Archivio del Tag ‘La Repubblica’
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La stampa internazionale: così Monti ha sfasciato l’Italia
A tutti si concede la frase: «Ha fatto almeno questo». L’onore delle armi. Anche il critico più feroce riconosce alla sua vittima un piccolo, insignificante merito. Mussolini ha almeno prosciugato le paludi pontine. Nerone ha almeno costruito la Domus Aurea. Brunetta almeno conosce la ricetta originale della pasta e fagioli. Berlusconi ha almeno evitato il carcere. Fassino aveva almeno una banca, D’Alema ha almeno una barca. Scalfari ha almeno scassato i cosiddetti per quarant’anni filati con i suoi editoriali. Mastella ha almeno una piscina a forma di cozza. Tutti hanno un almeno, anche i più sfigati. Un “almeno” nel proprio curriculum serve per evitare la “damnatio memoriae”, la cancellazione dalla memoria collettiva e la distruzione di ogni traccia che possa essere tramandata ai posteri.Mi sono chiesto quale fosse l’almeno di Rigor Montis, il dimissionario extraparlamentare. Ho pensato allo spread, il suo unico alibi governativo, ma lo spread non si è turbato più che tanto dalla sua prossima dipartita e neppure i titoli di Stato che anzi chiudono in rialzo. Certo, lo ammetto, sono leggermente prevenuto dopo una débacle degna di Caporetto, con disoccupazione, debito, tassazione alle stelle e aziende che muoiono come le mosche d’inverno e il Pil che sprofonda. Ho pensato quindi che l’almeno di Monti fosse la sua reputazione internazionale, nessuno è profeta in patria. Vederlo abbracciato spesso alla Merkel e a Hollande come a due salvagenti personali era più che un indizio di almeno. Ho letto per conferma il “Financial Times”, a firma Wolfgang Munchau: «L’anno di Monti è stato una bolla, buona per gli investitori finché è durata. E probabilmente gli italiani e gli investitori stranieri non ci metteranno molto a capire che ben poco è cambiato nel corso dell’ultimo anno, ad eccezione che l’economia è caduta in una profonda depressione. Due cose devono essere sistemate in Italia: la prima è invertire immediatamente l’austerità, in sostanza smantellare il lavoro di Monti, e la seconda è scendere in campo contro Angela Merkel».Forse il “Ft” è di parte, troppo di sinistra. Ho dato una scorsa al “New York Times”, un articolo di Paul Krugman: «Tecnocrati “responsabili” costringono le nazioni ad accettare la medicina amara dell’austerità; l’ultimo caso è l’Italia, dove Monti lascia in anticipo, fondamentalmente per aver portato l’Italia in depressione economica». Il “Nyt” deve essere comunista. Sono passato a sfogliare il “Daily Telegraph”: «Monti ha portato l’inasprimento fiscale al 3,2% del Pil quest’anno: tre volte la dose terapeutica. Non vi è alcuna ragione economica per farlo. L’Italia ha avuto infatti un budget vicino al saldo primario nel corso degli ultimi sei anni». Maoista! Forse però un almeno lo ha anche Monti. Almeno si toglie dalle balle. Ci vediamo in Parlamento. O fuori o dentro. Sarà un piacere.(Beppe Grillo, “Ha fallo almeno questo”, dal blog di Grillo del 13 dicembre 2012).A tutti si concede la frase: «Ha fatto almeno questo». L’onore delle armi. Anche il critico più feroce riconosce alla sua vittima un piccolo, insignificante merito. Mussolini ha almeno prosciugato le paludi pontine. Nerone ha almeno costruito la Domus Aurea. Brunetta almeno conosce la ricetta originale della pasta e fagioli. Berlusconi ha almeno evitato il carcere. Fassino aveva almeno una banca, D’Alema ha almeno una barca. Scalfari ha almeno scassato i cosiddetti per quarant’anni filati con i suoi editoriali. Mastella ha almeno una piscina a forma di cozza. Tutti hanno un almeno, anche i più sfigati. Un “almeno” nel proprio curriculum serve per evitare la “damnatio memoriae”, la cancellazione dalla memoria collettiva e la distruzione di ogni traccia che possa essere tramandata ai posteri.
