Archivio del Tag ‘Francia’
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Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
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Bidone Gialloverde, elezioni-farsa: e ora gli oligarchi ridono
Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.Parlavano da soli gli applausi rovesciati addosso a Salvini e Di Maio dal popolo di Genova sulle macerie del Viadotto Morandi, prima che si sapesse che i super-incassatori dei pedaggi italiani, da mungere attraverso Autostrade, non erano i Benetton ma i veri padroni di Atlantia, gli americani di BlackRock. E addio “nazionalizzazione” dannunziana dell’italica rete autostradale, infrastruttura strategica costruita grazie all’uso intelligente del debito pubblico. Poi, va da sé, “il seguito è una vergogna”, come cantava Edoardo Bennato. Il peccato originale? Il cedimento sul deficit, l’addio alla cassaforte: Paolo Savona che si defila, silurato da Mattarella per la gioia di Visco, Draghi e tutti gli altri euro-strozzini che in questi decenni hanno spolpato il Belpaese, facendolo a pezzi per svenderlo agli amici degli amici. Questo significava il “niet” della Commissione: non avrete i soldi per fare quello che avevate promesso. Reazioni: nessuna. Faremo tutto ugualmente, hanno detto (barando) i bidonisti gialloverdi, sapendo perfettamente che – da quel momento – il “governo del cambiamento” era finito, clinicamente morto.Potevano protestare, insorgere? Dovevano farlo: godevano della fiducia del paese. Un fatto che aveva del miracoloso, in sé, visto il curriculum dell’Italia. Prima l’attacco al cuore del sistema, con la Prima Repubblica messa in ginocchio per via giudiziaria di fronte alle forche caudine del Trattato di Maastricht. Poi l’avvento del finto bipolarismo tra Berlusconi e Prodi, tra le “cene eleganti” di Arcore e la presidenza della Commissione Europea, passando per la Goldman Sachs. Quindi la macelleria di Monti, l’anestesia del falso medico Renzi, il pallore dei maggiordomi Letta e Gentiloni. Un establishment esausto, ridotto a banchettare sui resti di industrie e banche largamente cedute a mani straniere, grazie a governi-fantoccio appaltati a piccoli yesman. Poi sono arrivati loro, i giustizieri. Due aziende distinte: quella grillina senza idee, ma con la fedina immacolata. L’altra, la ditta leghista, con trascorsi non esattamente esaltanti, ma rigenerata da una leadership teoricamente sovraneggiante.Da come s’erano messe le cose, in autunno, c’era da sperare che i biscazzieri gialloverdi facessero fronte comune, affondando il colpo – Davide contro Golia – in modo spettacolare, magari presentandosi uniti alle elezioni europee per spiegare che le ragioni dell’Italia non sono diverse da quelle degli altri paesi, se ci si mette dalla parte del popolo e contro l’élite abusiva, privata, che domina le istituzioni pubbliche. Ma niente da fare. I due sparring partner, il leghista e il grillino, non hanno fatto altro che allenare i muscoli dei campioni, gli oligarchi, che almeno su una cosa si erano sbagliati: per un attimo, avevano pensato che Salvini e Di Maio facessero sul serio. Poi, quando li hanno visti azzannarsi tra loro ogni giorno, hanno capito di che pasta fosse, il Bidone Gialloverde. Gli hanno rubato il portafoglio, e l’hanno passata liscia: anziché coi ladri, Salvini se l’è presa coi migranti africani e coi negozietti di cannabis light. Di Maio, al solito, l’ha superato in capacità acrobatica: prima ha lisciato il pelo ai Gilet Gialli massacrati fa Macron, poi s’è genuflesso di fronte alla socia tedesca di Macron, e infine ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Ursula von der Leyen, candidata della Merkel alla guida della Commissione Ue.Ora il film è finito, ma l’alternativa è il vuoto. Sfidando il ridicolo, Matteo Salvini – armato di crocifisso – dopo aver azzoppato l’ex socio ora tenta di proporre se stesso come salvatore della patria, sperando che gli italiani abbiano la memoria così corta da non ricordare chi era, Salvini, un anno fa, cosa diceva, cosa prometteva e cosa non ha mai neppure lontanamente provato a fare, in questi lunghi mesi in cui, insieme all’altro sparring partner, ha perso in giro gli elettori. Crede davvero, il leghista, che fare da valletto (l’ennesimo) ai voraci squaletti del Tav gli possa valere grandiosi trionfi? Seriamente si illude che il 34% rimediato alle europee, tornata in cui ha votato solo un italiano su due, si possa trasformare in un’apoteosi, nelle elezioni anticipate che ora pretende? Matteo Renzi riuscì a cadere faccia terra dall’alto del suo 40%, e anche lui per un test elettorale non dovuto, personalmente imposto al paese. Storie sinistramente parallele, quelle dei due Matteo, nella bassa marea in cui la navicella italiana continua a languire, con le vele flosce, senza che sia in vista nessun alito di vento.La campagna elettorale prossima ventura – trita continuazione di quella in corso da mesi – vedrà i bidonisti ex gialloverdi recitare una farsa penosa e cattiva, da commedianti falliti. Ripeteranno sensazionali stupidaggini, tentando di convincere il pubblico che il problema è solo italiano – è tutta colpa di Di Maio, anzi di Salvini – come se Di Maio e Salvini avessero davvero potuto fare quello che volevano. Da loro sentiremo di tutto, tranne la verità. Il grottesco sta nel fatto che questi due signori si rivolgeranno agli italiani come se niente fosse, come se non sapessero quali poteri – nella migliore delle ipotesi – li hanno sabotati fin dall’inizio. Ma gli italiani oggi si interrogano anche sull’altra ipotesi, la peggiore: non sarà che quei poteri li hanno guidati da subito, a partire dall’esordio, prima gonfiandoli e poi sgonfiandoli, i simpatici bidonisti gialloverdi? Lega e 5 Stelle non si libereranno del marchio che ormai li squalifica: avevano impegnato l’onore dell’Italia, di fronte all’Europa, in una promessa di liberazione democratica. Se si maneggiano parole come giustizia, trasparenza e soprattutto sovranità, la gente rischia di prenderti sul serio. Quando poi scopre che era solo un bluff, ti presenta il conto. L’unica certezza, di fronte al cadavere del Bidone Gialloverde, è che la politica italiana è da ricostruire da zero. Con tanti saluti all’increscioso acrobata grillino e allo sceriffo balneare padano, travestito da poliziotto e illuminato dalla Madonna di Medjugorje.(Giorgio Cattaneo, “Bidone Gialloverde: ridono gli oligarchi ma non gli italiani, costretti a subire elezioni-farsa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 agosto 2019).Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.
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Sul Tav, suicidio gialloverde: sembra Salvini, ma è Fantozzi
L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto. Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Ma fino a quando?Braccato da magistrati e Ong, fanatici pro-migranti e giornalisti a caccia di inesistenti fondi neri dalla Russia, oggi il capetto della Lega sembra il padre-padrone del Belpaese – ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi, prima di sparire dalla scena. Salvini non ha esitato a suicidare i 5 Stelle (e quindi l’esecutivo gialloverde) negando ai grillini la possibilità di tentare di salvare la faccia almeno di fronte ai loro elettori, con la mozione di bandiera – solo dimostrativa – contro l’affare-vergogna del Tav. Ma niente: ora il leghista inscena una resa dei conti basata sulle poltrone, con la minaccia delle elezioni anticipate. Cade il governo Conte? Sai che tragedia, per il popolo italiano. Non mosse un dito, Fantozzi-Salvini, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia. E Savona doveva essere il cervello dell’operazione gialloverde, che prevedeva di impiegare l’Italia come ariete per sfondare il muro infame del rigore europeo, basato sulla teologia ordoliberista dello Stato minimo, ricattato dallo spread, alla mercé degli “investitori” privati che manovrano tutto, dalle agenzie di rating ai loro burattini della Bce e della Commissione Ue. Dov’era, il guerriero Salvini? A combattere sul fronte dei porti, bloccando lo sbarco di poche decine di africani. Grande cinema: perfetto, per distrarre il pubblico dai fallimenti fantozziani del governo.Bravo, Salvini, a spedire in Parlamento due economisti-contro come Borghi e Bagnai, di fede keynesiana. Meno bravo, poi, a relegarli al ruolo di belle statuine, mentre l’indegno sostituto di Savona – Giovanni Tria – si genufletteva a Bruxelles per poi tornare a casa senza l’ok per il deficit strategico su cui contava il governo per risollevare l’economia. E dov’era, il formidabile Salvini, quando l’italico giustizialismo faceva cadere la testa di Armando Siri, solo indagato? Il sottosegretario era il regista della Flat Tax, massimo punto di forza elettorale della Lega: gambizzato e travolto, archiviato insieme alla giusta battaglia (solo verbale, a questo punto) per abbattere la pressione fiscale. Il “capitano” aveva di meglio da fare: tipo accorrere alla festa della sacra famiglia tradizionalista, agitare il rosario e baciare il crocifisso nei comizi, perseguitare i negozietti di cannabis terapeutica nel paese dove la cocacina si compra ai giardinetti e dove la droga illegale può costare la vita a un carabiniere nel centro di Roma, massacrato a coltellate. Non si è fatto mancare niente, lo sceriffo padano: vestito da poliziotto, si è spinto (come tutti gli altri, prima di lui) anche nel piccolo tunnel geognostico di Chiomonte, sette chilometri in sette anni, l’unico cantiere Tav finora aperto, ma solo come opera accessoria. Del tunnel vero, quello per il treno – 57 chilometri – non è stato scavato neppure un metro.Non ci lasciano governare, ammise tempo fa il neo-deputato grillino Pino Cabras, denunciando il ruolo del Deep State (ministeri, Quirinale, Bankitalia-Bce) nel frenare qualsiasi istanza di cambiamento. Tutto vero, purtroppo. E come hanno reagito, i nostri eroi? Sparandosi addosso l’un l’altro. Ha cominciato Di Maio, terrorizzato dal crollo elettorale dei 5 Stelle. Salvini gli ha risposto da par suo, cioè affondando i grillini proprio sull’oscena Torino-Lione. Chi ci rimette, in tutto questo? Facile: gli italiani. Governo in pieno marasma: Conte cerca di sopravvivere al naufragio smarcandosi da Di Maio, la cui sorte sembra segnata (sarà probabilmente rottamato dai proprietari del “moVimento”, Grillo e Casaleggio). Fine del “governo del cambiamento”, dunque? Anche fosse, chi se ne accorgerebbe? Cos’hanno cambiato, Lega e 5 Stelle, in un anno di chiacchiere? Oggi, gli elettori grillini sanno che Di Maio e soci hanno tradito tutte le loro promesse. Ma quanto impiegheranno, gli elettori della Lega, a capire che nella loro parrocchia la canzone è la stessa? Cosa ha fatto, capitan Salvini, per dimostrare – coi fatti, di fronte all’Ue – di non essere la reincarnazione (politica, ma altrettanto patetica) del ragionier Fantozzi?L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 (per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto). Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Fino a quando?
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Il peggiore dei mondi possibili, nutrito dalla nostra paura
Sembrava il migliore dei mondi possibili, quello che l’Europa aveva di fronte a sé fino al 2001, precisamente il 20 luglio, quando al G8 di Genova esplose la follia opaca della violenza e a lasciarci la pelle fu Carlo Giuliani, immortalato mentre col suo estintore minaccia i carabinieri intrappolati in un gippone. Ma Genova era solo l’antipasto dell’inferno: due mesi dopo, crollarono di colpo le Torri Gemelle di Manhattan. Tremila vittime l’11 settembre, e altre 12.000 negli anni seguenti a causa dei tumori provocati dalla nube d’amianto. Nel 2003, in Italia, le prime ipotesi sul possibile auto-attentato vennero avanzate da Giulietto Chiesa, nel bestseller “La guerra infinita”, ignorato dai media. Nel 2005, a “Matrix”, in prima serata su Canale 5, Enrico Mentana ebbe il coraggio di trasmettere “Inganno globale”, esplosivo documentario in cui Massimo Mazzucco dimostra che la versione ufficiale (terrorismo islamico) è integralmente falsa. Era già cominciata, la grande retromarcia dell’Occidente, ma pochissimi se n’erano accorti. Tra questi Bettino Craxi, che da Hammamet spiegò che l’euro-finanza avrebbe spolpato l’Italia. E prima ancora l’economista keynesiano Federico Caffè, sparito nel nulla nel 1987. E così Olof Palme, l’inventore del welfare svedese, ucciso l’anno prima a Stoccolma. Doveva aver capito tutto anche Aldo Moro, minacciato di morte da Henry Kissinger poco prima che di lui si occupassero, teoricamente, le Brigate Rosse.
