberista come Fioramonti, nonché «i giornalisti Fininvest amici di Gianni Letta». A Firenze, «contro Renzi c’è un renziano che solo 14 mesi fa ha fatto campagna elettorale per il sì al referendum (e questa non ve la perdoneremo mai)». Mancano solo «un po’ di spie, un lenone e qualche alcolizzato cronico (o ci sono e non ce lo avete detto?)». Poi “Liberi e Uguali”: «Ha delle liste che sembrano il festival della ribollita, i poveri militanti di base sono stati semplicemente ignorati». Forza Italia? «Non è cambiata: come sempre mette in lista nani, ballerine e camerieri vari». E bravi, tutti. «Ma insomma, non vi vergognate? Non esiste più la Lega ma il Pds (Partito di Salvini), non il Partito Democratico ma il Pdr (partito di Renzi), non Forza italia ma – come sempre – il Pdb (partito di Berlusconi). E, mi costa dirlo, al posto del M5S c’è il Pdd (partito di Di Maio) che ancora è quel che si oppone all’inciucio renzusconiano, ma di questo passo…».Infine il metodo d’azione, lo stile: «La Lega arriva all’orrore di cavalcare i tentati omicidi fascisti per raccogliere voti anche in quella sentina». Il Pd ha un unico chiodo fisso: il Movimento 5 Stelle, «che attacca con argomenti elegantissimi come l’attacco personale a Di Maio perché incespica sui congiuntivi (come se i suoi fossero tutti accademici della Crusca: mai sentito parlare la ministra della pubblica istruzione Fedeli?)». Dal canto suo, il M5S invita i suoi seguaci a raccogliere prove e foto sulle nefandezze dei rivali, trasformando le elezioni nello “sputtanamento show”. «Anche a me non piacciono i pregiudicati in lista, anche se una condanna in primo grado non significa che uno lo sia, ma insomma, nelle campagne elettorali si parla di politica: magari fai notare le troppe presenze di candidati con guai giudiziari, ma poi vai avanti e confrontati sulle proposte politiche». Qui invece «l’unico confronto è quello degli insulti», dice Giannuli, «e vale per tutti». Un consiglio? «Fate una cosa sfidatevi, a gara di rutti e vediamo chi vince». D’altra parte, chiosa il politologo, «dopo 26 anni di deserto della politica, massimo frutto di Mani Pulite e del populismo occhettiano di Occhetto, Segni e Pannella, cosa possiamo pretendere? Ci si era parlato di partiti-farfalla, constatiamo che il risultato sono i partiti-monnezza».La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».
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Ma davvero andrete a votare, legittimando questi pagliacci?
La gara dei polli sta per iniziare. Si stanno raccogliendo le scommesse su chi vincerà. Il tifo è alle stelle e la lucidità mentale è sparita da tempo. Ormai si combatte a colpi di slogan collettivisti e di tale idiozia da ritenere il tifoso privo di capacità mentali: dai redditi di cittadinanza regalati nelle patatine, alla restituzione delle tasse pagate, fino all’abbassamento delle tasse da parte di colui che le ha aumentate ieri, oggi e domani decidendo aumenti per il prossimo lustro (Iva, imposte sui bolli, Tares, multe), ce n’è da sbizzarrirsi. E’ la sagra del collettivismo, l’importante è spararla grossa, apparire sui giornali, sulle vignette in Facebook, esaltare la propria tifoseria, illuderla, comprarla con qualche panzana. Ormai il popolo crede che il governante possa fare quello che vuole una volta al potere, è disposto a dargli ancora più potere e privarsi di ogni libertà, purché il processo di irresponsabilizzazione continui e sia qualcun altro a pagare il pasto che oggi viene consumato (illusoriamente) gratis. Il conto sarà salato, ma tanto pagherà il perdente…
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Usa: stop all’auto tedesca, Berlino falsifica i conti dell’export
Embargo contro le auto tedesche? Non proprio, ma quasi: attaccato a Davos da Angela Merkel, che lo accusa di protezionismo, Donald Trump potrebbe imporre un super-dazio per frenare «l’acciaio europeo». Lo afferma Joseph Carey su “Voci dall’Estero”, ricordando i giudizi della Casa Bianca sulla Germania, «molto scorretta riguardo al commercio», specie in relazione ai «milioni di automobili» vendute negli Usa grazie a imposte doganali ultra-leggere. Gary Hufbauer, esperto di commercio dell’istituto Peterson a Washington, sostiene che l’attacco dei repubblicani potrebbe sfruttare i poteri della “sezione 232”, una forma Usa di auto-tutela contro le importazioni, e lanciare una serie di sanzioni per imporre «una qualche forma di quota-automobili». Il problema? La Germania gioca sporco: mentre impone il massimo rigore ai vicini, bara sui propri conti pubblici. Ultima pietra dello scandalo: il surplus commerciale. L’export tedesco supera l’8% del Pil, andando ben oltre il 6% imposto da Maastricht. L’imbroglio? «La Germania sta falsificando i conti, in modo che non si veda che il