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Il ministro di ferro: contro i No-Tav, repressione europea
La rete è una miniera. Occorre tempo e pazienza, ma se si ha la fortuna di avere disponibili l’uno e l’altra si possono capire cose che a prima vista sfuggono. Per esempio che il vertice tra la Francia e l’Italia del 3 dicembre è stato ben altro che la firma dei dossier copia&incolla redatti dall’atelier vintage BessonVirano di quel che rimane (il buco) del sogno di mezzo secolo (scorso) Lyon-Torino. Appena un po’ più in là dei riflettori tutti accesi sui desiderata delle lobby bypartisan di banche e imprese, un giovane rampante in dieta punti e una non più giovanissima signora di taglia un po’ forte hanno siglato un impegno comune per la «lotta alla criminalità e al terrorismo, sicurezza stradale, normativa in materia di asilo e gestione dei flussi migratori». E – ancora pescando dal comunicato ufficiale – si apprende che «al termine del confronto è stata ribadita la comune volontà di rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza interna, a conferma dei già ottimi risultati raggiunti tra i due Paesi».
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Michele Serra: la crisi finirà solo con una guerra mondiale?
«Vicende come quella dell’Ilva alimentano un sospetto radicale. Che questa crisi non finirà mai: nel senso che questo sistema produttivo, questa organizzazione del lavoro, questi modelli di consumo hanno concluso la loro parabola ascendente, imboccando la china declinante. Se questo è vero – se, cioè, la crisi è davvero “strutturale” o “di sistema” come dicono in parecchi – chiunque annunci la fine della crisi mente; o si sbaglia; o si sente in dovere di dare conforto». Parola di Michele Serra, che si esprime così, il 28 novembre, su “L’Amaca”, la piccola rubrica quotidiana che tiene su “Repubblica”. Parole chiare, e tanto lontane – per fortuna – dall’ipocrisia che domina la narrazione generalista, le finte analisi della politica, i surreali salotti televisivi.
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Veltroni e D’Alema: sono stati loro a rottamare Renzi
Veltroni e D’Alema, ancora loro. Alle primarie hanno “fatto vincere” Bersani nell’unico modo possibile: ritirandosi. E togliendo così a Renzi l’unica arma – la rottamazione – impugnata contro il segretario del Pd. Lo sostiene, in punta di fioretto, una delle migliori penne del mainstream, Curzio Maltese, secondo cui a spuntarla è stata il meno televisivo dei candidati, «sempre a disagio nei dibattiti, tanto da apparire quasi arcigno», e totalmente alieno al mondo dei social network, da Facebook a Twitter. E il sindaco di Firenze? Fuorviato disastrosamente dal suo celebratissimo staff di super-esperti, dal guru di Mediaset Giorgio Gori allo scrittore Alessandro Baricco: «L’averlo costretto a non dire mai nulla di sinistra, a non pronunciare neppure la parola “destra” e a concentrare tutto sull’unico tema impolitico della rottamazione è stata una scelta catastrofica», tenendo conto che i tre milioni di votanti anti-berlusconiani delle primarie «costituiscono una comunità con valori forti condivisi, di sinistra assai più che di centrosinistra».
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La solitudine di Sallusti e il grande silenzio del mainstream
Quattordici mesi di carcere, per un reato di opinione: che, in primo grado, era costato appena 5.000 euro di multa. Paga, in modo abnorme, Alessandro Sallusti. Un “antipatico” di professione: «Forcaiolo coi deboli e garantista coi potenti», lo definisce Gad Lerner, che però gli manifesta assoluta solidarietà: punizione eccessiva e inaccettabile. Idem Enrico Mentana, che parla di una vicenda assurda e definisce «insensato» finire addirittura in arresto, nel 2012, per omesso controllo di un articolo del 2007 nel quale peraltro non si annunciavano notizie false, ma si presentava un commento (sia pure pessimo e scritto da altri, sotto pseudonimo) che riprendeva una notizia – quella sì, falsa – già pubblicata il giorno prima da un altro giornale, “La Stampa”. Fu il quotidiano torinese, e non il giornale di Sallusti, a raccontare il falso: e cioè che un magistrato avrebbe “indotto all’aborto” una minorenne. Sallusti non pubblicò mai una smentita, peraltro non richiesta: anziché pretenderla (inviando alla redazione una lettera raccomandata, come da prassi) la parte lesa si limitò a diffondere la precisazione tramite agenzie di stampa.