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Francia, strage di poliziotti: un “suicidio” ogni quattro giorni
Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.I numeri sono impressionanti, fa notare Mazzucco: «Di fatto nel 2018 vi erano stati 68 fra poliziotti e gendarmi che si erano tolti la vita in Francia. E sono già 44 i loro colleghi che hanno fatto la stessa fine nei primi 6 mesi del 2019. Praticamente uno ogni 4 giorni». Per Mazzucco «sono cifre chiaramente fuori dalla norma, al punto che i due sindacati francesi dei poliziotti hanno chiesto al governo “misure urgenti per fermare questo massacro”». Tra i motivi dei suicidi, i sindacati citano «la fatica accumulata che continua ad affliggere quelli fra noi che sono più vulnerabili in termini di disponibilità di fronte ad un lavoro difficile». Sulla settimana nera delle forze di polizia francesi, “Le Figaro” scrive: il sindacato Alternative Police-Cfdt chiede «azioni concrete» per arginare questo «flagello». “Le Parisien” avverte: alcuni casi sono “sospetti suicidi”, la certezza sulle cause della morte degli agenti arriverà solo con le autopsie. L’associazione Mpc (Mobilitazione di Poliziotti Arrabbiati) scrive su Twitter che è come se fossero state eliminate, da inizio anno, «due brigate di polizia».Ma basta davvero la “fatica accumulata” per un “lavoro difficile” a portate tutte queste persone ad una scelta così drastica? Si domanda Mazzucco: se uno non ce la fa più, non può semplicemente dare le dimissioni e cercarsi un altro lavoro? E quindi: quale può essere la vera causa di un malessere così diffuso e così drammatico nelle forze di polizia francesi? Il primo presunto suicidio (eccellente) tra le forze di polizia francesi fu quello di Helric Fredou, commissario a Limoges, incaricato di indagare sulla strage di Charlie Hebdo. Aveva scoperto che la fidanzata di uno degli attentatori aveva stretti rapporti con un funzionario della Dgse, il servizio segreto nazionale. Il governo Hollande “seppellì” le indagini su Charlie Hebdo – apponendo il segreto di Stato (segreto militare, in questo caso) – quando un magistrato di Parigi, poco convinto del “suicidio” del commissario Fredou, aveva scoperto che il commando terrorista aveva usato dei Kalashnikov di fabbricazione slovacca appena acquistati da funzionari della Dgse presso un mercante d’armi, in Belgio.Strana sequenza di suicidi fra i poliziotti francesi: addirittura 5 in una sola settimana, uno per ciascuno degli ultimi 5 giorni, secondo “Le Figaro”. Lo riporta Massimo Mazzucco il 1° agosto sul suo blog, “Luogo Comune”. «Padri di famiglia, con 20-30 anni di servizio, apparentemente tutti scollegati l’uno dall’altro – uno a Nîmes, un altro in Val D’Oise, un terzo a Parigi – che tornano una sera a casa e decidono di spararsi un colpo con la pistola di ordinanza, senza motivo apparente». Un bollettino di guerra: “Suicidio di un ufficiale di polizia ad Aulnay-sous-Bois, il 44esimo in Francia dall’inizio dell’anno”, titola “SudOuest”. Nei Pirenei, sud-ovest della Francia, un poliziotto di Pau testimonia l’esaurimento: «Siamo considerati materiali usa e getta», per di più impiegati in modo indiscriminato nella brutale repressione dei Gilet Gialli. Altro titolo, sempre del newsmgazine della Francia sud-occidentale: “Suicidio di un poliziotto vicino a Grenoble, il terzo in Francia in due giorni”. La notizia: «Padre di tre figli, il funzionario si è sparato». Nella Gironda, altri due suicidi nella polizia e nella Gendarmerie.
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Israele, belve al lavoro: botte ai bambini e case demolite
Otto giorni fa, undici edifici palestinesi contenenti settanta appartamenti monofamiliari situati nel villaggio di Wadi al-Hummus, nella parte est di Gerusalemme occupata illegalmente da Israele, sono stati demoliti in un’operazione militare da oltre 1.000 fra soldati, poliziotti e lavoratori municipali israeliani, con l’utilizzo di bulldozer, terne ed esplosivi. I residenti che hanno provato a resistere sono stati picchiati dai soldati, buttati giù dalle scale ed anche colpiti a distanza ravvicinata con proiettili di gomma. I soldati sono stati filmati mentre ridevano e festeggiavano durante il loro sporco lavoro. Anche agli occupanti che non avevano opposto resistenza e che avevano alzato le mani in segno di resa non era stato risparmiato il bastone, così come agli osservatori stranieri che si trovavano sul posto per aggiungere la loro voce a coloro che protestavano contro il vile gesto. Le lesioni subite da alcune delle vittime sono state fotografate e sono disponibili online. Dodici palestinesi e quattro osservatori britannici sono stati feriti abbastanza gravemente, tanto da essere ricoverati in ospedale. Gli inglesi hanno riferito di essere stati «calpestati, trascinati per i capelli, strangolati con una sciarpa e irrorati con spray al peperoncino dalla polizia di frontiera israeliana».Uno dei ricoverati in ospedale ha descritto come i soldati israeliani lo avessero trascinato per i piedi, sollevandolo e prendendolo a calci nello stomaco, mentre un soldato gli calpestava la testa quattro volte «con tutta la sua forza», prima di tenerlo fermo e tirargli i capelli. Un altro ha avuto una costola fratturata dopo che «[il poliziotto] mi aveva colpito alla gola ed altri avevano iniziato a prendermi a pugni sul torace. E’ stata una sadica esibizione». Anche un’osservatrice straniera è stata trascinato fuori da una casa, «le sue mani sono state schiacciate in modo così grave da subire una frattura ad una nocca della mano sinistra, mentre la destra ha riportato gravi danni ai tessuti “che rimarranno permanentemente deformati, a meno che non subisca un intervento di chirurgia estetica”». Edmond Sichrovsky, un attivista austriaco di origine ebraica, che si trovava in una delle case, ha descritto come le forze israeliane avessero sfondato la porta, trascinando fuori i palestinesi per primi, «facendo cadere il nonno sul pavimento di fronte ai suoi nipoti che piangevano e gridavano». I telefoni cellulari erano stati rimossi con la forza per eliminare qualsiasi foto o ripresa prima che i soldati iniziassero ad attaccare lui ed altri quattro attivisti.«Mi hanno ripetutamente preso a calci e a ginocchiate, procurandomi una ferita al naso ed escoriazioni multiple, oltre a rompermi gli occhiali con una ginocchiata in faccia. Una volta fuori, mi hanno sbattuto contro un’auto mentre urlavano insulti contro di me e le attiviste, chiamandole puttane». Gli edifici sono stati demoliti con il pretesto che erano troppo vicini all’illegale muro divisorio di Israele, mentre il governo di Benjamin Netanyahu citava presunti “problemi di sicurezza”. Le famiglie residenti negli edifici che non avevano avuto né il tempo né la capacità di portar via i mobili e gli oggetti personali dovranno ora passare al setaccio le macerie per vedere che cosa riusciranno a recuperare, se i soldati israeliani daranno il loro benevolo consenso. Dovranno anche trovare un nuovo posto dove vivere, perché gli israeliani non hanno nessuna intenzione di fornire loro un tetto. Le case erano state legalmente costruite su terreni nominalmente sotto il controllo dell’Autorità Palestinese (Pa), una sottigliezza che le autorità israeliane hanno ritenuto irrilevante. Quando i palestinesi si oppongono ad un tale arbitrario comportamento, vengono mandati davanti ai tribunali militari israeliani che ratificano sempre le decisioni del governo. E il cleptocratico regime di Netanyahu ha chiarito che non riconosce il diritto internazionale sul trattamento delle persone sotto occupazione militare.Gli edifici sono stati distrutti pochi giorni dopo che gli inferociti coloni israeliani in Cisgiordania avevano continuato la loro campagna di distruzione dei mezzi di sussistenza dei loro vicini palestinesi. Il 10 luglio, in Cisgiordania sono stati bruciati centinaia di ulivi, in un deliberato tentativo di scacciare gli arabi dalla loro terra, bloccando le attività agricole e strangolando l’economia locale. Gli ulivi sono particolarmente presi di mira perché sono redditizi e gli alberi impiegano molti anni per raggiungere la maturità e produrre. E’ anche risaputo che i coloni israeliani uccidono il bestiame, avvelenano l’acqua, distruggono i raccolti, bruciano gli edifici e picchiano, arrivando persino ad uccidere, i contadini palestinesi e le loro famiglie. A Hebron i coloni hanno circondato la città vecchia e scaricano escrementi e altri rifiuti sui negozi palestinesi sottostanti, che stanno ancora cercando di rimanere aperti. Non dovrebbe sorprendere nessuno che i coloni ebrei che praticano la violenza raramente vengano presi, ancor meno processati e quasi mai puniti. L’odioso governo di Benjamin Netanyahu ha dichiarato che quella che un tempo era la Palestina è ora un paese chiamato Israele, ed è solo per gli ebrei. L’uccisione di un palestinese da parte di un ebreo israeliano è considerato, di fatto, un reato minore.Intanto, a Gaza continua la carneficina, con il bilancio delle vittime fra i manifestanti disarmati che ora ammonta a più di 200, oltre a diverse migliaia di feriti, molti dei quali bambini e operatori sanitari. Di recente, ai cecchini dell’esercito israeliano è stato dato l’ordine di colpire i manifestanti alle caviglie, in modo da renderli sciancati a vita. Questo è ciò che serve per essere “l’esercito più etico del mondo”, come è stato definito dallo pseudo-intellettuale francese Bernard-Henri Levy, dimostrando ancora una volta che la tribù sa come fare causa comune. Ma i crimini di guerra compiuti da Israele richiedono anche un sostegno illimitato da parte degli Stati Uniti, sia in termini finanziari che di copertura politica, per fare in modo che tutto ciò possa accadere. Israele non ucciderebbe i palestinesi con tale impunità se non vi fosse il via libera di Donald Trump e del suo pseudo-ambasciatore prono al volere dei coloni, David Friedman, sostenuto da un Congresso che sembra avere a cuore più gli israeliani che gli americani. Com’è possibile che l’orrendo trattamento dei palestinesi da parte degli israeliani, sostenuto e favorito dalla diaspora ebraica mondiale, non sia presente nei titoli della stampa di tutto il mondo?Perché il mio governo, con la sua assai sospetta (ma comunque dichiarata) agenda di voler portare democrazia e libertà a tutti, non dice nulla sui palestinesi? O perché non condanna il comportamento israeliano, come aveva fatto tempo fa nei confronti del Sudafrica?Riuscireste ad immaginare i titoli del “New York Times” e del “Washington Post” se soldati e poliziotti americani stessero sfrattando e picchiando gli abitanti di un complesso residenziale in una qualsiasi città degli Stati Uniti? Ma, in qualche modo, Israele ottiene sempre il via libera, non importa cosa faccia, e i politici di entrambe le parti si dilettano nel descrivere come il “rapporto speciale” con lo Stato ebraico sia scolpito nella pietra. Dopo le demolizioni degli edifici, Washington ha ancora una volta protetto Israele dalla condanna delle Nazioni Unite per il suo comportamento, ponendo il veto al Consiglio di Sicurezza. Di conseguenza, lo Stato ebraico non è stato ritenuto responsabile per il suo comportamento scorretto; ad essere onesti, Israele è il regime-canaglia per antonomasia, dedito a trasformare i suoi vicini in rovine fumanti con l’assistenza degli Stati Uniti. È un programma diabolico e non è nell’interesse dell’America continuare ad essere trascinata lungo quella strada.(Philip Giraldi, “L’ultima impresa dell’esercito di Israele, il più etico del mondo”, da “Unz.com” del 30 luglio 2019, tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Otto giorni fa, undici edifici palestinesi contenenti settanta appartamenti monofamiliari situati nel villaggio di Wadi al-Hummus, nella parte est di Gerusalemme occupata illegalmente da Israele, sono stati demoliti in un’operazione militare da oltre 1.000 fra soldati, poliziotti e lavoratori municipali israeliani, con l’utilizzo di bulldozer, terne ed esplosivi. I residenti che hanno provato a resistere sono stati picchiati dai soldati, buttati giù dalle scale ed anche colpiti a distanza ravvicinata con proiettili di gomma. I soldati sono stati filmati mentre ridevano e festeggiavano durante il loro sporco lavoro. Anche agli occupanti che non avevano opposto resistenza e che avevano alzato le mani in segno di resa non era stato risparmiato il bastone, così come agli osservatori stranieri che si trovavano sul posto per aggiungere la loro voce a coloro che protestavano contro il vile gesto. Le lesioni subite da alcune delle vittime sono state fotografate e sono disponibili online. Dodici palestinesi e quattro osservatori britannici sono stati feriti abbastanza gravemente, tanto da essere ricoverati in ospedale. Gli inglesi hanno riferito di essere stati «calpestati, trascinati per i capelli, strangolati con una sciarpa e irrorati con spray al peperoncino dalla polizia di frontiera israeliana».