surplus sta aumentando», afferma il professor Heiner Flassbeck, ex segretario di Stato tedesco alle finanze. Ecco perché Trump starebbe preparando clamorose contromosse commeciali anti-europee, dopo la lezioncina globalista impartitagli dalla Merkel.Attenzione: l’eccesso di export (non registrato onestamente a bilancio) è solo uno dei tanti trucchi con cui la Germania pretende di qualificarsi “virtuosa” di fronte ai competitori europei, con la quale è in guerra: avversari come l’Italia, che sta letteralmemte schiacciando grazie al tasso di cambio marco-euro che svaluta la divisa tedesca favorendo le esportazioni. Primo trucco, la banca pubblica Kwf (Kreditanstalt für Wiederaufbau), simile all’italiana Cassa Depositi e Prestiti. «Ogni anno raccoglie circa 500 miliardi e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e medie imprese», ricorda “Linkiesta”. Piccola differenza: «I 300 miliardi di debito contratto dalla nostra Cdp, coperto da garanzia statale, entra nel conteggio del debito pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no». Il motivo? Un cavillo: la Germania esclude dal debito di Stato le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. «Regola alquanto discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca), ma al ministero delle finanze. I suoi tassi sono diretta conseguenza di quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire».Facendo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. «Se li sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4% arriverebbe a lambire il 97% del Pil», scrive “L’inkiesta”, enumerando le altre false “virtù” della Germania. Per esempio: il pareggio di bilancio (imposto all’Italia in tempi strettissimi) Berlino lo realizzerà con modo, a rate, tenendo conto dell’autonomia finanziaria dei suoi 16 Lander, che avranno tempo fino al 2020. In più: gli enti locali sono sovra-indebitati, ma il loro bilancio (in rosso) non viene conteggiato nel debito pubblico nazionale. Terzo trucco: lo Stato nelle banche. A parte la Cdp, scrive “Linkiesta”, «in Italia tutte le banche sono in mano a investitori privati, mentre in Germania il 45% del sistema bancario è in mano al settore pubblico». Ancora: se il mercato non compra i bond tedeschi, li acquista direttamente la banca centrale, la Bundesbank (il che è giusto: peccato che Berlino vieti alle banche centrali dei paesi europei di fare altrettanto). Nell’Unione Europea, dove alcuni sono “più uguali” degli altri, i tedeschi sono, orwellianamente, “i più uguali” di tutti: impiccano la Grecia e azzoppano l’Italia imponendo l’austerity, ma poi chiudono un occhio (anzi, due) sui propri conti-vergogna, da nascondere sotto il tappeto.Tutti contenti, in Germania? Nemmeno per idea: «I lavoratori tedeschi si preparano allo sciopero per l’aumento dei salari», scrive “Bloomberg”. Gli operai e i giganti industriali, dalla Siemens a Daimler, stanno affrontando un crescente conflitto con una serie di giornate di sciopero in tutta la Germania, che secondo gli imprenditori starebbero danneggiando seriamente l’attività produttiva, affermano Carolynn Look e Christoph Rauwald, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. «I lavoratori sono davvero molto arrabbiati a causa delle tattiche negoziali degli imprenditori», afferma Joerg Koehlinger, leader regionale del sindacato Ig Metall: «Tutti possono vedere quanto sia buona la situazione economica, per cui vogliamo degli aumenti salariali significativi e degli orari di lavoro adeguati alla vita delle persone». La Germania è il paese dei “mini-job” da 450 euro mensili, introdotti da Gerhard Schroeder su ispirazione di Peter Haartz, l’ex ad della Volkswagen condannato per aver corrotto sindacalisti, inducendoli a introdurre contratti-capestro. Le paghe bassissime sono una delle chiavi del super-export su cui si fonda l’aggressiva economia industriale tedesca. Oggi, il tasso di disoccupazione è sceso a un record minimo: 5,4%. «Con livelli di produzione manufatturiera vicini ai massimi da due decenni a questa parte, e con gli ordini che vanno a gonfie vele, qualsiasi rallentamento della produzione potrebbe avere serie ripercussioni», avvertono Look e Rauwald su “Bloomberg”.Una situazione su cui, domani, potrebbe incombere l’ira di Trump, insolentito dalla Merkel davanti alla platea internazionale per il suo presunto protezionismo. Tutto vero? Macché. E’ solo l’ennesima “fake news” su cui si fonda l’egemonia tedesca. «La Germania non è affatto equa riguardo alle auto, perché la Ue adotta una tariffa doganale del 10%, mentre gli Usa hanno una tariffa del 2,5%», spiega il professor Flassbeck. «Il notevole “surplus commerciale bilaterale” preoccupa molto gli Usa, che potrebbero finire col punire l’intera Ue per i flussi commerciali sbilanciati di Berlino». Secondo