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Perino: Torino-Lione intoccabile, è il bancomat dei partiti
Le grandi opere? «Sono il bancomat dei partiti». Una verità politica, e ormai «anche giudiziaria», tranne per che per l’opera più costosa e misteriosa: la Torino-Lione. E’ mai possibile, si domanda il portavoce No-Tav Alberto Perino, che solo la magistratura torinese non veda il problema? «E’ solo una sensazione, ma sgradevole: come se a Torino i magistrati lavorassero per conto del Pd», il partito che più di ogni altro preme sull’alta velocità fra Italia e Francia. Forse anche così, sostiene Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna, si spiega l’ultima raffica di provvedimenti giudiziari – una ventina – emessi alla vigilia del “contro-vertice” che i No-Tav italiani e francesi organizzano a Lione il 3 dicembre, per smentire le tesi ufficiali del summit Monti-Hollande. «Sembra proprio che le autorità temano la nostra capacità di mobilitazione popolare». Senza peraltro riuscire mai a spiegare la presunta utilità della maxi-opera, aggiunge il naturalista Luca Giunti, che si è visto annullare un incontro al Politecnico di Milano per “manifesta inconsistenza” dei Sì-Tav.
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Avviso ai genitori No-Tav: i vostri ragazzi teneteli in casa
Finisce in Parlamento il caso delle tre famiglie No-Tav della val Susa, convocate – su richiesta della Procura – nell’ufficio degli assistenti sociali. Il “problema”: aver permesso ai loro figli minorenni di partecipare a manifestazioni contro l’alta velocità. Immediata la protesta della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, che ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Interni: «Emerge uno Stato di polizia – afferma – di cui il governo, se non interviene, rischia di divenire complice». E’ evidente, commenta sul suo blog Claudio Giorno, ambientalista e militante No-Tav della prima ora, che l’onorevole Zamparutti «ha capito lucidamente che qui non si tratta più solo di stabilire se il Tav è utile o inutile, accettabilmente o inaccettabilmente dannoso al territorio attraversato e agli umani che lo abitano: qui e ora si tratta di stabilire quali siano i margini di dissenso lasciati ai cittadini».
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Eugenio Scalfari, il tramonto di un (grande) giornalista
L’Europa? «Procede a singhiozzo». Ed è «un guaio», perché i “mercati” «restano all’erta» e “la speculazione”, «quando può», colpisce. Ma «per fortuna c’è Draghi», che «vigila ed è pronto ad intervenire». La fiaba è firmata da un narratore famoso, Eugenio Scalfari: politico, imprenditore e celebratissimo giornalista. La sua tesi: la demonizzazione della “dittatura dello spread” è pura «demagogia», anche se «i contraccolpi sul sociale» sono «assai duri», al punto che «la rabbia cresce, le piazze protestano, i governi sono in difficoltà, il malumore nei confronti dell’Europa aumenta». Ma perché stupirsene? Forse che solo oggi si è scoperto che dalla “fiducia” dei “mercati” dipende il differenziale italo-tedesco fra i titoli di Stato? Mentre la Merkel è condizionata dalle elezioni nell’autunno 2013 in Germania, anche l’attesa di quelle italiane rappresenta un problema: chi verrà dopo Monti? «Il nostro attuale premier – scrive Scalfari su “Repubblica” il 25 novembre – ha recuperato una credibilità internazionale che era andata totalmente perduta». Ma poi? «Il nuovo Parlamento e il nuovo Capo dello Stato manterranno gli impegni presi con l’Europa?».