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Atlantide, la scienza convalida Platone: cataclisma nel 9500
Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.Il lavoro di Bizzi, edito da Aurora Boreale, conferma in modo impressionante come le ultime rivelazioni scientifiche non siano mai state un segreto per gli iniziati ai “misteri eleusini”, comunità di cui lo stesso Bizzi fa parte, per via familiare, essendo stata ben radicata – sottotraccia – nella fiorentissima Firenze dei Medici. Il cosiddetto “mito” eleusino nasce alle porte di Atene, quando la dea Demetra – ultima discendente dei Titani, sconfitti dagli dei olimpici – mette a parte i seguaci del “segreto” dell’origine umana: saremmo stati “fabbricati” dalle divinità titaniche come Poseidone. Da allora (1300 avanti Cristo), il santuario di Eleusi diventa il presidio di questa “verità misterica”, custodita dai sacerdoti di Demetra, eredi di quell’antica rivelazione. Suggestioni vertiginose: per volere di Augusto, il poeta Virgilio celebra la nascita di Roma ad opera di Enea, ultimo eroe di Troia. La guerra omerica dell’“Iliade” sarebbe la traccia letteraria della resa dei conti finale tra i Titani e Zeus, di cui parla anche Esiodo nella sua “Teogonia”.Attenti ai simboli: per la tradizione misterica, la stessa Demetra arrivò a Eleusi partendo da Enna, in Sicilia. In queste tre fonti (Omero, l’“Eneide” e il culto eleusino) ricorre la radice “En’n” (inizio). Non casuale, quindi, il nome di Enea: il troiano fondatore di Roma sarebbe stato l’erede della civiltà “atlantidea”, estesasi nel Mediterraneo prima del grande cataclisma “cometario” che stravolse la Terra. Ma in realtà, anziché “atlantidea”, quella civiltà-madre (nord-atlantica e poi anche minoica, basata a Creta e poi in tutto l’Egeo fino all’Asia Minore) era chiamata “ennosigea”, dal nome di una delle principali di quelle sette macro-isole, chiamata appunto En’n. Questa possibile verità parallela – tranquillamente esposta da Platone – fu tollerata per quasi duemila anni, fino allo sciagurato Editto di Tessalonica del 380 dopo Cristo, quando l’imperatore Teodosio trasformò il neonato Cristianesimo in religione di Stato, l’unica autorizzata, mettendo fuorilegge tutte le altre e dando il via alla feroce persecuzione del paganesimo.A partire da quell’anno, scrive Bizzi nel suo affascinante saggio, tutti i templi eleusini fuorno distrutti – tranne quello di Eleusi, che venne semplicemente abbandonato. Da allora, la “comunità eleusina” si rassegnò a sopravvivere in clandestinità, con esiti spesso clamorosi come il Rinascimento italiano, promosso da principi illuminati del calibro di Lorenzo il Magnifico, espressione della tradizione eleusino-pitagorica. Stando a Bizzi, in possesso di documenti inediti e gelosamente conservati per secoli, erano “eleusini” anche i grandi architetti della Roma rinascimentale, ingaggiati dai Papi medicei. E sempre a Firenze, alla fine del Trecento, si svolse il più incredibile dei summit: alla corte dei Medici si sarebbero confrontati i rappresentati vaticani e persino gli emissari del Celeste Impero cinese, per decidere se e come diffondere la notizia della spedizione navale dello scozzese Henry Sinclair, conte delle Orcadi, sbarcato in America (cent’anni di prima di Colombo) con 40 navi templari sulle coste del Rhode Island.Siamo alla vigilia di scoperte sensazionali sulla vera storia della nostra civiltà? Certo non ci è d’aiuto l’archeologia ufficiale, scrive Bizzi in un’accurata ricostruzione su Facebook, in cui spiega le ragioni dell’assurda reticenza della disciplina archeologica accademica, oggi quotidianamente scavalcata dai nuovi ricercatori, archeologi e non, disposti a procedere incrociando i loro dati con quelli dei geofisici, dei climatologi, dei paleontologi, degli astrofisici. «Considerata in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte – ragiona Bizzi – l’archeologia è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’antropologia (insieme all’etnologia, la linguistica e l’antropologia fisica)». I suoi difetti? «Ottusità, malafede, e soprattutto anti-scientificità». Dice Bizzi: «È doloroso doverlo affermare, ma l’archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo “scientifico”».Una disciplina, l’archeologia, «corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute», nonché «minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto». Soprattutto, «anziché comportarsi da vera disciplina “complementare”, come dovrebbe essere», l’archeologia «si rifiuta di accettare i dati di supporto della geologia, della chimica, della biologia, dell’astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo». Risultato: «Tutte le scoperte “scomode”, che rischiano di alterare o stravolgere il “paradigma” comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare: ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica». Così, a forza di “questo non si può dire”, il sapere «si riduce a dogma di fede». Nel testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, lo storico della scienza Thomas Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati».Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile, osserva Bizzi. «E il paradigma prevalente rappresenta spesso una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura». In altre parole, «un freno e un limite talvolta inaccettabile». Lo stesso Hancock, parlando di “paradigma archeologico”, sostiene che l’archeologia ortodossa si basa su «presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato», e li usa come pretesto «per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde». Scarsa cultura, stupidità o malafede? E’ Kuhn il primo a sostenere che, in modo complementare, «una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma». E questa “rivoluzione”, archeologica e non solo, secondo Bizzi è ormai in corso da vent’anni. Cambio di paradigma, appunto: «Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia e una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà».Certo, «sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere pur di portare avanti teorie innovative». Ma comunque «quei pochi ci sono, e sono sempre di più». Aggiunge Bizzi: «Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla». Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi “pionieri” di questo nascente revisionismo storico-archeologico – spiega Nicola Bizzi – è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. «Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bouval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana “Archeomisteri”, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo».Bizzi cita il ricercatore italiano Mauro Quagliati, secondo cui «la rivoluzione archeologica parte dall’Egitto». È infatti proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa “rivoluzione” ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe “autorità”, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. «A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda – scrive Bizzi – solitamente ribadisco che prima di rispondere dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola».Fino a pochi anni fa, il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai. «Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della “scienza ufficiale”. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati». In sostanza, «oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana», come dimostra la rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale: un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale si attesta oltre il 9.500 avanti Cristo.Per non parlare di altri siti come quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi sono state datate addirittura al 29.000 avanti Cristo. «Penso sinceramente che, se non assisteremo a una “manipolazione” di questa rivoluzione archeologica – sostiene Bizzi – il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare». Sarà allora, aggiunge lo storico, che il “paradigma” sarà finalmente rovesciato. Quel giorno, «la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore». Per ora, resta “pericoloso” mettere in discussione, dal punto di vista storico, persino alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, «quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo». Per Bizzi, «esistono dei “poteri forti”, delle vere e proprie “lobby” che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella politica e nell’economia, ma anche nella storia: lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più “scomode”, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi».Francamente, ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era «comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici: tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia». Per gli studiosi “ortodossi” è molto più facile attenersi al vecchio “paradigma” e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che «intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose». Ma alla fine, «anche i più miopi e ostinati non potranno farlo ancora a lungo». Queste nuove scoperte “scomode” infatti si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante. «E gli argini della diga del “paradigma” mostrano crepe e spaccature ogni giorno più grandi». Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro “Il ritorno degli Dei”, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. «E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili». Tra il 10.800 e il 9.600 il nostro pianeta «venne sconvolto da un cataclisma di dimensioni apocalittiche». Si trattò, come sottolinea Hancock, di «un evento che ebbe conseguenze globali e che influì molto profondamente sul genere umano», restando vivo nella memoria, nei miti e nelle tradizioni di tutti i popoli.Un evento sul quale molto è stato scritto, dibattuto e teorizzato, dal medioevo fino ad oggi. Ma soltanto fra il 2007 e il 2014 è stato pienamente confermato dalle prove e dalle testimonianze scientifiche, afferma lo storico fiorentino. Il lavoro divulgativo di Hancock, basato su rigorose ricerche scientifiche, riporta tutti i riscontri oggettivi del cataclisma che sconvolse il mondo tra 12.800 e 11.600 anni fa. «Ci fornisce le tanto attese prove che ci permettono di far uscire una volta per tutte questo evento di portata apocalittica dal calderone delle ipotesi e dalle nebbie del mito, contestualizzandolo cronologicamente e geograficamente». Come ha scritto Randall Carlson in “My Journey to Catastrophism”, «il nostro è un pianeta terribilmente dinamico, che ha subito cambiamenti profondi su una scala che supera di gran lunga qualsiasi cosa accaduta in un arco di tempo a noi prossimo». Quello che chiamiamo “la nostra storia”, dice Carlson, «è semplicemente la testimonianza di eventi umani che si sono verificati a partire dall’ultima grande catastrofe planetaria».Eppure, i popoli con i quali solitamente si vuol fai iniziare la storia “ufficiale”, ovvero i Sumeri e gli Egiziani, ci hanno lasciato documenti scritti che parlano di migliaia di anni della loro storia, precedenti a quella che conosciamo: migliaia di anni di storia precedenti al grande evento apocalittico che, in tutte le culture, fa da cerniera temporale fra il “prima” e il “dopo”. Come osserva lo stesso Hancock, alla luce delle nuove scoperte ci troviamo nel mezzo di un profondo “cambiamento di paradigma” per quanto riguarda il modo in cui guardiamo l’evoluzione della civiltà umana. Gli archeologi? Hanno la pessima abitudine di considerare gli impatti cosmici come fossero lontani milioni di anni, e in più «sostanzialmente irrilevanti nell’arco dei 200.000 anni di esistenza dell’uomo anatomicamente moderno». Finché si credeva che l’ultimo grande impatto fosse stato quello con l’asteroide che 65 milioni di anni fa si ritiene che abbia spazzato via i dinosauri, aveva ovviamente poco senso cercare di correlare gli incidenti cosmici su questa scala quasi inimmaginabile con l’arco di tempo molto più breve della storia dell’umanità. Ma a cambiare tutto, scrive Bizzi, è «lo scenario da incubo emerso dalle ricerche di quel gruppo di scienziati che ha recentemente dimostrato il devastante impatto del Dryas Recente, vale a dire quell’evento sconvolgente di dimensioni apocalittiche che ha sconvolto il nostro pianeta solo 12.800 anni fa, alle porte della nostra storia “ufficiale”».Significa «rovesciare il tavolo con tutto quello che c’è sopra», come si intuisce osservando «le tenaci e disperate resistenze dell’establishment accademico, fin dall’inizio rivolte verso gli studi rivoluzionari di Joseph Harlen Bretz prima e verso le scoperte di Jim Kennett e del suo team di scienziati poi». Resistenze paradossali, visto che ora emerge le nostra civiltà non nasce affatto nel Neolitico, ma assai prima. Ovvio: il vecchio “paradigma”, semplicemente, ignorava il cataclisma planetario. Si scatenò nel Dryas Recente (tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa) e venne immediatamente seguito da grandi e importanti segnali di civiltà, come quella di Göbekli Tepe in Turchia. «Non si trattava di civiltà primitive appena uscite dalle caverne, bensì di popoli con strutture sociali complesse e già evolute, con alto senso artistico e religioso e con conoscenze astronomiche e architettoniche chiaramente riscontrabili negli imponenti edifici e monumenti che ci hanno lasciato». Oggi, ormai costretti dall’evidenza e dalle datazioni, gli archeologi definiscono i resti di Göbekli Tepe «primi esperimenti di vita civilizzata», che ebbero luogo subito dopo il “punto di interruzione” rappresentato dal Dryas Recente. «Ma non tengono conto del trauma immane e della distruzione globale messi in moto dagli impatti cosmici che causarono il Dryas Recente». E questo, per Bizzi, «rappresenta una vera e propria carenza nei metodi di ricerca e di valutazione».Peggio ancora: «Non si è pensato di considerare anche solo per un momento la possibilità che capitoli cruciali della storia umana, forse persino una grande civiltà della remota preistoria, possano essere stati cancellati (anche se ciò non è avvenuto nella memoria storica e nei miti di tutti i popoli antichi) da questi impatti e dalle inondazioni, dalle piogge nere bituminose, dall’oscurità e dal freddo indescrivibile che ne seguirono». Fino a non molti anni fa gli studiosi e i ricercatori indagavano su questo cataclisma apocalittico, di cui esitevano molteplici evidenze, ma non ancora le prove scientifiche delle sue cause. Ipotizzavano l’impatto di un meteorite di considerevoli dimensioni, sul modello di quello che si ritiene abbia provocato la scomparsa dei dinosauri. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, si è fatta strada un’ipotesi «assai più inquietante, corroborata dalla massa crescente di indizi attestanti che 12.800 anni una cometa gigante, in viaggio su un’orbita che la portò a intersecare il Sistema Solare interno, si frantumò in una miriade di frammenti». Molti dei quali, con un diametro anche superiore ai 2 chilometri, colpirono la Terra.Epicentro del disastro: il Nord America. Luogo dell’impatto: la calotta glaciale nord-americana. Conseguenze: «Lo scioglimento di colossali masse di ghiaccio causò spaventose alluvioni e maremoti, proiettando grandi nuvole di polvere nell’alta atmosfera, avvolgendo l’intero pianeta e impedendo per lungo tempo ai raggi del Sole di raggiungere la superficie». Era stata finalmente individuata la vera causa, che negli anni successivi sarebbe stata corroborata da solide prove scientifiche, del misterioso e repentino periodo di congelamento globale che i geologi chiamano Dryas Recente. «In sostanza, stava emergendo una verità a lungo solo ipotizzata e da molti, in ambito scientifico ed accademico, temuta e rifiutata». L’ultima conferma viene da “The Journal of Geology”, che riporta «la scoperta di un grandissimo quantitativo di nanodiamanti, rilevati in una vasta aerea ritenuta quella dei principali impatti». Si tratta di «diamanti microscopici che si formano in condizioni estremamente rare di pressione e calore di livelli altissimi, e sono ritenuti le impronte caratteristiche – proxy, o indicatori diretti, nel linguaggio scientifico – di potenti impatti di comete o asteroidi».E il team di scienziati guidato da Richard Firestone e da James Kennett, nel 2014, dopo sette anni di accese discussioni e dibattiti, spiegò che i campioni di sedimento sui quali si fondavano le prove contenevano, oltre ai nanodiamanti, diversi altri tipi di detriti che potevano avere unicamente un’origine extraterrestre, riconducibili a una cometa o a un asteroide. Tra i detriti, «minuscole sferule di carbonio che si formano quando goccioline di materiale organico fuso si raffreddano rapidamente a contatto con l’aria e molecole di carbonio contenenti il raro isotopo Elio-3, molto abbondante nel cosmo, ma non sulla Terra». Il team arrivò poi alla conclusione che la causa della devastazione fosse da imputare a una cometa, e non a un asteroide, dal momento che nello strato principale dei sedimenti esaminati erano del tutto assenti gli alti livelli di Nichel e Iridio che caratterizzano gli impatti degli asteroidi. «Si delineavano così con chiarezza le cause scatenanti del Dryas Recente: l’impatto dei frammenti di una super-cometa che avrebbero colpito la calotta glaciale nord-americana in più punti e una vasta aerea dell’emisfero settentrionale, arrivando a toccare il Mediterraneo, la Turchia e la Siria».Riassumendo: gli autori dello studio immaginano «un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrapressione, seguito da un’onda di pressione negativa, che diede luogo a venti intensi che spazzarono il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati dagli impatti». Non solo: «Una sfera di fuoco rovente avrebbe saturato la regione vicina agli impatti». E a distanze maggiori, il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato (espulso al momento delle collisioni) avrebbe provocato «enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere». E in che modo tutto ciò avrebbe potuto causare il drammatico congelamento del Dryas Recente? Gli autori dello studio propongono varie concause: la più rilevante sarebbe stata «l’enorme pennacchio di vapore acqueo proveniente dallo scioglimento della calotta glaciale». Sarebbe stato scagliato nell’atmosfera, combinato a immense quantità di polvere e detriti composti da frammenti dei corpi impattanti, dalla calotta glaciale e dalla crosta terrestre sottostante, oltre al fumo e alla fuliggine prodotta dagli incendi che devastarono l’intero continente.Nel complesso, come rileva Hancock, risulta abbastanza facile capire in che modo una tale quantità di detriti proiettata nell’atmosfera potesse aver portato ad un rapido raffreddamento, bloccando il passaggio della luce solare. L’insieme di vapore acqueo, fumo, fuliggine e ghiaccio – continua Bizzi – avrebbe generato una cortina persistente di nubi “nottilucenti”, con conseguente diminuzione della luce solare e raffreddamento della superficie, riducendo in tal modo l’insolazione alle alte latitudini, aumentando l’accumulo nevoso e causando un ulteriore abbassamento delle temperature in un ciclo continuo di retroazione. Per quanto devastanti, questi fattori diventano quasi insignificanti se paragonati alle conseguenze che gli impatti possono aver avuto sulla calotta glaciale: «Il maggiore effetto potenziale sarebbe stata la destabilizzazione e quindi lo scioglimento parziale della calotta glaciale in seguito all’impatto. Nel breve periodo ciò avrebbe liberato repentinamente acqua di disgelo e enormi blocchi di ghiaccio negli oceani del Nord Atlantico e dell’Artico, abbassando la salinità con conseguente raffreddamento superficiale».«Gli effetti di congelamento a lungo termine – aggiungono gli studiosi – sarebbero derivati in gran parte dal successivo indebolimento della circolazione termoalina nell’Atlantico Settentrionale, mantenendo un clima freddo nel Dryas Recente per più di 1.000 anni, fino a quando i meccanismi ciclici ripristinarono la circolazione oceanica». I risultati pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Science” il 4 giugno 2013 beneficiarono inoltre dei più recenti progressi nella tecnologia del radiocarbonio per raffinare la datazione dell’impatto cosmico da 12.900 a 12.800 anni fa e resero possibile una mappatura molto più particolareggiata dell’area di dispersine del materiale da impatto, che incluse quasi 50 milioni di chilometri quadrati del Nord, Centro e Sud America, una grande sezione dell’Oceano Atlantico e gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. E il fatto che i calcoli, presenti negli studi del 2013, indicassero il deposito di oltre dieci milioni di tonnellate di sferule all’interno di questo vasto campo di caduta, uniti agli studi presentati l’anno successivo sulla presenza nell’area interessata di enormi quantità di nanodiamanti, fece sì da togliere dalla mente dei ricercatori ogni dubbio sul fatto che al centro di tutto questo vi fosse un impatto cosmico, e nello specifico l’impatto di una supercometa.Sono stati, infine, individuati con chiarezza anche diversi punti d’impatto: la depressione di Charity Shoal nel Lago Ontario, la conca di Bloody Creek nella Nuova Scozia, il cratere di Corossol nel Golfo di San Lorenzo in Canada e l’area di Quebacia Terrain, sempre in Canada, ad Ovest di Corossol. E questi elencati, aggiunge Bizzi, sono i punti d’impatto che è stato possibile individuare grazie alle evidenze geologiche, mentre si ritiene che quelli maggiori e più devastanti, dovuti a frammenti della cometa di dimensioni nell’ordine di due chilometri e mezzo di diametro, abbiano riguardato la calotta di ghiaccio in punti più a Nord e più a Ovest. Ciò che colpisce in special modo, nel risultato di queste scoperte, secondo Hancock è il fatto che i cambiamenti climatici (avvenuti sia all’inizio che alla fine del Dryas Recente) abbiano avuto estensione planetaria e si compirono entrambi nell’arco di una generazione umana: 12.800 anni fa, una forza esplosiva combinata (10 milioni di megatoni) avrebbe sollevato nell’atmosfera sufficiente materiale da far piombare la Terra in una lunga, prolungata oscurità simile ad un inverno nucleare, cioè quel “periodo di oscurità” di cui parlano tanti antichi miti.Poi, il repentino riscaldamento verificatosi 11.600 anni fa, che pose fine al Dryas Recente, sarebbe sì in parte spiegabile con la dispersione finale della nuvola di materiale espulso. Ma vi sarebbe, a completare il quadro, anche un’altra spiegazione complementare: secondo gli scienziati, molti frammenti della cometa (anche enormi) sarebbero rimasti in orbita, fino a impattare nuovamente con il nostro pianeta nel 9.600 avanti Cristo. «La Terra, quindi, avrebbe nuovamente interagito 11.600 anni fa con la scia di detriti della medesima cometa frammentata che aveva causato l’inizio del Dryas Recente, determinandone una repentina fine». Stavolta, anziché nell’Artico, l’impatto di sarebbe verificato nell’Atlantico Settentrionale: cosa che avrebbe provocato «l’innalzamento di enormi pennacchi di vapore acqueo» capaci di creare un effetto serra, «dando il via ad una rapida fase di riscaldamento globale». Gli scienziati, aggiunge Bizzi, stimano che questa seconda ondata di impatti abbia determinato – nel giro di appena cinquant’anni – un aumento delle temperature medie di oltre 7 gradi centigradi, con il conseguente scioglimento di enormi masse di ghiacci e il repentino aumento, in tutto il mondo, del livello dei mari e degli oceani di decine e decine di metri. Era il grande diluvio, o diluvio universale?Sicuramente, scrive Bizzi, le aree del secondo impatto «erano abitate e popolate dall’uomo». Su di esse, «probabilmente fiorivano diverse civiltà». Gli archeologi “ortodossi” si sono sforzati per anni nel sostenere che Platone si fosse inventato tutto. Nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, è datata 9.000 anni prima di Solone la scomparsa di Atlantide per via di un terribile cataclisma di fuoco. Da Platone, per l’ufficialità, ci è giunta solo «un’opera di fantasia o di mera speculazione metaforica e filosofica». Ma gli “ortodossi” hanno sempre ignoranto deliberatamente «l’esistenza di centinaia di miti e antiche tradizioni che, in tutto il mondo, dalle Americhe al Mediterraneo, dall’Africa all’Asia, confermano, direttamente o indirettamente, la narrazione platonica», ora corroborata dalla scienza. «Narrazione che, peraltro, è pienamente avvalorata dal corpo dei testi della Disciplina Arcaico Erudita tramandati dalle scuole misteriche eleusine, i quali – rivela Bizzi – ci raccontano la storia di una civiltà evolutasi su quelle che vengono menzionate come “le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”».Cos’erano? Testualmente: «Un insieme di vaste terre che sorgevano nell’Atlantico Settentrionale e che si sarebbero inabissate esattamente nel 9.600 avantio Cristo». Quei testi, spiega lo storico fiorentino, «ci descrivono una società avanzata, con grandi conoscenze scientifiche». Evolutasi nell’arco di circa 10.000 anni, quella civiltà «sarebbe arrivata, all’apice del suo splendore, a conquistare e colonizzare l’America Centrale e Meridionale, il bacino mediterraneo, l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e parte dell’Asia e dell’Africa, portandovi la propria cultura e le proprie tradizioni». Una civiltà che non chiamava se stessa “atlantidea”, bensì “ennosigea”, dal nome di una delle principali di queste sette terre, chiamata appunto En’n. Proprio la terra di En’n, situata ad Ovest dello stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole dell’antichità) era grande quanto Francia e Spagna messe insieme. E stando sempre ai testi eleusini, a En’n «esisteva una regione, collocata in posizione nord-orientale, denominata Hathlanthivjea», un tempo «fiorente Stato indipendente, prima della conquista ennosigea avvenuta attorno al 12.000 avanti Cristo».Hathlanthivjea, cioè Atlantide? «Il suo nome, composto da quattro diversi geroglifici, significherebbe “la Grande Madre venuta dal Mare”», spiega Bizzi, che premette: «I testi delle scuole misteriche eleusine non costituiscono una “prova”»; anche se attribuiti ad autori dell’antichità, «sono stati oggetto di più trascrizioni attraverso il medioevo e i secoli successivi, e non se ne possiedono più gli originali». Tuttavia, «non si può escludere che Platone, nelle sue narrazioni, faccia proprio riferimento alla regione di Hathlanthivjea». Tornando a Hancock, l’autore scozzese ha ragione quando sostiene che le riserve su Platone alludono al fatto che il filosofo abbia forse basato il suo racconto su un cataclisma molto più recente avvenuto nel Mediterraneo, come ad esempio l’eruzione di Thera (Santorini) attorno al 1500 avanto Cristo. «Ma si tratta di una visione miope e di convenienza, del resto ormai superata e surclassata dal pieno riconoscimento scientifico dell’impatto cometario del Dryas Recente», taglia corto Bizzi.Il concetto di un disastro globale verificatosi più di 11.000 anni fa, e in particolare l’idea eretica che esso abbia potuto spazzare via una grande civiltà evoluta esistente in quell’epoca, è sempre stato strenuamente respinto e ridicolizzato dall’archeologia “ufficiale”. Chiaro il motivo, dice Hancock: «Ovviamente gli archeologi dichiarano di “sapere” che non vi fu, e non avrebbe mai potuto esistere in nessuna circostanza, una civiltà altamente sviluppata in quel periodo. Lo “sanno” non grazie a prove inconfutabili che permettano di escludere l’esistenza di una civiltà tipo Atlantide nel Paleolitico Superiore, ma piuttosto basandosi sul principio generale che il risultato di meno di duecento anni di archeologia “scientifica” rappresenti una linea temporale accettata per il progresso della civiltà, che vede i nostri antenati uscire lentamente dal Paleolitico Superiore per entrare nel Neolitico intorno al 9.600 e da lì in poi evolvere attraverso lo sviluppo e il perfezionamento dell’agricoltura nei millenni successivi».Tirando le somme, a Bizzi sembra evidente che stiamo ormai assistendo alla fine dell’attuale “paradigma” e che la rivoluzione archeologica in atto sia ormai incontenibile e irreversibile. «È stato geologicamente provato, grazie alle ricerche condotte da numerose spedizioni oceanografiche, che vaste aree di quello che è oggi l’Atlantico Settentrionale si trovavano in stato di emersione, fino a circa 12.000 anni fa». E non solo: «Il fondale atlantico, proprio in quelle aree – che vanno dai Carabi fino alle Azzorre e a Gibilterra – è cosparso di rovine, di mura, di strutture piramidali e di veri e propri resti di città, estese anche numerosi ettari, con strade che si intersecano perfettamente ad angolo retto». Attenzione: «Stiamo parlando di strutture la cui origine non può essere assolutamente attribuita alla natura. Si tratta di opere dell’uomo realizzate in un’epoca ovviamente precedente alla sommersione di questi tratti di fondale. Sommersione che, grazie a campioni di tectiti, di fossili e di lava vulcanica prelevati dai fondali e opportunamente analizzati, è databile grosso modo al 9.600 avanti Cristo: guarda caso, si tratta della stessa data fornitaci da Platone in merito all’affondamento della “sua” Atlantide».Senza insistere necessariamente su Atlantide, conclude Bizzi, occorre prendere atto che di “Atlantidi” ne sono esistite numerose, in ogni angolo del globo. Quantomeno, sono esistite diverse “civiltà madri” precedenti alla nostra: «E ci hanno lasciato le loro testimonianze inconfutabili, dal Perù ai fondali dell’Atlantico, dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Amazzonia all’Indonesia, dal Pacifico all’Antartide». Mentre la gran parte dell’archeologia universitaria continua a tacere, rifiutando di accettare le logiche conclusioni delle ultime rivoluzionarie scoperte, «le prove scientifiche dell’impatto cometario del Dryas Recente», che decretò la scomparsa di quelle antiche civiltà, «costituiscono quello che in gergo poliziesco si chiama “pistola fumante”». Chiosa Nicola Bizzi: «La Storia è ormai da riscrivere, da riscrivere completamente, e non ci sarà “paradigma” che possa impedire di farlo».(Il libro: Nicola Bizzi, “Da Eleusi a Firenze. La trasmissione di una conoscenza segreta”, vol. 1, Aurola Boreale, 800 pagine, 35 euro).Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.