l’ultimo rapporto del Tesoro Usa, «il surplus commerciale bilaterale della Germania con gli Usa è molto ingente e fonte di preoccupazione». La Germania, «in quanto quarta potenza economica globale», dovrebbe invece avvertire «la responsabilità di contribuire a una crescita della domanda più bilanciata e a flussi commerciali più bilanciati». Dai rapporti risulta che tra l’80 e il 90% del commercio di Berlino sfrutta la domanda estera. E Peter Navarro, consulente commerciale alla Casa Bianca, ricorda che la Merkel mantiene il “marco tedesco” «fortemente svalutato», sfruttando le regole dell’Ue e dell’Eurozona. «E’ una situazione molto iniqua: non riusciamo a esportare i nostri prodotti, mentre loro esportano da noi i propri, con tasse molto basse», dichiara Trump. «Se la Casa Bianca dovesse imporre sanzioni contro le auto e l’acciaio tedesco», avverte Carey su “Voci dall’Estero”, «l’intera Ue verrebbe trascinata nel conflitto».Embargo contro le auto tedesche? Non proprio, ma quasi: attaccato a Davos da Angela Merkel, che lo accusa di protezionismo, Donald Trump potrebbe imporre un super-dazio per frenare «l’acciaio europeo». Lo afferma Joseph Carey su “Voci dall’Estero”, ricordando i giudizi della Casa Bianca sulla Germania, «molto scorretta riguardo al commercio», specie in relazione ai «milioni di automobili» vendute negli Usa grazie a imposte doganali ultra-leggere. Gary Hufbauer, esperto di commercio dell’istituto Peterson a Washington, sostiene che l’attacco dei repubblicani potrebbe sfruttare i poteri della “sezione 232”, una forma Usa di auto-tutela contro le importazioni, e lanciare una serie di sanzioni per imporre «una qualche forma di quota-automobili». Il problema? La Germania gioca sporco: mentre impone il massimo rigore ai vicini, bara sui propri conti pubblici. Ultima pietra dello scandalo: il surplus commerciale. L’export tedesco supera l’8% del Pil, andando ben oltre il 6% imposto da Maastricht. L’imbroglio? «La Germania sta falsificando i conti, in modo che non si veda che il surplus sta aumentando», afferma il professor Heiner Flassbeck, ex segretario di Stato tedesco alle finanze. Ecco perché Trump starebbe preparando clamorose contromosse commeciali anti-europee, dopo la lezioncina globalista impartitagli dalla Merkel.
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Barnard: dovete lasciarci votare la casella “Nessuno di voi”
Il voto, così come inteso nel dettato costituzionale dei paesi come l’Italia, non è libero. Ripeto: non è libero. Perché? Perché si tratta di un sistema ingannevole che offre al cittadino una sola scelta, e non l’altra scelta, che sarebbe in assoluto la più importante. E questo è stato pensato dal Potere per rendere quasi impossibile sbarazzarsene. Quando votiamo, possiamo fare una cosa sola: confermare il sistema partitico disponibile, cioè scegliere dentro una gabbia di partiti oltre ai quali non v’è altra possibilità. Quella gabbia si chiama Il Potere, Sinistra, Centro e Destra. Possiamo giostrarci all’interno di essa, ma non uscire da essa. Non possiamo cioè fare l’altra cosa, la più cruciale, quella che ci renderebbe veramente liberi: sfiduciare il sistema partitico disponibile, cioè mandarlo a spasso tutto intero, per far spazio ad altro. Il Potere, come ho già scritto in passato, ci ha oggi costretti dentro un pollaio puzzolente dove siamo incastrati nella scelta fra lo Schifo e l’Orrore. Per fare un esempio: siamo obbligati a votare lo schifoso centrosinistra italiano (che include l’appendice decomposta della sinistra), se no ci becchiamo l’orrore del centrodestra di Berlusconi. La parte avversa è costretta a votare lo schifo del Cavaliere per non beccarsi quello che per loro è l’orrore del Pd. E questa è la fine della Storia.Così siamo incastrati per sempre a votare, in realtà, solo il meno peggio di un panorama in sé comunque orribile. Non ci è data la possibilità di pensare a un altro panorama, a un’altra politica, proprio a un altro modo di gestire la vita pubblica, perché votandolo – cioè qualunque piccola formazione fuori dallo Schifo – verremmo accusati di favorire l’Orrore. Alla fine, badate bene, quando ci viene concesso molto, quando ci pensiamo fortunati, è perché all’interno di quella gabbia puzzolente viene permessa la presenza di un partito cosiddetto ‘nuovo’, che suona ‘nuovo’, ma che non lo è assolutamente. Questo è accontentarsi delle briciole. Perché vi accontentate delle briciole? Allora, la via d’uscita per fottere il Potere e questo suo schema diabolico è quella di ottenere che il voto sia veramente libero, e cioè che con esso il cittadino non sia solo costretto a confermare il Potere come sopra descritto, ma che lo possa anche sfiduciare, tutto e per intero, cioè non votarlo pur recandosi alle urne come tutti gli