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“Israele peggio di Hitler”, e Repubblica oscura Odifreddi
Piergiorgio Odifreddi getta la spugna: “Repubblica” gli ha oscurato il blog. Motivo: di fronte all’ennesima strage di innocenti a Gaza, ha osato paragonare il potere militare israeliano a quello di Hitler. “Dieci volte peggio dei nazisti”, era il titolo del post firmato il 19 novembre, che il quotidiano di Ezio Mauro, Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti ha censurato. «Sul quotidiano israeliano “Haaretz” – protesta Pino Cabras su “Megachip” – possiamo trovare articoli estremamente critici verso i crimini della classe dirigente di Israele», mentre su “Repubblica” «non si può». Questo, aggiunge Cabras, perché «“Repubblica” non è la nostra “Haaretz”, ma la nostra “Pravda”». Cancellare un post non è di per sé un grande problema, ironizza Odifreddi, soprattutto se poi il web mette in piazza il suo scomodo contenuto. Per di più, aggiunge l’insigne matematico italiano, a criticare Israele sono personalità autorevolissime, da José Saramago e Noam Chomsky, nonché «molti cittadini israeliani democratici che non approvano la politica del loro governo».
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Dagospia: i Bilderberg in Vaticano con Letta e Mentana
I Bilderberg a Roma dal 13 novembre, «quasi come se fosse una provocazione», per parlare del commissariamento dei paesi dell’Eurozona più a rischio: Italia, Spagna e Grecia. «Della riunione – scrive “Dagospia” – non c’è traccia neppure sul sito ufficiale della più potente e misteriosa organizzazione mondiale che raccoglie manager, banchieri e imprenditori da tutto il mondo». Secondo le “talpe” di Roberto D’Agostino, la segretaria organizzativa del “super-clan” planetario, Marlieke de Vogel, sarebbe “disperata”, perché «l’incontro segretissimo di Roma del più potente circolo finanziario para-massonico mondiale» rischia un clamoroso flop. Motivo: l’organizzazione ha piazzato gli ospiti all’Hotel de Russie, angolo piazza del Popolo, a due passi dalla folla di troupe che presidiano il festival del cinema. Peggio: i musei vaticani saranno chiusi in anticipo per consentire ai super-oligarchi di consumare una frugale cenetta tra i capolavori d’arte: centomila euro per 80 invitati.
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Obama e l’appuntamento peggiore: quello con la guerra
«Nei prossimi mesi, quando Obama avrà incontrato Xi Jinping, suo neo-omologo designato, potremo capire se i numeri uno e due al mondo sono destinati a cooperare o a scontrarsi». Parola di Lucio Caracciolo, che vede “guerre imperiali” appena oltre il giardino della Casa Bianca, all’indomani della conferma di Obama, che è stato rieletto «per salvare l’America da un’altra recessione, non per cambiare il mondo». Ma posti di lavoro e benessere sociale dipendono sempre più «dal modo in cui l’America sta al mondo», ovvero «dalle relazioni politiche, commerciali e finanziarie con il resto del pianeta, Cina in testa, che non accetta più il Washington consensus e non dimentica che la crisi in corso è nata a Wall Street». L’unico non indifferente vantaggio rispetto al primo quadriennio, aggiunge il direttore di “Limes”, è che Obama «non può essere riconfermato, sicché deciderà senza farsi condizionare da pedaggi elettorali».
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Scanzi: come ti smonto Grillo, imboscata firmata Lerner
Beppe Grillo è molto bravo a distruggere ciclicamente se stesso. La scomunica a Federica Salsi è attaccabilissima. E la censura ad “Agorà” un autogol. Molti, su tali errori, hanno gioiosamente sguazzato. Tipo Gad Lerner, che lunedì sera a “L’Infedele” ha voluto dimostrare plasticamente perché Grillo detesti tanto certi talk-show. Quel sessista di Grillo. Il post sul “punto G” è stato letto da Lella Costa come attacco maschilista, anche se Grillo alludeva semplicemente all’orgasmo dell’ego che la tivù garantisce. La trivialità di Grillo è bipartisan: Pisapia è “Pisapippa”, Renzi soffre di “invidia penis”. Non è un’attenuante: è un fatto. Quel brigatista di Grillo. Una scatenata Lella Costa ha poi paragonato i “Comunicati politici” di Grillo alle Brigate Rosse. Piero Ricca le ha ricordato che il rimando era palesemente ironico. Macché: «Se metti insieme il punto G e le Br non ci trovo nulla da ridere».