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L’euro-ascesa di Gozi, Signor Nessuno e politico senza voti
«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.Dopo la laurea in legge a Bologna, Gozi ha frequentato a Parigi scienze politiche, seguito corsi di amministrazione qua e là nell’ Ue, superato il concorso diplomatico alla Farnesina, soggiornato a Bruxelles e Strasburgo. François Hollande lo ha insignito nel 2014 della Legion d’Onore. Con la moglie e i figli parla più francese che italiano. Si esprime altrettanto bene in tedesco, inglese e spagnolo. «Se pensa a un amico, non ne ha uno che disti meno di 1.000 chilometri, appartenendo tutti al mondo esclusivo delle caste globaliste», sostiene Perna. Per riassumere: «Sandro è sideralmente diverso dal comune mortale. Nell’ambito però della sua cerchia elegante, è lo stampino dei suoi simili. Il solito fanatico Ue licenziato dalle grandi scuole, dove i corsi sono in inglese, i libri in tedesco e le idee confuse: il pollo in batteria dei tempi nostri. L’unica anomalia di questo classico esemplare di funzionario europeo è che abbia scelto la politica». Deputato per tre legislature, dal 2014 è stato anche al governo: prima con Matteo Renzi, poi con Paolo Gentiloni. «In tutti i casi, è un cavolo a merenda. Volenteroso e piacione ma impantanato nella carriera».Celebre il fiasco dell’Agenzia Europea del Farmaco, che Milano ha perso per un soffio. La pratica era stata affidata proprio a Gozi, che aveva la delega agli affari europei. Nonostante le credenziali meneghine, l’Ema è finita ad Amsterdam, per estrazione a sorte, dopo un voto segreto a parità. Tra parentesi: con la sua legislazione fiscale super-agevolata, proprio l’Olanda è il paese che ha inferto più danni economici all’Italia, di recente, attraendo grandi aziende italiane grazie al dumping fiscale (stranamente tollerato dall’Ue). «Fatta la frittata, tutti se la sono presa con il povero Gozi, incapace di imporre Milano prima di arrivare ai bussolotti, ma lui non si è scomposto», scrive sempre Perna. «L’uomo si piace molto e ha una solida autostima. Pare che contro di noi abbiano votato Spagna, Francia e Germania. La sola certa è la Spagna, cui Gozi ha dedicato l’unico commento: “Era forse memore della sua antica dominazione dei Paesi Bassi”. Una elegante citazione storica come sola espressione di rammarico. Fa molto feluca e dice tanto dell’uomo».Sandro Gozi? E’ uno che sta benissimo nella sua pelle: «Fiero dei suoi studi alla crème, non si mette mai in discussione. Ha l’acriticità dei robot che escono dalle scuole costose e occupano le poltrone Ue. Stessa testa degli Emmanuel Macron, Ena & co. Considerandosi il migliore prodotto nel migliore dei mondi possibili, ne adotta senza riserve idee e repulsioni. È per i ponti contro i muri, la green economy contro il nucleare, la dieta invece dei cenoni, il moto contro l’ozio». Non a caso, «lo sport sta in cima ai suoi valori: è un provetto corridore del Montecitorio Running Club, fondato dall’alfaniano Maurizio Lupi, che riunisce gli onorevoli patiti della maratona di New York. Gozi ne detiene il record parlamentare, sottratto al medesimo Lupi, col tempo di 3h 38′ 53″. È anche provetto nello squash, di cui nel 2003 è stato campione nazionale». Il gioco consiste nel lanciare con la racchetta una palla contro il muro: l’abilità sta nello schivare la palla di ritorno evitando il tramortimento. «Per riuscire nella disciplina, Sandro consiglia su YouTube questa dieta: a colazione cereali, biscotti secchi, caffè e spremuta; pasta o riso a pranzo; carni bianche e verdura bollita a cena. Per tali meriti, è responsabile delle relazioni internazionali per la federazione squash».Atleta è anche la moglie, Emanuela Mafrolla, amante dei cavalli e consigliera federale degli sport equestri. I figli, Federica e Giulio, ancora in età scolastica, si limitano per ora a frequentare lo Chateaubriand, il liceo francese di Roma, di cui la più illustre ex alunna è Marianna Madia, già ministra renziana. «Apparentemente paradossale è che questo snob sia nato (marzo 1968) a Sogliano al Rubicone, culla del formaggio di fossa, sperduto paesotto della Romagna profonda», continua Perna. «Come ha potuto un provinciale per destino, farsi così integralmente cittadino del mondo? Fatale fu Cesena, il capoluogo, dove seguì gli studi e dove ha tuttora residenza. La città era, tradizionalmente, regno – per così dire – dei repubblicani. E al Pri – ahimè, dissolto – aderì il giovanottello preso a benvolere dal suo personaggio più illustre, Oddo Biasini, segretario del partito negli anni Settanta del Novecento. Costui – preside anche delle scuole locali – lo seguì passo passo finché, una volta laureato, raccomandò il pupillo al corregionale Romano Prodi». Gozi e Biasini: «La simbiosi tra il ragazzo e l’anziano protettore repubblicano fu tale da essere somatizzata nelle sopracciglia folte e scure, eguali nell’uno e nell’altro».Dunque, finiti i suoi studi, i giri in Europa per approfondirli e concorsi vari, Gozi si accasò da Prodi, diventato nel frattempo presidente della commissione Ue (1999-2004). Il giovane Sandro ne fu il consigliere per l’intero mandato e, alla scadenza, passò un altro anno a Bruxelles con il successore, José Manuel Barroso. «Fu un bel farsi le ossa nella cuccagna Ue. A quel punto, dimenticate le origini repubblicane, Sandro era ormai stabilmente piazzato a sinistra in quota Prodi. Tornato in Italia, si fece ancora un annetto in Puglia accanto al governatore Nichi Vendola, con la carica di consigliere diplomatico per la vendita di cozze e mitili nei mercati Ue». Nel 2006, finalmente, entrò a Montecitorio con l’Ulivo mettendo fine al suo errare. «Ci arrivò per il rotto della cuffia come deputato del Veneto, solo perché Prodi, eletto anche altrove, gli cedette il seggio». E qui arriviamo al punto cruciale, scrive Perna: «Gozi è un politico senza base elettorale e senza un voto suo che sia uno». Il Pd di Cesena, che sarebbe il suo luogo naturale, «lo considera un estraneo, per formazione e mentalità».Per uscire dall’anonimato, Gozi ha cercato di candidarsi nel 2012 alle primarie Pd per Palazzo Chigi. «Ha dovuto però rinunciare perché non ha trovato le 95 firme necessarie per la presentazione». Fermo a 70, si è così commiserato: «Continuerò a credere che si possa fare politica con pochi soldi, pochi apparati e molte idee». Con sé è sempre benevolo: «Sono di rara onestà, pulizia e trasparenza», si compiacque in altra occasione. «Ma, ripeto – chiosa Perna – non ha un chiodo di estimatore che gli metta la scheda nell’urna». Se la prima volta grazie a Prodi fu eletto in Veneto, regione «di cui aveva sentito parlare dalla nonna», passato con Renzi non è andata meglio. «È stato sempre imposto a elettori ignari anche del suo nome. Nel 2008 in Umbria, nel 2013 in Lombardia. Un felice caso di incasso d’indennità senza avere un datore di lavoro». O meglio: il vero datore di lavoro, probabilmente, stava lassù, nell’Olimpo dell’oligarchia supermassonica europea che ora infatti l’ha fatto ascendere nei palazzi di Parigi grazie all’Eliseo, dove impera (per modo di dire) il Gozi francese, cioè Macron, fedelissimo esecutore del potere-ombra che l’ha fabbricato e candidato, per poi manovrarlo a piacimento. Fino alla massima perversione possibile: reclutare un italiano nel governo francese per far imbestialire il governo italiano.«Nella Prima Repubblica, quelli come Sandro Gozi erano detti polli in batteria. Allora, i partiti formavano uomini politici identici, per idee e comportamenti. Poi, arrivò il caos della Seconda Repubblica e il suo esercito starnazzante di sprovveduti. Con il quarantanovenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio si è tornati all’ordine». Con queste parole assai poco lusinghiere, a fine 2017, Giancarlo Perna presentava, su “La Verità”, quel Signor Nessuno che rispondeva al nome di Sadro Gozi, oggi nella bufera come ministro francese, italiano a Parigi arruolato dal nemico numero uno dell’Italia, Emmanuel Macron. «Come i politici del passato, il renziano Gozi è un individuo a orologeria, costruito a tavolino, perfetto in ogni sua parte», scrive Perna. «Ma la fucina che lo ha prodotto non sono i partiti, ormai inesistenti. Bensì le scuole internazionali, l’ideologia europea, l’elitarismo mondialista». In altre parole, «Gozi è un euroclone. Un ayatollah dell’Ue, come lo definiscono diversi suoi colleghi, infiltrato nel Parlamento italiano.
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Gli alieni tra noi? Magaldi: per ora preferisco non parlarne
«Gli Ufo sono tra noi: non posso dire quanti, perché sarebbe il panico». Così parlò il braccio destro di Putin, Dmitrij Medvedev, nel 2012 premier della Russia. Da allora, è stato uno stillicidio di allusioni e mezze rivelazioni. Tra le email-scandalo di Hillary Clinton, ricorda il “Giornale”, c’erano anche «quelle su alieni, Ufo e pianeti nascosti». A rubare la scena, già nel 2005, fu l’ex ministro della difesa canadese, Paul Hellyer, con queste parole: «È giunto il momento di alzare il velo di segretezza che circonda l’esistenza degli Ufo e di far emergere la verità». Secondo Hellyer, alcuni extraterrestri (non distinguibili dagli umani) siederebbero addirittura nel Congresso Usa. Per l’ufologo Roberto Pinotti, siamo alla vigilia di rivelazioni definitive. Possibile? E soprattutto: gli alieni sono davvero in mezzo a noi? Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che svela la presenza di 36 superlogge nella cabina di regia del potere globale, non conferma né smentisce. «Per ora non voglio parlarne», si limita a dire, con franchezza, ammettendo altrettanto esplicitamente che «il tema esiste ed è molto serio», e che in alcune Ur-Lodges non mancano massoni che dichiarano di avere notizie ben precise sul ruolo degli extraterrestri nella politica mondiale, dietro il paravento ufficiale dei leader e dei governi.Gli alieni al di sopra delle quasi onnipotenti Ur-Lodges? «Io adesso in questa sede non posso, per mia scelta, parlare “apertis verbis” di questa cosa, in modo chiaro e distinto», precisa Magaldi, nella diretta web-streaming del 31 luglio su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Ho omesso di farlo anche nel mio libro, nel primo volume di “Massoni” – spiega – perché in quel libro mi occupo laicamente (e con rigore storico, sociologico e antropologico) del “back office” del potere umano». Aggiunge Magaldi: «Introdurre il tema delle eventuali presenze extraterrestri? O lo si fa con il piglio di chi vuole dimostrare qualcosa con prove inoppugnabili, oppure è meglio accantonare il discorso, visto che si sta parlando pur sempre del potere qui sulla terra, che – al di là di chi vi fosse ulteriormente dietro le quinte – è comunque gestito da organizzazioni umane». Per capirci: «E’ un po’ come chi, essendo fedele a una religione, in un libro di storia, in una trattazione politica, dicesse: vabbè, dietro a questa azione politica c’è l’arcangelo Gabriele, dietro quell’altra l’arcangelo Michele, lì c’è Satana, là ci sono i giganti di cui parla la Bibbia, lì c’è la magia perniciosa… Voglio dire: sono cose molto, molto delicate. Quindi, almeno per il momento, io di queste cose non parlo. Non significa che non ne possa parlare in futuro».A partire dagli Stati Uniti, in tutto il mondo si sta comunque attivando il processo di “disclosure”, ovvero la desecretazione di documenti di intelligence intorno al tema Ufo. Ci sono Ur-Lodges che si dedicano a queste dinamiche eso-politiche? «Per rispondere alla domanda: sì, in molte superlogge massoniche – dice Magaldi – esiste chi ritiene di avere conoscenze molto profonde su ciò che lega questo pianeta e i suoi abitanti a entità che di questo pianeta non sono». Inutile girarci attorno: l’argomento è presente anche nelle parole di alcuni capi di Stato e di governo. «In molti, negli ultimi anni hanno fatto allusioni – uno fra tutti il russo Medvedev, nel suo caso giocando un po’ sull’ambiguità e sull’ironia». Ma attenzione: «Ci sono molti personaggi, anche ricchi di credibilità, per altri aspetti, che sono ambigui e sibillini – sempre di più – nel loro parlare di questa cosa». Non è un mistero che Magaldi, massone progressista e gran maestro del Grande Oriente Democratico, a sua volta iniziato alla storica superloggia sovranazionale “Thomas Paine”, abbia accesso a fonti riservate. «Questo – dice – è un argomento sicuramente molto interessante, perché c’è tutto un filone (esoterico, naturalmente) che riguarda il tema più generale di entità extraterrestri, o non umane, che hanno avuto e hanno tuttora un ruolo nella gestione delle cose di questo pianeta».Dunque «il tema esiste, e viene trattato e discusso anche a buoni livelli». Manca ancora l’esibizione pubblica della “pistola fumante”: «Qualcuno dice di sapere qualcosa, qualcun altro magari sa qualcosa ma non lo dice, o almeno pensa di sapere qualcosa. Però il tema esiste, e qualcuno sospetta…». Aggiunge Magaldi, pesando le parole: «Al di là di quello che io potrei sapere o credere di sapere su altre questioni, non penso sia corretto, in un discorso storico-politico pubblico, parlare di certe questioni dandole per scontate». D’altra parte, secondo Magaldi, «il problema è che, spesso, la ricerca extraterrestre si fonda su cose che invece sono spiegabili in altro modo». Forse, dice, sarebbe il caso di cambiare la metodologia: «Spesso, specie nella letteratura complottistica, si è andati appresso a false piste, tralasciando magari quelle che sarebbero state più feconde». Il biblista Mauro Biglino, già traduttore ufficiale per le Edizioni San Paolo – ora edito anche da Mondadori e forte di 300.000 copie vendute – propone una lettura letterale dell’Antico Testamento, dalla quale si evince che Yahvè non era “Dio”, ma solo uno dei tanti Elohim citati nel testo antico: potenti personaggi, dotati di “carri celesti” e, con ogni evidenza, di velivoli come il fragoroso e temibile Khavod di Yahvè.Nel libro “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, lo stesso Magaldi racconta che Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII, fu iniziato massone in Turchia. Introdotto nella superloggia “Johannes” progettata per i vertici del mondo cattolico, e poi associato in Francia a un cenacolo Rosa+Croce, il “Papa Buono” visse un clamoroso “incontro ravvicinato”, nel luglio del 1961, nel parco di Castel Gandolfo. Lo raccontò alla stampa estera il suo “cameriere segreto”, monsignor Loris Capovilla, poi cardinale. Un disco volante atterrò nella tenuta vaticana. Dall’astronave scese un essere simile a noi, che andò incontro al Papa. I due si parlarono a lungo. Poi Roncalli tornò verso l’impietrito Capovilla. Era commosso, e gli disse: «I figli di Dio sono dappertutto, anche se a volte abbiamo difficoltà a riconoscere i nostri stessi fratelli». Di “fratelli dello spazio” ha parlato il gesuita José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana, il potente osservatorio astronomico impiantato dalla Compagnia di Gesù sul Mount Graham, in Arizona. Missione del centro astronomico dei gesuiti: studiare l’esobiologia, cioè la vita extraterrestre. Qualcuno sta cercando di dirci qualcosa di importante?«Gli Ufo sono tra noi: non posso dire quanti, perché sarebbe il panico». Così parlò il braccio destro di Putin, Dmitrij Medvedev, nel 2012 premier della Russia. Da allora, è stato uno stillicidio di allusioni e mezze rivelazioni. Tra le email-scandalo di Hillary Clinton, ricorda il “Giornale”, c’erano anche «quelle su alieni, Ufo e pianeti nascosti». A rubare la scena, già nel 2005, fu l’ex ministro della difesa canadese, Paul Hellyer, con queste parole: «È giunto il momento di alzare il velo di segretezza che circonda l’esistenza degli Ufo e di far emergere la verità». Secondo Hellyer, alcuni extraterrestri (non distinguibili dagli umani) siederebbero addirittura nel Congresso Usa. Per l’ufologo Roberto Pinotti, siamo alla vigilia di rivelazioni definitive. Possibile? E soprattutto: gli alieni sono davvero in mezzo a noi? Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che svela la presenza di 36 superlogge nella cabina di regia del potere globale, non conferma né smentisce. «Per ora non voglio parlarne», si limita a dire, con franchezza, ammettendo altrettanto esplicitamente che «il tema esiste ed è molto serio», e che in alcune Ur-Lodges non mancano massoni che dichiarano di avere notizie ben precise sul ruolo degli extraterrestri nella politica mondiale, dietro il paravento ufficiale dei leader e dei governi.