altri, e comunque usando il proprio diritto al voto.Questo si ottiene con una legge di modifica costituzionale che permetta al cittadino che non vuole più rassegnarsi alla tragica scelta fra Schifi e Orrori, di recarsi alle urne e apporre una croce sulla scheda nell’apposita casella “Nessuno di voi”, a fianco degli altri simboli. Questo voto andrà contato esattamente come gli altri voti, e si dovrà tradurre in seggi vuoti in Parlamento. Così un anno avremo il 4% del Parlamento vuoto, sedie vuote. Più avanti potrebbero diventare il 22%, o il 40%. Si saprà in tal modo che il 4 o il 22 o il 40 per cento degli italiani non ci sta più, e la loro ribellione sarà visibile a tutti e riconosciuta dalla Costituzione del paese con pari dignità delle altre scelte, e non tacciata di qualunquismo di quelli che sono andati al mare. Tutto questo fino a che quella quota di cittadini non sarà soddisfatta dalla presenza sulla scena politica di una vera alterativa, cioè di un orizzonte veramente aperto, e non più di rimpasti cosmeticamente abbelliti fatti dal vecchio putridume di Schifi e Orrori. E il Potere sarà fottuto, perché non ci controllerà più nella sua gabbia.(Paolo Barnard, “Ecco come non votare”, post pubblicato sul blog di Barnard del 2009 e riproposto il 24 gennaio 2018).Il voto, così come inteso nel dettato costituzionale dei paesi come l’Italia, non è libero. Ripeto: non è libero. Perché? Perché si tratta di un sistema ingannevole che offre al cittadino una sola scelta, e non l’altra scelta, che sarebbe in assoluto la più importante. E questo è stato pensato dal Potere per rendere quasi impossibile sbarazzarsene. Quando votiamo, possiamo fare una cosa sola: confermare il sistema partitico disponibile, cioè scegliere dentro una gabbia di partiti oltre ai quali non v’è altra possibilità. Quella gabbia si chiama Il Potere, Sinistra, Centro e Destra. Possiamo giostrarci all’interno di essa, ma non uscire da essa. Non possiamo cioè fare l’altra cosa, la più cruciale, quella che ci renderebbe veramente liberi: sfiduciare il sistema partitico disponibile, cioè mandarlo a spasso tutto intero, per far spazio ad altro. Il Potere, come ho già scritto in passato, ci ha oggi costretti dentro un pollaio puzzolente dove siamo incastrati nella scelta fra lo Schifo e l’Orrore. Per fare un esempio: siamo obbligati a votare lo schifoso centrosinistra italiano (che include l’appendice decomposta della sinistra), se no ci becchiamo l’orrore del centrodestra di Berlusconi. La parte avversa è costretta a votare lo schifo del Cavaliere per non beccarsi quello che per loro è l’orrore del Pd. E questa è la fine della Storia.
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Il fiuto di nonno Berlusconi: una farsa che prepara l’inciucio
In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.Nel corso dell’ospitata nella trasmissione di Barbara D’Urso, l’intramontabile Silvio ha spiegato – con la consueta franchezza – qual è la posta in gioco. Ha detto cioè che scende in campo contro i grillini, come aveva fatto contro i comunisti negli anni Novanta, perché oggi il pericolo è ancora maggiore. E dal suo punto di vista ha ragione: non perché i grillini siano sovversivi, ma perché la massa inferocita che ribolle negli strati più bassi della società (e che spera di trovare espressione votando M5S) è fatta di persone «che portano invidia e odio verso chi è ricco», di incompetenti che non capiscono la complessità dei problemi su cui sono chiamati a esprimersi (la democrazia sembra essere oggi più indigesta che mai, anche se è stata ridotta ai minimi termini da decenni di guerra di classe dall’alto) e che esprimono leader «ai quali si dovrebbe domandare cosa hanno fatto prima di fare politica e se sono laureati». Infine enuncia un programma che, nel migliore stile trumpista, mette insieme veri regali ai ricchi (la “flat tax”) e finti regali (che, vedi Trump, verranno immediatamente smentiti dopo l’eventuale vittoria) ai poveri (aumenti delle pensioni minime, reddito di dignità, ecc.). Insomma: qui, come ormai quasi ovunque in Occidente, si scontrano due populismi nati sulle rovine delle forze politiche tradizionali, di sinistra come di destra.Due populismi che negli Stati Uniti, come ha scritto Nancy Fraser seguendo la lezione di Gramsci in un lungo articolo su “American Affairs”, incarnano gli interessi di due blocchi sociali contrapposti che lottano per l’egemonia. Con la differenza che, nel caso italiano, non si confrontano un Donald Trump e un Bernie Sanders ma, da un lato una vecchia volpe (anche lui un tycoon reazionario al pari di Trump, ma che la lunga esperienza ha reso meno rozzo nell’uso di espressioni razziste e sessuofobe, mentre ne ha affinato la verve comunicativa), dall’altro lato un progetto abortito di populismo progressivo che (diversamente da “Podemos” e Mélenchon) non ha la minima chance di aggregare un blocco sociale capace di andare oltre qualche effimero successo elettorale. Ma l’astuzia berlusconiana si rivela anche nel suo enfatizzare il “pericolo” grillino per preparare il terreno – nel più che probabile caso che nessuno ottenga la maggioranza assoluta – a una “grosse koalition” in salsa italiana (sarà per caso che Renzi sostiene a sua volta che la vera sfida è fra Pd e M5S?). Una soluzione che gli consentirebbe di svincolarsi della imbarazzante alleanza con Salvini, il quale è la vera controfigura italiana di Trump, almeno per quanto riguarda la scorrettezza politica e le velleità antiglobaliste e antieuropeiste. Perché il populismo di Berlusconi è soprattutto una tecnica elettorale, ma il nostro non coltiva alcuna intenzione di sfidare i diktat dell’Europa a trazione tedesca.(Carlo Formenti, “Il fiuto politico dell’intramontabile Silvio”, da “Micromega” del 15 gennaio 2018).In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.
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Gratteri: una vergogna quelle gabbie per i migranti in Libia
Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».Quello di Gratteri è un pensiero che sembra in via di estinzione, in un’Italia frastornata dal derby che oppone il solidarismo assistenziale delle Ong alla xenofobia elettoralistica degli “impresari della paura”, che speculano sulla criminalità migrante degli sbandati. Ma perché dare per scontato che milioni di persone debbano per forza lasciare le loro case? E’ sacrosanto il diritto di partire per inventarsi una vita diversa dall’altra parte del mondo, «purché però la partenza non sia un atto disperato, indotto dalla miseria o dalla guerra», sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro: difendiamo i diritti dei migranti trascurando però sempre il loro diritto principale, «che è innanzitutto quello di poter vivere una vita dignitosa a casa loro, senza per forza dover dolorosamente rinunciare al proprio paese». In altre parole: «Perché non ci chiediamo come mai questa gente è costretta a scappare? Perché non chiediamo ai nostri governi cosa hanno combinato, in quelle regioni del mondo?». Aiutarli a casa loro? L’Italia sarà in Niger con il proprio esercito, a presidiare un paese tra i 20 più poveri al mondo, ma ricchissimo dell’uranio che è da sempre “proprietà privata” della Francia, destinato ad alimentare le centrali nucleari transalpine.Soccorso occidentale? «No, grazie», rispose Thomas Sankara al vertice panafricano di Addis Abeba, pensando al genere di “aiuti” storicamente ricevuti dall’Africa: finanziamenti interessati e debito eterno, cioè schiavitù. «Teneteveli, i vostri soldi: non li vogliamo più», disse il giovane leader del Burkina Faso, assassinato nel 1987 tre mesi dopo quel coraggioso discorso, in cui chiedeva agli Stati africani di non pagare più il debito estero (la Russia di Putin ha appena condonato il suo, annullando gli oneri a carico dei paesi africani verso Mosca). E mentre la verità ufficiale tuttora nega che a uccidere Sankara sia stato l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè, ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori da François Mitterrand, l’Unione Europea si appresta a varare un Piano Marshall per l’Africa che, in cambio di infrastrutture, aggraverà il debito del continente nero, quasi sempre retto da dittature filo-occidentali come quella dell’Eritrea, i cui profughi (che sbarcano a Lampedusa) fuggono da un regime a cui l’Italia vende costosi armamenti.L’Africa però resta materia da campagna elettorale: Berlusconi evoca il pugno di ferro contro “mezzo milione di immigrati criminali”, mentre Massimo D’Alema sostiene che proprio ai migranti è affidato il futuro demografico di un paese come l’Italia, dove non ci si sposa più e non si fanno più figli (a causa della crisi economica indotta dall’euro e dal rigore Ue, cosa che D’Alema evita accuratamente di precisare). Nel frattempo restano loro, i sopravissuti alla pericolosa traversata del Canale di Sicilia, a bordo di carrette del mare il più delle volte recuperate in extremis dalla marina militare italiana. Senza una politica degna di questo nome, sottolinea Nicola Gratteri, non ci sarebbe da vantarsi se il flusso dei disperati dovesse calare: «Ogni sera sentiamo ai telegiornali che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue». Le gabbie in Libia per rinchiuderli come animali? «Non sto tranquillo perché ne arrivano duemila in meno», aggiunge il magistrato, per il quale evidentemente la parola “umanità” ha ancora un senso universale, non negoziabile né trasformabile in spazzatura elettolare “di destra” o “di sinistra”.Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».