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Dazi Usa sul made in Italy, grazie all’europeista Moavero
Il 29 luglio, il sottosegretario al Mise, Michele Geraci, si è recato a Washington ad inginocchiarsi sui ceci per cercare di evitare o alleggerire i dazi per un valore da 4,5 miliardi che gli Usa vorrebbero imporre sull’export tricolore in quel paese. Perchè gli Usa, alleati dell’Italia, vogliono imporre dei dazi all’Italia? Per colpa di francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi. Infatti si tratta della ritorsione per gli aiuti che l’Unione ha, o avrebbe, garantito al colosso Airbus, composto da Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Eppure, come vediamo, ad essere punita è l’Italia. Infatti l’impatto dei dazi sarà soprattutto sull’Italia, che del consorzio neanche fa parte. Le sanzioni sono congegnate in due parti: una specifica sui componenti aerei Airbus, la seconda generica per tutti i membri Ue, dato che è la Ue, nel suo complesso, ad aver fornito al consorzio gli aiuti sotto accusa. In questa distribuzione, sicuramente per pressioni da parte dei settori produttivi americani, sono caduti i nostri prodotti agroalimentari quali vini e formaggi.Quini l’Italia viene punita per il solo fatto di far parte dell’Unione Europa. Un bel premio per chi continua ad affermare che “non c’è vita fuori dalla Ue”, o forse intendeva che non c’vita “dentro” la Ue. Però c’è un colpevole di tutto questo, che avrebbe dovuto essere di fianco a Geraci sui ceci statunitensi, ma che invece se ne è rimasto tranquillamente a casa: il ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi. I motivi sono gravi ed evidenti: il suo ostinato europeismo, come quello dei suoi mandanti, ci ha esposto a ritorsioni economiche per scelte che non abbiamo condiviso, dalle quali non abbiamo avuto alcun vantaggio, e dai cui danni nessuno dei cosiddetti partner europei ci tutelerà; non è stato in grado di far pesare, o di utilizzare a bilanciamento, nessuna possibile opzione di azione italiana tale da controbilanciare l’agire europeo e spingere l’alleato a rimodulare i dazi in modo da colpirci in modo minore, come ad esempio una nostra partecipazione alle attività di scorta del naviglio civile nel Golfo Persico al fianco di Uk e Usa, attività tra l’altro necessaria per la nostra sicurezza energetica.Il ministro Moavero ha lasciato solo Geraci ad occuparsi dei problemi, uomo del Mise, non degli esteri, ad occuparsi della situazione. Eppure è proprio chi lo ha voluto in quella posizione ad aver sempre elogiato e spinto sull’estremismo europeista che rischia di causarci questo danno economico, che colpirà il 9% del nostro export verso gli Usa. Il minimo da fare è esortarlo a darsi una mossa, prima che siano i produttori di vino e di formaggi, dall’Emilia alla Toscana alla Sardegna, a fargli capire che essere il ministro degli esteri della Repubblica italiana significa tutelare gli interessi degli italiani, non dei produttori di aerei francesi o tedeschi.(Giuseppina Perlasca, “Dazi commerciali Usa all’Italia, il fallimento della Ue e dell’europeista Moavero”, da “Scenari Economici” del 30 luglio 2019).Il 29 luglio, il sottosegretario al Mise, Michele Geraci, si è recato a Washington ad inginocchiarsi sui ceci per cercare di evitare o alleggerire i dazi per un valore da 4,5 miliardi che gli Usa vorrebbero imporre sull’export tricolore in quel paese. Perchè gli Usa, alleati dell’Italia, vogliono imporre dei dazi all’Italia? Per colpa di francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi. Infatti si tratta della ritorsione per gli aiuti che l’Unione ha, o avrebbe, garantito al colosso Airbus, composto da Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Eppure, come vediamo, ad essere punita è l’Italia. Infatti l’impatto dei dazi sarà soprattutto sull’Italia, che del consorzio neanche fa parte. Le sanzioni sono congegnate in due parti: una specifica sui componenti aerei Airbus, la seconda generica per tutti i membri Ue, dato che è la Ue, nel suo complesso, ad aver fornito al consorzio gli aiuti sotto accusa. In questa distribuzione, sicuramente per pressioni da parte dei settori produttivi americani, sono caduti i nostri prodotti agroalimentari quali vini e formaggi.
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Gozi nel governo Macron: un italiano a Parigi, contro l’Italia
«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?Dura la reazione del grillino Stefano Buffagni, sottosegretario per gli affari regionali: «Che schifo! Ecco da chi eravamo governati fino allo scorso anno, ecco a voi i membri del Pd che fanno la morale a tutti». Leggere di un ex membro del governo Renzi che viene nominato nell’esecutivo del paese che più di ogni altro oggi contesta l’Italia, per Buffagni «è qualcosa di veramente vomitevole e preoccupante». Tra i “successi” di Gozi, l’aver perso l’Agenzia Europea del Farmaco, richiesta da Milano nel 2017. «La domanda sorge quindi spontanea: per chi lavorava allora Gozi? Rappresentava davvero gli interessi dell’Italia o giocava su altri campi per altri paesi? Non c’è il rischio di alto tradimento contro la personalità dello Stato italiano?», si domanda Buffagni. Un altro pentastellato, Pino Cabras, capogruppo nella commissione esteri della Camera, evidenzia il filo rosso che lega la Francia e alcuni esponenti del partito di Zingaretti: «Dopo le schiere di 13 esponenti Pd, da Fassino a Franceschini, passando per Letta e Sala, che negli ultimi sedici anni hanno ricevuto la Legion d’Onore francese, non potendo ricevere una seconda onorificenza per Sandro Gozi è scattata direttamente la nomina a responsabile degli Affari Europei del governo Macron».Quali dossier tra Italia e Francia ha trattato, Gozi, «evidentemente non certo a sfavore degli amici d’Oltralpe», durante il suo mandato governativo con Renzi e Gentiloni? Per Cabras, si tratta di «una una nomina che inquieta, e che desta politicamente più di un sospetto». La pensa così anche Giorgia Meloni: «Voglio sapere perché Emanuel Macron e il governo francese ci tengano a premiare così un signore che, fino a qualche mese fa, avrebbe dovuto fare gli interessi degli italiani». Stessa musica da Matteo Salvini: «Gozi, già sottosegretario agli affari europei con Renzi e Gentiloni, con la benedizione di Macron viene ora nominato, nello stesso ruolo, nel governo francese: immaginate di chi facesse gli interessi questo personaggio quando era nel governo italiano. Pazzesco, questo è il Pd». Tra i dossier “caldi” che vedono contrapposte Italia e Francia, ricorda sempre il “Fatto Quotidiano”, il primo è certamente il rapporto con le diverse fazioni in campo nello scacchiere libico. «Come è noto, mentre l’Italia, già al tempo di Gozi sottosegretario, rappresenta uno dei principali interlocutori del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, oltre che il partner di riferimento per l’Unione Europea, la Francia è uno dei pochi paesi dell’Ue a vantare rapporti privilegiati con la controparte della Cirenaica, con a capo il generale Khalifa Haftar».In un clima di tensione nuovamente alta nel paese nordafricano, con le milizie di Tobruk che da mesi spingono per rovesciare l’esecutivo tripolino, sostenute da alcuni alleati regionali come Arabia Saudita ed Emirati, oltre alla Russia (e almeno in passato, la Francia) un ex membro del governo italiano ora al servizio di Parigi «potrebbe essere a conoscenza di accordi mai resi pubblici stipulati tra Roma e le varie fazioni in campo: Tripoli, Misurata, altre milizie non allineate e lo stesso Haftar, con cui l’Italia sta cercando di intavolare un dialogo per arrivare il prima possibile a un cessate il fuoco». Poi ovviamente c’è il tema migranti: da una parte si chiede all’Italia di accoglierli, mentre la Francia resta libera di respingerli. «L’immigrazione, inoltre, è un tema sul quale Italia e Francia si sono già scontrate negli anni passati: basta ricordare i respingimenti della Gendarmeria d’Oltralpe a Ventimiglia, i fatti di Bardonecchia e un altro respingimento in territorio italiano, in Alta Val Susa».Restando in Libia, quella tra Haftar e al-Sarraj non è solo una lotta per governare il paese, ma «uno scontro tra diverse alleanze internazionali per mettere le mani su giacimenti di petrolio tra i più ricchi e appetibili del mondo», aggiunge il “Fatto”. In questa battaglia sono schierate da una parte l’Eni, dall’altra la Total. «A febbraio 2019, ad esempio, il portavoce dell’Esercito nazionale libico, che fa capo ad Haftar, aveva annunciato la presa del campo petrolifero di Al Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, la cui produzione era bloccata da 2 mesi. Il sito è strategico per l’economia dell’intera Libia e per gli Stati che hanno interessi petroliferi nel paese: gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Noc, la compagnia petrolifera nazionale controllata dal governo di Fayez Al Sarraj, principale interlocutore dell’Italia, la spagnola Repsol, la Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil». Non è tutto: a scaldare i rapporti tra Italia e Francia già durante i governi Pd di cui faceva parte Gozi – continua il giornale di Travaglio – ci sono più controversie tra le grandi multinazionali italiane e francesi, sia pubbliche che private. La prima partita economica è senz’altro quella su Fincantieri-Stx: «Dopo un lungo tira e molla, nel settembre 2017, il governo Gentiloni riuscì a sbloccare l’operazione ottenendo per Fincantieri il 50% di Stx più l’1% in prestito dallo Stato francese. Ma il prestito è sottoposto a verifiche periodiche e il governo francese ha facoltà di chiedere indietro la quota prestata in caso di inadempienza italiana».Nel caso in cui l’1% venga ritirato, Fincantieri può solo decidere di cedere tutto il 50% di Stx a Parigi. «Il governo transalpino ha quindi oggettivamente la possibilità di rendere difficile la vita a Fincantieri che è controllata dal Tesoro via Cassa Depositi e Prestiti». Altre vicende, anche se legate ad affari privati (in cui lo Stato è però già intervenuto in passato) sono quelle relative a Tim-Vivendi e Mediaset-Bolloré. «Nel maggio 2018, ad esempio, il fondo Elliott è riuscito a modificare gli equilibri di potere in Tim grazie al voto favorevole del socio pubblico Cassa Depositi e Prestiti. La vicenda non è piaciuta a Vivendi, estromessa dalla guida del gruppo, e al suo socio di riferimento, Vincent Bolloré, azionista anche di Mediobanca e di Mediaset, in guerra aperta con la famiglia Berlusconi». Sono tanti i dossier che un ex membro di governo potrebbe aver gestito o di cui potrebbe aver sentito parlare. E anche per questo Giorgia Meloni ha annunciato che Fratelli d’Italia ha già depositato un’interrogazione: «Vogliamo sapere quali sono tutti i dossier che Sandro Gozi ha seguito quando era alla presidenza del Consiglio italiano che riguardano anche i francesi. Noi vogliamo sapere che cosa deve Emmanuel Macron a Sandro Gozi».«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?