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Myss: il segreto della prostituta che vive in ognuno di noi
La prima idea che a molti viene in mente udendo la parola “prostituzione” è l’immagine di qualcuno che venda il proprio corpo per fini sessuali. Tuttavia la prostituzione a cui mi riferirò in questo articolo non ha a che fare con il sesso a pagamento. La Prostituta interiore è invece una tendenza presente in ognuno di noi. Nel suo libro “Sacred Contracts”, Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come ad un archetipo capace di influenzare la nostra vita in un certo numero di modi. Un archetipo è un’immagine, un modello, un simbolo universale codificato all’interno della psiche umana ed ereditato di generazione in generazione. In ognuno di noi è presente in qualche misura la Prostituta interiore; tanto negli uomini quanto nelle donne. La Prostituta interiore si manifesta nella nostra vita tutte le volte che “vendiamo” metaforicamente una parte di noi per ottenere in cambio un tornaconto personale. Come funziona la Prostituta interiore? Si nutre delle paure connesse alla sopravvivenza e all’incolumità. L’energia di questo archetipo è ascrivibile principalmente al chakra della radice (Primo Chakra), il quale può bloccarsi o danneggiarsi come conseguenza dello sviluppo di determinate credenze o dell’influsso di alcune particolari esperienze di vita.Spesso coloro i quali lottino costantemente con la loro Prostituta interiore sono reduci da infanzie fisicamente o emotivamente precarie. L’individuo guidato dalla Prostituta interiore persegue ad ogni costo una condizione di sicurezza e protezione, anche se ciò significhi rinunciare a diverse prerogative umane. Ad esempio: sacrifica i propri sogni in cambio del comfort; subordina i propri valori ai trend sociali; sgisce a scopo di lucro e non sulla spinta di passione o convinzione; si svende al fine di guadagnare popolarità piuttosto che restare ignoto, ma fedele a se stesso e alla propria unicità; mantiene in vita rapporti malsani per non rinunciare alla sicurezza emotiva, sociale o economica; tende a comportarsi gentilmente solo per ottenere qualcosa in cambio; scende a compromessi con i propri principi etici; manipola gli altri per perseguire un tornaconto personale. L’atteggiamento che caratterizza la Prostituta interiore si può sintetizzare nel mondo seguente: “Sono disposto a dare tutto ciò che mi si chiede (anche in violazione della mia fede, della mia autostima e della mia integrità) in cambio di un’adeguata contropartita”.L’archetipo della Prostituta può indurre a sacrificare qualsiasi cosa in cambio della ricerca della sicurezza e della protezione. Nessun luogo è considerato “terra santa”. Tutto è in vendita al giusto prezzo. Ciò detto, non importa quanto la Prostituta possa apparire “cattiva” o “negativa”. Essa è in realtà una forza del tutto neutra. La Prostituta diventa un problema solo quando non si sia coscienti del suo influsso nella nostra vita. Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come al “guardiano della fede”, in quanto è grazie ad essa che possiamo realizzare fino a che punto siamo inclini a vendere una parte di noi stessi in cambio di un tornaconto. L’archetipo della Prostituta dovrebbe insegnarci a sviluppare l’integrità, il rispetto e la fiducia in noi stessi, e la fede nel Divino. Se compresa e controllata, la Prostituta può aiutarci a scoprire i luoghi della nostra vita in cui abbiamo deciso di venderci.La fiducia è la lezione fondamentale impartita dall’archetipo della Prostituta. Per avere fiducia dobbiamo credere fermamente nella nostra capacità di sperimentare la forza, il benessere e l’abbondanza. Quando dubitiamo di noi stessi, il vuoto che si crea viene riempito dalla ricerca della ricchezza esteriore, degli agi del comfort e da facili gratificazioni che possano compensare il nostro senso di insicurezza. Tutto ciò naturalmente genera ulteriore auto-disistima e insicurezza che alimenta nuovi comportamenti compulsivi dettati dalla Prostituta interiore. L’unico modo di neutralizzare la Prostituta interiore apprendendone gli insegnamenti è rafforzare la nostra fiducia in noi stessi. Il modo migliore di farlo è rendendosi conto che ciò che siamo si estende oltre le nostre personalità, i nostri titoli, le nostre occupazioni lavorative, i nostri corpi e i nostri pensieri. Come possiamo fidarci di ciò che non è realmente “noi”? Ciò che siamo stati condizionati a identificare con “noi” non potrà mai infonderci alcun comfort o senso di sicurezza. Come può una personalità in continuo mutamento, un corpo che invecchia, un lavoro temporaneo, una famiglia transitoria, infondere fiducia in se stessi?Per imparare l’insegnamento della Prostituta e riappropriarci della nostra integrità dobbiamo ristabilire il contatto con l’unico luogo immutabile presente in noi: la nostra Coscienza. Ciò che definiamo “Lavoro dell’Anima”, presente praticamente in ogni tradizione o percorso spirituale, definisce il nostro impegno e la nostra volontà di riconnetterci con la nostra anima. La nostra anima è la nostra essenza, la verità alla radice della nostra esistenza; in altre parole è il nostro flusso di Coscienza. La nostra anima è illimitata, grande, infinitamente saggia e amorevole; è il nostro personale collegamento con lo Spirito, il quale è la radice di ogni cosa. La Prostituta interiore non è un nemico, né è qualcosa di cui vergognarsi. Si tratta invece di un normale istinto di difesa presente in ognuno di noi e a vari livelli. Non si tratta di un “problema” da risolvere cercando di curarlo o farlo magicamente sparire; è invece necessario prendere realmente atto della sua esistenza. Quando comprendiamo la sua essenza possiamo perfino arrivare ad amarla e al tempo stesso impedirle di prendere il controllo delle nostre decisioni ed azioni.Vado ad elencare alcune domande da porsi per accrescere la consapevolezza di quanto le nostre esistenze siano influenzate dalla Prostituta: in quali aree della mia vita ho scelto di sacrificare le mie autentiche esigenze in cambio di denaro, beni materiali, popolarità, protezione, sicurezza, comfort e ammirazione? Vivo rapporti personali o di lavoro manifestamente tossici per il mio benessere? Quali componenti della mia identità ho venduto agli altri? (Esempi: l’allegria, l’affettività, la sincerità, la fantasia…). Ho venduto o sacrificato la mia moralità in cambio di un tornaconto personale? Quante volte mi capita di mentire per ottenere un tornaconto personale? Ho mai indotto qualcuno a “vendersi” per il mio tornaconto personale? Cosa sono disposto a digerire pur di raggiungere o conservare la “sicurezza”? Per lavorare proficuamente con la propria Prostituta interiore occorre raggiungere la ferma consapevolezza che la Coscienza / Dio è sempre qui per supportarci, dal momento che tutti noi siamo parte di Essa / Egli.(Aletheia Luna, “L’archetipo della prostituta”, da “Anticorpi.info” del 16 novembre 2017, ripreso dal blog “La Crepa nel Muro”).La prima idea che a molti viene in mente udendo la parola “prostituzione” è l’immagine di qualcuno che venda il proprio corpo per fini sessuali. Tuttavia la prostituzione a cui mi riferirò in questo articolo non ha a che fare con il sesso a pagamento. La Prostituta interiore è invece una tendenza presente in ognuno di noi. Nel suo libro “Sacred Contracts”, Carolyn Myss si riferisce alla Prostituta interiore come ad un archetipo capace di influenzare la nostra vita in un certo numero di modi. Un archetipo è un’immagine, un modello, un simbolo universale codificato all’interno della psiche umana ed ereditato di generazione in generazione. In ognuno di noi è presente in qualche misura la Prostituta interiore; tanto negli uomini quanto nelle donne. La Prostituta interiore si manifesta nella nostra vita tutte le volte che “vendiamo” metaforicamente una parte di noi per ottenere in cambio un tornaconto personale. Come funziona la Prostituta interiore? Si nutre delle paure connesse alla sopravvivenza e all’incolumità. L’energia di questo archetipo è ascrivibile principalmente al chakra della radice (Primo Chakra), il quale può bloccarsi o danneggiarsi come conseguenza dello sviluppo di determinate credenze o dell’influsso di alcune particolari esperienze di vita.
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Bankitalia può fabbricare miliardi, voi politici non lo sapete?