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Ashkenaz, il super-sapiens, ci schiavizza col debito eterno
Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.La solita, bieca massoneria mondiale? Gli uomini invisibili del famigerato “complotto giudaico-massonico” caro ai cospirazionisti? Nemmeno, scrive Cianti, mettendo a fuoco un altro gruppo, che definisce “super-sapiens”. «Si chiamano Ashkenazi, e si sono mimetizzati tra gli ebrei, a insaputa degli ebrei stessi. Ma attenzione: gli “Ahskenazim” non sono ebrei, e nemmeno semiti. Sono i veri manipolatori dell’umanità, fin dai primordi, attraverso il denaro e il credito usuraio». Sarebbero stati loro a danneggiare in primo luogo gli ebrei, provocando la catastrofe dell’antisemitismo. Da dove spuntano? Ne parla la Bibbia, probabilmente, quando – nella Genesi – racconta la “fabbricazione” degli adamiti: strani ibridi, praticamente degli Ogm ante litteram, clonati mescolando i geni del sapiens con quelli dei Figli delle Stelle, che l’Antico Testamento chiama Elohim (come Yahvè e colleghi) mentre per i Sumeri si chiamavano Anunna o Anunnaki. Stessa schiatta di dominatori – venuti dal cielo, secondo il sumerologo Zecharia Sitchin, affascinante e controverso teorico della paleo-astronautica. La missione: trasformare la Terra, fino a quel momento popolata solo da tribù nomadi, in un immenso campo di lavoro.Per produrre cibo, energia e poi anche tecnologia occorrevano “servi” intelligenti e obbedienti, i sapiens, che ancora non c’erano. E per dirigere i sapiens ci voleva una super-razza, in grado di dominarli per conto terzi. Impressionante la consonanza con le rivelazioni che l’avvocato Paolo Rumor affida al saggio “L’altra europa”, edito da Panda, con prefazione dell’eminente politologo Giorgio Galli. La tesi: un’élite immutabile, sempre la stessa, reggerebbe il mondo da quasi 12.000 anni. Origine: Golfo Persico, poi Mesopotamia, Egitto, Mediterraneo fenicio e poi minoico e greco-romano. Pietra miliare: l’antico insediamento nella città caldea di Ur, alla foce del Tigri. E’ la stessa geografia che ripercorre Cianti, inseguendo il fantasma dei progenitori di quelli che (erroneamente, sostiene) verranno poi chiamati “ebrei askhenaziti”, diffusisi nell’Est europeo. La comparsa dell’Adàm biblico, «non ancora ebraico, verosimilmente sumero», risalirebbe a un’epoca collocabile tra il 15.000 e il 20.000 avanti Cristo. Seguono 9 discendenti quasi millenari, i patriarchi pre-diluviani, fino ad arrivare a Noè, cioè intorno all’anno 5.600.Stando alla Bibbia, Noè generò Sem, Cam e Jafet. Da Sem si arriva a Giacobbe-Israele per linea retta attraverso Ever, Terach, Abramo e Isacco: in altre parole, ecco gli ebrei (quelli veri), poi suddivisi nelle famose 12 tribù, inclusa quella israelitica di Giuda e Davide. «Quindi – conclude Cianti – solo i discendenti di Abramo possono essere considerati semiti». Gli altri, cioè la super-razza di cui si occupa “Benvenuti all’inferno”, sarebbero la discendenza di Jafet: il fratello di Sem e Cam «generò tra gli altri Gomer, capostipite dei Cimmeri», il cui figlio si chiamerà Ashkenaz, «dall’assiro Askuza»: nome col quale, secondo la Tavola nelle Nazioni, «si indicavano i popoli nomadi della regione sciita del Caucaso». Insieme ai Minniti e al Regno di Ararat, continua Cianti, i nomadi caucasici Ashkenaz si opposero ai Babilonesi, almeno secondo la Bibbia (Geremia 51-27), e in seguito diedero origine ai popoli slavi. «Gli Ashkenaziti – conclude Cianti, citando sempre l’Antico Testamento – sono dunque “jafeti”, cimmeri o sciiti – ma non semiti, quindi non ebrei».Per l’autore si tratta di un “cluster genetico” autonomo, «una popolazione nomade di origini turcomanne che si reinventa continuamente». Prima sciiti (da “sak”, nomade), poi Kazari (dal turco “qaz”: nomade, ancora). Per Cianti erano di religione tengrista, un mix di sciamanesio, animismo e totemismo diffuso nell’Asia Centrale. «Si convertirono all’ebraismo per convenienza», e molto tardi: solo fra il 740 e il 920 dopo Cristo. «Alla dissoluzione del Canato di Kazaria, conquistato dal russo Sviatoslav I, si dispersero in tutta Europa, attribuendosi l’appellativo di “ebrei erranti”», evidentemente abusivo. Nell’alto medioevo, continua Cianti, li ritroviamo nella valle del Reno e nel Nord della Francia: «Ed è da questo momento che iniziano a usare l’yiddish, lingua germanica con elementi di ebraico e aramaico». Poi si spostano verso Est: Lituania e Polonia, Moldavia, Russia. Il ritorno in Germania comincerà nel 1200 e terminerà solo nell’Ottocento. In tutti quei secoli, scrive l’autore, gli Askuza-Ashkenaz sciameranno di terra in terra perché «perseguitati per l’attività usuraia». Sono loro gli “inventori” del sistema creditizio?Il prestito a interesse, dice Cianti, compare contemporaneamente in Mesopotamia, India e Cina. «L’invenzione stessa della scrittura nasce lì, da quella nuova necessità». A Uruk (oggi Warka, Iraq) a raccontare quella storia sono 5.000 tavolette d’argilla risalenti al quarto millennio avanti Cristo: «Si iniziò allora a parlare di prestiti, tassi d’interesse, garanzie, usura, derivati e pignoramenti». La banca dell’epoca era il Tempio; non prestava solo denaro ma anche cereali, vino e birra, metalli pregiati: «Si cominciò a prestare argento a tassi fino al 60%». Attraverso il mondo mesopotamico, poi fenicio e persiano, ellenico e romano, il network nomade del denaro si trasferisce dove gli conviene, tendenzialmente da Est a Ovest, col progredire dei nuovi fiorenti imperi. Proto-scienziati della finanza? Cianti li chiama “i nostri mandriani”. Il loro metodo non cambia: usura, per conquistare il potere. Obiettivo: «Mantenere nella sottomissione non solo le masse ma anche gli stessi governanti, che in pratica diventano i loro burattini. E se qualcuno di loro si oppone, viene destituito o ucciso, come i Kennedy».Per Cianti, gli Ahskenaz restano un gruppo ristretto e rigorosamente chiuso al suo interno, per via matrilineare, attraverso i secoli. Sono i “ruler”, gli attuali “padroni dell’universo”. Veri fenomeni: si tratta di «individui di eccezionale intelligenza». Oltre a mercanti e banchieri, nei millenni, «hanno espresso anche filosofi, scienziati, pensatori che hanno determinato le sorti dell’umanità». L’élite dell’élite: «Nomadi e apolidi, seguono lo sviluppo dei più importanti centri di potere, in una traiettoria sempre diretta verso ovest che oggi, dalla West Coast degli Stati Uniti, ha spiccato il balzo verso la Cina». Sono loro i teorici e i registi del globalismo finanziario, secondo Cianti: religioni e massonerie, Ur-Lodges e centri di potere paramassonici sarebbero solo cinghie di trasmissione del super-sapiens Ashkenaz, protagonista del club più inaccessibile del vero potere.Lungo le sue 400 pagine, “Benvenuti all’inferno” esamina con estrema cura le più recenti asserzioni scientifiche, dall’astrofisica alla paleontologia fino alla climatologia, demolendo Darwin: «La Terra è passata attraverso eventi catastrofici che hanno provocato ripetute estinzioni di massa. E ogni volta il pianeta è stato ripopolato con specie nuove, che non avevano niente a che fare con le precedenti». Fino al sapiens, ultimissimo prodotto di queste “introduzioni”: «Una specie bio-ingegnerizzata, nel cui corredo è stato introdotto Stamina, il gene della paura che ci rende così docili di fronte al potere». Nel saggio “Resi umani” scritto con Mauro Biglino, il prestigioso biologo molecolare Pietro Buffa (già attivo al King’s College di Londra) spiega che il “missing link” tra uomo e scimmia non è mai esistito: a quanto pare siamo stati “fabbricati” diversi, dalla nascita, ben distinti dai primati e dagli stessi ominidi – persino dal Neandearthal, a noi vicinissimo nel tempo, probabilmente sterminato dai nostri antenati.A lungo traduttore ufficiale della Bibbia per le Edizioni San Paolo, Biglino sostiene che l’Antico Testamento – alla lettera – racconti l’avvento sulla Terra dei Figli delle Stelle. Proprio loro avrebbero “costruito” il sapiens, riservandosi poi la “fabbricazione”, sempre per via genetica, di una super-specie di lavoratori particolarmente intelligenti: gli adamiti, collocati nel Gan-Eden (da cui poi furono cacciati, dopo che ebbero scoperto la possibilità di riprodursi in modo autonomo, sessualmente). Tuttora, nessun sumerologo sa spiegare esattamente l’origine della civiltà sumera, sorta improvvisamente appena a Sud del Gan-Eden (situato nel Caucaso) e immediatamente dotata di favolose competenze tecniche: scrittura e architettura, matematica, astronomia. E soprattutto: agricoltura. «Proprio la rivoluzione agricola – sostiene Cianti – ha cambiato in modo irrimediabile il pianeta, devastando i suoli e sottraendo acqua, impoverendo la nostra dieta e determinando una vera e propria mutazione antropologica: i primi sapiens erano liberi di muoversi e cacciare, noi invece siamo schiavi inurbati, costretti a lavorare e a nutrirci di cibo ormai avvelenato».La stanzialità come sciagura è il tema del saggio “Dominio”, nel quale Francesco Saba Sardi collega all’introduzione dell’agricoltura la nascita del nuovo potere, prima sconosciuto, che “inventa” la religione per trasformare gli esseri umani in servi, lavoratori della terra e soldati. Figure sociali che non esistevano, prima del neolitico: nacquero con l’agricoltura insieme alla religione e alla sua sorella gemella, la guerra, grazie alla comparsa di quell’inedito potere, configurato in forma di dominio. A questo, Giovanni Cianti aggiunge un’altra disgrazia: l’alimentazione. Giornalista e già pubblicitario, appassionato studioso di biologia, Cianti è anche e soprattutto un nutrizionista, disciplina attraverso cui ha rivoluzionato la pratica del body-building partendo proprio dalla dieta. La minaccia più grande? L’abuso di cereali. Il pane – che ha nutrito milioni di individui – viene dal grano, che è comparso sulla Terra di colpo. Discende dal farro selvatico, che però non è commestibile. Chi l’ha trasformato geneticamente in cereale dolce, da farina? I medesimi, misteriosi individui – si suppone – che allo stesso modo, all’epoca di Adamo ed Eva, “fabbricarono” la patata, insieme con la pecora.Cibo pronto uso e a basso costo, per schiere di futuri lavoratori? L’ipotesi è ora vagliata da scienziati di tutto il mondo, ormai convinti che convenga rivalutare e rileggere con occhi nuovi i testi antichi, poi trasformati arbitrariamente in “libri sacri” dalle religioni che, più tardi, se ne impossessarono, travisandoli: e se in quelle pagine ci fossero gli indizi di una storia attendibile? Se cioè il racconto – incluso quello biblico, con la comparsa degli Elohim (Figli delle Stelle) – spiegasse davvero la nostra origine genetica, altrimenti non ricostruibile solo per via evolutiva? Nel qual caso, dice Cianti, sarà meglio aggiungere una riflessione piuttosto decisiva: se qualcuno – venuto dal cielo? – impiantò sulla Terra la sua “mandria” da mungere, di sicuro non scordò di assicurarla alla custodia di servitori speciali e fidatissimi, a loro volta “bio-ingegnerizzati” alla bisogna: i nostri “mandriani”.Non manca nessuno, nella “hall of fame” dei dominatori che Cianti esibisce, dai secoli passati fino ai giorni nostri: spicca il visionario oligarca Jacques Attali, lo sconcertante mentore di Emmanuel Macron, oscuro profeta del transumanesimo post-democratico. C’è l’eterno Zbigniew Brzezinski, lo storico stratega della Casa Bianca (sodale di Kissinger) che reclutò in Afghanistan un certo Osama Bin Laden, poi protagonista della strategia della tensione globale sotto l’egida dei Bush. Riflettori su Al Gore, l’ex vice di Clinton, ormai «frontman mondiale della bufala del global warming di origine antropica», il nuovo catechismo recitato dalla piccola Greta, la ragazzina svedese spuntata (in apparenza) dal nulla. Gore ha appena vinto due Oscar con il documentario “Una scomoda verità”, «diretto dal regista “ashkenazi” Davis Guggenheim». Manipolazione? «Se è per questo, erano “ashkenazi” anche Walt Disney e Edward Bernays, l’inventore della propaganda pubblicitaria», dice Cianti, «come pure i fratelli Andy e Larry Whachowski», gli sceneggiatori di “Matrix”, film nato per metterci in guardia «sul destino della “mandria umana”, costretta a vivere come nella caverna di Platone, cioè in un mondo virtuale completamente avulso dalla realtà».Tra i protagonisti negativi, invece, dominano politici e finanzieri: si va da Madeleine Albright, che difese la necessità inevitabile del bagno di sangue nei Balcani negli anni ‘90, alla quasi-popstar George Soros, «ashkenazi di elevata esposizione mediatica, quindi verosimilmente di rango inferiore». Nulla, in confronto ai veri “dominus”, più appartati, come ad esempio i campioni delle celeberrime dinastie Rothschild, Warburg e Rockefeller, sinistramente implicati nell’ascesa di