«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».Sul cosa fare, scrive Zibordi sul forum “Cobraf” ripreso da “Come Don Chisciotte”, il grillino Di Maio ha dichiarato: «Niente uscita dall’euro». E, nel caso ci fossero dubbi sulla logica, ha detto che il debito pubblico deve scendere di un 40% (rispetto al Pil). I soldi mancanti? Devono venire da 50 miliardi di taglio della spesa pubblica. Berlusconi? Anche lui si dichiara pro-euro, però «non parla di tagli come Di Maio e quindi è più “a sinistra”». Peccato però che, in questo modo, «i 70 o più miliardi per cancellare la Fornero, il “reddito di dignità” e la “flat tax” esistano solo nei suoi discorsi». Quanto a Salvini, «continua a lanciare frecciate contro l’euro, ma finora nelle proposte non parla più di EurExit e si è alleato con chi non ne vuole proprio uscire (e dice che lui, Salvini, ha cambiato idea)». In sostanza: i candidati alle politiche 2018 promettono spese per 100 miliardi, senza però dire come uscire dal sistema degli euro-vincoli. «Dire che li trovate tagliando le spese o reprimendo l’evasione come fa Di Maio – scrive Zibordi – è come dire che quei soldi li porterà la Befana, specie dopo l’esperienza di Monti».Ora che la Bce ha creato 2.400 miliardi dal 2012 e assieme alle altre banche centrali ha creato dal nulla 19.000 miliardi dal 2009, «forse la nozione che si possa creare denaro potrebbe essere spiegata agli elettori italiani». A differenza di altre elezioni, continua Zibordi, stavolte l’italiano medio sta ad ascoltare, se si parla di economia. «All’austerità, l’idea che c’è una quantità fissa di soldi e se ne occorrono da una parte ne devi tagliare dall’altra, sono rimasti a credere solo quelli che sentono Oscar Giannino». I candidati dovrebbero quindi spiegare che, invece, «non ci sono ostacoli pratici a creare 100 miliardi per lo Stato, sia in generale che nello specifico, visto che la Bce e le varie banche centrali nazionali hanno ricomprato 900 miliardi di debito sui mercati mentre i deficit pubblici erano di 200 miliardi». Cioè: negli ultimi anni il debito pubblico sui mercati si riduceva nell’Eurozona di 900 miliardi, e la quota dell’Italia era intorno ai 200 miliardi. Ovunque nel mondo, prosegue Zibordi, «le banche centrali hanno comprato una grossa fetta di debito pubblico facendolo sparire dai mercati». In certi casi anche il 40% del debito è stato ritirato dai mercati, «con il risultato che poi gli interessi non pesano più sullo Stato». Per cui, attenzione: «I miliardi per fare redditi di cittadinanza o pensioni o riduzioni di tasse vengono da qui, da quelli che le banche centrali hanno creato e poi usato per ridurre il debito pubblico». E’ un discorso così difficile da fare, per un politico?«Se prometti 100 miliardi di pensioni, redditi garantiti e tagli di tasse dicendo però che resti dentro i vincoli dell’Eurozona allora sì che vedi facce perplesse e incredule», scrive Zibordi. E perchè il discorso del ritorno alla lira non funziona? «Perchè la gente pensa che i soldi si riducano di valore, che svaluti, e alla fine poi in realtà ci sia meno denaro perchè vale di meno». Non è necessariamente vero: «Bankitalia in questo stesso momento sta stampando euro con cui compra Btp e lo ha fatto ormai per 300 miliardi di Btp senza conseguenze negative. Di questi 300 miliardi ne servono 100 miliardi per ridurre tasse e altre cose. Bankitalia e la Bce “stampano” miliardi e questo va bene, ma li usano solo per togliere il debito dai mercati, renderlo inoffensivo. E’ un ottima cosa, andrebbe fatto sempre nei prossimi anni fino a quando il debito pubblico sparisce quasi tutto dai mercati. Ma una frazione di questi soldi va anche girata alle famiglie e imprese. Nell’insieme, Bce e Bankitalia hanno ora 400 miliardi circa di titoli di Stato italiani, per cui ci si può permettere di darne 100 miliardi indietro al pubblico italiano». Bisogna però che i leader politici lo dichiarino, cioè dicano che la posizione dell’Italia, del prossimo governo italiano, è che il debito pubblico comprato da Bankitalia stampando centinaia di miliardi di euro vada sottratto dal totale.«Dato quindi che si sta già stampando denaro da parte della banca centrale, che opera per conto dello Stato, bisogna riconoscerlo e dire che non possono essere solo investitori e speculatori finanziari a beneficiarne». Il prossimo governo italiano, continua Zibordi, deve dire che ora tocca a lui creare anche solo una frazione di questi miliardi a beneficio di imprese e lavoratori italiani. Come? Ci sono diverse soluzioni: emissione di crediti fiscali, Btp fiscali, criptovalute. «Sono mezzi di pagamento per le tasse, cioè i crediti fiscali o Btp Fiscali o gli ItCoin: lo Stato li accetta per le tasse, ma non li impone per legge come moneta, altrimenti violerebbe i trattati per i quali solo l’euro è moneta legale». Bankitalia non è d’accordo? Ovvio: «E’ costretta dal suo ruolo istituzionale a mentire, o comunque a dire qualcosa di fuorviante, perché deve difendere il suo potere di creare miliardi dal nulla e impedire allo Stato di fare altrettanto». Ma la verità è che proprio la Banca d’Italia «può creare 300 o anche 600 miliardi senza vincoli, e lo Stato deve chiedere il permesso di spenderne 3 per delle emergenze». Tutto merito dell’euro. «Lo Stato italiano deve tornare a fare quello che per 30 anni ha delegato alla banca centrale, con i risultati di depressione economica, crollo demografico e milioni di sottoccupati e disoccupati», conclude Zibordi. Per farlo non c’è bisogno di tornare prima alla lira: basta denunciare «il bluff delle banche centrali, che creano migliaia di miliardi e predicano agli Stati l’austerità perchè “non ci sono i soldi”».«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».