Hitler (e nel nascente sionismo), ben sapendo che il dittatore nazista avrebbe sterminato milioni di ebrei: era il mostruoso prezzo necessario per ottenere poi lo Stato di Israele? Incubi e interrogativi storici a parte, dell’immenso potere di quelle famiglie parla anche il professor Pietro Ratto nei suoi recenti saggi, che rivelano l’incredibile pervasività (purtroppo attualissima) della loro influenza, persino nell’odierna editoria scolatica validata dai ministeri attraverso commissioni, strutture e aziende di cui non parla mai nessuno. Ma quei nomi così famosi – i vituperati Rothschild, tanto per cambiare – potrebbero essere solo la vetta dell’iceberg, la parte visibile.Chi sono e cosa vogliono, quelli che Cianti chiama “i nostri mandriani”? Lo spiega lo stesso Attali, nella sua “Breve storia del futuro”, «libro che anticipa le mosse dei “mandriani” fino al 2100», fornendo «una descrizione terrificante delle loro intenzioni nonché l’evidenza di una straordinaria assenza di empatia, mista a follia e delirio di onnipotenza». L’umanità ridotta a formicaio pilotabile, prevedibile? Il genere umano eventualmente anche sterminabile, all’occorrenza, con le pratiche più insospettabili? Cianti menziona il cibo cancerogeno, i medicinali-killer e l’imposizione di vaccini pieni di alluminio e altri metalli pesanti, come quelli che scendono dal cielo, da una ventina d’anni, diffusi nella bassa atmosfera dalle strane scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Di fronte a questo, il mainstream grida immancabilmente al complottismo, fingendo di non sapere che le teorie più eretiche (incluse quelle bislacche e ridicole) nascono proprio dal silenzio ufficiale, dalla ostinata reticenza di chi dovrebbe fornire spiegazioni convincenti dei fenomeni che allarmano la popolazione. Peccato che sia lo stesso sistema dei media a essere strettamente detenuto da pochissime mani.Oltre a controllare Intesa SanPaolo e Unicredit, scrive Cianti, la filiera Rothschild («connessa agli Agnelli-Elkann e ai Caracciolo») è presente in Facebook, in Telecom Italia, nell’agenzia “Reuters”, nel francese “Libération”, nei britannici “Daily Telegraph” e “The Economist”. Sempre secondo Cianti, il gruppo Rcs (Rizzoli e “Corriere della Sera”) è invece appannaggio della scuderia Rockefeller, mentre il gruppo Sassoon controllerebbe “Sunday Times” e “The Observer”. Stessa musica per i grandi network televisivi internazionali. In Italia, aggiunge Cianti, «appartiene al “cluster” anche Carlo De Benedetti», fondatore del gruppo “Espresso-Repubblica”, che «ha alle spalle Lazard e Lehman Brothers». Un’unica discendenza, addirittura, collegherebbe gli attuali Master of the Universe? «La risposta definitiva – ipotizza Cianti – potrebbe venire dall’Us Trust Corporation, istituita a suo tempo da Walter Rothschild», che però è inaccessibile alla consultazione pubblica. «Secondo alcuni “insider” – aggiunge l’autore del saggio – si tratterebbe di otto-dieci linee di sangue millenarie». I nomi? Goldman Sachs, Rockefeller, Lehman e Kuhn-Loeb di New York. Poi i Rothschild di Parigi e Londra. Poi gli inglesi Windsor, già Sassonia-Coburgo-Gotha, insieme ai Warburg di Amburgo, ai Lazard di Parigi, alla dinastia Israel Moes Seif di Roma.Si tratta di «famiglie che da sole posseggono tutte le banche e le corporation del mondo, attraverso un sistema di scatole cinesi: il vertice della piramide, totalmente “ashkenazi”, resta estremamente ristretto e al di fuori di ogni forma di controllo». Gioielli della collezione, dagli Usa all’Europa fino alla Cina, le superpotenze bancarie: Hsbc Holding, Bnp Paribas, Jp Morgan, Icbc Bank of China e Agricoltural Bank of China, Wells Fargo, Bank od America, China Construction Bank. In generale, scrive Cianti, il meccanismo del big business «riguarda tutti i settori industriali strategici: cibo ed energia, farmaci, armi, informazione e intrattenimento, ma anche droga e traffico di esseri umani e di organi». Il volume mastodontico dell’attuale sistema iper-capitalista e neoliberale, interconnesso dalla globalizzazione, lo fornisce ad esempio il database Orbis 2007, che (come documenta uno studio svizzero pubblicato nel 2011 da “Plos One”) ha passato al setaccio qualcosa come 37 milioni di aziende e investitori globali. Le strutture che detengono il 97% della ricchezza del pianeta, riassume Cianti, sono soltanto 147: in cima alla classifica Barclays, Capital Group Companies, Frm Corporation, Axa Assicurazioni, State Street Corporation, Jp Morgan, Legal General Group, Vanguard Group, Ubs e Merrill Lynch.«Una rete capillare ed estesa, di soggetti che si posseggono a vicenda». Blackrock, «il più grande fondo d’investimento del pianeta, fondato da Lawrence Fink (ashkenazi) ha tra i maggiori azionisti Pnc Financial Service, Norges Bank, Vanguard, Bank of America, Wellington Management Group». A sua volta, Jp Morgan è gestita da Vanguard e Blackrock, insieme a State Street, Bank of New York e altri soci. Sempre le stesse aziende possiedono anche il colosso farmaceutico Merk. La notizia? Secondo Cianti, il vertice è costituito da consanguinei, tutti discendenti dell’ipotetica, originaria super-razza, quella che già agli albori della civiltà inventò il “debito inestinguibile”. Dalla Mesopotamia si arriverebbe tranquillamente fino ai veri campionissimi del terzo millennio, come il sudafricano Elon Musk, fondatore della Tesla, e il fenomenale Mark Zuckerberg, l’enfant prodige di Facebook. A proposito, chi c’è nell’azionariato del social network che “scheda” oltre due miliardi di esseri umani? «Sempre gli stessi: Vanguard e Blackrock, Frm-Lcc, State Street Corporation, Prince T Rowe, Capital World Investors».Globalizzazione? Termine in uso dagli anni ‘80, quando si pianificò l’abolizione dei dazi per merci e capitali. Ma, stando a Cianti, non sarebbe che l’ultimo passaggio tecnico del mondialismo ante litteram perseguito dal misterioso “cluster” del super-sapiens, fin dagli albori della nostra storia. Possibile? L’autore invita a riflettere sul vero significato dell’agenda dell’Onu, organismo – pochi lo sanno – poderosamente finanziato da donatori privati (sempre loro, i mattatori del superclan). Mondialismo mercantilista, che dichiara guerra alle identità – di genere, nazione, religione – per omologare la “mandria” che popolerà l’Iper-Impero dopo l’imminente declino della potenza Usa. Un “impero totale” esteso in ogni continente «con la sola eccezione della Russia, che per ora resiste ma finirà accerchiata da America, Europa, Cina e India». Viaggia sempre verso ovest, dunque, il super-sapiens di cui parla Cianti? Lo conferma, secondo l’autore, il matrimonio di Zuckerberg: «Sua moglie, Priscilla Chan, è nata negli Usa da genitori rifugiati Hou, un gruppo minoritario di usurai cinesi del Vietnam». Gli Hou, scrive Cianti, discendono dagli “ashkenazi d’Oriente” come la famiglia Li (o Lee), che duemila anni fa, al tempo della dinastia Zhou – introdussero la moneta cartacea.Oggi, come dire, si sono portati avanti col lavoro: «Già legati a Mao Tse-Tung, hanno espresso presidenti cinesi come Li-Peng e Li-Xinnian. Oggi, Lee Kwan Yew è il presidente di Singapore». Un altro esponente della dinastia, Li Ka-Shing, secondo “Forbes” ha un patrimonio di 4 miliardi di dollari, mentre Li Kwok-Po gestisce la Bea (Banca dell’Est Asiatico) agendo «in collegamento coi Warburg e restando in ottimi rapporti coi Rothschild, i Rockefeller e i Bush». La nuova corsa all’Ovest, assicura Cianti, vede una strana migrazione: i boss dell’impero digitale della Silicon Valley ormai puntano verso la Nuova Zelanda, che sta diventando «il santuario dei super-sapiens ashkenazi». Il passaggio dalla California all’Oceania «sarà seguito dallo spostamento degli iper-nomadi dell’Ordine Mercantile Usuraio in una sede geograficamente più vicina ai loro nuovi affari, cioè il subcontinente indocinese».La Nuova Zelanda? Un’area scarsamente abitata e pressoché intatta, dal punto di vista naturalistico. Il resto del mondo, invece – prevede Cianti, in modo apocalittico – sarà «costretto a condizioni invivibili, catastrofi climatiche, epidemie indotte, crollo dell’ordine pubblico, terrore nucleare e collasso della civiltà». Le isole dell’Oceania «saranno l’ultimo rifugio: il nuovo santuario dell’élite, sicuro e intoccabile». Scrive Cianti: «Centinaia di tecno-plutocrati e finanzieri stanno acquistando terreni in queste isole per costruire lussuose ville-bunker. Il Deep State, cioè il vero potere dell’impero americano, ha già creato il governo del “santuario”: si tratta di una oligarchia socialista, che li accoglierà garantendo loro sicurezza, anonimato e impunità». L’attuale primo ministro neozelandese, la trentanovenne Jacinda Ardern, già leader dell’Unione internazionale della gioventù socialista, «è una creatura di Hillary Clinton, che le ha fatto da mentore nella carriera politica», guidandone l’ascesa.Il recente attentato di Christchurch contro le moschee musulmane, lo scorso marzo – aggiunge Cianti – era una classica “false flag” (con morti reali) escogitata «per testare la rapidità con la quale si riesce a far sparire da Internet ogni testimonianza diretta di una strage», e ha fornito «il pretesto per disarmare immediatamente tutti i civili del paese». E’ già una specie di bunker, la Nuova Zelanda: «Per risiedervi sono necessari beni per milioni di dollari, oppure bisogna essere cooptati in quelle ristrettissime liste di personale di servizio necessario al sistema. Ogni altra forma di immigrazione è proibita e immediatamente repressa», alla faccia della politica di accoglienza (quella che oggi, per dire, viene imposta all’Italia). Allucinazioni fantapolitiche? Non proprio: nel suo ponderoso volume, ad ogni pagina, l’autore acclude note, link, riferimenti, citazioni. “Benvenuti all’inferno” si inserisce nella recente letteratura divulgativa che tenta di dare risposte ai pesanti interrogativi del presente, rileggendo la storia antica e provando a sincronizzarla con l’attualità.E’ l’ennesimo catastrofista, Angelo Cianti? In realtà si mostra ottimista rispetto alle possibilità del libero arbitrio. Non smette di credere nel sapiens, in fondo. E infatti sogna di rinaturalizzare l’Appennino con il suo Evo Village Project, presentato nel 2018 al ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio. Obiettivo: ricolonizzare i versanti con una rete di ecovillaggi, verso un’economia sostenibile e slegata dalle catene del sistema-debito. La sua tesi sul ruolo dell’ipotetico super-sapiens rischia di apparire fin troppo facilmente demonizzante, col risultato di introdurre discriminazioni “etniche” e scoraggiare i lettori, posti di fronte a un avversario super-umano e quindi invincibile? Intanto, è notevolissimo lo sforzo compiuto dall’autore nel collegare realtà in apparenza lontane fra loro, nel tempo e nella geografia planetaria. Uno stimolo per farsi domande, allargare la mente e verificare connessioni, scovando strane coincidenze nel ricorrere, invariabile, delle medesime “famiglie” che – come si può vedere – in molti casi detengono da secoli (da millenni, secondo Cianti) le redini del globo. Dinastie che mostrano la straordinaria capacità di rendersi invisibili, mimetizzandosi nella società – magari anche a spese dei veri israeliti, di cui si parla spessissimo a sproposito.(Il libro: Giovanni Angelo Cianti, “Pianeta Terra, benveuti all’inferno! Passato, presente e probabile futuro della mandria umana”, Evo Editorial, 401 pagine, euro 27,78 su Amazon).Menti raffinatissime, le chiamava Giovanni Falcone. Nel suo caso, avevano piazzato una bomba davanti alla sua villetta sul mare, tre anni prima del fatale attentato di Capaci. Sono speciali, quelle menti – e altrettanto criminali – anche per Giovanni Angelo Cianti, che non è un giudice antimafia ma a suo modo si occupa lui pure di criminologia, per così dire, se si volesse leggere come un’epocale, sterminata stagione criminogena quella aperta dalla stessa misteriosa comparsa sulla Terra dell’homo sapiens, tuttora non spiegata (men che meno dall’evoluzionismo darwininano). L’ultima fatica letteraria di Cianti – che esordì addirittura come autore del fumetto-cult “Ken Parker”, creato nel ‘74 da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo – si intitola “Benvenuti all’inferno”, in questo richiamando l’ombra del manicheismo, tra risonanze gnostiche e poi catare. Una “creazione dannata”, la nostra, opera di divinità infere esiliate nel mondo della materia? Premessa pragmatica: siamo quasi 8 miliardi e stiamo devastando il pianeta, come cavallette inarrestabili. Un formicaio di insetti onnivori e famelici, e al tempo stesso docili e malleabili, senza più coscienza né memoria della propria origine. Solo colpa nostra? No, risponde Cianti: la grande attenuante è incarnata da chi lo dirige più o meno segretamente, il “formicaio”.